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Capitolo 2 Metodi

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Academic year: 2021

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Metodi

In questo capitolo, dopo una breve introduzione al problema tomografico in generale e nel particolare alla Local Earthquake Tomography (L.E.T), verranno descritti i codici di calcolo utilizzati e le metodologia seguite per la soluzione del problema inverso.

2.1

La Local Earthquake Tomography (L.E.T.)

La Tomografia Sismica (dal greco tomòs, ovvero sezione, fetta) è una tecnica di indagine ed analisi geofisica utilizzata per ottenere informazioni sulla distribuzione di una determinata proprietà fisica nel sottosuolo, a partire da osservazioni sismo-metriche raccolte alla superficie terrestre o in prossimità di essa. In particolare, nel campo del seismic imaging, la grandezza fisica studiata è la velocità di propagazione delle onde sismiche.

La tomografia sismica consiste quindi in un problema inverso: ovvero risalire ad un sistema di modelli incogniti m, partendo da dei dati osservati d nella classica forma

d = G−g(m) (2.1)

dove G−g(chiamata anche come inversa generalizzata) rappresenta l’inverso dell’

ope-ratore matematico che descrive la relazione esplicita tra i dati osservati ed i parametri

del modello.

Nel caso esplicito della LET, i dati sono rappresentati dalle osservazioni dei tempi di tragitto ipocentro–ricevitore delle onde di volume (P ed S ) associate a terremoti locali; i parametri del modello sono invece costituiti dalla distribuzione spaziale delle velocità di propagazione, parametrizzata secondo una opportuna discretizzazione dello spazio dei modelli, e dalla distribuzione spaziale degli ipocentri.

L’espressione analitica di G definisce la relazione che, per un’onda piana che si propaga in un mezzo elastico, determina il tempo di tragitto di un raggio sismico compreso tra due estremi:

t = τ + Z

l[u(r)]

u(r) dl (2.2)

dove

- t è il tempo di arrivo ai ricevitori; 4

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- τ indica il tempo origine del terremoto;

- u(r) è la distribuzione della lentezza scalare (reciproco della velocità) definita in funzione del vettore posizione tridimensionale r;

- l[u(r)] rappresenta il tragitto tra i due estremi (ipocentro e ricevitore). Come si può notare, la relazione tra t e u è intrinsecamente non lineare, in quanto l’integrale di linea calcolato sul raypath dipende dalla distribuzione stessa delle lentezze nel modello. La soluzione al problema viene affrontata mediante una

linearizzazione, che consiste nell’approssimazione al secondo termine della serie di

Taylor dell’Eq. 2.2.

Per un modello di riferimento u0(r) ed una determinata coppia sorgente–

ricevitore, i tempi di tragitto predetti t0 sono dati dalla soluzione del problema

diretto d=G(m):

t0 =

Z

l[u0(r)]

u0(r) dl (2.3)

Consideriando adesso una piccola perturbazione sul modello delle lentezze δu(r), l’Eq. 2.3 che descrive i traveltimes può essere riscritta come:

t = Z

l[u0(r)+δu(r)]

[u0(r) + δu(r)] dl . (2.4)

È da ricordare come la geometria del raggio sismico sia definita in base al principio del minor tempo di tragitto di Fermat, che stabilisce come la propagazione di un’onda tra due punti avvenga lungo il cammino col minor tempo di percorren-za. Una particolare estensione di questo teorema afferma, inoltre, la stazionarità del raypath rispetto a piccole perturbazioni del modello di velocità.

Per questo motivo, il calcolo del tempo di percorrenza nel modello perturbato

l[u0(r) + δu(r)] può essere approssimato dall’integrazione del nuovo modello di

lentezza lungo il raggio l[u0(r)] originario :

t = Z l[u0(r)] [u0(r) + δu(r)] dl (2.5) da cui otteniamo: t = Z l[u0(r)] u0(r) dl + Z l[u0(r) ]δu(r) dl (2.6)

Nella relazione 2.6, il primo termine a membro destro corrisponde al t0

dell’e-quazione (2.3), ovvero il tempo di tragitto predetto sulla base del modello iniziale. Possiamo quindi scrivere

δt = t − t0 =

Z

l[u0(r)

δu(r) dl (2.7)

che rappresenta una relazione esplicita lineare fra le variazioni nei tempi di tragitto e le corrispondenti variazioni nel modello di lentezza [Hole 1992].

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2.1.1

Il problema congiunto di rilocalizzazione &

modelliz-zazione

La funzione che descrive i tempi di tragitto è funzione delle coordinate geografiche degli ipocentri e dei ricevitori oltre che della distribuzione delle lentezze.

Il metodo impiegato in questo lavoro prevede l’inversione congiunta dei parametri ipocentrali (localizzazione e tempo di origine) e della distribuzione delle lentezze.

Il primo passo nella implementazione del problema inverso è quindi la parame-trizzazione dello spazio dei modelli. Per il campo delle lentezze, il volume investigato viene diviso in varie sotto-regioni omogenee dette blocchi o celle e vengono separati i parametri sulle perturbazioni nella rilocalizzazione degli ipocentri da quelli delle lentezze. L’Eq. 2.7 diventa quindi

∆Tij = 3 X k=1 ∂Tij ∂xik ∆xik+ L X l=1 ∂Tij ∂ul ∆ul , (2.8)

dove gli indici (i, j) sono relativi ad una particolare coppia terremoto–stazione, rispettivamente.

∆Tij è la differenza fra la travel–time osservata e quella predetta per un modello

di prova m0, con ∂Tij

∂xik, k = 1 . . . 3, le sue derivate parziali rispetto alle coordinate

spaziali dell’ipocentro (il vettore posizione x ), e dove ∆xik sono le perturbazioni

al vettore posizione nel ricalcolo degli ipocentri. ∂Tij

∂ul sono le derivate parziali

della traveltime rispetto al modello di lentezze utilizzato, e ∆ul le perturbazioni

al modello di prova. La sommatoria lungo l è calcolata solamente sugli L blocchi attraversati da quel particolare raggio.

Estendendo la formulazione a tutti gli strumenti che hanno osservato l’i-esimo terremoto, l’Eq. 2.8 viene scritta in forma matriciale come:

Γi = Ai∆hi+ Bi∆ui (2.9)

dove Γirappresenta il residuo dei tempi di tragitto (traveltimes) dell’evento i rispetto

al modello di partenza, Ai è la matrice delle derivate parziali dei traveltimes rispetto

alla localizzazione dell’ipocentro con ∆hi il vettore contenente le variazioni spaziali

degli ipocentri; Bi è la matrice delle derivate parziali dei traveltimes rispetto alla

distribuzione delle lentezze ed infine ∆ui è il vettore contenente le perturbazioni

del modello stesso [Benz et al. 1996].

Dalla 2.9 appare evidente l’accoppiamento del problema tra la rilocalizzazione ipocentrale e la ridistribuzione delle perturbazioni di velocità. A questo punto però non sono disponibili informazioni a sufficienza per poter capire quale porzione dei “data-misfits” contenuti in Γ possa essere attribuita alla localizzazione della sorgente e quale alla distribuzione delle lentezze. I due problemi devono pertanto essere risolti congiuntamente [Benz et al. 1996, Kissling et al. 1994].

2.2

PStomo_eq

Il software di tomografia utilizzato ed analizzato nello svolgimento di questa tesi è PStomo_eq. Questo codice, originariamente sviluppato da Harley M.Benz con il

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nome di fdtomo_eq [Benz et al. 1996], è stato successivamente modificato da Ari Tryggvason per effettuare l’inversione simultanea dei modelli di velocità per le onde P ed S [Tryggvason 1998; Tryggvason, Rögnval e Flovenz 2002].

Oltre alle sorgenti naturali, PStomo_eq può gestire anche sorgenti controllate i cui dati possono essere invertiti separatamente: per queste sorgenti, la conoscenza del tempo origine e della localizzazione possono offrire vincoli più stringenti alla soluzione finale.

Con le ultime migliorie applicate al programma è possibile ottenere risultati soddisfacenti tramite le correzioni statiche (di sorgente o ricevitore, non entrambe) utilizzate per compensare gli strati eterogenei presenti in superfice: questi strati, specialmente in indagini a piccola scala, spesso portano ad artefatti durante le inversioni a causa dei ritardi che provocano all’arrivo dei raggi sismici. Ciò è dovuto al fatto che raramente la parametrizzazione del modello è sufficientemente fitta per poter considerare le forti eterogeneità degli strati superficiali [Bergman, Tryggvason e Juhlin 2004; Tryggvason, Schmelzbach e Juhlin 2009].

Il pacchetto software, scritto completamente in ANSI C [Kernighan e Ritchie 1988], è predisposto per l’utilizzo su sistemi Unix-like via terminale tramite sequenze di comandi testuali bash (bourne again shell) e csh (C-shell). In tale pacchetto, oltre al software di inversione, troviamo compreso un codice per la selezione degli eventi (Silstrib) sulla base della qualità delle localizzazioni iniziali.

Il processo di inversione è proceduta secondo i seguenti passi:

PARAMETRIZZAZIONE DEL MODELLO: definizione del modello

inizia-le, ovvero la struttura di velocità, in blocchi a lentezza costante. Viene costruito e fornito al programma tramite un file testuale: è possibile definire sia un modello 1D che 2D.

PROBLEMA DIRETTO: ovvero il calcolo dei tempi di tragitto nel modello

precedentemente descritto (vedi Par. 2.2.1).

PROBLEMA INVERSO: una serie di iterazioni mirate alla riduzione dei

re-sidui tramite successive perturbazioni del modello di velocità, relative ri-localizzazioni degli ipocentri e successivo aggiornamento della struttura di velocità (vedi Par. 2.2.2).

2.2.1

Soluzione del problema diretto

Come accennato in precedenza, la soluzione del problema tomografico richiede la definizione di un modello di prova sulla base del quale vengono calcolati i tempi di tragitto predetti per tutte le coppie sorgenti-ricevitore (cioè per tutti i raggi). Il calcolo dei tempi di tragitto considera la propagazione di un fronte d’onda sismico in un mezzo elastico con velocità V che, nell’approssimazione di onda a frequenza infinita, può essere descritta dall’equazione eikonale [Cerven`y 2001]:

(∇x(i)T )2 = 1

V2

x(i)

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Dalla 2.10 possiamo ricavare l’equazione del raggio, ovvero la relazione che governa la geometria dei raggi attraverso il modello stabilito [Aki e Richards 1980]:

d dl 1 Vx dx dl ! = ∇ 1 Vx ! . (2.11)

Per mezzi in cui le velocità di propagazione sono distribuite in maniera arbitraria, la 2.10 non ha una soluzione analitica. Le soluzioni sono quindi numeriche, secondo vari gradi di approssimazione, e si dividono principalmente in due gruppi [Rawlinson e Sambridge 2003]:

- raytracing methods, che si basano essenzialmente sul principio di Fermat - wavefront tracking methods, basati sulla risoluzione alle differenze finite

della 2.10

Al primo gruppo appartengono lo Shooting Method ed il Bending Method (Fig. 2.1).

Raytracing methods: Shooting & Bending Methods

L’algoritmo che sta alla base dello Shoothing Method consiste nel formulare l’equazione del raggio (Eq. 2.11) conoscendo a priori le coordinate della sorgente e l’inclinazione del raggio di partenza (angolo di take-off ), per risolvere successi-vamente l’initial value ray-tracing. Se le coordinate di arrivo del raggio non sono quelle corrispondenti al ricevitore prescelto, l’angolo di inclinazione di partenza del raggio viene variato ed il tragitto ricalcolato di conseguenza, sino a quando l’emersione del raggio non sia sufficentemente vicina al ricevitore. Con questo me-todo è possibile utilizzare la reciprocità del problema, utilizzando quindi come dato iniziale le coordinate spaziali del ricevitore e come incognite quelle della sorgente. Molto simile è il Bending Method che consiste nel perturbare iterativamente la geometria di un raggio definito inizialmente in maniera arbitraria. Le iterazioni vengono arrestate quando si riesce a soddisfare il principio di Fermat.

Questi algoritmi sono utilizzati principalmente nel ray-tracing 2D. Una estensione tridimensionale del Bending Method è quella proposta da Um e Thurber [Um e Thurber 1987].

Wavefront Tracking Methods

Piuttosto che tracciare raggi tra due punti nel modello per effettuare il calcolo dei traveltimes, i wavefront tracking methods tracciano la propagazione dell’intero fronte d’onda sismico: in questa maniera vengono ottenuti i tempi di tragitto dalla sorgente a qualsiasi punto presente nel modello descritizzato. Il procedimento che sta alla base di questi algoritmi è quello di utilizzare la risoluzione alle differenze finite dell’Eq. 2.10.

Il primo schema risolutivo fu proposto da [Vidale 1988], cui sono seguiti ulteriori sviluppi (ad es., [Qin et al. 1992]). Questi metodi si basano sulla determinazione dei tempi di tragitto ad un determinato numero di nodi circostanti la sorgente (4 in

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Figura 2.1: Figura esemplificativa dello Shooting Method (in alto) e del Bending

Method (in basso).

[Vidale 1988], 8 in [Qin et al. 1992]). Successivamente, il nodo con il tempo di arrivo minore è utilizzato a sua volta come sorgente, e i nuovi traveltimes sono calcolati ai nodi adiacenti. Questa classe di metodi permette un calcolo sufficientemente accurato dei primi arrivi di un evento, anche se vi sono particolari situazioni che presentano criticità significative, quali ad esempio la presenza di forti contrasti di velocità dovuti a faglie o discontinuità strutturali. Inoltre, queste tecniche non consentono la corretta definizione degli arrivi generati da fronti d’onda riflessi e rifratti.

Gli algoritmi “Time3d” di Hole e Zelt [Hole e Zelt 1995] e “Punch” di

Podvin & Lecomte [Podvin e Lecomte 1991].

In aggiunta alle soluzioni proposte da Vidale 1988 e Qin et al. 1992, l’algoritmo di Hole & Zelt, partendo dalla base di Vidale, introduce un operatore per il cal-colo di onde rifratte e migliora il calcal-colo degli arrivi riflessi utilizzando la legge di

Snell, riducendo notevolmente i tempi computazionali. A differenza di metodi che

necessitavano di un calcolo dei tempi da tutte le stazioni e ricevitori, Hole risolve questo problema assumendo che il fronte d’onda nell’intorno del punto di riflessione possa essere approsimato da un onda piana. I traveltime delle onde riflesse sono calcolati conoscendo la profondità del riflettore, il versore della superfice e il versore del raggio incidente e riflesso. Con questo algoritmo si ottengono risultati migliori con discretizzazioni abbastanza fitte per poter rappresentare al meglio l’interfaccia riflettente (ovviamente a costo di maggior tempo di calcolo), e buona risoluzione di riflettori leggermente inclinati (massimo 45◦ in situazione 2D, massimo 35◦ in situazione 3D [Hole e Zelt 1995])

L’algoritmo di Podvin & Lecomte si basa invece sull’applicazione sistematica del

principio di Huygen nell’approssimazione alle differenze finite. Esso è inoltre

pensa-to per poter lavorare sui moderni computer sfuttando la capacità del computing parallelo: ogni nodo della griglia di velocità è affidata ad un processore che ne

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calcola il tempo di arrivo. In questa maniera, oltre che ad una maggiore stabilità, si ottengono buoni risultati pure in presenza di forti contrasti di velocità. In casi par-ticolari, è possibile ottenere pure dei tempi successivi al primo arrivo, cosa utile nel caso di creazione di sismogrammi sintetici. Nei metodi del tipo wavefront tracking la geometria del raggio viene calcolata a posteriori, mediante una procedura di

back-tracing dal ricevitore alla sorgente percorrendo il gradiente del time field calcolato

precedentemente. In pratica, il raggio sismico viene calcolato partendo dal ricevitore con il tempo di primo arrivo minore, perpendicolarmente alle isocrone. I wavefront

tracking methods sono generalmente più veloci dei raytracing methods specialmente

nel caso in cui le sorgenti sono molte di più rispetto ai ricevitori (p.es. le L.E.T), e permettono sempre il calcolo del tempo di primo arrivo. Per le applicazioni, così come le numerose discussioni, su queste metodologie, si rimanda agli articoli citati nella bibliografia.

Entrambi gli algoritmi [Hole e Zelt 1995; Podvin e Lecomte 1991] sono implementati nel software di PStomo: l’utente, ad ogni chiamata del programma, può decidere la procedura più adeguata al particolare problema affrontato.

2.2.2

Soluzione del Problema Inverso

Per arrivare alla formulazione del problema nella tipica forma dell’eq 2.1, è necessario

separare opportunamente i dati e le variabili del nostro problema. Partendo

dall’Eq. 2.9, diversi algoritmi risolutivi sono stati creati per risolvere il problema congiunto della rilocalizzazione e determinazione del modello di velocità [Pavlis e Booker 1980; Spencer e Gubbins 1980].

Per evitare tutte le complicazioni che comporta la minimizzazione di i− Ai∆hi+ Bi∆uik2

(primo su tutti il calcolo delle matrici inverse) e per guadagnare spazio di memoria e tempo computazionale, è possibile dividere matematicamente il problema separando i parametri ipocentrali da quelli del modello di velocità prima della procedura di inversione.

I problema inverso della L.E.T. è tipicamente a determinazione mista: ovvero esistono parametri del modello sovra-determinati ed altri sotto-determinati, con quindi una carenza di informazioni tale da rendere difficile la loro risoluzione. Questa parte dei parametri del modello sotto-determinati non risiede mai nella rilocalizzazione ipocentrale a patto che siano stati scelti accuratamente gli eventi sismici per l’inversione: in teoria infatti sarebbero necessarie solo 4 registrazioni di ogni evento per poterlo localizzare, utilizzando così il resto delle registrazioni per risolvere il modello di velocità.

In pratica, per ogni terremoto, viene ignorato in un primo momento l’ultimo termine dell’Eq. 2.9 e si effettua un inversione ai minimi quadrati esclusivamente per trovare una soluzione al problema della localizzazione ipocentrale. Poichè a questo punto il problema è puramente sovradeterminato (tutte le registrazioni relative all’evento, che si assumono maggiori o uguali a 4, sono invertite), il vettore dei residui

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alle perturbazioni sul modello di velocità. A questo punto si scompone la matrice

Ai tramite la decomposizione a valori singolari (Singular Value Decomposition,

SVD) ed otteniamo la classica forma

Ai = UΣVT ,

dove:

- U è la matrice ortogonale contente gli autovettori della matrice AAT ,

- Σ è la matrice diagonale contenente i valori singolari della matrice A , - V è la matrice ortogonale contente gli autovettori della matrice ATA .

La matrice ortogonale U può essere ulteriormente suddivisa in tre sottomatrici:

U = [Up Ul U0]

e dove Up è la sottomatrice contenente gli autovettori associati ai quattro parametri

ipocentrali mentre U0 quella contente gli autovettori associati ai valori singolari

nulli, ovvero la parte della matrice AAT che non contiene informazioni per il

rical-colo ipocentrale. La sottomatrice Ul non è quasi mai definita, poichè è associata

alle rilocalizzazioni mal vincolate o ad errori numerici avvenuti durante il calcolo dei valori singolari della matrice A.

Adesso, grazie alla proprietà delle matrici ortogonali di U, possiamo scrivere:

UT0iAi = 0

dove l’indice i sta a ricordare che questo processo va ripetuto per ogni singolo evento. Applicando quest’ultima espressione all’Eq. 2.9 otteniamo

UT0iΓi = UT0iAi∆hi+ UT0iBi∆ui ,

che dopo la semplificazione del primo termine destro diventa

Γei = Bei∆u (2.12)

dove l’apice e sta ad indicare i dati trasformati e la jacobiana contenente le derivate prime dei traveltimes rispetto al modello di velocità [Tryggvason 1998; Pavlis e Booker 1980].

Il software “PStomo_eq” utilizzato in questo lavoro di tesi permette di aggiungere vincoli (constraints) alla soluzione finale:

- sorgenti controllate possono essere utilizzate nella risoluzione del problema inverso dal software assieme ai terremoti,

- tramite un parametro è possibile regolare la quantità di utilizzo di un set di smoothing equations per regolarizzare le variazioni laterali dei modelli di velocità P ed S limitando così la presenza di artefatti e migliorando la stabilità della soluzione,

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- un ulteriore parametro regola il vincolo della variazione del rapporto VP

VS tra

i modelli. Questo constraint può essere aggiunto all’inversione per evitare brusche, e quindi errate, variazioni delle stesse.

L’Eq. 2.12 può essere quindi riscritta:

     Γe Γc 0 0      =      Be Bc kL lS      ∆u = G∆u (2.13)

dove con l’apice c si intendono rispettivamente i residui e la jacobiana delle eventuali

sorgenti controllate introdotte nel sistema, k è il fattore che regola il peso della

matrice L contenente le equazioni di smoothing ed l il fattore di controllo sulle variazioni del rapporto VP

VS tra i modelli.

La risoluzione dell’Eq. 2.13 è affidata all’algoritmo a gradienti coniugati LSQR, basato sulla bidiagonalizzazione di Golub e Kahan [Golub e Kahan 1965] della matrice G e successiva risoluzione ai minimi quadrati. L’algoritmo, ampiamente descritto in Paige e Saunders 1982, è molto utilizzato in letteratura. Una volta calcolate le perturbazioni ai modelli di lentezza, esse sono introdotte nuovamente nell’Eq. 2.9, e sul modello perturbato sono rilocalizzati i terremoti. Sebbene la soluzione ai minimi quadrati (“norma L2”) pesi maggiormente i cosidetti outliers della funzione dei residui rispetto ad altre soluzioni di minimizzazione (p.es. “norma

L1”) [Aster, Borchers e Thurber 2005; Menke 1984], l’argoritmo restituisce comunque

la soluzione più stabile [Nolet 1985].

2.3

Metodologia

In questa sezione è riassunto il metodo seguito durante lo svolgimento di questo lavoro di tesi. I singoli passaggi sono descritti in modo esteso nel Cap. 4.

Fase di acquisizione: A monte di un’indagine geofisica è sempre effettuata una

campagna di acquisizione dati ed in questo caso, nello specifico, sono state rilevate le misurazioni sismometriche di circa 20 stazioni mobili, durante lo svolgimento del GAPSS experiment (Par. 4.1)

Picking dei primi arrivi: Per effettuare una prima indagine sul ricalcolo

ipocen-trale degli eventi registrati, si è reso necessario effettuare i picking dei primi arrivi delle fasi P ed S ad ogni stazione. Questa operazione, effettuata tramite il software Seismic Analysis Code (S.A.C.) [Tapley e Tull 1991], permette di individuare il tempo di primo arrivo, e di dare un peso sulla qualità della registrazione necessaria per l’inversione successiva.

Conversione dati: Successivamente ho progettato, scritto ed utilizzato precisi

filtri per la selezione delle letture migliori e la conversione delle stesse al formato idoneo per il software d’inversione (S.I.L.). Per la costruzione di questi ho unito le potenzialità di editing testuale offerte dalla bash (bourne again shell) e la migliore gestione di matrici numeriche di MATLAB R (Par. 4.3).

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Calcolo del modello di partenza: Prima di procedere con l’inversione, è stato

calcolato su di un dataset ridotto di eventi, il miglior modello di partenza (m0) secondo le indicazioni presenti in Kissling et al. 1994 con l’utilizzo del

software VELEST [Kissling, Kradolfer e Maurer 1995]

Inversione: il fulcro principale del lavoro svolto è stato quello di capire, utilizzare

e modificare (ove necessario) il software “PStomo_eq”, precedentemente esposto, per ottenere la migliore tomografia 3D dell’area.

Validazione del metodo: sono stati effettuati inoltre dei test sulla risoluzione

Figura

Figura 2.1: Figura esemplificativa dello Shooting Method (in alto) e del Bending Method (in basso).

Riferimenti

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