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Sul dovere dell’avvocato di informare il cliente della possibilità di avvalersi della mediazione finalizzata alla conciliazione. Spunti sull’ambito di applicazione del nuovo istituto della mediazione. - Judicium

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SALVATORE ZIINO –MARINA VAJANA

Sul dovere dell’avvocato di informare il cliente della possibilità di avvalersi della mediazione finalizzata alla conciliazione. Spunti sull’ambito di applicazione del nuovo istituto della

mediazione.

1. Considerazioni introduttive. - 2. Rilevanza deontologica della condotta del difensore. - 3. Ambito di applicazione dell’obbligo di informare il cliente della possibilità di avvalersi della mediazione. - 4. segue: obbligo di informativa e procedimento arbitrale. - 5. segue: informativa e diritti disponibili. - 6. Direttiva comunitaria sulla mediazione e norme sulla giurisdizione. - 7. Mediazione nelle azioni previste dal codice del consumo. - 8. Spigolature e dubbi in altre materie. Conclusioni.

I paragrafi 1, 2 e 3 sono di Marina Vajana; gli altri sono di Salvatore Ziino.

1. Considerazioni introduttive. - Il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 (che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2010, n. 53) ha dato attuazione alla legge delega 18 giugno 2009 n. 69.

Segnatamente, l'art. 60 della legge n. 69 del 2009, aveva delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale.

Tra le prescrizioni della legge di delega era stabilito che la nuova normativa avrebbe dovuto

“prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione”1.

Lo schema di decreto legislativo recante “Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n.

69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”

1 Si veda la lettera n) dell’art. 60, comma 3, della legge n.69 del 2009. La legge 18 giugno 2009 n. 69 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2009, suppl. ord. n. 95.

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approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 ottobre 2010 e inviato alle Camere per la espressione dei necessari pareri, aveva inserito l’obbligo di informare nell’art. 4 comma 32.

La disposizione contenuta nello schema di decreto legislativo stabiliva che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, l'avvocato è tenuto, nel primo colloquio con l’assistito, a informarlo della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto, a pena di nullità del contratto concluso con l’assistito. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

I primi commenti hanno definito il documento, che contiene le informazioni prescritte dalla legge come “informativa”3.

La “Commissione per lo studio e le riforme del codice di procedura civile” presso il Consiglio Nazionale Forense, nella seduta del 29 ottobre 2009, ha mosso alcuni rilievi al testo predisposto dal Governo4.

In merito all’obbligo di informativa il Consiglio Nazionale Forense ha chiesto che fossero apportare due modifiche.

Innanzitutto ha proposto che l’obbligo di fornire l’informativa fosse assolto dall’avvocato “prima di promuovere il giudizio”: solo in questa fase, secondo Consiglio Nazionale Forense, sarebbe opportuno imporre al legale di informare il cliente della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione.

2 Lo schema di decreto legislativo recante: «Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali» è stato trasmesso per il parere alla Presidenza del Senato il 9 novembre 2009.

3 Per tutti, PAOLO PORRECA, La mediazione e il processo civile: complementarietà e coordinamento, in Le Società, 2010, fasc. 5, p. 632; LOTARIO DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it par. 3, nonché in Riv. dir. proc., 2010, 575 ss. e spec. 584.

4 La relazione è disponibile nel sito www.consiglionazionaleforense.it

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Il Consiglio Nazionale Forense ha sottolineato inoltre che la previsione della sanzione della nullità del contratto concluso tra il professionista e l’assistito nel caso di mancanza dell’informazione preventiva e per iscritto circa la possibilità di ricorrere alla mediazione, non fosse in linea con i principi generali in materia di nullità; sicché ha proposto che l’omissione della informativa costituisse per l’avvocato esclusivamente un illecito disciplinare.

Il testo approvato definitivamente dal Governo, poi confluito nell’art. 4 del decreto legislativo n. 28 del 2010, ha un contenuto parzialmente diverso rispetto allo schema di decreto legislativo ed ha, in parte, attenuato le gravi conseguenze derivanti dall’omissione della informativa.

L’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2010 stabilisce che “All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Le principali modifiche rispetto allo schema di decreto legislativo riguardano:

- il momento in cui deve essere fornita l’informativa: questo momento non è fissato “nel primo colloquio”, ma “all’atto del conferimento dell’incarico”;

- la mancanza dell’informativa, che non comporta la nullità ma la “annullabilità” del contratto stipulato tra il cliente e il difensore;

- il contenuto della informativa, che, non soltanto deve fare menzione della possibilità per il cliente di avvalersi del procedimento di mediazione (nei casi in cui è facoltativo), ma deve espressamente indicare al cliente in quali ipotesi il procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda.

La disciplina in materia di informativa è entrata in vigore il 20 marzo 2010 e trova applicazione per tutti gli incarichi che sono stati conferiti dopo questa data.

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2. Rilevanza deontologica della condotta del difensore. - Prima di esaminare le innovazioni, che abbiamo appena descritto, riteniamo utile ricordare che l’obbligo dell’avvocato di indicare al cliente la possibilità di addivenire ad una definizione bonaria della controversia era già contenuto nell’art.

40 del Codice deontologico forense ed era stato espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza disciplinare del Consiglio Nazionale Forense.

L’art. 40 del Codice deontologico, che porta le rubrica “Obbligo di informazione”, stabilisce che

“l’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta.

I. Se richiesto, è obbligo dell’avvocato informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

II. È obbligo dell’avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione.

III. Il difensore ha l’obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi”.

La norma appena trascritta stabilisce che l’avvocato deve informare il cliente delle “ipotesi di soluzione possibili” della controversia.

Appare evidente che la mediazione è una possibile ipotesi di soluzione della controversia: ne deriva che l’avvocato, per effetto dell’introduzione della nuova disciplina, sarebbe stato comunque tenuto ad informare il cliente della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, al fine di addivenire ad una conciliazione.

E va ricordato che il Consiglio Nazionale Forense, chiamato ad operare come Giudice avverso i provvedimenti disciplinari emessi dai Consigli dell’Ordine, aveva affermato da tempo che, all'atto dell'assunzione dell'incarico, l'avvocato deve informare chiaramente il proprio assistito (anche se

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non vi è stata una specifica richiesta in tal senso) delle possibili soluzioni (v. provvedimento del C.N.F. 24 maggio 1996, n. 77).

Va pure sottolineato che l’instaurazione del procedimento di mediazione costituisce oggi una delle iniziative possibili, di cui il cliente può avvalersi, per giungere ad una soluzione della controversia.

Anche sotto questo profilo l’avvocato ha un obbligo deontologico di informare il cliente della facoltà di giovarsi del procedimento di mediazione.

L’omissione dell’informativa potrà quindi avere rilevanza disciplinare, oltre ad essere causa di annullamento del contratto concluso tra l’avvocato ed il cliente.

3. Ambito di applicazione dell’obbligo di informare il cliente della possibilità di avvalersi della mediazione.- Dopo questa premessa è giunto il momento di esaminare con maggiore approfondimento l’obbligo di informazione previsto dall’art. 4 del decreto legislativo n. 28 del 2010.

Il primo punto da esaminare riguarda l’ambito di applicazione dell’obbligo di informativa5.

Per individuare questo ambito, occorre rifarsi innanzitutto al tenore letterale dell’art. 4, comma 3, il quale stabilisce espressamente che l'avvocato deve informare l'assistito della “possibilità” di avvalersi del procedimento di mediazione e deve pure informare l'assistito “dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

La previsione, quindi, è duplice:

a) l'avvocato deve informare l'assistito della “possibilità” di avvalersi del procedimento di mediazione e deve

b) informare l'assistito “dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

5 Tra gli autori che hanno affrontato il tema, cfr. ERNESTO FABIANI -MAURO LEO, Prime riflessioni sulla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” di cui al d.lgs. n. 28/2010, nel sito www.judicium.it, par. 4; LOTARIO DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit., 2010, 575 ss. ed ivi richiami.

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Dal tenore della disposizione deriva che l'obbligo di fornire la informativa riguarda sia le controversie per le quali il tentativo di conciliazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, sia tutte le altre controversie in materia civile e commerciale.

Nel contempo, appare evidente che l’avvocato è tenuto a fornire la informativa soltanto se, in astratto, si tratta di controversia relativa a diritti che possono formare oggetto di conciliazione.

Questa specificazione è fonte per l’interprete di ulteriori dubbi.

Segnatamente si rende necessario stabilire se l’informativa è prescritta soltanto nel caso di controversie che possono essere oggetto di conciliazione ai sensi del decreto legislativo 28 del 2010, ovvero se trova applicazione anche nel caso di controversie assoggettate a procedimenti di conciliazione previsti da altre disposizioni di legge.

I rapporti tra il procedimento di mediazione previsto dal decreto legislativo n. 28 del 2010 e i procedimenti di conciliazione regolati da altre disposizioni normative, sono regolati nell’art. 23 del d. lgs. n. 28 del 2010, il quale porta la rubrica “Abrogazioni”.

Nel primo comma vengono abrogate le disposizioni in materia di conciliazione delle controversie in materia societaria, mentre il secondo comma stabilisce che “Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto”.

In questo modo l’art. 23, secondo comma, d. lgs. n. 28 del 2010, fa salva la applicazione dei procedimenti obbligatori di conciliazione regolati dalle leggi vigenti6, che continuano a trovare

6 Ad esempio, i procedimenti previsti da leggi speciali, che regolano la conciliazione obbligatoria , riguardano le controversie in materia agraria (art. 46 legge 3 maggio 1982, n. 203); le controversie fra utenti o categorie di utenti e un soggetto autorizzato o destinatario di licenze in materia di comunicazione, oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze di comunicazione tra loro (art. 1, comma 11, legge 31 luglio 1997, n. 249); le controversie in materia di diritto di autore (art. 71-quinquies e 194 bis legge 22 aprile 1941, n. 633) e quelle in materia di contratti di subfornitura (art. 10 legge 18 giugno 1998, n. 192). Per quanto riguarda le controversie in materia di diritto del lavoro con datore privato (artt. 410 ss. c.p.c.; art. 5 legge 11 maggio 1990, n. 108) e con datore pubblico (artt. 65 ss. decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) l’art. 31 della recente legge 4 novembre 2010, n. 183 “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”, pubblicata nella Gazzetta

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applicazione in luogo del procedimento innanzi ai nuovi organismi di conciliazione, previsti dal decreto legislativo n. 28 del 2010.

Ora, anche se per questi procedimenti trovano applicazione procedimenti di conciliazione e di mediazione diversi rispetto a quello regolato dal decreto legislativo n. 28 del 2010, a nostro avviso trova egualmente applicazione l’obbligo di informativa, che regola i rapporti tra avvocato e cliente.

L’esigenza di informare il cliente della possibilità di avvalersi di strumenti di risoluzione consensuale della controversia è identica sia nel caso di mediazione prevista dal decreto legislativo n. 28 del 2010, sia nel caso in cui il tentativo di conciliazione, sia esso obbligatorio o facoltativo, è regolato da norme speciali.

I tentativi obbligatori di conciliazione previsti dalle norme speciali, peraltro, sono considerati dalla norma in commento come una alternativa rispetto al procedimento di conciliazione; si deve quindi ritenere che l’obbligo di informativa debba trovare applicazione anche nel caso in cui il procedimento di mediazione sia disciplinato da norme speciali.

Tanto più se si considera che nelle materie in cui trovano applicazione norme speciali, diverse da quelle contenute nel decreto legislativo n. 28 del 2010, le parti hanno comunque la facoltà di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dal decreto legislativo n. 28 del 2010, quale strumento facoltativo per la risoluzione consensuale delle controversie.

A questo riguardo appare tuttavia necessaria una precisazione.

La possibilità per le parti di avvalersi del procedimento di mediazione quale strumento facoltativo a disposizione delle parti per addivenire ad una conciliazione, dovrebbe essere escluso per le controversie di lavoro pubblico e privato.

Ufficiale del 9 novembre 2010, Supplemento ordinario n. 243/L, entrata in vigore il 24 novembre 2010, ha sostituito l’art. 410 c.p.c. ed ha abrogato il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro. Nel contempo la stessa legge n. 183 del 2010 ha stabilito che il tentativo obbligatorio di conciliazione può essere previsto dagli accordi collettivi di lavoro “solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all’articolo 76 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni”.

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In questa materia la stipula di conciliazioni innanzi agli organismi introdotti dalla nuova disciplina sulla mediazione, trova un ostacolo nella disciplina contenuta nell’art. 2113 c.c., che reca la rubrica

“Rinunzie e transazioni”.

Questa disposizione, come è noto, stabilisce che “le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide”.

La impugnazione può essere proposta anche in via stragiudiziale, con qualsiasi atto scritto del lavoratore idoneo a renderne nota la sua volontà7.

Secondo quanto stabilito dal quarto comma dell’art. 2113 c.c., la sanzione di invalidità non colpisce le conciliazioni che vengono “stipulate ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater c.p.c.”8

Si tratta delle conciliazioni stipulate innanzi al Giudice (art. 185 c.p.c.), innanzi alle commissioni di conciliazione che sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro o in sede sindacale (art.

410 e 411 c.p.c.), presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (art. 412 ter c.p.c.) ovvero delle procedure di conciliazione e di arbitrato proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale che può essere costituito ai sensi dell’ art. 412 quater c.p.c.

Tra queste disposizioni non è contenuto il richiamo alla conciliazione, che può essere stipulata all’esito del procedimento di mediazione regolato dal decreto legislativo n. 28 del 2010.

Ne deriva che per le controversie di lavoro pubblico e privato una eventuale conciliazione sarebbe invalida ai sensi dell’art. 2113 c.c.

7 La impugnazione deve essere “proposta a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima”.

8Il testo dell’art. 2113, quarto comma, c.c. è stato modificato dall’art. 31, comma 7, della legge n. 183 del 2010.

Segnatamente, le parole: «ai sensi degli articoli 185, 410 e 411» sono sostituite dalle parole: «ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater».

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In forza di queste disposizioni il procedimento di mediazione non può essere esperito nelle controversie di lavoro e il mediatore, laddove sia investito di una controversia in materia di lavoro, dovrebbe rappresentare alle parti che un’eventuale conciliazione sarebbe invalida.

Ciò nondimeno, si potrebbe affermare che, in seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo n.

28 del 2010 e della legge n. 183 del 2010, pure nel caso di controversie di lavoro l’avvocato abbia il dovere di informare il cliente che esistono procedimenti di mediazione.

Segnatamente, nelle controversie di lavoro l’avvocato dovrebbe comunicare al cliente che possono essere attivati, in via facoltativa, i procedimenti di conciliazione innanzi alle commissioni di conciliazione che sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro o in sede sindacale ovvero con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

4. segue: obbligo di informativa e procedimento arbitrale. - Altro tema, sul quale occorre soffermarsi, riguarda l’obbligo di fornire l’informativa nel caso in cui la controversia sia oggetto di convenzione arbitrale.

Al riguardo non vi è una previsione specifica; tuttavia molteplici elementi inducono a ritenere che l’avvocato anche in questo caso debba informare il cliente della facoltà di avvalersi del procedimento di mediazione.

Sul punto ricordiamo innanzitutto che lo schema di decreto legislativo prevedeva, nell’art. 5, comma 7, che il tentativo di conciliazione fosse condizione di procedibilità anche nelle controversie rimesse ad arbitri9.

Nel testo definitivo il comma 7 è stato abrogato: se ne deve trarre la conseguenza che il legislatore abbia voluto esonerare le parti dall’obbligo di esperire la mediazione nel caso in cui la controversia è rimessa ad arbitri. Per le stesse materie, dunque, le parti sono tenute ad esperire il procedimento di mediazione se la causa rientra nella cognizione del giudice ordinario; per converso sono esonerate da questo obbligo se fanno ricorso al procedimento arbitrale.

9 Il comma 7 dello schema di decreto legislativo stabiliva che “Le disposizioni che precedono si applicano anche ai procedimenti davanti agli arbitri, in quanto compatibili”. Si ricorda che l’art. 4 regola in casi in cui il tentativo di conciliazione è condizione di procedibilità.

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Questa lettura è confermata dal testo dell’art. 5, comma 1, ove è stabilito che il procedimento di mediazione è “condizione di procedibilità della domanda giudiziale” ed ove si legge pure che

“l'improcedibilità deve essere (…) rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza”.

Questa disposizione, dunque, richiama esclusivamente il processo davanti ai Giudice dello Stato ed esclude i procedimenti arbitrali.

Va subito segnalato che una diversa espressione letterale è contenuta nell’art. 5, comma 4, che tra breve esamineremo.

In materia di arbitrato, il decreto legislativo n. 28 del 2010 stabilisce, nell’art. 13, comma 3, che il particolare regime delle spese, dettato dal legislatore nel caso in cui le parti non accettano la proposta del mediatore, non trova applicazione se la controversia viene decisa da arbitri, “salvo diverso accordo” intervenuto tra le parti o contenuto nella convenzione di arbitrato10.

Quest’ultima disposizione conferma, per quanto non ce ne fosse bisogno, che il procedimento di mediazione può essere esperito anche nel caso di convenzione arbitrale: poiché si tratta di materia nella quale è consentita la mediazione quale strumento facoltativo di risoluzione della controversia, anche nell’ipotesi di convenzione arbitrale, l’avvocato deve informare il cliente della facoltà di esperire il procedimento di mediazione.

Questa lettura è coerente con il contenuto dell’art. 4, comma 3, il quale stabilisce che l’informativa deve essere conferita “all'atto del conferimento dell'incarico”: in questo momento ancora l'avvocato non ha potuto compiutamente esaminare le strategie difensive e deve valutare se la controversia è oggetto di convenzione arbitrale.

10 L’art. 13 stabilisce che se la sentenza corrisponde interamente al contenuto della proposta formulata dal mediatore, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.

Qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per

l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto

all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che il giudice deve indicare esplicitamente nella motivazione.

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Altra disposizione rilevante per lo studio dei rapporti tra mediazione ed arbitrato è contenuta nell’art. 5, comma 5, che regola i rapporti tra procedimento di mediazione di natura convenzionale, da un lato, e procedimento innanzi al giudice o davanti ad arbitri, dall’altro lato.

Sul punto è previsto che se il contratto, lo statuto ovvero l'atto costitutivo prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l'arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi11.

Da questa disposizione deriva che gli arbitri devono sospendere il procedimento innanzi a loro soltanto se il procedimento di mediazione è previsto da contratto o da norme statutarie ed ha quindi una origine pattizia.

La sospensione è espressamente subordinata ad una tempestiva eccezione della controparte e non può essere disposta di ufficio: si tratta quindi di una eccezione in senso stretto che va sollevata nella comparsa di risposta o comunque nel primo scritto difensivo, allo stesso modo della eccezione di incompetenza per territorio derogabile ed allo stesso modo della eccezione di compromesso12. In mancanza di eccezione, trattandosi di materia rimessa alla disponibilità delle parti, deve ritenersi che le parti abbiano convenzionalmente rinunciato ad esperire il procedimento di mediazione.

11 La stessa disposizione stabilisce che la domanda di mediazione deve essere presentata davanti all'organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto. Le parti possono in ogni caso concordare di rivolgersi ad altro organismo iscritto. Questa disposizione lascia aperta la questione relativa al regime applicabile nel caso in cui le parti hanno già individuato il soggetto deputato alla mediazione e non si tratti di un “organismo iscritto”. In questi casi, anche in considerazione del fatto che si tratta di clausola volontaria di mediazione, non si vede per quale ragione le parti debbano rivolgersi necessariamente ad un organismo iscritto.

12 Per tutte, Cass., 30 maggio 2007, n. 12684, ove si legge che “In tema di arbitrato, configurandosi la devoluzione della controversia agli arbitri come rinuncia all'esperimento dell'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con uno strumento di natura privatistica (…) costituisce un'eccezione propria e in senso stretto”.

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5. Segue: informativa e diritti disponibili. – Il decreto legislativo n. 28 del 2010 pone una stretta correlazione tra obbligo di informativa e possibilità delle parti di avvalersi del procedimento di mediazione.

Da questa prima elementare osservazione deriva che la informativa è prescritta nei soli casi in cui la parte possa esperire il procedimento di mediazione previsto dal decreto legislativo n. 28/2010 (o altro analogo procedimento previsto da leggi speciali) e possa pervenire ad una definizione della controversia, mediante uno strumento di ADR. L’obbligo di informativa va quindi limitato ai casi in cui la lite può essere definita mediante conciliazione.

L’art. 2 del decreto legislativo n. 28 del 2010 stabilisce quali controversie possono essere oggetto di mediazione finalizzata alla conciliazione e sulla scorta di una consolidata tradizione giuridica, che consente la definizione convenzionale delle sole controversie su diritti disponibili, prevede che

“Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”.

Poiché la conciliazione è consentita nel solo caso di controversie relative a diritti disponibili, deve escludersi l’obbligo di informativa laddove la controversia abbia ad oggetto diritti ed obblighi che per loro natura non rientrano nella disponibilità delle parti, id est: diritti ed obblighi sui quali le parti non hanno facoltà di addivenire ad un accordo vincolante in base alla pertinente legge applicabile13. Devono quindi considerarsi estranee alla conciliazione (e, di conseguenza, all’ambito di applicazione dell’obbligo di informativa) quegli incarichi professionali che hanno ad oggetto controversie in materia diritti indisponibili, come ad esempio accade di frequente in materia di diritto delle persone e della famiglia14.

13 Nel “Considerando” n.10 della Direttiva 2008/52/ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale” (che sarà esaminata nei paragrafi successivi) si legge che la stessa Direttiva “dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile”. Lo stesso principio è contenuta nell’art. 2, del decreto legislativo n. 28 del 2010.

14 Si veda Trib. Varese, sezione prima civile, ord. 6/9 aprile 2010, in Guida al Diritto, fasc. 17, 24 aprile 2010, pag. 18.

Sul punto è stato osservato che “Se la limitazione dei diritti disponibili pare comprensibile , occorre sottolineare che in tal modo vengono espunte dall’area della mediazione tutte le liti di famiglia, ed in particolare quelle connesse alla separazione e al divorzio e all’affidamento dei figli, che più di altre potrebbero beneficiare - beninteso, assoggettate ad un controllo successivo da parte del giudice ordinario - di una attività conciliativa ad opera di un mediatore

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L’obbligo di informativa, per converso, non è escluso laddove, pur trattandosi di diritti inerenti la persona o la famiglia, vengano in rilievo esclusivamente profili di natura economica, che rientrano nella piena disponibilità delle parti.

Va ancora sottolineato che la informativa è prescritta nel caso di diritti disponibili, anche se l’atto di disposizione deve essere preceduto da eventuali autorizzazioni da parte di organi giudiziari o amministrativi, in quanto la parte non ha la libera disponibilità del diritto.

Così, a titolo esemplificativo, la informativa deve essere fornita anche al tutore di un minore, al Curatore fallimentare o al legale rappresentante dell’ente pubblico, in quanto si deve attribuire una preminente importanza alla sola disponibilità del diritto, fermo restando che la stipula di un eventuale accordo conciliativo dovrà essere preceduta o accompagnata dalle necessarie autorizzazioni.

L’argomento relativo alla distinzione tra di diritti disponibili e diritti indisponibili necessita tuttavia di un ulteriore approfondimento, anche alla luce della disciplina comunitaria, che è stata recepita dal legislatore attraverso la introduzione del procedimento di mediazione.

6. Direttiva comunitaria sulla mediazione e norme sulla giurisdizione. – A questo punto passiamo ad esaminare un ulteriore argomento, necessario per determinare i limiti di applicazione delle nuove disposizioni in materia di mediazione. Più in particolare, occorre stabilire se la mediazione (e il correlativo obbligo di informativa) possa trovare applicazione anche nel caso di controversie che rientrano nella cognizione di giudici diversi rispetto al giudice ordinario: le c.d.

giurisdizioni speciali.

Va premesso che davanti ai giudici speciali (giudici amministrativi, Corte dei Conti, Giurisdizioni Tributarie e Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche) il tentativo di conciliazione non è mai

professionista, sollecitata dal giudice statale (modello della court annexed arbitration)”: LOTARIO DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit., 578 ss. Questa affermazione se appare condivisibile nella parte in cui sottolinea l’esigenza di valorizzare forme di mediazione familiare: tuttavia sembra trascurare che il procedimento di mediazione, nei propositi del legislatore, mira alla stipula della conciliazione, mentre la mediazione familiare ha finalità diverse ed è diretta a superare i conflitti endofamiliari.

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condizione di procedibilità, in quanto tutte le materie che sono elencate nell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.

Occorre tuttavia stabilire se alcune controversie, che rientrano nella giurisdizione di giudici speciali, hanno ad oggetto diritti disponibili e quindi se le parti possono avvalersi del procedimento facoltativo di mediazione.

L’informativa, infatti, è collegata alla possibilità, per la parte, di avvalersi del procedimento di mediazione e tale possibilità può verificarsi anche per quelle materie, che sono rimesse alla cognizione di giudici speciali.

Se davanti ai giudici speciali vengono trattate materie, che possono formare oggetto di mediazione, deve trarsi la conseguenza che l’avvocato è tenuto a fornire la informativa ai sensi dell’art. 4 del d.gls. n. 28 del 2010.

Dopo questa premessa, per stabilire quali controversie, rimesse alla giurisdizione di giudici speciali, possono formare oggetto di mediazione, un utile punto di partenza è costituito dalla normativa comunitaria, richiamata dall’art. 60 della legge n. 69 del 2009, che contiene la “Delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali” e stabilisce i criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega.

Il secondo comma dell’art. 60 della legge n. 69 del 2009, stabilisce che il Governo deve dare attuazione alla delega “nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria”.

In materia la Comunità Europea (ora denominata Unione Europea, in seguito alla entrata in vigore del trattato di Lisbona) ha emanato la “Direttiva 2008/52/ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale”, che trae fondamento nelle competenze della Comunità nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile necessarie al corretto funzionamento del mercato interno15.

15 La Direttiva è pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 24 maggio 2008 IT, L 136/3. Prima della entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la cooperazione giudiziaria in materia civile era prevista dall’art. 65 del Trattato della Comunità Europea ed era regolata dagli articolo 61 e 67 dello stesso Trattato. In seguito alla entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in data 1 dicembre 2009, la cooperazione giudiziaria in materia civile è ricompresa tra le materie elencate dall’art. 81 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). La direttiva non trova applicazione per la Danimarca.

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Poiché il rispetto della normativa comunitaria era indicato tra i criteri direttivi fissati dalla legge delega, l’interprete deve esaminare il contenuto della Direttiva, come canone interpretativo delle nuove disposizioni.

Si aggiunga che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza interna e comunitaria, la normativa europea prevale sulle legislazione italiana, nel caso in cui vi siano eventuali difformità:

lo studioso deve quindi necessariamente confrontarsi con la normativa comunitaria anche per rilevare le eventuali difformità tra le due discipline.

Orbene, in via preliminare non si può fare a meno di sottolineare che l’espressione letterale utilizzata dal legislatore, che ha introdotto la mediazione “in materia civile e commerciale”, è una chiara importazione dal diritto comunitario.

Ed infatti, sin dal 1942 nell’ordinamento italiano non esistono controversie “commerciali” distinte da quelle civili, posto che non esistono più in Italia né il codice di commercio, né i tribunali di commercio16.

Ora, per individuare l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni in materia di mediazione, va ricordato che la espressione “controversie civili e commerciali” è contenuta anche in altre fonti normative comunitarie.

L’esempio più noto è il c.d. Regolamento Bruxelles I (Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000) concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, modificato da ultimo dal Regolamento (CE) n.

280/2009 della Commissione del 6 aprile 2009.

Questo regolamento trova applicazione in materie che, nella tradizione italiana, non rientrano tra le controversie civili o commerciali. Ad esempio, il Regolamento n. 44/2001 regola la competenza giurisdizionale nelle cause in materia di lavoro o in materia di diritto della navigazione, trust, società, obbligazioni alimentari, “indipendentemente dalla natura dell’organo giurisdizionale” (art.

1 del Regolamento).

Nel Regolamento n. 44/2001 sono considerate controversie in materia civile e commerciale tutte le controversie, ad eccezione di quelle che rientrano tra le materie escluse dal legislatore comunitario:

16 MONTELEONE, G., La mediazione «forzata», in Il giusto processo civile, 2010, 21 ss.

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la materia fiscale, doganale ed amministrativa, nonché le seguenti materie: “a) lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le successioni; b) i fallimenti, i concordati e le procedure affini; c) la sicurezza sociale; d) l'arbitrato” (cfr. art. 1 del Regolamento).

Dall’esame di queste disposizioni appare evidente che per il legislatore comunitario l’espressione

“controversie in materia civile e commerciale” ha un significato molto ampio.

Di ciò troviamo conferma nella Direttiva n. 52 del 2008 in materia di mediazione, che è stata recepita attraverso il decreto legislativo n 28 del 2010.

Nel decimo “Considerando” della Direttiva si legge che la stessa Direttiva “dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile”.

Lo stesso principio è ribadito e specificato nell’art.1 comma 2, ove si legge che “La presente direttiva si applica, nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)”.

Queste disposizioni della Direttiva aiutano ad individuare in quali ambiti può trovare applicazione il procedimento di mediazione e, pertanto, è prescritto in Italia l’obbligo di informativa da parte dell’avvocato.

La prima esclusione riguarda la materia fiscale: ne deriva che, seppure il legislatore nel corso degli anni abbia introdotto forme di definizione alternative al contenzioso tributario (i c.d. strumenti deflativi del contenzioso che permettono di concordare soluzioni conciliatorie e di prevenire le liti in materia tributaria, come la conciliazione giudiziale e l’accertamento con adesione), questa materia è estranea all’ambito di applicazione delle nuove disposizioni in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali.

Nelle controversie innanzi alle commissioni tributarie, dunque, non trovano applicazione l’obbligo di informativa e neppure le altre disposizioni in materia di mediazione17.

17 In questi casi vi è comunque il dovere deontologico dell’avvocato di informare il cliente della esistenza di queste forme alternative di soluzione della controversia.

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Analoghi principi valgono per le controversie in materia doganale, che sono ricomprese in senso ampio nella materia tributaria ed oggi, in forza del testo vigente dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 54618, rientrano pure nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie .

Un ulteriore aspetto che richiede un approfondimento è legato al rapporto tra obbligo di informativa e controversie innanzi ai giudici amministrativi.

Ora, secondo la nostra Costituzione, il giudice amministrativo conosce innanzitutto degli interessi legittimi: segnatamente, ai sensi dell’art. 103 Cost. il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa “hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.

Le controversie in materia di diritti soggettivi sono invece rimesse in via generale al giudice ordinario.

La figura dell’interesse legittimo è esclusiva dell’ordinamento italiano: la differenza tra diritti soggettivi ed interessi legittimi non trova riscontro in altri ordinamenti e spesso è incerta19.

Secondo la tesi più accreditata, la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi deve essere ancorata alla natura giuridica ed alla funzione del potere esercitato dall’organo amministrativo, i cui atti vengono sottoposti a controllo giudiziale.

Se l’atto amministrativo è emanato nell’esercizio di un potere pubblico di supremazia rimesso ad una valutazione discrezionale dell’organo pubblico, il destinatario dell’atto viene a trovarsi in una posizione subordinata: in questi casi, la giurisdizione appartiene al Giudice Amministrativo, quale organo chiamato a giudicare sull’atto amministrativo.

La Corte costituzionale ha chiarito che il giudice amministrativo può conoscere, in casi eccezionali, anche di controversie in materia di diritti soggettivi ma il legislatore non può rimettere al giudice amministrativo interi blocchi di materie.

Il legislatore può rimettere al giudice amministrativo soltanto quelle controversie che siano connotate dall’intreccio di situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi e come diritti

18 Come è noto, l’art. 3 bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha modificato l’art. 2 , comma 1, d. lgs. n. 546 del 1992, sicché sono ricompresse nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie le controversie “aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”.

19 GIROLAMO MONTELEONE, Diritto Processuale Civile, I. Padova, 2009, 40 ss.

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soggettivi, ivi comprese le controversie dirette ad ottenere dal giudice amministrativo il risarcimento del danno ingiusto derivante dal provvedimento amministrativo, perché in questo caso la pretesa risarcitoria non costituisce una nuova «materia» attribuita alla giurisdizione amministrativa, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio ed è diretto a rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, sicché la decisione può essere rimessa al giudice amministrativo 20.

Ora, non sembra possa dubitarsi del fatto che tutte le controversie in materia di interessi legittimi siano escluse dall’obbligo di informativa: sia perché non si tratta di “diritti disponibili”, sia perché la Direttiva europea non trova applicazione nel caso di controversie in materia di “responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)” (art.1 comma 2 della Direttiva).

Analoga conclusione, invece, appare dubbia per le controversie risarcitorie e per le altre controversie in materia di diritti soggettivi che possono svolgersi innanzi al Giudice Amministrativo.

Segnatamente le disposizioni in materia di giurisdizione esclusiva prevedono numerose materie che hanno ad oggetto diritti soggettivi, ma sono rimesse al giudice amministrativo21.

20 Sull’ambito della giurisdizione amministrativa, v. per tutte, Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191; Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it. 2004, I, 2594

21 L’elenco delle materie oggetto di giurisdizione esclusiva è contenuto nell’art.133 del codice del processo amministrativo, che è stato approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, “Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo”. Questa disposizione stabilisce che “1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge:

a) le controversie in materia di:

1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo;

2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni;

3) dichiarazione di inizio attività;

4) determinazione e corresponsione dell'indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo;

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5) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato;

6) diritto di accesso ai documenti amministrativi;

b) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche;

c) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonchè afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità;

d) le controversie concernenti l'esercizio del diritto a chiedere e ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali;

e) le controversie:

1) relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative;

2) relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto;

f) le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;

g) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;

h) le controversie aventi ad oggetto i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità delle invenzioni industriali;

i) le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico;

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l) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d'Italia, dalla Commissione nazionale per le società e la borsa, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall'Autorità' per le garanzie nelle comunicazioni, dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica amministrazione, dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell'articolo 326 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;

m) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di comunicazioni elettroniche, compresi quelli relativi all'imposizione di servitù;

n) le controversie relative alle sanzioni amministrative ed ai provvedimenti adottati dall'organismo di regolazione competente in materia di infrastrutture ferroviarie ai sensi dell'articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188;

o) le controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la produzione di energia, ivi comprese quelle inerenti l'energia da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche e quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti;

p) le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente tutelati;

q) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti anche contingibili ed urgenti, emanati dal Sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica, di incolumità pubblica e di sicurezza urbana, di edilità e di polizia locale, d'igiene pubblica e dell'abitato;

r) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alla disciplina o al divieto dell'esercizio d'industrie insalubri o pericolose;

s) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all'ambiente, nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, nonché quelle inerenti le ordinanze ministeriali di ripristino ambientale e di risarcimento del danno ambientale;

t) le controversie relative all'applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero- caseari;

u) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di passaporti;

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Alcune di queste controversie vengono promosse contro soggetti privati, che non appartengono alla pubblica amministrazione.

In queste ipotesi potrebbe ritenersi applicabile l’obbligo di informativa prescritto dall’art. 4 del decreto legislativo n. 28 del 2010.

Il fatto che si tratti di materie che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non muta la natura dell’oggetto della controversia: pur con tutte le cautele che impone una prima lettura delle nuova normativa, si può quindi affermare che, se si tratta di diritti soggettivi, il difensore deve fornire l’informativa e deve allegare l’informativa agli atti introduttivi.

7. Mediazione nelle azioni previste dal codice del consumo. - Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 l’esperimento del procedimento di mediazione non è mai condizione di procedibilità della domanda giudiziale nel caso in cui l’attore promuova una azione inibitoria prevista dall’art. 37 del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

L’azione prevista dall’art. 37 del codice del consumo può essere promossa dalle associazioni rappresentative dei consumatori, dalle associazioni rappresentative dei professionisti e dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, contro il professionista o l'associazione di professionisti che utilizzano, o che raccomandano l'utilizzo di condizioni generali di contratto:

questi attori qualificati possono chiedere al giudice competente che inibisca l'uso delle condizioni di cui sia accertata l'abusività nei rapporti con i consumatori. L'inibitoria può anche essere concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza, secondo le disposizioni che regolano i procedimenti cautelari (artt. 669 bis e seguenti c.p.c.).

v) le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l'interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico;

z) le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti”.

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L’articolo 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 stabilisce ancora che la mediazione non è condizione di procedibilità neppure laddove l’attore proponga un’azione ai sensi degli artt. 139 e 140 del codice del consumo.

Gli articoli 139 e 140 attribuiscono alle associazioni, che sono iscritte nell'elenco di cui all'art. 137 dello stesso codice del consumo22, un’azione a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.

Tali associazioni23 sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori nelle materie disciplinate dal codice del consumo, nonché nell’ipotesi di violazione delle disposizioni:

a) della legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, ivi comprese quelle di cui al testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e legge 30 aprile 1998, n. 122, concernenti l'esercizio delle attività televisive;

b) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, come modificato dal decreto legislativo 18 febbraio 1997, n. 44, e legge 14 ottobre 1999, n. 362, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano.

Le dette associazioni possono chiedere al tribunale:

a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;

b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;

c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.

Per queste controversie l’art. 140 del codice del consumo stabilisce espressamente che le associazioni di consumatori “possono attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di

22 Si tratta della associazioni dei consumatori ed utenti rappresentative a livello nazionale, che sono iscritte nell'elenco presso il Ministero delle attività produttive.

23 Sono legittimati ad agire pure gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro Stato dell'Unione europea ed inseriti nell'elenco degli enti legittimati a propone azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, nel caso di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato.

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conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, a norma dell'articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, nonchè agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a norma dell'articolo 141. La procedura è, in ogni caso, definita entro sessanta giorni”24.

24 L’art. 140 stabilisce inoltre che “3. Il processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell'organismo di composizione extragiudiziale adito, è depositato per l'omologazione nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale si e' svolto il procedimento di conciliazione.

4. Il tribunale, in composizione monocratica, accertata la regolarità formale del processo verbale, lo dichiara esecutivo con decreto. Il verbale di conciliazione omologato costituisce titolo esecutivo.

5. In ogni caso l'azione di cui al comma 1 può essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse ritenuto responsabile, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti.

6. Il soggetto al quale viene chiesta la cessazione del comportamento lesivo ai sensi del comma 5, o che sia stato chiamato in giudizio ai sensi del comma 1, può attivare la procedura di conciliazione di cui al comma 2 senza alcun pregiudizio per l'azione giudiziale da avviarsi o già avviata. La favorevole conclusione, anche nella fase esecutiva, del procedimento di conciliazione viene valutata ai fini della cessazione della materia del contendere.

7. Con il provvedimento che definisce il giudizio di cui al comma 1 il giudice fissa un termine per l'adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte che ha agito in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a 1.032 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto. In caso di inadempimento degli obblighi risultanti dal verbale di conciliazione di cui al comma 3 le parti possono adire il tribunale con procedimento in camera di consiglio affinché, accertato l'inadempimento, disponga il pagamento delle dette somme di denaro.

Tali somme di denaro sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze al fondo da istituire nell'ambito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive, per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori.

8. Nei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l'azione inibitoria si svolge a norma degli articoli da 669-bis a 669- quaterdecies del codice di procedura civile.

9. Fatte salve le norme sulla litispendenza, sulla continenza, sulla connessione e sulla riunione dei procedimenti, le disposizioni di cui al presente articolo non precludono il diritto ad azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime violazioni.

10. Per le associazioni di cui all'articolo 139 l'azione inibitoria prevista dall'articolo 37 in materia di clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori, si esercita ai sensi del presente articolo.

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Ora, appare evidente che in questi casi il tentativo di conciliazione non è condizione di procedibilità.

Sta di fatto, tuttavia, che si tratta di controversie in materia di diritti disponibili, che possono formare oggetto di mediazione volontaria. L’avvocato è quindi tenuto a fornire alla associazione di consumatori la informativa prescritta dal decreto legislativo n. 28 del 2010.

Infine, sempre con riferimento alle azioni speciali previste dal codice del consumo, va ricordato che l’art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010, esclude la necessità del tentativo di conciliazione nel caso di azioni di classe ai sensi dell’art. 140-bis del codice del consumo.

Si tratta della azione collettiva risarcitoria, detta anche class action.

In forza dell’art. 140 bis del codice del consumo, nel caso di diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

Anche nel caso di class action l’attore può definire la controversia mediante conciliazione.

11. Resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 31 marzo 1988, n. 80.

12. Restano salve le procedure conciliative di competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all'articolo 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249”. Quest’ultimo comma stabilisce che in materia di azioni proposte dalla associazioni dei consumatori in materia di telecomunicazioni va comunque esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi la Autorità Garante delle Telecomunicazioni. Questa norma appare in contrasto con il contenuto dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude la obbligatorietà del tentativo. Tuttavia si tratta di una norma speciale, che non viene abrogata dalla nuova normativa. Inoltre l’art. 23 del decreto legislativo n. 28 del 2010 stabilisce che “Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto”. Dalla lettura di queste norme deriva che il tentativo di conciliazione previsto dal comma 12 non è stato abrogato ed è ancora in vigore.

Va ricordato che ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 28 del 2010 gli organismi presso le camere di commercio istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16. Quegli organismi vengono così parificati agli organismi di conciliazione previsti dal d.lgs. n. 28 del 2010.

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