• Non ci sono risultati.

Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione - Judicium"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it

1 BRUNO CAPPONI

Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione

SOMMARIO: 1.- La forma variabile dell’accordo di mediazione/conciliazione. 2.- L’omologazione giudiziale. 3.- Il valore di titolo esecutivo. 4.- Considerazione finale.

1.- Il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, di attuazione della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in tema di Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, ha, tra l’altro, introdotto una nuova figura di titolo esecutivo che garantisce l’accesso a qualsiasi forma di esecuzione forzata. L’art. 12 del decreto, rubricato Efficacia esecutiva ed esecuzione, prevede infatti che il “verbale di accordo” potrà acquistare efficacia esecutiva con l’omologazione da parte del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo presso cui si è svolto il procedimento di mediazione. A seguito dell’omologazione, il verbale “costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”1.

L’art. 11 del decreto, rubricato Conciliazione, indica cosa esattamente sia il “verbale di accordo”. Emergono però modelli piuttosto differenti tra di loro:

a) il comma 1 prevede che “se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato l’accordo medesimo”. In questa prima accezione2 il

1 La formula, che compare anche nell’art. 696-bis, comma 3, c.p.c., sembra ripresa dall’art. 40, comma 8, del d.

lgs. 17 gennaio 2003, n. 40, sul c.d. processo societario, ma trova il suo lontano progenitore nello schema di d.d.l. sulla conciliazione stragiudiziale redatto dalla commissione ministeriale nominata dal ministro Conso e presieduta dal prof. Elio Fazzalari, in Foro it., 1994, V, 285 ss., peraltro mai presentato dal Governo alle Camere. Su di esso v., se vuoi, il nostro La conciliazione in sede non contenziosa e stragiudiziale. I lavori della commissione Fazzalari, in Documenti giustizia, 1994, 945 ss.

2 Occorre riconoscere che la norma non è di chiarezza esemplare. Dalla relazione al decreto delegato emerge che il comma 1 riguarda la mediazione “facilitativa” in contrapposto a quella “valutativa”, che comporta la formulazione di una proposta da parte del mediatore. Tuttavia, il comma 3 dell’art. 11 esordisce con l’inciso

“se è raggiunto l’accordo amichevole di cui al comma 1”, il che farebbe pensare che comma 1 e comma 3 si riferiscono allo stesso fenomeno: ciò è vero dal punto di vista sostanziale, perché un accordo viene comunque raggiunto, ma dal punto di vista formale va osservato che il caso del verbale sottoscritto contestualmente dalle parti e dal mediatore riguarda la sola mediazione “valutativa”, mentre in quella “facilitativa” il mediatore

(2)

www.judicium.it

2

“verbale di accordo” nasce dalla combinazione di due atti distinti: il primo (l’accordo amichevole) sottoscritto dalle parti, il secondo (il processo verbale, del quale quello costituisce l’allegato) sottoscritto dal solo mediatore, il quale evidentemente si limita a prendere atto dell’esistenza di un accordo concluso al di fuori del procedimento conciliativo stragiudiziale, sebbene dopo il suo inizio. La formalità appena descritta intenderà evidenziare (mediazione “facilitativa”) che l’accordo è frutto di una trattativa che le parti hanno autonomamente finalizzato dopo un primo contatto col mediatore, il quale sin dal “primo incontro” (art. 8, comma 1) “si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole” (art. 8, comma 3); accordo che alfine viene a lui sottoposto (per la mera presa d’atto) perché, di per sé, non potrebbe essere depositato in tribunale per ottenerne l’omologazione col conseguente acquisto della qualità di titolo esecutivo (che, tuttavia, potrebbe pur sempre acquisire con l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale, sia pure solo limitatamente alle obbligazioni pecuniarie).

b) Il comma 3 dello stesso art. 11 prevede invece il caso dell’accordo (mediazione

“valutativa”) raggiunto grazie ad una partecipazione più attiva e penetrante del mediatore.

Questi infatti, se non si raggiunge l’accordo amichevole di cui al comma 1 (che, se bene s’intende la ratio della distinzione, dovrebbe far seguito al “primo incontro”), può formulare una proposta (è tenuto a farlo, qualora sia congiuntamente richiesto dalle parti) la quale, se accettata, viene trasfusa in un processo verbale che sarà sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore. In tal caso, l’atto è unico e si prevede anche che il mediatore abbia il compito di certificare l’autografia della sottoscrizione delle parti ovvero, addirittura, di attestare, ferma la validità e vincolatività dell’accordo per queste ultime, la loro impossibilità di sottoscrivere3: compiti, entrambi, che il mediatore non è chiamato a

si limita a prendere atto di un accordo raggiunto dalle parti in una sede esterna al procedimento. Fenomeno

fotografato dal fatto che il verbale è sottoscritto dal solo mediatore, e ad esso è allegato l’accordo raggiunto autonomamente dalle parti (comma 1).

3 L’autentica sembra richiamare quella che l’avvocato opera nel processo riguardo alla procura ad litem, ma a ben vedere le fattispecie non sono affatto assimilabili.

Secondo la giurisprudenza (cfr., ad es., Cass., sez. lav., 16 aprile 2003, n. 6047), “la funzione del difensore di certificare l’autografia della sottoscrizione della parte, ai sensi degli artt. 83 e 125 c.p.c., pur trovando la sua base in un negozio giuridico di diritto privato (mandato), ha natura essenzialmente pubblicistica, atteso che la dichiarazione della parte, con la quale questa assume su di sé gli effetti degli atti processuali che il difensore è legittimato a compiere, è destinata a dispiegare i suoi effetti nell’ambito del processo; ne consegue che il difensore, con la sottoscrizione dell’atto processuale e con l’autentica della procura riferita allo stesso, compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui sottoscrizione può essere

disconosciuta soltanto con la querela di falso”.

(3)

www.judicium.it

3

svolgere nel caso dell’accordo amichevole di cui al comma 1 (proprio perché l’accordo amichevole non viene sottoscritto dalle parti dinanzi a lui, essendo raggiunto senza la sua partecipazione). Tuttavia, nonostante la certificazione o l’attestazione4, se l’accordo perfezionato con la partecipazione attiva del mediatore implica la conclusione di uno dei contratti ovvero il compimento di uno degli atti previsti dall’art. 2643 c.c. (Atti soggetti a trascrizione), per poter procedere alla trascrizione del processo verbale le sottoscrizioni (riteniamo anche quella del mediatore, ed anzi soltanto quest’ultima qualora le parti non abbiano potuto per qualsiasi ragione sottoscrivere il verbale) dovranno essere autenticate da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato dalla legge. L’accordo, inoltre, “può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti, ovvero per il ritardo nel loro adempimento”.

Secondo le SS.UU., sent. 28 novembre 2005, n. 25032, “la certificazione della sottoscrizione del conferente la

procura non è autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell'art. 2703 cod.

civ. dal notaio o da un altro pubblico ufficiale all'uopo autorizzato, ed usualmente viene definita come autenticazione minore, avendo soltanto la funzione di attestare l'appartenenza della sottoscrizione ad una determinata persona, previamente identificata o personalmente conosciuta, a prescindere da ogni accertamento circa la legittimazione, i poteri, la capacità e la volontà manifestata dal sottoscrittore. La suddetta funzione non richiede la vicinanza cartolare della firma della parte e della firma del difensore, né l'interposizione fra l'una e l'altra di diciture solenni o formule sacramentali recanti un'esplicita attestazione di appartenenza della sottoscrizione del mandato al soggetto che dichiara di conferirlo, ed è pienamente realizzata anche quando il difensore, a chiusura del documento dichiaratamente redatto in nome e per conto di quel soggetto sulla scorta della procura in esso incorporata, apponga la propria firma”.

Il compito del mediatore, in base al comma 3 dell’art. 11, è certamente più ampio di quello assegnato al difensore dagli artt. 83 e 125 c.p.c., non limitandosi esso all’autentica della sottoscrizione delle parti, ma potendo addirittura documentare le ragioni dell’impossibilità delle parti di sottoscrivere l’accordo (che vale comunque a vincolare le parti, ancorché non sottoscriventi). Inoltre, il potere del difensore si spiega nel contesto dello svolgimento dell’incarico di rappresentanza e difesa in giudizio, laddove il mediatore non è legato alle parti da alcun rapporto di mandato. Mi sembra quindi che, almeno per questo riflesso, la figura del mediatore assuma un aspetto decisamente pubblicistico che svolge un ruolo fondamentale anche nella formazione del titolo esecutivo (diversamente è orientato Valerini, Il procedimento di mediazione, in Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, a cura di B. Sassani e F. Santagada, Roma, 2010, 49, il quale però non valorizza la funzione di sottoscrizione sostitutiva).

4 Non sono chiare, a dire il vero, le finalità dell’autentica compiuta dal mediatore, posto che ai fini della trascrizione le sottoscrizioni dovranno essere autenticate da un pubblico ufficiale “a ciò autorizzato” da una legge evidentemente diversa dal d. lgs. 28/2010 (se ne deduce che il mediatore non è pubblico ufficiale neppure quanto alle funzioni certificative) mentre ai fini dell’esecuzione servirà l’omologa del tribunale.

(4)

www.judicium.it

4

Tale molteplicità di forme pone, ovviamente, difficoltà e dubbi all’interprete. Sembra infatti che l’accordo intervenuto grazie ad una mediazione “attiva” o “valutativa” (comma 3) sia assoggettato a maggiori requisiti di forma, e del resto esso potrà attingere risultati negoziali più rilevanti. D’altra parte, non sono del tutto chiare le ragioni per cui l’accordo omologato dal tribunale potrà senz’altro dare ingresso all’esecuzione forzata, nelle sue varie forme, laddove l’identico atto, ove le sottoscrizioni non siano autenticate da un pubblico ufficiale, non potrà essere trascritto (pur essendo idoneo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale). Né sono chiare le ragioni per cui i poteri del mediatore, che può sottoscrivere il verbale di accordo in luogo delle parti, risultino più ampi di quelli del giudice nella conciliazione giudiziale (cfr. l’art. 88 disp. att. c.p.c., che richiede sempre la sottoscrizione delle parti): in conseguenza, deve registrarsi l’introduzione di un titolo di formazione convenzionale la cui paternità formale – rara avis – appartiene ad un terzo (neppure qualificato pubblico ufficiale).

Ma la cosa che lascia più perplessi è che all’indicata molteplicità di forme non corrisponde alcuna differenziazione di regime: il verbale di accordo, a tutto concedere, è e resterà una mera scrittura privata (ma abbiamo seri dubbi che lo sia l’accordo non sottoscritto dalle parti) nonostante qualsiasi intervento del mediatore: anche nella mediazione “valutativa” ed anche in caso di certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni non saremo in presenza di una scrittura privata autenticata ed il verbale, privo delle formalità ulteriori, non potrà essere utilizzato né per la trascrizione, né come titolo esecutivo.

Forse sul punto il legislatore delegato avrebbe dovuto compiere un supplemento di riflessione.

2.- Il presidente del tribunale (si tratta, ovviamente, di funzioni delegabili), all’atto dell’omologazione di cui all’art. 12, comma 1, potrà quindi trovarsi a valutare atti formalmente diversi:

- un processo verbale sottoscritto dal solo mediatore con allegato un accordo proveniente direttamente dalle parti le cui sottoscrizioni non saranno autenticate dallo stesso mediatore (art. 12, comma 1);

- un processo verbale contenente un accordo sottoscritto dalle parti e dal mediatore, che certifica nello stesso contesto (ma non si comprende a qual fine) l’autenticità delle sottoscrizioni, ovvero

- un processo verbale sottoscritto dal solo mediatore che dà contestualmente atto dell’impossibilità per le parti di sottoscriverlo, e che pertanto sottoscrive in loro vece senza peraltro svolgere funzioni pubblicistiche (art. 12, comma 3).

(5)

www.judicium.it

5

Nel primo caso, siamo dinanzi ad una mera scrittura privata; nel secondo, ad una sorta di surrogato della scrittura privata autenticata (ma inidonea alla trascrizione come all’esecuzione, e che quindi conserva il regime della scrittura privata mera); nel terzo, siamo probabilmente in presenza di una figura nuova: di genere, almeno all’apparenza, molto lontano dall’atto meramente negoziale, perché il mediatore sottoscrive non quale mandatario delle parti, ma nello svolgimento di una funzione super partes che il legislatore delegato non ha peraltro voluto attribuirgli (e che gli interpreti, coerentemente, non gli riconoscono).

In relazione ai detti atti, di ben differente aspetto, il controllo giudiziale è comunque duplice: ne va accertata la “regolarità formale”, espressione da porre in relazione al fatto che le forme degli accordi sono piuttosto diverse tra loro e forse diversi potranno esserne anche i contenuti sostanziali (ci sembra infatti, ragionando sulla consecutio tra le disposizioni, che la clausola penale riecheggiante l’astreinte5 sia caratteristica del solo accordo raggiunto nella mediazione c.d. “attiva”); si deve poi verificare che l’accordo, comunque raggiunto, non sia contrario “all’ordine pubblico o a norme imperative”. Il controllo – dato dalla doppia griglia: estrinseco più intrinseco – è quindi assai più penetrante rispetto a quello previsto dall’art. 825 c.p.c. per il caso dell’omologazione del lodo rituale, stante che qui il solo riscontro richiesto è quello della “regolarità formale” (di un atto, aggiungiamo, a forma non variabile).

A differenza di quanto previsto dall’art. 825 c.p.c., non si prevede un controllo sul decreto di omologa, che potrà avere un contenuto tanto positivo quanto negativo6. Esclusa, giusta i principi generali, un’applicazione analogica della norma speciale dettata per l’arbitrato rituale7, potrebbe soccorrere la disciplina generale dettata per i procedimenti camerali dall’art. 739 c.p.c.; o forse, in alternativa, si potrebbe ritenere, in caso di provvedimento negativo, la domanda di omologa liberamente riproponibile. Chi subisce gli effetti dell’omologa, e non è stato parte del procedimento che non si svolge in contraddittorio (ma, forse, il giudice potrebbe richiedere la notifica dell’istanza alla controparte: la norma

5 Nella relazione al decreto è scritto testualmente che si è inteso “avallare” forme di astreintes convenzionali che le parti inseriranno negli accordi per renderli più efficaci.

6 Tiscini, Vantaggi e svantaggi della nuova mediazione finalizzata alla conciliazione: accordo e sentenza a confronto, in Giust. Civ., 2010, 489 ss., anche per i puntuali riferimenti.

7 Ci permettiamo di rinviare, sul punto, a La legge processuale civile. Fonti interne e comunitarie (applicazione e vicende), III ed., Torino, 2009, spec. 89 ss., sottolineando che l’applicazione estensiva o analogica ci sembra da doversi escludere anche per la sostanziale diversità di disciplina. Per contrastanti riferimenti di dottrina v.

ancora Tiscini, op.loc.cit.

(6)

www.judicium.it

6

certamente non lo vieta), dovrebbe poter contestare la regolarità formale del titolo direttamente in sede esecutiva (ma potrebbe a lungo discutersi del relativo inquadramento come opposizione agli atti o opposizione all’esecuzione8).

Qualora il verbale risulti sottoscritto dal solo mediatore il tribunale non potrà concedere l’omologa se non siano espressamente indicate le ragioni che hanno impedito alle parti, o a taluna di esse, la sottoscrizione dell’accordo: si tratta di una cautela minima, che deve compensare l’eccezionalità della previsione di un titolo convenzionale non sottoscritto dalle parti interessate.

3. Dopo l’omologazione, gli atti rappresentativi dell’accordo raggiunto acquisiscono il valore di “titolo esecutivo”, con l’apposizione della relativa formula da parte del cancelliere9. Ci si potrebbe chiedere, a fronte del principio di tipicità, a quale figura particolare potrebbe farsi riferimento nel contesto dell’art. 474 c.p.c. che descrive un numerus clausus.

Intuitiva la collocazione nell’orbita del comma 2, n. 2), il quale però assegna alla scrittura privata autenticata la qualità di titolo esecutivo soltanto in relazione alle obbligazioni di somme di denaro10. Il legislatore delegato della mediazione/conciliazione ha ottimisticamente voluto essere più incisivo, assegnando al verbale omologato la stessa efficacia di un titolo giudiziale, ovvero del verbale della conciliazione avvenuta davanti al giudice; ne risulta che il riferimento è al n. 1) dello stesso comma 2, così come modificato nel 200511. Abbiamo quindi un titolo di formazione convenzionale stragiudiziale che, quanto all’efficacia, sposa appieno il regime di quello giudiziale.

In verità, per un aspetto particolare l’efficacia dell’accordo, e così del titolo esecutivo, rischia di essere ancora maggiore rispetto al provvedimento giudiziario (o al verbale di conciliazione giudiziale), perché quella sorta di astreinte convenzionale prevista dal comma 3 dell’art. 11, e sulla quale dovremo ragionare in seguito, risulterà associabile a qualsiasi tipo di accordo, non essendo prevista soltanto a presidio delle obbligazioni di fare

8 V., anche per riferimenti, Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, II ed., Padova, 2009, 1051 ss., 1176 ss.

9 Stante la lettera dell’art. 475 c.p.c., ci sembra che la spedizione in forma esecutiva possa esser chiesta solo dalla parte dell’accordo conciliativo, non anche dall’eventuale successore.

10 Tiscini, op.loc.cit.

11 Santagada, La conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, 356 ss.

(7)

www.judicium.it

7

infungibile12. Quindi, le parti potrebbero convenire una pena privata, o clausola penale13, anche in caso di mancato pagamento o di ritardo nel pagamento di un’obbligazione per eccellenza fungibile, quale quella pecuniaria14.

Il tema impone però un piccolo approfondimento.

L’astreinte così come concepita dal nostro legislatore – tra tanti possibili modelli15 – è un istituto della cognizione, non dell’esecuzione (neppure nel momento della sua liquidazione, come avviene ad es. nel sistema francese nel passaggio dall’astreinte provvisoria a quella definitiva). Essa è indissolubilmente associata alla tecnica della condanna, quale misura accessoria con cui si tende a coartare l’adempimento “spontaneo” di un’obbligazione portata da un titolo esecutivo giudiziale e forzosamente non eseguibile. Essa non trova spiegazione in termini di risarcimento convenzionale ed anticipato del danno, bensì di sanzione per la mancata osservanza, o tempestiva osservanza, di un provvedimento giudiziario (sebbene, nel nostro sistema, l’importo della condanna accessoria debba essere versato al creditore insoddisfatto, non ad un soggetto pubblico: il che può alimentare dubbi sulla effettiva natura della penalità).

La stessa origine storica dell’astreinte ci rimanda al c.d. diritto giudiziario, non certo al diritto dei contratti.

Espiantata dal terreno elettivo del dictum giudiziale ed impiantata su quello negoziale, l’astreinte cambia radicalmente la sua natura così come la sua funzione: al punto che può riuscire fuorviante lo stesso riferimento all’esecuzione forzata indiretta (proprio, come detto, della relazione illustrativa). Abbandonato il modello teorico della condanna, i presupposti stessi per l’applicazione di quella che – non potendo tecnicamente qualificarsi

“condanna” – non potrà che restare una clausola penale, e così una mera previsione

12 Come dai più si ritiene a proposito dell’art. 614 bis c.p.c., peraltro non chiarissimo sul punto: v., per riferimenti, Consolo – Godio, Commento all’art. 614 bis c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, diretto da C. Consolo, IV ed., Tomo II, Artt. 287-632, Milano, 2010, 2514 ss.; Iuorio, Il nuovo art. 614 bis c.p.c.:

introduzione dell’esecuzione indiretta nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. esec. forz., 2009, 411 ss.

13 V. al riguardo le accorte considerazioni di M. Fabiani, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in www.judicium.it dal 5 luglio 2010, § 2.2.

14 Come del resto avviene nel caso dell’astreinte franco-belga: ci permettiamo di rinviare, anche per

riferimenti, a Astreintes nel processo civile italiano?, in Giust. Civ., 1999, 157 ss., nonché in Studi sul processo di espropriazione forzata, Torino 1999, 133 ss.

15 Vullo, L’esecuzione indiretta tra Italia, Francia e Unione europea, in Riv. dir. proc., 2004, 727 ss.

(8)

www.judicium.it

8

contrattuale, dovranno necessariamente essere oggetto, per poter dare ingresso ad una tutela esecutiva ex abrupto, di un previo giudizio di accertamento (volto appunto alla pronuncia di una condanna16, col che si torna inevitabilmente al punto di partenza). Intendiamo dire che, se la clausola penale assolve alla funzione di liquidazione preventiva e convenzionale del danno da ritardo o da inadempimento17 prescindendosi dalla prova dell’effettiva esistenza di un pregiudizio, ciò che deve essere giudizialmente accertato, ai fini della tutela esecutiva, è appunto quel ritardo o quell’inadempimento. Maturate tali condizioni nella realtà, ai fini della tutela esecutiva occorrerà pur sempre una pronuncia condannatoria, e cioè quella “modificazione rafforzativa” del diritto di credito che può esser data soltanto da un provvedimento giudiziario18.

Chiarito quanto sopra, diviene giocoforza ammettere che il riconoscimento all’accordo conciliativo della qualità di titolo esecutivo a seguito dell’omologazione giudiziaria non muta, da un lato, la natura contrattuale della clausola penale né può incidere, dall’altro lato, sulla nozione istituzionale del titolo esecutivo quale atto rappresentativo di un diritto certo, liquido e esigibile; laddove, nel nostro caso, il titolo non potrà che essere rappresentativo di una mera previsione contrattuale a fronte della quale, per poter agire in executivis, occorrerà pur sempre l’accertamento giudiziale dei presupposti per l’applicazione della clausola: come avviene per qualsiasi previsione contrattuale.

Ne risulta che, come avviene sempre più spesso in occasione dell’introduzione di titoli esecutivi stragiudiziali, provvisori, interinali, semplificati etc., saranno scaricati in sede di opposizione all’esecuzione una serie di problemi che, di norma, dovrebbero essere risolti in

16 Sia pure in una sede monitoria: v., ad es., Cass., sez. I, 21 maggio 2004, n. 9685.

17 Che, non a caso, sono le fattispecie richiamate nel comma 3 dell’art. 11, e che la giurisprudenza distingue rigorosamente: v., ad es., Cass., sez. I, 10 luglio 1996, n. 6298, secondo cui “è legittima la clausola penale con cui le parti, nell’esercizio della libertà di autodeterminazione patrimoniale loro riconosciuta dall’ordinamento (art. 1322 c.c.), fissino, per il mero ritardo nell’adempimento, gli interessi in misura inferiore a quella legale, non restando pregiudicato, nel caso in cui l’inadempimento divenga definitivo, il diritto del creditore al risarcimento del danno ulteriore e diverso da quello convenzionalmente coperto dalla penale ovvero il diritto a chiedere la risoluzione del contratto (quando vi sia un termine essenziale o quando il ritardo ecceda i limiti normali di tollerabilità)”; Cass., sez. II, 9 novembre 2009, n. 23706, secondo cui “la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione alla ipotesi pattuita, che può consistere nel ritardo o nell’inadempimento; ne consegue che, ove sia stata stipulata per il semplice ritardo e si sia verificato l’inadempimento, essa non è operante nei confronti di questo secondo evento”.

18 Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato di diritto civile italiano, fondato da F. Vassalli, vol.

XIV, tomo IV, Torino, 1985, 152.

(9)

www.judicium.it

9

una sede di cognizione precedente alla formazione del titolo. Con gravissimo pregiudizio di chi subisce l’esecuzione, perché se è vero che il legislatore del 2005 ha introdotto la possibilità per il giudice dell’opposizione a precetto di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo opposto, è anche vero che quasi mai il giudice di quell’opposizione riesce a provvedere prima del compimento del pignoramento: le garanzie che si perdono nella sede deputata alla formazione del titolo non si recuperano nella sede in cui in titolo viene opposto19.

Insomma, anche a questo riguardo l’impressione è che un supplemento di riflessione sarebbe stato opportuno, e forse avrebbe indotto il legislatore delegato ad un qualche ripensamento: condanna accessoria e clausola penale non sono affatto la stessa cosa, e per omologarle non basta riconoscere la qualità di titolo esecutivo all’atto negoziale che quella clausola prevede.

4.- E’ già stato osservato20 che scopo della conciliazione, specie stragiudiziale, non può essere quello della formazione semplificata del titolo esecutivo; anzi, il fatto stesso che il verbale di accordo amichevole risulti idoneo ad acquistare una tale efficacia potrebbe addirittura rivelarsi una remora a partecipare al procedimento di mediazione. L’idea che la parte, nel momento in cui concilia una lite insorgenda, decida di sottomettersi all’astreinte convenzionale può poi apparire perfino stravagante: non soltanto perché in tal modo la conciliazione stragiudiziale verrebbe a produrre effetti che neppure il provvedimento giudiziario può conseguire, ma soprattutto perché chi concilia una lite vuole lasciarsela alle spalle, senza correre il rischio di vederla improvvisamente riemergere nel ben più insidioso ed aggressivo contesto del processo esecutivo.

Sta di fatto che, nell’esecuzione, qualsiasi questione potrà essere ridiscussa senza nessuna preclusione: e ciò vale anche per le valutazioni che il tribunale ha compiuto in sede di omologazione, se è vero che il relativo procedimento è stato concepito senza contraddittorio (nonostante il penetrante controllo rimesso al giudice, non limitato al semplice riscontro della “regolarità formale”).

D’altra parte, conciliazione e titolo esecutivo sono quasi concetti antinomici: risulta così normale che la qualità di titolo esecutivo, attribuita all’accordo conciliativo, rifletta non altro che la delocalizzazione dell’eventuale contenzioso in una fase successiva, e non anteriore rispetto alla formazione del titolo.

19 Ci permettiamo di rinviare a Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 367 ss.

20 M. Fabiani, op.loc.cit.

(10)

www.judicium.it

10

Riferimenti

Documenti correlati

Direttiva n. 3) ‘mediazione’ “un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria,

Il giudice dell'opposizione all'esecuzione è tenuto a compiere d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, la

cit., i termini decadenziali sono di sei mesi per l’invalidità civile (art. 326/2003), decorrenti dalla comunicazione del provvedimento amministrativo, e di tre anni

Osserviamo, sia pure con la prudenza resa necessaria dal caso, che una dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega - al di là della sua evidente

4 Illuminante è il passo della sentenza in cui si trova scritto che “non è sulla base del documento titolo esecutivo che inizia l'esecuzione forzata, ma sulla base di questo e del

Se l’interessato vuole spendere un verbale di conciliazione “italiano” come titolo esecutivo in altro Paese europeo, egli può, abbiamo detto, tentare di ottenere

Questi, per di più, non disporrà nemmeno di altre informazioni che potrebbero fargli cogliere le ragioni di quella scelta, stante il dovere di riservatezza che

Basaglia lo sapeva perfettamente e lo spirito del suo tempo lo aiutava a capire che buttando il suo poderoso macigno nelle acque stagnanti della malattia mentale e