• Non ci sono risultati.

Note sul regolamento del CNF per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Note sul regolamento del CNF per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista - Judicium"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it GIULIANO SCARSELLI

Note sul regolamento del CNF per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista

“Comune alla democrazia è la necessità di badare a che nessuno si innalzi in potenza tanto da superare la giusta misura”

ARISTOTELE, Politica, E, 1308b, 10-15

1. In data 24 settembre 2010 il CNF ha approvato il regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista.

La legge professionale non conosce affatto questo fenomeno, che attualmente si trova disciplinato solo nell’art. 8 del d.d.l. di riforma della professione forense, all’esame del Senato.

Il CNF, che è ben consapevole di quell’articolo 8 per averlo scritto e deliberato nella seduta amministrativa del 27 febbraio 2009, ha pensato tuttavia di muoversi a prescindere dalla approvazione della legge di riforma della professione, e in data 25 giugno 2010 ha votato una bozza di “Regolamento sulle specializzazioni forensi”, che ha poi inviato all’esame dei presidenti degli Ordini e delle associazioni di avvocati.

Ricevute le osservazioni degli Ordini e delle associazioni, e svolti alcuni incontri, il CNF ha di nuovo approvato, in modo repentino ed inaspettato, il regolamento del 24 settembre 2010, oggetto di queste note.

Il regolamento entrerà in vigore il 30 giugno 2010, e potrà essere oggetto di revisione entro l’anno dall’entrata in vigore, sentiti gli Ordini e le associazioni forensi, soprattutto con riferimento alle aree di specializzazione.

2. Il regolamento di settembre presenta talune differenze rispetto alla bozza di giugno.

Fra le specializzazioni sparisce quella in “diritto civile”, a favore della specializzazione in “diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni”; la specializzazione in “diritto comunitario” si trasforma in “diritto dell’unione europea” mentre viene soppressa quella in “diritto internazionale”;

viene aggiunta la specializzazione in “diritto della concorrenza”, assente invece nella bozza di progetto.

La bozza fissava in 4 anni di iscrizione all’albo l’anzianità per poter partecipare ai corsi per il titolo di specialista, che viceversa il regolamento di settembre ha portato a 6; nella bozza erano esentati i professori universitari, che acquisivano il titolo di specialista nella rispettiva materia di insegnamento, mentre il regolamento di settembre ha soppresso tale esenzione; la bozza consentiva inoltre agli avvocati con anzianità decennale di accedere all’esame senza la frequenza dei corsi, ma anche questa agevolazione è stata soppressa.

Sono stati poi corretti errori da matita blu, quali quello che le commissioni di esame dovevano essere composte da commissari nominati in parte dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dell’Università, poiché, par ovvio, un regolamento del CNF non può stabilire i compiti del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Università.

(2)

www.judicium.it Il resto è rimasto sostanzialmente invariato1.

3. Che dire di questo regolamento?

A me sembra che, al di là delle critiche di merito sviluppate dalle associazioni forensi2, due siano i nodi da affrontare, ed anche, e forse soprattutto, per il futuro, ovvero: a) se il CNF abbia o meno potere regolamentare sull’avvocatura (e/o sulle modalità di esercizio della professione); b) e se il testo qui in analisi abbia effettivamente contenuto e/o natura di regolamento.

Ed io credo, per le ragioni che passo ad evidenziare, che il CNF non abbia potere regolamentare sull’avvocatura, e, in ogni caso, che il testo approvato dal CNF nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010 non abbia contenuto di regolamento3.

1 Per il regolamento del 24 settembre 2010 “E’ specialista l’avvocato che ha acquisito, in una delle aree del diritto sotto indicate, una specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense” (art. 2 del Reg. 24 settembre 2010).

Per conseguire il titolo di specialista, ferma l’anzianità di sei anni, si deve non aver riportato nei tre anni precedenti una sanzione disciplinare definitiva conseguente ad un comportamento realizzato in violazione del dovere di competenza o di aggiornamento professionale, aver frequentato, proficuamente e continuativamente, per almeno un biennio, una scuola, od un corso di alta formazione riconosciuti dal CNF, per un minimo di 200 ore complessive di studio, e infine aver sostenuto con esito positivo l’esame presso il CNF (art. 5 e 7 del Reg.).

Le scuole e i corsi stanno sotto la vigilanza del CNF (art. 8), che le iscrive in un apposito registro, e può da questo cancellarle quando, in attuazione delle sue funzioni di ispezione e di controllo, accerti che sono venute meno le condizioni che hanno legittimato l’iscrizione (art. 7).

Le commissioni d’esame per l’attribuzione di titolo di specialista, presiedute in ogni caso da uno dei membri nominati dal CNF, sono composte da cinque commissari effettivi e cinque supplenti, tutti “scelti tra avvocati iscritti nell’albo speciale per l’esercizio innanzi alle Magistrature superiori”. L’esame consiste nello svolgimento di una prova scritta su materia attinente all’area di specializzazione e nello svolgimento di una prova orale (art. 10).

Sono esentati da questi incombenti gli avvocati con almeno 20 anni di iscrizione all’albo, che acquisiscono il titolo di specialista in non più di una delle aree di specializzazione previa domanda al CNF e verifica da parte di questi, tramite il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, della “specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto”

(art. 13).

Il titolo di specialista, una volta acquisito, è soggetto a revoca da parte del CNF se l’avvocato specializzato non adempia ai successivi obblighi di formazione continua (art. 6), ovvero non consegue, a triennio successivo all’acquisizione del titolo, 120 crediti formativi, di cui almeno 30 in ogni singolo anno, da ottenere attraverso la partecipazione ad ulteriori corsi di alta formazione (art. 12).

2 V. infatti le posizioni di www.oua.it; www.associazionenazionaleforense.it; www.aiga.it;

www.unionenazionalecamerecivili.it; www.aiaf-avvocati.it.

3 Mi sembra questa anche la posizione di ANF (Vedila in www.associazionenazionaleforense.it) per la quale il CNF ha esercitato “un potere regolamentare che la legge attuale non gli riconosce…….ci troviamo di fronte ad un Consiglio nazionale ente tuttofare: determina l’elenco delle specializzazioni, gestisce il registro degli Enti formatori, fa l’esame agli specializzandi”.

(3)

www.judicium.it

Nel nostro sistema, infatti, e secondo un normale principio di legalità, è impossibile introdurre con regolamento novità completamente sconosciute alla legge, quale quella (in questo caso) delle specializzazioni nella professione di avvocato.

Ciò, se si vuole, trova conferma proprio nell’art. 8 del d.d.l. di riforma della professione.

Se il regolamento si può fare a prescindere dalla legge, perché è stato scritto l’art. 8?

O, viceversa, se l’art. 8 è imprescindibile, perché il CNF pensa al contrario oggi di poter approvare il regolamento senza la legge?

4. Ma andiamo per ordine.

Intanto, nel sistema vigente, almeno a me sembra, nessuna norma primaria attribuisce al CNF potere regolamentare.

Già questo assunto esclude che il CNF possa emanare atti normativi generali (rectius: regolamenti) valevoli per tutta l’avvocatura (se non per tutti i cittadini, che con gli avvocati entrano in contatto), poiché, fin dai tempi di Zanobini, v’è la necessità di un fondamento legislativo per l’esercizio del potere regolamentare4.

Taluni hanno voluto invece ricavare l’esistenza di un tal potere in capo al CNF da alcune decisioni del TAR Lazio5, che hanno ritenuto che l’art. 2, 3° comma del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006 n. 248 (c.d. decreto Bersani) e poi gli artt. 12, 1° comma e 38, 1° comma della legge professionale n. 1578 del 1933, attribuiscano potere regolamentare al CNF.

Si tratta, però, a mio parere, di una forzatura, che non trova riscontro nel dato testuale delle norme menzionate; e comunque lo stesso TAR Lazio riscontra tale potere solo in materia di deontologia e con riguardo alla garanzia della qualità delle prestazioni professionale, non in generale.

Penso sia una forzatura perché il 3° comma del d.l. 4 luglio 2006 n. 223 semplicemente impone un adeguamento delle norme deontologiche, pattizie e dei codici di autodisciplina alle novità poste in materia di tariffe e pubblicità dal decreto Bersani, ma non attribuisce affatto poteri regolamentari al CNF. Ed anzi lo spirito di quel decreto, all’unisono con talune posizioni dell’AGCM, non era certo quello di potenziare gli organi forensi, ma tutto al contrario di liberalizzare i fenomeni toccati dalla nuova normativa.

E parimenti, risulta dalla lettera delle norme della vecchia legge professionale forense del 1933 che il CNF non gode di alcun potere regolamentare.

L’art. 12, 1° comma semplicemente recita: “Gli avvocati e i procuratori debbono adempiere al loro ministero con dignità e con decoro, come si conviene all’altezza della funzione che sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della giustizia”; e l’art. 38, 1° comma recita: “…..gli avvocati ed i procuratori che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale sono sottoposti a procedimento disciplinare”.

Tutto qui!

4 Così ZANOBINI, Il fondamento giuridico della potestà regolamentare, Arch. giur., 1929, 150. In senso conforme v. anche CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967, 10 e ss.

5 V. infatti, in particolare, TAR Lazio 20 luglio 2009 n. 7230, inedita.

Per mie osservazioni a detta pronuncia v. già SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2010, 366 e ss.

(4)

www.judicium.it

5. Peraltro, aggiungo, una tal cosa sarebbe in aperto contrasto con la storia della legge del 1933, se solo si faccia riferimento alla situazione politica nella quale detto regio decreto fu emanato.

Ricordo che l’organo centrale forense oggi denominato CNF fu voluto e ideato per la prima volta dal fascismo negli anni ’20, per necessità di accentramento e controllo dell’avvocatura6.

Nel 1933 il CNF era denominato “Commissione centrale degli avvocati” e i membri che lo componevano erano tutti di nomina governativa.

La Commissione, voluta dall’allora Ministro De Francisci, dipendeva pertanto dall’esecutivo, e costituiva la longa manus del Governo sull’avvocatura.

E, dunque, mi pare storicamente insostenibile che la legge del 1933 abbia attribuito poteri vagamente normativi e/o regolamentari ad un organismo quale la “Commissione centrale degli avvocati” che stava lì per tutt’altre ragioni.

E mi pare in particolar modo impossibile sostenere una tal cosa ricavandola da norme quali gli artt.

12, 1° comma e 38, 1° comma, che al contrario si occupano di tutt’altro.

6. Ad ogni modo, anche a riconoscere ciò che non va riconosciuto, ovvero a riconoscere al CNF potere regolamentare, il deliberato del 24 settembre 2010 non ha contenuto di regolamento.

Il regolamento, infatti, è una fonte normativa sub-primaria volto a disciplinare l’attuazione pratica e gli aspetti secondari e/o dipendenti di regole poste da norme primarie7.

Non può, invece, un regolamento, inventare e disciplinare fenomeni del tutto sconosciuti alla legge, perché, come è stato autorevolmente detto, v’è la “assoluta inammissibilità, in uno stato di diritto, di regolamenti emanati laddove esistono spazi vuoti, materie non regolate dalla legge. Ad escluderli basta il solo principio di legalità”8.

6 Al riguardo rinvio a SCARSELLI, Sul ruolo e la funzione del Consiglio nazionale forense, Foro it., 2010, V, 37 e ss.

7 v. CARLASSARRE, Regolamento (dir. cost.), voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1988, XXXIX, 608, per la quale un carattere che sempre contraddistingue i regolamenti è “la secondarietà della disciplina in essi contenuta che, di regola, si colloca appunto a livello di normazione secondaria, terziaria, mai sostanzialmente primaria”.

Ciò trova conferma, se si vuole, anche nell’art. 32 del d.d.l. di riforma della professione forense, ove, fra i compiti del CNF, viene indicato (anche) quello di adottare “i regolamenti per l’attuazione dell’ordinamento professionale”.

I regolamenti, appunto, attuano l’ordinamento professionale, e non lo creano, perché a ciò non può che provvedere la legge.

8 Così espressamente, ancora, CARLASSARE, op. cit., 626.

E’ pacifico, infatti, che i regolamenti non possono disciplinare fenomeni sconosciuti alla legge, così sostituendosi ad essi. Ciò si sostiene fin dalle prime elaborazioni in Italia di CAMMEO, Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V.E. Orlando, Milano, 1901, III, 144, per il quale, infatti, va negata la stessa esistenza di “un campo di rapporti, sia pur nuovi, non preoccupato dalla legislazione”.

In senso del tutto conforme, più di recente, v. anche AMATO, Rapporti fra norme primarie e secondarie, Milano, 1962, 173.

(5)

www.judicium.it

Ora, nella misura in cui la legge professionale non conosce le specializzazioni, va da sé che un regolamento non può disciplinare detto fenomeno, e ciò per i limiti di contenuto che un regolamento inevitabilmente ha.

E al riguardo, dunque:

a) un regolamento non può, a mio parere, fissare specializzazioni (art. 3), fissare i requisiti per conseguire il titolo (art. 5), attribuire o revocare il titolo di specialista e il diploma che lo presuppone (art. 4, 5, 6 e 9), nominare i membri delle commissioni e attribuire ad altri il potere di farlo (art. 10).

Un atto del genere non lo potrebbe fare nemmeno il Governo in assenza di una legge delega, e quindi, come può pensarsi che lo possa fare il CNF?

Non è questa una macroscopica violazione delle fonti di diritto, anche per come disciplinate negli artt. 1, 2 e 3 delle preleggi9?

b) In secondo luogo solo gli enti pubblici o parificati dal Ministero dell’Università e della ricerca (quali le università e le scuole) possono rilasciare diplomi e titoli, non gli ordini professionali, che in base alla legge non hanno questa competenza.

Non si vede, pertanto, come l’art. 2 pensi che la specializzazione “è attestata da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal CNF”, poiché il CNF non può rilasciare diplomi.

Di nuovo, nemmeno il Governo potrebbe attribuire questo potere al CNF in assenza di una apposita legge delega.

Come può il CNF pensare di attribuirsi iure proprio questo potere?

7. Si replicherà che le cose non stanno in questi termini.

Si dirà che, in verità, non di tratta del rilascio di diplomi e titoli, dell’istituzione di scuole e commissioni di esami, ma solo di un fenomeno che ha attinenza con la disciplina.

Semplicemente, se tu avvocato vuoi affermarti specialista in un determinato settore del diritto, devi fare le cose che io CNF ti indico; altrimenti considero questa tua mancanza un illecito disciplinare.

E poiché è pacifico che il potere disciplinare spetta al CNF, e poiché la stessa cassazione, per quanto attenga al disciplinare, ha riconosciuto al CNF potere regolamentare10, tutto ciò che è stato fatto va ricondotto alla materia disciplinare, ove il potere regolamentare non è in discussione.

E’ così?

Ora, a parte il fatto che, se fosse così, bisognerebbe esser più precisi nel linguaggio, visto che, a leggere il regolamento, il CNF rilascia un diploma (che considera “esclusivo” e attestante “una specifica e significativa competenza”) e non un buono per non incorrere in sanzioni disciplinari, ma, a mio parere, non è così.

Al CNF è stato riconosciuto potere regolamentare in materia di disciplina, questo è vero.

Ma si tratta di una eccezione, che non può estendersi ad altri settori relativi alla professione forense.

Ed inoltre, avere potere regolamentare non significa avere potere normativo.

Di nuovo, si tratta di ribadire i principi ora illustrati, che non possono essere raggirati con il pretesto della disciplina.

9 V. infatti, PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, in Comm. al cod. civ., di Scialoja e Branca, Bologna- Roma, 1977, (art. 1-9), 469 e ss.

10 Così infatti Cass., sez. un. 20 dicembre 2007 n. 26810, Foro it., 2009, I, 3168, con mia nota La responsabilità civile del difensore per infrazione della norma deontologica.

(6)

www.judicium.it

8. E dunque:

a) per disciplina si intende “il complesso delle norme che regolano una convivenza comunitaria”11; col che un regolamento è di disciplina solo se dall’esistente ricava e fissa regole comportamentali, non se provvede a disciplinari altri aspetti e fenomeni di una professione.

Altrimenti tutto rientra nella disciplina, in quanto non esistono fenomeni giuridici che non riescano ad avere conseguenze sanzionatorie e/o disciplinari12.

b) Conseguentemente il regolamento delle specializzazioni non può definirsi “disciplinare”, perché non pone regole del buon comportamento, ma istituisce nuovi fenomeni e nuovi istituti.

Come si può, ad esempio, ricondurre alla disciplina la circostanza che il CNF rilasci diplomi, o condizioni il titolo di specialista ad un esame presso di sé, oppure alla frequentazione obbligatoria e in via esclusiva di una scuola da questi riconosciuta, ecc……?13

Ne’ può obiettarsi che nessuno è tenuto a specializzarsi o che la specializzazione non condiziona l’esercizio della professione di avvocato, che resta libera.

E ciò perché nella regolamentazione di un fatto non esistono solo gli aspetti giuridici ma anche quelli economici; e questo regolamento, seppur giuridicamente non condizioni l’esercizio della professione, condiziona comunque le regole del mercato forense.

E dunque, seppur nessuno sia tenuto a specializzarsi, la specializzazione a questo punto si renderà un passaggio rilevante per ogni avvocato che voglia mantenersi sul mercato.

Se si vuole, il regolamento conferma la sua natura non disciplinare proprio nella misura in cui incide sulle regole del mercato.

c) Ed ancora un regolamento disciplinare, come è avvenuto con la compilazione del codice deontologico forense, trae la regola comportamentale dall’esistente “utilizzando un procedimento induttivo, dal caso particolare alla regola generale”14, atteso che, nel disciplinare, “non si tratta

11 VOCABOLARIO della lingua italiana, Enc. it. Treccani, Roma, 1987, II, 123.

12 V. ancora la posizione di ANF (vedila in www.associazionenazionaleforense.it), per la quale il regolamento

“lungi dal riguardare solo la deontologia professionale, si tratta di materia destinata ad incidere direttamente ed immediatamente sulla attività professionale di tutti gli avvocati”.

13 Ed inoltre, se il titolo si consegue con il superamento di un esame, per quali motivi un professionista deve essere obbligato a frequentare una scuola, e per di più in 200 ore, per sostenere quell’esame? E se anche vogliamo che il professionista obbligatoriamente frequenti una scuola, per quali ragioni egli deve frequentare proprio e solo quella determinata scuola e non altre? Il regolamento, è evidente, promuove attività di formazione, senza nemmeno prevedere che le associazioni e i loro dirigenti non possono essere soci di società di formazione avente scopo di lucro (lo denuncia ancora la ANF; v. il documento in www.associazionenazionaleforense.it). E il moltiplicarsi delle iniziative si rileva maggiormente dall’art. 6 del regolamento, poiché l’avvocato non deve solo frequentare corsi e scuole per ottenere la specializzazione, ma deve poi nel tempo continuare a frequentarli, pena, da parte del CNF, la revoca dello stesso titolo.

Tutto questo, ancora, non ha niente a che vedere con la disciplina.

14 Così, espressamente, DANOVI, Ordinamento forense e deontologia, Milano, 2007, 99.

(7)

www.judicium.it

infatti di innovare, cioè di creare nuove regole, ma di identificare quelle esistenti che sono ritenute tali nell’opinione comune e che gli organi forensi quotidianamente applicano” 15.

Qui, viceversa, si è fatto l’esatto contrario: non si è estratto e precisato regole già contenuti nella legge e nell’ordinamento professionale16, ma si è innovato l’assetto professionale, posto che la legge professionale non conosce le specializzazioni.

Peraltro, tutto questo è conforme con il rilievo che un regolamento non può innovare, ma solo attuare l’esistente.

E il regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista, nel momento in cui introduce aspetti non contemplati dalla legge, non solo si pone quale regolamento che esula dalla disciplina, ma anche perde la sua natura di regolamento, ovvero di atto di attuazione, per ergersi a vero e proprio atto normativo.

Ma, a meno di non voler considerare il CNF come nuovo organo legislativo dell’avvocatura, va da sé che nessun atto normativo può essere emanato se non da chi abbia il potere costituzionale di farlo.

9. Qualche avvocato dirà che è meglio farsi amministrare dal CNF piuttosto che dal Parlamento e dalla classe politica.

Chissà!

Si tratta di argomento di nessuna rilevanza giuridica, e in ogni caso discutibile, poiché ormai l’avvocatura non è più una classe sociale unitaria: vi sono i più forti e strutturati (avvocati di seria A), che colgono in queste novità occasioni di lavoro e di affari, e vi sono tutti gli altri, giovani e meno giovani (avvocati di serie B) che si vedono costretti a subire.

Al contrario, è necessario attendere il Parlamento, l’unico organo avente potere normativo nel nostro sistema.

Ed il regolamento del CNF adottato il 24 settembre 2010 è maggiormente in contrasto con le fonti di diritto se solo si tiene conto degli emendamenti che all’art. 8 del d.d.l. di riforma della professione forense ha apportato il Senato in data 21 ottobre 2010.

Attualmente la bozza dell’art. 8 prevede: a) che il regolamento di attuazione per il titolo di specialista non debba essere approvato dal CNF ma dal Ministero della giustizia previo parere del CNF; b) che il regolamento assicuri libertà e pluralismo dell’offerta formativa; c) che per accedere ai corsi per il titolo di specialista basti anzianità di iscrizione all’albo di un anno; d) che le scuole per la specializzazione siano maggiormente formate dalle facoltà di giurisprudenza; e) che la durata complessiva dei corsi sia fissata in 150 ore; f) che la commissione di esame sia composta, oltre che da avvocati, da docenti universitari e magistrati a riposo; g) che gli avvocati docenti universitari possano indicare il relativo titolo accademico con le opportune specificazioni17.

15 Così ancora DANOVI, op. cit.,, 98.

16 V. infatti PERFETTI, La responsabilità deontologica, Rass. forense, 2006, 961 e ss.

17 V. gli emendamenti in www.senato.it/leg/16.

L’art. 8 del d.d.l. potrebbe subire ulteriori e nuove modificazioni, poiché non è stato ad oggi ancora posto in votazione finale.

(8)

www.judicium.it

L’art. 8, se approvato, sarà così in grado: aa) di dare al fenomeno delle specializzazioni disciplina di legge, nel rispetto dei principi; bb) di avere un regolamento attuativo, e solo attuativo e non normativo, del Ministero della giustizia e non del CNF; cc) di avere un sistema di specializzazioni che non veda esclusi i giovani18, considerato che l’anzianità di un anno è sufficiente per accedere ai corsi; dd) di veder coinvolti nel fenomeno anche le facoltà universitarie ee) e soprattutto di veder ribadito la libertà e il pluralismo dell’offerta formativa, valori tutti fondamentali, che, al contrario, il regolamento del 24 settembre 2010 aveva disatteso, a favore dell’accentramento del fenomeno sul CNF.

Alla luce di questa esperienza è necessario che la legge espressamente escluda che il CNF possa avere, in vario modo, in futuro, potere normativo sull’avvocatura, nel rispetto delle fonti di diritto, della tradizione forense e della libertà di ogni avvocato, e della storia dello stesso CNF.

18 Sul regolamento del 24 settembre 2010 del CNF e la situazione dei giovani avvocati v. ancora infatti le osservazioni dell’Associazione italiana dei giovani avvocati in www.aiga.it.

Riferimenti

Documenti correlati

Il particolare contributo offerto, nel corso della storia, dalle comunità religiose alla costruzione di una “casa comune” europea 17 - e, perciò, il loro ruolo pubblico nella

stato costruito il fabbricato ma l’effetto dell’atto e quindi l’oggetto della trascrizione è l’acquisto della piena proprietà dell’abitazione 15. In merito al

costante attività di servizio volontario presso la sede della Caritas della Città di Terlizzi nell'ambito di servizi di sostegno scolastico per minori e centro d'ascolto cittadino

La riforma sanitaria del ‘78 non ha invece influito sulla tutela economica della malattia, in quanto le prestazioni economiche continuano, a tutt'oggi, a risultare

Nel primo caso (c.d. giudicato interno) si afferma che allorquando si tratti di giudicato formatosi nello stesso processo riguardante, ad esempio, una sentenza non definitiva,

a) alla stregua della fattispecie delineata dalla lett. g) l’ordinamento intende tout court sanzionare disciplinarmente i provvedimenti adottati (per ignoranza o negligenza

(In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inam- missibile perché tardivo il ricorso del pubblico ministero il quale aveva denunciato l'abnormità del

Depone a favore di tale conclusione innanzitutto la scelta di fondo, compiuta con la riforma, di ridurre a due (accordo o, in caso di mancanza o di