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La rilevanza disciplinare della grave violazione di legge - Judicium

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ROSARIO RUSSO

La rilevanza disciplinare della grave violazione di legge1

1. L’orientamento della Sezione Disciplinare – 2. Le obiezioni – 3. Prima analisi diffe- renziale (g – h – m - ff) – 4. Seconda analisi differenziale (a – b – c - g - h - m) – 5.

Conclusioni – 6. Valutazioni finali.

1. Con riferimento ai provvedimenti gravemente illegittimi, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha escluso l’applicazione della fattispecie disciplinare di cui alla lett. g) del D. lgs. n. 109 del 2006, ritenendola riferita esclusi- vamente ai comportamenti, sicché restano applicabili soltanto gli illeciti di cui alla lett.

m), che richiede la prova della lesione di diritti personali o della grave lesione di diritti patrimoniali, ovvero di cui alla lett. ff), che ha per oggetto i provvedimenti tecnica- mente abnormi2. Il risultato interpretativo finale si traduce in una oggettiva restrizione dell’area della punibilità disciplinare ogni qual volta, esclusa l’abnormità, non risulti l’estremo (assai spesso di difficile riscontro) del danno, espressamente richiesto per la configurazione dall’illecito previsto dalla lettera m)3. Tale orientamento, non sempre

1 Commento a Ordinanza n. 12 del 2012 della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura

2 Ordinanza n. 12 del 2012: «L’art. 2, comma 1, lett. g) del D lgs. 109/2006 è riferibile a qualsiasi violazione di legge e concerne i soli comportamenti illegali mentre, quando il comportamento illegale consista nell’adozione di un provvedimento erroneo, risulta integrato il diverso illecito previsto dall’art. 2 comma 1, lett. m) del D. lgs. 109/2006, sussistendo tra le due fattispecie un indubbio rapporto di specialità».

Si dichiara contrario a tale indirizzo S. DI AMATO, La responsabilità disciplinare del ma- gistrato, Milano, 2013, p. 159 e segg., mentre M. FRESA , in P. FIMIANI E M. FRESA (Gli illeciti disci- plinari dei magistrati ordinari, Milano, 2013, pag. 71), adombrando perplessità, registra che la Procura Generale presso la Suprema Corte lo ha contestato, senza tuttavia impugnare le decisioni adottate in tal guisa dalla Sezione Disciplinare.

Da ultimo il Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione, dott. Gianfranco Ciani, non ha mancato di rilevare che «Maggiori elementi di criticità emergono nel caso di ”violazione di legge” e ciò sia perché non sempre chiara si appalesa la distinzione tra le varie fattispecie, sia per i con- trasti giurisprudenziali emersi nell’ambito della stessa Sezione disciplinare, ma soprattutto per la obietti- va difficoltà di individuare il discrimen tra l’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove – che, ai sensi dell’art. 2, comma 2 del decreto legislativo n. 109 del 2006, non dà luogo a responsabilità disciplinare – e la violazione di legge che assurge a illiceità» (pag. 79 della versio- ne stampata dell’intervento svolto nell’Assemblea generale della Corte in data 24 gennaio 2014, in occa- sione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario).

3 «Articolo 2 del D. lgs. n. 109 del 2006.

Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni

1. Costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni:

(2)

coonestato dalla stessa Sezione Disciplinare, si fonda sul seguente sorite quale risulta dall’ordinanza n. 154 del 2010, che ne costituisce il leading case:

«poiché l'adozione di provvedimento non consentito dalla legge (art. 2, comma 1, lette- ra m del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109) costituisce evidentemente una violazione di legge (art. 2, comma 1, lettera g del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109), ne consegue che tra le due fattispecie v'è un indiscutibile rapporto di speciali- tà»;

perciò «La fattispecie di cui all'art. 2, comma 1, lettera g), che sarebbe riferibile di per sé a qualsiasi violazione di legge, risulta in realtà applicabile solo ai comportamenti il- legali, perché ai provvedimenti o alle decisioni illegittime è applicabile esclusivamente la fattispecie prevista dall'art. 2, comma 1, lettera m)»;

«D'altro canto a comportamenti si riferisce anche l'art. 2, comma 1, lettera a), del de- creto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, laddove, richiamando l'art. 1, comma 1, del- lo stesso decreto, prevede come illecito disciplinare la violazione dei doveri di impar- zialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio, rispetto per la dignità del- la persona nell'esercizio delle funzioni. Ma sembra ragionevole ritenere che tra questa fattispecie e quella prevista dall'art. 2, comma 1, lettera g) vi sia ancora una volta un rapporto di specialità, perché per un magistrato la violazione della legge è certamente un comportamento scorretto.»;

«Sicché deve concludersi che i comportamenti scorretti riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) siano solo quelli che non integrino una violazione di legge, perché i comportamenti integranti una violazione della legge sono riconducibili esclusivamente alla fattispecie speciale prevista appunto dall'art. 2, comma 1, lette- ra g)».

In altri termini, secondo la Sezione Disciplinare: soltanto l’illecito di cui alla lett. m) ha ad oggetto provvedimenti, mentre gli illeciti di cui alle lett. a) e g) disciplinano soltanto comportamenti scorretti: la lett. g) riguardando comportamenti che integrano violazioni di legge e la lett. a) attenendo a comportamenti che non integrano violazioni di legge.

a) fatto salvo quanto previsto dalle lettere b) e c), i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti;

b) l'omissione della comunicazione, al Consiglio superiore della magistratura, della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, come modificati dall'articolo 29 del presente decreto;

c) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;

d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori;

e) l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro magistrato;

f) l'omessa comunicazione al capo dell'ufficio, da parte del magistrato destinatario, delle avvenute interferenze;

g) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile;

h) il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile;

i) [ il perseguimento di fini estranei ai suoi doveri ed alla funzione giudiziaria ];

l) l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla legge;

m) l'adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali;

- omissis -

ff) l'adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza;

- omissis -

2. Fermo quanto previsto dal comma 1, lettere g), h), i), l), m), n), o), p), cc) e ff), l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare».

(L’enfasi tipografica non è nel testo originale).

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2. In senso contrario può rapidamente argomentarsi nell’ordine quanto segue.

Il background, di cui non può non tenersi conto, del D. lgs. n. 109 del 2006 deve rin- venirsi innanzi tutto nella legge n. 117 del 1988 sotto vari profili:

a) dal punto di vista lessicale – contenutistico, giacché tale legge mira a disciplinare qualunque condotta del magistrato (art. 2, 1°: «Chi ha subito un danno ingiusto per ef- fetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario……»); per- tanto appare necessario distinguere tra condotte e provvedimenti del magistrato soltan- to quando lo esiga la stessa fattispecie sanzionatoria: ad esempio, è inimmaginabile che l'ingiustificata interferenza ex lett. e) sia esercitata mediante provvedimenti pro- priamente giurisdizionali;

b) dal punto sistematico, perché è impensabile che l’ordinamento disciplinare non sanzioni (per prevenirli) provvedimenti idonei a configurare illecito civile, giacché

«'disciplina' è l’habitus dell’osservanza di un complesso di regole, poste per il conse- guimento dei fini d’una certa istituzione» e «potere disciplinare» «è la potestà d’un soggetto d’imporre ad altri l’osservanza di tali regole»4;

c) dal punto di vista (se si vuole) 'politico' o metagiuridico, giacché è difficile negare che i conditores del 2005-2006 miravano a 'recuperare' sul piano disciplinare quanto stimavano di avere 'perduto' dal punto di vista risarcitorio con l’apposita legge (accet- tabili, o non, che fossero tale proposito e tale stima).

È fin troppo evidente che la lett. g) fa pendant con la lett. h); entrambi tali illeciti di- sciplinari corrispondono vistosamente alla dicotomia quaestio iuris - quaestio facti, di per sé da sempre predicabile soltanto con riferimento ai provvedimenti giurisdizio- nali; in particolare, davvero impossibile trascurare che la «violazione di legge» (grave o non) rappresenta (anche) il classico vizio di legittimità in utroque iure (art. 360, 1°

n. 3 c.p.c. e 606, 1°, lett. b c.p.p.).

Entrambi tali illeciti disciplinari (g ed h), siccome espressamente richiamati dall’art. 2, 2° D. lgs. cit. al pari degli illeciti previsti dalla lett. m ed ff), non possono non com- prendere l’interpretazione di norme di diritto e, rispettivamente, la valutazione del fat- to e delle prove; attività entrambe tipicamente e necessariamente strumentali rispetto all’emanazione dei provvedimenti giurisdizionali e perciò di per sé eccentriche rispet- to ai meri comportamenti del magistrato (di cui si può soltanto predicare la debenza o la non debenza).

Dagli artt. 2 e 5 della l. n. 117/1998 (non a caso sopra richiamata) si evince che, qualo- ra sia dichiarata ammissibile l’azione risarcitoria, il tribunale deve trasmettere gli atti al titolare dell’azione disciplinare; tale obbligo opera dunque anche in presenza della

«grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile» (art. 2, 3°, lett. a della legge per ultimo citata) che è espressione sovrapponibile a quella della lett. g) D.

lgs., così come il travisamento del fatto (art. 2, 3° lett. b e c della stessa legge) è so- vrapponibile alla previsione della lett. h) D. lgs.; ed appare quanto meno ragionevole che un provvedimento potenzialmente foriero di responsabilità civile sia (o possa esse- re) anche rilevante dal punto di vista disciplinare (v. retro sub par. 0).

A fortiori tale ultimo argomento diventa viepiù stringente ed insuperabile a seguito della sentenza con cui il 24 novembre 1011, nella causa C-379 / 10, la Corte di Giu- stizia dell’Unione Europea5, mentre ha ritenuto che è radicalmente contrario al diritto

4 In tal senso G. LANDI, voce Disciplina, in E.d.D., vol. XIII, pag. 27, Milano, 1964.

5 «La Repubblica italiana,

- escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e

- limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni ca- gionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati

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dell’Unione il comma 2 dell’art. 2 della L. n. 117 del 19886, si è rivelata più concessi- va nei confronti del comma 1, a patto però che la Suprema Corte interpreti il requisito della colpa grave «in termini tali da corrispondere al requisito di violazione manifesta del diritto vigente e fissato dalla giurisprudenza della Corte»7; e nessuno potrà negare che rientri nel potere disciplinare (v. retro sub par. n. 0) la finalità di impedire che i magistrati, violando il diritto comunitario, provochino la responsabilità civile dello Stato.

Ai sensi dell’art. 15, 8°, d-bis) D. lgs. cit.8 è possibile sospendere i termini per l’accertamento degli illeciti lett. g) e lett. h) se si ritenga pregiudiziale l’esito di altro procedimento: tale previsione rende evidente che i due illeciti si riferiscono indubbia- mente a provvedimenti giudiziari emessi in un giudizio ed eventualmente (come tali) oggetto di impugnazione (impensabile per i meri comportamenti).

Pertanto, non può escludersi a priori che l’illecito disciplinare previsto dalla lett. g) si riferisca (anche) ai provvedimenti.

3. Restano allora da stabilire i confini applicativi tra le lett. g) ed h), da una parte, e le lett. m) ed ff), dall’altra, tenendo conto che, non risultando per (ciascuno di) essi impo- sta ex art. 12 D. lgs. cit. una sanzione minima, per tali illeciti (tutti parimenti com- presi nella clausola di salvaguardia dettata dal secondo comma dell’art. 2 D. lgs. cit.) l’individuazione della sanzione resta comunque affidata al prudente apprezzamento

membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ul- timo grado» (la formattazione è proprio quella contenuta nel testo).

6 Legge 13/04/1988 n. 117, in G.U. 15/04/1988 n. 88

«Articolo 2

Responsabilità per dolo o colpa grave.

1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedi- mento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpre- tazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrasta- bilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incon- trastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione».

7 Così secondo l’efficace sintesi di A. PACE, Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di Giustizia dell’U.E. del 24 novembre 2011 sulla responsabilità dello Stato- giudice,in Giur. cost., 2011, 6, 4724.

8 Art. 15,

8. Il corso dei termini , compreso quello di cui al comma 1-bis, è sospeso:

a) se per il medesimo fatto è stata esercitata l'azione penale, ovvero il magistrato è stato arrestato o fermato o si trova in stato di custodia cautelare, riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più sog- getta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale di condanna;

b) se durante il procedimento disciplinare viene sollevata questione di legittimità costituzionale, riprendendo a decorrere dal giorno in cui è pubblicata la decisione della Corte costituzionale;

c) se l'incolpato è sottoposto a perizia o ad accertamenti specialistici, e per tutto il tempo necessa- rio;

d) se il procedimento disciplinare è rinviato a richiesta dell'incolpato o del suo difensore o per im- pedimento dell'incolpato o del suo difensore;

d-bis) se, nei casi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere g) ed h), all'accertamento del fatto co- stituente illecito disciplinare è pregiudiziale l'esito di un procedimento civile, penale o amministra- tivo (4);

d-ter) se il procedimento è sospeso a seguito di provvedimento a norma dell'articolo 16.

(L’enfasi tipografica non è rinvenibile nel testo originale).

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della Sezione Disciplinare. Al riguardo in prima approssimazione può osservarsi, con riferimento alle violazione del «dovere di diligenza» (considerate alle lett. g, h, m ed ff) che:

mantiene una sua autonomia concettuale ed operativa l’illecito disciplinare previsto dalla lett. h), riguardando puntualmente le quaestiones facti o, se si vuole (secondo lo schema classico, ancorché superato) la premessa minore (o per l’appunto fattuale) del sillogismo giudiziario;

rispetto alle quaestiones iuris, certamente l’illecito di cui alla lett. ff) è ovviamente il più grave9, sanzionando i provvedimenti abnormi, quali quelli soprattutto considerati (secondo una lunga e tormentata tradizione dottrinale e giurisprudenziale) nell’ambito del procedimento penale10 ma rinvenibili anche in quello civile11;

perciò soltanto ai fini dell’individuazione della (gravità della) sanzione rileva la di- stinzione tra l’illecito ex lett. ff) e illecito ex lett. g);

invece la distinzione tra gli illeciti g) ed m) rileva già sul piano della fattispecie precet- tiva, sembrando ragionevole ipotizzare che, in ipotesi non incastonabili nell’abnormità (lett. ff):

a) alla stregua della fattispecie delineata dalla lett. g) l’ordinamento intende tout court sanzionare disciplinarmente i provvedimenti adottati (per ignoranza o negligenza ine- scusabile) contra legem, e cioè in frontale spregio a disposizioni di legge che non of- frano zone grigie di interpretazioni; e forse è qui il caso di precisare che, a volere alli- neare anche il precetto espresso dalla lett. g) all’intervento ortopedico espresso dalla citata sentenza della Corte Europea (v. retro sub par. n. 0), si dovrebbe ritenere che det- to illecito sussista tout court ogni qual volta il giudice, decidendo su diritti dei singoli violi una norma preordinata a tutelarli, se tale violazione sia sufficientemente 'caratterizzata' (e lo è se si tratti di violazione 'manifesta') e sussista anche un nesso causale diretto tra tale violazione ed il diritto tutelato (cfr. par. 40 della citata sentenza del 24.11.2011);

b) alla stregua della fattispecie delineata dalla lett. m) l’ordinamento intende estendere la sanzione a quei provvedimenti emessi (per negligenza grave ed inescusabile), non contra legem, ma preter legem («provvedimenti adottati in casi non consentiti dalla legge»), sempre che essi abbiano pregiudicato qualunque diritto personale ovvero, in modo rilevante, diritti patrimoniali.

Consegue che la fattispecie disciplinare disegnata dalla lett. g), lungi dal rilevarsi reces- siva rispetto a quella prevista dalla lett. m), erroneamente ritenuta speciale dalla Sezio- ne Disciplinare (v. retro sub par. 0), integra piuttosto la norma fondamentale; cui si ag-

9 Colpisce che la stessa Sezione Disciplinare aveva visto assai bene allorché aveva statuito, anche con riferimento all’illecito disciplinare ex lett. m), che «A sua volta, l'illecito di cui all' art. 2, comma 1, lettera ff), si distingue da quello previsto alla lettera m) del medesimo art. 2, comma 1, per tre aspetti. In primo luogo, l'errore giuridico macroscopico, che rende abnorme il provvedimento o la deci- sione, non consiste semplicemente nell'adozione di un provvedimento nei casi non consentiti dalla legge e che sia perciò arbitrario o illegittimo perché non consentito nel caso di specie. Come accennato, esso con- siste invece nella adozione di un provvedimento al di fuori di ogni schema processuale logicamente im- maginabile, non consentito in generale al giudice ordinario o che quest'ultimo abbia creduto di poter pro- nunciare a causa di un macroscopico ed inescusabile errore giuridico, cioè non relativo alla ricostruzione del fatto, illecito per il quale varrebbe la diversa disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lettera h) del d.

lgs. n. 109 del 2006» (Sentenza n. 6 del 2011, in motivazione).

10 V. soprattutto in motivazione Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590, la cui massima così detta: «Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento - rilevata l'inva- lidità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini di cui all'art. 415 bis cod. proc. pen., in realtà ritualmente eseguita - dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al P.M., trattandosi di provvedimento che, lungi dall'essere avulso dal sistema, co- stituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e che non determina la stasi del procedimento, potendo il P.M. disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso».

11 Sia consentito rinviare al tentativo sincretico affrontato dallo scrivente in Prolegomeni ad una teoria unitaria dell’abnormità nel diritto processuale, che si può leggere sul sito http://www.judicium.it, diretto dal prof. B. Sassani.

(6)

giunge, quale norma di completamento, la lett. m) con una propria fattispecie precettiva non compresa in quella fondamentale, perché – a dirla con la Corte Europea (v. retro sub par. n. 0) - in questo caso la violazione non è 'caratterizzata', in quanto non manife- sta. Il che comporta che, specialmente al fine di determinare la sanzione, le due fatti- specie disciplinari (g ed m) sono alternative e non possono predicarsi della medesima fattispecie: la trasgressione del dovere di diligenza risulta di per sé rilevante nella fatti- specie di cui alla lett. g), che prende di mira la gravità della violazione (siccome manife- sta), mentre nella lett. m) tale trasgressione diventa disciplinarmente rilevante soltanto se essa provochi il riferito pregiudizio, valorizzando allora gli effetti della violazione (ancorché di per sé non manifesta).

Per comprendere appieno tale schema concettuale (antagonista rispetto a quello postula- to dal provvedimento della Sezione disciplinare qui commentata: v. retro sub par. n. 0) appare utile richiamare un celebre esempio proposto da Herbert L. A. Hart (1907 – 1992)12: una norma giuridica vieta di introdurre veicoli in un parco pubblico; il noc- ciolo di certezza (il core) della norma consiste nel certo e chiaro divieto di introdurre automobili nel parco (casi c.d. chiari), mentre rientra nell’area di ‘penombra’ del concet- to di veicolo stabilire se sia possibile introdurre nel medesimo parco motoveicoli, bici- clette, pattini a rotelle, aeroplani ovvero un’ambulanza in ipotesi chiamata a soccorrere un ferito (casi c.d. dubbi)13.

Orbene, il legislatore del 2005-2006, pur riconoscendo tendenzialmente che il giudice non è soltanto «bouche de la loi» (art. 2, 2° D. lgs. cit), ha coerentemente imposto la sanzione disciplinare ex lett. g) per i provvedimenti emessi contra legem (così cercan- do di prevenire la patente ribellione alla legge nei casi c.d. chiari, astrattamente forieri di responsabilità civile dello Stato); ma ha inteso anche punire disciplinarmente i prov- vedimenti emessi (per negligenza grave ed inescusabile) nei casi c.d. dubbi, qualora ne scaturisca (alternativamente) qualunque pregiudizio per i diritti personali vel pregiudizio grave per i diritti patrimoniali, così cercando di porre argine (nei casi dubbi) all’attività propriamente ‘creativa’ del giudice se ed in quanto foriera di danni (qualitativamente o quantitativamente gravi). Come dire: se necessario (alla stregua della complessa razio- nalità del sistema e secondo le regole dell’ermeneutica), l’interprete 'può' anche 'estendere' il significato precettivo di una disposizione normativa a struttura aperta (o- pen texture, secondo Hart), ma è tenuto allora a scegliere la soluzione certamente più innocua per gli interessati (od anche per lo Stato, ove esso possa essere chiamato a ri- sponderne in via risarcitoria) 14.

12 Nel settimo capitolo di The concept of law, Oxford, Clarendon, 1961 (v. traduzione italiana, Il concetto di diritto, Piccola Biblioteca Einaudi, 2002). L’esempio e divenuto famoso nella storia della filosofia del diritto, e precisamente nel dibattito tra formalismo giuridico, alla cui stregua ogni disposi- zione avrebbe un solo significato, che l’interprete è chiamato a ‘scoprire’, e scetticismo giuridico, secon- do cui invece ogni disposizione avrebbe sempre più significati, che l’interprete sarebbe chiamato ad 'inventare'. É appena il caso di aggiungere che tale esempio ricorre quotidianamente nell’esperienza giu- diziaria.

13 M. BARBERIS, Breve storia della filosofia del diritto, pag. 92, Bologna, 2004.

14 Dunque, sulla scia del preclaro esempio di Hart:

a) sarà addebitata l’omessa diligenza ex lett. g) al giudice che consenta ad un autoveicolo l’ingresso nel parco, anche se non ne derivi alcun danno (caso chiaro); si osservi che in questo caso la sanzione disciplinare resta invece esclusa a volere seguire l’orientamento espresso dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (v. retro sub par. n.0), che tut- tavia contrasta con il ricordato orientamento della Corte di Giustizia, che ha esteso obiettivamen- te l’area della responsabilità civile dello Stato (v. retro sub par. 0);

b) sarà addebitata l’omessa diligenza ex lett. m) al giudice che consenta ad una bicicletta elettrica l’ingresso nel parco l’ingresso nel parco, se esso provochi (o sia idoneo a provocare) danno ai suoi naturali (e perciò legittimi) fruitori (provvedimento dannoso in caso dubbio), così respon- sabilizzandosi e limitandosi nel senso anzidetto l’attività ermeneutica del decidente;

c) non sarà addebitata alcuna trasgressione del dovere di diligenza (né ex lett. g né) ex lett. m) al giudice che consenta ad un’autoambulanza l’ingresso nel parco, al solo scopo di soccorrere un infartuato (provvedimento non dannoso, ma anzi utile e necessario, in caso dubbio);

(7)

A volere approfondire il tema occorre infine ricordare che non è immanente in ogni or- dinamento una 'supernorma' per cui ogni azione non vietata deve considerarsi permessa, perché tale principio talvolta è previsto positivamente (ed allora devono escludersi le la- cune, sicché il sistema giuridico deve ritenersi completo), talaltra non è reperibile15. In questo secondo caso, allorché la ratio o l’estensione semantica della norma lo imponga, sorge la necessità di colmare le lacune e nel nostro caso il giudice è perciò chiamato a stabilire se biciclette, moto, aerei, carrozzine motorizzate per disabili, autoambulanze possono accedere al parco, in presenza di una norma che espressamente lo vieta soltan- to ai veicoli; ovvio che tale attività ermeneutica volta allora al completamento del si- stema normativo (che si rivela incompleto, in difetto di un precetto che esplicitamente consideri permessa qualunque azione non espressamente vietata) presenti ampi margini di opinabilità, sui quali è destinato per l’appunto ad operare il «principio di cautela» sot- teso (e così imposto ai magistrati) dalla previsione disciplinare della lett. m).

4. Per completezza occorre ora affrontare l’analisi differenziale degli illeciti che costi- tuiscono (anche) violazione del dovere di imparzialità (lett. a, b e c). L’illecito discipli- nare più gravemente sanzionato tra tutti quelli funzionali tipicamente specificati è quello previsto dall’art. 2, 1° lett. a) del D. lgs.: violazione di taluno dei doveri

‘sommi’ (imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio), che arrechi ingiusto danno od indebito vantaggio ad una delle parti. Infatti l’art. 12, 1° lett.

a) D. lgs. prevede una sanzione non inferiore alla censura; ma è prevista anche la per- dita dell’anzianità se il danno causato da tale illecito sia grave (art. 12, 2°,lett. a D.

lgs.) ed è sempre disposto il trasferimento d’ufficio (art. 13, 1° D. lgs.). Invece per gli illeciti disciplinari rubricati alle lett. b) e c), richiamati dalla lett. a), è prevista soltanto una sanzione non inferiore alla censura (art. 12, 1°, lett. b e c); e per gli illeciti sopra considerati (g – h- m – ff) non è prevista nessuna sanzione minima (v. retro sub par. 0). Per complicare ulteriormente il panorama normativo va soggiunto che soltan- to nella previsione di un altro illecito (sopra analizzato) il D. lgs. fa riferimento alla le- sione di diritti personali vel patrimoniali: ci si riferisce all’art. 2, 1° lett. m) D. lgs.

d) non sarà addebitata alcuna trasgressione del dovere di diligenza (né ex lett. g né) ex lett. m) al giudice che, ben avvertito di un determinato orientamento espresso dalle Sezioni Unite in ordine all’interpretazione della predetta norma, si proponga di motivatamente ed espressamente contestarlo in iure, nell’ambito (sia ben chiaro) soltanto dell’area di ‘penombra’

del concetto di veicolo (con esclusione quindi del caso a sopraddetto, che costituisce il core della disposizione, cioè il suo indiscutibile nucleo precettivo, disatteso il quale la norma resterebbe azzerata in quanto norma); e ciò perché:

a differenza di quello anglosassone, nel nostro ordinamento non vige il principio dello stare decisis; sicché il principio giuridico enunciato dalla Suprema Corte (anche dalle Sezioni semplici) resta giuridicamente vincolante soltanto nel giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 384 c.p.c., pur valendo altresì eodem tempore ad indirizzare e conformare l’attività ermeneutica nell’universo giuridico, e quindi erga omnes;

al di fuori del giudizio di rinvio un qualche vincolo giuridico (comunque imperfetto, siccome privo di sanzione) sembra dettato dall’art. 374,3° c.p.c. (introdotto con la riforma del 2006), alla cui stregua le Sezioni semplici della Suprema Corte, per discostarsi dai principi detta- ti dalle Sezioni Unite, possono soltanto invocare da esse stesse il riesame della decisa questione;

ma proprio tale disposizione conforta in linea di principio il dinamismo strutturale dell’ermeneutica giudiziaria e la sua avversione all’irrigidimento dello stare decisis, evidente essendo che il mutamento delle decisioni ancorché consolidate delle Sezioni Unite non solo è sempre ammissibile (ancorché in linea di principio ad opera delle stesse Sezioni Unite), ma può essere legittimamente promosso dai giudici di merito, se essi si prodighino adeguatamente per prospettare nuovi argomenti e deduzioni idonei a spingere le Sezioni Semplici ad adottare il provvedimento di rimessione alle Sezioni Unite (proprio in ossequio al citato art. 374 c.p.c.);

tale interno dinamismo ermeneutico deve ritenersi positivamente avallato dalla stessa clausola di salvaguardia dettata dall’art. 2, 2° D. lgs. cit. (v. più compiutamente infra sub par.

n.0).

15 Così, nel nostro ordinamento giuridico (sotto sistema penale), in ragione del principio di ti- picità, per legge (art. 1 c.p.) è penalmente lecita ogni azione che non sia espressamente punita, sicché sul punto è esclusa normativamente qualsiasi lacuna; ma nel (sotto)sistema civile tale norma di chiusura non è rinvenibile ed anzi l’art. 12 disp. prel. c.c. prescrive il modo con cui colmare le lacune. V. M. BARBE- RIS, Filosofia del diritto. Un’introduzione teorica, pag. 202 e segg., Torino, 2005.

(8)

(l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali). L’interpretazione di tale ordito normativo non è agevole.

Innanzi tutto, se si ha cura di raccordare ancora una volta la normativa disciplinare al- la legge sulla responsabilità civile (v. retro sub par. n. 0), non v’è ragione per escludere che la previsione rubricata alla lett. a) abbia per oggetto (non solo i comportamenti, ma) anche i provvedimenti giurisdizionali, come difatti ritenuto dalle Sezioni Unite e dalla stessa Sezione Disciplinare16, in contrasto con quanto statuito dal provvedimento in commento (v. retro sub par. 0).

Assai più arduo è comprendere la portata dell’inciso «fatto salvo quanto previsto dalle lettere b) e c)» con cui esordisce l’art. 2,1° lett. a) del D. lgs. Tale ultimo illecito ha, per una prima parte, carattere omnicomprensivo (la violazione di uno dei doveri

‘sommi’ imposti dall’art. 1, 1° D. lgs.), anche se poi in seno alla legge delega n. 150 del 2005 viene accreditato topograficamente all’interno della violazione del dovere di imparzialità17; del che ci si fa subito una ragione, perché la condotta del magistrato che provochi ingiusto danno od indebito vantaggio ad una delle parti indubbiamente (ed innanzi tutto) non è imparziale. Dunque la legge delega ha incastonato (per pros- simità logica) tale illecito tra quelli che sono causati dalla parzialità del giudice; essa tuttavia, in ossequio alla specifica previsione della legge delega, espressamente fa di- scendere l’illecito dalla inosservanza di uno qualsiasi dei doveri ‘sommi’ (non soltanto l’imparzialità). Ma, proprio per questo tale illecito non sarebbe stato sufficientemente tipizzato se la sua previsione non contenesse una seconda parte: la violazione di uno qualsiasi dei doveri ‘sommi’ deve avere causato danno ingiusto ovvero indebito van- taggio ad una delle parti. A fronte di tale illecito quelli disegnati dalle lett. b) vel c) si caratterizzano perché: a) essi sono incastonabili soltanto nell’ambito del dovere d’imparzialità, giacché tanto il dovere di astensione quanto l’obbligo di denunciare le cause di incompatibilità compongono la 'posizione' oggettiva e soggettiva del giudice imparziale; b) coerentemente la violazione di tali doveri è sanzionata disciplinarmen-

16 «Premesso che nel novero dei "comportamenti" non rientrano soltanto, come si pretende nel mezzo d'impugnazione senza alcuna riscontro normativo, l'adozione di "atti" o "provvedimenti",ma anche le omissioni, in particolare in presenza di norme che prescrivano il compimento di attività processuali en- tro termini determinati va osservato che l'individuazione delle fattispecie sanzionabili non è rimessa all'arbitrio o all'illimitata discrezionalità dell'accusa e del giudice disciplinare, essendo comunque richie- sta, ai fini della sussumibilità della condotta nell'ipotesi di illecito de qua, la specifica riconducibilità della condotta addebitata,commissiva o omissiva che sia, alla violazione di uno dei suindicati doveri primari del magistrato»: così in motivazione Sez. U, Sentenza n. 3669 del 2011. Inoltre v. Sezione Disciplinare, Sentenza n. 112 del 2010, in motivazione: «L'ipotesi prevista dalla lett. a) dell'art. 2 costituisce, nell'ambi- to della tipizzazione degli illeciti, una norma di parziale chiusura, applicabile quando la condotta, libera nel contenuto, non sia riferibile interamente a nessuna delle altre fattispecie tipiche e sussistano i due re- quisiti specifici previsti dalla norma, quello della sua contrarietà ad uno dei prerequisiti fondanti del cor- retto esercizio della giurisdizione cui fa richiamo l'art. 1 e la produzione, quale conseguenza, di un ingiu- sto danno o indebito vantaggio ad una delle parti del procedimento. La mancata tipizzazione delle condot- te che possono integrare l'illecito rende ragione del ricorso al termine "comportamento" utilizzato dal le- gislatore, ma ciò non esclude che l'illecito possa essere costituito dall'adozione di un provvedimento o dal compimento di un atto, quando esso non integri tutti e solo gli elementi di una diversa fattispecie o quan- do sia intenzionalmente diretto alla produzione dell'effetto di danno o di vantaggio previsto dalla norma (sez disc. 3 luglio 2009 n. 109; 17 luglio 2009 n. 94; 12 febbraio 2010 n. 99/2010)».

17 Lo statuto disciplinare del magistrato viene disegnato dalla legge delega precisando quali siano i suoi ‘sommi’ doveri funzionali (imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equili- brio, rispetto della dignità della persona) e precisando, in esecuzione dell’impegno alla tipizzazione, poi per ciascuno di essi quali debbano essere gli illeciti disciplinari, poi introdotti dal decreto legislativo n.

109 del 2006, a sua volta modificato dalla l. n. 269 del 2006. Così in corrispondenza del dovere di impar- zialità, la legge delega così detta: «1) i comportamenti che, violando i doveri di cui alla lettera b), arre- cano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti; l'omissione della comunicazione al Con- siglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, come modificati ai sensi della lettera p); la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge».

(9)

te a prescindere dal verificarsi di un danno grave o di un indebito vantaggio delle parti.

Per contro, l’illecito specificato dalla lett. a), estendendosi a qualunque violazione dei doveri ‘sommi’ (ivi compreso quello di imparzialità, in ragione del quale esso viene addirittura dalle legge delega accomunato topograficamente alle lett. a e b: v. retro sub nota n. 17), è ulteriormente specificato dal verificarsi del danno ingiusto o dall’indebito vantaggio che ne sia conseguito. In difetto dell’inciso qui trattato («fatto salvo quanto previsto dalle lettere b e c»), l’interprete non avrebbe avuto alcun dub- bio: si applicano gli illeciti rubricati, rispettivamente, sub b) o sub c) se, accertata la loro consistenza, non ne sia conseguito danno ingiusto ovvero indebito vantaggio, se cioè fosse restata pregiudicata soltanto la posizione di neutralità conformata dalle ri- spettive disposizioni; si applica soltanto l’illecito disciplinare sub lett. a) qualora la vi- olazione di tale posizione oggettiva di neutralità (specificata ed isolata dagli illeciti b) vel c) avesse causato in concreto anche danno ingiusto ovvero indebito vantaggio18.

Ed a tale risultato avrebbe concorso (e concorre) in modo dirimente la considerazione delle conseguenze sanzionatorie, giacché la violazione dell’illecito sub a) è non a caso punita più gravemente rispetto agli altri due illeciti posti a raffronto. In un contesto normativo, che non si dà cura19 di richiamare espressamente né l’art. 15 c.p. né l’art. 9 della l. n. 689 del 1981 (in materia di sanzioni amministrative), il confluire di più norme sanzionatorie nei confronti del medesimo fatto rilevante deve essere arbitrato in base al principio (logico) di specialità20 oltreché in base al principio (di valore) dell’assorbimento21: principi che escludono entrambi la concorrenza dei due illeciti e delle rispettive sanzioni. A questo punto l’inciso «fatto salvo quanto previsto dalle let- tere b) e c)» non può costituire tecnicamente neppure una «clausola di riserva»22. Es- so si spiega in conclusione soltanto con la scarsa fiducia del legislatore delegato nella capacità ermeneutica del’interprete, cui ha inteso ovviare con un’errata tecnica legisla- tiva: la legge delega accomunava a) b) e c) all’interno dello stesso plesso di illeciti di- sciplinari (v. retro sub nota n. 17), senza alcuna gerarchia tra gli stessi; il legislatore delegato ha (ingiustificatamente) temuto che l’interprete potesse omettere di applicare

18 In termini di logica booleana:

se x rappresenta il danno ingiusto o l’indebito vantaggio e y 'qualunque' violazione di uno dei do- veri ‘sommi’ del magistrato, allora:

lett. a) = (y1 or y2 or yn) and x; dunque, lett. a) = (lett. b or lett. c) and x.

Sussisterebbe duplicazione precettiva e sanzionatoria se, nella predetta situazione, si ritenesse concorrenti tanto l’illecito di cui alla lett. a) quanto gli illeciti alternativamente rubricati sub b) e sub c).

19 L’art. 5 del D. lgs. disciplina il concorso d’illeciti soltanto sotto il profilo sanzionatorio.

20 Si è sopra rimarcato che l’illecito sub a), comprendendo anche la violazione del dovere di imparzialità implicato dagli illeciti sub b) vel c), è speciale rispetto ad essi, perché il primo è connotato anche dalla produzione del danno ingiusto o dell’indebito vantaggio (produzione estranea alla fattispecie degli altri due).

21 Tale principio «è invocabile per escludere il concorso di reati in tutte le situazioni nelle qua- li la realizzazione di un reato comporta, secondo l’id quod plerumque accidit, la commissione di un se- condo reato, il quale però finisce, ad una valutazione normativo – sociale, con l’apparire assorbito dal primo»; «la duplicazione della qualificazione penale si porrebbe pertanto in contrasto col principio del ne bis in idem sostanziale, principio che fa divieto di attribuire due volte ad un medesimo autore un accadi- mento unitariamente valutabile dal punto di vista normativo»; quanto alla norma applicabile «normalmen- te in proposito soccorre il criterio del trattamento penale più severo»: in tal senso G. FIANDACA – E.

MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1995, pag. 620 e 621. Sarebbe davvero illogico e contenutisticamente insostenibile sommare le sanzioni previste per la lett. a) con quelle previste per la lett. b) o c), con gli effetti dell’art. 5, 2° del D. lgs. (comunque interpretato).

22 La parte finale dell’art.15 c.p. (salvo che sia altrimenti stabilito) non può significare che ta- le clausola (c.d. di riserva) renda applicabile soltanto la norma generale (pur in presenza della norma spe- ciale), perché allora quella speciale resterebbe sempre inapplicabile; significa piuttosto che le due norme (quella generale e quella speciale) concorrono sempre, dando luogo ad un concorso formale (non apparen- te) di reati, in deroga al principio di specialità. In tal senso, G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, 2006, pag. 386. Sembra propendere invece per il concorso formale di illeciti a), da una parte e b) o c), dall’altra S. DI AMATO, loc. cit., p. 36 e segg.

(10)

le infrazioni previste dalle lett. b) o c) in carenza dell’elemento specificante del danno ingiusto o dell’indebito vantaggio (lett. a); perciò ha ribadito che la prossimità logico – contenutistica degli illeciti sub b) e c) con quello sub a) non doveva comportare la so- stanziale inoperatività, per il sol fatto che difettasse illecito danno o vantaggio delle parti, degli illeciti sub b) o c): ciascuno dei quali dunque deve essere «fatto salvo», cioè deve trovare applicazione in sé e per sé. Questo al postutto il senso di tale inciso;

che può essere annoverato tra i casi in cui la chiarezza del lessico comune («fatto sal- vo» significa puntualmente che b e c sono applicabili, ancorché non sussista la fatti- specie a), sconta uno spiccato iato rispetto alla tecnica legislativa ed al lessico setto- riale (che nella logica dell’art. 15 c.p. fa capo alla c.d. clausola di riserva), pervenendo a risultati ermeneutici che sembrano opposti fino a quando non se ne sveli il vero sen- so.

Così stando le cose, sembra possibile generalizzare il risultato interpretativo predetto ad ogni altra ipotesi, in cui per un verso ricorra una specifica fattispecie prevista dall’art. 2°, 1° D. lgs. di violazione di uno dei doversi ‘sommi’ e, per altro verso, resti integrata la fattispecie prevista dalla lett. a). Se perciò resti dimostrata la sussistenza dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 2, 1° lett. g) (grave violazione di legge de- terminata da ignoranza o negligenza inescusabile), tale da avere provocato ingiusto danno o indebito vantaggio, le due fattispecie disciplinari non concorrono perché tutto il disvalore insito nella vicenda è già sanzionato (più gravemente) dalla lett. a), atteso che anche la violazione ascrivibile alla lett. g) attiene al dovere sommo di diligenza che è già considerato tra quelli contemplati dall’illecito rubricato sub lett. a)23. In senso opposto si è pronunciata la Suprema Corte24, statuendo che «Le fattispecie di illecito disciplinare previste, rispettivamente, dalle lettere a) e g) dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 - che sanzionano, l'una, la violazione dei doveri di im- parzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetto della digni- tà della persona che arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti, e l'altra la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile - non sono tra loro in rapporto di specialità, potendo sussistere tanto gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile che non arrecano danno in- giusto o indebito vantaggio ad una delle parti, ma che comunque compromettono il be- ne giuridico (l'immagine del magistrato) a tutela del quale è diretta la previsione di o- gni illecito disciplinare di cui al d.lgs. n. 109 del 2006, quanto, simmetricamente, vio- lazioni dei doveri imposti al magistrato che non si traducono in gravi violazioni di leg- ge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile ed arrecano, tuttavia, ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti. Ne consegue che, quando un'unica con- dotta del magistrato ricada nella sfera di applicazione di entrambe le norme, ricorre un'ipotesi di concorso formale di illeciti disciplinari, tutti astrattamente sanzionabili».

Sennonché tale esito interpretativo è contestabile, osservando che è vero che, come ritenuto dalla sentenza commentata, si hanno «gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile che non arrecano danno ingiusto o indebito vantaggio ad una delle parti» (quelle per l’appunto incastonabili soltanto nell’illecito di cui alla lett. g); è altresì vero che si hanno «violazioni dei doveri imposti al magistrato che non si traducono in gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligen- za inescusabile ed arrecano, tuttavia, ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti» (è questo il caso, sopra esaminato, in cui dalla consumazione dell’illecito sub

23 V. retro sub nota 18.

24 V., in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 5943 del 11/03/2013, Rv. 625494, che ha dettato il seguente principio di diritto: «gli illeciti disciplinari previsti dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, rispettivamente alla lettera a) e alla lettera g) non sono tra di loro in rapporto di specialità, sì che il secondo prevalga sul primo, del quale ricorrano nella concreta fattispecie tutti gli elementi, ma dan- no luogo al concorso formale dei due illeciti, per ciascuno dei quali deve essere determinata la sanzione applicabile, salva l'applicazione dell'art. 5, comma 2 dello stesso decreto in tema di concorso d'illeciti di- sciplinari».

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lett. b o c discenda un danno ingiusto ovvero un indebito vantaggio). Tuttavia allorché la violazione del dovere di diligenza specificato sub lett. g) integri anche la fattispecie disciplinare sub lett. a), quest’ultima assorbe la prima per le stesse ragioni già espo- ste (retro sub par. 0 e nota n. 18).

A questo punto dovrebbe essere esplicito che la fattispecie disciplinare quale prevista dalla lett. a) ha una ricchezza contenutistica estranea agli altri specifici illeciti: soltanto essa infatti non solo abbraccia la violazione di ciascuno dei doveri ‘sommi’ imposti al magistrato, ma risulta ulteriormente tipizzata dal nesso causale con il danno ingiusto vel l’indebito vantaggio. Il che impone di estrapolare tra tutti gl’illeciti disciplinari tipizzati una macro fattispecie autonoma, quella per l’appunto dell’illecito costituito dal danno ingiusto vel dall’indebito vantaggio causati di per sé dalla violazione di uno qualsiasi di quelli che abbiamo definito doveri ‘sommi’: in sostanza è l’illecito disci- plinare dannoso, contrapposto all’illecito disciplinare tout court (cioè non dannoso).

Né è difficile inverare il fondamento logico – sistematico dell’illecito disciplinare dan- noso: a volere rammentare il necessario raccordo sistemico tra sistema disciplinare e responsabilità civile dei magistrati e dello stato (v. retro sub par. n. 0), non può che ri- velarsi ovvio che il «potere disciplinare» (cioè la potestà d’imporre l’osservanza dell’habitus dell’osservanza di un complesso di regole) imponga innanzi tutto ai magi- strati di non provocare, con condotte poste in essere in violazione dei doveri sommi lo- ro dettati, eventi dannosi, di cui per altro lo stato possa essere chiamato rispondere ci- vilmente. Di tal che, nel catalogo degli illeciti disciplinari, alcuni di essi esauriscono il loro disvalore nella inosservanza dei doveri sommi (se) qualificata da specifiche mo- dalità che ne costituiscono la fattispecie costitutiva (illeciti disciplinari tout court); ma se detta violazione abbia causato un danno ingiusto ovvero un illecito vantaggio, resta integrata comunque (e soltanto) la macro fattispecie autonoma dell’illecito disciplina- re dannoso (art. 2, 1° lett. a D. lgs.); che, essendo punita assi più gravemente, assorbe per l’appunto ogni altra previsione disciplinare (se pure in astratta ipotesi concorrente).

Nel primo caso la violazione disciplinare non esorbita dal rapporto tra (la condotta del) magistrato e l’istituzione investita dal potere disciplinare; invece la macro ipotesi dell’illecito disciplinare dannoso impinge anche nel rapporto tra (la condotta del) ma- gistrato (ed istituzione in cui esso è inserito) ed i terzi ingiustamente danneggiati ovve- ro indebitamente avvantaggiati (ed appare prima facie più che evidente che normal- mente l’indebito vantaggio dell’uno è correlato all’ingiusto danno di altri).

5. A questo punto può così enuclearsi l’impegno ermeneutico richiesto all’interprete per accertare e selezionare l’illecito disciplinare. In primo luogo egli dovrà individuare se risulti che il magistrato abbia violato in modo rilevante (cioè alla stregua del catalogo contenuto nell’art. 2, 1° D. lgs.) taluno dei sommi doveri elencati dall’art. 1, 1° D. lgs.

Indi se tale violazione non abbia causato anche danno ingiusto o indebito vantaggio, ap- plicherà la sanzione prevista per il corrispondente illecito; altrimenti dovrà fare capo alla sanzione prevista dall’art. 2, 1° lett. a) D. lgs. In conclusione (a completamento di quanto osservato retro sub nota n. 14):

le fattispecie previste dalle lett. a), g), h), m) ed ff) possono avere per oggetto anche provvedimenti giurisdizionali;

si resta nell’ambito della sfera di irrilevanza disciplinare funzionale ogni qual volta non sia riscontrabile alcuna delle fattispecie previste dall’art. 2, 1° D. lgs.; nel che con- siste la tipizzazione imperfetta degli illeciti disciplinari;

la violazione dei doveri sommi diventa disciplinarmente rilevante ogni qual volta essa provochi ingiusto danno ovvero indebito vantaggio;

sussistendo (soltanto) le fattispecie non dannose previste dalla lett. b), c), g), h) o ff) trova applicazione la relativa sanzione (per la lett. m v. infra sub par. 0);

se però la consumazione di tali illeciti abbia provocato ingiusto danno o indebito van- taggio i predetti illeciti restano assorbiti dalla macro fattispecie dell’illecito discipli- nare dannoso (art. 2, 1°, lett. a) assai più gravemente sanzionato; è appena il caso di precisare che, nel riscontro delle ipotesi disciplinari attinenti al dovere di diligenza (g,

(12)

h, m, ff) resta scontata la non applicazione della clausola di salvaguardia ex art. 2, 2°

D. lgs., che proprio per questo non richiama l’art. 2, 1° lett. a);

infine, la fattispecie rubricata sotto m) vale a rendere disciplinarmente rilevanti quelle violazioni del dovere di diligenza che non sarebbero rilevanti ex lett. g); ma, poiché la loro rilevanza è determinata proprio dall’effetto particolarmente dannoso che ne consegue (qualunque lesione di diritti personali o grave lesione di diritti patrimoniali), resta in ogni caso applicabile la lett. a). Si conferma così che l’ipotesi di cui alla lett.

m) vale ad imporre al magistrato soltanto un «precetto di cautela» nella interpretazione dei casi c.d. dubbi (v. retro sub par. n. 0), sicché resta comunque 'principale' l’illecito dettato dalla lett. g) dacché, mentre esso resta autonomamente sanzionabile anche in assenza di danno ingiusto o di indebito vantaggio, l’illecito sub m) è sanzionabile ex lett. a) soltanto se dannoso. Queste conclusioni si possono così visivamente rappresen- tare:

VIOLAZIONI DEI DOVERI SOMMI DI PER SE’ IRRILEVANTI

MA:

+

INGIUSTO DANNO O INDEBITO VANTAGGIO

ART. 2, 1:

LETTERA M)

LETT. A) ILLECITO DANNOSO

LETT. A) ILLECITO DANNOSO

ART. 2,1: LETTERE DIVERSE DA A) ED M)

ILLECITI NON DANNOSI

+

INGIUSTO DANNO O INDEBITO VANTAGGIO

LETT. A) ILLECITO DANNOSO

6. Passando dalle valutazioni logico-giuridiche a quelle ideali (o, se si vuole, di 'politica' del diritto), ma non ideologiche, non par dubbio che l’interpretazione adotta- ta dal provvedimento qui criticato risulta se non indulgente, quanto meno 'comprensiva'25 nei confronti del ceto dei magistrati. In realtà è questo il nodo più ar-

25 Non sembri eccessivo esplicitare che tale termine vuole qui richiamare la distinzione (in- trodotta da Dilthey) tra lo 'spiegare', fondato sulla causalità e proprio perciò soltanto delle scienze natura- li, ed il 'comprendere', come procedura propria soltanto delle scienze dello spirito, e dunque semantica- mente diversa dall’'indulgere'.

(13)

duo, perché impone di misurare la distanza davvero siderale tra il mondo teorico del diritto ed il concreto vissuto del nostro universo giuridico. Mentre la logica giuridica ha una sua precisa 'spiegazione' (quella sopra tentata), la 'comprensione' del reale at- teggiarsi del vissuto giudiziario ne evidenzia la totale divaricazione esistenziale. Nono- stante la sua altissima produttiva media (da tutti riconosciuta, siccome obiettivamente riscontrata), e forse (paradossalmente) a causa proprio di essa, il giudice italiano appa- re infatti – se la metafora non sembri blasfema - come un’utilitaria cui si imponga, sot- to pena di sanzione (anche disciplinare), di correre come una fuoriserie, non solo ri- spettando tutti i divieti ed i semafori, ma anche superando le molteplici e ben note a- sperità che ostacolano il suo lungo e periglioso percorso (difetti organizzativi ed in- formatici; enormi vuoti di organico; generale carenza di risorse; illegittimità diffusa cui forse paradossalmente corrisponde un enorme aumento della domanda di giustizia;

riforme legislative tanto numerose, quanto puramente cartacee; tecniche legislative che addossano alla giurisdizione compiti impropri; endemica sfiducia nell’attività giu- risdizionale e nei suoi protagonisti; etc.). Ed allora, se non si teme di apertamente so- stenere a spada tratta l’opzione per la celeritas, sposando cioè l’obiettivo puramente quantitativo della strategia complessiva del sistema giudiziario, anche a costo di pre- giudicarne l’intrinseca iustitia (che di per sé, cioè ceteris paribus, presenta insuperabi- li margini di incompatibilità con la celeritas), può apparire perfino coerente (se non addirittura indefettibile) una qualche (ancorché misurata) ‘comprensione’ (nel senso anzidetto) nei confronti di un così affannato magistrato. Tuttavia, constatato che do- po oltre un decennio il perseguimento della celeritas (parzialmente disgiunta dalla iu- stitia) non ha prodotto alcun serio risultato (neppure concretamente quantitativo), e specialmente dopo l’intervento ortopedico della Corte Europea (v. retro sub parr. nn.

0 e 0), sembra più appropriato auspicare e pretendere che, eliminati finalmente tutti i predetti ostacoli, i magistrati possano coniugare convenientemente celeritas (art. 111, 2° cost.) e iustitia (artt. 24 e 101 cost.) nell’interesse dell’utente finale della Giustizia;

rendendo così esigibile da essi quel tanto di rigore decisionale prescritto anche in via disciplinare. Forse è vero che, «per andare avanti, è necessario tornare indietro»26, ma è certo che l’osservanza della legge (anche di quella disciplinare) rappresenta un valore indefettibile, perché i doveri dei magistrati (al pari dei diritti27) vanno presi sempre sul serio.

26 G. SCARSELLI, Per un ritorno al passato, pag. XI, Milano, 2012.

27 R. DWORKIN, Taking rights seriously, Cambridge, 1977.

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