131 generali che emergono da questa valutazione sono in parte generalizzabili anche per i modelli degli altri elementi chimici.
Lo scatterplot dei residuali del fitting del modello sul test set (Fig. 25a) mostra una leggera eteroschedasticità, evidenziando la propensione dei valori a co-variare in funzione della grandezza dei valori attesi. Il grafico mostra infatti come vi sia una tendenza del modello a sovrastimare per valori bassi attesi e come l’errore predittivo aumenti all’aumentare dei valori attesi. La performance del modello e l’analisi dei residuali calcolati sul test set indicano tuttavia una buona capacità predittiva nel predire valori in localizzazioni non distanti dal training set.
L’analisi dei grafici Q-Q (Fig. 25b-c) mostra come, sia nel caso dei residuali calcolati all’interno della random CV che della spatial CV, siano presenti dei valori estremi ed alcuni outlier che incidono sulla deviazione della distribuzione dei residuali rispetto ad una distribuzione normale.
Nel caso di random CV (Fig. 25b) la deviazione della distribuzione dei residuali è più marcata rispetto a quella di spatial CV (Fig. 25c), nonostante i modelli siano risultati apparentemente più performanti in termini di RMSE e R
2. La differenza tra le curve di distribuzione dei residuali nei due metodi di validazione mette in evidenza come la spatial CV sia più robusta all’overfitting e offra valori di performance più attendibili per aree distanti dalle localizzazioni di campionamento. L’overfitting del modello è da imputare probabilmente alla strategia di
Fig. 25 - Grafici dei residuali: (a) Residuali dei valori predetti vs. attesi del fitting del modello sul test set; (b) Q-Q plot dei
residuali all’interno della random CV; (c) Q-Q Plot dei residuali all’interno della spatial CV.
Signed 31/05/2021
132 campionamento al suolo eseguita tramite pattern clusterizzati attorno ad alcune localizzazioni principali (v. §III.6.3.4) in presenza di autocorrelazione spaziale nei valori delle proprietà del suolo, già evidenziati tramite risposta spettrale (predictors) e dato geochimico (response) (v.
§III.6.3.5.4).
Per tutti e sette i modelli creati è stato eseguito il fitting sul rasterstack dei predictors per ottenere le mappe di distribuzione spaziale degli elementi chimici sul territorio della pianura del Fiume Cornia (Tav. 19).
Per verificare l’incidenza sul modello dell’utilizzo di variabili predictors affette da SAC legata alle dipendenze spaziali delle proprietà dei suoli, è stata sperimentata l’applicazione del metodo FFS in abbinamento con la spatial CV (v. §A.1.3). La selezione delle variabili sulla base del miglioramento apportato alle capacità predittive dei modelli ha permesso di selezionarne un numero ridotto, generalmente compreso tra sei e nove, rispetto alle quattordici variabili del dataset originario. Il fitting dei modelli ha restituito valori di performance leggermente più bassi rispetto ai modelli costruiti utilizzando tutte le variabili, con valori R
2leggermente inferiori e un lieve incremento dell’RMSE. Se alla diminuzione dei gradi di libertà corrisponde generalmente una riduzione dell’overfitting del modello, la valutazione visiva dei raster prodotti attraverso la selezione di variabili non ha tuttavia evidenziato apprezzabili miglioramenti rispetto a quelli prodotti attraverso i modelli che utilizzano tutte le variabili. Questo dimostra come nessuna delle variabili del dataset abbia influito negativamente nella valutazione dell’accuratezza dei modelli in funzione della SAC presente nei dati e della strategia di campionamento su cui è costruito il training set.
Fig. 26 - Performance del FFS con le variabili selezionate dalla spatial CV per la predizione dei valori di calcio (Ca). Il grafico a sinistra mostra la riduzione dell'RMSE in relazione al numero delle
variabili impiegate nel modello. Il grafico a destra mostra l’importanza delle singole variabili selezionate che determinano la migliore performance predittiva.
.
133 III.6.4.2.2 - Autocorrelazione spaziale dei residuali
LISA statistic permette di studiare se i residuali assumono una disposizione clusterizzata nello spazio e dove questi cluster siano localizzati, allo scopo di identificare i fattori alla base della non stazionarietà
91dei valori nello spazio. Dopo aver costruito la matrice dei pesi dei dati residuali, definendo un range di ricerca di 500 m e individuando per ogni punto un numero di vicini compreso tra 60 e 1400, è stata calcolato l’indice Local Moran’s I per verificare la presenza di eterogeneità spaziale (Fig. 27). La visualizzazione dei valori statisticamente significativi (p-value<0.01) mostra la presenza di cluster di bassi valori (low-low) in corrispondenza dell’area a SE della pianura, interessata dalla presenza dell’antica Laguna di Torre Mozza e dall’area retrodunale, e diversi cluster di alti valori (high-high) localizzati in corrispondenza dei dossi fluviali e dei ventagli di rotta. È interessante notare che queste localizzazioni di clustering corrispondono alle aree in cui i valori di calcio assumono rispettivamente i valori più bassi e i valori più alti della distribuzione. La tendenza generale del modello a sottostimare per valori alti e sovrastimare per valori bassi conferma la valutazione che era stata fatta dal grafico dei residuali della cross-validation, e sembra indicare la necessità dell’aggiunta di ulteriori variabili nei modelli, in grado di migliorare il riconoscimento dell’unicità di ciascuna localizzazione e le capacità predittive. Questo fattore può essere considerato limitante nell’eventualità della ricerca di un metodo di predizione affidabile a livello quantitativo. Tuttavia, il generale appiattimento del range di valori predetti non sembra influire, per lo meno nelle aree campione sulle quali è possibile effettuare un confronto diretto con i valori chimici misurati al suolo, sul riconoscimento dei contrasti tra le diverse regioni della pianura.
91
Un processo è definito non stazionario quando le caratteristiche del processo stocastico
cambiano nel tempo o nello spazio
134
Fig. 27 - LISA statistic dei residuali. Regioni statisticamente significative high-high e low-low (p- value<0.01)
III.6.4.2.3 - Modellazione dell’incertezza
La modellazione dell’incertezza del calcio è stata calcolata per ogni pixel a partire dalla
deviazione standard della distribuzione di probabilità costruita tramite l’applicazione di QRF
(v. §A.1.4). Questa rappresenta il range tra i valori estremi che una predizione può assumere
per ogni localizzazione, in questo caso per ogni pixel dell’immagine, considerati i dati e i
predictors disponibili. L’incertezza totale è quindi divisa per il valore medio della predizione per
ottenere una mappa percentuale dell’incertezza, che risulta di più semplice interpretazione
(Fig. 28). La mappa mostra chiari pattern spaziali che sembrano non tanto legati alla
localizzazione dei campionamenti, quando piuttosto alla distribuzione spaziale della
concentrazione dell’elemento chimico calcio nel suolo. L’incertezza relativa maggiore si registra
infatti in corrispondenza delle aree che esibiscono valori di calcio più bassi, come le aree
attorno al reticolo idrografico moderno e le aree più depresse della pianura, mentre risulta
minore incertezza relativa dove il calcio esibisce valori più alti, ad esempio in corrispondenza
delle forme deposizionali come dossi fluviali e ventagli di rotta.
135
Fig. 28 - Incertezza totale in percentuale sui valori di calcio
136
TAVOLE 9-10
137
Tav. 9 - Carta delle principali Unità di Paesaggio pedologico (DB pedologico Regione Toscana, scala 1:10000)
138
Tav. 10 - Classificazione supervisionata con Max. Spectral Angle e classi attese
139 III.7 - Analisi del parcellario
III.7.1 - Introduzione
L’analisi delle forme del paesaggio storico attraverso la cartografia e il remote sensing è una pratica consueta dell’archeogeografia francese, una disciplina sviluppatasi in Francia a partire dagli anni ’80 del secolo scorso. Tale disciplina si discosta dalla geografia moderna per la profondità spaziale e storica che viene riconosciuta alle forme che compongono il paesaggio (Watteaux 2014).
La crescente importanza dell’analisi del parcellario all’interno degli studi sul paesaggio è il riflesso di un maturato approccio verso l’argomento, che ha riconosciuto nel tempo l’importanza dei temi quali la trasformazione, la diacronicità e l’interazione tra antropizzazione e ambiente naturale. La centralità di questi elementi è riassunta nella definizione stessa di forma parcellaria, che è definita come “il risultato della razionalizzazione che una società proietta sullo spazio […] quindi dall’identificazione di questa razionalizzazione se ne deducono i principi che l’hanno originata” (Villaescusa 2002). Lo studio del parcellario si configura quindi come lo studio dello spazio delle società del passato, in tutte le dimensioni e a più livelli di scala spaziale e temporale, in modo da contribuire alla ricostruzione della periodizzazione storica delle forme e alla conoscenza delle dinamiche di lungo termine. Ad una lettura puramente storica, si aggiungono quindi le considerazioni sui fenomeni che hanno consentito alle forme del paesaggio di tramandarsi e di ibridarsi, attraverso lo spazio e il tempo.
L’idea di uno spessore cronologico attribuibile alle forme del paesaggio agrario era già stata teorizzata da Sereni (Sereni 1961,26) con il concetto di “inerzia”; questo prevede che in seguito alla determinazione di una forma, essa tenda a perpetuarsi nel tempo anche se non sono più presenti i meccanismi tecnici o i motivi sociali e produttivi che hanno portato alla sua origine.
L’innovazione introdotta dalla scuola francese riguarda un marcato interesse alla
contestualizzazione ambientale, tenendo conto che ogni elemento del paesaggio esiste in
rapporto ad un sistema che lo genera e che gli elementi prodotti da questo sistema devono
essere messi in relazione all’elemento analizzato. La forma che osserviamo ai giorni nostri non
rappresenta ciò che è stato creato in un momento storico, ma è il risultato di un’ibridazione
avvenuta nel tempo e che ha conservato tutte le modificazioni tramandate sulla lunga durata
(Watteaux 2009). Viene quindi rinnovata la questione tra forma fossile e forma attiva,
introducendo il concetto di forma trasmessa, vale a dire una forma fossile che potenzialmente
è stata ripresa successivamente o una forma attiva che è il risultato di un’eredità accumulata
140 nel tempo (Watteaux 2013).
Attraverso l’analisi del parcellario e dalla lettura combinata dei dati provenienti dalle analisi morfometriche e geomorfologiche elaborate a partire dagli strumenti di remote sensing (v.§IV.1), questo studio si prefigge i seguenti obbiettivi:
- individuare i processi morfogenetici che hanno portato alla formazione del parcellario per determinare l’influenza di determinati fenomeni antropici e naturali sulla strutturazione del paesaggio;
- individuare il rapporto tra le forme e le condizioni paleo-ambientali, valutando la diversa risposta del paesaggio a processi simili, per cercare di stabilire delle cronologie nei processi morfogenetici;
- valutazione dell’impatto della bonifica moderna sulla strutturazione del paesaggio attraverso il confronto con le fotografie aeree dei voli storici, per la creazione di una sorta di cronologia degli interventi di bonifica.
III.7.2 - Strumenti e metodi dell’analisi del parcellario
Dal punto di vista dell’analisi spaziale, il parcellario agrario può essere considerato uno schema di celle distribuito sulla superficie del territorio, la cui struttura è stata definita come un
“sistema grafico di suddivisione delle superfici territoriali, finalizzato alla delimitazione delle proprietà e allo sfruttamento delle potenzialità agronomiche di un sito” (Tosco 2009, 187). La particella è un manufatto agrario, ma da un punto di vista stratigrafico il concetto può essere semplificato individuando un’area chiusa da confini, priva di suddivisioni interne.
Le particelle possono essere suddivise in due grandi categorie a seconda delle tipologie di confini: microparticellare e macroparticellare (Tosco 2009, 219–20).
Il microparticellare corrisponde a una suddivisione basata su confini di tipo ideale, testimoniati solo sulle carte catastali, mentre il macroparticellare si basa sul riconoscimento di confini topografici, riconoscibili attraverso l’individuazione di elementi di discontinuità tangibili, come linee di struttura, infrastrutture e idrografia. Questi ultimi tendono a conservare la loro conformazione più a lungo, essendo materialmente tracciati e delimitati sul terreno.
Ad una scala di analisi più ampia, l’organizzazione delle particelle permette l’individuazione di
forme intermedie organizzatrici della planimetria, dette forme morfologiche puntuali o unità di
141 paesaggio (UP)
92(Watteaux 2009; Colecchia 2012). Queste sono costituite da un raggruppamento di particelle effettuato sulla base dei criteri di isoclinia, isotopia e isoassialità
93, analizzando tendenze generali nelle forme, negli orientamenti e nelle irregolarità nella divisione particellare, oltre che nelle delimitazioni naturali (idrografia e topografia) e nella presenza di elementi generatori (insediamenti, viabilità).
Questo livello di analisi risulta più facilmente comprensibile perché permette di individuare l’influenza di una serie di fattori morfogenetici, sia di carattere naturale che antropico, che hanno agito sulla strutturazione di un gruppo unitario di particelle appartenenti allo stesso contesto.
Tra le principali forme morfologiche puntuali individuate nel caso studio della pianura della Val di Cornia, secondo la classificazione in parte ripresa da (Watteaux 2009, 372) vi sono:
- Corridoio idro-vegetazionale: si tratta di fasce di territorio dall’andamento ondulato, caratterizzate da parcellizzazioni dalla forma irregolare, che si formano in presenza di determinate condizioni morfologico-ambientali lasciate dalla presenza di paleoalvei o dossi fluviali.
- Area di Bonifica. Sono aree di paleoalvei, paludi e stagni, che tramite azioni programmate ben definite sono state bonificate e riparcellizzate in maniera ortogonale. Sono riconoscibili dalla dimensione ridotta dei singoli lotti, che acquistano gli orientamenti dei principali fossi di drenaggio. Il rapporto delle forme delle particelle con la morfologia viene perduto in funzione di un’organizzazione razionale degli spazi.
Fondamentale per l’analisi stratigrafica del paesaggio è il riconoscimento di modelli di lettura diacronica dei tessuti particellari, che possono impostarsi a partire dal il riconoscimento di
92
Unità di Paesaggio è il termine adottato dalla scuola di Padova in riferimento al parcellario agrario: “unità spaziale caratterizzata da coerenza e limitazione geografica funzionale”(Colecchia 2012; Brogiolo 2015)
93
L’isoclinia è il principio di permanenza degli orientamenti di una forma attraverso il tempo, pur registrando delle variazioni dei suoi limiti; al contrario si definisce anisoclinia la rottura
dell’orientamento delle forme in presenza di una nuova ripartizione senza rapporto con la
precedente. L’isotopia è la trasmissione di uno stesso elemento planimetrico nella lunga durata
nonostante il cambio di forma o funzione di una particella. L’isoassialità è il principio di trasmissione
delle informazioni come estensione di un elemento morfogeno. (Glossaire 2003, p. 300).
142 linee matrici (Tosco 2009, 219–34), ossia gli assi principali della colonizzazione del territorio, che hanno costituito la base di appoggio nel disegno della parcellizzazione.
94Nel caso della viabilità
95, per esempio, quella che si osserva dalla cartografia storica o da remoto non è altro che la stratificazione di tracce differenti sovrapposte nel corso del tempo sullo stesso itinerario.
Se la costituzione di un itinerario risponde ad un esigenza di spostamento tra due centri, lo stesso itinerario è di per sé un elemento morfogenetico nei confronti del parcellario e degli insediamenti che vi si relazionano.
Sono state selezionate le sezioni del Catasto Leopoldino che interessano gli spazi della pianura alluvionale e costiera tra le comunità di Campiglia, Suvereto e Piombino. I fogli sono stati georeferenziati nuovamente con gli elementi riconoscibili del paesaggio moderno, per limitare le imprecisioni evidenziate localmente. La vettorializzazione delle particelle è stata eseguita preliminarmente attraverso una procedura semi-automatica di tipo OBIA (v. §III.8.4.3) e corretta manualmente in QGIS, portando alla creazione di 1000 poligoni circa.
Il primo passo è stato quello di semplificare la complessa ripartizione degli spazi andando ad individuare le forme organizzatrici della pianura, attraverso la scelta di alcuni criteri:
- Individuazione delle forme del macroparticellare che hanno mantenuto una corrispondenza con la topografia, analizzata in termini di forme concave o convesse del territorio
- Individuazione dei paleoalvei
- Accorpamento del microparticellare in corrispondenza di lottizzazioni regolari proprie della bonifica. Queste sono riconoscibili dal perfetto orientamento con i canali di drenaggio rettificati o dalle trame perfettamente ortogonali che hanno cancellato ogni legame con il paesaggio fisico.
94
Proprio per i principi di ibridazione ed eternizzazione delle forme, in assenza di dati stratigrafici sembra abbastanza rischioso tentare una ricostruzione cronologica della parcellizzazione del territorio, così come quella di realizzare una crono-tipologia relativa delle forme (Chouquer 2000).
95
Si riprende in questo caso la distinzione effettuata dalla scuola francese per comprendere la complessità della rete viaria nella sua strutturazione stratigrafica (Watteaux 2013): il flusso corrisponde all’individuazione di un’esigenza di spostamento tra due unità spaziali, quantificabile in base al numero di oggetti in movimento in un dato periodo. Il flusso si traduce in una forma tangibile, la traccia o percorso, destinato a permettere la comunicazione tra i due centri.
L’itinerario è la relazione più corta tra due punti che si mantiene nella lunga durata, senza però
mantenere necessariamente lo stesso percorso. La traccia è la forma lasciata al suolo per la
circolazione di un flusso, e spesso più tracce coesistono all’interno di un itinerario.
143 Le forme organizzatrici consentono di escludere dall’analisi la percezione frammentata e regolare degli spazi che deriva dalla presenza di divisioni microparticellari legate alla bonifica, presenti su gran parte del territorio e su tutte le tipologie di forme individuate. L’attenzione si sposta quindi ai limiti irregolari delle forme macroparticellari, che si sono tramandati sul territorio grazie ad una secolarizzazione delle forme. Se legati ad un fenomeno naturale, i limiti possono individuare la presenza di paleoalvei e aree umide, mentre se legati ad un’origina antropica, possono corrispondere alle direttrici che hanno guidato la strutturazione del paesaggio agrario e che aiutano a comprendere l’evoluzione della rete infrastrutturale(Fig. 29).
Fig. 29 - Individuazione delle principali forme aggregatrici del parcellario
144
III.8 - LiDAR: Analisi del dato LiDAR e classificazione delle forme del paesaggio archeominerario
III.8.1 - Introduzione
Rilievi LiDAR ( Light Detection and Ranging ) permettono l’elaborazione di modelli digitali di elevazione (DEM) ad alta risoluzione su grandi estensioni territoriali e con accuratezza sempre maggiore, segnando una vera e propria rivoluzione per tutte quelle discipline che hanno come oggetto di studio il territorio. Con il progressivo sviluppo tecnologico, queste soluzioni si stanno diffondendo rapidamente grazie alla diminuzione dei costi, all’aumento della risoluzione di rilievo e alla crescente affidabilità (Fernandez-Diaz et al. 2014). In archeologia l’utilizzo di questa tecnologia è diventato di fondamentale importanza per la sua capacità di migliorare la nostra percezione del paesaggio (Chase, Chase, e Chase 2017). Applicazioni di rilievi LiDAR aviotrasportati (ALS) hanno trovato spazio nella topografia e nelle ricognizioni, spesso risultando l’unico modo di rilevare aree di difficile accesso. L’alta densità dei punti consente di rilevare dettagliatamente piccole unità di paesaggio e siti individuali, e al tempo stesso di mantenere le relazioni con il contesto geomorfologico e la caratterizzazione del paesaggio (R.
S. Opitz e Cowley 2013). Sin dai primi anni 2000, i rilievi hanno permesso di realizzare modelli del terreno in ambienti difficili e complessi, sfruttando le potenzialità del fascio laser nel penetrare gli strati della vegetazione e di raggiungere il terreno (R. S. Opitz e Cowley 2013).
Proprio la capacità di rilevare la forma del terreno al di sotto della copertura vegetazionale rende questa tecnologia particolarmente adatta per gli studi archeologici sul paesaggio, andando a colmare un bias conoscitivo legato alle difficoltà delle metodologie di indagine tradizionali di operare in contesti caratterizzati da copertura boschiva.
Se si analizza la distribuzione spaziale dei record archeologici presenti nella banca dati del progetto nEU-Med, si nota come vi sia un grosso squilibrio nella distribuzione delle Unità Topografiche archeologiche tra le aree aperte e quelle coperte da vegetazione boschiva, che costituiscono circa il 40% del territorio preso in analisi (Fig. 30). Allo scopo di individuare elementi specifici del paesaggio in queste ultime aree, come ad esempio antichi terrazzamenti agricoli, cambi di uso del suolo agroforestale, evidenze legate allo sfruttamento minerario, carbonaie, insediamenti, viabilità e sistemazioni idrauliche, il progetto nEU-Med ha previsto una campagna di rilievo ALS su un’area di circa 22.000 ettari, a cavallo dei territori comunali di Monterotondo Marittimo, Massa Marittima e Montieri, nell’alta provincia di Grosseto (Fig.
31). Gran parte del territorio coperto rientra all’interno del grande comprensorio geografico
denominato Colline Metallifere Grossetane (v. §III.8.4.2).
145 Il volo è stato eseguito in condizioni di leaf-off
96il 2-4 Marzo 2019 per massimizzare le capacità di penetrazione del fascio laser tra gli strati della vegetazione e ottenere conseguentemente una maggiore densità di punti a terra.
L’utilizzo del dato LiDAR all’interno del progetto nEU-Med si è concentrato, per il momento, su aspetti metodologici utili a creare le premesse per successivi progetti di indagine sul territorio.
In particolare, in questa tesi saranno discussi tre aspetti principali:
1. Verifica delle potenzialità archeologiche dei DTM già elaborati dalla compagnia di ripresa attraverso lo studio di un contesto di riferimento conosciuto.
2. Sperimentazione di algoritmi alternativi per migliorare la classificazione dei punti a terra (ground) in presenza di strutture archeologiche in elevato.
3. Sviluppo di metodologie di classificazione semi-automatica su base OBIA per l’identificazione e la mappatura di elementi del paesaggio archeominerario.
Fig. 30 - Distribuzione delle UT in relazione alla diversa copertura del terreno
96
Periodo di riposo vegetativo delle specie caducifoglie
146
Fig. 31 - L'area interessata dal rilievo LiDAR ALS realizzato dal progetto nEU-Med
147
III.8.2 - Principi di funzionamento e specifiche tecniche del rilievo LiDAR
Il principio di funzionamento del sistema di scansione LiDAR è basato sull’emissione con un’alta frequenza di ripetizione di un impulso laser a partire da una piattaforma (aerea, terrestre o orbitale). Il tempo che intercorre tra l’emissione degli impulsi e il ritorno del fascio riflesso dopo aver colpito un ostacolo viene misurato dal sensore e consente di stimare la distanza che separa il sensore stesso dall’oggetto. Il fascio laser può incontrare diversi ostacoli durante il suo percorso ed essere riflesso totalmente o solo parzialmente. Ogni ostacolo genera una perturbazione del segnale (eco di ritorno) che consente di registrare la presenza di numerosi oggetti a distanze variabili permettendo, per esempio, di separare i diversi strati della vegetazione
97(Fig. 32).
Fig. 32 - Il principio di funzionamento del laser fullwaveform e dell'estrazione degli echi di ritorno.
Il fascio laser emesso da una piattaforma montata su un velivolo viene proiettato verso il suolo.
Durante il percorso verso terra il fascio può incontrare diversi ostacoli che generano una
perturbazione dell’onda. I picchi più importanti vengono individuati per estrarre la posizione degli ostacoli colpiti.
97
Full-waveform indica la registrazione della forma dell’onda laser di ogni impulso ricevuto dal
sensore. Si differenzia dai rilievi di tipo Discrete Echo , in cui l’onda viene processata sul momento e
vengono immagazzinati solamente gli echi di ritorno più importanti.
148 Il volo è stato eseguito dalla società Italian Remote Sensing IRS con l’aeromobile bimotore ad ala fissa PARTENAVIA P68C-TC ad un’altezza media di 600 m rispetto alla quota del terreno, con una variazione minima e massima compresa tra 400 m e 800 m a seconda della presenza di rilievi montuosi e zone vallive. Lo scanner utilizzato è un Riegl VQ780i
98in grado di acquisire in formato Full-Waveform ad una frequenza di 1000 kHz. La copertura fotografica per la generazione dell’ortofotopiano è garantita da una camera medio formato (53.4x40 mm) Hasselblad A6D-100c da 100 Mpix con obiettivo 35 mm. Alla quota di progetto è stato ottenuto un GSD medio di circa 8cm, con un range variabile tra 5 cm e 10 cm a seconda della quota raggiunta in ciascuna area.
Il volo è stato acquisito con un FOV
99di 60° per acquisire un maggior numero di punti ai lati della strisciate di scansione e massimizzare la sovrapposizione tra le strisciate parallele; in fase di analisi queste sono state poi ridotte a soli 45° per una maggiore precisione delle misurazioni.
Questo ha consentito di ottenere una sovrapposizione laterale del 20% e di realizzare un abbraccio trasversale a terra di circa 650 m, con una densità media dei punti a terra lungo la singola strisciata maggiore di 20 pts/m
2. La divergenza del fascio laser incidente è stimata in un’impronta circolare al suolo con raggio inferiore ai 18 cm su 1000 m AGL (0.18 mrad), limitando la dispersione di energia e il disturbo degli echi di ritorno.
Il processamento dei dati
100ha previsto il trattamento per la compensazione dei dati inerziali registrati dall’IMU (Inertial Measurement Unit), e la stima del posizionamento e dell’orientamento attraverso la sincronizzazione con 5 stazioni permanenti della rete ITALPOS situate nel raggio di 50 Km. Prima del rilievo, il sistema è stato calibrato su di un’area campione
98
Il modello dello scanner in questione risolve il problema del Multiple Time Around, fenomeno che si verificava con sensori più vecchi quando le alte frequenze di scansione e le quote operative elevate potevano determinare il rientro al sensore di impulsi diversi nello stesso momento, o in momenti successivi mentre venivano già inviati altri impulsi. In queste condizioni, gli echi ricevuti potevano non essere associati ad un preciso impulso dal quale erano stati generati, ma a qualcun altro degli impulsi precedenti o successivi, finendo per stimare distanze maggiori o minori rispetto alla realtà, e quindi errate (Rieger e Ullrich 2011). I sensori con la nuova tecnologia riescono a risolvere questa ambiguità identificando ciascun eco di ritorno e associandolo in post-produzione con l’impulso laser di appartenenza. L’acquisizione di echi che rientrano con un ritardo maggiore di un intervallo di ripetizione consente di superare i limiti imposti dalla frequenza di scansione e dalla quota massima di rilevamento, ampliando notevolmente le possibilità di pianificazione del progetto.
99
FOV (Field of View) indica l’angolo di ripresa del sensore
100
Il seguente contributo è frutto della formazione ricevuta dalla società IRS che ha eseguito il
rilievo sul campo in merito alle procedure da loro seguite per il trattamento del dato.
149 conosciuta (area test) per determinare le differenze direzionali tra il sistema inerziale e il sistema LiDAR. La distanza tra l’antenna GPS montata sul velivolo e il LiDAR viene determinata preliminarmente ogni volta che il sistema viene installato, misurando gli angoli e le distanze con una stazione totale. Nell’area campione il velivolo segue uno schema incrociato con quattro linee di volo perpendicolari, acquisendo i dati di ogni superficie da diverse angolazioni/prospettive.
Il processamento dei dati prevede un ulteriore sistema di calibratura tramite l’estrazione degli echi più significativi dalla forma d’onda e la generazione di una nuvola di punti georeferenziata.
La verifica della qualità viene effettuata nelle giunzioni tra strisciate parallele e nelle intersezioni tra strisciate trasversali, compensando la traiettoria attraverso strumenti di analisi statistica che riducono così le discrepanze osservate. Una volta accertata la qualità geometrica del dato si passa al filtraggio e alla classificazione della nuvola di punti grezza. La classificazione dei punti viene eseguita all’interno del software Terrascan di Terrasolid
101al fine di suddividere i punti nelle classi di appartenenza: terreno, vegetazione (bassa, media, alta), edificato e low points. A quest’ultima categoria appartengono tutti i punti outliers, ossia quelli con una quota macroscopicamente errata causata da falsi ritorni o da elementi di disturbo (es. specchi d’acqua). La classificazione è supervisionata dall’operatore che, a seconda del contesto e della propria esperienza, sceglie i parametri necessari per permettere al software di discriminare i punti attribuibili al terreno. La scelta dei parametri avviene su aree omogenee in base alla morfologia del terreno e prevede il controllo manuale finale del risultato. Al termine della classificazione i prodotti sono stati suddivisi in tiles (blocchi) di 1000x1000 m per favorire la gestione e il processamento. I prodotti così ottenuti sono stati
-DTM 0,5 m di risoluzione -DSM 0,5 m di risoluzione -Ortofoto RGB con GSD = 8 cm
-Nuvola di punti classificata in formato .las
-Strisciate allineate in formato .las con file waveform in formato .wdp
-Scatti fotografici singoli dotati di orientamento esterno (coordinate di scatto) -File di traiettoria SBET
-Pianificazione del piano di volo e quadri di unione delle tavole
101
http://www.terrasolid.com/products/terrascanpage.php
150
III.8.3 - Algoritmi di classificazione dei punti ground a confronto
La prima fase di sperimentazione è stata finalizzata alla valutazione del grado di dettaglio raggiunto dal DTM nella descrizione degli elementi, sia naturali che antropici, che contribuiscono alla morfologia del territorio in un contesto tipico del panorama delle Colline Metallifere Grossetane. Analizzando il DTM si può valutare di conseguenza anche l’efficacia, per gli scopi della ricerca, del metodo di classificazione dei punti del terreno che è alla base dell’interpolazione del modello digitale.
L’area selezionata per il test è quella del sito archeologico di Monteleo, nel comune di Monterotondo Marittimo (GR). Il sito è caratterizzato dalla presenza di grandi strutture in pietra (fornaci e caldaie) attribuibili al periodo compreso tra il XV e il XVIII secolo e finalizzate alla trasformazione del minerale alunite in sali di allume (Dallai 2014). Dal punto di vista della visibilità del suolo, l’area del complesso produttivo è quasi completamente aperta, mentre il contesto attorno al sito è coperto da bosco deciduo (Dallai e Poggi 2011). Proprio in questa seconda circostanza l’analisi del DTM ha evidenziato un’ottima capacità del dato LiDAR nel penetrare gli strati della vegetazione, restituendo un modello digitale sufficientemente dettagliato a descrivere le principali morfologie del territorio collinare, con linee di struttura ben definite e superfici poco rumorose che facilitano la lettura degli elementi topografici del paesaggio, anche di modesta dimensione. Il DTM evidenzia molto bene i grandi corpi di fabbrica delle strutture archeologiche, delle caldaie e delle fornaci, mentre non registra la presenza di allineamenti murari di strutture isolate o con minore continuità spaziale. Questa valutazione preliminare ha permesso di stabilire l’ottima capacità del DTM nel modellare determinati elementi del paesaggio attorno al sito, come terrazzamenti, cave a cielo aperto e imbocchi di miniera, mostrando tuttavia un limite per quanto riguarda le strutture in elevato (Fig. 34b).
III.8.3.1 – Algoritmi TIN e Robust Interpolation
Per cercare di includere all’interno del DTM anche i ritorni degli impulsi che hanno raggiunto
le creste dei muri di strutture archeologiche in elevato, la nuvola di punti è stata nuovamente
151 riclassificata utilizzando un algoritmo di tipo TIN
102. Da letteratura è noto come tale algoritmo, che si basa esclusivamente su criteri di tipo geometrico, richieda l’affinamento dei parametri sulla base delle caratteristiche proprie di ogni contesto (Fernandez-Diaz et al. 2014).
Utilizzando varie combinazioni di parametri attraverso un approccio trial-and-error, sono stati prodotti diversi DTM che hanno evidenziato come valori di soglia meno restrittivi consentano di classificare come ground anche alcuni ritorni posizionati ad una certa altezza sopra la quota reale del terreno. Questo migliora la capacità del DTM di modellare la forma delle strutture in elevato, ma contestualmente favorisce l’inclusione di tutta una serie di punti appartenenti ad elementi collocati nella medesima fascia di altezza rispetto al suolo, come ad esempio cespugli ed elementi del sottobosco, che introducono una grande quantità di rumore nel raster (Fig.
34c). Si è quindi resa necessaria la ricerca di altri parametri discriminanti, per separare superfici piane e regolari, come quelle delle creste delle strutture, dagli elementi morfologicamente irregolari non di natura antropica.
Per cercare di superare i limiti riscontrati nell’utilizzo di algoritmi di tipo geometrico, è stata sperimentata l’applicazione di un algoritmo di classificazione di tipo gerarchico, incluso nel software OPALS
103(Pfeifer et al. 2014). L’algoritmo, denominato robust interpolation , consente di attribuire pesi (weight) diversi ai punti della nuvola sulla base di determinati attributi, che possono derivare, ad esempio, dall’analisi della forma dell’onda del segnale laser ( fullwaveform
102
L’algoritmo di Axelsson è definito di tipo Progressive TIN Densification. L’algoritmo crea una griglia la cui dimensione è definita dalla massima probabilità che il punto con elevazione più bassa in ogni cella corrisponda a un ritorno di tipo ground. In aree urbane e suburbane, generalmente questa è definita dalla dimensione del più grande edificio, che permette di evitare che il punto di elevazione più basso ricada su un tetto. Nel caso di aree rurali, la dimensione impostata può essere ridotta in base alla densità di ritorni a terra attesa. L’algoritmo, quindi, trova il punto di elevazione più basso in ciascuna cella e inizia a triangolare delle facce di una superficie i cui vertici
corrispondono ai punti di tipo ground. In seguito, ciascun punto della nuvola che non è già un nodo della superficie viene valutato sulla base della distanza verticale e dell’angolo rispetto alla faccia in cui ricade e sulla base dei parametri impostati dal filtro viene classificato come punto di tipo ground o not-ground. Ogni iterazione dell’algoritmo aggiunge nuovi punti e nuove facce alla superficie.
103
OPALS - Orientation and Processing of Airborne Laser Scanning data è un software in moduli sviluppato da Technische Universitat Wien, concesso in licenza gratuita a studenti per progetti a tempo. I moduli, basati sul linguaggio C++, possono essere integrati all’interno di script Python (ad esempio per processare in serie un gran quantitativo di dati separati).
https://photo.geo.tuwien.ac.at/photo/software/opals/
152 analysis )
104. L’analisi della forma dell’onda consente di calcolare, per ogni eco di ritorno, una serie di parametri che aiutano a descrivere le modalità con cui il raggio laser ha colpito un oggetto e derivarne anche alcune proprietà fisiche. Alcuni di questi parametri sono intensity , pulse width e pulse deviation
105(RIEGL Laser Measurement Systems GmbH 2017).
Intensity consente di classificare i punti sulla base delle caratteristiche di riflettanza dei materiali colpiti dal raggio laser, a parità di condizioni di rilievo e di texture. Con un’opportuna calibrazione, questo valore è stato utilizzato in bibliografia per determinare la quantità di materia organica e di umidità presente nei suoli per l’identificazione di aree umide, come ad esempio i paleoalvei (Challis et al. 2006; Ninfo, Mozzi, e Abbà 2016; Sevara et al. 2019). Il limite nell’impiego di questo parametro emerge nelle aree boscate, in cui l’intensità del segnale diminuisce progressivamente in base al numero di ritorni. La vegetazione, infatti, si comporta come un filtro a monte degli oggetti di interesse e questo rende impossibile confrontare tra loro le risposte del segnale di due oggetti che abbiano subito una riduzione dell’intensità.
Pulse width e pulse deviation dipendono invece esclusivamente dalla geometria della superficie colpita e sono talvolta utilizzati in bibliografia come ottimi fattori discriminanti nella realizzazione di DTM finalizzati ad evidenziare elementi ben strutturati con superfici omogenee,
104
L’algoritmo prevede i seguenti step: 1- Interpolazione della superficie considerando i pesi individuali di ciascun punto (all’inizio i punti hanno tutti lo stesso peso, oppure possono essere definiti dei pesi “a-priori” tramite altri parametri derivati dalla waveform analysis). 2- Calcolo dei residuali per ogni punto, cioè la deviazione verticale del punto misurato dalla superficie. In generale, punti che si trovano sopra la superficie ricevono pesi minori rispetto a quelli che si trovano vicino o sotto la superficie, in modo da attrarre la superficie verso punti più bassi. 3- Calcolo del nuovo peso di ogni punto sulla base del residuale e generazione di una nuova superficie.
Il processo è ripetuto finchè non viene raggiunta una stabilità o un numero massimo di iterazioni. I punti indetificati come parte della superficie vengono classificati come “ground points”, mentre per gli altri la classificazione rimane inalterata.
105
Intensity è una rappresentazione della forza del segnale di ritorno. Pulse Width è definito come la larghezza misurata alla metà del massimo del segnale di ogni ritorno ed è misurata in
nanosecondi. Attraverso l’ampiezza è possibile ricavare la Pulse Deviation, cioè quanto la forma di ogni ritorno si discosta dalla forma di riferimento di un impulso che colpisce una superficie
completamente piatta e opaca (hard-surface). Il raggio laser che colpisce superfici piatte avrà una forma del ritorno simile a quella dell’impulso di riferimento, mentre il ritorno di un raggio che colpisce una superficie inclinata o frastagliata avrà un’ampiezza maggiore di quella di partenza (Fig.
33).
153 come tronchi di alberi caduti o strutture archeologiche (Doneus e Briese 2006; Mücke et al.
2013).
Fig. 33 – Diverse misurazioni di Pulse Width in relazione alla forma dell’oggetto colpito dal fascio laser. Fonte: (RIEGL Laser Measurement Systems GmbH 2017)
L’applicazione dell’algoritmo di classificazione è stata eseguita determinando un peso maggiore
“a-priori” per alcuni punti attraverso l’impostazione di una soglia sui parametri Normalized-Z
106e Pulse Width, cercando di valorizzare un’eventuale risposta di una superfice piatta rispetto a quella generata da superfici frastagliate o oblique, che verosimilmente appartengono alla bassa vegetazione. Il DTM ottenuto dall’integrazione di questi parametri è risultato più adeguato a modellare le forme delle strutture archeologiche del sito, limitando notevolmente la contestuale comparsa di bassa vegetazione (Fig. 34d). La risoluzione del raster è stata incrementata fino a 30cm, considerato che buona parte del territorio dispone di una sufficiente densità di punti ground per metro quadrato per soddisfare tale risoluzione (Fig. 35). Considerati i miglioramenti ottenuti, le future operazioni di mappatura finalizzate all’individuazione di strutture archeologiche potranno utilizzare raster elaborati a partire da questo metodo di classificazione dei punti ground, limitando quindi la perdita di informazioni causata da un filtraggio troppo aggressivo. A tale scopo, i moduli di OPALS sono stati integrati all’interno di scripts in Python per una futura applicazione su tutto il dataset LiDAR (Appendice A.2- Codice Python per la
106
Normalized-Z è il valore di elevazione di ogni punto rispetto al terreno, in questo caso rispetto al
DTM. Il valore può essere calcolato direttamente in OPALS.
154 riclassificazione dei DTM LiDAR in OPALS).
Fig. 34 - Algoritmi di classificazione a confronto. A) Ortofoto dell’area test. B) DTM 50cm realizzato dalla compagnia di ripresa. C) DTM 30 con riclassificazione di tipo TIN con filtro poco aggressivo.
D) DTM 30cm con riclassificazione basata su robust interpolation in OPALS
155
Fig. 35 - Densità di punti "ground" per metro quadrato dopo la riclassificazione della nuvola di
punti. Le zone in bianco indicano l’assenza di punti ground causata della fitta bassa vegetazione. Il
grafico a destra indica la distribuzione dei valori con una soglia di Pulse Width minore di 3, in
funzione della z normalizzata. La mediana dei valori ricade vicino allo zero, che rappresenta la
superficie del terreno del modello. Questo indica la buona capacità del parametro nel distinguere
possibili punti ground dai punti appartenenti alla vegetazione (z-normalizzata > 0).
156
III.8.4 - Sviluppo di un sistema OBIA di classificazione semi- automatica per la mappatura degli elementi del paesaggio archeominerario.
III.8.4.1 - Introduzione
Negli ultimi anni la ricerca archeologica ha assistito ad un incremento del numero di applicazioni di remote sensing attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie e nuovi tipi di dato, tra cui i rilievi ALS. L’innovazione portata da questi nuovi strumenti ha tuttavia avuto un impatto limitato sui metodi di analisi, che sono rimasti spesso ancorati ad un’interpretazione manuale realizzata da un operatore attraverso l’ispezione visiva (Quintus, Day, e Smith 2017). I principali temi di dibattito su questo argomento riguardano il ruolo non sostituibile dell’archeologo, che con la sua esperienza professionale è l’unico in grado di fronteggiare la variabilità del record archeologico e di seguire il processo interpretativo del dato (Palmer e Cowley 2010). La perdita del controllo sul processo interpretativo imputata ad un sistema di analisi semiautomatico è tuttora oggetto di discussione, soprattutto considerata la quasi illimitata varietà di forme, dimensioni e proprietà spettrali che i resti archeologici possono assumere. Nonostante ciò, anche in campo archeologico si stanno diffondendo applicazioni di individuazione e classificazione automatiche o supervisionate, incentivate dalla crescita esponenziale del volume dei dataset da analizzare (Bennett, Cowley, e De Laet 2014). Analisi di tipo automatico o semi-automatico possono offrire un contributo sostanziale nel velocizzare e nello standardizzare la riproducibilità degli schemi di classificazione di dati da remote sensing anche in campo archeologico, apportando benefici sia in fase interpretativa che nella gestione e nela conservazione del patrimonio (Traviglia, Cowley, e Lambers 2016).
Per l’area delle Colline Metallifere Grossetane, l’acquisizione di un notevole quantitativo di dati LiDAR ha stimolato la sperimentazione di sistemi di classificazione semi-automatici che permettessero di velocizzare la mappatura delle evidenze antropiche del paesaggio. L’area, come noto, è estremamente significativa dal punto di vista archeominerario (Dallai e Francovich 2005; Dallai et al. 2009; Bianchi 2012); le testimonianze legate alla coltivazione ed al trattamento dei minerali estratti dal sottosuolo che ancora si conservano, costituiscono un patrimonio di inestimabile valore dal punto di vista storico, archeologico e tecnologico.
In questa sede verranno discussi lo sviluppo e l’applicazione di metodi di tipo OBIA per la
classificazione di alcune evidenze archeominerarie più standardizzate, come le carbonaie e i
pozzi minerari estrattivi. Lo scopo della sezione è quello di valutare l’efficacia e l’effettiva
157 applicabilità di un metodo di analisi e classificazione semiautomatico a questo tipo di evidenze con un alto grado di standardizzazione, situate in contesti collinari caratterizzati da un copertura vegetale molto fitta. Saranno quindi valutati i benefici apportati da un simile tipo di classificazione in funzione di un’analisi spaziale statistica delle evidenze e a scopo di mappatura, conservazione e valorizzazione del patrimonio archeominerario.
III.8.4.2 - Il territorio delle Colline Metallifere grossetane e il patrimonio archeominerario
Il territorio delle Colline Metallifere presenta aspetti ecosistemici peculiari di notevole importanza sia dal punto di vista ambientale che paesaggistico, ed una complessa geologia caratterizzata dalla presenza di mineralizzazioni a solfuri polimetallici o solfuri misti (Fe-Zn-Cu- Pb) ritenute tra le più importanti della Toscana. Queste concentrazioni metallifere, schematicamente riconducibili a mineralizzazioni massive a pirite e mineralizzazioni filoniane a solfuri polimetallici o a pirite, furono sfruttate dall’Eneolitico fino a tutto il XIX secolo. Nei secoli centrali del Medioevo lo sfruttamento minerario si accompagnò alla redazione di un corpus normativo denominato Ordinamenta super artem fossarum rameriae et argenteriae civitatis Massae (metà XIII sec.), che costituisce uno degli esempi più antichi in Europa di normativa mineraria (Dallai et al. 2009). Dopo una fase di contrazione in età moderna, l’attività estrattiva ha conosciuto una notevole ripresa fra XIX e XX secolo, in cui le mineralizzazioni a pirite vennero coltivate per la produzione di acido solforico (Costagliola et al. 2008). Dal 2015, grazie al progetto ERC nEU-Med ed alla collaborazione fra i dipartimenti DBCF, DSSBC e DSFTA dell’Università di Siena, la ricerca multidisciplinare sul territorio delle Colline Metallifere ha conosciuto un nuovo impulso: la progettazione congiunta di survey estensivi archeologici e geochimici, ha consentito di ottenere una dettagliata caratterizzazione elementale di siti archeominerari e archeometallurgici, utile per la valutazione e l’interpretazione sia di eventi naturali sia di influenze antropiche (Dallai, Donati, e Volpi 2018).
In Italia ed in Europa lo studio dei paesaggi minerari ed il riconoscimento del loro valore si
lega tanto agli aspetti geologici, giacimentologici, geomorfologici ed ambientali, quanto a quelli
storico-tecnologici, insediativi e sociali (Francovich 1994). L’importanza della conservazione e
della tutela del paesaggio archeominerario è un tema riconosciuto per il suo valore culturale
dalla Convenzione Europea del paesaggio. Nel quadro tracciato, la mappatura delle evidenze
archeominerarie sulla base del dato LiDAR può contribuire notevolmente allo sviluppo di una
banca dati del patrimonio funzionale sia alla ricerca storico/archeologica, che alla produzione
158 di cartografia tematica per la conservazione del patrimonio culturale e per il monitoraggio ambientale, rappresentando un valore aggiunto per le prospettive di sviluppo sostenibile dei territori (Colecchia et al. 2011; Biel-Ibanez 2009).
Una delle principali aree minerarie del comprensorio analizzato è localizzata sul colle di Serrabottini (Fig. 36) a circa 4 km in direzione S rispetto all’abitato di Massa Marittima. Qui si sono conservati pozzetti estrattivi con accessi al sotterraneo ancora aperti e imponenti resti di discarica riferibili per la maggior parte all’epoca medievale (Aranguren et al. 2007). L’indagine topografica condotta su tutta l’area ha localizzato la presenza di numerose antiche escavazioni minerarie, in gran parte ormai occluse, anche se un piccolo numero di esse, sopravvissute ai lavori di messa in sicurezza del sito, consentono tutt’oggi l’accesso al sottosuolo (Dallai, Lombardi, e Negri 2019). I pozzetti minerari meglio conservati misurano tra i 2,5 e i 3,5 metri di diametro e sono spesso fasciati da bozze di calcare; sono oggi parzialmente o totalmente ricolmati, ma le descrizioni note in letteratura riferiscono che agli inizi del 1900 fossero visibili centinaia di pozzi, con profondità che raggiungevano anche 80 m (Aranguren et al. 2007).
Un altro elemento caratteristico del paesaggio minerario è quello delle carbonaie. Per carbonaia si intende uno spiazzo preparato per la produzione del carbone. La carbonaia è costituita solitamente da una superficie piana di forma sub-circolare ricavata luogo il fianco collinare o livellata attraverso la costruzione di un muro a retta. Per le sue caratteristiche morfologiche peculiari e standardizzate, la carbonaia è ben riconoscibile sia sul campo che tramite l’utilizzo di DTM (Raab et al. 2015; Risbøl et al. 2013). Individuare le carbonaie significa identificare uno degli elementi essenziali del ciclo produttivo legato all’estrazione ed al trattamento dei minerali, e contestualmente definire uno degli aspetti peculiari del paesaggio minerario. Il carbone ha da sempre rappresentato uno dei principali combustibili impiegati nelle attività di riduzione dei minerali e per le attività di forgia. In molte parti d’Europa, come del resto in questo contesto, la produzione di carbone veniva effettuata direttamente all’interno dei boschi, con la costruzione di specifiche piattaforme. Il sistema delle carbonaie è stato riconosciuto come un elemento strettamente integrato all’interno del sistema produttivo metallurgico tanto da essere spesso incluso nel concetto di patrimonio archeominerario, come testimonianza della scala e dell’evoluzione dell’utilizzo della gestione forestale (Dallai 2016; Carrari et al. 2017;
Pescini, Montanari, e Moreno 2018). Negli ultimi anni sono cresciuti gli studi delle carbonaie
dal punto di vista antracologico, mentre sono ancora limitati quelli del sistema carbonaia in
relazione agli attributi del paesaggio come l’esposizione, la pendenza, le condizioni dei suoli e
della copertura vegetale (Schmidt et al. 2016; Raab et al. 2015).
159
Fig. 36 - Il territorio delle Colline Metallifere. Aree di indagine per classificazione OBIA
III.8.4.3 - Strumenti e metodi dell’analisi OBIA
OBIA (Object-based Image Analysis) è una tecnica di analisi che prevede la segmentazione di un’immagine in gruppi di pixel detti oggetti, sulla base dei valori spettrali e di alcune proprietà geometriche come dimensione, compattezza e forma (Magnini e Bettineschi 2019; Blaschke et al. 2014; Verhagen e Drâguţ 2012). Un oggetto è descritto come una regione definita di un’immagine che presenta internamente delle proprietà coerenti che permettono di distinguersi dal contesto (Hay e Castilla 2008). Il vantaggio di utilizzare questa tecnica su dati
Serrabottini
160 provenienti da remote sensing, è che gli oggetti in cui è scomposta l’immagine sono in grado di descrivere in maniera più comprensibile, rispetto ai singoli pixel, le forme del mondo reale, e di conseguenza di rappresentare una vasta gamma di evidenze, intese come il risultato di azioni antropiche o naturali sul territorio. La prima fase di questa tecnica è la segmentazione, che avviene attraverso diversi algoritmi, tra cui uno dei più utilizzati ed efficaci è quello definito Multi-resolution Segmentation (MRS). MRS cerca di massimizzare l’omogeneità dentro l’oggetto e minimizzare l’eterogeneità tra gli oggetti, fino al raggiungimento di un valore di soglia determinato da un fattore di scala (Baatz e Schape 2000). L’omogeneità spettrale può essere pesata inserendo nel processo alcuni attributi primari, come la forma e la compattezza degli oggetti in cui l’immagine viene scomposta (Davis, Lipo, e Sanger 2019). Gli oggetti creati possiedono caratteristiche proprie intrinseche, che sono date dai valori dei pixel e dagli attributi geometrici delle forme che li descrivono, ma possono essere analizzati anche in relazione allo spazio e agli oggetti vicini (Hay e Castilla 2008). La seconda fase consiste nella classificazione, in cui gli oggetti vengono attribuiti a varie classi, significative per le specifiche finalità delle ricerca. La scelta e l’impostazione dei parametri di classificazione possono essere definiti su base statistica o direttamente valutati dall’operatore sulla base della propria esperienza ( rule- based classification ).
Nell’ambito delle discipline di Remote Sensing, negli ultimi anni l’utilizzo di OBIA si sta
sostituendo alla pixel-based classification . La classificazione basata sul valore dei singoli pixel
è infatti ritenuta sempre meno adatta alla comprensione di immagini ad alta risoluzione per
via dell’aumento della variazione spettrale all’interno delle classi che si verifica all’aumentare
della risoluzione spaziale (Drǎguţ, Tiede, e Levick 2010, 859). La classificazione del singolo
pixel è infatti limitata dalla generazione dell’effetto “salt-and-pepper”, dall’essere legata alla
risoluzione del raster e dalla difficoltà nell’utilizzare le relazioni topologiche in fase di
classificazione(Verhagen e Drâguţ 2012, 699). L’analisi OBIA condotta ad una scala appropriata
riduce invece la variabilità all’interno delle classi migliorando la classificazione e l’accuratezza
statistica (Drǎguţ, Tiede, e Levick 2010). Recentemente la bibliografia sul Remote Sensing ha
iniziato ad utilizzare il termine GEOBIA per riferirsi a quelle applicazioni di OBIA per immagini
di remote sensing relative alla Terra (Hay e Castilla 2008; Blaschke et al. 2014). Attualmente
GEOBIA costituisce la maggioranza delle applicazioni di OBIA in ambito archeologico.
161 III.8.4.3.1- Pre-processamento dei dati
L’utilizzo delle variabili morfometriche viene impiegato nell’analisi OBIA per parametrizzare le proprietà del territorio e migliorare la segmentazione dell’immagine (Schneider et al. 2015;
Witharana, Ouimet, e Johnson 2018). Utilizzando le giuste variabili è possibile aumentare il grado di separabilità tra le varie parti dell’immagine e ottenere la creazione di oggetti che abbiano una corrispondenza con le forme degli oggetti del mondo reale quanto più vicina possibile. Questo permette inoltre di sfruttare i valori delle variabili anche come elementi discriminatori in fase di classificazione, dove vengono utilizzate anche le proprietà radiometriche dei singoli raster. Alcune variabili morfometriche sono state derivate in SAGA GIS a partire dal DTM a 50cm di risoluzione; queste sono pendenza, curvatura generale, convergenza ed esposizione. La variabile pendenza è stata ulteriormente processata attraverso gli operatori morfologici erosione e dilatazione: il primo erode le aree ad alta saturazione dell’immagine ed espande le aree a bassa saturazione; il secondo espande le aree ad alta saturazione e riduce le aree a bassa saturazione. L’utilizzo di questi operatori contribuisce significativamente all’individuazione di discontinuità nell’immagine rendendo più definiti i limiti tra aree con pendenze diverse. L’enfatizzazione di questi limiti viene definita in forma lineare con l’applicazione del filtro lee sigma edge detection .
III.8.4.3.2 - Image segmentation e classificazione
I layer sono stati caricati all’interno del software eCognition Developer, della Trimble Inc
107, per la segmentazione e l’analisi OBIA. La scelta dei parametri per la segmentazione dell’immagine è cruciale per l’intero processo di analisi e avviene su più scale di dettaglio, poiché gli stessi oggetti del mondo reale e la loro semantica possono essere racchiusi in diverse scale di analisi (Magnini e Bettineschi 2019). Il processo si svolge in una serie di operazioni iterative definite dalla creazione di un ruleset: a partire dai raster morfometrici si ottengono una serie di livelli gerarchici di oggetti, che vengono iterativamente rifiniti fino a diventare possibili candidati di una determinata classe di forme del paesaggio. La definizione di tutti i parametri che regolano il processo è avvenuta su base esperta con un procedimento di tipo trial-and-error, fino a individuare i valori di soglia e le proprietà adeguate che permettono di classificare le forme di interesse della ricerca, minimizzando l’individuazione dei falsi positivi
107