• Non ci sono risultati.

COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa degli intermediari.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa degli intermediari."

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

COLLEGIO DI NAPOLI

composto dai signori:

(NA) CARRIERO Presidente

(NA) DOLMETTA Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) BALDINELLI Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) MIOLA Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(NA) MONTICELLI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore SALVATORE MONTICELLI

Seduta del 29/03/2022

FATTO

La ricorrente espone che in data 16/2/2021 chiedeva ad una banca terza (d’ora in avanti Intermediario B, non convenuto nel presente procedimento), di cui era correntista, l’emissione dell’assegno circolare non trasferibile, n.***790, dell’importo di € 22.000,000 in favore del Tribunale presso il quale pendeva una procedura esecutiva immobiliare, al fine di partecipare ad un’asta giudiziaria fissata per il 19/02/2021. In data 19/2/2021, stante la mancata aggiudicazione del bene, la Cancelleria del Tribunale restituiva alla società ricorrente l’assegno circolare per mancato utilizzo del titolo. Il 22/2/2021 la ricorrente sottoscriveva una proposta di acquisto di un capannone (allegato 4) al prezzo vantaggioso di € 220.000,00 versando a titolo di cauzione la somma di € 10.000,00 mediante l’assegno di conto corrente n. ***931 del 22/2/2021, con obbligo di versare entro il 2/3/2021 la somma di € 120.000,00, quale acconto sul prezzo concordato, avendo la disponibilità di tale liquidità anche per l’importo di € 22.000,00 portato dall’assegno circolare n.***790 non utilizzato e da riversare sul proprio conto corrente. Il contratto preliminare in questione prevedeva altresì che in caso di mancato rispetto dell’obbligo di versare l’acconto del prezzo di € 120 mila entro il 2/3/2021, il promittente venditore avrebbe incassato l’assegno di € 10.000,00 a titolo di penale. In data 24/2/2021 la ricorrente si recava in banca per la restituzione del titolo e il riaccredito sul proprio conto della provvista di € 22 mila portata dall’assegno circolare. Nel frattempo, però, la filiale dell’intermediario B era stata ceduta alla odierna resistente, a seguito di accordo integrativo, reso noto il 17 febbraio 2020, avente ad oggetto la cessione del

(2)

ramo d’azienda costituito da filiali e dai rispettivi dipendenti e rapporti con la clientela.

Seguendo le indicazioni del personale della filiale della banca presente allo sportello, l’assegno circolare era versato sul conto corrente della società, sul quale la somma era contabilizzata, con valuta il successivo 25/2/2021 e con disponibilità il 1/3/2021, come da distinta di versamento rilasciata dalla banca (allegato 5). Pertanto, la ricorrente Società aveva il legittimo affidamento che alla data del 2/3/2021 vi sarebbe stato sul proprio conto corrente la disponibilità dell’ulteriore somma di € 22 mila e dunque di un saldo utile disponibile che le avrebbe consentito di rispettare gli obblighi di pagamento assunti con la proposta di acquisto. Il giorno 2/3/2021 recatasi in filiale per procedere alla richiesta di emissione di un assegno circolare dell’importo di € 120.000,00 (centoventimila) in favore del promittente venditore, la ricorrente Società apprendeva però che il detto assegno circolare di € 22.000,000 era stato impagato e stornato il 1/3/2021 con causale “assegno irregolare di girata”, come da copia analogica dell’immagine del titolo che veniva consegnata dalla banca (allegato 2). Trattandosi di assegno circolare emesso dalla stessa filiale della banca con provvista proveniente dal conto corrente della Società ricorrente che aveva restituito il titolo il 24/2/2021, non erano necessarie particolari verifiche circa l’autenticità del titolo e del suo importo, per cui la ricorrente Società sollecitava la banca per l’immediato accredito della somma, che tuttavia non provvedeva in tal senso. A causa dello storno dell’assegno circolare di € 22.000,00, sul conto corrente della società il 2/3/2021 vi era un saldo disponibile di soli € 106.285,00 (allegato 6), cifra insufficiente per richiedere l’emissione nello stesso giorno di un assegno circolare di € 120.000,00 quale acconto sul prezzo pattuito. Stante il mancato pagamento dell’acconto di € 120.000,00 sul prezzo, il promittente veditore provvedeva l’8/3/2021 a incassare l’assegno di conto corrente n. ***931 di € 10.000,00, a lui rilasciato a titolo di cauzione e penale, come contabilizzato in uscita sul conto corrente della ricorrente Società (allegato 7). Con Pec del 10 marzo 2021 e del 17 marzo 2021, la ricorrente Società, per il tramite del suo avvocato, richiedeva l’immediato accredito della somma di € 22.000,00 oltre al risarcimento del danno. La resistente provvedeva al riaccredito con disponibilità della somma di € 22.000,00 solo in data 23 marzo 2021 (allegato 9). Con nota del 5 maggio 2021 la banca comunicava tale riaccredito respingendo le richieste di risarcimento danni formulate (allegato 10). In data 17 maggio 2021 la ricorrente Società presentava formale reclamo, non riscontrato dalla banca.

Tanto premesso, nel richiamare gli orientamenti dell’ABF e del giudice ordinario, deduce l’illegittimità della condotta della banca per l’inosservanza dei canoni di diligenza qualificata nell’esecuzione dell’incarico di pagamento e/o accredito e per il ragionevole affidamento creatosi in capo alla ricorrente Società sulla disponibilità della somma portata dall’assegno circolare restituito. In particolare la ricorrente rileva la sussistenza dei presupposti per considerare la banca inadempiente agli obblighi legali e contrattuali (artt. 1856,1175, 1176, 1375 c.c.) posti a suo carico nell’esecuzione del servizio di cassa, con specifico riferimento all’errato trattamento del titolo de quo, emesso dalla medesima filiale della banca, su richiesta della Società ricorrente, e poi restituito per mancato utilizzo. In particolare rileva che l’errore è consistito nel procedere all’operazione d’incasso del titolo, previa richiesta di girata tuttavia irregolare, senza avvedersi che il beneficiario del titolo era altro soggetto (il Tribunale presso cui pendeva la procedura) diverso dalla ricorrente Società, versando dapprima l’assegno sul conto corrente della ricorrente e procedendo poi allo storno per girata irregolare. L’addetto allo sportello avrebbe dovuto indicare la procedura corretta da compiere per l’immediato accredito della somma portata dall’assegno circolare restituito, ossia l’annullamento del titolo e il rimborso della provvista, così come dispone il D. Lgs. 2007 n. 231, all’art. 49 comma 9. Inoltre, nel prosieguo la banca, pur potendo procedere ad una tempestiva

(3)

verifica, correggere con sollecitudine l’errore e provvedere all’immediato rimborso della somma portata dal titolo, come le era stato richiesto, ha invece proceduto al corretto accredito della somma solo dopo due reclami ed a distanza di circa un mese dalla restituzione del titolo e dall’operazione errata. Alla luce di quanto esposto, parte attrice chiede che l’Arbitro voglia accertare e dichiarare: 1) “l’illegittimità del comportamento inadempiente e negligente della banca convenuta, per violazione dell’art. 1176, comma 2, c.c. nonché dei doveri di correttezza e buona fede enunciati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. e per l’inadempimento nell’esecuzione degli incarichi conferitigli, secondo le regole del mandato di cui all’art. 1710 c.c.. 2) Accertare e dichiarare il nesso causale tra tale condotta illegittima della banca e i conseguenti danni subiti dalla ricorrente Società. 3) Per l’effetto, disporre che la … banca corrisponda alla Società ricorrente il risarcimento dei seguenti danni: a) euro 10.000 per rimborso della cauzione-penale versata al promittente venditore, oltre interessi e rivalutazione dalla data del 8.3.2021. b) euro 100.000 per perdita di chance, per il mancato vantaggio economico per mancata conclusione dell’operazione di acquisto dell’immobile oggetto della proposta di acquisto del 22.2.2021, oltre interessi e rivalutazione; ovvero in alternativa la somma maggiore o minore risultante all’esito del giudizio da determinarsi in via equitativa ex art. 1126 c.c., ovvero anche previa CTU. c) per danno patrimoniale e non patrimoniale, da determinarsi in via equitativa ex art. 1126 cc, per il pregiudizio economico di dover continuare il pagamento del canone locativo mensile di € 1.200,00 e per il disagio di dover continuare l’attività in un’area disagiata nonché causato dalla necessità di dover avviare altre trattative per l’acquisto di un capannone industriale analogo a quello oggetto della proposta di acquisto del 22.2.21. d) per danno patrimoniale per la mancata disponibilità per circa un mese della liquidità di € 22.000,00 da poter utilmente reinvestire nell’attività della ricorrente, da terminarsi secondo l’eventuale differenza tra il tasso di rendimento netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi e il saggio degli interessi legali, con decorrenza dalla data di restituzione del titolo (24/2/2021) fino all’accredito con disponibilità della somma del 23/3/2021 - ovvero, in alternativa, da liquidarsi in via equitativa ex art.1226 c.c. e) disporre la corresponsione delle spese di assistenza professionale, da liquidarsi ai sensi del DM 55/14, con valore ridotto alla metà stante la procedura stragiudiziale di arbitrato (allegato 18), a titolo di ulteriore pregiudizio economico conseguente al comportamento inadempiente e negligente della banca.

L’intermediario, costituitosi ritualmente nella presente procedura, nel contestare l’avverso dedotto, preliminarmente precisa che, con atto del 22 febbraio 2021 - in concomitanza dei giorni in cui si verificavano gli eventi sopra descritti -, si perfezionava tra la resistente e l’intermediario B la cessione di ramo d'azienda ex art. 58 del TUB a seguito della quale la convenuta acquisiva diverse Filiali del succitato intermediario, tra cui anche quella ove la ricorrente intrattiene le sue relazioni. Nel merito rileva come i fatti oggetto di vertenza si siano sviluppati in un arco temporale molto breve, coincidente esattamente con l'operazione di acquisizione succitata, e come la Banca si sia, comunque, adoperata al fine di tenere indenne la Società cliente da qualsivoglia conseguente disagio. Evidenzia che quest’ultima avrebbe dovuto porre la Banca a conoscenza dei fatti al fine di consentirle una celere soluzione della problematica. Invece la società, nel momento in cui avrebbe dovuto procedere con il versamento dell'acconto per l'immobile di cui alla proposta di acquisto, si limitava semplicemente a prendere atto che il proprio conto corrente non presentava la provvista sufficiente, per poi, tuttavia - ma solo una decina di giorni più tardi e senza alcuna intermedia comunicazione al riguardo - formalizzare una prima richiesta di risarcimento del danno. In relazione alla proposta di acquisto, nel rilevare alcune carenze formali, eccepisce come nella stessa venivano precisati esclusivamente il prezzo, le modalità

(4)

secondo cui la somma doveva essere versata e la consegna di un assegno di euro 10.000,00 a titolo di cauzione, che, come evidenziato nel testo, in caso di mancato pagamento dell'acconto di 120.000,00 euro da parte del promissario acquirente alla data prestabilita, sarebbe stato incassato "come impegno all'acquisto", e non come penale e non certo a pena della risoluzione del contratto. Evidenzia in proposito che il documento in questione non contiene, infatti, l'indicazione di un termine essenziale ex art. 1457 c.c.

per l'adempimento, né tantomeno la precisazione che il mancato pagamento dell'acconto concordato comporti la risoluzione della proposta. Inoltre, la ricorrente non allega documentazione alcuna atta a comprovare che il promissario venditore, stante l'inadempimento, possa ritenere risolto il contratto in parola né corrispondenza inviata dalla ricorrente con cui la stessa abbia esplicitato alla propria controparte la necessità di procrastinare il pagamento di risolvere diversamente la vicenda (ad esempio corrispondendo un acconto leggermente più basso di quello originariamente pattuito). Da visura catastale effettuata, l'immobile oggetto della compravendita in esame risulta ancora nella disponibilità del promissario venditore, seppure sottoposto a pignoramento;

circostanza questa sottaciuta dall'odierna istante, che, verosimilmente, costituisce il reale motivo per cui, dopo aver frettolosamente sottoscritto una proposta di acquisto praticamente nulla, ha deciso di mandare a monte l’affare. In relazione alla domanda risarcitoria sottolinea come tale richiesta risulti sfornita di prova, con riferimento sia all’an che al quantum, il cui onere grava sull’istante anche nel caso in cui sia richiesta una valutazione equitativa del danno e anche nell’ipotesi di danno non patrimoniale. Con specifico riguardo ai danni relativi al pagamento dei canoni di locazione, eccepisce la mancata prova del rapporto di locazione. In ordine alla dedotta impossibilità di versare l’acconto per mancanza dell’importo di € 17.000,00, riferisce che il conto corrente di titolarità di un socio della ricorrente, alla data 01/03/2021, presentava un saldo attivo di 23.298,00 che ben avrebbe potuto essere messo a disposizione dell'impresa. In particolare rileva come la sopra descritta condotta della ricorrente costituisca, in ogni caso elemento valutabile ex. art. 1227, comma 2, c.c. In virtù di tutto quanto innanzi chiede il rigetto del ricorso.

Avverso le controdeduzioni dell’intermediario il ricorrente ha depositato agli atti repliche nelle quali rileva quanto segue: le modifiche organizzative e operative non comportano deroghe all’operatore bancario di adempiere alle sue funzioni con la diligenza, professionale qualificata e specifica di cui al comma 2° dell’art. 1176 cod. civ.; un inadeguato assetto organizzativo dell'istituto di credito, per effetto della cessione, rende ancora più colpevole il comportamento della banca, stante l’affidamento riposto dalla clientela sul corretto espletamento delle operazioni bancarie e sul rispetto dei doveri specifici di diligenza; anche perché la cessione della filiale è avvenuta a seguito una cessione di un ramo d’azienda, che ha comportato il mantenimento dello stesso personale, ai sensi dell’art. 2112 c.c. e ciò avrebbe dovuto assicurare per la clientela una continuità di normale funzionamento della filiale, evitando disservizi, disagi e ritardi. La necessità di ottenere il riaccredito della somma prima possibile, per procedere a versare l’acconto sul prezzo pattuito con la proposta di acquisto (doc.4 allegato al ricorso) è stata immediatamente rappresentata al personale bancario della filiale lo stesso 2 marzo 2021, quando la ricorrente Società ha appreso che l’assegno circolare era rimasto impagato. Non avendo però la banca provveduto in tempi ragionevoli al riaccredito della somma, il promittente venditore ha atteso invano 6 giorni e il successivo 8/3/2021 ha portato all’incasso l’assegno di conto corrente n.5045967931 di € 10.000,00 (diecimila).

La banca ha poi provveduto all’accredito solo in data 23.03.2021 e solo dopo numerosi solleciti dell’istante. Un celere accredito della somma nei giorni successivi (il 3, 4 o 5 marzo 2021, giorni lavorativi), avrebbe consentito di rispettare l’obbligo contrattuale,

(5)

stante il rinvio concesso dal promittente – venditore, che solo in data 8 marzo 2021 ha provveduto ad incamerare la cauzione (allegato 7 al ricorso). L’infondatezza dell’eccezione di concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1127 c.c. tenuto conto che di quanto affermato dalla S.C. “l'omissione ricorre solo in caso di violazione di un preciso e specifico obbligo giuridico di comportamento; la violazione dei generici doveri di comportarsi secondo prudenza, diligenza, perizia determina soltanto la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpevolezza quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica) (Cass.

Ord. Sez. 3 Num. 515 Anno 2020). In merito alla circostanza, dedotta dalla banca, che il bene immobile oggetto di proposta d’acquisto sia soggetto ad un pignoramento, evidenzia quanto segue: la trascrizione del pignoramento è avvenuta il 2002 e non è stata rinnovata; pertanto, diventa inefficace nel corso del 2022, ai sensi 2668-ter cod.

civ., con la conseguente caducazione del processo esecutivo, ivi compreso il pignoramento; il pignoramento immobiliare non riguarda il solo immobile oggetto della proposta di acquisto, ma l’intera cospicua proprietà del promittente venditore, del complessivo valore di mercato di oltre 2 milioni di euro. L’interesse principale della ricorrente Società era che il promittente venditore fosse in grado di assolvere alla propria obbligazione traslativa al momento della stipulazione del definitivo, garantendo in tale sede la libertà dell’immobile promesso e trasferendolo al prezzo pattuito. Come insegna la S.C., il promittente venditore, prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, può adempiere all'obbligazione di far acquistare al promissario acquirente la proprietà del bene, anche acquistandola egli stesso da un terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela, sicché, fino a quel momento, non sussiste inadempimento allo stesso imputabile (Cass. SU n. 11624/2006; Cass. n.

4164/2015; Cass. Num. 6229 Anno 2018). Il notevole patrimonio immobiliare del promittente venditore, di valore tale da consentire di recuperare l’eventuale prezzo pagato, con l’aggiunta del risarcimento dei danni, ma anche la più che probabile perdita a breve di efficacia della trascrizione e caducazione del pignoramento, garantivano la ricorrente Società nell’affare intrapreso. Per quanto riguarda la natura dell’assegno di € 10.000 versato, lo stesso aveva una duplice funzione: finalità di garantire la serietà dell'iniziativa, e, quindi, una funzione analoga a quella rivestita, in materia contrattuale, dalla caparra confirmatoria; mentre invece, in caso di adempimento avrebbe assunto la veste di acconto sul prezzo. In merito alla eccepita nullità della proposta, rileva che la mancanza di dati catastali completi (essendo indicato il solo foglio) non è rilevante ai fini della validità della scrittura privata, in quanto è adeguatamente compensata da elementi certi per l’individuazione del bene, come l'indicazione e la descrizione dell'immobile oggetto della vendita. Quanto all’assenza del termine per la stipula del contratto definitivo evidenzia che non rappresenta un elemento essenziale, secondo la consolidata regola per cui in assenza di pattuito termine d’adempimento la prestazione è immediatamente esigibile e per esigerla non sono indispensabili né la diffida ad adempiere né il ricorso al Giudice. Tali motivi, unitamente alla presenza della clausola nella proposta d'acquisto (allegato 4 al ricorso), a garanzia della posizione contrattuale del promittente venditore, per cui nel caso in cui lo stesso promittente venditore avesse incamerato la cauzione per l’inadempimento della ricorrente Società, quest’ultima non avrebbe avuto null'altro da pretendere, ha poi dissuaso la medesima Società prima dal bloccare l’incasso della cauzione e poi, dal proporre una azione legale, per l’annullamento della scrittura ed il recupero della somma. L’eccezione della Banca di mancata attivazione della ricorrente Società nei confronti del promittente venditore, per ottenere la nullità della proposta di acquisto è, perciò, infondata anche in considerazione che è consolidata la giurisprudenza che in linea generale ritiene che tra i doveri imposti

(6)

al danneggiato dalla norma (art. 1227 c.c.- Concorso del fatto colposo del creditore), non vi sia quello di assumere iniziative giudiziarie volte a contenere o eliminare il danno.

Infine, per quanto il mancato finanziamento da parte del socio, lo stesso avrebbe dovuto essere eseguito quasi con l’intera somma disponibile sul conto, cosa che gli avrebbe causato non poche difficoltà rimanendo una liquidità che non gli avrebbe certamente consentito la serenità di poter far fronte a spese impreviste ed imprevedibili per sé e la sua famiglia. Inoltre, vi era anche il concreto rischio che il versamento del socio in favore della Società ricorrente esponesse la stessa Società ad accertamenti fiscali per presunti omessi ricavi dissimulati sotto forma di un finanziamento della compagine sociale, con conseguente pretesa fiscale. Infine, poiché è noto come nella prassi vi è il fenomeno della “sottocapitalizzazione nominale”, specie in piccole società "chiuse", per cui per ridurre l'esposizione al rischio d'impresa i soci pongono i capitali a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, con il rischio che in caso di contenzioso l’apporto possa considerarsi come un conferimento come tale inesigibile.

Questi i fatti e le argomentazioni a rispettivo sostegno delle posizioni delle parti.

DIRITTO

La prima domanda di cui è investita la cognizione di questo Collegio attiene alla valutazione della legittimità o meno del comportamento tenuto dall’intermediario convenuto in ordine ai fatti come sopra riassunti ed, in primis, in ordine alla gestione del rapporto di conto corrente, segnatamente in relazione alla contabilizzazione e riversamento sul conto intestato alla ricorrente delle somme rinvenienti dall’assegno circolare di € 22.000,00 emesso da intermediario diverso da quello convenuto ma poi ceduto alla banca resistente nell’ambito di un’operazione di cessione di ramo d’azienda ex art. 58 TUB (relativo alle filiali del cedente, unitamente a tutti i rapporti ivi radicati) stipulata il 19.02.2021 e pubblicata sulla G.U. in data 23.03.2021. Ebbene, al riguardo si rileva che parte ricorrente censura la condotta della banca in relazione alla gestione della procedura di riaccredito delle somme portate dall’assegno circolare, rilevando che quest’ultima, invece di richiedere la girata del titolo, avrebbe dovuto, in ragione dell’acquisizione del ramo d’azienda relativo anche alla filiale che aveva emesso il titolo, seguire la procedura di cui all’art. 49, comma 9, del D.Lgs. 231/2007 che dispone: “Il richiedente di assegno circolare, vaglia cambiario o mezzo equivalente, intestato a terzi ed emesso con la clausola di non trasferibilità, può chiedere il ritiro della provvista previa restituzione del titolo all'emittente”. La censura è fondata, ed infatti, se la banca avesse seguito tale procedura, come avrebbe dovuto, il ricorrente avrebbe immediatamente avuto la piena disponibilità delle somme impegnate con l’emissione del circolare. D’altra parte, sarebbe dovuta risultare di solare evidenza all’intermediario la palese erroneità dell’indicazione della procedura, invece, adottata stante la divergenza tra il soggetto intestatario del titolo (Tribunale di S.M.C.V.) ed il soggetto (attuale ricorrente) che ha girato il titolo per versarlo sul proprio conto corrente. A ciò aggiungasi che la banca non ha neppure posto adeguato e celere rimedio al suo macroscopico errore visto che, come risulta non contestato, la banca ha provveduto all’accredito dell’importo in questione solo in data 23.03.2021, dopo i reiterati solleciti del ricorrente e, dunque, dopo un mese dalla data in cui la ricorrente si era recata in banca restituendo il titolo inutilizzato. In ragione di quanto innanzi, la condotta della banca convenuta integra un palese inadempimento al contratto di conto corrente in essere con il ricorrente ed una violazione dell’art. 1176, comma 2, c.c., oltre che dei doveri generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, così come enunciati dagli artt. 1175 e 1375 c.c., violazioni da cui consegue

(7)

la responsabilità dell’intermediario convenuto ai sensi dell’art. 1218 c.c. Non certo osta alla statuizione di tale responsabilità dell’intermediario convenuto la circostanza che, come eccepito da quest’ultimo, i fatti oggetto della controversia avvenivano in concomitanza con il trasferimento della filiale dall’intermediario B all’odierno resistente. È del tutto evidente, infatti, che, come più volte ribadito dai Collegi dell’ABF, l’intermediario non può addossare al cliente le conseguenze di eventuali propri problemi organizzativi (cfr., tra le altre, Collegio Bari, decisione n. 19369/21).

Acclarato l’illegittimo operare nella fattispecie de qua dell’intermediario convenuto, può passarsi a considerare il fondamento nel merito delle plurime richieste risarcitorie formulate dal ricorrente, in primis sotto il profilo del nesso causale sussistente tra la condotta dell’intermediario ed il danno che il ricorrente pretende gli sia risarcito.

La prima voce di danno reclamata attiene alla restituzione dell’importo di € 10.000,00

“della cauzione-penale versata al promittente venditore, oltre interessi e rivalutazione dalla data del 8.3.2021”. Agli atti risulta la prova che, stante il mancato pagamento della prima di tranche del prezzo previsto entro il 2 marzo, in data 08.03.2021 il promittente veditore incassava l’assegno di € 10.000,00 rilasciato al momento della sottoscrizione della proposta. Al riguardo l’intermediario eccepisce che l’assegno veniva consegnato a titolo di mera cauzione e che l’accordo non prevedeva un termine essenziale ai sensi dell’art. 1457 c.c. In proposito, tuttavia, si rappresenta che la scrittura in esame, se da un lato qualificava la somma versata come “cauzione a deposito”, prevedeva espressamente il diritto del promittente venditore di trattenere la somma predetta di € 10.000,00 in caso di mancato adempimento del promissario acquirente agli obblighi di pagamento dettagliati nel compromesso; tra questi, in primo luogo, il pagamento dell’importo di € 120.000,00, con assegno circolare, “entro il giorno 2.3.2021”.

In ragione di quanto innanzi, anzitutto si pone all’attenzione di questo Giudicante la questione della qualificazione dell’importo di € 10.000,00 di cui innanzi. Ebbene, dalla disamina dell’accordo contrattuale nel suo complesso, in applicazione alla regola generale contenuta negli artt. 1362 e 1363 c.c., è possibile ritenere che, al di là dell’espressione usata dalle parti, “cauzione-penale”, si debba attribuire particolare rilievo alla funzione svolta nel caso di specie dalla dazione della somma di denaro che, nella fattispecie, appare ragionevolmente riconducibile ad una caparra confirmatoria. Va, infatti, tenuto conto che la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato, in più occasioni, la natura eclettica della caparra in quanto: “è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte (sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione); consente, in via di autotutela, di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice; indica la preventiva e forfettaria liquidazione del danno derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell’inadempimento della controparte” (Cass.

n. 11356/2006). Tale linea interpretativa, che questo Collegio ritiene di condividere, si attaglia alla fattispecie oggetto della controversia e, nel contempo, non appare fondata l’eccezione svolta da parte resistente circa la pretesa non essenzialità del termine indicato in contratto. Merita in proposito porre in evidenza, infatti, da un lato che in esso è specificamente detto che il pagamento debba avvenire “entro il 2.3.2021”, espressione che, coordinata con quella successiva - ove si legge che nel caso in cui la promittente acquirente “non provvedesse a rispettare il seguente compromesso …. il venditore…incasserà l’assegno datogli in cauzione” - consente di affermare che le parti hanno inteso attribuire assenzialità al rispetto della tempistica dei pagamenti, dall’altro che la risoluzione ex art. 1457 c.c. ed il recesso con la ritenzione della caparra (o richiesta del doppio) ai sensi dell’art. 1385 c.c. si pongono su piani diversi, in quanto l’inadempimento alla base del recesso ben potrebbe fondarsi su profili ulteriori rispetto alla mera scadenza del termine (cfr. Cass. n. 19358/2011, ove si legge: “La pattuizione di una clausola penale

(8)

è compatibile con la previsione di un termine non essenziale per l’adempimento della prestazione, in conseguenza della diversa funzione ed operatività nel rapporto contrattuale, atteso che, mentre il termine riguarda il momento in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, la clausola penale si configura come mezzo di rafforzamento del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli effetti dell’eventuale inadempimento, concretando una anticipata liquidazione convenzionale del danno, indipendentemente dalla prova della sua effettiva esistenza, senza che la previsione di tale clausola sia collegata automaticamente al carattere necessariamente essenziale del termine previsto in contratto, in quanto sia l’art. 1382 cod. civ., che il successivo art. 1385 si limitano a collegare gli effetti delle clausole rispettivamente previste al fatto dell’inadempimento, ossia ad un fatto riferibile anche ad ipotesi diverse dalla scadenza del termine, e l’art. 1382 prevede la stipula della clausola penale per il suo ritardo, supponendo, quindi la possibilità di un adempimento posteriore alla scadenza del termine, salvo il risarcimento forfettario preventivato del danno derivante dal ritardo”). In ragione di tutto quanto innanzi non v’è da dubitare sulla rapportabilità causale tra il danno conseguito in capo al ricorrente, rappresentato dalla perdita della caparra, e l’illegittimo operare dell’intermediario che non ha consentito al ricorrente di fare fronte, nel rispetto dei tempi contrattuali, agli impegni presi. Per tale ragione deve riconoscersi il diritto del ricorrente al rimborso, a titolo di risarcimento del danno, da parte dell’intermediario dell’importo di € 10.000,00.

Nel passare, quindi, alla ulteriore voce di danno oggetto della pretesa risarcitoria azionata essa è individuata dal ricorrente nella perdita di chance per il mancato vantaggio economico che avrebbe conseguito se l’acquisto immobiliare fosse andato a buon fine. Le considerazioni, innanzi svolte, sulla rapportabilità causale dell’illegittimo operato della banca al danno procurato al ricorrente consentono di ritenere fondata anche tale domanda, ma con le seguenti precisazioni in ordine al quantum del risarcimento. Merita al riguardo evidenziare che il ricorrente deduce che il bene immobile oggetto di accordo, a fronte del prezzo complessivo di € 220.000,00 convenuto tra le parti, avrebbe un valore effettivo pari a circa € 446.440,00. Chiede pertanto accertare il danno in questione nella misura di € 100.000,00 pari al 44% della differenza tra il valore commerciale dell’immobile ed il prezzo pattuito (€ 226.440,00), ovvero nella diversa somma equitativamente determinata. Produce a conforto degli importi, come sopra indicati, una perizia estimativa redatta da una agenzia immobiliare. Di contro la banca eccepisce che il bene oggetto della scrittura risultava soggetto ad un pignoramento immobiliare, come risulta dalle visure prodotte in allegato alle controdeduzioni. Ed invero, da un esame delle visure prodotte in atti l’immobile in esame risulterebbe soggetto a n. 2 pignoramenti immobiliari trascritti rispettivamente il 10.09.2002 ed il 09.10.2022. La circostanza non è contestata dal ricorrente che, tuttavia, deduce che la trascrizione del pignoramento risaliva al 2002 e pertanto sarebbe divenuta inefficace nel corso del 2022 ai sensi del combinato disposto degli artt. 2668-bis (“La trascrizione della domanda giudiziale conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data. L’effetto cessa se la trascrizione non è rinnovata prima che scada detto termine”) e 2668-ter c.c. (“Le disposizioni di cui all’articolo 2668 bis si applicano anche nel caso di trascrizione del pignoramento immobiliare e del sequestro conservativo sugli immobili”). L’istante precisa, inoltre, che il cospicuo patrimonio del venditore avrebbe rappresentato in ogni caso idonea garanzia, qualora lo stesso fosse risultato inadempiente in relazione all’obbligo di trasferimento del bene. Sul punto, in sede di repliche, produce le risultanze catastali relative ai beni immobili di proprietà del venditore, nonché un estratto relativo alle quotazioni di mercato dei detti beni. Premesso quanto innanzi va evidenziato che tanto la giurisprudenza dell’Arbitro quanto la giurisprudenza della Cassazione hanno in più occasioni chiarito che la “perdita di chance

(9)

consiste nella perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato utile, di una possibilità di lucro, di una speranza di incremento patrimoniale; insomma, chi perde una chance perde non un incremento patrimoniale bensì una speranza di incremento patrimoniale, subisce non una deminutio patrimonii ma una deminutio spei. Ne segue che la prova del danno conseguente, essendo l’avveramento del fatto sperato mai avvenuto, può essere fornita facendo ricorso alle presunzioni ed al criterio probabilistico, in particolare dimostrando, anche presuntivamente, che il danno ha impedito la possibilità di maggiori guadagni” (Cass., 14 marzo 2017, n, 6488, i cui principi, pur applicati in una fattispecie diversa, sono stati ribaditi più recentemente da Cass., ord.

23 marzo 2018, n. 7260)”, evidenziando (cfr. Collegio Napoli, decisione n. 2174/2020) che

“La prova che dunque si esige dal creditore danneggiato è quella controfattuale in forza della quale, in presenza di una chance, il danneggiato adduca tutti quegli elementi, anche presuntivi, che in base ad un calcolo di probabilità siano idonei a dimostrare come avrebbe potuto ottenere quello specifico risultato. Coerentemente pertanto Cass., sentenza n. 1752 del 2005, assume che “il creditore ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta”. Ebbene, sulla scorta di tali principi di diritto, che questo Collegio condivide e fa propri, è dato rilevare, con riferimento alla fattispecie oggetto della presente controversia, che il complessivo quadro emergente dalle evidenze documentali in atti, tra le quali, in particolare, la perizia dell’agenzia immobiliare prodotta dalla ricorrente, consente di ritenere acquisiti quegli elementi presuntivi idonei a dimostrare, in base ad un calcolo probabilistico, il raggiungimento del risultato sperato, tuttavia, anche in considerazione dei pignoramenti gravanti sull’immobile, sembra equo limitare il risarcimento accordato alla ricorrente all’importo di € 25.000,00, pari a circa il 10% del corrispettivo convenuto per l’acquisto del bene come indicato nel contratto preliminare.

Parte ricorrente, quanto al danno patrimoniale di cui chiede il risarcimento, evidenzia, altresì, che la mancata conclusione dell’affare avrebbe determinato un ulteriore pregiudizio patrimoniale, rappresentato dal pagamento del canone di locazione (pari ad € 1.200,00 mensili) relativamente all’immobile dalla stessa utilizzato per esercitare la propria attività, danno che non si sarebbe prodotto laddove fosse riuscita ad acquistare l’immobile oggetto del compromesso. Produce a riprova copia del contratto di locazione. Ebbene, detta pretesa risarcitoria non può essere riconosciuta: ed infatti, si evidenzia che il compromesso non prevede il trasferimento anticipato del possesso del bene immobile né una data per la stipula del contratto definitivo, con la conseguenza che, anche qualora la ricorrente non fosse risultata inadempiente, la stessa sarebbe stata tenuta a versare il canone sino alla data, non determinabile, del perfezionamento della compravendita. Del pari non può riconoscersi il danno patrimoniale derivante dall’impossibilità di disporre utilmente dell’importo di € 22.000,00 di cui all’assegno circolare, dalla data di restituzione del titolo (24/02/2021) e quella di accredito della somma (23/03/2021); trattandosi, infatti, di un periodo di tempo troppo esiguo in cui si è determinata tale indisponibilità esso è inidoneo a rappresentare un reale danno risarcibile, aggiungasi che il ricorrente non offre alcun conteggio né produce alcuna documentazione attestante il rendimento medio dei titoli di Stato nel periodo in questione.

Parte attrice chiede anche il ristoro di un danno non patrimoniale. Al riguardo assume che la decisione di trasferire la propria attività presso il capannone oggetto della proposta d’acquisto sarebbe derivata, tra l’altro, dalla circostanza che il suddetto bene condotto in locazione sarebbe situato in un’area soggetta a lavori di demolizione. In relazione a ciò domanda il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dai disagi subiti nell’ambito

(10)

dell’attività lavorativa. In proposito produce delle immagini dei lavori di demolizione citati ed un verbale di riunione per la sicurezza del cantiere del giugno 2021 (all.ti 15 e 16 al ricorso). Ebbene, in proposito si rammenta che, per costante orientamento della Corte di Cassazione, (su tutte Cass. SS.UU.n. 26972/2008), pedissequamente seguito dai Collegi ABF, non sono meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale. In ragione di quanto innanzi il danno non patrimoniale in questione non è risarcibile.

P.Q.M.

In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio accerta il diritto del ricorrente al risarcimento del danno per il complessivo importo di € 35.000,00, oltre interessi dalla data del reclamo e rivalutazione monetaria nei sensi di cui in motivazione.

Dispone altresì il ristoro delle spese di assistenza difensiva nella misura equitativamente stabilita di € 500,00.

Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

Riferimenti

Documenti correlati

diritto di rimborso anticipato del consumatore (propiziate dalla unilaterale determinazione dei costi e della loro ripartizione da parte degli intermediari) – è evidentemente

Al fine di erogare il mutuo al ricorrente, la banca ha dovuto procurarsi, al tasso di cambio in essere al tempo della stipula, l’equivalente in Franchi Svizzeri dell’importo

Il contratto (art. 1) prevede che il mutuo potrà essere perfezionato mediante uno o più atti di erogazione (denominati atti di utilizzo) e che la banca potrà altresì effettuare,

In assenza di una prova di colpa grave ascrivibile ad un’ipotesi di phishing tradizionale, occorre verificare se l’intermediario abbia fornito elementi in sostegno della legittimità

In particolare, nel rapporto contrattuale di home banking, la banca ha la veste di contraente qualificato, che, non ignaro delle modalità di frode mediante phishing da tempo note

Il ricorrente afferma, invece, di aver diritto, per il periodo dal 21° al 30° anno, al pagamento degli importi in valore assoluto indicati sul retro del buono (e relativi alla

Relativamente, poi, al presunto danno patrimoniale che sarebbe stato subito dal ricorrente per effetto della segnalazione della sofferenza in Centrale Rischi operata dalla banca

- subordinatamente alla consegna dei buoni per l’incasso ha riconosciuto esattamente quanto stabilito dal DM 1986: sino al 20° anno gli interessi calcolati con capitalizzazione