• Non ci sono risultati.

ALBERTO SILVANI VESCOVO DI VOLTERRA IL CAMMINO SINODALE NOVE CONVERSAZIONI PER LA NOVENA DI NATALE DELL ANNO Volterra, 28 novembre 2021

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "ALBERTO SILVANI VESCOVO DI VOLTERRA IL CAMMINO SINODALE NOVE CONVERSAZIONI PER LA NOVENA DI NATALE DELL ANNO Volterra, 28 novembre 2021"

Copied!
40
0
0

Testo completo

(1)

1

ALBERTO SILVANI VESCOVO DI VOLTERRA

IL CAMMINO SINODALE

NOVE CONVERSAZIONI PER LA

NOVENA DI NATALE ANNO 2021

1. La spontaneità della preghiera pag. 5 2. La preghiera di Gesù 9 3. La preghiera di ascolto 13 4. L’Ufficio Divino (Lodi-Vespri) 17 5. L’Adorazione Eucaristica 21

6. La Via Crucis 25

7. Il Rosario e l’Angelus Domini 29 8. Le Stazioni Quaresimali 33

9. Il Pellegrinaggio 37

Volterra, 28 novembre 2021 prima domenica di Avvento

ALBERTO SILVANI VESCOVO DI VOLTERRA

IL CAMMINO SINODALE

NOVE CONVERSAZIONI PER LA

NOVENA DI NATALE ANNO 2021

1. La spontaneità della preghiera pag. 5 2. La preghiera di Gesù 9 3. La preghiera di ascolto 13 4. L’Ufficio Divino (Lodi-Vespri) 17 5. L’Adorazione Eucaristica 21

6. La Via Crucis 25

7. Il Rosario e l’Angelus Domini 29 8. Le Stazioni Quaresimali 33

9. Il Pellegrinaggio 37

Volterra, 28 novembre 2021 prima domenica di Avvento

ALBERTO SILVANI VESCOVO DI VOLTERRA

IL CAMMINO SINODALE

NOVE CONVERSAZIONI PER LA

NOVENA DI NATALE ANNO 2021

1. La spontaneità della preghiera pag. 5 2. La preghiera di Gesù 9 3. La preghiera di ascolto 13 4. L’Ufficio Divino (Lodi-Vespri) 17 5. L’Adorazione Eucaristica 21

6. La Via Crucis 25

7. Il Rosario e l’Angelus Domini 29 8. Le Stazioni Quaresimali 33

9. Il Pellegrinaggio 37

Volterra, 28 novembre 2021 prima domenica di Avvento

ALBERTO SILVANI VESCOVO DI VOLTERRA

IL CAMMINO SINODALE

NOVE CONVERSAZIONI PER LA

NOVENA DI NATALE DELL’ANNO 2021

1. L’invito del Santo Padre pag. 5 2. L’appartenenza alla Chiesa ” 9 3. La vita interna della Chiesa ” 13 4. La sinodalità nella Chiesa ” 17 5. La Chiesa nella storia ” 21

6. In ascolto ” 25

7. La fragilità della Chiesa ” 29 8. La rigenerazione della Chiesa ” 33

9. Avere fede! ” 37

Volterra, 28 novembre 2021

prima domenica di Avvento

(2)

Essendo stato invitato a predicare la Novena di Natale nella Basilica Cattedrale, ho tenuto presente la celebrazione dei due sinodi, quello della Chiesa universale e quello delle Chiese in Italia, e ho quindi messo per scritto alcune riflessioni che offro all’attenzione dei confratelli nel sacerdozio, dei diaconi, delle religiose, delle catechiste, dei docenti IRC e di tutte le persone che possono essere interessate, affinché ne facciano l’uso che credono, durante la prossima novena di Natale o in altri periodi dell’anno liturgico.

Queste nove riflessioni sono divise in due gruppi: le prime cinque riguardano la natura sinodale della Chiesa che cammina nella storia; le altre quattro considerano alcuni aspetti pratici del comportamento di ogni cristiano, e cioè l’ascolto, la fragilità, la rigenerazione e la vita di fede.

Con la speranza e l’augurio che queste poche riflessioni siano non solo un aiuto per la partecipazione al Sinodo, ma anche un segno di ripresa dopo la batosta del contagio, vi esorto a vivere con intensità il periodo di attesa del Natale, per celebrarlo poi con soddisfazione.

La Vergine SS.ma e i nostri santi volterrani intercedano per noi e ci accompagnino nel cammino della vita secondo lo spirito.

Volterra, 28 novembre 2021 Prima Domenica di Avvento

 Alberto, vescovo

(3)

La Chiesa avanza sulle onde della storia, spinta dal soffio dello Spirito Santo

(-)(-)(-)

Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui. (At 1,13-14)

(4)

Preghiera del Sinodo

Adsumus Sancte Spiritus

Siamo davanti a Te, Spirito Santo, mentre ci riuniamo nel Tuo nome.

Con Te solo a guidarci, fa’ che tu sia di casa nei nostri cuori; insegnaci la via da seguire e come dobbiamo percorrerla.

Siamo deboli e peccatori; non lasciare che promuoviamo il disordine.

Non lasciare che l’ignoranza ci porti sulla strada sbagliata, né che la parzialità influenzi le nostre azioni.

Fa’ che troviamo in Te la nostra unità, affinché possiamo camminare insieme verso la vita eterna e non ci allontaniamo dalla via della verità e da ciò che è giusto.

Tutto questo chiediamo a te, che sei all’opera in ogni luogo e in ogni tempo, nella comunione del Padre e del Figlio, nei secoli dei secoli. Amen.

(-)(-)(-)

Questa preghiera, attribuita a Sant’Isidoro di Siviglia (560-636), è stata usata nei concili e nei sinodi per centinaia di anni. È opportuno utilizzarla anche ora.

(5)

Come tu, Padre, hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo Gv 17,18

PRIMA CONVERSAZIONE L’invito del Santo Padre

1. Accogliendo l’invito di papa Francesco e della Conferenza Episcopale Italiana, ci mettiamo anche noi in cammino per interrogarci sul tempo presente e su quali risposte possiamo dare alle emergenze. Per non rischiare di dare risposte non cercate a problemi non sentiti, sarebbe meglio chiederci quali interrogativi siamo in grado di suscitare nel nostro popolo cristiano, che sembra diventato sedentario, rassegnato, privo di speranza in un futuro diverso. La pedagogia di Gesù è quella di non rispondere direttamente alle domande, ma ne fa altre provocando riflessione. Gesù fa interrogazioni più che affermazioni.

Avere sempre una risposta pronta per tutto non è segno di intelligenza, ma di stupidità.

2. È opportuno attivare processi, più che prevedere soluzioni, conoscere le motivazioni che ci spingono a fare un sinodo, senza fissare in anticipo i risultati e i cambiamenti che ci aspettiamo. Papa Giovanni sapeva le motivazioni per cui ha convocato il concilio, non prevedeva certamente i risultati che ne sarebbero seguiti. Anche noi dobbiamo sapere quali sono le motivazioni che ci muovono, non conosciamo quali saranno i risultati finali. Questa è anche una delle differenze con i sinodi preconciliari, i quali duravano in media tre giorni, si svolgevano in cattedrale con

(6)

una liturgia propria, e i delegati approvavano quello che le commissioni avevano predisposto.

3. Sinodo significa ‘strada (fatta) insieme. ‘Strada’ è cammino, non staticità, è movimento per arrivare a una meta, è ricerca di qualcosa di più. Il cammino è fatto

‘insieme’ perché non ci riteniamo individui isolati e autosufficienti, ma abbiamo legami profondi che ci tengono uniti a tante altre persone, pur nella diversità. È già una cosa molto positiva sentirsi in cammino, sentirsi viandanti, avere la percezione che non ci bastano le cose di questo mondo, ed è anche molto bello camminare insieme, per condividere

‘gioie e speranze, fatiche e dolori’, ma tutto questo è ancora poca cosa.

4. I Magi si mettono in cammino seguendo la luce di una stella per trovare il Messia (Mt 2,1-11). Lo cercano in una reggia, perché pensano di trovare «il re dei Giudei», e invece trovano un bambino figlio di gente comune in una casa normale. Anche i due pellegrini di Emmaus fanno un viaggio insieme, parlano e si ascoltano, ma nei loro ragionamenti rivivono una storia di memorie, di tristezza, di vangelo senza Chiesa, un mondo finito con il venerdì santo.

Quando però sentono una voce diversa, drizzano le orecchie e si mettono in ascolto; allora comincia a «ardere loro il cuore nel petto» e l’ascolto diventa preghiera: «Resta con noi, perché si fa sera». Allora «Egli entrò (in casa) per rimanere con loro» (Lc 24,29). Questa è la più bella definizione di Chiesa: il camminare insieme che si apre all’incontro con il Signore. Dopo questo incontro i due sono presi da tanto entusiasmo che non sentono neppure la fatica

(7)

di rifare la strada già percorsa per annunziare «come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane». Però quando

«si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero», egli sparì dalla loro vista, perché l’essenziale non è vedere, ma riconoscerlo.

Sempre nel vangelo secondo Luca leggiamo un episodio analogo, ma un po’ diverso. Quando Gesù ha compiuto dodici anni, Maria e Giuseppe vanno al tempio per le loro devozioni, e nel ritorno fanno un giorno di strada pensando che Gesù camminasse con loro, e invece lo ritrovano dopo tre giorni nel tempio (Lc 2, 46).

5. Per mettere in guardia dai possibili risvolti negativi del cammino sinodale, mi piace ricordare anche l’esperienza dell’Esodo. Mentre il popolo è radunato ai piedi del monte, Mosè è salito per parlare con Dio e ricevere l’Alleanza.

Aronne raccoglie i gioielli (gli apporti) del popolo, e fa il vitello d’oro, cioè l’esito rivoluzionario del sinodo. Ma la volontà di Dio e la salvezza del popolo erano altrove, non erano nel vitello d’oro, erano nelle mani di un solo uomo che era salito sul monte per parlare con Dio.

6. La sinodalità è camminare insieme al Signore per riconoscerlo e poi andare verso i fratelli, sotto la guida dello Spirito Santo. È necessario predisporsi alla celebrazione del Sinodo con il desiderio di scoprire il progetto di Dio nella nostra storia, facendo una professione di fede completa in Gesù risorto, rinnovando l’impegno umanitario fondato sulla fede. Se però il riferimento della fede non fosse il credere nel Signore risorto, ma il mettere al centro l’opinione personale di tanti battezzati che hanno abbandonato la vita cristiana, allora il Sinodo diventerebbe un tentativo di

(8)

autocelebrazione, la pretesa di piegare la Rivelazione per giustificare la fragilità umana, piuttosto che la ricerca di elevare le persone all’incontro con Dio e con i fratelli.

7. Il cammino sinodale che stiamo per iniziare è un

«luogo» dove trovare nuovi stimoli per costruire comunità che mettano al centro Gesù e il suo Vangelo. Il risultato del Sinodo non sarà produrre un nuovo documento per l’archivio, ma risuscitare un’alba di speranza, stimolare la fiducia, fasciare le ferite, intrecciare relazioni, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle stanche membra.

8. Alla base dell’impegno sinodale ci sta la volontà costante di tutti i cristiani di purificare e accrescere la fede con l’ascolto della Parola e la celebrazione più che dignitosa della Liturgia; il desiderio di rafforzare i vincoli di comunione tra Vescovo e Presbiteri, tra Vescovo e Laici, tra Presbiteri e Laici; il proposito di soccorrere spiritualmente e materialmente i fratelli in difficoltà. Sono convinto che la dignità delle celebrazioni, la vicinanza umana tra clero e fedeli, l’attenzione ai deboli, costituiscano la credibilità del Sinodo. Le parrocchie in primo luogo, e poi tutte le famiglie religiose, le associazioni e i movimenti, dovranno essere cinghie di trasmissione e punti di raccolta molto importanti per arrivare anche là dove di solito non si arriva: nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle scuole. Allora il sinodo sarà veramente un’esperienza di crescita nella fede, nella carità, nella comprensione della storia. Tutti siamo invitati a dare il nostro contributo.

(9)

Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità.

Gv 17,19

SECONDA CONVERSAZIONE L’appartenenza alla Chiesa

9. L’ultima parola che Gesù ha rivolto agli Undici è stata una promessa di presenza: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Dice molto bene il Beato Isacco della Stella: «Cristo non è mai intero senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale e integro è capo e corpo ad un tempo» (Discorso 11, Uff. venerdì 23.ma settim.). Papa Benedetto precisa: «All’origine della comunità cristiana c’è l’esperienza di Cristo, ossia l’incontro con la sua Persona.

La fede si compie in quest’incontro con Cristo e con Lui la fede prende la forma dell’incontro con una Persona alla quale si affida la propria vita» (Verbum Domini, 25). E papa Francesco: «Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità»

(Evangelii Gaudium 114).

10. Riconoscere la presenza di Gesù nella Chiesa è il primo passo per capirne il mistero. La Chiesa non ha una sua missione, ma è la continuazione nella storia di quello che Gesù ha fatto durante la sua vita terrena. Egli si è offerto al Padre in sacrificio e si è donato a noi con la sua Parola, con il suo Corpo e il suo Sangue, cioè con tutto se stesso, perché possiamo allinearci al suo ministero e continuare la sua

(10)

presenza nel mondo. Così per mezzo della Chiesa «ancora oggi, come buon samaritano, Egli si fa prossimo a ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza»

(Prefazio comune n. VIII).

11. La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo vivente che di generazione in generazione avanza nella storia, e la predicazione del Vangelo è un mistero nel quale la Chiesa è semplice collaboratrice dello Spirito Santo. Non è la Chiesa che annunzia Cristo, è Cristo che parla attraverso la Chiesa, e se non ci fosse la Chiesa, il vangelo sarebbe carta, e Cristo sarebbe il ricordo di un morto. L’io della Chiesa è Cristo, la Chiesa si spersonalizza in Lui, la Chiesa è Cristo che ci viene incontro. Mentre la Chiesa compie il suo cammino sulla terra, Gesù vive e cammina con la sua Chiesa, come dice Lui stesso nella apparizione a Paolo: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Cristo è glorioso in cielo, non può soffrire persecuzioni, ma viene colpito nella sua Chiesa, perché Cristo e la Chiesa sono tutt’uno. È bellissima e conosciuta l’affermazione di Sant’Agostino: «Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza»

(In Jo.Ev. Tractatus, 6,7).

12. La Chiesa è incomparabilmente aldilà del sentimento corale di trovarsi bene assieme o di venire rassicurati e pacificati. La comunità dei cristiani esiste perché è radunata attorno al trono dell’Agnello, è unita a Lui come i tralci alla vite e da Lui illuminata come la terra è illuminata dal sole.

La comunione ecclesiale è unità tra persone diverse che sono

(11)

una cosa sola tra loro perché sono una cosa sola con il Signore. In Lui risiede la nostra autentica umanizzazione, non nelle nostre povere e transitorie realizzazioni terrene.

«Anche noi corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,1-2).

13. Chi giudica la storia della chiesa soltanto sulla base del suo aspetto visibile, dimentica di tenere nella giusta considerazione la dimensione spirituale, quella della carità, della preghiera, della santità, perché la Chiesa è semplice collaboratrice dello Spirito Santo nel preparare la venuta del Regno. Il formale invito rivolto a ciascuna delle sette Chiese dell’Apocalisse: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7 e par.) mostra chiaramente che bisogna ascoltare quanto lo Spirito dice alla singola comunità, perché è lui il protagonista della vita della Chiesa, è lui che ci dà la forza di proclamare che Gesù è il Signore (vedi 1Cor 12,3), è lui che trasforma i nostri cuori e ci dà il potere di amare i fratelli come Lui ha amato noi.

14. La comunione nella Chiesa implica una doppia dimensione: comunione verticale con Dio, dalla quale discende la comunione orizzontale con i fratelli e le sorelle.

La comunione discende dall’alto come frutto dell’iniziativa divina realizzata nel mistero pasquale, e i cristiani lasciano trasparire il mistero di Cristo quando si affiancano a chi è nel bisogno, offrono la medicina della misericordia, comunicano gioia, stanno nella Chiesa senza la pretesa di ottenere miracoli o di avere visioni. In tal modo la Chiesa si

(12)

presenta in tutta la sua bellezza come popolo, come mistero di comunione e come sacramento di Cristo nella storia.

15. Dalla vita di fede e di preghiera discende l’impegno di andare verso i fratelli che sono nel bisogno, cioè la catechesi, l’accoglienza, l’accompagnamento spirituale, la carità, l’attenzione per chi è più fragile, la visita alle persone. È una pia illusione pensare che esista la comunione verso i fratelli senza la comunione con Dio. Quando il problema assillante della nostra gente era la fame, per dire che la persona ha bisogno di nutrimento si diceva che il

«sacco vuoto non sta in piedi». Analogamente la vita cristiana, con le varie attività caritative, se non è sostenuta dalla vita di fede e di preghiera, svanisce come la neve al sole.

16. La Chiesa adempie la missione ricevuta non quando aumenta i numeri, ma quando diventa significativa nella società. Di conseguenza i cristiani che si dedicano all’apostolato non hanno premi di produzione, non sono agenti commerciali che devono cercare clienti per collocare un prodotto. La missione della Chiesa non è quella di avere consensi, incrementare la produttività, migliorare i grafici o aumentare le percentuali, come hanno fatto i progetti pastorali da quarant’anni a questa parte, ma quella di essere fedele il più possibile allo spirito del Vangelo per apparire ed essere «il sale della terra, la luce del mondo» (Mt 5,13.14).

(13)

Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola.

Gv 17,20

TERZA CONVERSAZIONE La vita interna della Chiesa

17. Nel suo aspetto visibile la Chiesa si può paragonare ad una grande nave a vela: la spinta non viene dai marinai, ma dal soffio dello Spirito che Gesù ci ha mandato dalla destra del Padre (Gv 16,7; At 1,8). Il vescovo con suoi collaboratori tiene la rotta giusta, bada alla solidità della nave, provvede il cibo ai marinai, i quali devono aprire le vele al vento dello Spirito. La spinta non viene dai progetti di riforma, ma dalla preghiera di uomini e donne spirituali, dalla carità degli umili, dalla fede e dalla speranza di tutti i battezzati.

18. La percezione della natura della Chiesa però si può avere solo dal suo interno, così come si può percepire solo dall’interno la storia d’amore di due innamorati. Nessuno che è fuori dalla sua dimensione la può giudicare, non tanto perché non ne abbia il diritto, ma perché non ne ha la conoscenza. Può giudicarne l’esteriorità, ma gli sarà sempre estranea la natura intima, che resta nascosta a chi è al di fuori. Non si può parlare della Chiesa come di un oggetto a partire dalle proprie presupposizioni di carattere ideologico, culturale, filosofico o altro. Chi vive la vita della comunità cristiana al suo interno, sa che al centro della vita della Chiesa c’è la vita di fede e di preghiera, e che nell’ascolto della voce dello Spirito i cristiani si sforzano di vivere e di portare al mondo un messaggio di amore e di speranza.

(14)

19. Coloro che guardano la Chiesa dal di fuori, come pure coloro che si ritengono cristiani devoti ma non fanno esperienza di vita ecclesiale, giudicano la Chiesa secondo i propri parametri, e quindi parlano di sacri palazzi, di carriere ecclesiastiche, di giochi di forze, di lotte di potere, di legami con i governi e con le banche. Fanno parte di una categoria simile a questa coloro che, rimanendo ammirati dalle tante attività caritative della Chiesa, finiscono per pensare che essa sia una istituzione umanitaria a livello di una ONG qualsiasi, con il compito di fare da puntello ai pubblici servizi. Ha sottolineato bene papa Francesco: «La Chiesa non è una ONG, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo» (Ud. 23.10.2013).

20. Qualcun altro poi rimane scandalizzato dalla debolezza di alcuni, e anziché arrossire e cercare rimedio, si erge a giudice implacabile contro la Chiesa. Secondo costoro le opere buone sono merito di qualcuno che agisce nonostante le istituzioni, mentre le opere cattive sono colpa di tutta la Chiesa. Infine ci sono coloro che perpetuamente sono insoddisfatti e che si lamentano perché non trovano una Chiesa sufficientemente ispirata. A costoro si adattano molto bene le parole di Seneca: «Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare» (A Lucilio, 71,3).

21. Leggiamo nel quarto vangelo che Gesù per guarire il cieco fece del fango e glielo spalmò sugli occhi (Gv 9,6-7).

Chiaramente non è stato il fango a guarire il cieco, ma la fede e l’azione di Gesù. Così molte volte la Chiesa può apparire fangosa e quindi bisognosa di riforma, di essere riportata alla purezza originaria, a quella purezza che le ha

(15)

donato Gesù con il suo sacrificio. Il fatto che la Chiesa sia fangosa non le permette di insuperbirsi, ma la spinge a umiliarsi e a chiedere con più forza l’aiuto del suo Signore.

Pur con tutti i difetti, la Chiesa è santa perché santificata dal sangue di Gesù, non dalla sapienza umana (vedi Ef 5,25-27;

Tt 2,14; 3,5). Se la Chiesa fosse la società dei perfetti, vi entrerebbero solo i boriosi, mentre le persone normali la guarderebbero da lontano senza avere il coraggio di entrarvi.

22. In altre parole la Chiesa come organizzazione visibile che cammina nella storia è un involucro sempre riformabile e spesso opaco. Oggi comunque la Chiesa è immensamente più pura che nei secoli passati: più libera dal potere, dal fasto, dalle ricchezze, dal nepotismo, dagli intrallazzi politici, e quello che più conta non è meno ricca di santi del passato. Il fatto che gli scandali oggi siano portati a galla e denunciati sempre più spesso per iniziativa della stessa istituzione, è già di per sé un grande progresso.

23. Nel corso dei secoli è sempre esistita nella Chiesa la funzione profetica. Non è male denunziare il peccato e le sue depravazioni, ma è ingenuo attribuirle solo agli altri e mettersi nella categoria degli innocenti. Il vero profeta non è colui che nella sua ottusità si autoproclama predicatore di riforme. Quando il profeta si mette su un piedistallo per puntare il dito contro gli altri, quando propone riforme che sono estranee alla rivelazione scritta e alla tradizione, quando accarezza le orecchie degli ascoltatori anziché metterli in guardia, allora si rivela come un falso profeta. Il vero profeta è colui che si pone in posizione critica, che non cavalca il pensiero dominante ma va controcorrente.

(16)

24. Vale la pena rileggere una pagina molto lirica e di alta spiritualità di Carlo Carretto (1910-1988): «Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso, e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello. Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te. E poi, dove andrei? A costruirne un’altra? Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la Mia Chiesa, non più quella di Cristo. L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: ‘Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi non è più credibile’. Mi fa pena! O è un sentimentale che non ha esperienza e lo scuso;

o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.

Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra. La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo.

Degli uomini è la debolezza e semmai la buona volontà di fare qualcosa di buono con l’aiuto della grazia che sgorga dalle vene invisibili della Chiesa visibile. Forse la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?» (Carlo Carretto, Il Dio che viene, cap. X).

(17)

Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

Gv 17,21

QUARTA CONVERSAZIONE La sinodalità nella Chiesa

25. La parola ‘Chiesa’ significa convocazione, chiamata, La vita cristiana è essenzialmente vita di comunità, di appartenenza alla Chiesa, e la partecipazione dei laici alla missione della Chiesa ha il suo fondamento e la sua legittimazione nel sacerdozio comune che tutti i fedeli indistintamente hanno ricevuto con il sacramento del battesimo. Già nell’Antico Testamento gli Israeliti avevano la consapevolezza di essere un popolo, il popolo eletto: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,6). Nel Nuovo Testamento la consapevolezza di essere la comunità eletta non è legata all’appartenenza a un popolo, ma diventa patrimonio di tutti coloro che sono venuti alla fede: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9); e ancora: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli» (Ap 1,6).

26. Il riferimento al sacerdozio regale non è per i ministri del culto, ma per tutti coloro che mediante il battesimo costituiscono un edificio spirituale, un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali: «Quali pietre vive siete costruiti

(18)

anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,5). In base al sacerdozio comune che è primario rispetto al sacerdozio ministeriale, la vita dell’intera comunità si traduce in una liturgia continua, in un inno di lode e di ringraziamento, in una offerta gradita a Dio.

27. Così ci dice san Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). L’offerta della vita da fare a Dio è possibile per la mediazione dell’unico sacerdote Gesù, che si è offerto al Padre nel sacrificio della croce e si è offerto ai fratelli nel pane spezzato durante la cena. La sua offerta viene celebrata di generazione in generazione dal sacerdozio ministeriale, e diventa il vincolo di comunione per tutti coloro che si nutrono dell’unico pane.

28. La sinodalità trova la sua espressione più alta nella comunione attorno all’altare, nella celebrazione della Eucaristia: in essa si realizza la comunione dei fedeli con Dio e tra di loro. Dalla comunione attorno all’altare deriva poi la condivisione delle responsabilità, perché le soluzioni migliori emergono dal contributo di tutti. San Benedetto nella Regola prescrive: «Abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore. I monaci poi esprimano il loro parere con tutta umiltà e sottomissione, senza pretendere di imporre a ogni costo le loro vedute; comunque la decisione spetta all’abate, e in ciò che egli avrà giudicato più opportuno, tutti obbediscano» (Regola, cap. III,3-5).

(19)

29. Le democrazie sono regolate dal principio di maggioranza, determinato dal consenso che deriva dal voto, e al tempo stesso dal principio della inviolabilità dei diritti delle minoranze. Accade però nel sistema parlamentare che lo spirito di gruppo e la volontà di quieto vivere, o addirittura il conformismo, trascinano la maggioranza ad accettare le posizioni di minoranze intraprendenti, determinate ad andare verso direzioni precise. Se poi con grande mediazione si trova un punto di incontro tra le varie tendenze, escono fuori documenti appiattiti, slavati e smorti.

30. Nella Chiesa abitualmente si procede con processi che possiamo chiamare di discernimento, cercando di riuscire ad ascoltare la voce dello Spirito che a volte parla attraverso il più piccolo o l’ultimo arrivato. Piuttosto che dividersi in maggioranza e minoranza, si cercano nel dialogo punti di convergenza, perché la verità non è il risultato di votazioni.

Non si cerca il consenso, ma la concordia, non si prendono decisioni ‘democraticamente’, ma come dice la succitata Regola di San Benedetto, dopo un ampio confronto qualcuno decide, e la responsabilità con i meriti e i demeriti è la sua.

31. Il Sinodo non è un’assemblea democratica in cui si decide a votazione, perché non si cerca la maggioranza o un accordo sopra alcune questioni. Questo può farlo un parlamento, il quale però non è un sinodo. Dal parlamento si passa al sinodo quando c’è la presenza dello Spirito che comporta preghiera, silenzio, discernimento, condivisione.

Non può esistere sinodalità senza lo Spirito, non si trova lo Spirito senza la preghiera. In democrazia una opinione

(20)

prevale sulle altre; nella Chiesa lo spirito di comunione tende a far convergere tutti verso un qualcosa che può essere da tutti ritenuto proprio, e si ragiona fino a ottenere la soluzione migliore. Il discernimento è ciò che rende diversa un’assemblea ecclesiale da una qualunque assemblea democratica; e questo discernimento fa leva sul dono dello Spirito.

32. Fare discernimento comunitario non significa arrivare alla scelta sommando i discernimenti individuali, ma riconoscere la comunità come un organismo vivo, una comunione dei cuori tale da accogliere ciò che lo Spirito può rivelarle. Il discernimento comunitario fa leva sull’amore nel quale vive o dovrebbe vivere la comunità, e si svolge in un clima di preghiera. Una possibile traccia da seguire potrebbe essere quella suggerita da M. I. Rupnik, Il discernimento.

Seconda parte: come rimanere con Cristo, Roma 2001, pag.

123, che brevemente riassumo. Dopo la preghiera allo Spirito Santo, fatta in clima e ambiente adatto, si legge una pagina della Sacra Scrittura che in qualche modo riguarda l’oggetto sul quale si deve parlare. Chi presiede, o un suo delegato, espone in modo conciso, senza divagazioni o inutili commenti, l’oggetto del discernimento; si sentono quindi i pareri di tutti, preferibilmente uno dopo l’altro, in cerchio. Ognuno è invitato a esporre il proprio parere riguardo all’argomento, parlando brevemente e pacatamente.

Nessuno controbatte quanto è detto da un altro, ma eventualmente in un secondo giro ciascuno mette in risalto l’opinione migliore che ha ascoltato dagli altri (ma non la sua), finché emerge un parere condiviso sulle decisioni da prendere.

(21)

Siano una sola cosa come noi, Padre, siamo una sola cosa.

Gv 17,22

QUINTA CONVERSAZIONE La Chiesa nella storia

33. La Chiesa avanza nella storia guardando con fede verso l’Alto e con attenzione verso i fratelli ai quali deve portare il messaggio cristiano. Per svolgere questo compito

«È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (GS 4,1).

E ancora: «Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11,1). Camminando nella storia, la Chiesa ha rapporti con ogni epoca, ma non si identifica con nessuna. Ricordo, tra tanti altri molto significativi, un breve passaggio di Romano Guardini: «La Chiesa non è mai moderna; neppure nel Medioevo lo fu. Le si è sempre rimproverato di essere arretrata nei tempi, di mettere radici nel passato. Questo tuttavia è un modo di vedere errato; in verità vuol dire che la Chiesa non appartiene affatto essenzialmente al tempo; è interamente sciolta da ogni temporalità, anzi addirittura un poco scettica nei suoi confronti» (Il senso della Chiesa, ed. 1960, p. 86).

(22)

34. Se riflettiamo sulla storia della salvezza alla luce della fede, vediamo che non c’è divino capolavoro che il demonio non tenti di tramutare per qualche aspetto in occasione di malessere e di rovina; però è anche vero che non c’è evento nefasto dal quale Dio non ricavi qualche bene per i suoi figli. Per i credenti la storia non è mai una sequenza più o meno casuale di fatti; è sempre una storia di salvezza, e anche le difficoltà e i fallimenti sono occasione di crescita e maturazione.

35. Negli imprevedibili giri della storia la Chiesa è sempre riuscita a riemergere: è veramente un organismo misterioso che cresce e si sviluppa in maniera inarrestabile.

Per quanto la si soffochi con la violenza o si cerchi di sedurla con la promessa di prestigio, per quanto sia attaccata dall’esterno e compromessa dalla miseria della vita interna, la Chiesa dopo ogni crisi riemerge in maniera imprevedibile, come un fiume carsico. È solo sotto l’azione dello Spirito che può continuare la sua missione, come diciamo nella liturgia: «In ogni tempo tu doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi» (Prefazio Domenicale n. IX).

36. Rendiamoci conto che il lamento sul tempo è una cosa sterile. L’età dell’oro esiste nelle favole dei poeti; in ogni epoca ci sono dei limiti legati alla natura umana, e la consapevolezza dei limiti non è un ostacolo al progresso, è piuttosto la molla di lancio per percorrere la strada che Dio ci ha segnato. I momenti di difficoltà ci aiutano a riflettere e a ripartire, e la nostra spinta in avanti è più sostenuta quando facciamo tesoro delle esperienze fatte. Dio non ama la nostra

(23)

epoca meno delle altre, e la vita cristiana è vissuta anche oggi, pur diversamente dal passato, e vissuta con eroismo.

La beatificazione di Carlo Acutis, un giovane ragazzo morto a 15 anni nel 2006, il martirio del beato Rosario Livatino nel 1990, sono solo due casi emergenti su tanti altri.

37. Buona cosa è l’ammirazione del passato, perché ci racconta la grandezza dell’umano ingegno, soprattutto quando è sostenuto dalla fede nel soprannaturale. Noi dobbiamo conservarne in vita gli aspetti migliori, secondo il noto aforisma del compositore Gustav Mahler: «Fedeltà alla tradizione significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri». I grandi valori e i tesori del passato non sono ereditati come se fossero una rendita, non sono una riserva aurea dalla quale attingere a piacimento, ma devono diventare nostri e rivivere con il nostro sofferto impegno personale.

38. Molte cose sono cambiate nella vita della Chiesa, altre ancora cambieranno. Nel tentativo di scrollarci di dosso gli aspetti folkloristici, le pomposità e le tradizioni vuote di significato (che per molti sono costitutive della Chiesa) che ci gravano sulle spalle come pesanti eredità, la Chiesa in questi ultimi decenni ha semplificato molte cose, ha soppresso molte prescrizioni rituali facendo appello alla coscienza più che all’osservanza di norme. Se sono moderni alcuni aspetti della vita della Chiesa, come ad esempio la sostituzione nella liturgia delle lingue vive al latino e lo snellimento di alcune preghiere, lo spirito che ci anima è quello di tornare all’antico, riportarci all’essenziale, all’entusiasmo delle origini della vita della Chiesa.

(24)

39. Prendiamo atto che la storia non è un progresso lanciato all’infinito, ma conosce ripensamenti, pause, aggiustamenti, e che il ricordo del passato è come un faro che illumina la nostra vita che avanza verso il futuro, e che quanto accade nella storia è per nostro ammaestramento.

Non possiamo mai abbandonarci alla disperazione, e nemmeno alla rassegnazione, perché la nostra forza e il nostro ottimismo vengono da un piano superiore. In ciascuno deve rinascere la speranza di orientare la propria vita verso cose migliori, di modo che l’umanità stessa possa diventare più umana.

40. La presente epidemia ci spinge a rivedere il tenore della nostra fede e ci invita a ridefinire meglio i contorni del nostro essere cristiani. La ripresa è doverosa, anche se faticosa, e non potremo riprendere come se niente fosse avvenuto: la lezione che avremo imparato sarà che non siamo onnipotenti, ma che dobbiamo sempre fare i conti con il provvisorio, e quindi è sempre necessario ricalcolare la scala dei valori e distinguere quello che è più importante da quello che è meno importante, quello che è essenziale da quello che è secondario. Il fatto costante che rimane è quello di avere sempre grande attenzione verso le persone nella concretezza della loro vita, far sentire la nostra vicinanza a chi si trova in condizioni di bisogno, ma nello stesso tempo riconoscere la fragilità del progresso e imparare a rivolgere di più gli occhi verso il cielo.

(25)

Siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato.

Gv 17,23

SESTA CONVERSAZIONE In ascolto

41. Con queste parole il Concilio inizia il documento sulla divina rivelazione: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio…» (DV

§ 1). Nella letteratura greca leggiamo una immagine più profana, ma più incisiva: «La natura ha dato a ciascuno di noi due orecchie ma una lingua sola, perché siamo tenuti ad ascoltare più che a parlare» (Plutarco, Ratio audiendi, § 3).

Non può mancare una citazione di Sant’Agostino sull’agire che segue all’ascolto: «Considerate che, se è attraente l’ascoltare, quanto più il realizzare. Ascoltare e mettere in pratica equivale a edificare sulla roccia. L’ascolto stesso è appunto un edificare» (Serm. 179,8).

42. L’Antico Testamento è un invito continuo all’ascolto.

La formula introduttoria: «Così dice il Signore», o l’espressione conclusiva: «Oracolo del Signore», o: «Dice il Signore» sono un ritornello qualificante nei libri profetici.

Con l’imperativo: «Ascoltate!» i profeti intendono svegliare gli israeliti dal sonno dell’illusione di ritenersi comunque al riparo dalla condanna divina perché garantiti dall’elezione.

Bellissimo il lamento del salmo 94: «Ascoltate oggi la sua voce: Non indurite il cuore, come a Meriba». L’ascolto della parola di Dio, esigente e normativa, è l’elemento costitutivo dell’alleanza del Sinai, non è pura audizione, ma coerenza di

(26)

vita: «Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica; perché tu sia felice e cresciate molto di numero nel paese dove scorre il latte e il miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto» (Dt 6,3).

43. Anche nel Nuovo Testamento, e soprattutto nei vangeli risuona continuamente l’invito all’ascolto. Gli ascoltatori che mettono in pratica sono paragonati a chi costruisce sulla roccia (Mt 7,24) o a chi scava solide fondamenta (Lc 6,47). Nella parabola del seminatore si sottolinea l’insufficienza di chi si limita ad ascoltare senza portare frutti (Mt 13,18). Una beatitudine particolare è promessa a chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica (Lc 10,24; 11,28). Nel quarto vangelo l’ascolto diventa appartenenza: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27). Il tema dell’ascolto implica l’adesione della fede, ascoltare vuol dire prima di tutto credere, e poi annunziare: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20; cfr 15,7). Un particolare poco ricordato è che non saremo giudicati da come parliamo, ma da come ascoltiamo: «Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere» (Lc 8,18).

44. All’ascolto in linea verticale segue un ascolto in linea orizzontale, all’ascolto della Parola di Dio si unisce l’ascolto dei fratelli. È lo Spirito che dobbiamo ascoltare come popolo di Dio, composto da tutti i battezzati con i loro diversi compiti, ed è Lui che ci guida nell’individuare i passi da compiere. Uno di questi riguarda il modo di agevolare nella

(27)

Chiesa la partecipazione attiva di tutti, e quindi metterci in ascolto per aiutare ogni battezzato a sentirsi effettivamente responsabile in prima persona dell’annuncio del Vangelo e l’esercizio dei ruoli di responsabilità. Può accadere che ascoltiamo tante povertà, non solo materiali ma anche culturali: ebbene dall’ascolto delle fragilità contemporanee sotto l’azione dello Spirito scaturiranno le proposte per rivitalizzare la Chiesa e il suo modo di presentarsi al mondo.

Il vero protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo, che agisce nella Chiesa e in ogni persona che si mette al suo ascolto.

45. Il vero ascolto è sempre nuovo, non è mai definito in anticipo. Ascoltare significa sospendere i giudizi di valore sulle persone, non definire a priori il proprio interlocutore e neppure classificare quanto egli dice in categorie già predisposte. È molto importante creare un rapporto positivo caratterizzato da un clima in cui una persona possa sentirsi compresa e non giudicata, dimostrare empatia mettendosi nei suoi panni, assumere il suo punto di vista e condividere per quanto possibile le sensazioni che manifesta. Il contesto in cui si svolge la comunicazione deve agevolare l’interlocutore e farlo sentire il più possibile a suo agio. Sia per aiutare l’esposizione, sia per migliorare la comprensione, si possono anche fare domande, con discrezione, solo per fare chiarezza, non come fanno certi giornalisti che pilotano le domande per far dire all’interlocutore quello che vogliono loro. Non dimentichiamo che nel silenzio si capiscono molte cose.

46. Per ascoltare veramente bisogna andare più in là delle parole ed entrare in contatto con la persona e con quello che

(28)

sta vivendo. Ascoltare è come quando si cerca una stazione radio, bisogna sintonizzarsi, entrare nella lunghezza d’onda dell’altro. Ascoltare non è un verbo passivo, ma attivo, non è solo capire le parole, ma sentire quello che l’altro sta vivendo e parteciparvi.

47. Per praticare l’ascolto attivo non è sufficiente disporsi con atteggiamenti da buon osservatore, ossia come persone impassibili, neutrali, sicure di sé, incuranti delle proprie emozioni e tese a nascondere e ignorare le proprie reazioni di fronte a quanto si ascolta. Bisogna rendersi disponibili a comprendere realmente ciò che l’altro sta dicendo, stabilendo rapporti di riconoscimento, di rispetto e di comprensione reciproca. E infine mentre ascoltiamo l’altro dobbiamo imparare anche ad ascoltare le proprie reazioni, a capire i propri limiti, ad accettare di non sapere tutto e ammettere di non capire tutto.

48. La prima fase della celebrazione del Sinodo prevede di praticare l’ascolto, aperto a ogni persona e a ogni categoria, perché è opportuno e necessario mettersi in ascolto di coloro che desiderano parlare, dare delle opportunità a tutti creando luoghi e tempi adatti. Il discorso si può allargare anche ai non praticanti, e lo stile dell’ascolto dovrebbe diventare una cosa abituale, anche se qualche volta potrebbero uscire sorprese non piacevoli.

(29)

Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io.

Gv 17,24

SETTIMA CONVERSAZIONE La fragilità della Chiesa

49. «Per quanto possa sembrare paradossale, la imperfezione appartiene alla natura della Chiesa terrena come fatto storico. Né dobbiamo appellarci dalla Chiesa visibile alla ‘idea della Chiesa’. Certamente dobbiamo confrontare il suo stato presente con quello che la Chiesa dovrebbe essere, e adoperarci perché diventi migliore» (R.

Guardini, Il senso della Chiesa, ed. 1960, p. 64). L’origine della Chiesa è divina, ma essa vive nel mondo e ne subisce i condizionamenti negativi, sia dall’interno che dall’esterno.

50. All’interno della Chiesa la verità cristiana trova un grave ostacolo nella natura peccaminosa dell’uomo. Noi non siamo onnipotenti, il limite appartiene alla condizione umana, e quindi diventa estremamente difficile vivere quella fedeltà al vangelo che proclamiamo. Però abbiamo un grande deposito da custodire e da trasmettere, e solo la fiducia nella misericordia e nell’aiuto del Signore può aiutarci, non la nostra autosufficienza: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi»

(2Cor 4,7). Solo a Dio tutto è possibile: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc 18,27).

«Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è nulla, Dio lo ha scelto per

(30)

ridurre al nulla le cose c he sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,27ss).

51. All’esterno siamo circondati da una cultura che non aiuta a trasmettere la fede cattolica, perché viviamo come ai tempi apostolici, non in tempi di cristianità. L’era della trasmissione etnica o nazionale della fede cattolica è finita ovunque nel mondo occidentale, il quale molto spesso è attivamente ostile alla Chiesa. Un grosso ostacolo lo incontriamo anche negli intellettuali, i quali attualmente hanno perduto il senso dell’umorismo e della debolezza umana, e quindi vogliono nasconderla. Nel pensiero dominante gioca un ruolo fondamentale il fatto di essere autosufficienti, perché questo dà l’idea di disporre a piacimento delle proprie cose. Tutto si costruisce sul potere, sulla forza esibita, sul ‘faccio perché posso’. La logica del dominio presenta la società fondata sul potere e sul successo; quindi ogni autonomia viene considerata una forza, mentre le relazioni nelle quali appaiono le proprie fragilità e il bisogno di qualcun altro sono intese come vergogna, un ‘difetto’ da nascondere.

52. Perdere di vista questa evidenza della fragilità umana, come capita alla nostra generazione, significa contraddire la realtà quotidiana in cui siamo immersi. Dice il saggio dell’Antico Testamento: «Anch’io sono un uomo mortale uguale a tutti, discendente del primo uomo plasmato con la terra. Anch’io alla nascita ho respirato l’aria comune; come per tutti, il pianto fu la mia prima voce. Nessun re ebbe un inizio di vita diverso. Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza»

(31)

(Sap 7,1-7). È molto più semplice ammettere la fragilità che nasconderla. Quando poi la fragilità si coniuga alla saggezza, allora si entra nella dimensione del sacro, e nell’incontro con Dio tutto ci diventa possibile: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13).

53. Riconoscere il valore della fragilità conduce a una essenziale conseguenza: prendersi cura dei più deboli, dal momento che Dio in Gesù si è reso così debole per amore, da trasformare la fragilità in potenza universale di salvezza.

Solo sulla fragilità si può fondare un nuovo umanesimo, un umanesimo del bisogno dell’altro, della relazione umana, dell’amicizia, della solidarietà, dell’appartenenza. Il potente è solo e teme tutti, il fragile ha bisogno di tutti e di ciascuno, si lega all’altro per trovare il coraggio di camminare sui sentieri della vita. Per questo guarda al mondo con fiducia e senza paura.

54. L’esperienza dei limiti, nostri e dei fratelli, ci educa all’arte dei piccoli passi, ci abitua a cercare nell’immediato i rimedi possibili, ci aiuta a riconoscere l’ora presente come la più importante. Nel mondo dominato dall’efficienza e privo di misericordia, dove ciascuno tende ad autogiustificarsi e magari ad accusare gli altri, la missione del cristiano è quella di parlare alle persone, alla loro solitudine, alla loro disperazione, cioè stare accanto alla propria gente testimoniando l’amore misericordioso, e parlare con Dio delle miserie umane.

55. La nostra forza ci viene da fuori, da quella presenza divina che manda il suo Spirito sulla fragilità della nostra

(32)

vita e la fa aprire all’amore. Non invidiamo i potenti della terra, perché «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1Co 1,51); Dio «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53).

56. Quando la nostra azione è conseguenza della consapevolezza dei nostri limiti e dell’aiuto che ci viene da Dio, non da generici ideali umanitari, allora diventa un dinamismo continuo tra realtà spirituali e attività materiali, tra ricerca della fede e attuazione della carità, perché l’esistenza cristiana è come la scala di Giacobbe: un continuo salire verso il cielo per l’incontro con Dio per poi ridiscendere portando agli uomini il suo amore e la sua forza in modo da servire fratelli e sorelle con il suo stesso amore e poi risalire di nuovo per presentare a Dio le umane miserie e le attese di giustizia e pace (Gen 28,12). Nella nostra attività verso il mondo dobbiamo sempre far riferimento ad una realtà spirituale più grande di noi., perché soltanto Dio può dare buon esito alle nostre imprese e toccare il cuore dell’uomo: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Sal 126,1). «Ad ascoltare [Paolo]

c’era anche una donna di nome Lidia, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14).

(33)

Questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato.

Gv 17,25

OTTAVA CONVERSAZIONE La rigenerazione della Chiesa

57. Per quanto ci riguarda, alimentiamo la fiamma di una fede che rischia di spegnersi per le troppe bocche che vi soffiano sopra. Diceva però un motivetto di qualche anno fa:

«Il vento spegne i fuochi piccoli, ma accende quelli grandi».

Abbiamo bisogno di purificazione anche nella fede; quello che è debole si perde, ma quello che è grande si rigenera.

Certamente questa crisi ci ha fatto uscire da schemi consolidati che sembravano immutabili, è finita l’epoca del dire: Si è sempre fatto così. Ci si può chiedere se la pandemia ci cambia in meglio o in peggio. La risposta è semplice: la pandemia è un tempo opportuno per cambiare i nostri paradigmi e renderci conto della realtà. Pertanto cambieremo in meglio se prenderemo atto dei limiti della nostra condizione umana senza evadere nel mondo dei sogni, e ci rimbocchiamo le maniche per ricominciare.

58. La lezione che avremo imparato sarà quella di passare da una pastorale preoccupata dei programmi e delle strutture a una pastorale attenta alle persone, alla concretezza della loro quotidianità. Qualcuno dice con un gioco di parole:

«Bisogna passare dalla pastorale del campanile alla pastorale del campanello». Non basta più insegnare qualcosa o trasmettere semplicemente un messaggio, ma bisogna avvicinare gruppi, ragazzi e famiglie alla pratica della vita

(34)

cristiana. È il momento di trovare nuovi modi per essere vicini alle persone, è il momento di agire con competenza, professionalità, onestà e rispetto per gli altri, in particolare per chi si trova in condizioni di disagio e di fragilità. Non è più sufficiente insegnare le cose di Dio, ma dovremo esercitarci a raccontare le meraviglie di Dio e aiutare i nostri fedeli a scoprire nelle vicende umane le tracce del suo amore.

59. Se vogliamo aiutare gli uomini e le donne di oggi a incontrare Gesù, è urgente ripensare l’annuncio della fede e dei contenuti catechetici. Per favorire sempre più l’incontro tra l’uomo e Dio non è necessario cercare nuove iniziative, non è il caso di chiedersi: che cosa fare?, ma piuttosto chiedersi: Come e con quale scopo si fanno le cose? Bisogna cambiare mentalità, e il cambiamento di mentalità porterà al rinnovamento del modo di fare pastorale.

60. Durante il lungo discorso di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani, i suoi ascoltatori gli chiedono:

«Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?

Gesù rispose loro: Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6,28-29). Anche nel libro degli Atti leggiamo qualcosa di simile. Coloro che ascoltano il discorso di San Pietro, commossi, gli chiedono: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E Pietro disse loro: Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei peccati e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,37-38). Immaginiamo che una richiesta simile venga fatta a uno dei nostri parroci: «Che cosa dobbiamo fare?». Si sentirebbe rispondere: C’è da fare il catechismo,

(35)

preparare la mensa caritas, pulire la chiesa, tagliare l’erba nel prato della parrocchia … La risposta di Gesù e quella di Pietro sono state diverse.

61. La rigenerazione non si cala dall’alto, non si fa esportando modelli, ma valorizzando la realtà sul territorio con grande attenzione al quotidiano, alla vita delle persone.

Scrive amabilmente un pastore protestante: «Il posto del sale non è la saliera ma la minestra» (Helmut Thiliche, Il discorso della montagna, Elle Di Ci 1972). Bisogna ricominciare con l’educazione alla preghiera, la partecipazione alla vita liturgica, la scoperta della propria vocazione, il cammino di santità e l’impegno nella vita sociale. Per fare questo la testimonianza personale è la prima forma di comunicazione interpersonale: la credibilità della persona è la prima predica.

62. Le opere di carità che ci aspettano non sono solo le strutture, né esclusivamente quei servizi che rispondono ai bisogni materiali, ma anche quelle iniziative che tendono alla formazione dei membri della comunità, rispondono ai bisogni relazionali e culturali, mettono insieme le energie per migliorare le risposte ai bisogni. Non basta nutrire il corpo: l’uomo ha una dimensione spirituale, una apertura verso l’Assoluto, un bisogno di credere che non è soffocabile con la cura del corpo.

63. Spesso sentiamo parlare di carità, di impegno sociale, di lotta per la giustizia: tutte cose buone, giuste e doverose.

Ma quante volte sentiamo vescovi, preti, catechisti, missionari, i nostri cristiani che parlano di risurrezione della

(36)

carne e della vita eterna? Eppure in un mondo come il nostro, dove relativismo, materialismo, ateismo, egoismo, individualismo, sembrano regnare indisturbati nel cuore dell’uomo che spesso si sente artefice e costruttore della propria vita, c’è quanto mai bisogno di parlare di vita spirituale e annunciare la vita eterna.

64. Durante il conclave del 1958, mentre circolavano i pareri più strampalati delle persone ‘bene informate’, come accade sempre in tali circostanze, Don Mazzolari scriveva:

«Può darsi che la Provvidenza ci mandi un Pontefice silenzioso, senza incanto di corpo e senza fascino di cultura, un profeta che sappia appena balbettare: a, a, a. In un mondo traboccante di paurosa e provocante violenza, non sarebbe del tutto strano se il Signore si compiacesse di regalare alla Chiesa un Pontefice umile e povero e di niente altro preoccupato che di proteggere gli inermi, dissipare dalle menti la tenebra e il terrore dai cuori. Siamo stanchi di troppa scienza e di troppa cultura; stanchi di troppo potere e di troppi spettacoli, stanchi di grandezze e di prestigio e di primi posti, stanchi di parole. Se il Signore scegliesse per la sua Chiesa l’ultimo dei suoi sacerdoti e gli mettesse sulle labbra unicamente e perdutamente la sua Parola e nel cuore tale apostolica fermezza da ripeterla senza riguardo di persona, disposto a perdere il superfluo e il quotidiano pur di rimanerle fedele, il resto, questo inutile e ingombrante resto, che arriva sin sulle soglie del conclave con strane congetture e assurdi voti, il resto cadrebbe da sé» (Primo Mazzolari, Adesso, 1° novembre 1958).

(37)

Io ho fatto conoscere loro il tuo nome, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.

Gv 17,26

NONA CONVERSAZIONE Avere fede!

65. È facile andarsene quando la nave sembra affondare.

In realtà, se questa è davvero la nave di Pietro, non potrà essere inghiottita dai flutti. Il minimo che si possa dire è che bisogna aver fede, come Mosè, il quale «lasciò l’Egitto senza temere l’ira del re; infatti rimase saldo, come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). In questo tempo dovremmo diventare tutti dei mistici, cioè uomini e donne veramente spirituali. Solo questo ci salverà dalla depressione o, per usare un termine della tradizione cristiana, dalla peggiore malattia dell’anima del credente che è l’accidia. Noi continuiamo a seminare, lasciando dietro di noi solchi di sementi preziose, e un giorno, quando le condizioni lo consentiranno, queste sementi di nuovo germoglieranno!

66 La fede cristiana è indirizzata verso un intermediario, un mediatore. Gesù è nello stesso tempo il cammino che ci guida e il termine verso il quale andiamo. Egli è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), Egli è l’uomo donato da Dio agli uomini perché diventi sacrificio per loro, Egli è il vero Pontefice, colui che sulla pietra dell’altare costruisce il ponte tra Dio e gli uomini, perché in quanto vero Dio e vero uomo è l’anello di congiunzione tra Dio e l’umanità. Sull’altare non ci sta soltanto il dono che noi offriamo al Padre, ma anche il dono che il Padre fa a noi. Pertanto Gesù è

(38)

fondamento e compimento della nostra fede, l’unico grande sacerdote che trasmette agli uomini la salvezza realizzata sulla croce, intercede per loro presso il Padre e li conduce alla vita eterna del suo Regno.

67. La fede è un incontro con il Signore che ci chiama per mandarci in missione. La fede non comunicata non cresce, come dice papa Benedetto: «La fede cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli» (Porta Fidei 7).

68. La fede in Dio, quella che può appagare il nostro desiderio di bene e di felicità, la troviamo quando decidiamo di uscire dal nostro piccolo mondo e di metterci in discussione per guardare lontano, oltre l’orizzonte, e prenderci cura dei fratelli. Fino a quando ci limitiamo a fare la conta dei nostri peccati, oppure ci arrovelliamo nelle nostre idee e nel rimpianto delle nostre tradizioni, fino a quando per paura preferiamo dialogare con il passato anziché guardare al presente e al futuro, troveremo solo rammarico e malcontento, vivremo prigionieri della religiosità naturale da noi scambiata per fede, ma non arriveremo al coraggio di scelte più autentiche e più radicali.

69. Accettiamo pure che le cose non siano più come un tempo, ma siamo chiamati a scorgere il positivo che c’è

(39)

anche oggi. Il nostro tempo ci chiede una fede enorme, forse ci domanda di tornare a credere in Dio e non nelle nostre capacità, nei nostri mezzi o strutture che abbiamo creato in secoli di Chiesa militante. Un canto di Chiesa di qualche anno fa diceva: «Ti avevo chiesto la forza per conquistare il mondo, e tu mi hai fatto più debole perché imparassi umilmente a ubbidire».

70. Probabilmente dovremo ridefinire meglio i contorni del nostro essere cristiani. L’epidemia ha scoperchiato una pentola, e ci siamo accorti che era mezza vuota. Purtroppo ci sono persone segnate da grande debolezza interiore che cercano sicurezze e compensazioni di ogni genere, si aggrappano a tradizioni popolari, feste paesane, false rievocazioni storiche di dubbio gusto, convinte che questo sia fede; leggono Il nome della rosa o Il codice da Vinci, pensando di aver scoperto il vero messaggio cristiano. Il cammino della fede è passare da una religiosità pagana, mercantilistica, contrattualista, alla fiducia in Qualcuno. Se avremo il coraggio di fare questo passo, allora non sarà più questione di fare di più, di distinguere precetti e consigli;

guadagnarsi il paradiso o lavorare per la propria salvezza, ma lasciare il campo libero a Dio, cui tutto è possibile.

71. Certamente la fede non è senza esitazioni, ma se non c’è il dubbio, non c’è neppure la fede, c’è solo la proiezione della propria sicurezza. Sia i sapienti e i dotti, sia gli umili e i semplici, tutti dobbiamo crescere nella fede, la quale si alimenta con i Sacramenti e con l’ascolto della Parola, non con immaginette e devozioni. L’atto di fede è l’intreccio tra una chiamata e una risposta, un desiderio e una promessa,

(40)

esso scatta quando l’uomo si incontra con Dio. Non è un fatto automatico, quasi di eredità o di società, ma scelta responsabile, spesso fatta in età adulta. E non è una medaglia di cavalierato, un ornamento da collezione che si aggiunge ad altre cose, ma un modo di vivere e di essere, conseguente a un incontro, come è stato per Giacobbe.

Leggiamo nel libro della Genesi che Giacobbe in un momento di tribolazione incontra Dio e si scontra con lui in una lotta continua e senza perdenti. Giacobbe vince, ma rimane segnato per tutta la vita perché colpito all’anca; ha conquistato Dio lasciandosi mortificare nella carne, e il segno del trionfo di Dio sta nello zoppicare di Giacobbe (Gen 32,23-33). Il Signore non cammina per lui, ma lo fa camminare anche se zoppicante, perché la fede più che possedere è un essere posseduti.

72. Gesù non è soltanto il modello supremo della fede, è anche il sommo sacerdote il cui sacrificio compie definitivamente la salvezza e rende i suoi seguaci capaci di mantenersi saldi nella speranza delle promesse fatte da Dio.

Egli per primo ha completato in se stesso il percorso con la sua morte ed esaltazione alla destra di Dio, e lo ha reso percorribile per tutti coloro che confessano il suo nome. I suoi discepoli completeranno il processo salvifico se manterranno la fede nella sua persona. Noi non crediamo in un certo numero di verità che riguardano Gesù, ma in Lui stesso. Ci impegniamo a camminare sulle sue tracce, perché Egli è il capo nel senso che ci guida e ci fa percorrere il cammino che Lui stesso ha sperimentato.

Riferimenti

Documenti correlati

 Quindi questo ascolto sinodale dovrà mirare non tanto a riconoscere il bisogno della persona, ma a riconoscere la persona, ed insieme riconoscersi come popolo in cammino,

Il figlio più piccolo sistema il cielo e la terra dove sarà collocato il presepe.. L ETTURA BIBLICA

A questo punto l’attenzione del Papa si concentra  sulla  figura  di  Gesù,  “giovane  tra  i  giovani  per  essere  l’esempio  dei  giovani  e  consacrarli 

Come procedere La CEI, con il supporto del gruppo sinodale, preparerà uno strumento di lavoro che sarà oggetto di consultazione da parte dalle Conferenze Episcopali Regionali e dei

Proprio come l’orchestra ha avuto bisogno di tutti i suoi elementi per dar vita ad una splendida sin- fonia, così il paese ha bisogno della collaborazione di tutti i suoi abitanti

C APACITÀ E COMPETENZE RELAZIONALI Vivere e lavorare con altre persone, in ambiente multiculturale, occupando posti in cui la comunicazione è importante e in situazioni in cui

Il dibattito sul tema della rifunzionalizzazione o della “riappropriazione” della villa dell’Ambrogiana è un tema che affonda le sue radici negli anni Ottanta del Novecen- to ma che

Ad una certa temperatura un gas occupa un volume di 5,0 l alla pressione di 2,0 atmosfere. Determinare il volume occupato dal gas alla pressione di 3,0 atmosfere ed alla