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Quanto è rilevante la fragilità in cardiologia?

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Academic year: 2022

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e dispositivi medici elettronici, così come tecniche e proce­

dure innovative nel campo della cardiologia interventistica e della cardiochirurgia. L’ampliarsi delle opzioni terapeutiche pone quindi sempre più frequentemente il medico di fronte a complesse scelte decisionali in pazienti anziani, spesso polipa­

tologici ed in variabile stato di salute. Questi pazienti costitui­

scono una popolazione molto eterogenea, caratterizzata da stati di salute derivanti dall’interazione tra vari fattori – varia­

zioni legate al fisiologico invecchiamento, patologie croniche e condizione di multimorbilità – e che per queste ragioni mal si prestano ad essere inquadrati dai tradizionali sistemi di clas­

sificazione nosologica, non rientrando pertanto nella valuta­

zione di salute incentrata sulla presenza di patologie. Queste condizioni sono comunemente conosciute come sindromi geriatriche, nonostante vi sia tuttora discussione su quali stati clinici esse includano1­4. La principale sindrome geriatrica è la fragilità, che può essere considerata come un deterioramento Come conseguenza del fenomeno di transizione demografica,

negli ultimi decenni si è osservato un costante aumento della popolazione anziana nella maggior parte dei paesi occidenta­

li. La prevalenza e l’incidenza delle patologie cardiovascolari aumentano sensibilmente con l’avanzare dell’età; di riflesso i soggetti anziani rappresentano la maggioranza dei pazienti che necessitano di cure per malattie cardiovascolari acute e croniche. Allo stesso tempo e di pari passo si sono rese di­

sponibili e via via perfezionate nuove terapie farmacologiche

Quanto è rilevante la fragilità in cardiologia?

Samuele Baldasseroni1, Mario Bo2, Tiziana Brambati2, Niccolò Marchionni3, a nome della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe)

1Unità di Terapia Intensiva e Subintensiva Geriatrica, Dipartimento Medico-Geriatrico, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze

2S.C.D.U. Geriatria e Malattie Metaboliche dell’Osso, A.O.U. Città della Salute e della Scienza-Presidio Molinette, Torino

3Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi, Firenze, e S.O.D. Cardiologia Generale, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze

Prevalence and incidence of cardiovascular diseases increase dramatically with advancing age, and older subjects account for the vast majority of patients seeking care either for acute and chronic cardiovascular disorders. In the same time, availability and improvements in drugs and devices, and innovative techniques in interventional cardiology and heart surgery procedures, increased as well, posing crucial challenges in clinical decision­making mainly in older people.

Elderly subjects represent a very heterogeneous population and the interplay between underlying physio­

logical change, chronic disease and multimorbidity can result in health states in older ages that are not ful­

ly captured by traditional disease classifications and that are often missing in disease­based assessments of health. Geriatric syndromes have been widely recognized as an essential determinant of health status and well­being of older people, although there is some debate as to what disorders these include. Foremost among the geriatric syndromes is frailty, which can be regarded as a progressive age­related deterioration in physiological systems that results in greater vulnerability to stressors and increased risk of adverse out­

comes, including care dependence and death.

This complexity of health states in older ages means that disease­based conceptualizations are inadequate proxies for health in an older person. Rather than the presence or absence of disease, the most important consideration for older subjects is likely to be their functioning. The Comprehensive Geriatric Assessment (CGA), which evaluates through the use of standardized scales several domains – including comorbidity, cognitive and mood disorders, functional abilities, nutritional status, sarcopenia and frailty – has been demonstrated to be a much better predictor of survival and other outcomes than the presence of diseases or even the extent of comorbidities. Therefore, physicians should be aware that age by itself is probably not the best criterion to rely on for challenging clinical decision­making in this setting. In this clinical context, it becomes mandatory that, beyond age­based decisions or an “eyeballing” perception of “frailty” or “vul­

nerability”, standardized and valid measures aimed at selecting those patients who may potentially derive the greatest benefit from medical or interventional procedures are made available for daily clinical use.

Key words. Comorbidity; Comprehensive geriatric assessment; Disability; Elderly; Frailty.

G Ital Cardiol 2019;20(4):210­222

© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore Ricevuto 07.01.2019; accettato 22.01.2019.

Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.

Per la corrispondenza:

Dr. Samuele Baldasseroni Unità di Terapia Intensiva e Subintensiva Geriatrica, Azienda Ospedaliero­Universitaria Careggi,

Largo Brambilla 3, 50134 Firenze e­mail: pesine@libero.it

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progressivo dei sistemi fisiologici correlato all’età che condu­

ce ad una aumentata vulnerabilità ai fattori stressanti e ad un conseguente aumento del rischio di esiti avversi, tra cui la dipendenza dalle cure e il decesso2. La complessità degli stati di salute nell’età avanzata rende quindi inadeguato l’utilizzo nella persona anziana della definizione di salute basata esclu­

sivamente sul numero e sulla severità delle diverse patologie presenti. Anziché la presenza o l’assenza di malattia, nel caso di un soggetto anziano dovrebbe essere innanzitutto preso in considerazione il suo stato funzionale. Valutazioni onnicom­

prensive dello stato di autonomia funzionale in età avanzata sono inoltre migliori predittori di sopravvivenza, così come di altri esiti di salute, rispetto alla presenza di patologia o perfino all’entità delle comorbilità2,5.

Di conseguenza, nella pratica clinica quotidiana, le deci­

sioni terapeutiche e procedurali coinvolgenti pazienti anziani sono spesso impegnative; il medico dovrebbe essere consape­

vole che, in questo ambito, l’età di per se stessa probabilmen­

te non è il miglior criterio su cui basare il processo decisionale clinico. Diviene quindi fondamentale per il medico disporre di un approccio che, al di là della valutazione meramente ana­

grafica o soggettiva di “fragilità” o “vulnerabilità”, median­

te misure standardizzate consenta di definire la prognosi del malato prima ancora che della malattia e, successivamente, individuare di volta in volta quei pazienti che potrebbero po­

tenzialmente trarre il maggior beneficio da procedure medi­

che o interventistiche.

FRAGILITÀ: MODELLI CONCETTUALI E MISURE Nella sua accezione più largamente condivisa, la fragilità è una sindrome caratterizzata da una diminuita riserva fisiolo­

gica e funzionale e da una ridotta capacità di fronteggiare fattori stressanti, dovuta a molteplici difetti nella rete di inter­

connessione fra i diversi sistemi dell’organismo, che comporta una riduzione della riserva omeostatica e della resilienza6. Di conseguenza, la fragilità è associata a un aumentato rischio di esiti avversi di salute, quali un accelerato decadimento fisico e cognitivo, un maggior rischio di cadute, progressiva disabili­

tà, ricorso all’assistenza sanitaria, reazioni avverse ai farmaci, ospedalizzazione, istituzionalizzazione e, infine, mortalità7. Negli ultimi 25 anni sono stati proposti differenti modelli con­

cettuali e operativi di fragilità6, e proprio per questo sulla sua definizione non è stato ancora raggiunto un consenso gene­

rale8. Vi sono, tuttavia, solide evidenze a supporto dell’identi­

ficazione di vari fattori come indicatori chiave di fragilità, quali ridotta velocità del cammino, bassa attività fisica, perdita di peso e deterioramento cognitivo9.

Un’estesa descrizione delle molteplici scale di fragilità di­

sponibili, della loro concettualizzazione e del loro significato clinico e prognostico, va oltre lo scopo di questa trattazione;

CHIAVE DI LETTURA

Ragionevoli certezze. L’epidemiologia sanitaria ci conferma come la popolazione ultrasettantacinquenne e prossimamente ultraottantenne sarà la maggioranza di coloro che avrà bisogno di assistenza cardiologica anche avanzata. Questa popolazione mostra una significativa complessità legata al peggioramento età-correlato di organi e apparati e alla progressiva riduzione della funzione fisica e cognitiva e all’elevata comorbilità che rende eterogenea l’espressività fenotipica del malato anziano che risulta vulnerabile ad agenti stressanti non sempre di origine sanitaria. Tale complessità spesso non è intercettata e definita dalle classificazioni e dagli strumenti diagnostici e classificativi della cardiologia tradizionale. La definizione e la misurazione nell’anziano della fragilità, intesa appunto come la riduzione della capacità di resistere ad eventi stressanti, è un elemento fondante per la stratificazione del rischio globale dell’anziano.

Dati solidi dimostrano come la fragilità aumenta il rischio di interventi cardiochirurgici e di altre procedure cardiovascolari, aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare e non, così come della necessità di futura istituzionalizzazione.

I pazienti fragili possono inoltre andare incontro a un maggior numero di complicanze derivanti da terapie mediche e non beneficiare di alcuni interventi e procedure cardiaci ad alta complessità.

Infine l’identificazione della fragilità può costituire un elemento di aiuto nello stabilire in modo affidabile la prognosi, nel determinare i rischi associati alle procedure e nell’indirizzare in modo migliore i pazienti verso opzioni terapeutiche selezionate.

Aspetti controversi. Una parte delle controversie e delle difficoltà della misura della fragilità è legata a differenti concettualizzazioni fisiopatologiche di tale sindrome e a molteplici strumenti di misura sia auto-riferiti che basati su prove di performance fisica e cognitiva tali da rendere difficile il confronto dei dati scientifici. A questo bisogna aggiungere che la fragilità è un fenomeno dinamico in cui i processi di invecchiamento fisiologico, l’espressività clinica e di gravità delle patologie associate ne modifica nel tempo la traiettoria verso la disabilità o la morte, per cui sia il valore prognostico che la sua capacità di stratificazione del rischio che devono essere tenuti in considerazione nel processo decisionale diagnostico- terapeutico del paziente anziano cardiopatico necessitano di ripetute rivalutazioni.

Prospettive. La misura della fragilità e la valutazione multidimensionale geriatrica trovano la loro ideale collocazione in una moderna visione dell’Heart Team in cui gli aspetti geriatrici fondamentali, quali limitazioni funzionali, livello cognitivo, fragilità, multimorbilità e comportamenti emozionali,

dovrebbero assumere pari dignità rispetto a quella che hanno attualmente dati angiografici, ecocardiografici e anestesiologici nel delineare il profilo di rischio cardiovascolare e il processo decisionale per i pazienti anziani candidati, secondo l’Heart Team, a diverse complesse procedure cardiovascolari.

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G ITAL CARDIOL | VOL 20 | APRILE 2019

caratterizzato da perdita di peso, debolezza, affaticamento e ridotta tolleranza all’esercizio fisico16.

Contrariamente, il Frailty Index, concettualizzato da Rockwood11, è un modello aritmetico che equipara l’accu­

mulo di deficit associato all’età con l’entità della vulnerabilità individuale17, includendo in tal modo disabilità e comorbilità, e prendendo virtualmente in considerazione problemi di sa­

lute associabili ad ogni contesto. Questo approccio quanti­

tativo alla fragilità prende origine dalla considerazione che, con l’invecchiamento, i soggetti accumulino deficit (sintomi, deficit, malattie, disabilità) che rendono loro più suscettibili a esiti avversi di salute, inclusi l’istituzionalizzazione e il decesso.

Il Frailty Index è composto da 70 voci riferite alla gravità del­

le condizioni patologiche croniche e/o disabilità, come ripor­

tate dalla valutazione multidimensionale geriatrica (VMDG) standardizzata (Comprehensive Geriatric Assessment, CGA) ed elencate nella Figura 3A18, alle quali viene associato un punteggio pari a 0 o 1 a seconda che il deficit sia assente o presente rispettivamente, o pari ad una frazione qualora esso sia presente in forma limitata. La Clinical Frailty Scale (CFS) semplifica questo elenco di voci in un giudizio globale immediato, semiquantitativo, che classifica i pazienti su una scala da 1 a 7, attribuendo un punteggio pari a 1 ai soggetti in piena forma e un punteggio pari a 7 a quelli molto fragili, come riportato nella Figura 3B11,18.

Di conseguenza, questi due diversi approcci alla “fragilità”

forniscono differenti informazioni prognostiche. Per esempio, il “fenotipo fragile” può fornire ai clinici informazioni sul ri­

schio di sviluppare disabilità in futuro, mentre la perdita delle funzioni basali o strumentali contribuisce di per se stessa alla diagnosi di fragilità secondo il Frailty Index di Rockwood. Inol­

tre, sebbene entrambi gli approcci alla fragilità siano associati a un aumento della mortalità, vi sono differenze sostanziali tra le due scale nella stima del rischio di mortalità: rispetto ai soggetti definiti fragili secondo i criteri del “fenotipo fragile”, i pazienti fragili secondo il Frailty Index presentano una mino­

re aspettativa di vita, con una sopravvivenza residua più simile ai pazienti con disabilità moderata­severa10,18,19.

La contemporanea presenza di modelli concettuali di fragilità potenzialmente incoerenti ha quindi generato incer­

tezze che hanno ostacolato il loro utilizzo nella pratica clini­

ca. Ulteriore confusione è derivata dai tentativi di adottare indicatori di fragilità nell’ambito di altre specialità, come in cardiologia. Tali tentativi hanno indotto alla convinzione er­

rata che la fragilità si identifichi con la presenza di complesse multimorbilità o sia un indicatore di disabilità; quest’ultima in realtà non coincide con la fragilità stessa ma può costituirne lo stadio evolutivo finale di un percorso progressivo su cui patologie concorrenti possono potenzialmente intervenire in modo indipendente. Ciò nonostante, in un recente studio che ha preso in esame la percezione clinica di fragilità tra car­

diologi europei, Fumagalli et al.20 hanno dimostrato come i cardiologi partecipanti allo studio abbiano identificato la fra­

gilità principalmente secondo la presenza delle variabili che definiscono il “fenotipo fragile”, quali la ridotta massa e forza muscolare, la mobilizzazione rallentata, la perdita di peso e la resistenza all’attività fisica.

Un ulteriore ostacolo ad un’ampia valutazione clinica della fragilità è rappresentato dall’onerosità del processo diagnosti­

co, in termini di tempo nella frenetica pratica clinica quotidia­

na, per la maggior parte dei cardiologi, sia facendo riferimen­

to al “fenotipo fragile” sia utilizzando il Frailty Index. Sono il lettore interessato potrà far riferimento ad una recente pub­

blicazione in merito8. In sintesi, vi sono due concetti di fragili­

tà che differiscono sostanzialmente l’uno dall’altro:

1. il “fenotipo fragile” concettualizzato da Fried et al.10, derivato dal Cardiovascular Health Study, che include ri­

duzione della forza muscolare, affaticamento, riduzione della velocità del cammino, perdita di peso (ridotta massa magra) e ridotta attività fisica;

2. l’accumulo di deficit misurato mediante il Frailty Index, concettualizzato da Rockwood11, che comprende deficit sensoriali, disabilità e comorbilità, condizioni che sono considerate correlate alla fragilità ma che costituiscono allo stesso tempo entità distinte.

Da questi due diversi concetti di fragilità sono scaturite diverse scale, le principali delle quali sono riassunte nella Fi­

gura 1.

Queste due diverse concettualizzazioni di fragilità coin­

volgono differenti basi patogenetiche, componenti principali e implicazioni prognostiche, che è bene evidenziare. Gli ele­

menti fondamentali del “fenotipo fragile” includono scarsa riserva e forza fisica, le quali rendono il soggetto vulnerabile di fronte ad eventi stressanti biomedici, psicosociali e ambien­

tali12. Il “fenotipo fragile” non implica necessariamente la presenza di disabilità o comorbilità e, sebbene la probabilità di sviluppare fragilità aumenti con il crescere del numero di malattie croniche associate – quali scompenso cardiaco, insuf­

ficienza renale cronica o pneumopatia cronica ostruttiva, che concorrono tutte ad alterare la riserva funzionale8,13 –, esso può originare anche da fattori età­correlati, come ad esem­

pio un invecchiamento “sfavorevole” (unsuccessful aging), la deprivazione e l’isolamento sociale, l’infiammazione di basso grado, la disregolazione ormonale e la malnutrizione8,10,14,15.

I meccanismi fisiopatologici sottostanti questa sindrome, riassunti nella Figura 27, consistono in una cascata che origina da un processo di disfunzione dello stress ossidativo moleco­

lare, danno al DNA e senescenza cellulare, progredendo verso la disregolazione del sistema immunitario ed endocrino, asso­

ciata a infiammazione cronica di basso grado. La sarcopenia rappresenta la via comune finale di questi processi, con dimi­

nuzione della massa e della forza muscolare, ridotta funzione del sistema immunitario e alterato metabolismo glucidico, fattori che contribuiscono allo sviluppo del “fenotipo fragile”

• CHS Frailty Scale

• SOF Frailty Scale

• SPPB & Gait Speed

• GREEN score

• FRAIL Scale

• Vulnerable Elders Survey‐13

• Groningen Frailty Indicator (GFI)

• Clinical Frailty Scale

• Frailty Index (Rockwood)

Basate sul «fenotipo fragile», non includendo patologie/disabilità

Basate sul «fenotipo fragile», includendo patologie

Basate sull’accumulo di deficit, includendo patologie e disabilità Figura 1. Principali scale di fragilità.

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per le donne. Tra pazienti anziani dimessi dopo un ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco acuto, la SPPB è risultata essere un fattore predittivo indipendente di sopravvivenza a lungo termine25. In uno studio prospettico relativo a pazienti anziani ricoverati per patologie cardiovascolari e polmonari acute, il punteggio alla SPPB alla dimissione è risultato essere un fattore predittivo indipendente di riospedalizzazione e de­

cesso26. L’incapacità di portare a termine un test di velocità del cammino su una breve distanza o di valutazione del tempo impiegato per alzarsi dalla sedia si è rivelata essere associata in modo significativo con esiti avversi in pazienti sottoposti ad impianto transcatetere di valvola aortica (TAVI)27,28. Pertanto, la SPPB e, specificatamente, i test di valutazione della velocità del cammino e del tempo impiegato per alzarsi dalla sedia, in quanto surrogati di fragilità, sono potenzialmente indicatori prognostici utili in pazienti anziani con patologie cardiovasco­

lari acute e croniche.

FRAGILITÀ E PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI La fragilità è una condizione che interessa circa il 10% dei soggetti di età ≥65 anni; la sua prevalenza raggiunge il 60%

in pazienti con patologia cardiovascolare, con ampie differen­

ze in base alla popolazione presa in esame e ai criteri utilizzati per la valutazione della fragilità6. Le sindromi geriatriche, in­

clusa la fragilità, sono altamente prevalenti tra i pazienti anzia­

ni affetti da patologie cardiovascolari acute e croniche29,30. Vi sono solide evidenze a supporto della stretta relazione tra fra­

gilità, morbilità e mortalità per le malattie cardiovascolari31­35. Infatti, la patologia cardiovascolare e la fragilità condividono alcune basi fisiopatologiche comuni, quale l’infiammazione cronica di basso grado, come evidenziato da aumentati livelli della proteina C­reattiva e di citochine infiammatorie36, così come l’insulino­resistenza37. Inoltre, la patologia cardiovasco­

lare subclinica contribuisce in modo importante a delineare il “fenotipo fragile” determinando alterazioni in molteplici sistemi e apparati dell’organismo38. Vi sono numerose buone ragioni per cui la valutazione della fragilità potrebbe rivelarsi utile in pazienti anziani con patologie cardiovascolari39:

• la fragilità aumenta il rischio di interventi cardiochirurgici e di altre procedure cardiovascolari;

• la fragilità aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare e non, così come della necessità di futura istituzionalizzazione;

• i pazienti fragili possono essere soggetti a un maggior nu­

mero di complicanze derivanti da terapie mediche;

stati studiati, quindi, surrogati di fragilità utili per la pratica clinica. In sostanziale accordo con il modello concettuale di fragilità elaborato da Fried10 e sulla base della considerazione che tre ambiti principali – rappresentati dalla forza muscola­

re, dalla coordinazione neuromuscolare e dalla velocità del cammino – possano riflettere il “fenotipo fragile” di Fried, Guralnik et al.21 hanno formulato la Short Physical Performan­

ce Battery (SPPB), un insieme di valutazioni che combina test per esaminare la velocità del cammino, la capacità di alzarsi da una sedia e l’equilibrio. Il punteggio viene quindi calcolato a partire da tre componenti (Figura 4): 1) la capacità di restare in piedi per 10 s con i piedi posizionati in tre differenti modi (a piedi uniti paralleli, in semi­tandem, in tandem); 2) il tempo per completare una camminata di 3 o 4 m; 3) il tempo per alzarsi 5 volte da una sedia con le braccia incrociate davanti al petto. Il punteggio è compreso tra 0 – risultato peggiore – a 12 – risultato migliore22. È stato dimostrato che la SPPB ha una validità predittiva in quanto il punteggio derivante è correlato ad un gradiente di rischio per mortalità, istituzio­

nalizzazione e disabilità. Tale punteggio, inoltre, si è rivelato essere affidabile nell’identificare la disabilità preclinica: dopo aggiustamento per età, sesso e presenza di malattia cronica, i soggetti con i punteggi inferiori ai test hanno mostrato una probabilità di disabilità a 4 anni da 4.2 a 4.9 volte superiore rispetto ai soggetti con i punteggi più elevati, mentre in caso di punteggi intermedi la probabilità di disabilità è risultata es­

sere da 1.6 a 1.8 volte maggiore.

Valutazioni della velocità del cammino così come delle prestazioni fisiche attraverso test combinati forniscono stime quantitative riassuntive del rischio futuro di ospedalizzazione e deterioramento clinico e funzionale nella popolazione an­

ziana; tali stime potrebbero essere quindi considerate come

“segni vitali” facilmente utilizzabili per selezionare i soggetti anziani in ambito clinico23. In un’analisi aggregata di 9 studi di coorte a partire dai dati individuali di 34 485 soggetti anziani di età ≥65 anni residenti in comunità (indipendenti, non isti­

tuzionalizzati né ospedalizzati)24, è stata dimostrata in tutti gli studi la correlazione tra velocità del cammino e sopravviven­

za (hazard ratio [HR] aggregato per una velocità di 0.1 m/s:

0.88; intervallo di confidenza [IC] 95% 0.87­0.90; p<0.001).

La sopravvivenza è risultata aumentare all’aumento della ve­

locità del cammino per tutto l’intervallo di valori di quest’ul­

tima, con incrementi significativi per aumenti di velocità pari a 0.1 m/s. All’età di 75 anni, la probabilità di sopravvivenza a 10 anni per valori di velocità del cammino è risultata essere compresa tra 19% e 87% per gli uomini e tra 35% e 91%

Invecchiamento Genetica Stile di vita Malattie Ambiente

Attivazione immunitaria/

flogosi cronica

Sistema muscoloscheletrico,  endocrino, cardiovascolare, 

emopoietico Citochine/molecole

Cellule del sistema immunitario

Infezione cronica da CMV

Fig. 2 Stanchezza

Perdita di peso Facile affaticabilità Scarsa attività fisica Lentezza

Cadute Disabilità Dipendenza Morte

Figura 2. Patogenesi della fragilità7. CMV, Cytomegalovirus.

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*protrusione delle labbra alla percussione dell’orbivolare della bocca

**volgimento del capo con contrazione dei muscoli del mento verso il palmo stimolato da pressione Cambiamenti nelle attività quotidiane

Problemi alla testa e al collo Scarso tono muscolare del collo Bradicinesia facciale Problemi a vestirsi Problemi a farsi il bagno Problemi nell’igiene personale Incontinenza urinaria Problemi ad andare in bagno Difficoltà nel transito intestinale Problemi rettali

Problemi gastrointestinali Problemi a cucinare Problemi di suzione Problemi a uscire da solo Motilità compromessa Problemi muscoloscheletrici Bradicinesia degli arti Scarso tono muscolare degli arti Scarso coordinamento degli arti Scarso coordinamento del busto Scarso mantenimento della postura Andatura irregolare

Sincope o svenimenti Mal di testa

Problemi cerebrovascolari Storia di ictus Storia di diabete mellito Ipertensione arteriosa Perdita dei polsi periferici Problemi cardiaci Infarto miocardico Aritmia

Insufficienza cardiaca congestizia Problemi ai polmoni Problemi respiratori

Anamnesi di malattia della tiroide Problemi della tiroide Problemi della pelle Tumori maligni Problemi al seno Problemi addominali Presenza di riflesso del muso*

Presenza di riflesso palmo-mentoniero**

Fragilità come fattore generale 70 determinanti per la costruzione di un Frailty Index (FI), di queste 30-40 necessarie per costruire FI.

Ricodifica

• 0 (assenza), 1 (presenza)

• 0, 0.5, 1 (severità)

• 0, 0.33, 0.67, 1.0 (severità) FI = n/n sintomi [7/70 = 0.1]

La fragilità relativa di un paziente può essere calcolata come differenza percentuale dal punteggio medio della popolazione della stessa età.

Cadute

Problemi dell’umore

Tristezza, abbattimento, depressione Storia di stati depressivi

Stanchezza cronica Depressione (diagnosi di) Disturbi del sonno Agitazione Disturbi della memoria

Indebolimento della memoria a breve termine Indebolimento della memoria a lungo termine Disturbi delle funzioni mentali generali Disturbi cognitivi iniziali

Confusione o delirium Tratti paranoici

Storia rilevante di disturbi cognitivi Alterazione della sensibilità vibratoria Tremore a riposo

Tremore posturale Tremore intenzionale

Familiarità di malattie degenerative Crisi epilettiche parziali complesse Crisi epilettiche generalizzate

1 – MOLTO IN FORMA Persona forte, attiva, energica e motivata. Pratica regolare esercizio fisico e appartiene alla categoria di persone più in forma fra la propria fascia di età.

2 – IN FORMA

Persone che non hanno sintomi di malattia attivi, ma che sono meno in forma rispetto alle persone della categoria 1. Praticano spesso esercizio fisico e sono a volte molto attive, a seconda della stagione.

3 – SE LA CAVA BENE

Persone i cui problemi medici sono ben monitorati, ma non sono però regolarmente attive al di fuori della normale deambulazione quotidiana esterna.

4 – SE LA CAVA ABBASTANZA BENE

Anche se non dipendenti dall’aiuto degli altri nella vita quotidiana, queste persone sono spesso limitate nelle loro attività a causa di sintomi di malattia.

Spesso lamentano di sentirsi «rallentati»

e/o stanchi durante il giorno.

5 – LEGGERMENTE FRAGILE Persone spesso evidentemente rallentate nei movimenti e nelle attività più impegnative della vita quotidiana (es.

gestione delle finanze, gestione dei farmaci) e hanno bisogno di aiuto. Sono in genere sempre più limitate nello shopping, nella deambulazione autonoma, nella

preparazione dei pasti e nei lavori domestici.

6 – MODERATAMENTE FRAGILE Queste persone hanno bisogno di assistenza in tutte le attività esterne alla casa e nella gestione delle finanze. Spesso hanno difficoltà a salire le scale, hanno bisogno di aiuto per lavarsi e possono avere bisogno di aiuto per vestirsi.

7 – MOLTO FRAGILE

Completamente dipendenti per la cura personale, per qualunque tipo di causa (fisica o cognitiva). Tuttavia, sembrano stabili e non ad alto rischio di morte (entro 6 mesi).

8 – FRAGILITÀ MOLTO GRAVE Queste persone si avvicinano al decesso e sono completamente dipendenti dagli altri. Se si ammalassero di qualsiasi malattia, molto probabilmente non riuscirebbero a riprendersi.

9 – MALATO TERMINALE

Queste persone hanno un’aspettativa di vita <6 mesie si avvicinano alla fine della vita, anche se la loro condizione non è così marcatamente visibile.

A

B

Figura 3. (A) Lista di variabili utilizzate dal Canadian Study of Health and Aging per costruire il Frailty Index composto da 70 voci18. (B) La Cli­

nical Frailty Scale – 2007­2009 versione 1.2; Geriatric Medicine Research, Dalhousie University, Halifax, Canada11,18.

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mostrato l’associazione tra fragilità, definita secondo la scala di Rockwood, e aumentata mortalità a 30 giorni (HR 4.8; IC 95% 1.4­16.3; p=0.013) e ad 1 anno (HR 5.9; IC 95% 2.5­

13.8; p<0.001); inoltre la fragilità è risultata essere un indica­

tore predittivo di durata del ricovero ospedaliero indipenden­

temente da fattori quali età, genere e comorbilità.

I dati del CONCORDANCE Registry45, comprendente 3944 pazienti di età >65 anni con infarto miocardico, hanno dimo­

strato che i pazienti definiti fragili secondo il Frailty Index sono stati sottoposti meno frequentemente a procedure invasive diagnostiche e terapeutiche rispetto ai pazienti non fragili, con un aumento della mortalità complessiva a 6 mesi rispetto ai pazienti non fragili (13 vs 4%) e, dopo aggiustamento per fattori predittivi noti, la fragilità è risultata essere associata in modo significativo ad un’aumentata mortalità per tutte le cause, ma non cardiaco­specifica, a 6 mesi. Questi risultati hanno suggerito quindi come l’identificazione della fragilità possa fornire utili informazioni per individuare rischi concor­

renti di mortalità complessiva in pazienti ad alto rischio.

Singh et al.56 hanno dimostrato che il “fenotipo fragile”

è prevalente tra i pazienti anziani sottoposti a PCI e che è associato ad un aumento della mortalità complessiva a 3 anni (28% per i pazienti fragili vs 6% per i pazienti non fragili);

tali autori hanno inoltre migliorato l’abilità discriminante del Mayo Clinic risk score derivato dai comuni fattori di rischio cardiovascolare.

In un campione di 342 pazienti, di età media pari a 77 anni, dimessi dopo un ricovero ospedaliero per una SCA44, lo score di Green per la fragilità ha mostrato la migliore accura­

tezza discriminante per la mortalità a lungo termine tra molte­

plici strumenti di valutazione utilizzati in ambito geriatrico, tra cui il fenotipo di Fried, il Barthel index per la disabilità fisica, la scala di Lawton­Brody per la disabilità strumentale, il questio­

nario di Pfeiffer per il deterioramento cognitivo e il Charlson Comorbidity Index. Tramite queste analisi è stata dimostrata, inoltre, l’associazione tra fragilità e mortalità post­dimissione,

• il beneficio di alcuni interventi e procedure cardiaci può risultare inferiore in pazienti anziani fragili a causa di con­

correnza di rischi;

• l’identificazione della fragilità può in definitiva costituire un elemento di aiuto nello stabilire in modo affidabile la prognosi, nel determinare i rischi associati alle procedure e nell’indirizzare in modo migliore i pazienti verso proce­

dure terapeutiche selezionate.

Implicazioni cliniche della valutazione della fragilità nella patologia cardiovascolare

Il “fenotipo fragile” in presenza di patologia cardiovascolare identifica un paziente ad alto rischio di morbilità, perdita di indipendenza, inserimento in strutture residenziali o in hospi­

ce e mortalità40. Vi sono numerose evidenze a sostegno della capacità predittiva significativa delle valutazioni della fragilità in termini di esiti sfavorevoli in un ampio spettro di patolo­

gie cardiovascolari, quali scompenso cardiaco, coronaropatie e cardiopatia valvolare41­43. Negli ultimi anni, molteplici studi hanno preso in esame il ruolo di differenti strumenti di valu­

tazione, inerenti vari ambiti fisici e funzionali, come fattori prognostici aggiuntivi in pazienti anziani con malattie cardio­

vascolari acute44­47 e croniche19,29,48­53.

Graham et al.54 hanno valutato l’impatto prognostico dell’autovalutazione, eseguita mediante la Edmonton Frailty Scale (EFS), da 183 pazienti di età ≥65 anni con sindrome coronarica acuta (SCA): colori i quali hanno ottenuto un pun­

teggio ≥7 alla EFS sono risultati essere più anziani, avere più comorbilità e minore probabilità di essere sottoposti a riva­

scolarizzazione coronarica. Rispetto ai soggetti non fragili, i pazienti fragili avevano una maggiore durata di ricovero ospe­

daliero e un maggior rischio di mortalità ad 1 anno, aggiusta­

to per le differenze di rischio in condizioni basali (HR 3.49; IC 95% 1.08­7.61; p=0.002).

In uno studio su 745 pazienti sottoposti a procedura co­

ronarica percutanea (PCI), Murali­Krishnan et al.55 hanno di­

Fig. 4 Figura 4. La Short Physical Performance Battery (SPPB)22.

(7)

ti anziani con ICC era associata ad una riduzione significativa della sopravvivenza (p=0.004). Il deterioramento cognitivo presente alla dimissione è risultato essere associato ad un aumentato rischio di mortalità complessiva e di riospedaliz­

zazione nei pazienti anziani con ICC72. Limitazioni di grado moderato­severo nelle attività della vita quotidiana valutate mediante la scala ADL (Activities of Daily Living) sono risul­

tate essere associate ad una riduzione significativa della so­

pravvivenza negli anziani con ICC19,73. Nel complesso, questi dati dimostrano come la fragilità, così come le altre sindromi geriatriche, abbiano rilevanti implicazioni cliniche in termini di diagnosi, prognosi e trattamento dell’ICC nei pazienti an­

ziani. Tuttavia, per risultare clinicamente valida e per fornire il migliore processo di cura incentrato sul singolo paziente, l’identificazione della condizione di “fragilità” dovrebbe es­

sere parte della VMDG, tenendo conto anche della comor­

bilità e della disabilità. Recentemente74 è stata elaborata una flow­chart per implementare l’adozione di questo approccio nel processo di cura in caso di pazienti anziani con ICC. L’i­

dentificazione della fragilità dovrebbe allertare il clinico sulla possibilità di complessità in termini diagnostici, sulla necessità dell’attivazione precoce di un intervento riabilitativo al fine di ridurre il rischio di disabilità e dell’adozione di strategie per minimizzare il rischio di occorrenza di delirium. Una valuta­

zione complessiva delle comorbilità dovrebbe indurre i clinici al precoce rilevamento e trattamento di patologie attive, alla stima del rapporto rischio­beneficio di nuove terapie mediche e, allo stesso tempo, al ridotto ricorso, per quanto possibile, a politerapie, allo stretto monitoraggio dell’ICC così come delle altre comorbilità. La maggior parte di questi obiettivi dovreb­

be essere applicata anche nel caso della valutazione clinica dei pazienti con disabilità, nei quali il rischio decisamente alto di esiti avversi a breve e medio termine dovrebbe essere preso in considerazione nel momento in cui viene vagliata l’eventua­

le indicazione a procedure invasive, così come la necessità di cure palliative o a lungo termine74.

Implicazioni cliniche della valutazione della fragilità nella cardiochirurgia e nelle procedure interventistiche cardiovascolari

La stenosi aortica è una patologia degenerativa della valvola aortica, caratterizzata da alta incidenza e prevalenza nelle per­

sone anziane. La crescita numerica della popolazione anziana ha reso questa condizione estremamente comune in ambito cardiologico, internistico e geriatrico. Interessando pazienti anziani, la presenza di stenosi aortica è frequentemente asso­

ciata alle sindromi geriatriche che influenzano pesantemente la prognosi in questi pazienti. In uno studio prospettico su 606 pazienti di età ≥75 anni con stenosi aortica sintomatica severa75, i pazienti con fenotipo fragile (49.3% del campione totale) hanno presentato tassi di mortalità superiori ai pazienti non fragili (HR 1.83; IC 95% 1.33­2.51; p<0.001). I valori di HR corrispondenti per la mortalità tra i pazienti fragili rispetto a quelli non fragili sono risultati di 1.58 (IC 95% 1.09­2.28) in quelli sottoposti a trattamento medico, 3.06 (IC 95% 1.25­

7.50) in quelli sottoposti a TAVI e 1.97 (IC 95% 0.83­4.67) in quelli sottoposti a sostituzione valvolare chirurgica (P per l’in­

terazione =0.21). Questi risultati suggeriscono quindi come la fragilità sia associata ad aumentata mortalità tra pazienti con stenosi aortica sintomatica e come tale associazione non vari con il tipo di trattamento.

nonché il miglioramento nella capacità discriminante (supe­

riore persino al Grace score) apportato dall’inclusione dello score di Green nel modello clinico di fragilità.

Nel complesso, questi risultati suggeriscono che i pazienti fragili con SCA hanno minore probabilità di essere sottoposti a procedure mediche e interventistiche appropriate; allo stes­

so modo essi evidenziano inoltre come la fragilità sia associata ad aumentato rischio di mortalità complessiva e non cardiaca.

La fragilità risulta quindi essere un elemento rilevante la cui in­

clusione negli attuali strumenti di valutazione cardiologica in questo ambito può determinarne un miglioramento in termini di accuratezza discriminante. Nonostante la crescente eviden­

za di beneficio derivante da procedure di rivascolarizzazione anche nei pazienti più anziani46,57­64, una cruciale necessità non ancora soddisfatta nell’ambito clinico della SCA nei pa­

zienti anziani è rappresentata dall’identificazione dei pazienti che verosimilmente non trarrebbero beneficio da tali proce­

dure in ragione del loro precario stato di salute e funzionale, che preannuncia un alto rischio di mortalità a breve termine per concorrenti cause non cardiache65.

L’insufficienza cardiaca cronica (ICC) è altamente preva­

lente tra i soggetti anziani e i pazienti con età compresa tra 75 e 80 anni o superiore rappresentano la maggioranza dei pazienti ricoverati in ospedale per tale condizione66­68. È am­

piamente riconosciuto che nel mondo reale i pazienti con ICC sono più anziani, hanno un maggior numero di comorbilità e un peggiore stato di salute e funzionale rispetto a quelli arruolati negli studi clinici randomizzati, dai quali trae origi­

ne la medicina basata sulle evidenze applicata nell’ambito dei pazienti con ICC69,70. Fragilità e ICC sembrano essere legate da una relazione bidirezionale: la fragilità, da un lato, aumen­

ta la probabilità che si verifichino episodi di peggioramento acuto dell’insufficienza cardiaca; l’insufficienza cardiaca cli­

nicamente manifesta, dall’altro lato, accelera lo sviluppo di un fenotipo fragile43. Inoltre, la fragilità è associata in modo indipendente ad un aumentato rischio di mortalità ad 1 anno, ospedalizzazione e riduzione della qualità di vita correlata allo stato di salute nei pazienti con ICC43. In uno studio condotto su 223 pazienti affetti da ICC con un’età media pari a 71 anni, il “fenotipo fragile” era associato ad una significativa riduzione della sopravvivenza48.

Chiarantini et al.25 hanno dimostrato che la SPPB, ese­

guita alla dimissione dopo un ricovero ospedaliero per ICC scompensata, è un fattore predittivo indipendente di soprav­

vivenza a lungo termine nei pazienti anziani, anche dopo ag­

giustamento per le convenzionali variabili cardiologiche (classe NYHA, frazione di eiezione del ventricolo sinistro, prescrizione di farmaci raccomandati secondo le evidenze scientifiche), per le comorbilità e lo stato cognitivo. Allo stesso modo, Puligna­

no et al.71 hanno recentemente dimostrato che la misurazione della velocità del cammino nei pazienti anziani con ICC sta­

bile migliora in modo significativo l’accuratezza degli score di rischio validati nel predire la mortalità per tutte le cause e l’ospedalizzazione correlata a tale condizione clinica.

Tuttavia, non solo la fragilità, bensì le sindromi geriatriche in generale comportano pesanti implicazioni prognostiche nei pazienti anziani con insufficienza cardiaca. In uno studio prospettico della durata di 12 mesi condotto in un reparto di cardiologia di Madrid29, il 60.2% dei pazienti di età ≥75 anni presentava almeno una sindrome geriatrica, tra cui fragilità (40.8%), deterioramento cognitivo (31.8%) e grave dipen­

denza (14.7%); la presenza di sindromi geriatriche nei pazien­

(8)

hanno riportato come un indice prognostico multidimensio­

nale più sfavorevole e un SPPB più basso fossero associati in modo significativo ad un’aumentata probabilità a 3 mesi di decesso e/o di ospedalizzazione.

Schoenenberger et al.83 hanno valutato in uno studio pro­

spettico l’andamento a breve termine dello stato funzionale dei pazienti sottoposti a TAVI, osservando a 6 mesi un peg­

gioramento funzionale, definito come riduzione ≥1 punto del punteggio ottenuto alle attività basali della vita quotidiana (Basic Activities Of Daily Living, BADL). Il Frailty Index, aggiu­

stato sia per l’STS score che per lo EuroSCORE, è risultato essere un forte fattore predittivo del deterioramento funzio­

nale a seguito di TAVI. Inoltre, gli autori hanno dimostrato come lo stato funzionale sia rimasto invariato o sia migliorato nella maggior parte dei pazienti (79.2%): dopo la TAVI, tra i pazienti in vita che presentavano limitazioni nelle BADL al ba­

sale, 13 di essi hanno presentato un miglioramento (52%; IC 95% 31.3­72.2%), 5 sono rimasti stabili (20%; IC 95% 6.8­

40.7%) e 7 hanno presentato un deterioramento funzionale (28%; IC 95% 12.1­49.4%).

Green et al.84 hanno valutato il valore prognostico della fragilità (valutata utilizzando una combinazione di vari para­

metri, tra cui i livelli di albumina, la forza della presa della mano dominante, la velocità del cammino e il Katz Index) nei pazienti sottoposti a TAVI arruolati nello studio PARTNER. Gli autori hanno definito fragili i pazienti con un punteggio ≥3 su una scala calcolata come segue: 1) ai quartili di albumina, velocità del cammino e forza di presa della mano è stato asse­

gnato un punteggio di 0­3 in ordine decrescente; 2) allo stes­

so modo, al grado di dipendenza nelle ADL è stato assegnato un punteggio di 0­3 (0 in caso di indipendenza, 3 per qualsiasi dipendenza). Su di un campione di 244 pazienti, gli autori hanno evidenziato un tasso di mortalità per tutte le cause di 32.7% nel gruppo di soggetti fragili e di 15.9% nel gruppo di soggetti non fragili (log­rank p<0.004). Ad 1 anno, un esito clinico avverso (compreso tra morte per causa cardiaca, rio­

spedalizzazione per stenosi aortica o complicanze della proce­

dura valvolare, ictus, sanguinamento maggiore, complicanze vascolari maggiori, pacemaker permanente e insufficienza re­

nale con necessità dialitica) si è verificato nel 50% dei pazienti fragili e nel 31.5% dei soggetti non fragili (p=0.02).

Lo studio FRAILTY­AVR28 ha valutato in modo prospettico il valore predittivo incrementale di sette scale della fragilità (Fried, Fried+, Rockwood, SPPB, Bern, Columbia ed Essential Frailty Toolset [EFT]) rispetto ad esiti clinici avversi a seguito di TAVI o SAVR in 1020 pazienti anziani (età media 82 anni). A seconda della scala utilizzata la prevalenza della fragilità va­

riava tra il 26% e il 68%. La fragilità, come misurata dall’EFT (Figura 5), è risultata essere il fattore predittivo più valido di mortalità ad 1 anno (OR 3.72; IC 95% 2.54­5.45), così come di un peggioramento della disabilità ad 1 anno (OR 2.13; IC 95% 1.57­2.87) e di mortalità a 30 giorni (OR 3.29; IC 95%

1.73­6.26). I pazienti nel quintile peggiore della scala EFT hanno presentato un tasso di mortalità ad 1 anno dopo TAVI del 65%.

Recentemente, Shimura et al.85 hanno presentato un’a­

nalisi del registro prospettico OCEAN­TAVI che ha coinvolto 1215 pazienti ad alto rischio sottoposti tra il 2013 e il 2016 a TAVI in 9 centri in Giappone. Gli autori hanno valutato l’im­

patto della fragilità, stimata secondo la CFS di Rockwood, sul­

le complicanze post­TAVI e sulla mortalità a 30 giorni e ad 1 anno. Da un’analisi uni­ e multivariata è emerso il valore pre­

L’avvento della TAVI e la sua importante e rapida diffu­

sione mondiale hanno determinato un drastico cambiamento di tendenza a favore del trattamento di pazienti che erano precedentemente esclusi dalla sostituzione chirurgica della valvola aortica (SAVR) a causa di eccessivo rischio operatorio o di presenza di una condizione definita “inoperabile”76,77. Vi è evidenza che la TAVI possa migliorare la qualità di vita anche nei pazienti più anziani, inclusi i novantenni78; questo suggerisce quindi, ancora una volta, che l’età anagrafica non costituisce il criterio migliore su cui basare le decisioni cliniche per questa tipologia di pazienti. I parametri funzionali derivati dagli strumenti di valutazione geriatrica hanno dimostrato di fornire un potere predittivo sostanziale in aggiunta ai modelli convenzionali di rischio chirurgico in pazienti anziani e com­

plessi candidati alla TAVI. Wendt et al.79 hanno valutato diffe­

renti algoritmi di quantificazione del rischio in pazienti desti­

nati a essere sottoposti a SAVR o TAVI e hanno osservato una sovrastima del rischio di mortalità con lo EuroSCORE logistico e una chiara sottostima del rischio con STS score, EuroSCORE II e ACEF (Age, Creatinine, Ejection Fraction) score. Gli autori hanno evidenziato come fragilità e comorbilità siano i para­

metri mancanti più significativi non valutati dai tradizionali score di rischio e come la loro introduzione in nuovi strumenti di valutazione debba essere considerata come una sfida fon­

damentale per il prossimo futuro.

Stortecky et al.80 hanno valutato il ruolo della VMDG nella predizione di mortalità ed eventi avversi cardio­ e cerebrova­

scolari maggiori (MACCE) a seguito della TAVI in uno studio prospettico condotto su una coorte di 100 pazienti consecuti­

vi di età ≥70 anni. Le associazioni di deterioramento cognitivo (odds ratio [OR] 2.98; IC 95% 1.07­8.31), malnutrizione (OR 6.72; IC 95% 2.04­22.17), limitata mobilità (OR 6.65; IC 95%

2.15­20.52), dipendenza nelle ADL (OR 3.63; IC 95% 1.29­

10.23) e Frailty Index (OR 3.68; IC 95% 1.21­11.19) con la mortalità ad 1 anno sono risultate essere simili in confronto a STS score (OR 5.47; IC 95% 1.48­20.22) e EuroSCORE (OR 4.02; IC 95% 0.86­18.70). Risultati simili sono stati ottenuti anche considerando la mortalità a 30 giorni e i MACCE. Ana­

lisi bivariate, comprendenti l’STS score o lo EuroSCORE, han­

no suggerito associazioni indipendenti per i punteggi basati sulla VMDG (ad esempio OR dell’associazione tra Frailty Index e mortalità ad 1 anno in modello comprendente EuroSCORE:

3.29; IC 95% 1.06­10.15).

In uno studio prospettico condotto su 101 pazienti conse­

cutivi con stenosi aortica severa sottoposti a TAVI81, sono stati valutati molteplici indici di fragilità, tra cui il test del cammino su una distanza di 5 m (5MWT) e della forza di presa della mano (handgrip test), il Katz Index, la Elderly Mobility Scale (EMS), la Canadian Study of Health and Aging (CSHA) Scale, l’Identification of Senior At Risk (ISAR) Scale. A seconda della differente scala utilizzata, la prevalenza della fragilità variava dal 6.9% al 52.5% al basale e la mortalità per tutte le cause ad 1 anno è risultata essere pari al 17.8%. Le associazioni tra gli indici di fragilità e la mortalità sono risultate significative nell’analisi di regressione di Cox aggiustata per lo EuroSCORE logistico, suggerendo quindi che l’utilizzo degli indici di fragi­

lità, che sono semplici e veloci da valutare su basi cliniche ma che forniscono validi risultati (come il 5MWT, l’handgrip test e l’EMS), può essere di importante valore prognostico.

In un registro internazionale prospettico multicentrico comprendente 71 pazienti sottoposti a TAVI (età media di 85.4 anni, EuroSCORE I logistico medio 22.5%), Ungar et al.82

(9)

fragili hanno mostrato in condizioni basali parametri, in ter­

mini di capacità funzionale, salute fisica e mentale, benessere e qualità di vita, inferiori rispetto ai pazienti non fragili. Ciò nonostante, al follow­up dopo sostituzione valvolare aortica, i pazienti fragili hanno mostrato un miglioramento significativo delle funzioni fisiche, dei parametri di valutazione della salute fisica e mentale e della qualità di vita.

Su queste basi, negli ultimi anni sono stati sviluppati mo­

delli predittivi del rischio di esiti avversi dopo TAVI90, basati sulle caratteristiche dei pazienti comunemente rilevate nel pe­

riodo preprocedurale (creatinina sierica, pneumopatia dipen­

dente da ossigeno­terapia, gradiente transaortico medio, stato cognitivo, distanza percorsa al test del cammino dei 6 min, indice di massa corporea). La capacità discriminativa del mo­

dello iniziale era solo moderata e l’implementazione successiva dei parametri geriatrici di fragilità e disabilità ha migliorato la capacità predittiva del modello91. Le linee guida del 2017 del­

la Società Europea di Cardiologia e dell’Associazione Europea di Chirurgia Cardiotoracica (ESC/EACTS) per la gestione della cardiopatia valvolare92 suggeriscono di ricorrere alla valutazio­

ne della fragilità per quantificare il rischio periprocedurale e per la selezione della procedura, sottolineando che la stima della fragilità non debba essere basata su di un approccio sog­

gettivo, come un test “a colpo d’occhio”, ma piuttosto su di una combinazione di differenti parametri obiettivi.

Negli ultimi due decenni il miglioramento significativo del­

le tecniche chirurgiche e della gestione delle cure intensive ha determinato una riduzione in termini di numero di complican­

ze perioperatorie e mortalità in pazienti sottoposti a interventi di cardiochirurgia93. Come conseguenza, è stato osservato un incremento delle indicazioni a procedure in pazienti anziani di età >80 anni93,94. In questi pazienti gli attuali strumenti di valutazione del rischio cardiovascolare, come lo EuroSCORE I e II e l’STS score, mostrano un’affidabilità limitata95,96. Nel complesso, questi risultati risultano suggeriscono l’impiego della VMDG nell’ambito delle attività dell’Heart Team nei pa­

zienti anziani con stenosi aortica severa candidati a sostituzio­

ne valvolare e di strumenti semplici standardizzati per valutare la fragilità, che è risultata essere un utile fattore prognostico ed un elemento migliorativo dell’accuratezza discriminativa in questi pazienti. Infatti, come ha commentato anche Afilalo27,

“indipendentemente dallo strumento utilizzato, i clinici do­

vrebbero essere allertati in merito ad alcuni segnali (red flags) di inutilità quando pazienti ad alto rischio vengono candidati alla TAVI, come: l’incapacità di completare un test della velo­

cità del cammino su brevi distanze o di alzarsi dalla sedia, la dipendenza per la maggior parte delle BADL, una condizione di malnutrizione con un basso livello di albumina sierica e una involontaria perdita di peso, una severa anemia (in assenza di significative cause reversibili), una demenza avanzata, una pneumopatia con fabbisogno di ossigeno, un’epatopatia o insufficienza renale cronica”.

Recentemente sono state inoltre valutate le implicazioni prognostiche della fragilità nei pazienti anziani sottoposti a cardiochirurgia. In uno studio condotto su 3826 pazienti in ambito cardiochirurgico97 è stata valutata l’associazione della fragilità (espressa attraverso i parametri dell’autosufficienza, il test del cammino e la precedente diagnosi di demenza) con i tassi di mortalità intraospedaliera e a medio­termine; da tale analisi è emerso come i pazienti fragili abbiamo avuto un ri­

schio di mortalità di 1.5 volte superiore rispetto a quelli non fragili.

dittivo della CFS sia in termini di complicanze sia in termini di mortalità, soprattutto ad 1 anno (HR 1.28; IC 95% 1.10­1.49;

p<0.001). I pazienti con un punteggio alla CFS ≥7, corrispon­

dente a “fragilità severa e completa dipendenza per le cure personali”, hanno presentato il maggior rischio di mortalità ad 1 anno (45%).

I risultati di questi ultimi studi dimostrano quindi come indicatori di fragilità severa dovrebbero essere utilizzati per identificare i pazienti ad alto rischio di insuccesso della TAVI.

Infatti, nonostante i miglioramenti nelle tecniche di intervento e nella selezione dei pazienti, la mortalità a lungo termine dei pazienti anziani sottoposti a TAVI si mantiene elevata e vi è ampio accordo sul fatto che la maggioranza dei pazienti muoia entro 5 anni86. Tuttavia, in un paziente anziano la pro­

spettiva di un ultimo periodo di vita, anche se breve, privo di sintomi debilitanti diviene l’obiettivo prioritario in confronto al semplice prolungamento di una vita in condizioni di disabilità e tale prospettiva influisce sui suoi desideri e sulle sue deci­

sioni. La valutazione degli esiti “orientati al paziente”, come la qualità di vita correlata allo stato di salute, hanno preco­

cemente assunto rilevanza nell’era della TAVI, parallelamente ai tradizionali parametri di stima degli esiti clinici87. Arnold et al.88 hanno proposto un parametro composito di esito avverso a seguito di TAVI, inteso come mortalità o bassa qualità di vita (valutato con il Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire), per identificare anche quei pazienti che sopravvivono a TAVI ma con una qualità di vita ridotta o molto bassa (il 35% circa del campione dello studio PARTNER ad 1 anno). In un cam­

pione di 103 soggetti anziani (età media 80.6 anni, 54 fragili secondo i criteri del Cardiovascular Health Study)89, i pazienti

Fig. 5 Alzarsi dalla sedia 5 volte <15 s = 0 punti

Alzarsi dalla sedia 5 volte ≥15 s = 1 punto Incapace di completare l’esercizio = 2 punti

Cognitivamente integro = 0 punti Ridotta performance cognitiva = 1 punto

Emoglobina ≥13.0 g/dl uomo = 0 punti

≥12.0 g/dl donna

Emoglobina <13.0 g/dl uomo = 1 punto

<12.0 g/dl donna

Albumina sierica ≥3.5 g/dl = 0 punti Albumina sierica <3.5 g/dl  = 1 punto

Figura 5. Essential Frailty Toolset (EFT) in soggetti anziani candidati a sostituzione valvolare aortica.

Modificata da Afilalo et al.28.

(10)

significativo della mortalità postoperatoria e con una mag­

gior durata del ricovero ospedaliero a seguito dell’esecuzione dell’intervento in elezione.

Uno studio ha esaminato i crescenti costi di ospedalizza­

zione in pazienti con fragilità severa su di un campione di 235 soggetti (età media di 73 anni) sottoposti a impianto di bypass coronarico o chirurgia valvolare in due centri accademici, fa­

cente parte del McGill Frailty Registry103. Sono stati registrati 7 casi estremamente costosi e tutti i pazienti coinvolti presen­

tavano fragilità in condizioni basali. Nel modello multivariato, i costi totali sono risultati associati in modo indipendente alla condizione di fragilità e alla chirurgia valvolare.

Il concetto di Heart Team è stato introdotto per far fron­

te alla crescente complessità dei pazienti anziani cardiologici con importanti comorbilità, con lo scopo di bilanciare da un lato un processo decisionale basato sulle evidenze e dall’altro una visione eccessivamente specialistica, prevenendo l’auto­

referenzialità, cercando di raggiungere un’ottima gestione dell’assistenza al paziente ed evitando le disparità di cura.

L’Heart Team dovrebbe essere la modalità ideale attraverso cui esperienze differenti, inclusa la medicina geriatrica, pos­

sono contribuire alla scelta dell’opzione terapeutica migliore per il singolo paziente, collaborando a determinarne l’appro­

priatezza così come l’inutilità in caso di importante disabilità fisica o cognitiva. Negli anni, il ruolo del paziente è divenuto man mano sempre più centrale nel proprio processo di cura, in modo particolare negli anziani nei quali una chiara perce­

zione di una breve aspettativa di vita rappresenta la variabile principale che più influenza le proprie aspettative future, in­

sieme ai valori familiari e alle convinzioni religiose e culturali.

Il processo decisionale sviluppato dall’Heart Team dovrebbe quindi prendere in considerazione le aspettative dei pazien­

ti, cercando di comprendere che talvolta quella che al clinico può apparire un’opzione inutile o fallimentare potrebbe esse­

re in realtà quella preferita dal paziente.

Aspetti geriatrici fondamentali, quali limitazioni funziona­

li, livello cognitivo, fragilità, multimorbilità e comportamenti emozionali, dovrebbero pertanto assumere pari dignità rispet­

to a quella che hanno attualmente dati angiografici, ecocar­

diografici e anestesiologici nel delineare il profilo di rischio cardiovascolare e il processo decisionale per pazienti anziani candidati, secondo l’Heart Team, a diverse complesse proce­

dure cardiovascolari.

RIASSUNTO

Nelle ultime decadi è significativamente aumentata la prevalenza e l’incidenza di malattie cardiovascolari acute e croniche, in partico­

lare negli ultraottantenni. Il sostanziale cambiamento epidemiolo­

gico ha messo di fronte il medico a scelte terapeutiche complesse avendo oggi a disposizione molteplici possibilità terapeutiche far­

macologiche ed interventistiche ad alta complessità, la cui efficacia e sicurezza ha solide basi scientifiche, derivanti da trial randomizzati e registri, che non sempre però, hanno arruolato una popolazione anziana rappresentativa della quotidiana pratica clinica geriatrica.

La popolazione anziana ha spesso una significativa complessità clinica legata alla differente relazione, nel singolo paziente, dei cambiamenti fisiologici età­correlati, del carico di comorbilità e dell’espressione sintomatologica della malattia. Tale complessità fenotipica spesso non è intercettata e definita dalle classificazioni e dagli strumenti diagnostici e classificativi della cardiologia tradi­

zionale. Le sindromi geriatriche sono determinanti nel peggiora­

re la salute complessiva dell’anziano e la propria percezione della Nel loro studio prospettico pionieristico, Afilalo et al.98

hanno dimostrato come, in una coorte di 131 pazienti con un’età media di 76 anni, una bassa velocità al 5MWT sia ri­

sultata essere associata ad un aumento pari a 3 volte della mortalità a 30 giorni e della morbilità, così come un velocità del cammino <0.83 m/s sia risultata indicativa di una popola­

zione ad alto rischio per esiti avversi di salute dopo intervento cardiochirurgico.

Inoltre, Sündermann et al.99 hanno analizzato, in una coor­

te di 400 pazienti di età ≥74 anni sottoposti a cardiochirurgia, l’associazione tra fragilità (definita secondo una valutazione complessiva, seguendo il cosiddetto metodo di Comprehen- sive Assessment of Frailty) e la mortalità ad 1 anno così come l’insorgenza di MACCE: la fragilità è risultata essere significa­

tivamente associata ad una ridotta sopravvivenza ad 1 anno in seguito ad un intervento cardiochirurgico.

Afilalo et al.100 hanno recentemente confermato, in un’ampia coorte di 15 171 pazienti sottoposti ad intervento cardiochirurgico, come la velocità del cammino costituisca un fattore predittivo indipendente per esiti avversi con un in­

cremento relativo di mortalità dell’11% per ogni riduzione di velocità del cammino pari a 0.1 m/s. Osservazione interessan­

te è quella che gli autori hanno evidenziato a proposito del possibile utilizzo della velocità del cammino: essa risulta un elemento di miglioramento delle stime del rischio operatorio e di supporto al processo decisionale; il suo valore additivo tuttavia appare modesto quando utilizzata come solo crite­

rio di fragilità, motivo per cui gli autori hanno sottolineato la necessità di eseguire un test di fragilità multidimensionale in­

sieme al modello di rischio dell’STS (approccio bi­stratificato).

In uno studio prospettico monocentrico condotto su di una coorte di 150 pazienti (età media pari a 77.7 anni) sotto­

posti a intervento cardiochirurgico tra l’agosto 2012 e l’aprile 2013101, una bassa velocità del cammino è stata riscontrata in 21 pazienti (14%), indicati come fragili, definendo i restanti 129 pazienti (86%) come attivi. Il rischio valutato secondo lo EuroSCORE II è risultato significativamente maggiore per il gruppo fragile (p=0.023). Non vi sono stati casi di decesso e non è stata riscontrata una differenza statisticamente signi­

ficativa (p=0.209) nella percentuale di eventi maggiori tra il gruppo fragile (28.6%) rispetto al gruppo attivo (17.1%); allo stesso modo non è stato dimostrato il ruolo della bassa velo­

cità del cammino quale fattore predittivo indipendente. Ciò nonostante, è stato dimostrato il valore additivo della fragilità in termini di miglioramento dei risultati ottenuti utilizzando il modello logistico EuroSCORE per predire la mortalità precoce e/o la maggior morbilità in questa popolazione di pazienti an­

ziani. Ciò non è stato dimostrato per lo EuroSCORE II.

In questa prospettiva geriatrica, diviene cruciale disporre di un metodo completo di valutazione clinica che risulti snello e affidabile nella valutazione preoperatoria dei pazienti anzia­

ni candidati a interventi cardiochirurgici. La validità di questo approccio deriva dai risultati dello studio di Kim et al.102 che ha dimostrato come sia cruciale il ruolo prognostico della CGA in 275 pazienti di età ≥65 anni candidati a interventi chirurgici in elezione a rischio intermedio­alto. Gli autori hanno mostrato come un punteggio >5 in un modello multidimensionale di valutazione della fragilità (composto dal Charlson Comorbidi­

ty Index, dalla valutazione di BADL e IADL, dal Mini Nutritional Assessment e dalla stima del deterioramento cognitivo con Mini­Mental State Examination) sia risultato essere indice di pazienti ad alto rischio in quanto correlato con un incremento

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