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Il sax dei ricordi

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Academic year: 2021

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Il sax dei ricordi

Il banco dei pegni Three Kings sull’Hollywood Boulevard è stato rapinato tre volte in due anni. Il modus operandi di ogni irruzione è simile e quindi il Dipartimento di Polizia di Los Angeles sospetta che il responsabile sia lo stesso. Il ladro è stato attento a non lasciare mai impronte digitali o altri indizi per identificarlo. Non è mai stato fatto alcun arresto e nessuno degli oggetti derubati è mai stato ritrovato. Nikolai Servan, l’immigrato russo proprietario del negozio, si era posto delle domande sulle capacità del sistema giudiziario del paese d’adozione.

Il giorno della vigilia di Natale di quest’anno Servan è entrato nel negozio dal retro scoprendo di essere stato derubato per la quarta volta. Ha anche scoperto che il ladro era ancora dentro. Ed è stato questo che ha portato il detective Harry Bosch e il suo partner Jerry Edgar al Three Kings .

Sono arrivati - poco dopo le 10 - in una macchina della polizia che Bosch aveva ritirato nel parcheggio della Divisione Hollywood. Conoscevano il detective delle rapine, Eugene Braxton, che stava già aspettando nel negozio con Nikolai Servan, accanto al corpo.

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«Guarda Harry, assomiglia a un grosso vecchio regalo di Natale,» osservò Edgar mentre Bosch spegneva il motore. «Aspetta solo che noi lo scartiamo».

Edgar aveva ragione. I muri esterni del piccolo banco dei pegni erano di un rosso sgargiante. Il nastro giallo della scena del crimine, messo sul davanti dagli agenti di pattuglia, assomigliava a un fiocco. Bosch non si era preoccupato di commentare l’osservazione del partner. Scese e chiuse lo sportello dell’auto.

Bosch si fermò per un istante sul marciapiede per studiare la facciata del banco dei pegni. Si trovava tra un pornoshop e un negozio che affittava cassette postali private. Un cancello d’acciaio di sicurezza era stato piegato e aperto, presumibilmente da Servan la mattina stessa dopo aver chiamato la polizia. Bosch guardò l’insegna sulla facciata sopra le finestre di vetro laminato. Vide che la forma triangolare delle tre sfere, l’emblema internazionale del banco dei pegni, era stato modificato per includere una corona da re su ogni sfera.

«Carino», disse Edgar guardando l’insegna. «Molto», disse Bosch. «Diamoci una mossa».

«Non preoccuparti per me, Har. Non ho intenzione di perdere tempo. È la vigilia di Natale, voglio concludere questa faccenda e per una volta tornare a casa presto.»

Bosch entrò e, passando oltre le biciclette e le mazze da golf, gli oggetti antichi e gli strumenti musicali, raggiunse il bancone dove Braxton e Servan aspettavano.

Braxton, che aveva indagato nelle tre precedenti rapine al Three Kings, era arrivato lì per primo perché Servan aveva il suo biglietto da visita attaccato al

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lato del telefono. Quando il proprietario era andato al lavoro quella mattina e aveva trovato il ladro morto dietro il banco dei gioielli, non aveva digitato il 911, ma il numero di Braxton.

«Buon Natale, Brax», disse Bosch. «Cosa abbiamo?»

«Buon Natale anche a te, Harry», rispose Braxton. «Abbiamo un ladro in meno nel mondo. E questo per me è già un buon Natale.»

Bosch annuì e guardò Servan seduto su uno sgabello dall’altro lato del bancone. Era sulla cinquantina, capelli neri e diradati. Aveva molti muscoli che si stavano ammosciando. Non aveva tatuaggi visibili.

«Questo è Nikolai Servan», disse Braxton. «È il suo negozio.»

Bosch tese la mano oltre il bancone per stringere quella di Servan. Il russo scese dallo sgabello e gliela strinse forte .

«Signor Servan, sono il detective Bosch. Questo è il detective Edgar.» «Nick, mi chiami Nick, per favore.»

Aveva un accento marcato. Bosch supponeva che fosse nel paese solo da pochi anni. Anche Edgar tese la mano oltre il bancone e gliela strinse.

Bosch si spostò intorno a Braxton e oltre, verso la vetrinetta dei gioielli, dove disteso sul pavimento in quello spazio ristretto giaceva il corpo. Era un uomo bianco, vestito di nero dalla testa ai piedi, tutto, tranne la mano destra che non indossava il guanto. Bosch si accovacciò vicino al corpo- come un ricevitore di baseball- e lo studiò senza toccare niente. Un passamontagna sul viso, con solo i fori per gli occhi e la bocca. Bosch notò che gli occhi erano aperti e le labbra tirate nonostante i denti fossero chiusi saldamente. Parlò senza alzare lo sguardo.

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«Quali sono i tempi di arrivo del medico legale e della scientifica?»

«Stanno arrivando». Rispose Braxton, «è tutto quello che posso dirti, anche se oggi non c’è molto traffico.»

Lo staff del medico legale e la scientifica sarebbero arrivati dal centro. Bosch ed Edgar avevano guidato solo per otto isolati dalla stazione di polizia.

«Conosci questo ragazzo, Brax?»

«Non riesco a vedere abbastanza per esserne sicuro.»

Bosch non disse nulla. Aspettò. Sapeva che Braxton doveva dare una rapida occhiata sotto il passamontagna, anche se questo avrebbe violato il protocollo della scena del crimine.

«Assomiglia al ragazzo a cui ho sparato circa cinque anni fa si chiamava Monty Kelman», disse Braxton.

Bosch annuì.

«Operava in zona, immagino?»

«Il più delle volte sì. Da quello che ho sentito era solito svolgere incarichi fuori città. Faceva parte di in una banda che prendeva lavori da un ragazzo di nome Leo Freeling. Lavorava fuori dalla Valley. Ma Leo è stato ucciso pochi anni fa. Penso che da allora Monty abbia iniziato a mettersi in proprio.»

«Lavorava da solo?» «Dipendeva dal lavoro.»

Bosch prese un paio di guanti di lattice dalla tasca, ci soffiò dentro come un palloncino per farli aderire meglio e se li infilò. Cambiò posizione e cercò di far ruotare un po’ il corpo per controllare se ci fossero ferite e il guanto mancante.

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Non vedeva molto, ma non voleva far ruotare completamente il corpo prima che venissero scattate le foto e che lo staff del medico legale esaminasse la scena.

«Quindi com’è morto il ragazzo?»

La domanda era retorica, ma mentre lo diceva guardò Servan. Sembrava aver colto di sorpresa il proprietario, come se lo accusasse di qualcosa. Servan allargò le braccia e scosse la testa.

«Io non so» disse, «Io arrivato in negozio, aperto, lui morto proprio lì.» Bosch annuì e guardò verso il bancone. Notò che Edgar non c’era più. Guardò Braxton.

«Brax, perché non accompagni il signor Servan in una delle auto di pattuglia, così possiamo lavorare.»

Mentre Braxton accompagnava fuori Servan, Bosch tornò al corpo e continuò l’esame. Sollevò la mano nuda e la studiò, per cercare di capire perché non avesse il guanto. Notò una macchia sul polpastrello del pollice. Una linea giallognola. C’era una macchia in corrispondenza del dito indice. Usando entrambe le mani avvicinò il pollice e l’indice allineando i due segni. Sembrò che, la mano destra stesse tenendo una penna o un altro strumento sottile quando si procurò i segni.

Bosch poggiò con attenzione la mano sul pavimento e si spostò verso i piedi. Tolse la scarpa destra, una scarpa sportiva di pelle nera con una suola di gomma nera e sfilò il calzino nero. Sulla pianta del piede del cadavere c’era una macchia circolare marrone al centro con sfumature gialle verso l’esterno.

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Bosch alzò lo sguardo. Era Braxton.

«Non ne sono ancora sicuro. Hai visto un guanto? Il ragazzo ne ha perso uno.»

«Qui.»

Era Edgar. Si trovava dietro una vetrinetta dall’altro lato del negozio. Bosch si alzò e lo raggiunse. Edgar si accovacciò e indicò sotto la vetrinetta.

«C’è un guanto nero di pelle sotto la vetrina. Non so se corrisponde, ma è un guanto.»

Bosch si inginocchiò così da poter guardare sotto la vetrina. Lo raggiunse e tirò fuori il guanto.

«Sembra lo stesso», disse.

«Se non calzano, dovete assolverlo», disse Edgar. Bosch lo guardò.

«Jonnie Cochran», disse Edgar. «Sai, i guanti di O.J. Simpson.» «Giusto.»

Bosch si alzò. Il ginocchio cominciò a scrocchiare. Guardò nella vetrina. C’erano due ripiani illuminati dall’interno. Sugli scaffali non c’erano gioielli di grande valore. Solo monete e qualche piccola scultura di giada, portapillole d’oro e d’argento, portasigarette e altre bigiotterie ornate e ingioiellate. Era roba di lusso. Bosch notò che la maggior parte delle monete erano russe.

Si allontanò dalla vetrina ed esaminò il negozio. Oltre alle due vetrinette c’erano più che altro cianfrusaglie, oggetti di proprietà di persone

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finanziariamente disperate, disposte a separarsi da quasi tutto in cambio di contanti.

«Brax», disse Bosch. «Da dove è entrato?»

Braxton gli indicò il retrobottega e fece strada. Bosch ed Edgar lo seguirono ed entrarono in una stanza usata come ufficio e come magazzino. Ghiaia e altri detriti erano cosparsi sul pavimento. Tutti guardarono in alto. C’era un buco aperto malamente sul soffitto. Era largo circa sessanta centimetri e sopra c’era il cielo blu.

«Era un tetto composito» disse Braxton. «Non ci voleva molto a tagliarlo. Forse una mezz’ora.»

«Avrebbe fatto rumore», disse Edgar. «Qualcuno sa quando chiude il pornoshop?»

«Ricordo di aver controllato in uno dei precedenti furti», disse Braxton. «Chiude alle 4 e riapre alle 8. Un buco di 4 ore.»

«Anche le altre volte sono entrati dai tetti?» chiese Bosch. Braxton scosse la testa.

«Le prime due volte dalla porta sul retro e poi dal tetto. Questa è la seconda volta che passano dal tetto.»

«Pensi sia stato Monty anche le volte precedenti?»

«Non ne dubito. Così fanno questi ragazzi. Colpiscono più volte lo stesso posto. Dopo il secondo furto dalla porta, il signor Servan ha preso precauzioni. Ha aggiunto più rinforzi d’acciaio. Così il ladro è passato dal tetto.»

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«Molti immigrati vengono qui. Russi, coreani, da tutte le parti. Impegnano le cose che si portano dalla patria. Giada. Oro. Monete. Piccole cose costose. I ladri amano queste stronzate. La vetrina dove ha trovato il guanto? È tutto lì dentro. È per quello che vengono. Non so come il ladro si è ritrovato dietro la vetrinetta dei gioielli.»

«Qual è stato il bottino le ultime tre volte?» disse Bosch.

«Probabilmente in media tra i 40 e i 50 mila a colpo» disse Braxton. «È un bel gruzzolo per un banco dei pegni. È per questo che i rapinatori continuano a colpirlo.»

Un agente di pattuglia tornò nella stanza del retro e disse ai detective che lo staff del medico legale era arrivato.

I tre detective continuarono a consultarsi un istante e discutere sulle impressioni iniziali, sulla teoria di Bosch, su cosa fosse successo al ladro e stabilire una strategia del caso. Decisero che Edgar sarebbe rimasto sulla scena ad assistere il medico legale e la scientifica il tempo necessario. Bosch e Braxton si sarebbero occupati di Servan e della comunicazione ai famigliari.

Non appena il medico legale ebbe preso le impronte digitali della mano nuda del ladro, Bosch e Braxton tornarono alla Divisione Hollywood con Nikolai Servan.

Bosch scannerizzò le impronte al computer e le inviò al laboratorio al Parker Center. Poi condusse un interrogatorio formale e registrato con Servan. Sebbene il proprietario del negozio non avesse aggiunto niente di nuovo a quel

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che aveva detto in negozio, fu comunque importante per Bosch registrare la storia.

Quando finì l’interrogatorio ricevette un messaggio dal tecnico delle impronte, Tom Rusch. Le impronte appartenevano a un ex-detenuto di 39 anni chiamato Montgomery George Kelman, in libertà vigilata per una condanna di furto.

Ci vollero tre tentativi prima che Bosch localizzasse l’agente di custodia di Kelman e per ottenere l’attuale indirizzo e il suo datore di lavoro. Bosch venne a sapere che Monty faceva il turno di mattina come lavapiatti in un ristorante di Hillview. L’agente quella mattina aveva già ricevuto una chiamata dal padrone del ristorante. Gli aveva riferito che Kelman non si era fatto vedere a lavoro né aveva chiamato per darsi malato, come ordina il regolamento della libertà vigilata. L’agente era contento di sapere che non avrebbe avuto la seccatura di riempire tutte le scartoffie per dimostrare la violazione della sua la libertà vigilata.

«Buon Natale» disse a Bosch prima di riagganciare.

Dopo aver parlato con Edgar per telefono e aver saputo che i tecnici stavano ancora esaminando il corpo e la scena, Bosch disse al suo partner che la vittima era stata identificata come Kelman e che lui e Braxton erano diretti all’indirizzo che l’agente aveva fornito a Monty. Disse che avrebbero lasciato Nikolai Servan nella sala interrogatori della Divisione.

L’indirizzo di Monty Kelman era un appartamento a Los Feliz, vicino al Griffith Park. Bosch bussò alla porta e gli aprì una ragazza in pantaloncini e un

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dolcevita a maniche lunghe. Era magra al punto di essere scarna. Di certo una tossica. Quando ricevette la cattiva notizia su Monty crollò bruscamente sul divano in posizione fetale. Mentre Braxton provava a consolarla e carpire informazioni allo stesso tempo, Bosch diede una rapida occhiata al bilocale. Come si aspettava, non c’era alcun segnale evidente che il locale appartenesse a un ladro. Era un appartamento di facciata, il posto dove l’agente andava a far visita e Kelman manteneva l’apparenza di una vita da rispettoso della legge. Bosch sapeva che un ladro in attività, in libertà vigilata, avrebbe avuto un posto segreto e diverso, un alloggio sicuro, per gli attrezzi e la refurtiva.

Nella camera da letto c’era una piccola scrivania dove Kelman teneva il libretto degli assegni e foglietti personali. Bosch sfogliò le pagine del libretto, ma non vide nulla di inusuale. Guardò ovunque nel cassetto ma non trovò traccia del posto sicuro di Kelman. Non era particolarmente ansioso al riguardo. Era l’ultimo dei suoi problemi, qualcosa che sarebbe stato di maggior interesse per Braxton, in quanto detective di rapine, più che per Bosch.

Come si girò per uscire dalla stanza vide un sassofono sorretto da un cavalletto nell’angolo vicino la porta. Dalla dimensione riconobbe che si trattava di un contralto. Lo scavalcò e lo sollevò tra le mani. Sembrava vecchio ma ben tenuto. L’ottone era lucido e vide la pezza per lucidarlo ficcato nella bocca dello strumento. Bosch non aveva mai suonato un sassofono, non aveva nemmeno mai provato, ma era la sola musica capace di accenderlo.

Reggeva lo strumento con un senso di riverenza che raramente mostrava per persone o cose. E per qualche istante fu tentato di portare il bocchino alle labbra

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per provare a suonare una nota. Invece afferrò lo strumento nel modo in cui aveva visto infiniti musicisti – da Art Pepper a Wayne Shorter – tenere i loro.

«Harry, hai trovato qualcosa?» disse Braxton dall’altra stanza.

Bosch portò il sassofono nel salotto e lo mostrò. La donna ora era seduta sul divano, le braccia strette saldamente al petto. Le lacrime le rigavano il viso. Bosch non sapeva se piangesse per il suo amore perduto o per aver perso l’assicurazione per la droga.

Teneva il sassofono. «Di chi è?»

Lei deglutì prima di rispondere. «È di Monty. Era.»

«Suonava?»

«Ci provava. Amava il jazz. Diceva sempre che voleva prendere lezioni. Non l’ha mai fatto.»

Di nuovo le lacrime scesero sulle guance.

«Deve essere la refurtiva» disse Braxton ignorandola e parlando a Bosch. «Posso inserirla nella scatola quando rientriamo. Su questi oggetti il produttore e il numero di serie sono incise nella campana». Indicò la bocca del corno.

«Qui dentro. Non mi sorprenderebbe se venisse dal negozio di Servan da una delle prime rapine.

Bosch tirò fuori dalla campana la pezza per lucidare e guardò dentro. C’era un’incisione sull’ottone ricurvo, ma non riusciva a leggerla. Andò verso la

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finestra e posizionò lo strumento in modo che la luce del sole invadesse la bocca. Si piegò e girò lo strumento in modo da poter leggere.

Calumet Instruments Chicago, Illinois

Fatto su ordinazione daQuentin McKinzie, 1963 “The Sweet Spot”

Bosch lo rilesse ancora e poi anche una terza volta. All’improvviso sentì come se qualcuno gli avesse premuto quarti di dollaro roventi sulle tempie. Un flash gli riempì i pensieri. Un musicista sotto la tettoia montata sul ponte della nave. Soldati affollati vicini. Quelli sulle sedie a rotelle, uomini a cui mancavano le membra, di fronte. L’uomo suonava il sax, muovendosi su e giù, a zig zag come quando Sugar Ray Robinson arrivava dall’angolo del ring. La musica bellissima e agile lo accendeva. Il suono più bello che avesse mai sentito. La dannata luce alla fine di tutti i suoi tunnel.

«Oddio, Harry, cosa dice?»

Bosch guardò Braxton, il ricordo si ritirò nell’oscurità. «Cosa?»

«Sembra che tu abbia visto un fantasma nascosto lì dentro. Cosa dice?» «Chicago. È stato fatto a Chicago.»

«Calumet?» «Come lo sai?»

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«Mi occupo di rapine. È il mio lavoro saperlo. Calumet è uno dei più grandi. È sul mercato da molto tempo. Dovremmo riuscire a rintracciarlo.

Bosch annuì.

«Hai finito qui?» chiese. «Andiamo via».

Sulla strada per la stazione di polizia Bosch lasciò guidare Braxton così poteva tenere e studiare il sassofono.

«Quanto vale una cosa come questa?» chiese quando erano a metà strada. «Dipende. Nuovo, migliaia di dollari. Per uno del banco dei pegni forse poche centinaia.»

«Hai mai sentito parlare di Quentin McKinzie?» Braxton scosse la testa.

«Mi pare di no.»

«Lo chiamavano Sugar Ray McK. Perché quando suonava il sax andava su e giù e si muoveva a zig zag come il pugile Sugar Ray Robinson. Era bravo. Era più che altro un improvvisatore, ma ha anche inciso qualcosa. “The sweet spot”, l’hai mai sentita?»

«No, mi dispiace, non sono amante del jazz. Fa troppo cliché, sai? Detective e jazz. Personalmente ascolto musica country.»

Bosch era deluso. Voleva raccontargli di quel giorno sulla nave, ma se Braxton non conosceva il jazz, non poteva capire.

«Qual è il collegamento?» chiese Braxton. Bosch alzò il sassofono.

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«Questo era suo. C’è scritto qui dentro. Fatto su ordinazione da Quentin McKinzie. È lui Sugar Ray McK.»

«L’hai mai visto suonare?» Bosch annuì.

«Una volta. Nel 1969.» Braxton fischiò.

«Tanto tempo fa. Pensi sia ancora vivo?»

«Non lo so. Non sta incidendo. L’ultimo disco uscito era Man with an Ax. Almeno dieci anni fa. Forse di più. Era una raccolta.

Bosch guardò il sassofono.

«Suppongo che non possa incidere senza questo.» Il cellulare di Bosch vibrò. Era Edgar.

«Harry dove siete?»

«Stiamo tornando alla stazione di polizia. Abbiamo appena controllato l’appartamento di Kelman»

«Niente?»

«Non proprio. Una tossica e un sassofono. Tu cos’hai?»

«Per prima cosa, c’è la questione dei lividi. Il ragazzo è stato spostato.» «E cosa dice il medico legale della causa?»

«È d’accordo con la tua teoria al momento. Morte per folgorazione. Le bruciature sulla mano e sul piede, dove la corrente è entrata e uscita.»

«Hai trovato la sorgente?»

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Bosch ripensò a tutto. Il livor mortis era la stasi del sangue in un cadavere. Era una macchia violacea. Se un corpo viene spostato dopo che il sangue ristagna, allora appare una nuova macchia. È una dritta che la maggior parte della gente, esterna a un’indagine di omicidio, non conosce.

«Hai guardato intorno alla vetrina dove era il guanto?»

«Sì, ho guardato. Non trovo nessuna fonte elettrica che possa spiegare il fatto. La vetrina di cui parli ha luci interne, ma funzionano.»

Braxton entrò nel parcheggio della stazione di polizia e si fermò nel posto riservato agli investigatori.

«Hai già fatto una lista degli oggetti del ragazzo?» «Sì, niente. Tasche vuote. Né documenti né altro.»

«Ok, siamo alla stazione di polizia. Fammi pensare e ti richiamo.»

«Come vuoi Harry. Voglio solo andare via da qui entro stasera. Non mi piace la piega che sta prendendo il caso»

«Lo so, lo so.»

Bosch chiuse la telefonata e uscì dall’auto con il sassofono. «Novità?», chiese Braxton.

«Non molto» disse Bosch dall’alto della macchina. «Sembra folgorazione.» «Come avevi detto.»

«Quando entriamo, puoi prendere i verbali delle tre precedenti rapine al Three Kings?»

«Certo. Per quanto riguarda Servan?»

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Entrarono alla stazione di polizia e andarono giù nell’ufficio detective, dove si separarono. Braxton andò alla sezione rapine a prendere i verbali, mentre Bosch nel corridoio posteriore che portava alla stanza interrogatori. Servan era nella stanza numero tre, faceva avanti e indietro nel piccolo spazio, quando Bosch aprì la porta.

«Signor Servan, tutto bene? Non avremmo dovuto metterci così tanto tempo.»

«Sì, ok, ok. L’ha trovato?» Indicò il sassofono. Bosch annuì. «Questo viene dal suo negozio?»

Servan studiò lo strumento e annuì con vigore. «Sì, penso di sì.»

«Ok, bene, lo verificheremo. Abbiamo ancora da fare e poi torneremo da lei. Vuole un caffè o andare in bagno?»

Servan rifiutò entrambe le cose e Bosch lo lasciò lì. Quando tornò alla scrivania della omicidi cominciò a cercare Quentin McKinzie, controllando sulla motorizzazione, l’iscrizione alle liste elettorali e l’indice dei crimini. Dalla ricerca risultò un verbale di due arresti per droga a Los Angeles negli anni ’70 e ’80, ma nessun indirizzo e niente che desse un indizio del suo ultimo domicilio.

Braxton tornò e lasciò cadere tre fascicoli sulla scrivania. Bosch gli disse di prendere le foto di Monty Kelman che avevano trovato dal computer e di mostrarle a Servan per vedere se riconoscesse Kelman e se fosse mai andato al negozio come cliente.

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Dopo che Braxton andò via, Bosch iniziò a guardare tra i verbali dei furti, iniziando dalla prima irruzione al Three Kings. Sfogliò le pagine velocemente finché arrivò all’inventario degli oggetti rubati. Non c’era nessun sassofono sulla lista. Controllò la lista degli oggetti e determinò che erano tutti piccoli pezzi presi dalla vetrina illuminata.

Tornò al riassunto scritto da Braxton. Riportava che il sospetto o i sospetti ignoti avevano fatto irruzione dalla porta sul retro per entrare nello stabile e che avevano svuotato gli scaffali delle vetrine contenenti gli oggetti di più valore del negozio. Braxton notò che la vetrina aveva un lucchetto che non era stato né lasciato aperto né forzato abilmente dal ladro.

Passò al verbale seguente e trovò il sassofono elencato sull’inventario degli oggetti rubati. Veniva descritto come un sassofono contralto, ma non c’erano altri elementi identificatori e nessuna lista su chi fosse la persona che aveva impegnato il sassofono. Lesse il riassunto e notò delle similitudini con la prima rapina; il ladro o i ladri avevano fatto irruzione dalla porta sul retro, avevano aperto la vetrina e avevano preso tutti gli oggetti di valore. Il sassofono sembrava che l’avessero preso in un secondo momento e Bosch ora sapeva che era perché Monty Kelman aveva sempre voluto imparare a suonarlo. Il terzo verbale era uguale, con l’eccezione del metodo di irruzione. Questa volta, con la porta sul retro rinforzata, il ladro o i ladri avevano tagliato il tetto di materiale composito e si erano calati giù. Avevano tolto il lucchetto della vetrinetta e avevano svuotato i ripiani per la terza volta.

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I danni dei tre furti erano in media 40.000 dollari a colpo. Servan aveva l’assicurazione, sebbene Bosch immaginò che i premi erano aumentati di molto. La maggior parte degli oggetti rubati era in vendita e questo voleva dire che gli oggetti ormai non appartenessero più ai proprietari originari ma a Servan.

Braxton uscì dal corridoio posteriore e andò alla scrivania della omicidi. «Sì, l’ha riconosciuto» disse. «Ha detto che è entrato in negozio un paio di giorni fa. Ha dato un’occhiata ad alcune monete nella vetrinetta.»

«Lo aveva mai visto prima?» «Pensa di sì, ma non è sicuro.»

«Nessun’altro lavora in negozio oltre a lui?»

«No, fa tutto da solo. Sei giorni a settimana, dalle 9 alle 18. La solita storia dell’immigrato stacanovista.»

Bosch si appoggiò alla sedia e si allisciò un baffo con il pollice. Senza dire nulla. Poco dopo Braxton si seccò di aspettare.

«Harry, hai bisogno di me per qualcos’altro?» Bosch non lo guardò.

«Mmm, puoi tornare da lui e chiedergli della teca?» «La teca? Intendi la vetrinetta?»

«Sì, chiedigli se è sicuro di averla chiusa a chiave sempre. In tutti i furti.» Immaginava che Braxton stesse ancora aspettando alla scrivania.

«Cosa?»

«Cosa sono? Il fattorino?»

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Bosch aspettò, si lisciava il baffo mentre pensava. Braxton non ci mise molto.

«Ha detto che chiude sempre a chiave quella vetrina. Anche quando il negozio è aperto. La apre solo per mettere o prendere qualcosa. Poi la richiude ogni volta. Porta sempre la chiave con sé. Non ci sono copie.»

«Quindi il nostro ragazzo forzava la serratura.» «Così sembra.»

Bosch annuì.

«Mmm, un’altra cosa, Brax. Il sassofono. Dovrà avere un registro dei pegni, no?»

«Deve averli. E anche noi abbiamo delle copie dei dettagli dei pegni. Hanno comparato gli inventari degli oggetti in pegno con i verbali degli oggetti rubati. Sai, per controllare se corrispondessero.»

Bosch tese le braccia e prese il sassofono dalla scrivania. «Quindi come posso scoprire chi l’ha impegnato?» Braxton sembrò leggermente preso alla sprovvista. «Cosa c’entra con il caso?»

«Niente, per quel che ne so. Ma voglio scoprire chi l’ha impegnato.»

«Non dovrebbe essere molto difficile. I ragazzi hanno separato i dettagli dei furti in scatole divise per negozio. Dovrebbero solo guardare nella scatola del Three Kings. Dipende da quanto indietro devono andare, potrebbe essere lì.»

«Cosa sarà meglio fare? Li chiamo tu o io?»

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«Grazie.»

Bosch guardò l’orologio. Era quasi mezzogiorno.

«E digli che vorremmo avere notizie sul caso entro oggi.»

«Riferirò, ma dubito che facciano promesse. È la vigilia di Natale, Harry. Le persone cercano di tornare a casa presto.»

«Digli solo che è importante.» «Per te o per il caso?»

Bosch non rispose e alla fine Braxton tornò alla sua scrivania per fare la telefonata. Bosch continuò a guardare i verbali delle tre rapine. Dopo aver finito si alzò e tornò al corridoio per la sala interrogatori. Ma invece di entrare nella numero 3, dove si trovava Servan, entrò nella 4 e guardò l’uomo del banco dei pegni dal vetro a specchio. Se ne stava seduto al tavolo con le braccia conserte e gli occhi chiusi. Stava dormendo o meditando o forse entrambe le cose.

Uscì dalla stanza e tornò alla scrivania. Si sedette e riprese il sassofono. Gli piaceva toccarlo, sentirne il peso tra le mani. Sapere che lo strumento poteva produrre suoni che riecheggiavano tutte le tristezze e le speranze dell’umanità lo sconcertava. Ricordò ancora una volta il giorno sulla nave. Sugar Ray andava su e giù e ondeggiava con “The sweet spot” e altre melodie. Quel giorno Bosch si innamorò del suono. Sentiva come se fosse arrivato dal profondo di se stesso. Da quel giorno non fu più lo stesso.

Uscì dal ricordo e si diresse verso uno scaffale che si trovava sopra una fila di raccoglitori. Prese uno dei manuali forensi e andò all’indice. Trovò quel che

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cercava e andò alla pagina. Se ne stava seduto a leggere il manuale, quando il cellulare vibrò e lo tirò fuori dalla tasca. Era Edgar.

«Harry, qui sono sul punto di andarsene. Vuoi che venga lì?» «Non ancora.»

«Ok, cosa facciamo?»

«Non c’era niente oltre il corpo, vero? Nessun attrezzo, o grimaldello?» «Esatto. Te l’ ho già detto.»

«Ho appena letto i rapporti delle tre precedenti rapine. La vetrinetta è stata presa di mira ogni volta. Hanno forzato la serratura. Servan ha detto che era sempre chiusa a chiave.»

«Bè, non ci sono grimaldelli qui, Harry. Suppongo che chiunque abbia mosso il corpo li abbia presi.»

«Era Servan.»

Edgar era calmo e poi disse, «Perché non li cerchi tu al mio posto?» Bosch rifletté un momento prima di rispondere.

«È stata rapinata tre volte in due anni. Ogni volta la vetrinetta di lusso è stata forzata. È difficile lavorare con un set di grimaldelli con i guanti. Servan probabilmente sapeva che il ragazzo avrebbe tolto i guanti per lavorare con i grimaldelli. E quelli d’acciaio funzionano con le serrature d’acciaio.»

«Se ha inserito una carica di 110 volt in quella serratura, il cuore del ragazzo potrebbe aver smesso di battere.»

«Non necessariamente. Sono stato qui a leggere uno dei manuali. Da 1-10 volt può fermare il cuore, ma dipende tutto dall’amperaggio. C’è una formula. Ha

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a che fare con la resistenza della carica. Sai, tipo la pelle asciutta o la pelle umida, cose così.»

«Questo ragazzo ha tolto il guanto. Probabilmente aveva le mani sudate.» «Esatto. Così, se la resistenza fosse stata bassa e Servan avesse in qualche modo alterato una linea da 1-10 volt che andava direttamente in quella serratura, allora la scarica iniziale potrebbe aver contratto i muscoli e lasciato il nostro ladro incapace di mollare il grimaldello. La scarica lo ha attraversato, ha colpito il cuore che è entrato in fibrillazione ventricolare.»

«La fibrillazione ventricolare è una causa naturale, Harry.» «No, quando usi una linea da 1-10 volt per procurarla.»

«Quindi stiamo parlando di qualcosa di più di un semplice omicidio. Questo è tendere un agguato.»

«Sta al procuratore distrettuale deciderlo. Noi dobbiamo solo riportare i fatti.»

«A proposito, come facevi a sapere che bisognava togliere il calzino per cercare le bruciature?»

«Ho visto le bruciature sulle dita della mano e ho solo fatto un tentativo.» «Bè, direi che hai fatto centro, collega.»

«Ho avuto fortuna. Quindi ora devi controllare dentro la vetrina e scoprire come li ha cablati. È andata via la scientifica?»

«Stanno ancora imbustando gli oggetti di prova.» «Digli di inserire la vetrina tra le prove.»

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«Digli di portarla via. E vai anche tu. La vetrina è la chiave. E digli di starci attenti.»

«Dovrebbero avere un furgone per servizi speciali qui fuori.» «Fa come vuoi. Chiamali ora. Datti una mossa.»

Bosch chiuse la telefonata, si alzò dalla scrivania e si diresse nel corridoio verso lo spogliatoio oltre l’ufficio di sorveglianza. Comprò due pacchetti di cracker al burro d’arachidi dal distributore automatico. Li aprì e mangiò tutti i quadratini mentre tornava verso l’ufficio detective. Mise l’altro pacchetto nella tasca della giacca per dopo. Si fermò per bere dalla fontanella.

Braxton lo stava aspettando alla scrivania con un foglio in mano.

«Sei stato fortunato» disse a Bosch mentre si avvicinava. «Un ragazzo aveva impegnato il sassofono due anni fa, ma aveva ancora la ricevuta.»

Diede il foglio a Bosch. Era una fotocopia della ricevuta del pegno. C’erano il nome, l’indirizzo e il numero di telefono del cliente. L’uomo che aveva impegnato il sassofono di Quentin McKinzie si chiamava Donald Teed. Viveva nella Valley. Nikolai Servan gli aveva dato 200 dollari per lo strumento.

Bosch si sedette e notò che Teed aveva scritto il numero di telefono con il codice 323, il prefisso della zona di Hollywood. Questo spiegava il perché un uomo che viveva nella Valley avesse usato un banco di pegni di Hollywood. Prese il telefono e digitò il numero del lavoro di Teed. Rispose subito una donna che disse, «Splendid Age.»

«Mi scusi?» disse Bosch.

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«Sì, Donald Teed risiede lì?»

«Residente? No. Abbiamo un Donald Teed che lavora qui. Intende lui?» «Penso di sì. È lì?»

«Oggi è qui, ma non so dove sia ora. È il custode ed è sempre in giro. Chi lo cerca? È un sollecito?»

Bosch sentiva che le cose stavano andando nella direzione giusta. Decise di fare un tentativo.

«Sono un amico. Potrebbe dirmi se un altro amico è lì? Si chiama Quentin McKinzie.»

«Sì, il signor McKinzie risiede qui. Di cosa si tratta?» «Richiamerò.»

Bosch riagganciò e gli occhi si fermarono sul sassofono.

Nikolai Servan aprì gli occhi nel momento in cui Bosch entrò. Bosch posò sul tavolo il foglio che portava, si sedette di fronte a Servan, incrociò le braccia e poggiò i gomiti sul tavolo , quasi come un’immagine allo specchio.

«C’è stato un imprevisto, signor Servan.» «Un imprevisto?»

«Un problema. In realtà, diversi. E quello che mi piacerebbe fare ora è darle l’opportunità di dirmi la verità.»

«Non capisco. Vi ho detto verità. Vi ho detto verità.» «Penso che lei abbia tralasciato qualcosa, signor Servan.» Servan strinse le mani sul tavolo e scosse la testa.

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«No, ho detto tutto.»

«Ora le leggerò i diritti, signor Servan. Ascolti attentamente.»

Bosch lesse a Servan i suoi diritti dai fogli sul tavolo. Poi li girò e gli diede una penna e gli chiese di firmarli. Servan esitò e sembrava rileggere lentamente il modulo per la rinuncia ai diritti. Poi prese la penna e firmò. Bosch fece la prima domanda nel momento in cui tolse la penna dal foglio.

«Quindi, cosa ne ha fatto dei grimaldelli del ladro, signor Servan?»

Servan mantenne le labbra saldamente serrate per un lungo istante. Poi scosse la testa.

«Non capisco.»

«Certo che sì, signor Servan. Dove sono i grimaldelli?» Servan lo fissava solamente.

«Ok» disse Bosch, «proviamo con quest’altra. Mi dica come ha cablato la vetrinetta?»

Servan piegò un’altra volta la testa.

«Voglio avvocato ora» disse. «Per favore, avvocato ora.»

Bosch si fermò di fronte alla casa di riposo Splendid Age e scese dall’auto con il sassofono e il cavalletto. Una musica natalizia proveniva da una finestra aperta. Elvis Presley cantava “Blue Christmas”.

Pensò a come Nikolai avrebbe passato la vigilia e il Natale in una cella del Parker Center. Probabilmente sarebbe stata l’unica pena detentiva che avrebbe mai scontato.

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L’ufficio del procuratore distrettuale non avrebbe deciso prima della fine delle vacanze se accusarlo o rilasciarlo. E Bosch sapeva che sarebbe stata la seconda. Perseguire il caso contro il proprietario del banco dei pegni sarebbe stato pieno di difficoltà. Servan aveva chiesto un avvocato e aveva smesso di parlare. Le ricerche, svolte nel pomeriggio nella casa, nell’auto, nel negozio e nei cassonetti della strada non portarono a niente. Non trovarono i grimaldelli di Monty Kelman né il modo in cui la vetrinetta era stata manipolata, niente per pronunciare la fatidica accusa. Persino la causa della morte sarebbe stata difficile da provare in tribunale. Il cuore di Kelman aveva smesso di battere. Molto probabilmente la scarica elettrica aveva causato la fibrillazione ventricolare, ma in una corte un avvocato difensore avrebbe facilmente sostenuto che le macchie delle bruciature sulla mano e sul piede della vittima erano inconcludenti e forse nemmeno collegate alla causa della morte.

Ma tutti questi ostacoli non erano nulla in confronto alla difficoltà principale. La vittima era un ladro, ucciso mentre commetteva un crimine. Era coinvolto in ripetute violazioni contro l’imputato. A una giuria non sarebbe mai importato che Nikolai Servan avesse messo una trappola mortale. Probabilmente no, disse il procuratore a Bosch e a Edgar.

Bosch aveva intenzione di tornare al banco dei pegni la mattina seguente. Con il suo motto personale, tutti contavano o non contava nessuno. E questo includeva i ladri. Avrebbe cercato finché non avesse trovato i grimaldelli o il cavo elettrico che Servan aveva usato per uccidere Monty Kelman.

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Nell’avvicinarsi alle porte della casa di riposo, notò che non sembrava particolarmente splendido. Sembrava l’ultima spiaggia per pensionati e persone che non avevano pianificato di vivere a lungo. Quentin McKinzie, per esempio. Solo pochi jazzisti e tossicodipendenti si tenevano a debita distanza da quel luogo. Forse non aveva mai pensato che sarebbe vissuto così tanto. Secondo quanto Bosch aveva letto sul computer, aveva 72 anni.

Bosch entrò e si diresse al bancone. Il posto puzzava come la maggior parte delle case di riposo a basso costo in cui era stato. Urina e decomposizione, la fine di speranze e sogni. Chiese la direzione per la stanza di Quentin McKinzie. La donna dietro il bancone guardò con sospetto il sassofono che Bosch portava sotto il braccio.

«Ha un appuntamento?» chiese. «Le visite serali sono solo su appuntamento.»

«Così avete il tempo di ripulire il posto prima che i figli possano far visita ai loro vecchi padri?»

«Mi scusi?»

«Non ho bisogno di un appuntamento. Dov’è il signor McKinzie?»

Sollevò il distintivo a pochi centimetri dalla sua faccia. Lei lo guardò per un istante, più a lungo del necessario, e si schiarì la voce.

«È nella 107. In fondo al corridoio, a sinistra. Probabilmente sta dormendo.»

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La porta della 107 era socchiusa. La luce era accesa e Bosch poteva sentire i rumori della televisione provenire da dentro. Bussò delicatamente ma non ricevette risposta. Spinse leggermente la porta aperta e introdusse dentro la testa. Vide un uomo anziano seduto su una sedia vicino al letto. La televisione montata in alto sul muro opposto parlava in maniera monotona. Gli occhi dell’anziano erano chiusi. Era magro e svuotato, il corpo rialzato solo a metà della sedia. La sua pelle nera sembrava grigia e in polvere. Nonostante il viso magro e la pelle cadente accumulata sotto il mento, Bosch lo riconobbe. Era Sugar Ray McK. Fece un passo dentro la stanza e si avvicinò al letto senza far rumore. L’uomo non si mosse. Bosch restò in piedi ancora per un momento, riflettendo sul da farsi. Decise di non svegliarlo. Mise il cavalletto in piedi sul pavimento all’angolo e ci poggiò sopra il sassofono. Si raddrizzò, diede un’altra occhiata al jazzista addormentato e annuì in una sorta di inavvertita riconoscenza. Nel dirigersi fuori dalla stanza, raggiunse il televisore e lo spense.

Alla porta fu fermato da una voce rauca. «Hei!»

Bosch si girò. Sugar Ray era sveglio e lo guardava con gli occhi umidi. «Mi hai spento la tv.»

«Scusi, pensavo stesse dormendo.»

Tornò nella stanza e raggiunse il televisore per riaccenderlo. «Chi sei, ragazzo? Tu non lavori qui.»

Bosch si girò per guardarlo in faccia.

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Sugar Ray notò il sassofono appoggiato nell’angolo della stanza. «Quello è il mio sax.»

Bosch prese il sassofono e glielo porse.

«L’ho trovato. Ho visto il suo nome e volevo ridarglielo.»

L’uomo teneva lo strumento come se fosse prezioso come un neonato. Lo girò lentamente tra le mani studiandolo alla ricerca di imperfezioni o forse solo per guardarlo nel modo in cui si guarda un amore andato via da tempo. Bosch sentì una morsa crescergli nel petto nel momento in cui il jazzista portò lo strumento alla bocca, leccò il bocchino del sassofono e poi lo strinse tra i denti. Il suo petto si gonfiò nel tirare una boccata d’aria.

Ma quando le dita si misero al lavoro e lui soffiò un riff, l’aria scoppiò dal debole sigillo che le labbra avevano fatto sul bocchino. Sugar Ray chiuse gli occhi, riprovò, ma ottenne lo stesso risultato . Era troppo vecchio e debole. I polmoni erano andati. Non riusciva più a suonare.

«Va tutto bene» disse Bosch. «Non deve suonare, ho solo pensato che sarebbe stato giusto che lo riavesse. Tutto qui.»

Sugar Ray cullò lo strumento in grembo come per proteggerlo. Guardò Bosch.

«Dove l’hai preso, Harry Bosch?»

«Da un ragazzo che l’ha rubato in un banco dei pegni.» Sugar Ray annuì come se conoscesse la storia.

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«No. L’avevo impegnato io. Un ragazzo qui lo ha fatto per me, così potevo avere dei soldi per la televisione. Non mi piace stare nella sala di ricreazione con gli altri. Sono tutti suicidi in attesa che accada qualcosa. Così avevo bisogno di una televisione mia.»

Scosse la testa. Gli occhi andarono alla televisione sul muro alle spalle di Bosch.

«Te lo immagini, un uomo che baratta l’amore della sua vita per quella.» Bosch guardò la tele e vide una pubblicità dove Babbo Natale stava bevendo una birra fredda dopo una lunga notte di consegna di regali e saluti. Riguardò Sugar Ray. Non sapeva se sentirsi bene o male per quel che aveva fatto: aver riportato uno strumento a un musicista che non era più in grado di suonarlo.

Ma mentre questa indecisione gli premeva il cuore, vide Sugar Ray tirare il sassofono vicino a sé. Lo teneva con fermezza, come se fosse tutto ciò che aveva al mondo. Posò gli occhi su quelli di Bosch e nei suoi Harry vide di aver fatto la scelta giusta.

«Buon Natale, Sugar Ray.»

Sugar Ray annuì e abbassò lo sguardo. Bosch sapeva che era il tempo di lasciarlo solo. Lo raggiunse e gli strinse le spalle per un attimo.

«Perché?» chiese Sugar Ray. «Perché cosa?»

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Bosch sorrise e si accovacciò vicino alla sedia. Ora guardava negli occhi il vecchio.

«L’ho fatto per provare a pareggiare i conti, immagino.» L’anziano lo guardò, in attesa.

«Nel dicembre 1969 ero su una nave-ospedale nel mare Cinese meridionale.»

Bosch si toccò il lato sinistro, appena sopra il fianco.

«Lame di bambù. Quattro giorni prima in un tunnel. Probabilmente non lo ricorda, ma…»

«Il Santuary degli USA. Fuori Danang. Certo che mi ricordo. Tu eri uno dei ragazzi in accappatoio blu, eh?»

Sugar Ray sorrise. Bosch annuì e continuò.

«Ricordo l’annuncio che lo show era cancellato perché il mare era troppo grosso e la nebbia troppo fitta. Il grande Hueys con tutta l’attrezzatura non poteva atterrare. Stavamo tutti sul ponte ad aspettare. Vedevamo gli elicotteri avvicinarsi attraverso la foschia e poi e tornare indietro».

Sugar Ray alzò un dito.

«Sai, fu il signor Bobby Hope che disse al nostro pilota di rigirare quel figlio di puttana e di atterrare sulla barca.»

Bosch annuì. Aveva sentito fosse Hope. Un elicottero rigirò e venne al Sanctuary. Quello piccolo, con i protagonisti a bordo.

«Ricordo eravate Bob Hope, Connie Stevens, lei e una bellissima ragazza nera di quello show televisivo.»

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«Teresa Graves. “Laugh-in”.» «Lei si ricorda tutto.»

«“Solo” perché sono vecchio non vuol dire che non riesco a ricordare. C’era anche l’uomo sulla luna.»

Bosch sorrise. Sugar Ray lo stava riempiendo di dettagli che aveva dimenticato.

«Neil Armstrong, sì. Ma il resto della band, i Play Boy All Star, era sugli altri elicotteri che tornavano a Danang. C’eravate solo voi, e lei portava il suo sassofono. Suonò per noi. Un assolo.»

Bosch guardò lo strumento tra le mani grigie del vecchio. Ricordava il giorno sul Sanctuary in modo chiaro così come ricordava altri momenti della sua vita.

«Lei suonò “The sweet spot” e poi “Auld lang syne”.»

«Suonai anche il “Tennessee Waltz”. Su richiesta di un ragazzo nella fila di fronte. Aveva perso entrambe le gambe e mi chiese di suonare quel valzer.

Bosch annuì in modo solenne.

«Bob Hope ci raccontò le sue barzellette e Connie Stevens cantò “Promises, promises”. A cappella. In meno di un’ora fu tutto finito e l’elicottero andò via. Non riesco a spiegarlo, ma significò qualcosa. Era qualcosa di giusto in un mondo incasinato, sa? Avevo solo 19 anni e non ero nemmeno sicuro del come o del perché fossi lì.»

«Comunque, ho ascoltato molti assoli di sassofoni da allora, ma non ne ho sentito uno migliore.»

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Bosch annuì e si alzò. Le ginocchia scrocchiarono forte. Immaginò che non ci sarebbe voluto molto tempo prima che entrasse in uno di quei posti. Se era fortunato.

«Volevo solo dirglielo» disse. «Tutto qui.» «Stavi nei tunnel lì, eh? Ne ho sentito parlare.» Bosch annuì.

«Potevano usarti per andare in cerca di quel Bin Laden» Puntò alla tv, come se il terrorista fosse lì.

Bosch scosse la testa.

«Nah, è una cosa differente. Allora ti davano una torcia e una ‘55, ti dicevano buona fortuna e ti spingevano in un buco. Ora è sonorizzato, con rilevatori di movimento, sensori del calore, infrarossi… è una cosa diversa.»

«Forse. Ma un cacciatore è sempre un cacciatore.» Bosch lo guardò per un istante prima di parlare. «Stammi bene, Sugar Ray.»

Si diresse verso la porta e un’altra volta Sugar Ray lo fermò. «Hei, Babbo Natale.»

Bosch si rigirò.

«Tu mi sembri un uomo che è solo al mondo» disse Sugar Ray. «Non è vero?»

Bosch annuì senza esitazione. «Il più delle volte.»

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Bosch esitò. Alla fine scosse la testa. «Nessun piano.»

«Allora, torna domani alle 3. Abbiamo una cena e posso portare un ospite. Ti metto in lista.»

Bosch esitò. Era stato solo così spesso nei Natali passati che pensava che forse era troppo tardi, che stare con qualcuno poteva essere intollerabile.

«Non preoccuparti» disse Sugar Ray. «Non ti frullano il tacchino finché hai i denti.»

Bosch sorrise.

«Ok, Sugar Ray. «Ci sarò.» «Allora ci vediamo qui.»

Bosch camminò lungo il corridoio giallo e uscì fuori nella notte. Mentre si dirigeva verso l’auto sentiva ancora una musica natalizia provenire da una finestra aperta da qualche parte. Era un brano strumentale, lento e denso di sax. Si fermò, un attimo dopo lo riconobbe, era “I’ll be home for Christmas”. Si fermò sul vialetto e l’ascoltò fino alla fine.

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Festa del papà

Il minuscolo corpo della vittima era stato lasciato da solo in sala emergenza. I dottori, dopo aver interrotto i tentativi di rianimazione, avevano rinunciato ufficialmente e avevano tirato le tende di plastica intorno al letto. Lo scopo dell’ospedale era quello di evitare la morte. Quando i tentativi fallivano, nessuno voleva vederlo.

Le tende erano opache. Mentre si avvicinava e le apriva per entrare, Harry Bosch sembrava un fantasma. Il corpo del bambino occupava meno di un quarto del grande letto di metallo. Aveva lavorato a un migliaio di casi ma nessuno aveva mai toccato Bosch come la vista del corpo senza vita di un bambino. Quindici mesi. Quei casi in cui l’età del bambino si contava ancora in mesi erano i più difficili di tutti. Sapeva che se si fosse soffermato troppo avrebbe iniziato a farsi domande su qualunque cosa – dal significato della vita fino al suo scopo. Il bambino sembrava stesse solo dormendo. Bosch fece una rapida analisi in cerca di qualche livido o altri segni di infortunio. Il bambino era nudo e scoperto, la pelle rosa come quella di un neonato. Bosch non vedeva nessun segno di trauma tranne un vecchio graffio sulla fronte.

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Indossò i guanti e mosse il corpo attentamente per controllare da ogni angolazione. Nel farlo si rattristò, ma non vide niente di sospetto. Dopo aver finito, coprì il corpo con il lenzuolo – non era sicuro del perché – e ripassò attraverso le tende di plastica che nascondevano il letto.

Il padre del bambino era in una sala d’attesa privata in fondo al corridoio. Bosch avrebbe iniziato con lui, ma i paramedici che avevano trasportato il bambino avevano accettato di restare in zona per essere interrogati. Bosch cercò prima loro e li trovò entrambi – uno vecchio e uno giovane, uno a fare da mentore all’altro – seduti nell’affollata sala d’attesa del pronto soccorso. Li invitò a uscire per poter parlare in privato.

Il secco caldo estivo li colpì non appena si aprirono le porte di vetro. Era come uscire da un casinò di Las Vegas. Si spostarono sul lato per non dare fastidio, ma rimasero all’ombra del portico. Si identificò e gli disse che aveva bisogno dei verbali dei tentativi di salvataggio non appena fossero completi.

«Per ora parlatemi della chiamata.»

L’anziano fece da portavoce. Il suo nome era Ticotin.

«Il bambino era già in arresto totale quando siamo arrivati lì», iniziò.

«Abbiamo fatto quel che potevamo, ma la sola cosa migliore era cercare di far abbassare la temperatura, trasportarlo qui e vedere cosa potevano fare i medici.»

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«È stata la prima cosa» disse Ticotin. «Era di 41°. Quindi deve calcolare che il bambino aveva sui 42-43° prima che arrivassimo lì. Non c’era modo di farla scendere. Non per un bambino così piccolo.»

Ticotin scosse la testa, come frustrato per essere stato mandato a salvare qualcuno che non poteva essere salvato. Bosch annuì mentre prendeva il taccuino e annotava la temperatura.

«Si ricorda che ore fossero?» chiese.

«Siamo arrivati alle 12.17 quindi direi che abbiamo misurato la temperatura non più di tre minuti dopo. Secondo la procedura è la prima cosa da fare.»

Bosch annuì di nuovo e scrisse l’orario, 12.20, accanto alla temperatura. Alzò lo sguardo e seguì una macchina che arrivava veloce nel parcheggio del pronto soccorso. Parcheggiò e uscì il suo partner Ignacio Ferras. Era andato direttamente sulla scena dell’incidente, mentre Bosch era andato in ospedale. Bosch gli fece segno. Ferras camminava con passo nervoso. Bosch sapeva che aveva qualcosa da riferire, ma non voleva che glielo dicesse davanti ai paramedici. Lo presentò e riprese rapidamente a fare domande.

«Dov’era il padre quando siete arrivati?»

« Il bambino era sul pavimento vicino la porta posteriore, dove lui l’aveva portato. Il padre era come collassato sul pavimento accanto a lui, urlava, piangeva e scalciava sul pavimento come fanno i bambini.»

«Ha mai detto qualcosa?» «Non subito»

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«Dopo che abbiamo deciso di trasportare e pensare al bambino sull’ambulanza, lui voleva venire con noi. Gli abbiamo detto che non poteva. Di chiamare qualcuno dell’ufficio per accompagnarlo.»

«Quali sono state le sue parole?»

«Ha solo detto: “Voglio andare con lui. Voglio stare con mio figlio”. Cose così»

Ferras scosse la testa come addolorato.

«Ha parlato di cosa fosse successo?», chiese Bosch. Ticotin chiese al partner che scosse la testa.

«No», disse Ticotin. «Non l’ha fatto»

«Allora come siete stati informati dell’accaduto?»

«Bè, all’inizio l’abbiamo sentito dalla comunicazione. Poi uno degli impiegati, una donna, ce ne ha parlato quando siamo arrivati. Ci ha accompagnati sul retro e ce l’ha raccontato durante il tragitto.»

Bosch pensava di aver chiesto tutto, ma poi gli venne in mente un’altra cosa.

«Non avete preso anche la temperatura esterna di quel posto, giusto?» I due paramedici si guardarono e poi guardarono Bosch.

«Non c’abbiamo pensato» disse Ticotin. «Ma doveva essere almeno di 35° con il Santa Ana così scatenato. Non ricordo un giugno così caldo.»

Bosch si ricordava di un giugno che aveva passato nella giungla ma non aveva intenzione di farsi distrarre dai ricordi. Ringraziò i paramedici e li lasciò tornare ai loro doveri. Mise via il taccuino e guardò il suo partner.

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«Ok, parlami della scena», disse.

«Dobbiamo accusare quest’uomo», disse urgentemente Ferras. «Perché? Cos’hai trovato?»

«Non si tratta di cosa ho trovato. Era solo un bambino, Harry. Che razza di padre avrebbe lasciato che accadesse? Come poteva dimenticarlo?»

Ferras era diventato padre per la prima volta da sei mesi. Bosch lo sapeva. L’esperienza lo aveva fatto diventare un padre professionista, e ogni lunedì arrivava nella squadra con un nuovo malloppo di foto. A Bosch il bambino sembrava ogni settimana lo stesso, ma non per Ferras. Era innamorato dell’essere padre, dell’avere un figlio.

«Ignacio, devi separare i tuoi sentimenti al riguardo con i fatti e le prove, ok? Lo sai. Calmati.»

«Lo so, lo so. È solo che, come ha potuto dimenticarsene?»

«Sì, lo so e lo terremo bene a mente. Quindi dimmi cosa hai scoperto lì. Con chi hai parlato?»

«Con il capoufficio» «E lui cosa ti ha detto?»

«È una donna. Ha detto che è arrivato dalla porta posteriore poco dopo le 10. Tutti gli agenti di vendita parcheggiano sul retro e usano la porta posteriore, è per questo che nessuno ha visto il bambino. Il padre è entrato mentre parlava al telefono. Poi ha chiuso la chiamata e ha chiesto se era arrivato un fax, ma non c’era nessun fax. Così ha fatto un’altra chiamata e lei l’ha sentito chiedere dove fosse il fax. Poi ha aspettato che arrivasse.»

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«Per quanto tempo ha aspettato?»

«Lei ha detto non molto, ma il fax era un offerta per un acquisto. Così ha chiamato il cliente e ha iniziato un continuo avanti e indietro di chiamate e fax e si è completamente dimenticato del bambino. Erano passate almeno due ore, Harry. Due ore!»

Bosch riusciva quasi a condividere l’indignazione del partner, ma era in polizia da una ventina d’anni più di Ferras e sapeva quando doveva contenersi e quando lasciarsi andare.

«Harry, c’è anche altro.» «Cosa?»

«Il bambino aveva qualcosa che non andava» «Il capoufficio ha visto il bambino?»

«No, voglio dire da sempre. Dalla nascita. Lei ha detto che era una grande tragedia. Il bambino era disabile. Cieco, sordo, un mucchio di cose ingiuste. Quindici mesi e non poteva né parlare né camminare, non avrebbe mai potuto nemmeno gattonare. Piangeva solamente.»

Bosch annuì mentre cercava di inserire questa informazione tra le altre cose che sapeva e che aveva raccolto. Proprio allora un’altra macchina arrivò di corsa nel parcheggio. Entrò e si fermò nel posto dell’ambulanza di fronte alle porte del pronto soccorso. Una donna sbucò e corse dentro, lasciando la macchina aperta.

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Bosch iniziò a camminare a passo svelto verso le porte del pronto soccorso con Ferras al seguito. Passarono attraverso la sala d’attesa e in fondo a un corridoio in una stanza privata dove il padre aspettava.

Mentre si avvicinava non sentiva né urla né pianti né pugni sulla carne. Cose che non lo avrebbero sorpreso. La porta era aperta e quando si girò vide i genitori del bambino morto abbracciarsi, ma non una lacrima sulle loro guance. La reazione iniziale di Bosch, durata una frazione di secondo, fu quella di vedere del sollievo sulle giovani facce.

Quando videro Bosch entrare, seguito da Ferras, si separarono. «Il signore e la signora Helton?», chiese.

Annuirono all’unisono. Ma l’uomo corresse Bosch.

«Sono Stephen Helton e lei è mia moglie, Arlene Haddon.»

«Sono il detective Bosch del Dipartimento di Polizia di Los Angeles e questo è il mio partner, il detective Ferras. Ci dispiace per la perdita di vostro figlio. Il nostro lavoro ora è indagare sulla morte di William e capire esattamente cosa è successo.»

Helton annuì mentre la moglie gli si avvicinò e posò il viso sul suo petto. Qualcosa di tacito fu trasmesso.

«Bisogna farlo proprio ora?» chiese Helton. «Abbiamo appena perso il nostro bellissimo piccolo…»

«Sì, signore, bisogna farlo ora. È un’indagine d’omicidio.»

«È stato un incidente», protestò debolmente Helton. «È tutta colpa mia, ma è stato un incidente.»

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«È ancora un’indagine d’omicidio. Vorremmo parlare con ognuno di voi privatamente, senza le intrusioni che potrebbero esserci qui. Vi dispiacerebbe seguirci alla stazione di polizia per essere interrogati?»

«Lo lasceremo qui?»

«L’ospedale sta facendo degli accordi per spostare il corpo di vostro figlio nell’ufficio del medico legale.»

«Hanno intenzione di aprirlo?», chiese la madre con una voce quasi isterica. «Esamineranno il corpo e poi determineranno se è necessaria un’autopsia», disse Bosch. «È richiesto dalla legge, ogni morte prematura è sotto la giurisdizione del medico legale.»

Aspettò per vedere se ci fossero ulteriori proteste. Visto che non ci furono, tornò indietro e gli fece segno di lasciare la stanza.

«Vi accompagniamo al Parker Center e vi prometto di farlo nel modo meno doloroso possibile.»

Sistemarono i genitori in lutto in stanze degli interrogatori diverse negli uffici della sezione Speciale Omicidi al terzo piano. Siccome era domenica e la caffetteria era chiusa, Bosch andò al distributore automatico in un angolo vicino gli ascensori. Prese una lattina di coca cola e due pacchetti di cracker al formaggio. Non aveva fatto colazione prima che venisse chiamato per il caso e ora era affamato.

Si prese il suo tempo per mangiare i cracker e parlare con Ferras. Voleva che sia Helton che Haddon pensassero di aspettare mentre l’altro coniuge veniva

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interrogato. Era un trucco del mestiere, parte della strategia. Ognuno di loro avrebbe dovuto immaginare cosa avesse detto l’altro.

«Ok», disse Bosch alla fine. «Andrò dentro dal marito. Tu puoi guardare dalla cabina o andare dalla moglie. La scelta è tua.»

Era un gran momento. Bosch aveva venticinque anni di esperienza più di Ferras. Lui era il mentore e Ferras lo studente. Da quando era iniziata la loro collaborazione , Bosch non l’aveva mai lasciato condurre un interrogatorio formale perché inesperto. Glielo stava permettendo ora e lo sguardo di Ferras mostrava tutt’altro che confusione.

«Mi permetterai di parlare con lei?» «Sicuro, perché no? Ce la puoi fare»

«Va bene se prima vado in cabina e ti guardo con lui? Così poi puoi guardare me.»

«Qualunque cosa ti faccia sentire a tuo agio.» «Grazie Harry»

«Non ringraziare me, Ignacio. Ringrazia te stesso. Te lo sei meritato.» Bosch gettò i pacchetti di cracker vuoti e la lattina nella spazzatura vicino la scrivania.

«Fammi un favore», disse. «Prima va’ su internet e controlla il Los Angeles Times per vedere se ultimamente c’è qualche storia simile a questo caso. Sai, con un bambino. Sarei curioso, e se ci fossero forse potremmo giocare con la storia. Come se fosse un oggetto di scena.»

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«Andrò a impostare la videocamera nella cabina.»

Dieci minuti dopo Bosch entrò nella stanza degli interrogatori numero 3, dove lo aspettava Stephen Helton. Sembrava avere più di 30 anni. Era magro e abbronzato e sembrava il perfetto venditore di beni immobili. Sembrava non avesse mai passato 5 minuti in una stazione di polizia prima di allora.

Protestò immediatamente.

«Perché c’è voluto così tanto? Ho appena perso un figlio e voi mi ficcate in questa stanza per un’ora? È questa la procedura?»

«Non è passato tutto questo tempo, Stephen. Ma mi dispiace che ha dovuto aspettare. Stavamo parlando con sua moglie e c’è voluto più tempo del previsto.»

«Perché stavate parlando con lei? Willy è stato con me tutto il tempo.» «Abbiamo parlato con lei per la stessa ragione per cui ora sto parlando con te. Mi scuso per il ritardo.»

Bosch tirò fuori la sedia che si trovava dall’altro lato di Helton e si sedette. «Prima di tutto», disse, «grazie per essere venuto per l’interrogatorio. Lei capisce di non essere in arresto né niente di simile. Se vuole è libero di andare. Ma per legge dobbiamo condurre un’indagine sulla morte e apprezzeremmo la sua collaborazione.»

«Voglio solo farla finita , così posso cominciare il processo.» «Di quale processo parla?»

«Che ne so, qualsiasi procedimento voi vogliate iniziare. Mi creda, sono nuovo in queste cose. Sa dolore, senso di colpa e lutto. Willy non era nelle nostre

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vite da molto, ma lo abbiamo amato tanto. È una cosa tremenda. Ho fatto un errore e lo pagherò per il resto della vita, detective Bosch.»

Bosch era sul punto di dirgli che suo figlio aveva pagato per il suo errore con la sua vita, ma scelse di non farselo nemico. Anzi annuì e notò che Helton si era guardato in grembo per la maggior parte delle sue affermazioni. Distogliere lo sguardo era un classico segnale di falsità. Un altro segnale era che Helton aveva le mani sul grembo non in vista. Una persona aperta e fidata tiene le mani in vista sul tavolo .

«Perché non partiamo dall’inizio», disse Bosch. «Mi racconti come è cominciata la giornata.»

Helton annuì e cominciò.

«La domenica è il giorno più indaffarato. Lavoriamo entrambi nel campo immobiliare. Forse ha visto il cartello Haddon e Helton. Siamo la squadra col fatturato più alto della PPG (Premier Property Group). Oggi Arlene aveva un evento aperto a tutti a mezzogiorno e prima un paio di visite private. Così Willy sarebbe stato con me. Abbiamo perso un’altra babysitter venerdì e non c’era nessuno a cui lasciarlo.»

«Come avete perso la babysitter?»

«Ha lasciato il lavoro. Tutte lo lasciano. Willy è ingestibile…per le sue condizioni. Voglio dire, perché occuparti di un bambino disabile quando qualcuno con un bambino sano ti pagherebbe la stessa cifra? Di conseguenza abbiamo cambiato molte babysitter.»

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«Quindi lei doveva prendersi cura del bambino mentre sua moglie aveva le visite alle proprietà?»

«Non era che non stessi lavorando, stavo negoziando una vendita che avrebbe portato a una commissione di 30.000 dollari. Era importante.»

«È per questo che è andato a lavoro?»

«Esattamente. Avevamo un’offerta a cui dovevo rispondere io. Così ho preparato Willy, l’ho messo in macchina e sono andato a lavoro.»

«Che ora era?»

«Circa le 9.45. Ho ricevuto la chiamata dall’altro agente immobiliare circa alle 9.30. L’acquirente stava giocando duro. Il tempo di risposta sarebbe stato fissato entro un’ora. Così ho dovuto lasciare il venditore in standby, preparare Willy e tornare indietro a prendere il fax.»

«Ha il fax a casa?»

«Sì, ma se l’accordo fosse diminuito ci saremmo dovuti vedere in ufficio. Abbiamo un ufficio contratti e tutti i moduli sono lì. Nel mio c’era anche il file sulle proprietà.»

Bosch annuì. Alla fine sembrava plausibile. «Ok, quindi si è avviato verso l’ufficio…» «Esatto. E sono accadute due cose…»

Helton riportò le mani in vista ma solo per portarle sul viso per nascondere gli occhi. Un altro classico segnale.

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«Ho ricevuto una chiamata sul cellulare da Arlene, e Willy si era addormentato sul suo seggiolino. Capisce?»

«Mi faccia capire.»

«Ero distratto dalla chiamata e non lo ero più da Willy. Si era addormentato.»

«Aha»

«Quindi ho dimenticato fosse lì. Perdonami Signore, ma ho dimenticato che fosse con me.»

«Capisco. Dopo cos’è successo?»

Helton abbassò di nuovo le mani. Guardò brevemente Bosch e poi il piano del tavolo..

«Ho parcheggiato nel mio posto dietro il PPG e sono entrato. Stavo ancora parlando con Arlene. Uno dei nostri acquirenti sta cercando di recedere il contratto perché ha trovato qualcosa di meglio. Così stavamo parlando di come gestire le cose con eleganza, ero al telefono quando sono entrato.»

«Ok, ho capito. Cos’è successo quando è entrato?»

Helton non rispose subito. Se ne stava lì seduto a guardare il tavolo come se cercasse di ricordare per dare la risposta giusta.

«Stephen?», imbeccò Bosch. «Cosa è successo dopo?»

«Avevo detto al responsabile degli acquisti di faxarmi l’offerta. Ma non c’era. Così ho aspettato il fax. Ho controllato i miei appunti e ho fatto qualche altra chiamata mentre aspettavo.»

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«Messaggi del telefono. Gente che vede i nostri cartelli sulle proprietà e chiama. Sui cartelli non ci sono né il numero di cellulare né quello di casa.»

«Quante chiamate ha fatto?»

«Penso solo due. Ho ricevuto un messaggio sul primo e ho parlato brevemente con l’altra persona. Il fax era arrivato ed ero lì per quello. E sono andato via.»

«Ok, a quel punto che ora era?» «Non so, circa le 10.10»

«Pensa che a quel punto fosse cosciente che suo figlio era ancora in macchina nel parcheggio?»

Helton si prese del tempo per pensare a una risposta, ma parlò prima che Bosch dovesse imbeccarlo.

«No, perché se mi fossi ricordato che era in macchina non l’avrei lasciato lì dall’inizio. Mi sono dimenticato di lui mentre ero in macchina. Capisce?»

Bosch si appoggiò alla sedia. Se lo avesse capito o meno, Helton aveva appena schivato un proiettile. Se avesse riconosciuto di aver consapevolmente lasciato il bambino in macchina, pensando di tornare dopo pochi minuti, questo avrebbe supportato l’accusa di omicidio colposo. Ma Helton aveva raggirato la domanda in modo corretto, come se se l’aspettasse.

«Ok», disse Bosch. «Cosa è successo dopo?»

Helton scosse la testa in modo malinconico e guardò di lato al muro come se fissasse una finestra su un passato che non poteva cambiare.

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«Ero, uhmm, coinvolto nell’affare», disse. «Il fax era arrivato, ho chiamato il mio cliente e gli ho faxato la risposta. Ho anche parlato molto con l’altro agente. Al telefono. Stavamo cercando di chiudere l’affare e avevamo in pugno entrambi i clienti.»

«Per due ore.»

«Sì, ci è voluto tanto tempo.»

«Ed è stato allora che si è ricordato di aver lasciato William nella macchina fuori nel parcheggio dove c’erano circa 35°?»

«Immagino prima – innanzitutto non sapevo quale fosse la temperatura. . Ho lasciato la macchina circa alle 10 e non c’erano 35°. Non ci si avvicinava neanche. Non avevo nemmeno acceso l’aria condizionata nel tragitto.»

C’era un’assoluta mancanza di rimorso o consapevolezza nel suo atteggiamento. Non provava nemmeno più a fingere. Bosch si stava convincendo che quell’uomo non provava né amore né affinità per il bambino disabile e ora perso. William era semplicemente un peso con cui avere a che fare e quindi poteva essere dimenticato facilmente nel momento in cui spuntavano gli affari, la vendita delle case o fare soldi.

Ma dove era il crimine in tutto questo? Bosch sapeva di poterlo accusare per negligenza, ma a queste condizioni la corte tende a considerare la perdita di un figlio una punizione sufficiente. Helton e sua moglie potrebbero cavarsela come persone da comprendere, libere di continuare la vita mentre il piccolo William marcisce nella tomba.

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I segnali tornano sempre. Bosch istintivamente pensò che Helton fosse un bugiardo. E cominciò a credere che la morte di William non fosse un incidente. A differenza del suo partner, che aveva lasciato che la passione per la sua paternità lo ingannasse, Bosch ci era arrivato dopo un’attenta osservazione e analisi. Era arrivato il tempo di fare pressione, di stuzzicare Helton, per vedere se avrebbe commesso uno sbaglio.

«Vuole aggiungere altro?», chiese.

Helton fece un respiro profondo e scosse lentamente la testa.

«Questa è la triste storia», disse. «Prego il Signore che non fosse mai successo. Ma è successo.»

Guardò direttamente Bosch per la prima volta in tutto l’interrogatorio. Bosch sostenne lo sguardo e fece una domanda.

«Il suo è un buon matrimonio, Stephen?»

Helton rivolse di nuovo lo sguardo alla finestra invisibile. «Cosa intende?»

«Voglio dire se il suo è un buon matrimonio. Può rispondere sì o no se preferisce.»

«Sì, il mio è un buon matrimonio», rispose Helton con enfasi. «Non so cosa vi abbia detto mia moglie ma penso sia molto solido. Cosa sta cercando di dire?»

«Tutto quello che sto dicendo è che a volte quando c’è un bambino difficoltoso, ci possono essere tensioni nel matrimonio. Il mio partner ha appena avuto un figlio. Il bambino è sano ma sono in difficoltà economica e sua moglie

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