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APPUNTI DI MECCANICA STATISTICA

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APPUNTI DI MECCANICA STATISTICA

Lezioni del prof. Pierluigi VELTRI, raccolte da Denise PERRONE

22 ottobre 2006

(2)

Sommario

Nel seguito viene presentata una introduzione alla Meccanica Statistica per gli studenti del corso di Meccanica Statistica.

(3)

1 Introduzione

Consideriamo un sistema fisico con 3N gradi di libert´a. Come abbiamo imparato dalla Meccanica Analitica, esso pu´o essere descritto mediante le coordinate generalizzate qi e gli impulsi generalizzati pi, con i = 1, 2, ..., N . Le equazioni che descrivono l’evoluzione nel tempo del sistema (equazioni di Hamilton) si possono ottenere dall’Hamiltoniana H(qi, pi, t)

˙

qi = ∂H

∂pi

(1)

˙

pi = −∂H

∂qi

e costituiscono un sistema di 6N equazioni differenziali del primo ordine espresse in forma normale ossia espresse in modo tale che la derivata di ordine pi´u elevato sia esplicitata in funzione delle altre variabili.

Per un sistema di tale tipo esiste un teorema di esistenza e unicit´a della soluzione, assegnate le condizioni iniziali qi(0) e pi(0), noto sotto il nome di teorema di Cauchy, valido sotto condizioni abbastanza generali sulla funzione H e sulle sue derivate. Questo teorema ci garantisce l’esistenza di soluzioni qi(t, {qn(0)}, {pn(0)}) e pi(t, {qn(0)}, {pn(0)}), che descrivono una traietto- ria nel cosiddetto spazio delle fasi. Quindi ogni sistema dinamico, noto il suo stato di moto ad un dato istante, ´e un sistema deterministico. Ossia l’

evoluzione di un qualsiasi sistema dinamico ´e determinata dalle condizioni iniziali in cui esso si trova.

Stabilito che abbiamo a che fare con un sistemi deterministici, possiamo porci il problema di studiare il comportamento di tali sistemi quando essi han- no molti gradi di libert´a (N >> 1). La soluzione di un sistema di equazioni del tipo (1) rappresenta in tal caso un problema estremamente complesso dal punto di vista tecnico; ricordiamo che per risolvere il problema del moto dei due corpi ci si riconduce a quello di una sola particella tramite l’utilizzo della tecnica della massa ridotta. Invece gi´a l’ integrazione di un problema di tre corpi presenta serie difficolt´a ed, in generale, deve essere affrontato con tecniche perturbative. Infatti, per esempio, il problema del moto dei pianeti attorno al sole viene affrontato come un problema di due corpi ed il terzo corpo, nel nostro esempio il secondo pianeta, viene considerato come agente perturbativo sul moto del primo pianeta.

(4)

Quindi aumentando il numero di elementi che costituiscono un sistema il problema dell’ integrazione del moto di un siffatto sistema presenta una difficolt´a crescente. Pensiamo allora a quale enorme difficolt´a pu´o presentare un generico problema macroscopico in cui il numero di particelle che inter- vengono ´e dell’ ordine del numero di Avogadro.

Per dare un’ idea, in due grammi di idrogeno vi sono circa 6.02 1023 par- ticelle. Quindi, in generale, per poter conoscere l’evoluzione temporale di un sistema macroscopico bisognerebbe risolvere circa 1023equazioni differenziali.

Si potrebbe pensare che, almeno dal punto di vista di principio, il problema tecnico potrebbe essere prima o poi risolto. Esistono gi´a ora calcolatori capaci di gestire e risolvere un elevato numero di equazioni differenziali, dell’ordine di 106. In effetti i calcolatori vengono attualmente utilizzati per simulare il comportamento di sistemi formati da circa 106 particelle. Ma, se da un lato 1023 ´e molto diverso da 106, dall’altro, quando siamo interessati a seguire il moto delle particelle una per una, come discuteremo meglio in seguito, perch´e l’evoluzione dinamica di un sistema sia predicibile non basta avere a disposizione un teorema di esistenza ed unicit´a, della soluzione delle (1), ma bisogna prendere in considerazione la stabilit´a delle soluzioni stesse, ovvero la loro dipendenza da una piccola perturbazione delle condizioni iniziali.

Ognuno si rende conto, infatti, che ´e illusorio dal punto di vista operativo, che rappresenta il punto di vista cui un fisico deve sempre riferirsi, pensare di misurare con precisione infinita posizioni ed impulsi iniziali di un sistema fisico, quale che sia. Ogni nostra misura ´e affetta da un errore, sicch´e, se due soluzioni del sistema (1), che differiscono di pochissimo nelle condizioni iniziali, vengono ad avere evoluzioni temporali molto diverse, la nostra pre- sunzione di determinare la evoluzione del sistema fisico ´e assolutamente priva di fondamento. Utilizzando un linguaggio pi´u moderno si pu´o dire che, nel- la regione dei parametri iniziali in cui due soluzioni che differiscono per un infinitesimo hanno evoluzioni temporali che si separano in maniera esponen- ziale, l’evoluzione del sistema fisico non ´e predicibile ed il comportamento del sistema diventa caotico.

Avete gi´a studiato sistemi cos´ı complessi, ossia costituiti da un cos´ı elevato numero di particelle. Ad esempio nello studio del moto dei corpi rigidi o in termodinamica, quando si ´e studiato il comportamento dei gas. In entrambi i casi si ´e scelto di descrivere i sistemi, utilizzando un numero limitato di parametri. Ossia nello studio di un sistema macroscopico abbiamo ritenuto necessario ridurre le nostre ambizioni e rinunciare alla conoscenza del moto di

(5)

ogni singola molecola. In effetti, nello studio della dinamica di un corpo rigido non abbiamo descritto il comportamento molecola per molecola del corpo, ma abbiamo fatto uso della posizione e alla velocit´a del centro di massa del corpo e degli angoli di Eulero che rappresetano la rotazione del corpo rispetto al baricentro. In termodinamica abbiamo ricavato in maniera fenomenologica, ossia dai fenomeni sperimentali leggi come quelle di Gay-Lussac, di Biot e Savart, di Navier-Stokes, che per descrivere l’evoluzione dinamica di un sistema complicato come un gas o un fluido utilizzano un numero limitato di parametri macroscopici come ad esempio pressione, temperatura, densit´a e velocit´a media.

Ci chiediamo ora se ´e possibile trovare un legame tra l’evoluzione di tali parametri macroscopici, che descrivono macroscopicamente l’evoluzione del sistema, e l’evoluzione stessa del sistema intesa secondo la meccanica classi- ca. Ossia mentre nella termodinamica fenomenologica partendo dalle osser- vazioni sperimentali abbiamo costruito dei modelli teorici ora ci chiediamo se

´

e possibile seguire un processo inverso: ´e possibile ricavare la termodinamica dalle leggi della meccanica? Cio´e ci si chiede se sia possibile partire dalle equazioni di Hamilton ed ottenere le leggi della termodinamica. Il successo di un tale progetto, oltre a dare unit´a alle diverse descrizioni fisiche, perme- tterebbe anche di cercare di capire la paradossale evoluzione temporale dei sistemi macroscopici, che come abbiamo imparato in termodinamica ´e irre- versibile, mentre il sistema descritto dalle equazioni di Hamilton ´e reversibile.

Infatti, ´e facile mostrare che il sistema di equazioni (1) ´e invariante rispetto alla trasformazione

t 7→ −t pi 7→ −pi (2)

Ci´o vuol dire che se qi(t, {qn(0)}, {pn(0)}), pi(t, {qn(0)}, {pn(0)}) rappresenta una soluzione del sistema (1) e se all’istante t0 immaginiamo di cambiare il segno di tutti gli impulsi, la nuova evoluzione del sistema sar´a descritta dalla stessa traiettoria nello spazio delle fasi, ma percorsa in senso inverso, sicch´e dopo un tempo pari a 2 t0 il sistema si trover´a esattamente nel punto dello spazio della fasi di coordinate qi(0), pi(0).

Il sistema di Hamilton descrive quindi soluzioni reversibili, nel senzo che arrivati in un qualunque stato di evoluzione del sistema, agendo in maniera opportuna sugli elementi di questo ´e possibile ricondurlo alle condizioni in- iziali. Noi per´o sappiamo che i sistemi macroscopici non sono reversibili nel tempo. Infatti sappiamo che esiste una funzione di stato detta Entropia, che indica in quale stato si trova il sistema lungo la strada della sua natu-

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rale evoluzione. Tale funzione ´e monotona crescente, ossia la sua derivata e sempre diversa da zero nel tempo.

La meccanica hamiltoniana dei sistemi, per quanto complessi siano, non riesce a descrivere l’irreversibilit´a dei fenomeni, la cosiddetta freccia del tem- po. Mentre la termodinamica descrive tale freccia nel tempo. Si pu´o quindi dire che ad un certo punto la deduzione dalla meccanica classica per ottenere la termodinamica non pu´o essere puramente algebrica. Ossia le relazioni che descrivono un sistema mediante il modello della meccanica hamiltoni- ana non saranno pi´u perfettamente equivalenti alle relazioni che descrivono l’evoluzione del sistema mediante i modelli della termodinamica.

2 Ipotesi ergodica e densit´ a di probabilit´ a

Cominciamo il nostro lavoro passando da una descrizione deterministica ad una probabilistica del nostro sistema. Ci´o viene effettuato consideran- do solo una solo una parte dell’informazione che viene tratta dal sistema di Hamilton; cio´e conservando solo la parte dell’informazione che sappiamo ge- stire, il resto dell’informazione non viene utilizzata. Consideriamo, quindi, lo spazio delle fasi. L’evoluzione del sistema in questo spazio ´e rappresentata dalla traiettoria di fase descritta dall’equazioni (1). (Per ottenere la traiet- toria reale del sistema basta semplicemente proiettare la traiettoria di fase sul piano delle coordinate)

Usiamo ora la complicazione come mezzo di soluzione. Visto che l’evoluzione del sistema ´e talmente complicata la traiettoria di fase sar´a cos´ı complica- ta che, aspettando un tempo sufficientemente lungo, la traiettoria di fase passer´a in qualsiasi volumetto dello spazio delle fasi, e passer´a in esso un numero elevato di volte. Ci´o avviene purch´e il volumetto non sia escluso al passaggio della traiettoria da considerazioni di carattere macroscopico; come, ad esempio, quando si suppone che l’energia globale di un dato sistema sia costante: E(qi,pi)=cost. L’equazione appena scritta rappresenta una variet´a di dimensione 2N-1, ossia un’ipersuperficie su cui il sistema pu´o evolvere e al di fuori della quale l’accesso gli ´e negato.

In definitiva l’ipotesi che abbiamo fatto ´e che la traiettoria di fase di un sistema macroscopico ´e talmente complicata che se fissiamo un volumetto

∆qi∆pi , in assenza di vincoli macroscopici che impediscano il passaggio alla traiettoria nel volumetto fissato, possiamo essere sicuri che tale volumetto sar´a attraversato quante volte si vuole dalla traiettoria di fase, aspettando

(7)

un tempo sufficientemente lungo. Questa ipotesi fatta ´e detta IPOTESI ER- GODICA. Se non ci sono vincoli macroscopici, aspettando un tempo oppor- tuno, la traiettoria di fase ricropir´a tutto lo spazio delle fasi (non ci saranno buchi), in generale in maniera non uniforme.

Consideriamo sempre il volumetto ∆qi∆pi. Supponiamo ora di possedere due orologi, uno esterno al volumetto che misura il tempo che scorre man mano che v´a descrivendosi la traiettoria di fase nello spazio delle fasi du- rante l’evoluzione del sistema. L’altro, nel volumetto, che parte quando la traiettoria di fase penetra nel volumetto, e si blocca quando ne fuoriesce, suc- cessivamente riparte quando nuovamente la traiettoria penetra nel volumetto e si riblocca quando ne fuoriesce, e cos´ı tutte le volte che la traiettoria en- tra ed esce dal volumetto scelto. Possiamo cos´ı associare al volumetto una probabilit´a espressa come rapporto tra il tempo che in totale il sistema ha trascorso nel volumetto e il tempo totale di osservazione, che ´e appunto la durata della misura T :

∆w(qi, pi, t) =

P

s∆t(s)

T (3)

Dove T ´e il tempo totale di osservazione, o di attesa, e ∆ts ´e l’ intervallo di tempo s-esimo che la traiettoria ha trascorso nel volumetto, o in altre parole il tempo che il sistema passa nel volumetto. ∆w ´e la probabilit´a di trovare la traiettoria di fase nel volumetto, ossia ´e la probabilit´a di trovare il sistema in uno degli stati rappresentati dal volumetto nello spazio delle fasi.

Ovviamente tutto ci´o vale sotto l’ipotesi: T >> tm, ove con tm abbiamo indicato il tempo caratteristico su cui evolvono i fenomeni microscopici.

Risulta essere importante che vi sia una separazione sui tempi. Facciamo un esempio. Supponiamo di dover spostare un tavolo di un metro in un secondo. Nella durata di tempo in cui viene spostato il tavolo, le molecole si sono mosse, ma su una scala di tempi estremamente pi´u piccoli, ossia i tempi di oscillazione delle molecole. Questi tempi caratteristici microscopici sono quelli che abbiamo indicato appunto con tm. Definiamo la probabilit´a di trovare il sistema nel volumetto considerata in un altro modo, ossia sup- ponendo che la probabilit´a sia proporzionale alle dimensioni del volumetto tramite una funzione delle variabili canoniche qi, pi e del tempo macroscopico di evoluzione definito come densit´a di probabilit´a ρ

dw = ρ(qi, pi, t)dq1...dqNdp1...dqN (4)

(8)

La funzione ρ densit´a di probabilit´a ´e quindi funzione di 2N+1 variabili e del tempo. L’ espressione scritta per dω esprime il fatto che se aumento il volumetto di poco mi aspetto che dω non cambi di molto, ma se raddoppio tale volumetto mi aspetto che la probabilit´a raddoppi. Ovviamente dω ´e una probabilit´a infinitesima poich´e ´e definita su un volumetto infinitesimo, tutto ci´o perch´e si ´e sicuri che su un volumetto infinitesimo ρ non varia. Effet- tuiamo un’analisi di come funzionano le misure che generalmente eseguiamo.

Innanzitutto ci si accorge che una misura ha una certa durata che chiami- amo T. Durante la misura per´o il sistema ´e evoluto; cos´ı otterremo un’infor- mazione f mediata sulla durata della misura stessa. Facciamo un esempio per capirci. Supponiamo di voler misurare la lunghezza di un tavolo, ovviamente per fare questo ´e necessario un metro. Naturalmente impieghiamo qualche secondo a stendere il metro; ma nella durata della misura le molecole che costituiscono il tavolo in esame si sono un pochino agitate. Quindi la misura cambia nel tempo, ossia dipende dal tempo; possiamo cos´ı scrivere:

f (qi, pi, t) = f (qi(t), pi(t)) = f (t) (5) Ho un risultato del tipo f(t) dalla misura. Se ipoteticamente riuscissi a fare una misura istantanea nell’ istante t otterrei come risultato di questa proprio f(t). Quello che riusciamo a fare non sono per´o misure istantanee, ma ogni misura richiede un certo tempo. Cos´ı come risultato otteniamo un’informazione mediata sulla durata stessa della misura, ossia riusciamo ad effettuare misure per cos´ı dire mediate sul tempo:

f = 1 T

Z

f (t0)dt0 = 1 T

Z

f (qi(t0), pi(t0))dt0 (6) f ´e calcolata sulla traiettoria di fase del sistema ed ´e integrata sul periodo T . Fare tale media ´e come togliere l’ informazione relativa all’evoluzione del sistema sui tempi microscopici e mediare solo sull’informazione relativa all’ evoluzione del sistema sui tempi macroscopici. In pratica essa cancel- la l’evoluzione sui tempi microscopici agendo come un filtro passa-basso, poich´e appunto taglia le alte frequenze che secondo la visione qui assunta sono appunto le frequenze di oscillazione microscopica. Tutto ci´o pu´o es- sere visualizzato con il grafico qui sotto, che rappresenta la f in funzione del tempo:

Da una media siffatta si vede dal grafico che resta solo la linea marcata che rappresenta l’evoluzione del sistema sui tempi macroscopici tM, che sono

(9)

molto pi´u grandi dei nostri tempi di misura T. ¯f (t) ´e una grandezza che varia nel tempo molto pi´u lentamente di f(t); ¯f (t) evolve nei tempi macroscopici. In tale situazione i tempi caratteristici microscopici sono i tempi di oscillazione molecolare tm. Ovviamente deve valere la seguente separazione sui tempi:

tm << T << tM. Torniamo all’esempio di misura della lunghezza di un tavolo. Per determinarla servono le coordinate delle due particelle estreme;

esse, a causa delle continue oscillazioni a cui sono sottoposte le particelle, possono variare nel tempo di durata della misura. Ovviamente il nostro occhio non riesce a percepire tali oscillazioni poich´e esse avvengono con una frequenza maggiore di 1/10 di secondo, che ´e la sensibilit´a del nostro occhio;

cos´ı se avessimo un occhio estremamente sensibile ci accorgeremmo delle continue fluttuazioni a cui sono sottoposte le dimensioni del tavolo.

A questo punto per studiare un sistema a molti gradi di libert´a non ´e necessaria la risoluzione analitica del sistema di Hamilton, basta appunto conoscere ρ. In pratica siamo passati da

pi = pi(t, p0i, q0i) (7) qi = qi(t, p0i, q0i) (8) a

ρ = ρ(qi, pi, t) (9)

La conoscenza di ρ fornisce, per´o meno informazioni di q e p, infatti mentre prima conoscevamo l’esatta traiettoria di fase del sistema, gli istanti in cui questa entrava ed usciva dal volumetto, e tutte le volte che vi ´e passata, ora conosciamo solo quanto tempo in totale ´e rimasta la traiettoria del sistema in quel volumetto.

Per concludere, la densit´a di probabilit´a ρ, facendo sparire i tempi mi- croscopici ci d´a informazioni pi limitate di quelle che ci pu´o offrire lo studio della traiettoria, per´o sono pi´u compatte e per una descrizione macroscopica del sistema sono pi´u che sufficiente.

3 Tecnica degli ensembles

Il problema che ora ci si pone ´e quello di trovare ρ, quindi la sua evoluzione temporale, senza dover ripassare dalla traiettoria. Per far questo useremo una tecnica detta TECNICA DEGLI ENSEMBLE. Prendiamo un dato sistema e consideriamo la sua evoluzione nello spazio delle fasi. Essa descriver´a nello

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spazio delle fasi una data traiettoria, complicata quanto si voglia. Immag- iniamo di fare delle foto, a partire da un dato istante, ad ogni τ << tm

man mano che avviene l’evoluzione del sistema e supponiamo di effettuare tali fotografie su di una stessa lastra fotografica. Come risultato otterre- mo una successione di punti, un insieme disordinato nello spazio delle fasi di punti che rappresentano i vari stati del sistema nei vari istanti in cui si

´

e fotografata la traiettoria di fase. Ovviamente l’insieme di tali punti ha fatto perdere informazioni sulla traiettoria di fase, poich´e adesso non ´e pi´u riconoscibile (abbiamo perso l’informazione di quello che ´e successo prima e quello che ´e successo dopo aver scattato la foto, in pratica abbiamo cancellato la traiettoria). Alla fine si ottiene una discretizzazione della traiettoria e di quest’ultima si ´e persa tutta l’informazione.

Considerando un volumetto nello spazio delle fasi che racchiude un certo numero di puntini, possiamo cos´ı definire:

ρ = numero di puntini nel volumetto

numero totale di puntini (10)

quale densit´a di probabilit´a associata al volumetto considerato. Fare il rap- porto s´u scritto ´e come sapere il rapporto fra il tempo che il sistema ha passato nel volumetto con il tempo totale. Quindi la degradazione di infor- mazione che si verifica nel passare dalla conoscenza delle q e p del sistema alla conoscenza di ρ corrisponde qui al passaggio dalla conoscenza della traiettoria nello spazio della fasi all’insieme dei punti ottenuti nel modo precedentemente visto. Ottenuto l’insieme di tali punti supponiamo di possedere A (A >> 1) repliche del sistema originario prima trattato, dove A ´e un numero pari al numero dei puntini ottenuti nello spazio delle fasi. Quindi facciamo partire all’istante t un sistema per ogni singolo punto. Le A repliche del sistema si evolveranno allo stesso modo del sistema originario, essendo queste equivalen- ti al primo. Cos´ı nello spazio delle fasi potremo vedere gli A puntini muoversi in modo che ognuno seguir´a la traiettoria di fase del sistema originario. Il risultato di tutto questo procedimento sar´a una nuvoletta di puntini che si muover´a in modo da addensarsi e rarefarsi nella sua evoluzione nello spazio delle fasi. Cos´ı osservando se i sistemi si addensano o se si rarefanno nel tempo avremo un’idea dell’evoluzione di ρ, densit´a di probabilit´a, nel tempo.

In questo modo ρ da densit´a di probabilit´a diviene densit´a di sistemi:

ρ = numero di sistemi nel volumetto

numero totale di sistemi (11)

(11)

Quindi mediante la TECNICA DEGLI ENSEMBLE si ´e giunti ad una den- sit´a di sistemi ρ, che esprime la densit´a di sistemi in un certo spazio delle fasi. Poich´e ogni sistema ha una determinata realt´a fisica si verifica di con- seguenza una conservazione del numero di sistemi. Possiamo cos´ı scrivere un’equazione che esprima appunto tale conservazione. Ossia considerando il solito volumetto nello spazio delle fasi ad un determinato istante, esso con- terr´a un determinato numero di sistemi; considerando lo stesso volumetto in un istante successivo si potrebbe osservare un numero di sistemi inferiore a prima. I sistemi mancanti devono necessariamente essere usciti dal volumet- to attraverso la sua superficie, essi non si possono distruggere. Possiamo cos´ı scrivere l’ equazione di continuit´a per ρ nello spazio delle fasi:

∂ρ

∂t + ∇(ρv) = 0 (12)

Gli A sistemi si muovono nello spazio delle fasi, e il modo in cui cambiano nel volumetto considerato ´e l’evoluzione di ρ nel tempo. L’equazione s´u scritta ´e un’equazione di conservazione locale che ha validit´a nello spazio delle fasi, in quanto ivi sono definiti gli operatori che compaiono nella suddetta equazione:

∇ =

∂q1

∂q2

...

∂qN

∂p1

∂p2

...

∂pN

, v =

˙ q1

˙ q2

...

˙ qN

˙ p1

˙ p2

...

˙ pN

ossia sono operatori agenti su tutte le coordinate dello spazio delle fasi. L’

equazione di continuit´a esprime appunto il fatto che se in un volumetto il numero di sistemi ´e diminuito necessariamente i sistemi mancanti deveno aver attraversato la superficie del volumetto. Quindi in parole semplici la densit´a di sistemi ´e continua. Possiamo scrivere l’ equazione di continuit´a per ρ :

d dt

Z

V

ρ dV = −

Z

SV

ρ v · n da (13)

Il segno meno al secondo membro ´e dovuto al fatto di aver preso la normale esterna alla superficie. Il secondo membro rappresenta il flusso di sistemi

(12)

attraverso la superficie del volumetto. Utilizzando il teorema di Gauss si ottiene:

d dt

Z

V

ρ dV = −

Z

V

∇(ρ v) dV (14)

Avendo fissato il volumetto di fase nel tempo, la derivata totale sul tempo che compare al primo membro agisce solo su ρ, e ricordando che ρ non ´e solo funzione del tempo, si ha:

Z

V

(∂ρ

∂t + ∇ρv) dV = 0 ⇔ ∂ρ

∂t + ∇ρv = 0 (15)

Esplicitando il termine di divergenza, operando sulle derivate ed utilizzando le equazioni di Hamilton, si ottiene:

∂ρ

∂t +XN

i=1(∂H

∂pi

∂ρ

∂qi

∂H

∂qi

∂ρ

∂pi) = 0 (16)

Questa equazione cos´ı scritta ´e l’equazione di LIOUVILLE, o di evoluzione di ρ. Infatti questa ´e un’equazione differenziale che esprime l’evoluzione di ρ nel tempo macroscopico (l’informazione sui tempi microscopici non c’´e pi´u); ed ´e un’equazione ad 6N termini che rimpiazza il precedente sistema hamiltoniano. Possiamo scrivere l’equazione di evoluzione per ρ mediante le parentesi di Poisson, nel modo seguente:

∂ρ

∂t + {ρ , H}q,p= 0 (17)

Ottenuta cos´ı l’equazione di Liouville e visto che riesce a rimpiazzare nello studio di un sistema a molti gradi di libert´a, in maniera efficace ed efficiente, l’equazioni di Hamilton, bisogna chiedersi come essa si comporta in merito alla reversibilit´a nel tempo. Il fatto ´e che anche l’equazione di Liouville non esclude la reverisbilit´a dei fenomeni, come chiaramente si pu´o vedere operando la trasformazione di reversibilit´a:

t → −t;

pi → −pi; qi → qi.

(18)

su ∂ρ

∂t +XN

i=1(∂H

∂pi

∂ρ

∂qi

∂H

∂qi

∂ρ

∂pi) = 0 (19)

Ora, per cercare soluzioni per l’equazione di Liouville, iniziamo con quelle stazionari (importanti perch´e in esse ´e contenuta quella di equilibrio):

dt = 0 (20)

(13)

Ci´o vuol dire che se nello spazio delle fasi ci muoviamo lungo la traiettoria di fase ρ si conserva; praticamente ci muoviamo a cavallo di un sistema. La densit´a ρ ´e costante dal punto di vista Lagrangiano e non dal punto di vista Euleriamo. Per tali soluzioni risulta:

{H, ρ}q,p = 0 (21)

ci´o vuol dire che ρ dipende dagli qi e pi tramite gli integrali primi del moto, che sono appunto:

E(qi, pi) Q(pi) L(qi, pi) (22) Quindi

ρ(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) = ρ(E, Q, L) (23) dove, ovviamente, E, Q, e L sono rispettivamente energia totale del sistema, quantit´a di moto totale e momento della quantit´a di moto totale, che a loro volta sono funzioni delle qie delle pi. Una soluzione dell’equazione di Liouville del tipo

ρ = ρ(E(qi, pi), Q(pi), L(qi, pi)) (24)

´

e una soluzione di equilibrio.

3.1 Ensemble MICROCANONICO

E arrivato ora il momento di prendere in considerazione alcune grandezze´ che descrivono le interazioni del sistema con l’esterno. Consideriamo, innanz- itutto l’hamiltoniana di una particella libera:

H =XN

i=1

p2i

2m (25)

Le costanti del moto sono, come gi´a discusso prima: E, Q, e L, per cui ρ pu´o essere funzione solo di questi integrali primi del moto:

ρ = ρ(E(qi, pi), Q(pi), L(qi, pi)) (26) Considerando per´o, questa hamiltoniana le approssimazioni che si fanno sono molte, tra cui le pareti per esempio; allora per arrivare ad una soluzione pi´u generale consideriamo un sistema costituito da un gas in un contenitore, le cui interazioni con l’esterno si hanno proprio per mezzo delle pareti del contenitore. Il vincolo di una parete nello studio di un sistema ´e un qualcosa

(14)

di cui dobbiamo tener conto, perch´e esso ci d´a proprio le condizioni al con- torno per cercare la soluzione che si vuole. Tra l’insieme delle soluzioni di equilibrio dell’equazione di Liouville dobbiamo prendere quelle soluzioni che risultano indipendenti dalle caratteristiche strutturali del contenitore, cio´e dalle pareti che limitano il sistema nello spazio. Purtroppo gli strumenti forniti dalla matematica non ci aiutano a trovare la soluzione dell’equazione:

{H, ρ}q,p = 0 (27)

indipendenti dalle pareti; infatti nell’equazioni di Hamilton non ´e possibile infilare dentro le eventuali informazioni di interazioni che il sistema ha con il mondo esterno. Dobbiamo quindi avvalerci di considerazioni di natura statistica, di natura propriamente fisica, che ovviamente tengono conto delle condizioni al contorno del problema in esame. Quindi abbiamo bisogno di una condizione fisica supplementare. Innanzitutto ci accorgiamo che dei tre integrali primi del moto soltanto uno ´e pi´u adatto ad esprimere la soluzione ρ, tale ´e appunto l’energia globale del sistema. Ci´o si spiega con argomentazioni molto semplici, infatti considerando il nostro gas nel recipiente si vede che la quantit´a di moto di tale sistema non pu´o essere costante perch´e cambia segno la componente normale alla superficie, mentre il momento della quantit´a di moto si conserva solo nel caso di recipienti con particolari simmetrie sferiche o anche cilindriche. Di conseguenza entrambi gli integrali primi del moto Q e L dipendono dalle caratteristiche stutturali delle pareti che delimitano il sistema considerato. Per cui si arriva alla conclusione che l’energia totale del sistema ´e l’integrale di moto pi´u efficace degli altri integrali primi del moto, essendo questa indipendenti dalla simmetria delle pareti. Dobbiamo quindi, per avere soluzioni indipendenti da particolari simmetrie, selezionare tra le varie soluzioni quelle in funzione dell’energia E:

ρ = ρ[E(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN)] (28) Supponendo inoltre che gli urti delle particelle del gas con le pareti del recipi- ente siano elastici, l’energia E del sistema resta costante. Ancora nulla, per´o, abbiamo detto sulla forma funzionale che ρ deve presentare. Per ottenere tale forma funzionale utilizziamo un argomento di natura statistica. In partico- lare poich´e l’evoluzione del sistema ´e molto complicata si assumono tutti i microstati (stati microscopici) equiprobabili, ovviamente tutti i microstati rappresentati dai punti dello spazio delle fasi il cui accesso non ´e precluso

(15)

alla traiettoria di fase da condizioni di natura macroscopica. L’ipotesi fatta

´

e un’ ipotesi ergodica, cio´e un ipotesi dall’esterno dovuta alla complicazione dell’evoluzione del sistema nello spazio delle fasi. Abbiamo inoltre gi´a sup- posto che l’energia del sistema resti costante (E si conserva), ci´o vuol dire che il sistema non scambia calore con l’esterno, cio´e il sistema ´e isolato. Quindi:

E = E0 = costante (29)

Tale vincolo microscopico rappresenta una superficie, o variet´a, di dimen- sione 2N − 1 nello spazio delle fasi 2N dimensionale. Su tale superficie il sistema pu´o descrivere la sua evoluzione, quindi in tutti i punti dove il sis- tema pu´o andare esso va. Tutti i punti possibili per il sistema sono tutti gli stati microscopici i quali non vengono preclusi da una variabile macroscopica come l’energia. Da tale ipotesi possiamo desumere la forma funzionale per la densit´a di probabilit´a ρ:

ρ(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) = c δ[E(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) − E0] (30) Sulla variet´a E = E0, ρ assume lo stesso valore mentre per gli stati esterni alla variet´a la densit´a di probabilit´a del sistema ´e nulla. Quindi l’ipotesi fatta pu´o essere espressa nel modo seguente: tutti gli stati sulla superficie sono equiprobabili. In particolare la densit´a di probabilit´a sulla superficie diverge, cerchiamo di spiegarne il perch´e: per semplicit´a supponiamo che lo spazio delle fasi sia a 2 dimensioni e che in tal caso la variet´a E = E0´e una curva del piano: vogliamo conoscere la probabilit´a associata al volumetto ∆ q ·∆ p. Per avere una probailit´a diversa da zero devo far collassare il volumetto a zero.

A tal punto si avr´a una quantit´a finita diviso un volume che ´e nullo, quindi ρ diverge su questo. In generale divido per un volume nullo sulla variet´a quando voglio determinare ρ. La densit´a di probabilit´a in tutti i sistemi per i quali si ´e sicuri che l’energia resti costante, assume la forma:

ρ(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) = c δ[E(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) − E0] (31) come si ´e visto, una situazione siffatta realizza una soluzione detta ensemble microcanonico. La dipendenza di ρ dalla delta di Dirac ´e data dalla costante c detta costante di normalizzazione, poich´e essa ´e determinabile imponendo che l’integrale di ρ su tutto lo spazio delle fasi faccia uno (questo perch´e la probabilit´a di trovare il sistema in un qualsiasi stato dello spazio delle fasi ´e la certezza). Quindi

Z

s.d.f.

ρ(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) = (32)

(16)

= c

Z

s.d.f.

δ[E(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) − E0]dq1dq2...dqNdp1dp2...dpn= 1 (33) Quindi:

c = 1

R

s.d.f.δ[E(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) − E0]dq1dq2...dqNdp1dp2...dpn (34) L’ integrale al denominatore ´e diverso da uno.

3.2 Ensemble CANONICO

Consideriamo, ora, una soluzione pi´u plausibile dal punto di vista fisi- co. Nell’esemble microcanonico ´e troppo idealizzato il caso di pareti perfet- tamente elastiche, infatti ´e estremamente complicato cercare di mantenere costante l’energia di un sistema. Risulta invece pi´u facile garantire che l’en- ergia si conservi in media. L’idea dell’ensamble canonico, infatti, ´e proprio quella di mantenere costante l’energia media attraverso dispositivi che autore- golino il livello energetico del sistema. Per un sistema termodinamico un tale dispositivo ´e realizzato da un termostato, che mantiene l’ energia costante nel tempo, fornendo energia al sistema quando questo ne perde e sottraen- dogliene quando esso ne acquista. Quindi nell’ensamble canonico l’energia si mantiene costante in media, nel senso che essa pu´o subire delle piccole flut- tuazioni, che sono fluttuazioni di carattere microscopico intorno all’energia media globale del sistema. Quest’ultima deve quindi restare costante, di con- seguenza le fluttuazioni dell’energia devono essere piccole rispetto all’energia totale. Quindi le fluttuazioni sono viste come piccole perturbazioni rispet- to al livello globale di energia, esse descrivono le interazioni che il sistema ha con il mondo esterno. L’aver introdotto le fluttuazioni intorno al valore medio dell’energia, conferisce spessore alla superficie di cui prima si parlava.

Questo a sua volta elimina il concetto di densit´a di probabilit´a infinita trova- to nell’ensamble microcanonico, cos´ı ora possiamo trovare soluzioni in tutto lo spazio delle fasi. In conclusione stiamo cercando una soluzione stazionaria dell’ equazione di Liouville:

ρ = ρ(E) (35)

tale che

E = E0 = costante (36)

Questo ´e ora il nostro scopo. Facciamo cos´ı ricorso ad un trucco utilizzato pi´u volte nella storia della fisica: discretizziamo ci´o che abbiamo concepito come

(17)

continuo e studiamo il comportamento dei risultati, ottenuti nel discreto, nel limite del continuo. Infatti, continuo abbiamo supposto essere lo spazio delle fasi; adesso per trovare la densit´a di probabilit´a supponiamo di dividere la regione dello spazio delle fasi in un numero abbastanza grande di cellette, ovviamente a 2N dimensioni. Siamo passati, cos´ı, da uno spazio delle fasi continuo ad un sistema numerabile. In questa discretizzazione dello spazio delle fasi si trova la radice profonda della meccanica quantistica che parler´a di uno spazio delle fasi discretizzato in cellette non ulteriormente divisibili le quali dimensioni non possono assumere un valore inferiore alla costante di Plank. Le dimensioni delle cellette sono tali che, al variare in esse di un punto rappresentativo di un sistema, si abbiano variazioni trascurabili delle grandezze fisiche corrispondenti. Dividiamo, quindi, lo spazio della fasi in cellette con lo stesso volume ω. Ognuna di esse sar´a caratterizzata da un valore centrale delle coordinate qi e degli impulsi pi generalizzati. Possiamo dare un possibile ordinamento delle cellette a seconda dell’energia che ad esse sono associate. Ossia possiamo scrivere che al sistema celletta corrisponde un valore dell’ energia Es:

s −→ Es (37)

dove s rappresenta l’ essesima celletta. Quindi l’ordinamento delle cellette viene indotto dall’ordinamento naturale dei vari livelli di energia:

Es≤ Es+1 −→ as ≤ as+1 (38)

dove s ∈ N . Tale applicazione esiste sempre poich´e, come abbiamo detto, ogni celletta ´e caratterizzata da un valore centrale di qi e pi. A tal punto introduciamo nuovamente la tecnica degli ensemble: consideriamo A repliche del nostro sistema e piazziamole nello spazio delle cellette in tutti i modi compatibili con i vincoli macroscopici. In ogni celletta capiter´a un certo numero di sistemi che caratterizzano le varie cellette. Ossia nel sitema cel- lette capiter´a un numero as di sistemi tutti con energia Es. Si viene cos´ı a determinare una successione {as} di sistemi:

s −→ as (39)

La successione {as} descrive lo stato macroscopico del sistema e ad ogni as

´

e associato Es come energia dell’ essesima celletta. Tale successione deve per´o sottostare ad alcune condizioni. Come prima condizione abbiamo che

(18)

la somma di tutti i sistemi deve essere sempre A (conservazione del numero di sistemi):

X

s

ass = A (40)

La seconda condizione ´e che l’energia media si deve conservare:

1 A

X

s=1

asEs = E (41)

Le due relazioni:

( P

sass = A

1 A

P

s=1asEs = E (42)

rappresentano le condizioni al contorno del nostro problema. Adesso si deve vedere come sono sistemati i sistemi rispettando le condizioni al contorno, ossia si ha bisogno di una funzione che possa dirci in quanti modi possibili si possono sistemare gli A sistemi nelle cellette compatibilmente con le con- dizioni al contorno. Innanzitutto notiamo che le celle per le quali Es > AE sono ovviamente vuote: as = 0, ed inoltre le cellette vuote sono in numero considerevolmente maggiore rispetto alle altre. Poich´e gli elementi dell’en- samble rappresentano gli stati microscopici che il sistema pu´o assumere, si definisce la probabilit´a di trovare il sistema nella celletta essesima come:

ps= as

A. (43)

Ci si rende conto che cercare la forma della densit´a di probalit´a equivale a cercare ps essendo

ρs = ps

ω. (44)

Con l’avere suddiviso in cellette di volume ω lo spazio delle fasi, e con l’aver utilizzato la tecnica degli ensamble introducendo le A repliche del sistema originario, abbiamo introdotto una discretizzazione rispettivamente sullo spazio e sul tempo ( ω discretizza nello spazio, A discretizza nel tempo).

Di conseguenza il risultato che otterremo per psavr´a validit´a nell’ambito del- la visione discreta del mondo, ma poich´e noi percepiamo lo spazio quanto il tempo come un continuo, ci occuperemo di controllare i valori ottenuti nel limite del continuo, ossia per

A → +∞ e ω → 0. (45)

Quindi ci occuperemo di lavorare sul limite ps= lim

ps→+∞lim

ω→0

as

A (46)

(19)

Abbiamo visto che lo stato macroscopico del sistema in un certo istante resta determinato dalla successione {as} che ci dice quante volte il sistema ´e pas- sato nell’ essesima celletta. Ora abbiamo bisogno di una funzione che possa dirci in quanti modi microscopici, compatibili con le condizioni al contorno, si possa ottenere la stessa configurazione macroscopica {as}. Dato che i sis- temi sono identici, lo stato dell’insieme non varia se pensiamo di scambiare tra loro due punti rappresentativi appartenenti a celle diverse; inoltre 2 sis- temi che stanno nella stessa celletta sono indistinguibili anche da un punto di vista microscopico, quindi gli scambi all’interno della stessa celletta non contano anche dal punto di vista microscopico; sicch´e da tali considerazioni di natura statistica, possiamo definire la funzione desiderata come:

W ({as}) = A!

Q+∞

s=1as! (47)

dove A! ´e il numero di modi in cui possiamo scambiare i sistemi a due a due;

mentre Q+∞s=1as! rappresenta gli scambi nella stessa celletta. Ricordiamo che abbiamo assunto gli stati microscopici equiprobabili. A tal punto possiamo ottenere la disposizione pi´u probabile, ossia lo stato macroscopico pi´u proba- bile, che ´e appunto quello che rende massimo il numero di stati microscopici o se si vuole il numero massimo di disposizioni a livello macroscopico, ovvia- mente con le condizioni al contorno. Quindi la configuarazione macroscopica pi´u probabile ´e data dalla successione {as} che massimizza la funzione W ( nel rispetto delle condizioni al contorno) o, che ´e la stessa cosa, logeW (visto che il logaritmo ´e una funzione monotona per cui il massimo della funzione logaritmo equivale al massimo della funzione stessa). Tutto ci´o viene fatto in merito all’estrema facilit´a con cui viene fatta la derivata di una somma rispetto a quella di un prodotto. Per ottenere il massimo di W abbiamo bisogno di variabili continue, quindi tratteremo la variabile as (che ´e disc- reta) come continua, passando al limite per A → +∞, quindi l’incremento 1 pu´o essere considerato come un differenziale. Cos´ı ora consideriamo la seguente funzione:

loge[W ({as})] = logeA! −

+∞

X

s=1

logeas! (48)

Il massimo di tale funzione si ha quando la sua variazione prima ´e nulla, ossia:

δ loge[W ({as})] = 0 (49)

(20)

quando i numeri a1, a2, a3, ..., as, ... vengono variati di δa1, δa2, δa3, ..., δas, ....

Mandando A a pi´u infinito ovviamente anche as andr´a a pi´u infinito. Cos´ı, essendo as molto grande possiamo utilizzare la formula di Stirling per cui:

a! ' (a e)a

2πa + o(1

a) (50)

mandando a → +∞ il termine o(a1) ´e molto pi´u piccolo ed ´e quindi trascur- abile sicch´e::

a! ' (a e)a

2πa (51)

Utilizzando la formula di Stirling otteniamo la seguente espressione:

logeW = A(logeA − 1) + loge

2πasX

s

[as(logeas− 1) + loge√ 2πas]

(52) La formulazione matematica del nostro problema sar´a quindi:

δ logeW ({as}) = 0 (53)

con condizioni:

 Psas= A

P

s=1asEs = AE (54)

Per risolvere tale problema utilizziamo il metodo dei moltiplicatori di La- grange: moltipicando la prima equazione del sistema (54) per un moltiplica- tore λ e la seconda equazione del sistema (54) per un’ altro moltiplicatore

−β, otteniamo:

−λPsδas = 0

βPs=1Esδas= 0 (55)

abbiamo praticamente differenziato le condizioni al contorno introducendo due parametri affinch´e siano essi ad assorbire le condizioni del sistema (54) e a rendere quindi i δas indipendenti. A tal punto determiniamo:

δ logeW ({as}) = −X

s

[logeas+ 1 2as

]δas = 0 (56)

Tale relazione non vale per ogni δas, poich´e i δas non sono tutti indipendenti;

infatti i vincoli sui δas sono dati dalle equazioni del sistema (55). Quindi possiamo sommare le due equazioni del sistema (55) e l’ equazione (56) per ottenere:

X

s

[(logeas+ 1

2as − λ + βEs)δas] = 0 (57)

(21)

Ora i δas possono essere considerati indipendenti. Avendo detto che as ´e la successione che massimizza W allora vale le relazione seguente:

(logeas+ 1

2as − λ + βEs) = 0 (58) La soluzione che stiamo cercando as´e in un insieme che dipende dai parametri

−λ e β , tali da rispettare le condizioni al contorno, infatti per rendere in- dipendenti gli as ricordiamo di aver allargato l’insieme delle soluzioni intro- ducendo i parametri −λ e β, e dopo aver derivato tramite delle condizioni sui parametri possiamo restringerci all’insieme delle soluzioni. Per poter es- primere as dobbiamo invertire la relazione (56). Al fine di facilitare tale compito notiamo che avendo mandato A a +∞, e cos´ı anche as, as

´ e un numero molto grande quindi possiamo trascurare il termine 2a1

s che risulta essere infinitesimo. Qunindi la relazione dalla quale ricavare as´e la seguente:

(logeas− λ + βEs) = 0 =⇒ as = eλ−βEs (59) Adesso si tratta di scegliere i parametri λ e β in modo da soddisfare le condizioni al contorno:

 Psas = A

P

s=1asEs = AE (60)

Dalla prima equazione di quest’ultimo sistema si ottiene:

eλ = A

P

se−βEs (61)

Quindi sostituendo eλ nella (59) si ottiene:

as

= Ae−βEs

P+∞

s e−βEs (62)

A tal punto definiamo la funzione Z(β) detta funzione di partizione o somma sugli stati, nel modo seguente:

Z(β) =

+∞

X

s

e−βEs (63)

Quindi as assumer´a la forma:

as = Ae−βEs

Z(β) (64)

(22)

Determiniamo il secondo moltiplicatore β associato alla conservazione media dell’ energia imponendo E = costante, quindi

E = 1

Z(β)

+∞

X

s

e−βEsEs (65)

questa ottenuta ´e la relazione che lega E a β e pu´o essere espressa anche nella forma

E = − ∂

∂β ln[Z(β)] (66)

che ´e una relazione monotona, quindi invertibile. Invertendo tale relazione ´e possibile ottenere l’espressione per β. Abbiamo visto che E ´e l’energia media del sistema, questa pu´o anche essere definita come energia interna del sistema.

Inoltre logeZ(β) ´e una sorta di potenziale termodinamico di un sistema da cui determinare le variabili. In Z risiede la termodinamica del sistema. Possiamo definire β introducendo una nuova grandezza, la temperatura statistica, cos´ı espressa

KBTS = 1

β (67)

(dove KB ´e la costante di Boltzmann), che ´e la temperatura termodinamica del sistema ed ´e anche detta temperatura di uno stato termodinamico. Ques- ta definizione vale per tutti quei sistemi per cui l’ energia ´e in media costante, cio´e per tutti quei sistemi che si trovano all’equilibrio termodinamico. No- tiamo che β ha le dimensioni dell’inverso di un’energia, quindi KBTS ha le dimensioni di un’energia come β1. Supponendo di aver invertito la relazione (66) assumiamo di aver trovato il valore as che minimizzi W . A tal punto andiamo a vedere le probabilit´a di trovare il sistema nell’esse-esima cella con energia Es:

ws = lim

A→+∞

as

A = e−βEs

Z(β) (68)

Notiamo che il limite per A che tende a pi´u infinito ´e stato gi´a effettuato precedentemente. A questo punto siamo molto vicini al nostro obiettivo di determinare la densit´a di probabilit´a che ´e ρ, infatti quest’ultima ´e connessa con la probabilit´a di trovare il sistema nell’esse-esima celletta dalla relazione:

ws = ρ(s) ∆ω (69)

dove ∆ω ´e il volume della celletta e ρ(s) = ρ(qs, ps) ´e la densit´a di probabilit´a associata alla celletta esse-esima, infatti con la variabile s che compare in ρ(s)

(23)

indichiamo l’insieme dei valori delle coordinate e degli impulsi corrispondenti all’esse-esima celletta. A tal punto la densit´a di probabilit´a ´e cos´ı definita:

ρ(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) = e−βE(q1,q2,...qN,p1,p2,...pN)

∆ωZ(β) (70)

ricordandoci che β definisce una temperatura per i sistemi a energia media costante e ancora per questi si ha che:

ρ ∝ eKB TE (71)

Definendo

Z(β) = ∆ωZ(β)ˆ (72)

l’espressione per ρ diviene ancora pi´u semplice::

ρ(q1, q2, ...qN, p1, p2, ...pN) = e−βE(q1,q2,...qN,p1,p2,...pN)

Z(β)ˆ (73)

Il denominatore del rapporto appena scritto ´e una costante con valore finito quando il volume delle cellette ∆ω tende a zero. Infatti

Z(β) = ∆ωˆ X

s

e−βEs (74)

al limite per ∆ω → 0 ´e la definizione di integrale:

∆ω→0lim [∆ωX

s

e−βEs] =

Z

e−βE(q1,q2,...qN,p1,p2,...pN)dq1dq2..dqNdp1dp2...dpN (75) ed ´e quindi indipendente da ∆ω ed ha valore finito.

Z(β) =ˆ

Z

e−βE(q1,q2,...qN,p1,p2,...pN)dq1dq2..dqNdp1dp2...dpN (76)

´

e quindi costante ed in particolare ´e la costante di normalizzazione.

Troviamo ora un’espressione per il moltiplicatore β di Lagrange associ- ato alla conservazione media di energia, indipendente dal volumetto ∆ω.

Ricordando che

Z = ∆ωZˆ e E = − ∂

∂β ln[Z(β)] (77)

si ha

E = − ∂

∂β ln[ ˆZ(β)] (78)

(24)

le espressioni (73) (76) e (78) sono assunte a mo’ di regole per la risoluzione del problema dell’ensamble canonico di un sistema fisico caratterizzato dal- la funzione di partizione data dalla formula (63) dall’hamiltoniana H e da un’energia costante in media E = cost. Ricordando che nella risoluzione dell’ensamble canonico abbiamo inizialmente introdotto una discretizzazione dello spazio (dividendo lo spazio delle fasi in cellette di volume ω) e del tempo (con la tecnica degli ensemble inserendo le A repliche del sistema nelle cel- lette). abbiamo ottenuto dei risultati che poi abbiamo analizzato nel limite del continuo facendo tendere ω a zero e A a pi´u infinito. Da tale procedimen- to osserviamo che le due operazioni effettuate, ossia prima la discretizzazione e poi il limite del continuo, non commutano fra loro, poich´e invertendo l’or- dine delle operazioni si ottengono risultati differenti. In realt´a fare prima la deduzione discreta e poi il limite continuo ´e il modo corretto di operare poich´e la prima operazione prende atto di come effettivamente ´e strutturata la realt´a (realt´a discretata, granulata) e l’ultima ci fornisce la visione con cui gli uomini percepiscono la realt´a.

Un altro passo da fare quello di introdurre una relazione tra quello di cui stiamo parlando e la termodinamica classica. La chiave di paragone fra questi due argomenti ´e appunto la definizione di variazione di entropia espressa come

dS = δQ

T |rev (79)

Essa ´e una misura del disordine microscopico, ossia ´e una misura di quanto ´e complicato il nostro sistema. L’entropia come W (as) ´e una misura del numero di stati microscopici che possono realizzare uno stato macroscopico as nella configurazione di equilibrio. Poich´e l’ordine ´e legato a quanta informazione

´

e contenuta, arriviamo alla conclusione che aumentando i modi di realizzare il nostro sistema, diminuir´a l’informazione contenuta all’interno di esso, con il successivo aumento del disordine. Osserviamo quindi che W deve essere connesso con l’entropia S in qualche modo, perch´e esso ´e una buona stima del disordine. Per prima cosa notiamo che W ´e una quantit´a moltiplicativa, nel senso che quando aggiungiamo due sistemi indipendenti le espressioni di W (as) si moltiplicano, mentre l’entropia ´e additiva. Da qui si deduce che quest’ultima sar´a connessa a W tramite un logaritmo. Ci´o non torna da un punto di vista dimensionale, infatti mentre il ln W restituisce una grandezza adimensionale, l’entropia si misura in J/K. Con l’introduzione della costante di Boltzmann KB possiamo giungere all’esatta relazione che lega W ad S,

(25)

cio´e

S = KB

A lnW (aS) (80)

In questa relazione e quindi nel concetto di entropia risiede tutta la ter- modinamica statistica. Passiamo ora per la nostra trattazione statistica a considerare il valore dell’entropia per un solo sistema:

S = KB

A lnW (aS) (81)

Osserviamo che ora le dimensioni sono quelle giuste di un’energia divisa per una temperatura. Siccome vogliamo l’entropia dello stato pi´u probabile, dobbiamo considerare W (aS) = KABlnπA!

SaS!; per cui avremo:

S = KB(lnA! −

inf

X

S=1

lnas!) (82)

Determinando ora il ln as! e il ln A! utilizzando la formula di Stirling (es- sendo A molto grande e quindi anche aS) e sostituendo il tutto nella formula dell’entropia otteniamo:

S = KB(βE + lnZ(β)) (83)

Studiamo l’espressione ora trovata. Se sostituiamo in questa Z =

ω (84)

troviamo:

S = KB(βE + ln ˆZ(β) − lnω) (85) ossia si trova che l’entropia ´e legata alle dimensioni delle cellette. Questa conclusione non ´e molto buona dal punto di visto di quello che rappresen- ta, soprattutto perch´e bisogna mandare ω a zero nel limite del continuo:

in questo caso l’entropia diverge. Ci´o comunque non crea grosse difficolt´a, poich´e nello studio dello stato termodinamico di un sistema ci´o che conta non ´e tanto il valore in assoluto che l’entropia assume ma pi´u che altro le sue variazioni. Contano, insomma, sono le differenze di entropia. Quindi osser- vando che le dimensioni delle cellette aggiungono all’entropia solo un termine additivo, ci si accorge che ci´o non influisce nelle sue variazioni. (Tale proble- ma sar´a poi affrontato e risolto nell’ambito della meccanica quantistica, che riuscir´a a dare un valore univoco all’entropia stessa).

(26)

Cerchiamo di ricavare, ora, il valore reale del moltiplicatore di Lagrange β. Per il primo principio della termodinamica:

dU = −δL + δQ = −pdV + T dS (86)

Da qui possimao mettere in evidenza dS come formula inversa:

dS = dU

T + P dV

T (87)

per cui otterremo che:

∂S

∂U|V =cost = 1

T (88)

Siccome U ´e l’equivalente temodinamico di E, e ricordando la formula trovata per l’entropia, si avr´a:

∂S

∂E = KBβ (89)

Se fino a questo punto β era solo un moltiplicatore di Lagrange, adesso acquista un significato importantissimo:

β = 1

KBT (90)

Siamo arrivati, quindi, alla conclusione che β ´e l’inverso della temperatura e in meccanica statistica ricopre lo stesso ruolo che T ha in termodinamica.

Introduciamo adesso altre quantit´a termodinamiche. Partendo sempre dal primo principio della termodinamica (86), effettuiamo una trasformata di Legendre per cambiare il differenziale dell’entropia dS con il differenziale della temperatura dT . Per cui otteniamo l’equazione dell’energia libera:

F = U − T S (91)

Facendone il differenziale, si ottiene:

dF = dU − T dS − SdT = −pdV − SdT (92) Da questo differenziale, essendo esso esatto, ricaviamo le espressioni della pressione e dell’entropia come:

p = −∂F

∂V |T e S = −∂F

∂T|V (93)

(27)

L’espressione di F per lo studio statistico sar´a, avendo sostituito quello che gi´a conosciamo:

F = −1

βlnZ = −KBT lnZ (94)

Per calcolare gli altri potenziali termodinamici basta operare altre trasfor- mate di Legendre su quelli gi´a calcolati:

H = entalpia = U + pV (95)

G = potenziale di Gibbs = H − pS = F + pV (96) Gas perfetto nell’ensemble canonico

Ci proponiamo adesso di studiare il modello del gas perfetto utilizzan- do l’ensemble canonico. Innanzitutto definiamo gas perfetto un gas le cui particelle non interagiscono tra di loro, cio´e non esistono forze di interazione molecolare e gli urti tra le molecole stesse o con le pareti del contenitore sono perfettamente elastici. Altre considerazioni da farsi sono che le molecole del gas sono puntiformi e occupano, quindi, un volume trascurabile rispetto a quello totale occupato dal gas; inoltre non viene considerata l’azione esercita- ta dalla scatola per il fatto che il volume verr´a mandato all’infinito. Supponi- amo che il gas sia costituito da un numero N di particelle; per cui esso sar´a un sistema costituito da 3N gradi di libert´a caratterizzato dall’hamiltoniana:

H =XN

i=1

p2i

2m (97)

dove ovviamente manca il termine di energia potenziale. La funzione di partizione associata a questa hamiltoniana ´e la seguente:

Z = Vˆ N(

Z

e−βp22m d3p)N (98)

dove il termine VN viene fuori dall’integrazione delle coordinate spaziali, visto che non appare il termine di energia potenziale, dovuto al fatto che non abbiamo interazione tra le particelle. Definiamo, ora, σ(β) come:

σ(β) =

Z

e−βp22m d3p (99)

Facendo un opportuno cambiamento di variabile, cio´e x =q2mβ p, otteniamo:

σ = (2πm

β )3/2 (100)

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