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Equazioni alle Derivate Parziali

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Equazioni alle Derivate Parziali

1.1 Introduzione

Un’Equazione alle Derivate Parziali (in breve PDE, acronimo dei termini inglesi Partial Differential Equation) `e un’equazione che mette in relazione una funzione incognita dipendente da due (o pi`u) variabili indipendenti alle sue derivate parziali rispetto a queste variabili. La necessit`a di utilizzare tali equazioni sta nel fatto che queste consentono di descrivere in modo pi`u accurato determinati fenomeni naturali. Infatti quando si cerca di descrivere fenomeni dipendenti da diverse variabili indipendenti (pi`u comunemente po- sizione e tempo) allora `e necessario utilizzare un modello differenziale alle derivate parziali. Un esempio di PDE `e il seguente

a∂2u

∂x2 + 2b ∂2u

∂x∂y + c∂2u

∂y2 + f



x, y, u,∂u

∂x,∂u

∂y



= 0

dove anche a, b, c possono essere funzioni di x, y, u e delle derivate parziali prime di u. Generalmente le derivate parziali del secondo ordine possono essere indicate anche in forma pi`u compatta:

uxx = ∂2u

∂x2, uxy = ∂2u

∂y∂x, uyy = ∂2u

∂y2 e, analogamente quelle del primo ordine.

ux = ∂u

∂x, uy = ∂u

∂y 1

(2)

cosicch`e la forma dell’equazione appena vista diviene:

auxx+ 2buxy+ cuyy+ f (x, y, u, ux, uy) = 0.

Le equazioni alle derivate parziali del secondo ordine:

a(x, y, u)uxx+ 2b(x, y, u)uxy + c(x, y, u)uyy+ f (x, y, u, ux, uy) = 0 sono le pi`u diffuse. Un’equazione alle derivate parziali si dice di ordine p se p `e il massimo ordine di derivata che vi compare.

Generalmente la scelta delle variabili indipendenti dipende dal problema fisi- co: infatti le variabili x, y, z indicano una posizione nello spazio, mentre la varibile t indica il tempo. Talvolta anche le variabili x1, x2, x3 indicano una posizione nello spazio. Considerando quindi le due equazioni

uxx+ uyy + f (x, y, u) = 0, uxx+ utt+ f (x, t, u) = 0

esse sono matematicamente equivalenti ma fisicamente no, perch`e la prima descrive un fenomeno indipendente dal tempo (cio`e stazionario) che riguarda un dominio bidimensionale (la posizione `e descritta dalle variabili (x, y)) mentre nel secondo caso il fenomeno descritto evolve nel tempo in un dominio monodimensionale.

Nell’equazione del secondo ordine

a(x, y, u)uxx+ 2b(x, y, u)uxy + c(x, y, u)uyy+ f (x, y, u, ux, uy) = 0 non compare la derivata uyx perch`e, in ipotesi di continuit`a, applicando il Teorema di Schwarz, le derivate parziali miste sono uguali, cio`e:

uxy = uyx.

Va anche precisato che nelle equazioni pi`u diffuse non `e presente la deriva- ta uxy, perch`e talvolta non ha significato fisico mentre in altri casi con un opportuno cambiamento di variabile essa pu`o diventare nulla.

1.1.1 Operatori Differenziali

Spesso le equazioni alle derivate parziali sono rappresentate in forma pi`u compatta utilizzando determinati operatori differenziali, tra i quali:

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1. IlGradiente di u(x, y, t):

gradu(x, y, t) = ∇u(x, y, t) =

ux(x, y, t) uy(x, y, t) ut(x, y, t)

2. La Divergenzadi una funzione vettoriale u(x, y, t) = (u1, u2, u3):

divu(x, y, t) = ∂u1

∂x + ∂u2

∂y +∂u3

∂t . 3. IlLaplaciano di u(x, y, t):

∆u = ∇2u(x, y, t) = div(grad(u(x, y, t)) = ∂2u

∂x2 + ∂2u

∂y2 +∂2u

∂t2. 4. Il Curl (o Rotore) della funzione vettoriale (o del campo vettoriale)

u = (u1, u2, u3):

Curl(u) = gradu × u =

∂u3

∂y − ∂u2

∂z

∂u1

∂z − ∂u3

∂x

∂u2

∂x − ∂u1

∂y

che trova applicazione nella terza equazione di Maxwell (la cosiddetta Legge di Faraday-Neumann-Lenz) che stabilisce che il rotore del cam- po elettrico `e uguale e opposto alla derivata dell’intensit`a del campo magnetico e che, in generale, consente di descrivere il comportamento di un campo vettoriale a ruotare rispetto ad un punto.

Descriviamo ora i pi`u noti esempi di equazioni del secondo ordine.

Esempio 1.1.1 L’equazione d’onda

2u

∂x2 + ∂2u

∂y2 = 1 c2

2u

∂t2

(4)

descrive, in funzione della posizione e del tempo, lo spostamento, rispetto al punto di equilibrio, di una corda vibrante. L’equazione descrive anche il campo elettrico o magnetico in un’onda elettromagnetica oppure l’intensit`a di corrente oppure il potenziale lungo una linea di trasmissione. La quantit`a c

`e la velocit`a di propagazione dell’onda.

Esempio 1.1.2 L’equazione di diffusione κ ∂2u

∂x2 +∂2u

∂y2



= ∂u

∂t

descrive la temperatura in una regione che non contiene sorgenti di calore, e si applica anche alla diffusione di un composto chimico in un mezzo permeabile (liquido, mezzo poroso) avente concentrazione u(x, y, t). La costante κ viene detta diffusivit`a.

Esempio 1.1.3 L’equazione di Laplace

2u = 0 ⇔ ∂2u

2x +∂2u

2y = 0

pu`o essere ottenuta dall’equazione di diffusione ponendo a zero la deriva- ta rispetto al tempo e descrive la distribuzione di temperatura in regime stazionario di un solido privo di sorgenti di calore. L’equazione di Laplace descrive anche il potenziale elettrostatico in una regione priva di carica elet- trica. Si applica anche al flusso di un fluido incompromibile in una regione senza vortici, sorgenti o scarichi.

Esempio 1.1.4 L’equazione di Poisson

2u = ρ(x, y) ⇔ ∂2u

2x +∂2u

2y = ρ(x, y)

descrive la stessa situazione dell’equazione di Laplace ma in una regione in cui c’`e carica elettrica oppure una sorgente di calore o di fluido. La funzione ρ(x, y) si chiama densit`a di sorgente e dipende anche da costanti fisiche. Per esempio nell’equazione di Poisson:

2u

2x+ ∂2u

2y = −ρ(x, y) ε

dove u(x, y) rappresenta il potenziale elettrostatico di una regione dello spazio, ρ(x, y) rappresenta la densit`a della carica elettrica e ε `e la permittivit`a della sostanza.

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Esempio 1.1.5 Studiando il fenomeno della filtrazione dell’acqua nel sotto- suolo supponiamo che Ω sia una regione dello spazio occupata da un cosiddet- to mezzo poroso (terra o argilla per esempio), che abbia conduttivit`a idraulica K. Indicando con φ(x, y, z) il livello dell’acqua, e con

q = (qx, qy, qz)

la velocit`a di filtrazione, allora applicando la legge di Darcy risulta che tale velocit`a `e proporzionale alla variazione del livello dell’acqua:

q = −K ∂φ

∂x,∂φ

∂y,∂φ

∂z



e inoltre, per la propriet`a di conservazione della massa, la divergenza di q deve essere nulla:

divq = 0.

Applicando la definizione di divergenza segue:

divq = ∂qx

∂x + ∂qy

∂y +∂qz

∂z =

= −K ∂2φ

∂x2 +∂2φ

∂y2 + ∂2φ

∂z2



= 0.

Da cui segue che la funzione φ soddisfa l’equazione di Laplace:

∆φ = 0.

La principale motivazione che spinge a risolvere numericamente le equazioni alle derivate parziali sta nel fatto che non esistono tecniche analitiche generali per ottenere la soluzione anche se per alcuni tipi di equazioni (soprattutto lineari) pu`o essere scritta esplicitamente sotto forma di serie di Fourier. Tut- tavia la convergenza di tali sviluppi in serie `e lenta quindi per ottenere una buona approssimazione `e richiesto il calcolo di un numero di termini parti- colarmente elevato. Per altri tipi di equazioni si pu`o scrivere l’espressione della soluzione teorica sotto forma di integrali che spesso non possono essere calcolati esattemente ma solo approssimati numericamente.

Considerando un’equazione alle derivate parziali del secondo ordine essa pu`o essere di tipo Lineare:

a(x, y)uxx+2b(x, y)uxy+c(x, y)uyy+d(x, y)ux+e(x, y)uy+f (x, y)u+g(x, y) = 0

(6)

oppure Quasi-Lineare:

a(x, y, u, ux, uy)uxx+ 2b(x, y, u, ux, uy)uxy+ c(x, y, u, ux, uy)uyy+ +f (x, y, u, ux, uy) = 0

oppure ancora Semi-Lineare:

a(x, y)uxx+ 2b(x, y)uxy+ c(x, y)uyy+ f (x, y, u, ux, uy) = 0.

1.2 Classificazione delle equazioni alle deri- vate parziali

Consideriamo l’equazione alle derivate parziali lineare

auxx+ 2buxy+ cuyy+ dux+ euy + f u + g = 0, (1.1) con (x, y) ∈ Ω ⊂ R2 e tale che a2 + b2 + c2 6= 0 per ogni (x, y) ∈ Ω. La classificazione delle equazioni alle derivate parziali avviene in base al segno assunto dalla quantit`a

∆ = b2− ac.

Infatti un’equazione alle derivate parziali del secondo ordine si dice:

1. iperbolica se ∆ > 0, 2. ellittica se ∆ < 0, 3. parabolica se ∆ = 0.

Tale classificazione (per la verit`a un po’ superata) dipende solo dall’analogia formale tra la (1.1) e l’equazione completa di una conica

ax2+ 2bxy + cy2 + dx + ey + f = 0,

che, in funzione del valore assunto dal discriminante ∆, rappresenta 1. un’iperbole se b2− ac > 0,

2. un’ellisse se b2− ac < 0, 3. una parabola se b2− ac = 0.

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Si tratta di una classificazione non univoca perch`e se i coefficienti a, b, c dipen- dono da x e y allora il tipo di equazione dipende dal dominio dell’equazione.

Per esempio, considerando l’equazione del secondo ordine:

y(x2+ 1)uxx+ (x2− 1)uyy+ 3x + y = 0 con (x, y) ∈ Ω ⊂ R2 risulta

∆ = −y(x2− 1)(x2+ 1)

e la situazione `e schematizzata nel seguente grafico, in cui lungo le rette rosse l’equazione `e parabolica, nella zona verde `e iperbolica, mentre nella zona arancio`e ellittica.

x = −1 x = 1

y

x

Ovviamente questo tipo di classificazione presenta anche un altro problema, in quanto consente di riconoscere solo equazioni alle derivate parziali del secondo ordine. Un modo indubbiamente migliore, e sicuramente univoco, per classificare un’equazione alle derivate parziali `e quello di farlo in base

(8)

al tipo di fenomeno che essa descrive. Le equazioni alle derivate parziali possono essere divise sommariamente in due tipi: equazioni stazionarie, in cui tutte le variabili sono spaziali, ed equazioni di evoluzione, le quali pre- sentano una derivazione sia rispetto allo spazio che rispetto al tempo. Le equazioni di evoluzione rappresentano modelli matematici di fenomeni fisici che subiscono variazioni nel tempo e sono molto importanti nella descrizione dei fenomeni ondulatori, termodinamici, nei processi di diffusione e nella di- namica delle popolazioni. Le equazioni alle derivate parziali, come detto in precedenza, vengono anche classificate in ellittiche, paraboliche ed iper- boliche. Le equazioni ellittiche sono di tipo stazionario mentre le paraboliche e le iperboliche sono equazioni di evoluzione. Le equazioni di evoluzione possono essere viste come delle equazioni differenziali ordinarie senza vari- abili spaziali, infatti uno dei metodi pi`u efficaci per risolvere le equazioni di evoluzione `e quello di approssimarle con un sistema di equazioni differenziali ordinarie. Questo tipo di classificazione pu`o essere ulteriormente raffinato considerando altre classi di fenomeni fisici, per esempio i cosiddetti Problemi di avvezione che descrivono il moto di masse gassose (e che sono particolar- mente utilizzati nella descrizione di fenomeni meteorologici).

Volendo classificare le equazioni introdotte in precedenza si pu`o osservare che

• L’equazione di Laplace

2u

∂x2 + ∂2u

∂y2 = 0.

`eStazionaria edEllittica(∆ = −1);

• L’equazione di Poisson

2u

∂x2 + ∂2u

∂y2 = ρ(x, y)

`eStazionaria edEllittica(∆ = −1);

• L’equazione d’onda

2u

∂x2 − µ∂2u

∂t2 = 0, µ > 0

`e diEvoluzione ed Iperbolica(∆ = µ);

(9)

• L’equazione di diffusione

κ∂2u

∂x2 −∂u

∂t = 0,

`e diEvoluzione e Parabolica (∆ = 0);

• L’equazione di Burgers

∂u

∂t + u∂u

∂x = 0, (1.2)

`e di Evoluzione, ed ha numerose applicazioni in idrodinamica e gasdi- namica e nello studio delle onde acustiche.

Anche se l’ultimo tipo di equazione non rientra nella classificazione vista in precedenza (infatti non `e del secondo ordine), si pu`o verificare che `e di tipo Iperbolico, in quanto pu`o essere riscritta nel seguente modo:

2u

∂t2 − u22u

∂x2 +∂u

∂t

∂u

∂x − u ∂u

∂x

2

= 0. (1.3)

Infatti derivando (1.2) rispetto a x e a t si ottiene:

2u

∂x∂t + ∂u

∂x

2

+ u∂2u

∂x2 = 0

e ∂2u

∂t2 +∂u

∂t

∂u

∂x + u ∂2u

∂t∂x = 0.

Ricavando la derivata mista dalla prima equazione e sostituendo il valore nella seconda si ottiene la relazione (1.3). In questo caso ∆ = u2, da cui segue che l’equazione `e appunto iperbolica (purch`e u 6= 0).

(10)

Capitolo 2

Derivazione numerica

2.1 Introduzione

I metodi per la risoluzione numerica di equazioni alle derivate parziali che saranno descritti nei prossimi capitoli sono detti Metodi alle differenze finite e sono basati sull’approssimazione discreta delle derivate parziali che com- paiono nell’equazione. In questo capitolo affronteremo quindi il problema relativo all’approssimazione delle derivate prima e seconda di una funzione in un punto del dominio utilizzando opportune combinazioni lineari tra i valori assunti dalla funzione in tale punto e in altri punti ad esso adiacenti.

Nei successivi paragrafi considereremo il caso di una funzione in una singola variabile. Per semplicit`a supponiamo che tale funzione, f (t), sia continua e differenziabile in un intervallo [a, b] fino ad un opportuno ordine k. In- izialmente considereremo il caso in cui l’intervallo [a, b] sia stato suddiviso in un insieme di sottointervalli di uguale ampiezza (griglia uniforme), per poi considerare il caso in cui la funzione sia nota in un insieme di punti non equidistanti (griglia non uniforme). Nei capitoli successivi sar`a descritto l’u- so di tali approssimazioni per le derivate parziali di funzioni definite su un insieme Ω ⊂ R2 (oppure Ω ⊂ R3).

2.2 Approssimazione discreta delle derivate

Come detto in precedenza supponiamo che f ∈ Ck([a, b]) e suddividiamo l’intervallo di variabilit`a di t in sottointervalli di ampiezza h. Consideriamo tre punti consecutivi appartenenti a tale reticolazione, rispettivamente ti−1,

10

(11)

ti e ti+1 tali che

ti−1= ti− h, ti+1 = ti + h.

Scriviamo lo sviluppo in serie di Taylor di f (ti+1) prendendo come punto iniziale ti:

f (ti+1) = f (ti) + hf(ti) + h2

2 f′′(ti) + h3

6 f′′′(ti) + h4

24fivi), ξi ∈ [ti, ti+1] e procediamo in modo analogo per f (ti−1):

f (ti−1) = f (ti) − hf(ti) + h2

2 f′′(ti) − h3

6 f′′′(ti) + h4

24fivi), ηi ∈ [ti−1, ti].

Sommiamo ora le due espressioni

f (ti+1) + f (ti−1) = 2f (ti) + h2f′′(ti) + h4

24fivi) + fivi) ricavando

f′′(ti) = f (ti+1) − 2f (ti) + f (ti−1)

h2 − h2

24fivi) + fivi)

e, trascurando l’ultimo termine, l’approssimazione della derivata seconda `e:

f′′(ti) ≃ f (ti+1) − 2f (ti) + f (ti−1)

h2 (2.1)

mentre si pu`o provare che l’errore vale:

E(f′′(ti)) = −h2

12fiv(ξ), ξ ∈ [ti−1, ti+1].

Nel seguente grafico viene evidenziata l’interpretazione geometrica della for- mula appena ricavata.

(12)

ti ti+1 ti−1

y = f (t)

Infatti l’approssimazione appena trovata coincide con il valore della deriva- ta seconda della parabola passante per i punti (ti−1, f (ti−1)), (ti, f (ti)) e (ti+1, f (ti+1)).

Infatti scrivendo l’equazione di tale parabola come:

p(t) = a(t − ti)(t − ti−1) + b(t − ti−1) + c risulta

c = f (ti−1)

b = f (ti) − f (ti−1) h

a = f (ti+1) − 2f (ti) + f (ti−1) 2h2

e la propriet`a segue poich`e:

p′′(t) = 2a = f (ti+1) − 2f (ti) + f (ti−1)

h2 .

Poniamoci il problema di approssimare derivata prima e procediamo nello stesso modo cio`e scrivendo le serie di Taylor per f (ti+1) e f (ti−1) :

f (ti+1) = f (ti) + hf(ti) + h2

2 f′′(ti) + h3

6 f′′′i), σi ∈ [ti, ti+1]

(13)

f (ti−1) = f (ti) − hf(ti) + h2

2 f′′(ti) − h3

6 f′′′i), µi ∈ [ti−1, ti] e questa volta sottraiamo la seconda dalla prima:

f (ti+1) − f (ti−1) = 2hf(ti) + h3

6 [f′′′i) + f′′′i)]

ottenendo

f(ti) = f (ti+1) − f (ti−1)

2h − h2

12[f′′′i) + f′′′i)]

e, trascurando l’ultimo termine, l’approssimazione della derivata prima `e:

f(ti) ≃ f (ti+1) − f (ti−1)

2h (2.2)

mentre si pu`o provare che l’errore vale:

E(f(ti)) = −h2

6 f′′′(δ), δ ∈ [ti−1, ti+1].

ti ti+1

ti−1

y = f (t) m = f (ti+1) − f (ti−1)

2h

La formula (2.2) prende il nome di formula alle differenze centrali. Osservi- amo che sia per questa che per l’approssimazione numerica per la derivata

(14)

seconda l’errore dipende da h2, sono formule cio`e del secondo ordine. Vedi- amo ora altre due approssimazioni per la derivata prima. Infatti possiamo anche scrivere:

f (ti+1) = f (ti) + hf(ti) + h2

2 f′′i), ξi ∈ [ti, ti+1] da cui si ricava immediatamente la formula alle differenze in avanti:

f(ti) ≃ f (ti+1) − f (ti)

h (2.3)

con errore

E(f(ti)) = −h

2f′′i).

ti ti+1

ti−1

y = f (t) m = f (ti+1) − f (ti)

h

Analogamente si ricava

f (ti−1) = f (ti) − hf(ti) + h2

2 f′′i), µi ∈ [ti−1, ti] da cui si ricava immediatamente la formula alle differenze all’indietro:

f(ti) ≃ f (ti) − f (ti−1)

h (2.4)

(15)

con errore

E(f(ti)) = −h

2f′′i).

Queste due formule hanno ordine 1, quindi sono meno precise rispetto al- la formula alle differenze centrali, tuttavia hanno il pregio di poter essere applicate quando la derivata prima `e discontinua in ti.

ti ti+1

ti−1

y = f (t) m = f (ti) − f (ti−1)

h

2.3 Approssimazioni di ordine superiore e di derivate di grado superiore

Per determinare approssimazioni di ordine superiore per le derivate prima e seconda di una funzione di variabile reale `e necessario aumentare il numero di punti che sono coinvolti. A puro titolo di esempio calcoliamo un’approssi- mazione per la derivata seconda in ti che coinvolge due a punti a destra e due a sinistra (quindi in tutto 5 punti). Il modo di procedere risulta ovviamente molto pi`u complesso e sicuramente meno intuitivo rispetto a quanto visto finora. Si vogliono determinare i coefficienti della seguente relazione

f′′(ti) ≃ αf (ti−2) + βf (ti−1) + γf (ti) + δf (ti+1) + εf (ti+2) (2.5)

(16)

in modo tale che l’approssimazione a sinistra abbia l’ordine p voluto, cio`e risulti:

f′′(ti) = αf (ti−2) + βf (ti−1) + γf (ti) + δf (ti+1) + εf (ti+2) + chpf(p)i) con ηi ∈]ti−2, ti+2[. Scriviamo ora gli sviluppi in serie di Taylor rispetto al punto ti dei valori che compaiono in (2.5):

f (ti±2) = f (ti) ± 2hf(ti) + 2h2f′′(ti) ±4h3

3 f′′′(ti) + 2h4

3 fiv(ti) ± 4h5 15fvi)

(2.6) f (ti±1) = f (ti)±hf(ti)+h2

2f′′(ti)±h3

6 f′′′(ti)+h4

24fiv(ti)± h5

120fvi). (2.7) Sostituendo (2.6) e (2.7) in (2.5) e raccogliendo i termini con il medesimo ordine di derivata si deve imporre che il risultato abbia nulli i coefficienti dei termini differenziali di ordine 0,1,3 e 4, mentre quello di ordine 2 deve essere uguale a 1. In questo modo si arriva ad ottenere un sistema di cinque equazioni nelle cinque incognite:

























α +β +γ +δ +ε = 0

−2hα −hβ +hδ +2hε = 0

2h2α +h22β +h22δ +2h2ε = 1

43h3α −h63β +h63δ +43h3ε = 0

2

3h4α +h244β +h244δ +23h4ε = 0 che ammette come soluzione

α = ε = − 1

12h2, γ = − 5

2h2, β = δ = 4 3h2 che consente di ottenere la seguente approssimazione

f′′(ti) ≃ 1 h2



− 1

12f (ti−2) + 4

3f (ti−1) − 5

2f (ti) + 4

3f (ti+1) − 1

12f (ti+2)

 (2.8) con un errore

E(f′′(ti)) = ch4f(vi)i), c ∈ R,

(17)

e pertanto di ordine 4, purch`e f (t) sia una funzione di classe Cvi([a, b]).

Anche per la derivata prima `e possibile ricavare approssimazioni discrete di ordine maggiore coinvolgendo un numero di punti superiore. Consideriamo i seguenti sviluppi in serie di Taylor:

f (ti+1) = f (ti) + hf(ti) + h2

2 f′′(ti) + h3

6 f′′′i) (2.9) f (ti+2) = f (ti) + 2hf(ti) + 2h2f′′(ti) + 4

3h3f′′′i) (2.10) Moltiplicando (2.9) per 4 e sottraendo la (2.10) si ottiene

4f (ti+1) − f (ti+2) = 3f (ti) + 2hf(ti) + 2

3h3f′′′i) − 4

3h3f′′′i), che consente di ottenere la seguente approssimazione

f(ti) ≃ 4f (ti+1) − 3f (ti) − f (ti+2)

2h (2.11)

con errore

E(f′′(ti)) = 2

3h2[f′′′i) − 2f′′′i)] , da cui segue che la formula ha ordine 2.

Procedendo come per la (2.8) e prendendo 2 punti a sinistra di ti e uno a destra, si pu`o ottenere, per la derivata prima, la seguente approssimazione di ordine 3:

f(ti) ≃ f (ti−2) − 6f (ti−1) + 3f (ti) + 2f (ti+1)

6h , (2.12)

e la seguente di ordine 4:

f(ti) ≃ f (ti−2) − 8f (ti−1) + 8f (ti+1) − f (ti+2)

12h .

Come esempio si riporta nella seguente tabella l’errore che si commette approssimando il valore della derivata prima della funzione

f (x) = log x

in x = 4, utilizzando le formule introdotte in questo paragrafo e per valori di h decrescenti. Si osservi come la diminuzione dell’errore rispetto al valore di h sia molto pi`u accentuata per le formule di ordine pi`u elevato.

(18)

h (2.2) (2.3) (2.4) (2.11) (2.12) 1 5.41E − 3 2.69E − 2 3.77E − 2 6.45E − 3 3.46E − 3 0.5 1.31E − 3 1.44E − 2 1.71E − 2 2.01E − 3 3.09E − 4 0.25 3.26E − 4 7.50E − 3 8.15E − 3 5.69E − 4 3.40E − 5 0.1 5.21E − 5 3.07E − 3 3.18E − 3 9.86E − 5 2.04E − 6 0.01 5.21E − 7 3.18E − 3 3.13E − 4 1.04E − 6 1.96E − 9 0.005 1.30E − 7 1.56E − 4 1.56E − 4 2.60E − 7 2.45E − 10 Nella seguente tabella sono riportati gli errori commessi nell’approssimazione della derivata seconda per la stessa funzione f (x) = log x, in x = 4.

h (2.1) (2.8)

1 2.0385E − 3 4.2214E − 4 0.5 4.9343E − 4 2.1603E − 5 0.25 1.2239E − 4 1.2904E − 6 0.1 1.9539E − 5 3.2629E − 8 0.01 1.9531E − 7 4.9546E − 12 0.005 4.8825E − 8 1.4567E − 13 Approssimazione di derivate di ordine superiore

Per motivi di completezza citiamo al termine di questo paragrafo alcune approssimazioni di derivate di ordine superiore al secondo. In particolare per la derivata terza possiamo ottenere la seguente approssimazione, di ordine 2:

f′′′(ti) ≃ f (ti+2) − 2f (ti+1) + 2f (ti−1) − f (ti−2)

2h3 .

Per quello che riguarda la derivata quarta la seguente approssimazione fiv(ti) ≃ f (ti+2) − 4f (ti+1) + 6f (ti) − 4f (ti−1) + f (ti−2)

h4

ha ordine 2. Bisogna considerare che, in realt`a, tali approssimazioni ven- gono utilizzate piuttosto raramente poich`e le equazioni alle derivate parziali che consideremo nel seguito, e che sono quelle incontrate pi`u spesso nelle applicazioni, sono al pi`u del secondo ordine.

(19)

2.4 Approssimazione delle derivate su griglie non uniformi

Su griglie non uniformi l’approssimazione della derivata prima `e piuttosto semplice. Infatti supponendo di conoscere i valori (ti − h1, f (ti − h1)) e (ti + h2, f (ti + h2)) la derivata prima in ti pu`o essere approssimata con il coefficiente angolare della retta che passa per tali punti:

f(ti) ≃ f (ti+ h2) − f (ti− h1) h1+ h2

Consideriamo, a puro titolo di esempio, il problema di approssimare la deriva- ta seconda della funzione f (t) nel punto di ascissa ti ma considerando i valori della funzione nei punti non equidistanti ti−h e ti+sh, con 0 < s < 1. Svilup- piamo in serie di Taylor la funzione nel punto ti+ sh prendendo come punto iniziale ti

f (ti+ sh) = f (ti) + shf(ti) + s2h2

2 f′′(ti) + s3h3

6 f′′′i), ξi ∈ [ti, ti+ sh]

e procediamo in modo analogo per f (ti−1):

f (ti−1) = f (ti) − hf(ti) + h2

2f′′(ti) −h3

6f′′′i), ηi ∈ [ti−1, ti].

Moltiplichiamo per s quest’ultima espressione sf (ti−1) = sf (ti) − shf(ti) + sh2

2 f′′(ti) −sh3

6 f′′′i) e sommiamola con quella di f (ti+ sh):

f (ti+sh)+sf (ti−1) = f (ti)(1+s)+h2

2 f′′(ti)s(1+s)+sh3

6 s2f′′′i) − f′′′i) ricavando

f′′(ti) = 2f (ti + sh) − f (ti)(1 + s) + sf (ti−1)

sh2(1 + s) + h

3(1 + s)f′′′i) − s2f′′′i) e, trascurando l’ultimo termine, l’approssimazione della derivata seconda `e:

f′′(ti) ≃ 2f (ti+ sh) − f (ti)(1 + s) + sf (ti−1)

sh2(1 + s) (2.13)

(20)

mentre l’errore vale:

E(f′′(ti)) = h

3(1 + s)f′′′i) − s2f′′′i) .

Volendo ottenere un’approssimazione pi`u accurata si pu`o utilizzare la se- guente formula, della quale si omette la dimostrazione, che utilizza l’ulteriore valore f (ti−2) ma `e di ordine 2:

f′′(ti) ≃ 1 h2

 s − 1

s + 2f (ti−2) + 2(2 − s)

s + 1 f (ti−1) −3 − s

s f (ti) + 6f (ti+ sh) s(s + 1)(s + 2)

 .

(21)

Capitolo 3

Equazioni ellittiche

3.1 L’equazione di Laplace

Vediamo ora di descrivere una tecnica per la risoluzione numerica della pi`u elementare equazione ellittica lineare, l’equazione di Laplace:

uxx+ uyy = 0, (3.1)

ovvero

△u ≡ ∂2u

∂x2 + ∂2u

∂y2 = 0.

Se una funzione u(x, y) `e di classe C2 in un determinato sottoinsieme Ω ⊆ R2 ed `e una soluzione di (3.1) nello stesso Ω allora prende il nome di funzione armonica. L a principale propriet`a di queste funzioni `e enunciata nel seguente teorema.

Teorema 3.1.1 (Principio del massimo) Sia Ω una regione limitata e semplicemente connessa e sia Γ la sua frontiera. Sia Ω = Ω ∪ Γ. Se u(x, y) `e armonica su Ω e continua su Ω, allora u(x, y) assume il suo valore massimo su Γ.

L’equazione di Laplace pu`o essere associata ad un problema di Dirichlet quando, assegnata una funzione f (x, y) di classe C2(Γ) si cerca una funzione u(x, y) tale che:

1. u(x, y) `e continua su Ω ∪ Γ;

2. u(x, y) = f (x, y) per ogni (x, y) ∈ Γ;

21

(22)

3. u(x, y) `e armonica in Ω.

In alternativa si pu`o imporre la cosiddetta condizione di Neumann in cui, al posto della condizione 2., si impone che sia

∂u

∂n = f (x, y)

cio`e sia assegnata la derivata normale di u(x, y) rispetto alla curva Γ. Ricor- diamo che se nT = (nx, ny), `e il vettore normale allora

∂u

∂n = nx∂u

∂x + ny∂u

∂y.

Consideriamo ora la risoluzione dell’equazione di Laplace prendendo Ω uguale al rettangolo [a, b] × [c, d], con b > a e d > c. In questo caso un metodo

`e quello di approssimare l’operatore differenziale dopo avere discretizzato l’insieme Ω. Innanzitutto si suddivide l’intervallo [a, b] in N parti uguali, ognuna di ampiezza

h = b − a N per poi porre x0 = a, e

xi = xi−1+ k = a + ih i = 1, 2, . . . , N.

Lo stesso procedimento si segue per le ordinate suddividendo l’intervallo [c, d]

in M parti uguali, ciascuna di ampiezza k = d − c

M per poi porre y0 = c, e

yj = yj−1+ h = c + jk j = 1, 2, . . . , M.

In questo modo si ottiene l’insieme discreto di punti del piano

RN +1,M +1 =(xi, yj) ∈ R2|xi = a + ih, i = 0, N, yj = c + jk, j = 0, M . La risoluzione numerica del problema di Dirichlet associato consiste nell’ap- prossimare opportunamente la funzione u(x, y) nei punti appartenenti all’in- sieme RN +1,M +1, tenendo presente che la soluzione `e nota sul perimetro del rettangolo [a, b] × [c, d]. L’insieme discretizzato `e evidenziato nella seguente figura.

(23)

y

x

a b

c d

O

3.2 Il metodo a 5 punti per l’equazione di Laplace

L’idea alla base del metodo a 5 punti `e quella di approssimare le derivate parziali seconde nei punti del reticolo RN +1,M +1 e imporre che tali approssi- mazioni soddisfano l’equazione di Laplace. Poniamo innanzitutto

ui,j ≃ u(xi, yj), i = 0, 1, . . . , N, j = 0, 1, . . . , M

e, per approssimare la derivata parziale seconda uxx(xi, yj), consideriamo i seguenti 3 punti del reticolo (xi−1, yj), (xi, yj) e (xi+1, yj) e, applicando la formula (2.1) supponendo costante il valore yj, risulta:

2u

∂x2(xi, yj) ≃ ui+1,j − 2ui,j+ ui−1,j

h2 .

Analogamente per approssimare uyy(xi, yj) consideriamo i seguenti 3 pun- ti del reticolo (xi, yj−1), (xi, yj) e (xi, yj+1) e, applicando la formula (2.1), risulta:

2u

∂y2(xi, yj) ≃ ui,j+1− 2ui,j+ ui,j−1

k2 .

(24)

Adesso possiamo imporre che queste approssimazioni soddisfano l’equazione di Laplace

ui+1,j− 2ui,j + ui−1,j

h2 +ui,j+1− 2ui,j + ui,j−1

k2 = 0

(ui+1,j − 2ui,j+ ui−1,j)k2+ (ui,j+1− 2ui,j+ ui,j−1)h2 = 0.

Il metodo a cinque punti assume quindi la forma finale

h2ui,j−1+ k2ui−1,j− 2(h2+ k2)ui,j + k2ui+1,j + h2ui,j+1= 0 con i = 1, . . . , N − 1, e j = 1, . . . , M − 1.

Tenendo presente che la funzione u(x, y) `e nota sul bordo del rettangolo alcune delle approssimazioni non devono essere calcolate, infatti:

u0,j = u(x0, yj) = u(a, yj) = f (a, yj), j = 0, . . . , M ui,0 = u(xi, y0) = u(xi, c) = f (xi, c), i = 0, . . . , N uN,j = u(xN, yj) = u(b, yj) = f (b, yj), j = 0, . . . , M ui,M = u(xi, yM) = u(xi, d) = f (xi, d), i = 0, . . . , N.

Lo schema numerico `e sintetizzato nel seguente stencil:

−2(h2+ k2) k2 k2

h2

h2

(25)

3.2.1 Ordinamento delle incognite

Le relazioni che legano le incognite ui,j formano un sistema lineare la cui struttura dipende dal modo con cui vengono ordinate tali incognite. Un primo modo di riordinare le incognite ui,j `e quello di porre

uT = (u1,1, u2,1, . . . , uN −1,1, u1,2, . . . , uN −1,2, . . . , u1,M −1, . . . , uN −1,M −1) ed `e schematizzato dal seguente grafico.

1 2 3 4 5 6 7 8

9 10 11 12 13 14 15 16

17 18 19 20 21 22 23 24

25 26 27 28 29 30 31 32

Tale ordinamento prende il nome diOrdinamento naturale (o lessicografico).

Si inizia quindi dal punto (x1, y1), che viene numerato con 1, e si procede verso destra. Appena terminata la riga si passa a quella superiore, si considera il punto (x1, y2) e cos`ı via. La prima equazione (cio`e quella per la prima incognita) si ottiene quindi per i = j = 1:

k2u1,0+ h2u0,1− 2(h2+ k2)u1,1+ h2u2,1+ k2u1,2 = 0 equivalente a

−2(h2+ k2)u1,1+ h2u2,1+ k2u1,2 = −k2u1,0− h2u0,1,

in quanto ogni volta che una delle relazioni coinvolge un punto sulla fron- tiera dell’insieme tale valore, essenco noto, contribuisce al termine noto del

(26)

sistema.

La seconda equazione si ottiene per i = 2 e j = 1:

k2u2,0+ h2u1,1− 2(h2+ k2)u2,1+ h2u3,1+ k2u2,2 = 0 equivalente a

h2u1,1− 2(h2+ k2)u2,1+ h2u3,1+ k2u2,2 = −k2u2,0.

L’equazione relativa alla generica incognita di posto (i, j) ha al pi`u 5 coef- ficienti diversi da 0: 3 relativi alle 3 incognite numerate consecutivamente (i − 1, j), (i, j) e (i + 1, j), uno relativo ad una precedente, (i, j − 1), e uno ad una successiva (i, j + 1), numerate rispettivamente N − 1 prima ed N − 1 dopo. Per ottenere le approssimazioni `e quindi necessario risolvere un sistema lineare

Au = b

che ha la seguente struttura tridiagonale a blocchi

A =

T J

J T J

. .. ... ...

J T J

J T

dove J = k2IN −1, essendo IN −1 `e la matrice identit`a di ordine N − 1, e T `e la seguente matrice tridiagonale di dimensione N − 1:

T =

−2(h2+ k2) h2

h2 −2(h2+ k2) h2

. .. . .. . ..

h2 −2(h2+ k2) h2 h2 −2(h2+ k2)

 .

Nella Figura 3.1 `e riportata la struttura della matrice nel caso della griglia riportata come esempio in precedenza. Il sistema lineare da risolvere ha una struttura molto sparsa: se indichiamo con n la sua dimensione (n = (M − 1)(N − 1)) poco meno di 5n elementi sono diversi da zero su n2 ele- menti della matrice dei coefficienti. Questo significa che il sistema pu`o essere

(27)

risolto in modo pi`u efficiente utilizzando i cosiddetti metodi iterativi (vedere Capitolo 7) e non diretti (tipo fattorizzazione LU ) che distruggerebbero la struttura sparsa della matrice. Come esempio di questa affermazione nella Figura 3.2 riportiamo la struttura della matrice triangolare superiore U della fattorizzazione LU di A, come si pu`o osservare ha ben 231 elementi diversi da zero (da confrontare con i 136 di A).

0 5 10 15 20 25 30

0

5

10

15

20

25

30

nz = 136 Ordinamento Lessicografico

Figura 3.1: Struttura della matrice dei coefficienti per l’ordinamento Lessicografico

L’ordinamento lessicografico non `e l’unico modo di numerare le incognite del sistema lineare in oggetto, altri sono:

1. Ordinamento Cuthill-McKee;

2. Ordinamento Red-Black;

3. Ordinamento Multicolore.

(28)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 231

Ordinamento Lessicografico−Fattore U

Figura 3.2: Struttura del fattore triangolare U per la matrice dei coefficienti definita dall’ordinamento Lessicografico

Nell’ordinamento Cuthill-McKee, proposto nel 1969, si ordinano le incognite partendo da un punto fissato e numerando i punti adiacenti in modo tale da privilegiare quelli che si trovano lungo una determinata direzione (di solito quella diagonale); se non ce ne sono si prende un altro nodo adiacente (o quel- lo a destra oppure quello in alto) e si prosegue. La tecnica `e schematizzata nel seguente grafico.

(29)

Ordinamento di Cuthill-McKee

1 2 6 7 14 15 22 23

3 5 8 13 16 21 24 29

4 9 12 17 20 25 28 30

10 11 18 19 26 27 31 32

L’obiettivo di questo ordinamento `e quello di diminuire l’ampiezza di banda della matrice. Infatti in Figura 3.3 `e visualizzata la struttura della matrice A con tale ordinamento mentre la Figura 3.4 mostra la struttura della matrice U triangolare superiore. Osserviamo come il numero di elementi diversi da zero sia piuttosto basso (148) rispetto al caso precedente.

Altri due ordinamenti, cui accenniamo per motivi di completezza prevedono che i nodi vengano suddivisi (colorati) in due (o pi`u) tipi. Nell’ordinamen- to Red-Black sono divisi in rossi e neri, in modo tale che due nodi adiacenti abbiano colori diversi. Finita la colorazione i nodi sono numerati usando l’or- dinamento lessicografico applicato ad un colore per volta, come si evidenzia nel seguente schema.

(30)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 136 Ordinamento Cuthill−McKee

Figura 3.3: Struttura della matrice dei coefficienti per l’ordinamento Cuthill- McKee

Ordinamento di Red-Black

1 17 2 18 3 19 4 20

21 5 22 6 23 7 24 8

9 25 10 26 11 27 12 28

29 13 30 14 31 15 32 16

(31)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 148

Ordinamento Cuthill−McKee−Fattore U

Figura 3.4: Struttura del fattore triangolare U per la matrice dei coefficienti definita dall’ordinamento Cuthill-McKee

In Figura 3.5 `e visualizzata la struttura della matrice A con tale ordinamento mentre la Figura 3.6 mostra la struttura della matrice U triangolare superi- ore. Osserviamo come il numero di elementi diversi da zero (170) sia pi`u alto rispetto all’ordinamento Cuthill-McKee ma inferiore rispetto all’ordinamento lessicografico.

L’ordinamento multicolore `e uguale al Red-Black ma si usano pi`u colori, soli- tamente 4 o 6, e comunque un numero pari. I nodi sono ordinati colorandoli in sequenza uno di ogni colore diverso, mentre per la riga successiva si parte dalla coppia di colori successiva, in modo tale che su ogni colonna ci siano solo due colori. Nella figura seguente vediamo un esempio con 4 colori.

(32)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 136 Ordinamento Red−Black

Figura 3.5: Struttura della matrice dei coefficienti per l’ordinamento Red- Black

Ordinamento Multicolore con 4 colori

1 9 17 25 2 10 18 26

19 27 3 11 20 28 4 12

5 13 21 29 6 14 22 30

23 31 7 15 24 32 8 16

(33)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 170

Ordinamento Red−Black−Fattore U

Figura 3.6: Struttura del fattore triangolare U per la matrice dei coefficienti definita dall’ordinamento Red-Black

Nel caso in cui i colori siano sei il primo colore della seconda riga coincide con il quarto della sequenza, cosicch`e sulla stessa colonna siano accoppiati sempre il primo ed il quarto, il secondo con il quinto ed il terzo con il sesto.

Se sono otto allora i colori accoppiati sono il primo con il quinto, il secondo con il sesto e cos`ı via.

In Figura 3.7 `e visualizzata la struttura della matrice A con tale ordinamento mentre la Figura 3.8 mostra la struttura della matrice U triangolare superi- ore. Osserviamo come il numero di elementi diversi da zero (191) sia pi`u alto rispetto agli ordinamenti Cuthill-McKee e Red-Black ma inferiore rispetto all’ordinamento lessicografico.

Se il dominio `e quadrato, oppure si pu`o scegliere h = k, l’espressione del metodo a 5 punti si semplifica:

ui,j−1+ ui−1,j − 4ui,j+ ui+1,j + ui,j+1 = 0

(34)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 136 Ordinamento Multicolor

Figura 3.7: Struttura della matrice dei coefficienti per l’ordinamento a 4 colori

e gli elementi della matrice A sono indipendenti da h e k:

A =

T IN −1

IN −1 T IN −1

. .. . .. . ..

IN −1 T IN −1 IN −1 T

(35)

0 5 10 15 20 25 30 0

5

10

15

20

25

30

nz = 191

Ordinamento Multicolor−Fattore U

Figura 3.8: Struttura del fattore triangolare U per la matrice dei coefficienti definita dall’ordinamento Multicolore con 4 colori

dove IN −1 `e la matrice identit`a di ordine N − 1 e T `e la seguente matrice tridiagonale di dimensione N − 1:

T =

−4 1

1 −4 1

. .. ... ...

1 −4 1

1 −4

 .

Esercizio. Ordinare le incognite dell’equazione di Laplace con condizione di Dirichlet definita nel dominio in figura utilizzando gli ordinamenti lessicogra- fico e Red-Black. Supponendo di risolvere l’equazione applicando il metodo a 5 punti schematizzare, a fianco del dominio, la struttura della matrice dei coefficienti del relativo sistema lineare.

(36)

Ordinamento Lessicografico

1 2 3 4 5 6

7 8 9 10 11 12

13 14

15 16

17 18

(37)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

Ordinamento Red-Black

1 10 2 11 3 12

13 4 14 5 15 6

7 16

17 8

9 18

(38)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

3.3 Convergenza del metodo a 5 punti

L’esistenza della soluzione numerica fornita dal metodo a 5 punti `e con- seguenza dell’unicit`a della soluzione del sistema lineare definito dal metodo.

Pi`u complessa risulta l’analisi dell’errore, cio`e la valutazione dell’affidabilit`a della soluzione numerica rispetto a quella teorica. Infatti `e intuitivo che l’in- troduzione delle approssimazioni delle derivate parziali `e causa di errore nella soluzione numerica. Supponendo, per semplicit`a che h = k, allora si dice che un metodo numerico `e convergentese

h→0limmax

i,j |u(xi, yj) − uij| = 0,

cio`e se la massima differenza tra la soluzione numerica e quella teorica tende a zero al tendere a zero del passo di discretizzazione. Definiamo il cosiddet- to errore di troncamento locale come l’errore che si ottiene sostituendo la soluzione teorica al posto di quella numerica nello schema:

τh(xi, yj) = u(xi, yj−1) + u(xi−1, yj) − 4u(xi, yj) + u(xi+1, yj) + u(xi, yj+1)

h2 .

Condizione necessaria per la convergenza `e che il metodo sia consistente, condizione che si verifica quando l’errore di troncamento locale tende a zero

(39)

quando h → 0. In questo caso, considerando che la funzione u(x, y) soddisfa l’equazione di Laplace possiamo scrivere l’errore di troncamento locale come

τh(xi, yj) =  u(xi−1, yj) − 2u(xi, yj) + u(xi+1, yj)

h2 −∂2u(xi, yj)

∂x2 +

+u(xi, yj−1) − 2u(xi, yj) + u(xi, yj+1)

h2 −∂2u(xi, yj)

∂y2

 . da cui segue la consistenza del metodo poich`e l’errore nell’approssimazione delle derivate tende a zero quando h → 0. In realt`a vale il seguente risultato da cui segue la convergenza dello schema.

Teorema 3.3.1 Sia u ∈ C4(Ω), allora esiste una costante C ∈ R tale che maxi,j |u(xi, yj) − uij| ≤ CM h2

dove M `e il massimo valore assoluto assunto dalle derivate quarte di u in Ω.

Esempio 3.3.1 Applichiamo il metodo a 5 punti all’equazione di Laplace uyy+ uxx = 0

definita sul rettangolo [0, 4π] × [0, 2] e con condizioni iniziali:

u(x, 0) = 2 sin x, 0 ≤ x ≤ 4π u(x, 2) = (e2+ e−2) sin x, 0 ≤ x ≤ 4π

u(0, y) = 0, 0 ≤ y ≤ 2

u(4π, y) = 0, 0 ≤ y ≤ 2

che ammette come soluzione teorica u(x, t) = sin x(ey + e−y).

Nella Figura 3.9, viene riportato l’andamento della soluzione numerica pren- dendo N = M = 20, (il numero di punti della discretizzazione `e pari, circa, a 1600).

(40)

0 2 4 6 8 10 12 14 0

0.5 1 1.5 2

−10

−5 0 5 10

x y

Figura 3.9: Soluzione dell’equazione di Laplace ottenuta con il metodo a 5 punti.

3.4 Equazione di Laplace su domini non po- ligonali

L’uso delle differenze divise funziona bene quando il dominio Ω `e un rettan- golo, oppure un quadrato o un poligono che pu`o essere scomposto come un unione di quadrati o rettangoli. Quando invece il contorno Γ del dominio di integrazione Ω `e un poligono oppure una curva regolare a tratti l’approssi- mazione delle derivate parziali `e piuttosto problematica. Vediamo prima un caso particolare.

(41)

3.4.1 Il caso del cerchio unitario

Se il dominio Ω coincide con un cerchio e quindi Γ `e una circonferenza, allora

`e possibile ricondursi ad un dominio rettangolare. Infatti, supponiamo, per semplicit`a, che sia

Γ =(x, y) ∈ R2 : x2+ y2 = 1 mentre Ω `e, ovviamente, il cerchio

Ω =(x, y) ∈ R2 : x2+ y2 < 1 .

In questo caso il dominio pu`o essere trasformato in un rettangolo cambiando le coordinate cartesiane in polari:

x = ρ cos θ, y = ρ sin θ.

In coordinate polari il dominio diventa

Ω =(ρ, θ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < 1, 0 ≤ θ < 2π mentre

Γ =(ρ, θ) ∈ R2 : ρ = 1 . Per evitare confusione poniamo

v(ρ, θ) = u(ρ cos θ, ρ sin θ).

Nella seguente figura `e riportata la corrispondenza tra il dominio circolare in coordinate cartesiane ed il rettangolo in coordinate polari. Ad ogni circon- ferenza di raggio r < 1 viene associato un segmento parallelo all’asse θ, di equazione ρ = r e 0 ≤ θ < 2π. Ad ogni raggio della circonferenza unitaria viene invece associato un segmento parallelo all’asse ρ, di equazione θ = θ0, ed 0 ≤ ρ ≤ 1, (se θ0 `e l’angolo che il raggio forma con l’asse delle ascisse orientato nel verso positivo).

(42)

x ρ y θ

La condizione al contorno `e assegnata ovviamente su Γ cio`e:

u(x, y) = u(cos θ, sin θ) = f (cos θ, sin θ).

L’equazione di Laplace in coordinate polari diventa

2v

∂ρ2 + 1 ρ2

2v

∂θ2 + 1 ρ

∂v

∂ρ = 0.

Il problema pi`u delicato riguarda la trasformazione delle condizioni iniziali in coordinate polari. Il caso pi`u semplice `e il segmento ρ = 1 che coincide con la circonferenza Γ in coordinate cartesiane, quindi

v(1, θ) = f (cos θ, sin θ), 0 ≤ θ ≤ 2π.

I segmenti che si ottengono per 0 < ρ < 1 e θ = 0 e 0 < ρ < 1 e θ = 2π sono esattamente lo stesso segmento nel cerchio originale. Il valore della funzione su tale segmento non `e noto perci`o `e necessario assegnare una cosiddetta condizione di periodicit`a:

v(r, 0) = v(ρ, 2π), 0 < ρ < 1.

(43)

L’ultimo segmento da considerare `e quello che si ottiene assegnando il valore ρ = 0, 0 ≤ θ ≤ 2π. L’intero segmento corrisponde ad un unico punto, cio`e l’origine del piano cartesiano. Quindi la funzione v deve essere costante lungo tale linea e, per esprimere tale condizione imponiamo la condizione di Neumann:

∂v

∂θ(0, θ) = 0.

Una volta determinate le condizioni sulla frontiera del dominio nel piano po- lare `e possibile risolvere numericamente l’equazione di Laplace in coordinate polari usando le approssimazioni alle differenze divise per le derivate parziali.

3.4.2 Il caso di un qualsiasi dominio irregolare

Analizziamo ora il caso in cui la frontiera del dominio Ω sia una curva chiusa e regolare senza una particolare forma. In questo caso si considera un ret- tangolo [a, b] × [c, d] tale da contenere sia Ω che Γ e si discretizza tale regione come gi`a visto in precedenza, definendo l’insieme discreto:

RN +1,M +1= {(xi, yj) ∈ [a, b] × [c, d]|i = 0, . . . , N, j = 0, . . . , M } . y

x

a b

c d

Γ

O

(44)

L’insieme dei punti discreti che appartengono sia al rettangolo [a, b] × [c, d]

che al dominio Ω si denota con

hk = RN +1,M +1∩ Ω.

Tale insieme viene dettoinsieme dei punti interni. Ogni punto interno (xi, yj) ha quattro punti vicini, cio`e (xi±1, yj) e (xi, yj±1).

Un punto vicino ad un punto interno che non appartiene a Ωhk si dicepunto di confine. L’insieme dei punti di confine si indica con Γhk.

I punti angolari sono invece i punti dell’insieme RN +1,M +1 che non sono n`e interni n`e di confine, ma risultano essere vertici di una cella che contiene almeno un punto interno.

r s

r s b

c b c

b c r

s

b c b

c

u t

u t u

t

r s u t u

t

r s

Γ Ω

Punti di confine

r s

Punti angolari

u t

Punti interni

b c

I punti angolari non hanno alcun ruolo nella soluzione numerica di equazioni ellittiche. L’ipotesi che si deve fare sulla griglia che si considera `e che i segmenti che congiungono punti interni devono essere interamente contenuti nel dominio Ω. Si evita cio`e il caso evidenziato dal secondo grafico:

(xi+1, yj) (xi, yj)

(xi, yj) (xi+1, yj)

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