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2. L’APPENNINO SETTENTRIONALE

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2. L’APPENNINO

SETTENTRIONALE

2.1 INQUADRAMENTO GEOLOGICO

La catena appenninica, che ha uno sviluppo a partire dalla pianura padana lungo tutta la penisola italiana, è costituita da due grandi settori separati tra loro dalla linea Ortona-Roccamorfina: l’Arco settentrionale (Monferrato-Lazio Abruzzo), con uno sviluppo per oltre 500 km a direzione strutturale predominante NW-SE, classicamente separato a NW dall’arco alpino tramite la linea Sestri-Voltaggio, in cui la propagazione dei thrust procede sia con strutture duplex, sia con embricate fans in sequenze tipo piggy-back; l’Arco meridionale (Abruzzo Molise – Sicilia), a direzione strutturale predominante NE-SW, il cui stile tettonico è dominato da duplex a grande scala.

Fig 2.1 Carta geologica della Toscana. Schema delle unità stratigrafiche e strutturali dell’area. Sito web

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L’Appennino è una catena collisionale formatasi tra il Cretaceo superiore e il Miocene superiore, in seguito alla collisione tra il margine europeo e quello africano.

L’intera struttura è inoltre complicata ulteriormente da thrust arcuati fuori sequenza lunghi anche decine di km, talvolta ad alto angolo rispetto al trend regionale della catena. Il sistema avanfossa-avanpaese ha l’asse di flessura messo in evidenza da anomalie di Bouguer negative e dalle isobate della base del Pliocene.

La struttura generale dell’Appennino Settentrionale è data dall’impilamento di unità tettoniche appartenenti a domini paleogeografici differenti, ricostruiti per mezzo delle successioni stratigrafiche di tali unità, che sono il dominio Ligure, Subligure, Toscano, e Umbro-Marchigiano:

- Il Dominio Ligure, rappresentato da varie unità tettoniche i cui depositi comprendono relitti di litosfera oceanica giurassica e della sua copertura sedimentaria, la cui età varia dal Malm a l’Eocene medio. Questa litosfera oceanica testimonia la nascita e lo sviluppo del Dominio oceanico Ligure-Piemontese (parte nord-occidentale della Tetide), che a partire dal Giurassico si individua tra due margini continentali, quello europeo e quello africano (placca Adria) e la cui successiva evoluzione è da ricollocare nell’ambito di un margine convergente durante il Cretaceo superiore – Paleocene, fino alla collisione dei due margini continentali nell’Eocene superiore.

Le Unità Liguri si suddividono in due gruppi: Unità Liguri Interne e Unità Liguri Esterne, in accordo con il quadro paleogeografico del Dominio Ligure proposto da Elter e Pertusati (1973).

Le Unità Liguri Interne sono caratterizzate da una sequenza ofiolitica giurassica ben sviluppata, che comprende un basamento costituito da ultramafiti, prevalentemente lherzoliti tettoniche, da un complesso gabbrico e da un complesso vulcano-sedimentario (Giurassico

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Medio), comprendente brecce ofiolitiche nelle quali si trovano, intercalati, basalti massicci o a

pillow, e livelli di radiolariti. Al di sopra di questa sequenza si sviluppa una successione

sedimentaria costituita da Diaspri (Calloviano-Berriasiano inferiore), Calcari a Calpionelle (Berriasiano inferiore - Valanginiano superiore), Argille a Palombini (Valanginiano superiore-Santoniano); sempre in continuità stratigrafica si hanno gli Scisti della Val Lavagna (Campaniano – Maastrichtiano inferiore) associati alle Arenarie del Monte Gottero (Maastrichtiano superiore – Paleocene inferiore). Tramite una discordanza stratigrafica segue la formazione di Colli/Tavarone (Paleocene inferiore), correlabile a quella degli Scisti del Bocco (Meccheri et al., 1986). La successione sedimentaria ligure interna comprende, dunque, depositi pelagici (Diaspri, Calcari a Calpionelle, Argille a Palombini), di conoide sottomarina (Scisti della Val Lavagna, Arenarie del Monte Gottero) e di scarpata (Scisti del Bocco), che testimoniano uno spostamento progressivo di un settore della litosfera oceanica verso una zona di subduzione (Treves, 1984; Marroni et alii., 1992). Dal punto di vista stratigrafico e strutturale, le principali unità di tipo Ligure Interno, da ovest verso est, sono l’Unità Cravasco-Voltaggio, l’Unità del Monte Figogna, le Unità Portello, Vermallo, Due Ponti, l’Unità del Monte Gottero, l’Unità del Bracco-Val Graveglia, e l’Unità di Colli Tavarone.

Le Unità Liguri Esterne sono rappresentative della transizione tra oceano e la placca continentale adriatica. Si individuano due successioni tipo in base alle caratteristiche del complesso basale; le Liguri Esterne occidentali, ad esempio le successioni dell’Unità Ottone e Unità Caio, hanno al tetto un flysch terziario (Paleocene – Eocene medio) che giace sul flysch a Elmintoidi (Cretaceo superiore - Paleocene) alla base del quale si trova un melange sedimentario. Quest’ultimo è formato da brecce poligeniche e monogeniche (pebbly

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mudstone-pebbly sandstones), da arenarie ofiolitiche e da grossi slide blocks di mantello lherzolitico, gabbri, basalti, granuliti e granitoidi continentali.

Le Unità Liguri Esterne orientali, ad esempio l’Unità Cassio, sono caratterizzate dall’assenza di ofioliti e da un basamento di età triassica costituito da sedimenti di margine continentale. Da queste evidenze possiamo dedurre che, mentre le Unità Liguri Interne hanno un carattere tipicamente oceanico, le Unità Liguri Esterne passano da caratteri di transizione oceano – continente (quelle occidentali) a caratteri puramente continentali (quelle orientali).

- Il Dominio Subligure è rappresentato da una successione sedimentaria della quale non si conosce il substrato. In base sia alla posizione geometrica occupata all’interno dell’edificio a falde appenninico, che a considerazioni stratigrafiche, appare verosimile che essa si sia depositata su un substrato formato da una crosta continentale appartenente al margine dalla placca Adria. Questo dominio dà origine a tre unità tettoniche: l’unità di Vico, l’unità Aveto e l’unità Bratica. Queste unità sono costituite da successioni che comprendono una parte inferiore rappresentata da formazioni cretaceo-eoceniche a cui si sovrappongono in discordanza depositi torbiditici dell’Oligocene. La parte inferiore della successione stratigrafica è rappresentata da una formazione argilloso-calcarea, corrispondente alle Argille e Calcari di Canetolo del Paleocene-Eocene medio, in rapporti di parziale eteropia con torbiditi carbonatiche denominate Flysch di Monte Penice e Flysch di Vico affioranti nell’Appennino piacentino, e Calcari di Groppo del Vescovo nell’Appennino parmense. Dagli studi più recenti sviluppati sulle unità di questo dominio, sembra che l’intervallo cronostratigrafico coperto dalla successione vada modificato: alle tradizionali formazioni terziarie del Flysch di Vico, delle Argille e Calcari, e delle Arenarie di Ponte Bratica e Petrignacola (complessivamente comprese tra l’Eocene inferiore e l’Oligocene superiore) andrebbe ad aggiungersi una ulteriore formazione, rappresentata dalle Arenarie di Ostia

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(Coniaciano – Santoniano), che occuperebbero la base della successione (Cerrina Feroni et al., 1991).

Fig 2.2 Ricostruzione palinspastica al Cretaceo superiore dei diversi domini che saranno coinvolti

nell’orogenesi dell’Appennino Settentrionale (Costantini et alii, 1993).

- Il Dominio Toscano è rappresentato da due unità: l’Unità Toscana Metamorfica; l’Unità Toscana non metamorfica, o falda toscana, alla quale appartengono parte degli affioramenti studiati.

Questo dominio è rappresentato da successioni mesozoico-terziarie, deposte su un basamento continentale del Paleozoico interessate da deformazioni e metamorfismo ercinico.

La successione mostra l’evoluzione del margine continentale passivo della placca Adria. Partendo da ambienti marino marginali (formazione del Verrucano) con manifestazioni vulcaniche testimoniate dai ciottoli di basalti alla sua base, si passa all’istaurarsi di una piattaforma carbonatica (depositi sin-rift del Trias superiore-Dogger inferiore: formazioni del Calcare a Rhaetavicula contorta, dei Grezzoni e del Calcare Massiccio) fino al suo annegamento (formazione del Rosso Ammonitico e del Calcare selcifero inferiore) e alla deposizione di sedimenti pelagici di età compresa tra il Dogger e il Malm (formazione delle Marne a Posidonomya, dei Diaspri e della Maiolica). Seguono depositi pelagici con materiali

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risedimentati di piattaforma carbonatica (formazione della Scaglia Toscana) e depositi torbiditici dell’Oligocene superiore-Miocene inferiore (formazione del Macigno).

L’Unità Toscana Metamorfica si differenzia dall’Unità Toscana non metamorfica esclusivamente per la presenza di un basamento paleozoico e per il più alto grado metamorfico.

L’origine dell’Unità Toscana Metamorfica è tuttora dibattuta. Il modello di Carmignani & Kligfield (1990) spiega la natura delle Alpi Apuane mediante lo sviluppo di un metamorphic core complex, tipo Basin and Range (Colorado), legato ad un rifting passivo asimmetrico. Un altro modello per spiegare la natura delle Alpi Apuane è quello dell’anticlinale di rampa, secondo il quale l’esumazione potrebbe non essere dovuta al metamorphic core complex, ma per thrust che porta in superficie le Apuane come anticlinale di rampa.

− il Dominio Umbro-Marchigiano è di origine continentale ed è costituito da una successione mesozoico terziaria scollata al livello delle evaporiti. Questo dominio rappresenta la parte più esterna dell’Appennino settentrionale ed è quindi l’ultimo ad essere raggiunto dalle fasi deformative.

Le unità impilate risultano separate da contatti meccanici coincidenti con i piani di scorrimento.

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Fig 2.3 Evoluzione tettonica del Bacino Ligure e del margine paleoappenninico dal

Cretaceo inferiore all’Oligocene superiore. Tutte le rocce sedimentarie del ciclo alpino sono rappresentate in bianco, ad esclusione degli Schistes lustrés e di quelle della Ruga paleoappenninica. (Boccaletti et alii, 1980).

La struttura della catena appenninica è il risultato di una complessa evoluzione geodinamica di età alpina. Questo processo è iniziato nel Trias inferiore con i primi sintomi di distensione e assottigliamento della crosta continentale che chiude ad Ovest il grande golfo della Tetide.

Il processo di distensione continua fino al Giurassico, il Rift si allarga e si approfondisce, il mare avanza sempre più sulle terre emerse e gli eventi sedimentari dominano largamente il quadro evolutivo. Nel Giurassico medio la crosta che, per effetto della distensione, si è venuta sempre più assottigliando, si lacera, con conseguente formazione di un’area oceanica, allungata secondo l’asse del Rift iniziale; si identificano così, per la prima volta, i margini continentali: europeo a NW, corrispondente al blocco sardo-corso e Adriatico a SE, che si vanno progressivamente allontanando.

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Nell’intervallo temporale tra 81 e 63 Ma, si ha l’apertura della parte settentrionale dell’Atlantico, motore dei movimenti nel futuro Mediterraneo. È in questa fase che si ha l’inizio della convergenza nel dominio oceanico. Il blocco Sardo-Corso, facente parte della placca Iberica, rappresenta l’arco neutro del sistema, fino a quando, nel Miocene inferiore e in particolare nel Burdigaliano, si ha l’apertura in retroarco del Bacino Balearico, che da quel momento rappresenta il motore per il processo di subduzione.

Dal Tortoniano sup. si ha l’apertura di un secondo bacino, il futuro Mar Tirreno, in posizione di avanarco rispetto all’arco dl blocco Sardo-Corso. Il bacino balearico da questo momento non sarà più in estensione, e il motore della subduzione diventa il bacino tirrenico, che evolve in retroarco nel momento in cui si suppone che l’arco attivo sia diventato quello Eolico. Ci sono molte teorie che spiegano la genesi di questo bacino, ma quella che secondo noi meglio giustifica le evidenze geologiche assimilate in letteratura è quella di estensione per arretramento flessurale, ormai condivisa da diversi autori. Questa teoria, infatti, permette di giustificare la migrazione del fronte compressivo-estensionale-magmatico verso oriente; di giustificare la presenza di terremoti profondi e subcrostali, e di radici litosferiche. Tale teoria prevede un arretramento flessurale della lower plate, con conseguente estensione nell’upper plate e migrazione dei fronti suddetti.

Con la messa in posto dei bacini messiniani e plio-pleistocenici si ha la chiusura dell’evoluzione sedimentaria della catena, mentre nelle ultime fasi si hanno le manifestazioni magmatiche del vulcanismo tosco-laziale, derivanti dalla migrazione verso Est del fronte della subduzione. Facendo una scansione temporale dell’evoluzione geodinamica appenninica, cerchiamo di individuare le condizioni generali in cui si sono sedimentate le formazioni di queste unità.

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Fig 2.4 Carte paleogeografiche schematiche dal Tortoniano superiore al Pleistocene inferiore

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2.2 I BACINI NEOAUTOCTONI

Con il termine “ciclo neoautoctono” si intende la successione neogenico-quaternaria dell’Appennino Settentrionale la cui sedimentazione, che ha inizio nel Miocene superiore, dà origine ai bacini sedimentari neogenici. Di questi, i più orientali, detti anche esterni, hanno una geometria più regolare e uno sviluppo longitudinale maggiore rispetto a quelli più occidentali (interni); ciò è dovuto alla maggior frequenza nella Toscana marittima di strutture trasversali e di intrusioni quaternarie. Stratigraficamente i depositi mio-pliocenici giacciono in discordanza sopra ad un substrato, rappresentato dalle Unità Liguri, Subliguri e Toscane. Nella Toscana Meridionale questo substrato, come vedremo nel paragrafo successivo, affiora nell’area rilevata, ed è delimitato da bacini sedimentari.

Questi fanno parte di quei bacini sviluppatisi nel settore interno dell’Appennino settentrionale dal Tortoniano superiore, quando si ha l’inizio dell’arretramento flessurale della placca Adria e dunque l’inizio dell’apertura del Mar Tirreno, durante il Quaternario. Gli eventi sedimentari che ne determinano la successione stratigrafica sono cinque (supersintemi), delimitati da discordanze regionali correlabili in tutta la catena appenninica. Si ritiene che la loro origine sia legata a tettonica estensionale, per progradazione del fronte compressivo verso E, ma anche ad episodi compressivi regionali, che avrebbero dato origine a sollevamenti regionali e ad interruzioni della sedimentazione, causa delle discordanze sedimentarie. La sequenza miocenica presenta cinque cicli di sedimentazione.

Nell’area studiata da Landi et alii (1995), coincidente in parte con quella presa in esame, sono presenti le prime quattro unità stratigrafiche del ciclo neo-autoctono:

Il primo supersintema (Tortoniano medio-Messiniano medio) è rappresentato da: Conglomerati poligenici, provenienti dal dominio ligure-subligure, ad esempio affiorano nell’area di Castiglioncello Bandini (Tortoniano medio); Sabbie e argille lacustri,in

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particolare sabbie e calcari a Cardium, come ad esempio a Castiglioncello Bandini, e argille lacustri con lignite, come ad esempio a Baccinello, separati da una discordanza angolare (Tortoniano medio-Turoliano medio); Argille lacustri che nella porzione bassa sono livelli sabbioso-conglomeratici provenienti dalle Unità Liguri, mentre verso l’alto passano ad argille alternate a livelli marnosi ricchi di sostanza organica, e terminano con argille alternate a livelli marnosi, l’ambiente di sedimentazione è palustre-lacustre con crescente umidità (Messiniano

inf.); Sabbie e calcari lacustri e gesso, per spiegare la presenza del quale si può solo pensare

ad una rapida e poco estesa ingressione marina da Nord, o un arricchimento in CaSO4 delle acque per dilavamento dei depositi evaporitici del Trias sup. della dorsale medio-Toscana (Messiniano generico).

Il secondo supersintema (Messiniano sup. – Pliocene inf.) è costituito da: Conglomerati poligenici, formati da conglomerati a ciottoli arrotondati, piuttosto disorganizzati, e sabbie-sabbie argillose-limi, con piccoli livelli di ciottoli matrice sostenuti, i cui clasti hanno origine per la maggior parte dal dominio subligure, ambiente ad alta energia, ovvero di conoide alluvionale, con clima arido, sviluppatosi durante una tettonica attiva (Messiniano sup.); Argille e argille sabbiose-sabbie, espressione di una trasgressione marina, depositi fining-upward ( Pliocene inf.).

Il terzo supersintema (Pliocene medio-Villafranchiano) è costituito da Sabbie marine (Pliocene medio-Villafranchiano.); Conglomerati poligenici (Pliocene medio.).

Infine il quarto supersintema (Villafranchiano sup.) è rappresentato da Conglomerati poligenici di ambiente fluvio-lacustre.

Per Bonazzi et alii (1992), che studiarono nel dettaglio l’area della valle del fiume Albegna, gli eventi sedimentari si riducono a tre: uno messiniano, uno pliocenico ed un terzo molto limitato attribuibile al Quaternario antico. Da questi dati, e da quelli di Landi et alii

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(1995) presi a scala maggiore su tutto il bacino di Cinigiano-Baccinello, risulta in ogni caso che nel Messiniano l’attuale valle dell’Albegna e la parte a Nord di questa erano una depressione con acque salmastre, facente parte del bacino suddetto, e colmata da depositi lacustri e alluvionali-deltizi. La sedimentazione è detritica, spesso grossolana e relativamente poco potente. Nei livelli pelitici si ritrovano spesso microfaune a Ostracodi, come Cyprideis,

Leptocythere e Candona, di ambiente salmastro e dulcicolo. Perciò l’ambiente di deposizione

è tipo delta-conoide, il cui apice può essere collocato a Nord della valle del fiume Albegna. Nel Pliocene inf. cambia repentinamente l’ambiente di sedimentazione per ingressione marina sia sui depositi neogenici che sulle unità alloctone Liguri. Durante il ciclo sedimentario, la sedimentazione pelitica perdura fino alla parte alta del Pliocene inf. (zona a G. Puncticolata) per poi evolversi a sedimenti di mare basso regressivi (si veda di esempio i depositi quaternari affioranti a Madonna di Lampino, a NE di Monticello Amiata, che poggiano direttamente sulle Liguridi). Dopo questa regressione l’area ha attraversato un periodo di relativa stabilità, ancor oggi in corso. L’ingressione marina pleistocenica può perciò essere interpretata come un periodo di innalzamento del livello marino globale per scioglimento dei ghiacci durante un periodo interglaciale.

Infine, dalle analisi condotte da Landi et alii (1995), si è stabilito che il bacino del quale fanno parte i sedimenti neoautoctoni dell’area studiata, può essere classificato, da un punto di vista geodinamico, come perched basin compressivo, formatosi nel Tortoniano medio-Messiniano in relazione alla tettonica compressiva che interessava questo settore appenninico. Con il Pleistocene, poi, l’area è stata sottoposta a tettonica distensiva, la cui evidenza principale sono faglie normali variamente orientate.

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2.3 IL VULCANISMO REGIONALE

2.3.1 INQUADRAMENTO GENERALE

Le rocce ignee toscane, rappresentative delle tre aree vulcaniche di Radicofani- Mt. Cimini- Mt. Amiata, sono classificate in letteratura come rocce appartenenti alla Provincia Magmatica Toscana, che affiora nel settore interno della catena, ed è delimitata geograficamente a sud dal 41° parallelo, ad Est dalla linea Ancona-Anzio, e ad Ovest dal blocco Sardo-Corso. Per Provincia petrografia si intende l’insieme di prodotti con caratteri di serie differenti, senza alcuna relazione genetica, ma solo in associazione spazio-temporale. Per brevità la provincia magmatica toscana viene nominata PMT, mentre la provincia magmatica romana PMR.

Nel 1961 Marianelli propose il modello petrogenetico generale per la PMT, che dimostrava come le differenze petrografico-chimiche di tale provincia siano il risultato di processi complessi, quali la “filtrazione”, l’ibridazione, il trasferimento e l’assimilazione di gas, e l’inizio di una comune parentela magmatica di derivazione crostale. Studi recenti hanno dimostrato chiaramente che la PMT è costituita da magmi di derivazione crostale e del mantello, che si sono sviluppati in serie magmatiche differenti.

Alla PMT, in linea generale più antica rispetto alla PMR, appartengono tutte le rocce ignee messe in posto dopo l’inizio della collisione continentale eocenica. L’età del magmatismo nell’Appennino centro-settentrionale, comunque, diminuisce spostandoci verso SE, e questo, come spiegato nell’inquadramento geologico, è dovuto alla migrazione per arretramento flessurale, in tale direzione, del fronte della compressione, e perciò anche del fronte di estensione e del magmatismo conseguente a questo fenomeno.

Dai dati geochimici-geocronologici ottenuti tramite le metodologie K/Ar e 40Ar/ 39Ar (per le vulcaniti) e Rb/Sr (per i plutoni) Innocenti et alii nel 1992 misero in evidenza le

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discontinuità spazio-temporali nella distribuzione delle rocce della PMT stessa (fig 2.5). Sono risultate quattro fasi magmatiche che hanno inizio con il sill lamproitico di Sisco (Corsica) tra 15,0 e 13,5 milioni di anni fa, prima attività documentata legata all’estensione post-collisionale litosferica anziché allo stadio finale dell’arco magmatico della microplacca Sardo-Corsa.

Fig 2.6 Età dei vari complessi igenei del Nord Appennino, proiettati lungo una sezione

WSW-ENE dalla Corsica al Mare Adriatico, passando da Bastia e Siena (da Innocenti et alii, 1992).

Le altre fasi sono poi scandite dall’attività di Vercelli - Mt Capanne (7,3-6,2 milioni di anni fa), di Porto Azzurro – Gavorrano - Tolfa (5,1-2,2 milioni di anni fa), e Siena - Mt Amiata - Radicofani (1,3 milioni di anni fa-attuale). E’ da notare che il Mt. Amiata è l’unico centro vulcanico della PMT attivo durante il periodo di attività della PMR.

Dal punto di vista composizionale nel suo insieme la PMT risulta satura in silicati, talvolta per-alluminosa e calcalcalina arricchita in K, al contrario della PMR sottosatura in silicati e altamente alcalina. Classificando le rocce della PMT in base al concetto di affinità di serie si distinguono tre associazioni: la serie subalcalina, la serie alcalina potassica e la serie

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ultra potassica. Dal punto di vista genetico, invece, possiamo classificarle in altri tre gruppi ( fig …):

1. prodotti da mantello primitivo (trend saturo) – lamproiti, latiti ultra-k, shoshoniti e

shoshoniti ultra-k; derivano dalla fusione parziale a basse pressioni (profondità<50 km) di peridotiti residuali high-k contaminate da carbonati derivanti dalla crosta.

2. prodotti acidi – raramente per pura anatessi, più spesso per mixing con magmi basici.

3. prodotti acidi intermedi – per mixing di magmi del mantello e della crosta, interessato

da cristallizzazione frazionata ed altre contaminazioni con materiale crostale.

Fig 2.7 Diagramma 87Sr/86Sr vs SiO2 . schema interpretativo della genesi e dell’evoluzione

delle rocce ignee dell’Appennino settentrionale: San Vincenzo, Mt. Cimini e Mt. Amiata definiscono il trend di mixing tra magmi di derivazione crostale acida e del mantello basica. (da Serri et alii, 1992 e Innocenti et alii, 1992)

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2.3.2 IL MT. AMIATA

L’Amiata è un giovane vulcano siliceo lineare, con una estensione areale di circa 85 Km2; ha avuto due episodi di attività: il primo, 300.000 anni fa, ha portato alla messa in posto del complesso trachidacitico basale (BTC), il secondo, 200.000 anni fa, ha invece prodotto complessi di duomi e flussi di lava da trachidacitici a trachitici e latitici (DLC), e flussi di lava olivinici con attività ultra-K (OLL). Come si vede dal diagramma precedente, le rocce ignee del Mt. Amiata risultano perciò come mixing tra un fuso crostale riolitico, derivante da sorgente pelitica, che da origine alle trachidaciti, e un magma basico, da mantello arricchito in K, che da origine alle latiti ultra-K.

Fig 2.8 Diagramma TAS per la classificazione

dei prodotti delle due attività del monte Amiata: BTC (a), OLC (b) e OLL (c).

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Fig 2.9 Rappresentazione grafica delle fasi di attività del Mt. Amiata

La forma della distribuzione superficiale e le direzioni di flusso del complesso basale, depostosi durante la prima fase eruttiva, mostrano una simmetria rispetto ad un allineamento con direzione ENE-WSW, come si vede dalla figura numero 4; questo suggerisce che la lava fluisse attraverso questa frattura. La parte periferica del complesso basale è tagliata da molte faglie con direzione da ENE a EW, sull’origine delle quali sono state formulate varie ipotesi. Mazzuoli e Pratesi (1963) e Calamai et alii.(1970), collegano queste faglie al collasso della caldera; una seconda ipotesi è quella proposta da Marinelli et alii (1993), secondo i quali la risalita diapirica del plutone avrebbe causato l’istaurarsi della fratturazione. Infine, Ferrari et alii (1996) per spiegare l’origine delle faglie propongono lo scivolamento laterale, soprattutto verso sud della copertura vulcanica e di parte del substrato sedimentario. Quest’ultima ipotesi meglio si accorda con le varie evidenze geologiche: l’uplift infatti è antecedente all’attività vulcanica e i movimenti di risalita sono avvenuti in tempi diversi; inoltre l’area interessata da tali movimenti è molto più estesa dell’area vulcanica.

Dati geologici, geofisici e petrologici confermano la presenza di un plutone sotto il Mt. Amiata a circa 5-6 km di profondità, immergente verso W, che scompare a W di

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Roccalbegna. Tale corpo magmatico avrebbe una temperatura minima di 575°C e una media di 820°C, una pressione di 1550-2200 bar, una densità di 2,15 gr/cm3, ed una forma a lente o fungo, ed è riconoscibile da una anomalia di bouguer negativa e dalla evidenze delle riflessioni sismiche. In base alle analogie con Larderello, si pensa che l’orizzonte K, limite fragile-duttile e livello di scorrimento per fluidi e gas nei sistemi geotermici, si trovi a 5-6 Km di profondità e sia proprio una discordanza crostale saturata in fluidi la cui culminazione coincide con l’anomalia termica generata dall’intrusione.

Fig 2.10 Mappa dell’anomalia di Bouguer che evidenzia la presenza di corpi magmatici

profondinel pressi del Monte Amiata.

Il campo geotermico nell’area del Mt. Amiata è un sistema acqua-dominato con temperature di 350°C a 3 km, ed è tutt’oggi sfruttato per la produzione di energia e l’alimentazione di paesi quali Bagnore, Piancastagnaio e S.Fiora. Purtroppo però a causa del forte impatto ambientale delle centrali geotermiche, gli investimenti su perforazioni e impianti sono ridotti, e non riescono perciò a sfruttare a pieno le risorse di questo campo. Il turismo

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estivo è una delle principali attività dell’area, e questo verrebbe danneggiato da una costruzione selvaggia delle centrali come si era iniziato a fare nei decenni passati.

2.4 INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL’AREA RILEVATA

In Toscana Meridionale, l’edificio strutturale è caratterizzato da allineamenti ad andamento meridiano di substrato separati mediante faglie dirette dai bacini neogenico-quaternari. Il substrato è costituito da unità tettoniche appartenenti alla catena collisionale formatasi tra il Cretaceo superiore e il Miocene superiore, in seguito alla collisione tra il margine europeo e quello africano.

L’area rilevata corrisponde ad un alto strutturale di substrato, situato ad Est della “dorsale” Monticano-Roccastrada, e separato da faglie dirette ad andamento Nord Sud dal bacino neogenico di Baccinello-Cinigiano ad Ovest e dal bacino dell’Ombrone-Orcia ad Est.

L’alto strutturale presenta una struttura costituita da un impilamento di unità tettoniche appartenenti all’Unità Toscana non metamorfica, all’Unità di Canetolo e alle Unità Liguri. Le diverse unità tettoniche presentano una strutturazione interna molto complessa che non interessa i contatti tettonici che le delimitano. Il rilevamento geologico ha però messo in evidenza che i contatti tettonici sono deformati in blande antiformi e sinformi a piano assiale verticale ed asse circa Nord-Sud. Al nucleo delle antiformi affiora in finestra tettonica l’Unità Toscana non metamorfica. Le principali finestre tettoniche si ritrovano nella parte meridionale della zona rilevata, in particolare nell’area di Monte Aquilaia, di Monte Labbro e della dorsale di Monte Buceto.

Nell’area rilevata è presente l’edificio vulcanico quaternario del Monte Amiata, un giovane vulcano siliceo lineare, con una estensione areale di circa 85 Km2, che ha avuto due episodi di attività: il primo, 300.000 anni fa, ha portato alla messa in posto del complesso

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trachidacitico basale (BTC), il secondo, 200.000 anni fa, ha invece prodotto complessi di duomi e flussi di lava da trachidacitici a trachitici e latitici (DLC), e flussi di lava olivinici con attività ultra-K (OLL). Le rocce ignee del Mt. Amiata derivano dal mixing di un fuso crostale riolitico, derivante da sorgente pelitica, che dà origine alle trachidaciti, e di un magma basico, da mantello arricchito in K, che dà origine alle latiti ultra-K.

Fig 2.11 Carta geologica della Toscana Meridionale, particolare dell’area in esame.

La forma della distribuzione superficiale e le direzioni di flusso del complesso basale, depostosi durante la prima fase eruttiva, mostrano una simmetria rispetto ad un allineamento con direzione ENE-WSW; questo suggerisce che la lava fluisse attraverso questa frattura. La parte periferica del complesso basale è tagliata da molte faglie con direzione da ENE a EW, sull’origine delle quali sono state formulate varie ipotesi.Dati geologici, geofisici e petrologici

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confermano la presenza di un plutone sotto il Mt. Amiata a circa 5-6 km di profondità, immergente verso W, che scompare a W di Roccalbegna.

L’edificio strutturale dell’area rilevata è costituito dall’impilamento delle seguenti unità tettoniche, dall’alto verso il basso:

• Unità Liguri: sono rappresentate dall’Unità Ofiolitica e dall’Unità della Pietraforte. L’Unità Ofiolitica affiora nelle porzioni marginali della carta ed è costituita dalle formazioni delle Argille a Palombini (Valanginiano superiore / Aptiano-Albiano? Santoniano?), dai basalti e dalle oficalciti.

L’Unità della Pietraforte è rappresentata esclusivamente dalla formazione della Pietraforte (Aptiano – Albiano / tardo Cretaceo), di cui affiorano il membro pelitico-arenaceo e quello pelitico-arenaceo; questa formazione costituisce dei rilievi morfologici presenti principalmente nell’area settentrionale, al nucleo delle sinformi prima descritte. • Unità di Canetolo: rappresenta le Unità Sub-liguri nella Toscana Meridionale ed è

costituita dalle formazioni delle Argille e Calcari (Eocene inferiore / Eocene superiore?) e del Flysch di Vico (Eocene inferiore / Eocene superiore). Giace indifferentemente sulla formazione del Macigno o, dove assente, direttamente sui membri della Scaglia Toscana.

• Unità Toscana non metamorfica: di questa unità affiorano le formazioni dal Giurassico inferiore al Miocene inferiore, ossia le Marne a Posidonomya (Lias superiore / Dogger), i Diaspri (Malm), la Maiolica (Titonico superiore / Cretaceo inferiore), la Scaglia Toscana (Aptiano-Albiano / Oligocene) ed il Macigno (Oligocene superiore / Miocene inferiore?). Vista l’estensione areale della formazione della Scaglia Toscana, è stato possibile distinguere in carta i membri che la costituiscono, che sono rappresentati, dal basso verso l’alto, dalle Argilliti di Brolio (Aptiano-Albiano / Cenomaniano), dalle

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Marne del Sugame (Paleocene / Eocene), dalle Argilliti del Cintoia (Eocene), dalle Calcareniti di Montegrossi (Paleocene / Eocene) e dalle Argilliti e Calcareniti di Dudda (Eocene superiore).

Figura

Fig 2.1  Carta geologica della Toscana. Schema delle unità stratigrafiche e strutturali dell’area
Fig 2.3  Evoluzione tettonica del Bacino Ligure e del margine paleoappenninico dal
Fig 2.4 Carte paleogeografiche schematiche dal Tortoniano superiore al Pleistocene inferiore
Fig 2.6 Età dei vari complessi igenei del Nord Appennino, proiettati lungo una sezione WSW-
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