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DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOBIOLOGIA E NEUROSCIENZE COGNITIVE

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DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOBIOLOGIA E NEUROSCIENZE COGNITIVE

“ IMPATTO PSICOLOGICO DELLA PANDEMIA DA COVID-19 IN UNA COORTE DI SOGGETTI CON

DISTURBI DEL SONNO ”

Relatore:

Chiar.mo Prof. FRANCESCO PISANI Controrelatore:

Chiar.mo Prof. LIBORIO PARRINO

Laureanda:

GLORIA CASTELLETTI

ANNO ACCADEMICO 2020-2021

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P a g . 1 | 233

INDICE

0. Abstract……….……….p.5

1. Sonno – definizione e descrizione……….………...………p.9

1.1 Definizione……….……….……….………...9

1.2 Neurofisiologia del sonno………..………..11

1.2.1 Neurofisiologia del ritmo circadiano………....11

1.2.2 Neurofisiologia del controllo omeostatico del sonno……….13

1.2.3 Neurofisiologia dell’integrazione del ritmo circadiano e del controllo omeostatico……….……….16

1.2.4 Neurofisiologia del ritmo ultradiano………..…17

1.3 Descrizione strutturale del sonno……….………..…21

1.3.1 Veglia……….……….21

1.3.2 Sonno……….…….22

1.3.2.1 Macrostruttura………..24

1.3.2.2 Microstruttura……….……….28

1.4 Evoluzione ontogenetica del sonno………..……….31

1.5 Impatto della qualità di sonno su qualità della vita e relative comorbilità mediche e psicopatologiche……….……….………..33

1.6 Disturbi del sonno (ICSD-3; DSM-5)……….………..………..36

1.6.1 Insonnia……….….41

1.6.2 Disturbi respiratori legati al sonno……….…….………45

1.6.3 Disordini centrali di ipersonnolenza………...……..48

1.6.4 Disturbi sonno-veglia del ritmo circadiano……….……….….52

1.6.5 Parasonnie………..……….54

1.6.6 Disturbi del movimento legati al sonno……….……….….57

1.7 Attività onirica: basi neurofisiologiche………..……….58

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P a g . 2 | 233 2. Elaborazione della pandemia da covid-19 e conseguenti ricadute su sonno e attività

onirica………..……….…………....p.61

2.1. Vissuto soggettivo e sonno durante la pandemia da COVID-19……….…….………..61

2.1.1. Vissuto psicologico ed emotivo durante la pandemia da COVID-19………61

2.1.1.1. Quadro psicologico………..…61

2.1.1.2. Meccanismo psicopatologico………..……….62

2.1.1.3. Una minaccia invisibile……….………62

2.1.1.4. Alterazione della sovrastruttura simbolica: disumanizzazione e squilibrio malessere-benessere………..………..………….62

2.1.1.5. Trauma e Stress collettivo: esperienza psicologica dei fattori di rischio………..63

2.1.1.6. Morte in solitudine e perdite ambigue: lutto senza cornice di significato e socializzazione del dolore………..…68

2.1.1.7. Infodemia: esiti psicologici dell’esposizione mediatica di traumi collettivi riguardanti focolai di malattie infettive………..……….…69

2.1.1.8. Fattori di rischio psicologici del vissuto di quarantena………...70

2.1.1.9. Vissuto psicologico conseguente a infezione diretta da COVID-19…………..…71

2.1.2. Ricadute sul sonno durante la pandemia da COVID-19………..………..73

2.1.2.1. Alterazioni sul sonno e rispettivi fattori causali………73

2.1.2.2. Fattori di rischio per l’insorgenza di disturbi del sonno durante il vissuto di quarantena………...….75

2.1.2.3. Disturbi del sonno conseguenti a infezione diretta da COVID-19………..77

2.1.2.4. Disturbi del sonno e alterazioni dello stato psicologico………..………..78

2.2. Disturbi di sonno e psicopatologici pregressi come fattori rilevanti nel vissuto pandemico……….………80

2.2.1. Rilevanza di disturbi psicopatologici pregressi durante il vissuto pandemico...80

2.2.2. Rilevanza di disturbi di sonno pregressi durante il vissuto pandemico………...84

2.3. Il ruolo della presenza di disturbi del sonno sulla sfera psicologica e psicopatologica durante la pandemia: conclusione di bidirezionalità………...86

2.4. Il ruolo dell’attività onirica nell’elaborazione del vissuto traumatico della pandemia………...88

2.4.1. Definizione e descrizione di attività onirica………88

2.4.2. Il ruolo dell’attività onirica nell’elaborazione emotiva di vissuti traumatici………92

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2.4.2.1. Quadro teorico di riferimento per l’elaborazione onirica del trauma……….95

2.4.3. Elaborazione onirica della pandemia di COVID-19……….…98

3. SLEEP-IMPACT – studio sull’ “Impatto psicologico della pandemia da COVID-19 in una coorte di soggetti con disturbi del sonno: studio longitudinale monocentrico” ………..………...p.103 3.1. Introduzione allo studio……….103

3.1.1. Obiettivo……….……….104

3.1.2. Disegno dello studio……….………...…………104

3.1.3. Durata………..………....…………104

3.1.4. Considerazioni etiche……….………..…..………104

3.1.5. Campione….………..………...104

3.2. Metodo………..………105

3.2.1 Acquisizione dei dati e questionari utilizzati………..……….………106

3.2.2 Premessa all’analisi statistica………….………..……….…….107

3.2.2.1 Potenza dello studio e analisi dei dati……….………..…107

3.2.2.2 Descrizione del campione……….……108

3.3. Risultati……….………..……111

3.3.1. Analisi differenziale sulla base dei disturbi del sonno………..………111

3.3.1.1. Descrizione………..………..111

3.3.1.2. Risultati dei questionari………..……….…113

3.3.2. Analisi differenziale sulla base dell’eventuale infezione e ospedalizzazione per COVID- 19……….……….……….……….…119

3.3.3. Analisi comparativa della qualità di sonno……….……….128

3.3.3.1. Variazione delle abitudini di sonno a causa della pandemia……….128

3.3.3.2. Variazione della durata di sonno a causa della pandemia……….………...….128

3.3.3.3. Valutazione della qualità di sonno (PSQI)………...129

3.3.3.3.1. PSQI – gruppo di appartenenza…………..……….…………135

3.3.3.3.2. PSQI – genere………..……….136

3.3.3.3.3. PSQI – genere e infezione da COVID-19……….………138

3.3.3.3.4. PSQI – genere e ricovero per infezione da COVID-19……….…………..140

3.3.3.3.5. PSQI – cambiamento lavorativo……….……….…141

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3.3.3.4. Valutazione dei casi di alimentazione notturna……...………..142

3.3.4. Analisi comparativa dell’impatto su salute fisica ed emotiva……….………146

3.3.4.1. Variazione della dose farmacologica………..……….146

3.3.4.2. Valutazione della qualità della vita (SF-36)………..………..147

3.3.4.3. Valutazione dello stato fisico (SF-36)……….….148

3.3.4.4. Valutazione dello stato emotivo e mentale (SF-36)………..……….149

3.3.4.5. SF36 – genere………..……….150

3.3.4.6. SF36 – età………..………..152

3.3.5. Analisi comparativa dell’impatto psicologico……….……….…….152

3.3.5.1. Valutazione di eventuale presenza e trattamento di disagi psicologici…...152

3.3.5.2. Valutazione della percezione di limitazione dovuta al COVID-19 (PCFS)………..………156

3.3.5.2.1. PCFS – genere e gruppo di appartenenza……….….159

3.3.5.3. Valutazione di eventuale ansia disfunzionale legata al COVID-19 (CAS)………165

3.3.5.3.1. CAS – genere e gruppo di appartenenza……….………170

3.3.6. Analisi comparativa dell’attività onirica………175

3.3.6.1. Variazione emozioni oniriche e PCFS………183

4. Discussione………....………p. 185 4.1. Valore e punti critici dello studio……….………..………185

4.2. Conclusioni dello studio………...………..185

4.3. Analisi critica……….190

5. Bibliografia di riferimento……….………..p. 195 5.1. Fonti delle immagini………..232

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Abstract

La pandemia di Covid-19 ha prodotto ampie conseguenze psicologiche e il sonno è risultato essere uno dei più comuni “bersagli” indiretti. Finora l'impatto della pandemia in pazienti con disturbi del sonno preesistenti non è stato esaminato in dettaglio – pertanto, il presente studio si prefigge l’obiettivo di valutare l'impatto psicologico e clinico della pandemia in una coorte di pazienti adulti affetti da disturbi del sonno, rispetto a soggetti senza disturbi del sonno. La valutazione è stata eseguita attraverso l'uso di domande anamnestiche ad hoc, l'esplorazione del contenuto dei sogni e l’uso di questionari validati-standardizzati: Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI), Short-Form 36 items health Survey (SF36), Post-COVID-19 Functional Status (PCFS), Coronavirus Anxiety Scale (CAS).

I risultati hanno rivelato una seria compromissione della qualità del sonno e della presenza di disturbi del sonno o diurni ad essi correlati nella popolazione campionaria, con una condizione di gravamento nei soggetti con precedenti disturbi del sonno. Essi, oltre a presentare una peggiore latenza di sonno, durata di sonno ed efficacia di sonno, presentano un maggiore uso di ipnotici e farmaci per cause direttamente associate alla pandemia; nei casi di polipatologie del sonno, inoltre, si riscontra una compromissione significativa della vita quotidiana a causa di malesseri della sfera fisica ed emotiva correlati alla pandemia.

Nei soggetti con disturbi del sonno pregressi si riscontra specificatamente un maggior carico sulla salute fisica, al contrario rispetto ai controlli hanno un minor carico sulla salute mentale ed emotiva. Per meglio inquadrare i risultati, i soggetti con disturbi del sonno risultano aver sperimentato una minore variazione delle abitudini di sonno e della durata di sonno direttamente causati dalla pandemia, congiuntamente ad un minore impatto sull'attività onirica in termini di contenuto, emotività e presenza di sogni ricorrenti. L’alterazione dell’emotività onirica risulta correlata significativamente all’alterazione della percezione di limitazione dovuta alla

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P a g . 6 | 233 pandemia e alle conseguenze emotive ad essa riconducibili, in particolare nel gruppo dei controlli, sia durante la prima (2020) che seconda ondata (2021). L’osservazione delle ripercussioni sui singoli disturbi del sonno, in funzione delle rispettive note caratteristiche e di come esse possano interfacciarsi diversamente con le alterazioni dovute al vissuto pandemico, fornisce a riguardo un punto di vista interessante: il disturbo respiratorio in sonno determina una maggiore esposizione a infezione COVID-19 e ricovero; il disturbo del ritmo circadiano, in funzione della sua sensibilità al ciclo sonno-veglia, presenta le medesime ripercussioni dei controlli su percezione di compromissione della qualità di sonno, qualità della vita, ansia disfunzionale e percezione di limitazione dovuta a cause esterne e all’impatto emotivo che esse hanno determinato.

In conclusione, la presenza di disturbi del sonno sembra essere un fattore di carico che coesiste con fattori compensatori. Sebbene la pandemia abbia impattato più fortemente nei soggetti con disturbi del sonno in termini di salute fisica, dal punto di vista di impatto differenziante dalla condizione pre-pandemica, vissuto emotivo e mentale, la presenza di disturbi del sonno pregressi risulta esser correlata ad una compromissione minore rispetto ai soggetti di controllo.

Lo studio sottolinea la necessità di sensibilizzare l’attenzione sui pazienti con disturbi del sonno, in modo particolare di genere femminile, in quanto maggiormente vulnerabili in caso di vissuti traumatici, stressanti o drammatici come testimoniato dalle ripercussioni su benessere e stato clinico dovute al vissuto pandemico.

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P a g . 7 | 233 The Covid-19 outbreak produced extensive psychological consequences, and sleep was found to be one of the most common indirect "targets". To date, the impact of the pandemic in patients with pre-existing sleep disorders has not been examined in detail - therefore, the present study aims to assess the psychological and clinical impact of the pandemic in a cohort of adult patients with sleep disorders, compared to subjects without sleep disorders. The assessment was performed through the use of ad hoc anamnestic questions, exploration of dream content, and the use of validated-standardized questionnaires: Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI), Short- Form 36 items health Survey (SF36), Post-COVID-19 Functional Status (PCFS), Coronavirus Anxiety Scale (CAS).

The results revealed a serious impairment of sleep quality and the presence of sleep or diurnal related disorders in the sample population, with a burdened condition in subjects with previous sleep disorders. They, in addition to presenting a worse sleep latency, sleep duration and sleep efficacy, present a greater use of hypnotics and drugs for causes directly associated with the pandemic; in cases of sleep polypathology, moreover, there is a significant impairment of daily life due to discomfort of the physical and emotional sphere related to the pandemic.

In subjects with previous sleep disorders there is specifically a greater burden on physical health, in contrast to controls have a lower burden on mental and emotional health. To better frame the results, subjects with sleep disorders appear to have experienced less change in sleep habits and sleep duration directly caused by the pandemic, jointly with less impact on dream activity in terms of content, emotionality, and presence of recurrent dreams. The alteration of oneiric emotionality appears to be significantly correlated with the alteration of the perception of limitation due to the pandemic and the emotional consequences attributable to it, particularly in the group of controls, both during the first (2020) and second wave (2021). The observation of the repercussions on the individual sleep disorders, according to their respective known characteristics and how they may interface differently with the alterations due to the pandemic

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P a g . 8 | 233 experience, provides an interesting point of view in this regard: sleep-disordered breathing results in greater exposure to COVID-19 infection and hospitalization; circadian rhythm disorder, depending on its sensitivity to the sleep-wake cycle, has the same repercussions as controls on perceived impaired sleep quality, quality of life, dysfunctional anxiety, and perceived limitation due to external causes and their emotional impact.

In conclusion, the presence of sleep disturbance appears to be a burden factor that coexists with compensatory factors. Although the pandemic has impacted more strongly in subjects with sleep disorders in terms of physical health, from the point of view of differentiating impact from the pre-pandemic condition, emotional and mental experience, the presence of previous sleep disorders appears to be related to a lower impairment than control subjects.

The study emphasizes the need to raise awareness of patients with sleep disorders, especially women, as they are more vulnerable in case of traumatic experiences, stressful or dramatic as evidenced by the repercussions on well-being and clinical status due to the pandemic experience.

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1. Sonno – definizione e descrizione

1.1 Definizione

Volendo trarre una definizione univoca e sintetica dello stato di “sonno”, esso è definibile innanzitutto come stato uno essenziale, conservato nel corso della filogenesi fino all’essere umano (Cirelli and Tononi, 2008), nonché comportamento universale e strettamente regolato, che non può essere eliminato senza conseguenze dannose per l’organismo stesso (Ross, 1965;

Cirelli and Tononi, 2008; Dement, 1976). Il sonno si configura come un fenomeno neurobiologico e comportamentale molto complesso e periodicamente necessario. Il caratteristico pattern elettrofisiologico, la durata e la caratteristica reversibilità alla veglia distinguono lo stato di sonno da altri stati similari, come lo stato di anestesia, ibernazione o coma (Carskadon and Dement, 2011). Risulta esplicativo tenere in considerazione che il sonno è un processo omeostatico durante il quale i neuroni corticali presentano oscillazioni lente nel potenziale di membrana, riscontrabili tramite elettroencefalogramma, definite “attività ad onde lente” (SWA) (Tononi e Cirelli, 2003, 2006, 2017).

Completando la definizione dal punto di vista comportamentale, il sonno risulta caratterizzato da uno stato di mobilità assente o molto diminuita, occhi chiusi e una condizione di coscienza reversibile dalla sollecitazione mediante adeguati stimoli sensoriali (Zepelin, 2000).

Dal punto di vista della coscienza, il sonno si configura come un’interruzione reversibile dello stato di veglia caratterizzata da perdita di vigilanza, ossia da una ridotta reattività cosciente agli stimoli ambientali contingente ad un aumento della soglia percettiva.

Il sonno è intrinsecamente un processo attivo che coinvolge tutto l’organismo, durante il quale a livello del sistema nervoso centrale hanno luogo processi indispensabili per la successiva fase di veglia e una contingente modificazione delle funzioni di altri organi e apparati a scopo di mantenimento dell’omeostasi dei rispettivi sistemi (Zepelin, 2000). Il sonno, come noto infatti, influenza tutte le funzioni corporee e mentali, dalla regolazione dei livelli ormonali al tono

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P a g . 10 | 233 muscolare, dalla regolazione della frequenza di respiro al contenuto dei processi mentali.

Tenendo conto di queste peculiari modificazioni, risulta evidente che l’attività elettrica di tutto il cervello si modifica significativamente durante il sonno (Kandel et al., 2014).

Il sonno, inoltre, si caratterizza per l’essere una forma di comportamento definito “circadiano”

(dal latino “circa diem”, ossia “intorno alle 24 ore”) (trattato in “1.2.1 Neurofisiologia del ritmo circadiano”) ed è a sua volta composto da ulteriori fasi cicliche definite “ultradiane” (trattato in

“1.2.4 Neurofisiologia del ritmo ultradiano”). In tutte le specie è osservabile che il periodo di sonno risulta dettato dalla rotazione della terra e da segnali temporali (zeitgeber, in tedesco) indicanti il ciclo giorno-notte. Studi effettuati su soggetti in isolamento, privati di qualsiasi indicazione relativa a zeitgeber, hanno permesso di osservare la natura endogena e variante per ogni individuo della durata del ritmo circadiano (Aschoff, 1965). Al ciclo sonno-veglia si affiancano ulteriori ritmi circadiani dell’organismo presentanti livelli massimali e minimali durante il giorno: il livello dello stato di vigilanza, la capacità di svolgere compiti cognitivi, la temperatura corporea, il rilascio di ormoni e lo stato funzionale del rene. Essi seguono ritmi endogeni di 24 ore che, in condizioni normali, risultano sincronizzati al ciclo giorno-notte (Purves et al., 1997; Kandel, 2014).

Una visione completa inquadra il sonno sotto non esclusivo controllo del ritmo circadiano ma bensì anche della regolazione omeostatica (trattato in “1.2.2 Neurofisiologia del controllo omeostatico”). Nello specifico, il tempo intercorso dall’ultimo periodo completo di sonno, ossia il deficit di sonno, e il ritmo circadiano che stabilisce una ritmicità dello stato di vigilanza, comportano in maniera determinante l’insorgere di sonnolenza. Ai due fattori citati se ne associano e annettono ulteriori che possono alterare la tendenza spontanea al sonno (trattato in 1.6 “Disturbi del sonno”) (Kandel, 2014).

Lo studio oggettivo del sonno è possibile mediante la polisonnografia: un esame poligrafico che associa la misurazione dell’attività cerebrale (EEG), dei movimenti oculari (EOG) e del

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P a g . 11 | 233 tono muscolare (EMG) e di altri parametri cardiorespiratori, la cui analisi ci consente di operare una distinzione dei diversi stadi del sonno.

1.2 Neurofisiologia del sonno

1.2.1 Neurofisiologia del ritmo circadiano

Come introdotto precedentemente, il sonno è un processo attivo che coinvolge tutto l’organismo.

Il meccanismo di sincronizzazione dei diversi ritmi circadiani, a loro volta sincronizzati al ritmo di sonno, si deve ad un meccanismo che vede il coinvolgimento di un piccolo numero di cellule ganglionari della retina che risponde direttamente alla luce e proietta al nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo [suprachiasmatic nucleus (SCN) - situato nell’ipotalamo anteriore, posto al di sopra del chiasma ottico, in corrispondenza del quale il nervo ottico decussa al di sotto dell’ipotalamo] (Purves et al., 1997). Il nucleo soprachiasmatico, ricevendo dunque afferenze direttamente dalla retina attraverso il tratto retino-ipotalamico, è informato sulle condizioni di luminosità esterna e a sua volta stimola l’epifisi al rilascio di melatonina, che oltre a promuovere il sonno è un forte sincronizzatore (Chowdhury et al., 2008). Come si evince dunque, la peculiare organizzazione anatomica del nucleo soprachiasmatico permette a questa struttura di coordinare la sua attività neuronale circadiana e integrare fattori temporali esterni, quali condizioni di luminosità, temperatura ecc., modulando i cicli circadiani (Chowdhury et al., 2008).

La frequenza di scarica dei neuroni del nucleo soprachiasmatico segue un ritmo circadiano endogeno (Sanchez-Vives e McComick, 2000; von Krosigk et al., 1993). Come constatabile dall’andamento di rilascio del neurotrasmettitore vasopressina, questi stessi neuroni svolgono un ruolo di pacemaker organizzando l’andamento circadiano del sonno con l’attività circadiana sincronizzata allo stimolo ambientale di luce (Earnest e Sladek, 1987). Le basi molecolari dei

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P a g . 12 | 233 cicli circadiani sono state ampliamente studiate nelle piante (Bunning, 1969), nella drosophila melanogaster (Rensing et al., 1968) e nei mammiferi (Ashkenazi et al., 1993) – in cui è stato riscontrato che i ritmi circadiani, incluso il ciclo veglia-sonno, sono regolati in maniera endogena dal nucleo soprachiasmatico (Gooley and Saper, 2011). Nello specifico, la regolazione circadiana è mantenuta intracellularmente attraverso un controllo a feedback positivo e negativo della trascrizione di geni quali: Clock, Bmal1 (attivatori della trascrizione), Per e Cry (Pace-Schott and Hobson, 2002). Il meccanismo, per la precisione, è composto da un circuito di trascrizione e feedback - costituente la componente centrale del meccanismo circadiano e un circuito modulatorio - adibito alla stabilizzazione del ritmo circadiano (Kandel, 2014). In conclusione, dunque, è alla modulazione operata dal nucleo soprachiasmatico che si deve la fisiologica fluttuazione della propensione al sonno durante la giornata (Cirelli, 2009).

A sostegno, inoltre, di un coinvolgimento sistemico dell’intero organismo, è stato constatato che si deve al nucleo soprachiasmatico il ruolo di controllore delle oscillazioni ritmiche degli

‘orologi interni’ di altri organi del corpo, la cui funzionalità circadiana dipende dai segnali provenienti dal nucleo soprachiasmatico stesso. Per queste sue caratteristiche, il nucleo soprachiasmatico viene considerato l’orologio biologico interno “master” dal quale dipendono tutti gli altri orologi endogeni, detti “slave”.

Alcune aree dell’ipotalamo ricevono afferenze dal nucleo soprachiasmatico e sono implicate nell’integrazione dei segnali efferenti del nucleo soprachiasmatico. Nello specifico un elevato numero di assoni provenienti dal nucleo soprachiasmatico termina nelle zone subparaventricolari dorsale e ventrale dell’ipotalamo. La zona subparaventricolare dorsale proietta a sua volta ad aree coinvolte nella regolazione dei ritmi circadiani della temperatura corporea, mentre la zona subparaventricolare ventrale e il nucleo dorsomediale dell’ipotalamo sono implicati nel ciclo sonno-veglia. Lesioni al nucleo dorsomediale, infatti, comportano l’interruzione dei cicli circadiani del ciclo sonno-veglia, nonché l’interruzione dell’assunzione di cibo, della locomozione e secrezione di corticosteroidi, rendendo ipotizzabile un

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P a g . 13 | 233 coinvolgimento del nucleo dorsomediale dell’ipotalamo come via finale comune di alcuni ritmi circadiani (Kandel, 2014).

Sebbene il nucleo soprachiasmatico sia fondamentale per la genesi e sincronizzazione del ritmo circadiano, esso non risulta avere però un ruolo nella generazione del ritmo ultradiano di sonno e dello stato di vigilanza, per i quali risulta invece essenziale il tronco dell’encefalo e l’ipotalamo. Considerando unitariamente che a) la stimolazione elettrica delle regioni anteriori del tronco dell’encefalo provoca uno stato di vigilanza del proencefalo (via afferente “sistema attivante ascendente”), b) che insieme ad alcune regioni dell’ipotalamo ad esse si attribuisce la responsabilità dello stato di veglia (Moruzzi e Magoun, 1949) e c) che la localizzazione dei gruppi neurali responsabili della genesi dell’attivazione cerebrale, atonia muscolare e movimenti rapidi degli occhi del sonno REM risiede in una regione circoscritta del ponte e del bulbo, risulta evidente che il tronco dell’encefalo funge da organizzatore centrale di controllo dello stato di vigilanza e di componenti del sonno REM (Kandel, 2014).

1.2.2 Neurofisiologia del controllo omeostatico del sonno

I meccanismi autoregolatori, prevedendo la considerazione del precedente periodo di veglia, permettono una modulazione della regolazione del sonno rendendola non meramente meccanica come sarebbe se esclusivamente attribuita al processo circadiano (Cannon, 1932).

Evidenze in merito sono riscontrabili da protocolli sperimentali che prevedono la messa in crisi dell’intero meccanismo ipnico mediante deprivazione parziale o totale di sonno, ossia riduzione o assenza del tempo passato in sonno (deprivazione totale acuta di sonno= lunga: >45h, breve:

<45h; Deprivazione parziale con restrizione delle ore di sonno= < 7h/notte). Sia negli studi effettuati su modello animale che umano è stato riscontrato nella fase di addormentamento successiva ad una deprivazione di sonno un effetto di rebound, caratteristico di tutti i processi

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P a g . 14 | 233 omeostatici, manifestato da un aumento delle ore passate in sonno rispetto ad una condizione basale.

Analizzando nello specifico le conseguenze di una deprivazione di sonno si osserva, in modo diverso sia nelle fasi NREM che REM, un aumento compensatorio della durata e intensità di sonno accompagnata da un aumento della soglia di risveglio e minore frammentazione di sonno.

Precisamente si denota, soprattutto nella prima parte del sonno che segue una deprivazione, un aumento del sonno NREM, in particolare degli stadi N3 e N4, nonché da un aumento di intensità dello stesso manifestato dall’aumento della quantità e ampiezza delle onde lente (SWS, misurate mediante la potenza della banda Delta nell’EEG - potenza spettrale nell'intervallo 0,75 - 4,5 Hz), a discapito delle altre fasi di sonno NREM e REM (Belenky et al., 2003; Brunner et al., 1993; Guilleminault et al., 2003; Van Dongen et al., 2003), palesando in questo modo l’importanza di queste caratteristiche di sonno (Berger e Oswald, 1962; Carskadon e Dement, 2011; Dement e Greenberg, 1966; Webb e Agnew, 1965). Infatti, come dimostrato nell’uomo, la potenza Delta nel sonno NREM deriva dalla durata dello stato di veglia antecedente (Dijk et al. 1990). Dunque, quando il soggetto si sveglia il bisogno di sonno passa da una condizione minima, data dal recente ristoro, ad un aumento graduale durante il progredire della veglia secondo un processo omeostatico. Una veglia prolungata, a prescindere dal raggiungimento di una condizione di totale deprivazione di sonno, comporta un aumenta della pressione al sonno.

Tale pressione termina con l’attuazione dell’attività ipnica. La Slow Wave Activity (SWA) durante il sonno NREM si configura come uno degli indicatori più importanti della necessità di sonno, in funzione del tempo di veglia, e l’analisi spettrale dei segnali EEG consente di riconoscere il processo costante e omeostatico sottostante al ciclo sonno-veglia e a quello di sonno NREM – REM che si riflette nella variazione temporale dell’attività delta (SWA) nel sonno NREM durante tutto il periodo del ciclo sonno-veglia (Tobler, 2011).

(16)

P a g . 15 | 233 Oltre all’incremento delineato, si riscontra un evidente incremento di sonno REM, che manifesta una regolazione omeostatica molto scrupolosa. Mediante studi condotti su modello animale (mammiferi: roditori e gatti), si denota specificatamente un aumento di sonno REM proporzionale alla quantità di sonno REM precedentemente persa (Amici et al., 2008). Il recupero è manifestato dall’aumento della frequenza degli episodi di sonno REM e da un accrescimento della potenza Theta nell’EEG durante il sonno REM nel periodo di recupero (Amici et al., 2008; Cerri et al.,2005). Le evidenze sperimentali indicano che tale tendenza dipende specificatamente dalla quantità di sonno REM non sostenuto (Amici et al., 2008; Endo et al., 1998; Vivaldi et al., 1994). Il sonno REM risulta essenziale al mantenimento del funzionamento dei circuiti cerebrali di regolazione metabolica (Rechtschaffen, 1998), infatti, la sua privazione, totale o parziale, conduce a una sindrome metabolica caratterizzata da ipotermia e conseguente morte (Rechtschaffen, 1993).

Prendendo in considerazione gli effetti specifici sull’uomo, si constata una grande complessità dei processi regolatori in quanto, una deprivazione selettiva del sonno REM o modesta estensione della veglia, non sono seguite invariabilmente da un rebound di sonno REM (Cartwright et al., 1967) e il rebound si riscontra solo a seguito di una deprivazione prolungata totale di sonno <60 ore [nello specifico: 64 ore (Williams et al., 1964), 108 ore (Berger e Oswald, 1962), 205 ore (Kales et al., 1970)]. I dati sulla privazione di sonno parziale che inducono esclusivamente un deficit di sonno NREM minore tramite restrizione di sonno alle prime 4 ore dell'episodio di sonno abituale, evidenziano la determinazione di un rebound REM immediato e coerente (Brunner et al., 1993; Brunner et al., 1990). In aggiunta, nei casi di privazione di sonno REM nelle prime 5 ore di sonno – lasso di tempo in cui l’intensità di sonno NREM si può dissipare –, si riscontra un rebound REM nell’ultima parte di sonno (Beersma et al., 1990). Il quadro generale evidenzia dunque che il sonno REM è regolato da meccanismi omeostatici sensibili ma poco indagabili a causa dell’interferenza di altri fattori.

(17)

P a g . 16 | 233 Gli studi sulla privazione selettiva di sonno REM, dunque, mostrano la presenza di un recupero immediato del sonno REM perduto, palesando come l’omeostati consista in una compensazione adattiva.

1.2.3 Neurofisiologia dell’integrazione del ritmo circadiano e del controllo omeostatico In conclusione, dunque, il ritmo circadiano (C) che consiste nelle fluttuazioni ritmiche endogene nell’arco delle 24 ore di propensione al sonno e del ritmo omeostatico (S), che consiste nella propensione progressiva al sonno durante la progressione della veglia, attuano vicendevolmente un’integrazione (Borbely, 2009).

Il modello matematico elaborato esplica questa integrazione assegnando un valore a ciascun processo, circadiano e omeostatico, ed esplicitando la propensione al sonno come differenza tra i due valori (Borbely, 2009).

La rappresentazione (figura 1. A) risulta esplicativa dell’integrazione: nelle ore del mattino si riscontra debito di sonno nullo e ritmo circadiano al minimo – la differenza tra i due processi è zero e si ha il risveglio. Nelle ore successive della mattinata si nota la crescita progressiva di entrambi i processi – la differenza tra i due processi, dunque la propensione al sonno, presenta un valore inizialmente basso e poi crescente fino al raggiungimento delle ore serali in cui al crescere delle ore di veglia accumulare cresce la necessità di sonno e parallelamente si assiste ad una decrescita del ritmo circadiano determinando l’inizio del sonno. L’attività di sonno resetta il debito di sonno comportando un rinnovato azzeramento della differenza dei due processi, giungendo nuovamente al risveglio.

Figura 1 Rappresentazione grafica del modello a due processi.

A. Interazione tra processo circadiano (C) e omeostatico (S) in un normale ciclo sonno-veglia: la propensione al sonno aumenta durante il giorno (area gialla) e diminuisce durante il sonno (area blu).

B. Interazione tra i suddetti processi durante deprivazione di sonno [adattato da McCormick e Westbrook, 2011]

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P a g . 17 | 233 Osservando il caso di deprivazione di sonno (figura 1. B) è osservabile una manifestazione di difficoltà nel mantenimento della veglia durante la fascia oraria 3:00 – 4:00 a.m. a causa dell’accrescimento del debito di sonno (S) contingente al raggiungimento del minimo del ritmo circadiano (C). Il processo circadiano non risente della deprivazione, essendo endogeno, mentre il processo omeostatico (S) mostra un rapido accumulo e un accrescimento della distanza dal processo circadiano, palesando un incremento conseguente alla propensione al sonno (McCormick and Westbrook, 2011).

1.2.4 Neurofisiologia del ritmo ultradiano

Il fenomeno del sonno e l'alternanza del ciclo sonno-veglia sono fenomeni attivi endogeni che risultano, secondo numerose evidenze, regolati da strutture che risiedono nel tronco cerebrale a livello del ponte. Un ingente numero di studi evidenzia il ruolo del tronco dell’encefalo nel controllo dei meccanismi del sonno. L’ipotesi di Hess (Hess, 1927) e Von Economo (Economo von, 1929) sull’esistenza di centri ipnogeni specifici si affianca alla scoperta di Jouvet sull’esistenza delle onde ponto-genicolo-occipitali (PGO), ossia di segnali che dal ponte procedono, passando attraverso il talamo, alle aree occipitali visive e associative corticali (Jouvet, 1962). Jouvet per primo, infatti, indica il ponte come zona fondamentale di smistamento dei segnali diretti all’encefalo. Queste evidenze confermano le osservazioni di Moruzzi e Magoun in merito alla Formazione Reticolare Attivante (Moruzzi e Magoun, 1949), termine col quale viene indicata una zona del tronco encefalico che in animali dormienti, se stimolata elettricamente con impulsi ad alta frequenza, fornisce un quadro EEG di desincronizzazione ed un comportamento di risveglio.

L’osservazione di una dicotomia strutturare del sonno tra stadi NREM e REM ha comportato una tendenza alla ricerca di singoli centri e neurotrasmettitori responsabili di ciascuno dei due

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P a g . 18 | 233 stati di sonno, sebbene sia opportuno considerare un’intrinseca impossibilità di delimitazione netta delle varie aree e che allo stato attuale un gran numero di interconnessioni non sono note.

Il modello del controllo di stato per interazione reciproca ascrive la progressiva maggiore eccitabilità della popolazione neuronale esecutiva (cellule “REM-on”) ad una disinibizione della popolazione modulatrice (cellule “REM-off”) (Hobson, 1987).

Le regioni cui si attribuisce un ruolo chiave nel controllo del sonno NREM sono i nuclei aminergici caudali bulbopontini, nello specifico il Locus Coeruleus [la cui locazione è nel ponte a livello del pavimento del IV° ventricolo] ed il Rafe Dorsale [avente locazione nel bulbo], le Regioni Preottiche e i Nuclei Intralaminari del talamo in quanto vi sono presenti neuroni, definiti cellule “REM-off”, che mostrano un attività di scarica in fase di veglia e di sonno NREM, viceversa un’attività minima durante la fase di sonno REM. Il passaggio dallo stato di veglia a quello di sonno NREM, nello specifico dunque con riferimento ai primi stadi N1 e N2, non è noto allo stato attuale. L’ipotesi (Hobson, 1990) relativa sostiene sia attribuibile ad un cambiamento di locazione dell’attività neuronale a livello del talamo e della corteccia mediante un doppio meccanismo dato da una variazione del grado di depolarizzazione e iperpolarizzazione che altera la proprietà di membrana dei neuroni talamo-corticali, comportando alterazioni della soglia calciodipendente, delle correnti del sodio e della conduttanza del potassio. In questo modo viene convertito il ritmo alfa caratteristico dello stato di veglia a riposo nei fusi del sonno (sleep spindles) caratteristici dello stadio N2 di sonno NREM. Al meccanismo citato si affianca il contributo degli impulsi provenienti dai nuclei reticolari talamici e dai circuiti intrinseci del talamo, generati da segnali provenienti dal tronco dell’encefalo e che subiscono una modulazione aminergica da parte del Locus Coeruleus e del Nucleo Dorsale del Rafe, il cui coinvolgimento è stato precedentemente citato. La rispettiva attività di scarica, nello specifico di produzione di noradrenalina e in minor misura di acetilcolina nel caso del Locus Coeruleus e di serotonina nel caso del Nucleo Dorsale del Rafe,

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P a g . 19 | 233 è maggiore nello stato di veglia e di sonno NREM, al minimo durante la fase REM. Tale constatazione ha permesso l’introduzione dell’ipotesi di un rispettivo ruolo inibitorio sul sonno REM, identificando queste cellule come “REM-off”. Un ulteriore regione in cui sono state individuate cellule con caratteristica REM-off è la Regione Peribrachiale.

Nel tegmento peduncolo-pontino (PPT) e nel tegmento dorsolaterale (DT), entrambi nuclei a mediazione colinergica, e nella Regione Pontina Gigantocellulare (FTG), il cui neuromediatore è sconosciuto, sono state individuate cellule definite “REM-on”. Le cellule della Regione Pontina Gigantocellulare (FTG), nello specifico, mostrano a) selettività [presentando una concentrazione di scariche durante il sonno REM], b) latenza tonica [a causa della presente anticipazione dei periodi di sonno REM], c) latenza fasica [a causa della presenza di raffiche che precedono il sonno REM], d) influenze facilitanti sulla corteccia (PGO), e) andamento fasico [ossia una tendenza a scaricare in fasci più lunghi e fitti] e f) periodicità [ossia frequenza pari a quella del sonno REM] (Hobson, 1992). Il ruolo della Regione Pontina Gigantocellulare (FTG) tuttavia non si ritiene ancora esaustivamente noto ma si ipotizza possa esercitare a) influenze inibitorie sul midollo spinale, cui si deve l’atonia muscolare durante il sonno REM, al contempo b) influenze facilitanti sulla corteccia (PGO), provocando lo stato di attivazione e c) influenze sui nuclei dei muscoli oculomotori comportando l’inizio degli impulsi per i caratteristici movimenti oculari rapidi di questa fase di sonno (REM) (Yamamato K. Et al., 1990). Tale ipotesi si basa sull’assunto che la formazione reticolare stessa è il sistema premotorio adibito alla generazione dei movimenti oculari durante la veglia; quindi, presumibilmente le cellule giganti possono svolgere un ruolo analogo nella generazione dei movimenti oculari sia in veglia che durante il sonno REM (Hobson, 1987). A sostegno dell’ipotesi, inoltre, la Regione Pontina Gigantocellulare (FTG) ha numerose connessioni con tutte le altre zone designate al controllo del sonno.

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P a g . 20 | 233 Le già citate influenze facilitanti sulla corteccia (PGO) sembrano originare dal Nucleo Peribrachiale del ponte del tronco dell’encefalo [regione citata precedentemente per l’individuazione di cellule REM-off - è nucleo sia colinergico che noradrenergico], proseguire passando per il Nucleo Genicolato Laterale ed il Settore Pregenicolato del Nucleo Talamico Reticolare fino alle aree occipitali visive e corticali associative. Le influenze facilitanti sulla corteccia (PGO), inducendo la caratteristica attivazione corticale durante il sonno REM, consistono al contempo uno dei parametri elettrofisiologici fondamentali per la determinazione e individuazione del sonno REM. Ponendo l’attenzione sull’eccitabilità delle cellule “REM- on”, cui si attribuisce l’attivazione dello stadio REM del sonno, si osserva che la rispettiva eccitabilità è minima durante la veglia, aumenta gradualmente in modo progressivo durante gli stadi NREM e arriva a livelli massimi durante lo stadio REM.

Allo stato attuale non è nota la modalità con cui il sistema aminergico viene disattivato e il meccanismo d'interazione di questo sistema con l'oscillatore circadiano ipotalamico (Hobson, 1987).

Evidenze sperimentali hanno constatato che mediante microiniezioni nel ponte di agonisti colinergici o sostanze inibitrici della colinesterasi è possibile indurre sperimentalmente uno stadio di sonno REM. A livello del ponte, nello specifico nel tegmento pontino anterodorsale vicino la parte laterale del nucleo ventrale del tegmento (di Gudden) è stata individuata una zona cilindrica, denominata “colinocettiva”, [avente un'estensione ventrocaudale verso il polo anterodorsale della Regione Pontina Gigantocellulare (FTG) e massima responsività all'acetilcolina (Yamamoto K., et al., 1990)] che costituisce una sottopopolazioni neuronale necessaria e sufficiente a indurre il sonno REM.

La prossimità della zona “colinocettiva” al Perilocus Coeruleus suggerisce il suo presumibile coinvolgimento nella generazione dell'atonia muscolare durante il sonno REM. Evidenze sperimentali indicano infatti che a seguito di lesione nella zona “colinocettiva” si verifica una

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P a g . 21 | 233 primaria soppressione del sonno REM cui segue un recupero privo di ripristino dell’atonia muscolare (Yamamoto, K. Et al., 1990). L’atonia si verifica presumibilmente mediante connessioni con il nucleo reticolare inibitorio pontino e il ripristino del sonno REM a seguito della lesione indotta sperimentalmente potrebbe derivare a sua volta dall'attività degli altri generatori pontini, quali il Tegmento Peduncolo-Pontino (PPT) e nel Tegmento Dorsolaterale (DT), citati precedentemente. La zona colinocettiva si presenta dunque come una zona di intersezione di distinte popolazioni neuronali aventi attività in accordo (Yamamoto K., et al., 1990). Risulta rilevante inoltre che le cellule che circondano la regione non evidenziano all'EMG relazioni con l'atonia muscolare ma sono coinvolte in una rete neuronale nella quale le regioni risultano connesse rispettivamente mediante complesse interconnessioni eccitatorie e inibitorie.

1.3 Descrizione strutturale del sonno 1.3.1 Veglia

Lo stato di veglia si differenzia da quello di sonno - sulla base dell’osservazione dell’attività celebrale mediante EEG - dalla caratterizzazione di attività rapida, ad alta frequenza, di voltaggio relativamente basso e dipendente da una corteccia cerebrale attiva coinvolta in funzioni percettive e cognitive. L’attività oscillatoria sincronizzata lenta è ridotta al minimo o è osservabile per periodi di tempo transitori in piccoli gruppi di neuroni. Un’attività ritmica relativamente sincronizzata in corrispondenza della corteccia visiva, con caratteristica comparsa di onde alfa, si riscontra durante la veglia in caso di rilassamento o chiusura degli occhi (Kandel et al., 2014). La veglia è infatti uno stato comportamentale caratterizzato da arousal e attivazione corticale, palesata in un tracciato EEG desincronizzato. Nell’uomo è contraddistinta da un ritmo di tipo beta durante la veglia attiva (frequenza: 15 - 30 Hz;

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P a g . 22 | 233 ampiezza: < 20 µV, fig. 2.12.d) e di tipo alfa durante la veglia rilassata (frequenza: 8 - 12 Hz;

ampiezza: < 50 µV, fig. 2.12.c) (fig. 2.13.A) (McCormick e Westbrook, 2011).

1.3.2 Sonno

È stata l’applicazione della polisonnografia a render possibile la descrizione strutturale del sonno e la distinzione dei tre diversi stati comportamentali che si alternano durante le 24 ore:

la veglia, il sonno NREM e il sonno REM. Come delineato precedentemente (1.2.3 Neurofisiologia dell’integrazione del ritmo circadiano e del controllo omeostatico), l’andamento ritmico delle fasi di sonno e veglia determina il ciclo veglia-sonno e ciascuna fase del ciclo risulta caratterizzata da specifiche modificazioni comportamentali e pattern EEG.

Analizzando nello specifico lo stato di sonno, si riscontra che esso non è un processo unitario, ma bensì, al suo interno presenta un ciclo ultradiano in cui si alternano due fasi: il sonno NREM e il sonno REM. In base alla valutazione dei parametri EEG, dei movimenti oculari mediante elettro-oculogramma (EOG) e del tono muscolare mediante elettromiografia (EMG), il sonno viene diviso in 4 fasi: gli stadi 1-3 sonno non-REM (non si registrano movimenti rapidi degli occhi [rapid eye movements] e uno stadio di sonno REM (Kandel, 2014).

Ricapitolando dunque, il ciclo sonno-veglia corrisponde a quanto definito “ciclo o ritmo circadiano” (dal latino circa diem, ossia corrispondente alla periodicità di 24 ore circa – endogeno e avente, come visto precedentemente, differenze individuali). Il “ciclo o ritmo ultradiano” è ascritto all’interno della periodicità temporale del ritmo circadiano e consiste nell’alternarsi ciclico di due fasi di sonno: sonno NREM e REM. La strutturazione del ciclo NREM - REM è descritta da un’ipnogramma: una rappresentazione grafica avente, in ascissa, le ore di registrazione e, in ordinata, le fasi del ciclo veglia-sonno (figura 2).

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P a g . 23 | 233

Figura 2 Ipnogramma di un giovane adulto: in ascissa sono rappresentate le ore di registrazione (ore della notte); in ordinata sono rappresentati gli stadi di vigilanza:

Veglia, sonno REM e i tre sotto-stadi del sonno NREM (Breedlove et al., 2007)

Mediante l’ipnogramma, dunque, è possibile visualizzare l’alternarsi delle fasi di sonno e valutare contestualmente altri parametri come la durata di ciascuna fase, la frammentazione del sonno, la latenza di addormentamento e di comparsa di una specifica fase. Il ciclo veglia-sonno ha un’organizzazione specifica che prevede il passaggio dallo stato di veglia ai tre diversi sotto- stadi (N1, N2 e N3) del sonno NREM, caratterizzati da un crescente grado di profondità del sonno. Parallelamente alla progressione della profondità di sonno, è riscontrabile un aumento della soglia di percezione della stimolazione e di conseguenza, al risveglio, trovando l’apice nello stadio N3 NREM.

La progressione dallo stato di veglia a quello di sonno profondo N3 NREM necessita di circa 30 minuti, passando solitamente dallo stato di veglia, allo stadio N1 e N2 NREM (Purves et al., 1997, 2004). Per il raggiungimento della fase REM invece sono necessari 70-90 minuti dall’addormentamento, e la durata dello stadio a inizio notte è variabile intorno ai 15 minuti.

Segue un ritorno allo stadio N1 REM e una prosecuzione ciclica del ciclo delle fasi NREM, con un’alternazione dei cicli REM-NREM differenti tra loro in base alle percentuali di tempo attribuibili a ciascuno stadio di sonno. Nello specifico, con la progressione verso le ore mattutine, si riscontra un aumento del tempo in fase REM a scapito degli stadi di sonno profondo NREM (come riscontrabile in figura). Il ciclo ultradiano di sonno NREM - REM, nell’uomo, ha una durata media di circa 90 - 110 minuti, contenendo durante l’intera notte la presentazione di circa cinque cicli NREM-REM, tra i quali possono essere presenti brevi risvegli (Kandel, 2014).

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P a g . 24 | 233 1.3.2.1 Macrostruttura:

La definizione della macrostruttura di sonno (figura 3) fa riferimento alla caratterizzazione neurofisiologica di sonno, distinta dalla condizione di presenza di movimento oculari in sonno (Rapid Eye Movements, REM) e assenza di movimenti oculari rapidi (No rapid Eye Movements, NREM).

La descrizione dell’architettura (o macrostruttura) del sonno è attuabile mediante un’analisi del sonno di tipo descrittivo, secondo la quale l’attività elettrica cerebrale si verifica seguendo cicli organizzati e ricorrenti della durata di 70-120 minuti, che si susseguono dalle 4 alle 6 volte nell’arco del tempo di sonno (Kandel, 2014).

Figura 3 Descrizione strutturale delle fasi di sonno e delle onde cerebrali corrispondenti (fonte: https://slideplayer.it/slide/15743144/)

Sonno NREM

Il sonno NREM rappresenta il 70/80% del tempo di sonno, viene definito “sonno sincronizzato”

ed è caratterizzato da una rallentamento della frequenza di scarica dell’attività neuronale e da contenuto mentale di natura contemplativa-meditativa, non visivo. Lo stato comportamentale è qualificato da una caduta del tono muscolare, specialmente riguardante la muscolatura antigravitaria e dall’assenza di movimenti oculari rapidi. La suddivisione in stadi di sonno NREM è standardizzata tramite riferimento ai parametri polisonnografici (nello specifico

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P a g . 25 | 233 elettroencefalografici ed elettrooculografici) (Rechtschaffen & Kales, 1968) dati dalla suddivisione dei tracciati in “epoche” di 30 secondi e conseguente assegnazione di uno stadio.

Stadio N1

3-8% del tempo di sonno totale

All’osservazione elettromiografica si rileva una lieve attività tonica e movimenti degli occhi, che risultano essere di tipo lento, oscillatorio e rotante.

Lo stadio N1 rappresenta la fase di transizione veglia-sonno. In esso si osserva una riduzione dell’attività di fondo alfa e un EEG caratterizzato principalmente da onde theta (bassa frequenza: 4-8Hz; ampiezza: 50 – 75 μV), quindi una riduzione dell’attività ad alta frequenza caratteristica dello stato di veglia. In questo stadio si ritiene che il sonno sia imminente ma non ancora presente (Mecarelli O., 2009; Kandel, 2014).

Stadio N2

45-50% del tempo di sonno totale

Il canale elettromiografico rileva una riduzione dell’attività muscolare, i movimenti oculari sono lenti .Ulteriori modificazioni fisiologiche riscontrabili sono la regolarizzazione e diminuzione della frequenza del respiro, diminuzione della temperatura corporea.

Lo stadio N2 è caratterizzato da frequenza in banda theta (bassa frequenza: 4-8Hz; ampiezza:

50 – 75 μV), seppur con discreta variabilità interindividuale. La presenza di fusi del sonno (sleep spindles), accompagniate da complessi K, indica l’inizio del primo stadio considerato effettivo di sonno (De Gennaro and Casagrande, 1998; Rechtschaffen and Kales, 1968;

Mecarelli O., 2009; Kandel, 2014).

I complessi K - grafoelementi polifasici di alto voltaggio - sono consistono in onde bi-trifasiche ad alto voltaggio (superiore a 75 μV) della durata di 0,5 secondi, aventi una componente negativa immediatamente seguita da una positiva e sono registrabili in tutta la corteccia, con

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P a g . 26 | 233 voltaggio più elevato a livello delle derivazioni frontali. Sebbene l’origine sia solitamente endogena, possono essere anche elicitati da stimoli acustici improvvisi (Cash et al., 2009).

I fusi del sonno sono treni d’onda caratterizzati da un progressivo aumento e un’altrettanta graduale diminuzione dell’ampiezza, aventi frequenze di 7-15 Hz di durata 1-2 secondi (De Gennaro e Ferrara, 2003). Sono generati a livello del circuito talamico e dovuti alle proprietà intrinseche delle membrane neuronali dei neuroni reticolari talamici, dei neuroni talamici relais e dalle reciproche interazioni tra i due gruppi di neuroni (McCormick e Bal, 1997).

Stadio N3

Costituisce il 15-20% del tempo di sonno totale.

All’osservazione elettromiografica si rileva un’ulteriore lieve riduzione del tono muscolare, con rilassamento muscolare. I movimenti oculari sono solitamente assenti.

Ulteriori modificazioni fisiologiche riscontrabili sono la progressiva ulteriore regolarizzazione e rallentamento del respiro, diminuzione della frequenza cardiaca, diminuzione graduale progressiva della temperatura corporea.

Lo stadio di sonno N3 è caratterizzato da onde delta, ossia onde EEG delta (bassa frequenza:

0,5 - 4 Hz; grande ampiezza: ≥ 75 μV), segnalanti un ulteriore riduzione dello stato di vigilanza cerebrale e un aumento della sincronizzazione talamica e corticale. Sono le onde delta nello specifico a corrispondere alle pause sincronizzate dei pattern di scarica dei neuroni talamocorticali e cortico-talamici iperpolarizzati (McCormick and Bal, 1997; Steriade et al., 1993; Steriade, 1999) Data la predominanza nel tracciato EEG di onde di ampio voltaggio e bassa frequenza (> 25% dell’epoca di sonno) questo stadio è definito anche sonno a onde lente (Slow Wave Sleep, SWS).

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P a g . 27 | 233 Sonno REM

Il sonno REM (Rapid Eye Movement), riscontrabile a circa 70 minuti dall’addormentamento e caratterizzato da una peculiare attività elettrica e metabolica, rappresenta il 20-25 % del tempo totale di sonno. Anche detto sonno desincronizzato o ‘paradosso’, risulta associato a intensa attività cerebrale e sogni vividi, come constatato in fase sperimentale da quanto riferito dal 80- 95% dei soggetti svegliati in questo stadio (Asenrisky & Kleitman, 1953; Kandel, 2014).

All’osservazione elettromiografica si rileva atonia muscolare a causa dell’inibizione dei motoneuroni spinali a opera di via discendenti. Fanno eccezione i motoneuroni del tronco dell’encefalo che controllano i movimenti degli occhi (Kandel,2014).

Il sonno REM è caratterizzato da una costellazione di fenomeni tonici e fasici che coinvolgono tutto l’organismo. Nello specifico, nella fase REM si distinguono: una componente tonica, costituita da EEG desincronizzato, depressione dei riflessi mono- e poli-sinaptici, ipotonia o atonia dei principali gruppi muscolari, e una componente fasica, caratterizzata da movimenti oculari rapidi, contrazioni miocloniche e miochimiche dei muscoli facciali, linguali, degli arti, irregolarità della frequenza cardiaca, pressione sanguigna variabile e irregolarità di frequenza respiratoria (Placidi e Romigi, 2004).

Ulteriori modificazioni fisiologiche riscontrabili sono relative alla regolazione della temperatura che nello stadio REM raggiunge un livello molto basso e continua a diminuire (Kandel,2014).

L’EGG evidenzia un’attività rapida, desincronizzata, a basso voltaggio, caratterizzata da un ritmo a bassa ampiezza e a frequenze miste, prevalentemente di onde theta (ampiezza: 50 - 75 µV; frequenza: 4 - 8 Hz) (Asenrisky & Kleitman, 1953). Stante la somiglianza che questo stadio di sonno può avere con la veglia viene spesso denominato “sonno paradosso” (paradoxical sleep, PS).

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P a g . 28 | 233 Le onde a dente di sega (sawtooth waves) (onde a forma triangolare con frequenza di 2 - 6 Hz e ampiezza di 20 - 100 Μv) sono un elemento caratteristico del sonno REM. Un ulteriore elemento caratteristico è dato dalla presenza di onde PGD (ponto-genicolo-occipitali) costituite da potenziali di campo elettrico sincronizzati, registrati a livello del ponte, del nucleo genicolato o della corteccia occipitale. Le onde PGD si manifestano come potenziali isolati di grande ampiezza, pochi secondi (30 - 90s) prima che inizi l’episodio di sonno REM (Brooks e Bizzi, 1963; Jouvet et al., 1959) oppure come raffiche di onde di bassa ampiezza durante il sonno REM (Brooks e Bizzi, 1963; Datta, 1997; Mouret e Guilleminet, 1963).

1.3.2.2 Microstruttura

La descrizione della microstruttura del sonno permette di apprezzare delle caratteristiche qualitativamente diverse dovute a perturbazioni interne ed esterne. A seconda dell’intensità della perturbazione il sonno può subire un’alterazione nella stabilità con possibili conseguenti arousals. I microrisvegli citati, non presi in considerazione nella canonica descrizione macrostrutturale del sonno, sono resi evidenti dalla comparsa di eventi fasici durante un’analisi polisonnografica.

La microstruttura del sonno è stata individuata dall’osservazione di attività elettriche periodiche, organizzate in sequenze ritmiche, definiti Pattern Alternanti Ciclici (Cyclic Alternating Pattern – CAP). Il CAP è caratterizzato dall’alternanza più o meno regolare di cicli CAP e non-CAP all’interno delle diverse fasi di sonno NREM. Da un punto di vista strettamente elettroencefalografico, una sequenza CAP è composta da una successione di cicli CAP. I cicli CAP rappresentano una modalità attiva e reattiva attuata a livello cerebrale allo scopo di preservare il sonno tramite continue fluttuazioni del livello di vigilanza e/o preparare l’individuo al risveglio, contribuendo ad alleggerire il sonno dai suoi stadi più profondi.

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P a g . 29 | 233 Come si evince dunque, si constata una dinamicità ed un equilibrio tra stimoli risveglianti e ipnoinducenti. All’interno di questa dinamica, l’analisi della microstruttura del sonno, dunque l’osservazione di un aumento del CAP rate, calcolato come la percentuale di sonno CAP rispetto al totale di sonno NREM, permette di individuare i fattori che possono esercitare un’azione perturbante e destabilizzante sul sonno. Tali fattori disturbanti possono avere natura interna, come nel caso di ansia, dolore, apnee, disturbi respiratori in sonno o esterna, come nel caso di temperatura, illuminazione, rumore.

In altri termini, la quantità di CAP riflette l’instabilità intrinseca del sonno fisiologico palesata dallo sforzo compiuto atto al regolare svolgimento dell’architettura ipnica (Mecarelli O., 2009).

In base a ciò, dunque, il riscontro di un tracciato ciclico è individuabile soprattutto durante le fasi di transizione tra stadi di sonno e può essere indotto da stimoli elicitanti la superficializzazione del sonno, stimolando la nota reazione omeostatica (Terzano e Parrino, 1992).

I cicli CAP nello specifico sono costituiti da a) una fase di attivazione (fase A), che si staglia nitidamente dall’attività di fondo, ha un’azione sincronizzante rispetto all’EEG sottostante e si possono comporre di svariati elementi elettrici tra cui punte al vertice, complessi K, sequenze di alfa e/o “delta burst”, cui segue b) una fase di quiescienza (fase B) caratterizzata da periodi di ripristino dell’attività EEG caratteristici della fase di sonno N1, N2 o N3 (Terzano, et al., 1985; Terzano, Parrino, e Spiaggiari, 1988).

A seconda delle caratteristiche elettroencefalografiche della fase A il CAP si divide in A1 (>50% onde lente), A2 (50% onde lente e 50% ritmi rapidi) e A3(>50% ritmi rapidi).

Le A1 fisiologicamente predominano nella prima parte del sonno e contribuiscono alla creazione e stabilizzazione del sonno profondo, mentre le A2 e le A3 solitamente anticipano il

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P a g . 30 | 233 sonno REM o i risvegli infrasonno, sono maggiormente ‘disturbanti’ sulla continuità del sonno e prevalgono nella seconda metà del sonno.

Ogni ciclo CAP può avere una durata dai 2 secondi ai 60 secondi. La temporalità si evince dalla constatazione che il 90% delle fasi A sono separate da intervalli di tempo inferiore ai 60 secondi.

L’assenza di riscontro CAP per un tempo superiore ai 60 secondi viene classificato come sonno non-CAP. Rapportando il CAP alla macrostruttura di sonno, si riscontra che sequenze di CAP anticipano le transizioni dagli stadi NREM allo stadio REM, terminando nello specifico in prossimità dell’inizio del sonno REM. In condizioni fisiologiche il CAP non è riscontrabile in sonno REM in quanto questo stadio di sonno è caratterizzato da carenza di sincronizzazione EEG che comportano che le fasi A presentino pattern EEG desincronizzati caratterizzati da ritmi rapidi di basso voltaggio separati da intervalli di 3-4 minuti. In condizioni patologiche, data la presenza di fasi A ripetitive in intervalli inferiori ai 60 secondi, sono individuabili CAP anche in sonno REM (Mecarelli O., 2009).

Il CAP rate, dunque, risulta un indicatore affidabile della qualità di sonno. Per la precisione, ad un alto CAP rate si associa la constatazione di una peggiore qualità di sonno mentre l’osservazione di un tracciato EEG non – CAP, quindi esente da microrisvegli periodici, indica un sonno più stabile. L’instabilità del sonno si riflette sul ristoro percepito, a prescindere dalla durata di sonno attuata (Mecarelli O., 2009).

Ricapitolando dunque, considerando che i CAP segnano i passaggi tra gli stadi NREM e tutelano la continuità di sonno in caso di perturbazioni esterne contingenti, si riscontra che gli stimoli perturbanti si riverberano primariamente a livello di microstruttura di sonno e successivamente sulla macrostruttura, rendendo visibile la perturbazione mediante un cambio di stadio.

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P a g . 31 | 233 1.4 Evoluzione ontogenetica del sonno

Le differenze individuali nella durata e nella qualità del sonno sono dettate fortemente dalla variabile dell’età (Carskadon e Dement, 2000).

Ponendo l’attenzione opportunamente sul CAP, precedentemente delineato, si evince che dal punto di vista fisiologico esso riveste significati diversi in età differenti. Ciò è dimostrato dall’evidenza che il CAP rate, ossia la quantità percentuale di CAP rispetto al sonno NREM - indicatore della qualità di sonno -, risulta elevato nell’infanzia occupando le percentuali più elevate nel bambino, diminuisce raggiungendo il 40% in adolescenza, 25-30% in giovani adulti, per poi ri-aumentare al 40% in soggetti di mezza età e 50-60% negli anziani (Parrino et al., 1998).

Analizzando i sottotipi di fase del CAP notiamo come con il passare degli anni vi sia una progressiva riduzione delle A1 a favore di una continua crescita delle A2 e A3.

Mediante un’analisi qualitativa del sonno nel corso vita è possibile riscontrare che i bambini prematuri presentano una percentuale di sonno REM maggiore alle 8-9 ore al giorno (80% sul tempo di sonno totale al trentesimo mese di vita intrauterina), indicando in questo modo che il feto nella vita intrauterina passa gran parte del tempo in uno stato di attivazione cerebrale contingente ad inibizione motoria. Prendendo in considerazione l’influenza dell’attività neurale sullo sviluppo dei circuiti funzionali del sistema nervoso centrale, è presumibile ritenere che l’attività spontanea del cervello immaturo durante il sonno faciliti lo sviluppo di quegli stessi circuiti (Roffwarg, Muzio, Dement, 1966; Kandel, 2014; Strata 2016).

Nel neonato il sonno risulta distribuito nell’arco della giornata in modo casuale e con la durata di 16-18 ore, di queste 8-9 ore, dunque oltre il 50% del sonno totale, sono costituite da sonno REM (Roffwarg, Muzio, Dement, 1966; Kandel, 2014; Strata 2016).

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P a g . 32 | 233 La sincronizzazione dei ritmi circadiani di alternanza giorno-notte emerge dai 4 mesi di vita

accompagnata da una diminuzione della durata di sonno (Kandel, 2014).

A partire dai 3 – 5 anni di vita (fig.4), il bambino dorme per 10-12 ore al giorno e in questo arco temporale si riscontra una prevalenza degli stadi 3 e 4 di sonno NREM presentanti un’ingenza di onde delta EEG, responsabili di una conseguente maggiore difficoltà di risveglio. Si evidenzia al contempo anche un’abbondanza di percentuale di sonno in fase REM, sebbene il ricordo dei sogni caratterizzi solo il 33% dei risvegli. La percentuale interessata è caratterizzata da ricordo di sogni contraddistinti da breve durata e assenza di trama, autorappresentazioni o interazioni fra personaggi dei sogni (Kandel, 2014).

Raggiunti i 7 – 9 anni (fig.4) sono riscontrabili resoconti di sogni presentanti caratteristiche affini a quelli dei sogni degli adulti, inclusa la capacità di analizzare, astrarre, manipolare e costruire immagini o nozioni visuo-spaziali, confermando in questo modo che il contenuto dei sogni, infatti, segue lo sviluppo delle abilità cognitive del dormiente (Kandel, 2014).

L’organizzazione sonno-veglia durante l’infanzia risulta prodromica all’istaurazione della tendenza ad un unico episodio di sonno notturno di durata di circa 9 ore. Con l’avanzamento dell’età il periodo totale di sonno si caratterizza da una gradualmente riduzione, fino al raggiungimento di una stabilizzazione in età adulta di 7-8.5 ore di sonno a notte. Nei soggetti giovani-adulti sani, aventi orari regolari, la percentuale di sonno REM risulta del 25% sul sonno totale, affiancata dalla distribuzione di 5% nello stadio 1 di sonno NREM, 50% in stadio 2 NREM e 20% negli stadi 3 e 4 NREM (Morin e Espie, 2004)

Figura 4 Modificazioni dei pattern del sonno con l'avanzare dell'età (da: Hauri P.J., 1982)

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P a g . 33 | 233 Durante la pubertà (fig.4) il sonno presenta una durata in media di 9 ore a notte, con una percentuale di sonno REM del 20% (Roffwarg, Muzio, Dement, 1966; Strata 2016). Nell’adulto (fig.4) si osserva un ulteriore riduzione del tempo di sonno, con una media di 7 – 8 ore di sonno, con una percentuale di sonno REM mantenuta in un valore del 20% (Roffwarg, Muzio, Dement, 1966; Strata 2016).

Col passare degli anni, coerentemente all’andamento del CAP rate osservato precedentemente, il sonno diviene meno profondo, maggiormente frammentato e la percentuale di tempo passato negli stadi 3 e 4 di sonno non-REM diminuisce in misura ingente, in particolare in età avanzata.

Ne consegue una diminuzione significativa della qualità di sonno percepita e un aumento della durata dei periodi di sonnolenza diurna (Kandel, 2014). Nei soggetti anziani, dunque, si riscontra un peggioramento della qualità di sonno data da una riduzione di sonno profondo (stadi 3 e 4 NREM) e aumento degli stadi di sonno leggero (stadi 1 e 2 NREM). Al quadro si affianca l’aumentata frequenza e durata dei risvegli. L’aumentata e conseguente sonnolenza diurna comporta l’attuazione di nap (periodi di sonno diurno), che contribuiscono al raggiungimento di un tempo di sonno totale circadiano in media di 7 ore (Morin e Espie, 2004).

Dopo i 70 – 75 anni (fig.4) la durata del sonno REM risulta ridotto al punto di presentarsi per una durata di solo circa un’ora (Roffwarg, Muzio, Dement, 1966; Strata 2016).

1.5 Impatto della qualità di sonno su qualità della vita e relative comorbilità mediche e psicopatologiche

Il sonno, come descritto precedentemente (trattato in “1.1 Definizione” e “1.2.1 Neurofisiologia del ritmo circadiano”) risulta indispensabile e ampiamente coinvolto nell’adattamento omeostatico e nel mantenimento dell’equilibro fisiologico e psicologico dell’intero organismo.

I disturbi del sonno e la durata insufficiente dello stesso si constatano come endemici nella società contemporanea, raggiungendo percentuali del 18% in Europa e del 23% negli Stati Uniti

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