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BEHAVIOURAL INHIBITION, ANSIA DI SEPARAZIONE E LUTTO COMPLICATO: RUOLO DEL RECETTORE DELL’OSSITOCINA. Revisione della letteratura e contributo sperimentale

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE

NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

“BEHAVIOURAL INHIBITION, ANSIA DI

SEPARAZIONE E LUTTO COMPLICATO: RUOLO DEL

RECETTORE DELL’OSSITOCINA.

Revisione della letteratura e contributo sperimentale”

C

ANDIDATO

R

ELATORE

Camilla Rosi

Prof. Stefano Pini

(2)

1

INDICE

SEZIONE UNO: Introduzione……….………...……….……….3

SEZIONE DUE: Basi teoriche dello studio……….……….6

Capitolo 1. Behavioural Inhibition……….……….7

1.1 Caratterizzazione della Behavioural Inhibition……….…….……….7

1.2 Correlati neurobiologici della Behavioural Inhibition……….……….……..8

1.2.1 Ereditabilità della Behavioural Inhibition……….…….9

1.3 Studio della Behavioural Inhibition nel bambino……….………...11

1.4 Studi retrospettivi della Behavioural Inhibition eseguiti nell’adulto………...12

1.5 Associazione tra Behavioural Inhibition e Disturbi d’Ansia……….14

1.6 Correlazione tra Behavioural Inhibition e patologie psichiatriche diverse dal Disturbo d’Ansia………..……….…20

1.7 Si può modificare il rischio di patologia d’ansia dato dalla Behavioural Inhibition?...24

1.8 Si può modificare la Behavioural Inhibition con l’esperienza?...26

1.9 Intervento in bambini con Behavioural Inhibition……….…….……..28

Capitolo 2. Disturbo di ansia di separazione……….…….…..…….30

2.1 Descrizione dei disturbi di ansia di separazione………..……….………30

2.2 Storia dell’inquadramento clinico del Disturbo di Ansia di Separazione………..……….31

2.3 Studi di popolazione generale del Disturbo d’Ansia di Separazione……….………33

2.4 Contesto familiare del Disturbo d’Ansia di Separazione……….………..….………34

2.5 Contesto sociale culturale e ambientale del Disturbo d’Ansia di Separazione………...…………37

2.6 Correlati neurobiologici del Disturbo d’Ansia di Separazione………..……….……..38

2.7 Implicazioni nosologiche del Disturbo d’Ansia di Separazione………42

2.8 Implicazioni cliniche e criteri diagnostici DSM-5 del Disturbo d’Ansia di Separazione….…43 2.9 Strumenti di valutazione dell’Ansia di Separazione dell’Adulto……….………45

2.10 Comorbidità del Disturbo di Separazione ……….……..……….48

2.11 Compromissione del funzionamento dell’individuo nell’Ansia di Separazione dell’Adulto………..……..…51

2.12 Implicazioni terapeutiche dell’Ansia di Separazione dell’Adulto……….……….52

Capitolo 3. Il Lutto Complicato………54

3.1 Il Lutto………..……….54

3.2 Il Lutto complicato………..……….………..57

3.2.1 Aspetti epidemiologici……….……….……….57

3.2.2 Fattori di rischio per il Lutto Complicato……….………57

3.2.3 Sintomatologia del Lutto Complicato……….……….…..60

3.2.4 Marker e variazioni fisiologiche nel Lutto Complicato……….……….63

3.2.5 Studi di neuroimaging nel Lutto Complicato……….…………66

3.2.6 Criteri diagnostici per il Lutto Complicato………..……….70

3.2.7 Strumenti e questionari per la diagnosi di Lutto Complicato………..…72

3.2.8 Similitudini e differenze con il Disturbo Post-Traumatico da Stress…………..………….……74

3.2.9 Coesistenza di Lutto Complicato con altre patologie………..…………..…75

3.3 Trattamento del Lutto Complicato……….………76

3.3.1 Razionale clinico della cura farmacologica………..………...76

3.3.2 Razionale neurobiologico della cura farmacologica……….…...77

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3.3.4 Combinazione di terapia farmacologica e psicoterapia nel Lutto Complicato………79

Capitolo 4. L’ossitocina e il suo recettore………...80

4.1 Evoluzione delle funzioni dell’ossitocina nelle specie………..……….…80

4.2 Ossitocina, cognizione sociale e psicopatologia………81

4.3 Polimorfismi del recettore dell’ossitocina determinano vulnerabilità a disturbi psichiatrici……….…………..…………84

4.4 Significato dei polimorfismi di OXTR nella psicopatologia……….……...…………..………87

4.5 Oltre le mutazioni genetiche, verso ricerche future……….………..90

SEZIONE TRE. STUDIO SPERIMENTALE……….………91

1. Obiettivo………..………..92

2. Materiali e metodi……….……….95

2.1 Caratteristiche della popolazione campione………95

2.2 Valutazioni psicometriche………..………….95

2.3 Genotipizzazione……….96

2.4 Analisi in silico del legame del fattore di trascrizione………..……….………..96

3. Analisi statistiche……….…..……….98

4. Risultati………..……..99

4.1 Descrizione statistica……….……….99

4.2 Analisi della regressione……….99

4.3 Analisi predittive del legame del fattore di trascrizione di OXTR 2254298……….…………..100

5. Discussione……….……….102

6. Limitazioni dello studio………..………..105

7. Conclusioni……….………..106

Indice delle figure………..……….………..107

Indice delle tabelle………108

Glossario delle abbreviazioni………109

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La biologia molecolare ha sempre più importanti impieghi nella ricerca dell’eziopatogenesi e dei substrati della patologia animale e umana. La ricerca di mutazioni e polimorfismi genici è uno degli strumenti che attualmente riceve una sostanziale attenzione in quanto possibile punto di partenza nella caratterizzazione patologica ed eventualmente terapeutica delle malattie.

Questa tipologia di studi è presente nei vari ambiti della medicina moderna, dalla cardiologia alla dermatologia, dall’immunologia alla ginecologia e non solo. Così l’approccio molecolare è stato applicato da tempo anche all’ambito della psichiatria. L’idea che gli individui possano essere esposti a rischio maggiore per una psicopatologia a causa del loro patrimonio genetico, soprattutto quando esposte anche a condizioni ambientali avverse, modello conosciuto come “diatesi-stress” (Monroe & Simons, 1991) è diventato il concetto teoretico principale della psichiatria.

Il potenziale impatto di questa nuova prospettiva che prevede che l’interazione gene-ambiente possa avere effetto sulle condizioni psicopatologiche, può essere difficilmente sovrastimato. Per il momento, questo approccio è stato solamente collegato a fenotipi comportamentali e non a correlati neuroanatomici e alla plasticità neuronale su cui possono probabilmente avere effetto i diversi geni.

Le ricerche si sono concentrate sul ruolo dei veri neurotrasmettitori e dei loro rispettivi recettori, ma anche sulla componente ormonale.

Uno degli ormoni più affascinanti da questo punto di vista è l’ossitocina. In passato, ritenuta implicata semplicemente nella lattazione e nel travaglio, oggi siamo riusciti a comprendere i molti ruoli di questo ormone e si ritiene che ve ne siano altri, ancora sconosciuti. L’ossitocina è importante nelle relazioni interpersonali, nell’affetto materno, nella fiducia nelle altre persone ed è ritenuta essere coinvolta anche con la patologia dell’autismo.

Lo studio svolto in collaborazione tra l’Università di Pisa con i suoi Dipartimenti di Psichiatria e di Farmacia, il dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia dell’Università di Freiburg, l’Università di Southampton e l’Università di Cape Town, si interessa proprio del polimorfismo del recettore dell’ossitocina (OXTR) e si prefigge di dimostrare come questo sia implicato nella relazione tra Behavioural Inhibition (BI) e il disturbo di Ansia di Separazione (SAD) nella generazione e moderazione del Lutto Complicato (CG).

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Novantasei pazienti con disturbi di ansia e d’umore sono stati esaminati per CG tramite il “Inventory of Complicated Grief (ICG), per il BI usando la “Retrospective Self-Report of Inhibition (RSRI), per i sintomi dell’Ansia di Separazione tramite la Adult Separation Anxiety Scale (ASA-27), poi sono stati genotipizzati per il polimorfismo del recettore dell’ossitocina OXTR rs225429.

Il polimorfismo sembra manifestarsi nel paziente con BI o SAD con un incremento nella presentazione del Lutto Complicato, suggerendo l’interazione gene-ambiente del polimorfismo di OXTR nel paziente con Behavioural Inhibition e dell’Ansia di Separazione dell’Adulto nella suscettibilità alla presentazione del Lutto Complicato.

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Capitolo 1. Behavioural Inhibition

1.1. Caratterizzazione della Behavioural Inhibition

Il primo a studiare la Behavioural Inhibition fu Kagan, che la definì come “la continua tendenza a mostrare restrizione comportamentale o paura nei confronti di persone, situazioni o eventi non familiari” (Kagan, Reznick, & Snidman, 1988).

È stimata una prevalenza del 10-15% nei bambini e si è visto, in numerosi studi, avere una certa consistenza tra la prima, la seconda e terza infanzia (J. Asendorpf, 1994; J. B. Asendorpf, 1990; Broberg, Lamb, & Hwang, 1990; Kagan, Reznick, & Snidman, 1988), con la maggiore stabilità tra i bambini che avevano ricevuto la classificazione di “extreme” nella BI (Kagan, Reznick, Snidman, Gibbons, & Johnson, 1988).

Anche se la BI è caratterizzata da una persistente tendenza a reagire alle novità con riluttanza e ritraendosi, sono presenti differenti manifestazioni comportamentali nelle diverse età.

I bambini sotto i 3 anni con BI oltre alla riluttanza nell’approccio relazionale o tendenza al tirarsi indietro dalle situazioni di novità, presentano anche riduzione della vocalizzazione e del sorriso alle persone non familiari (Garcia-Coll C et al., 1984). Inoltre possono manifestare pianto o agitazione e tendenza a rimanere vicini alla figura di attaccamento.

In età prescolare si ha maggior tendenza al rimanere in silenzio e sottomesso durante l’interazione con coetanei ed adulti sconosciuti ed si ha una maggiore latenza nel giocare con nuovi compagni o parlare con gli adulti appena incontrati (Kagan, Reznick, & Snidman, 1987).

Tendono a mostrare comportamento sociale reticente con i compagni di classe (K. H. Rubin, Burgess, & Hastings, 2002) e all’asilo prediligono il ruolo dell’osservatore esterno, rimanendo in disparte a guardare gli altri (Gersten, 1989).

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In età scolare la BI del bambino viene all’occhio principalmente in contesti di gruppo, come per esempio le feste, dove il piccolo rimarne in disparte (Kagan, Reznick, Snidman, et al., 1988).

Nella terza infanzia e nell’adolescenza la modalità di reazione alle novità e la BI si possono misurare con maggiore difficoltà, a causa dei bias che si producono tramite meccanismi secondari di adattamento sociale del paziente, come per esempio la capacità di modificare volontariamente la propria risposta a nuovi contesti. Nonostante ciò comparando adulti con storia BI e loro coetanei senza traccia di BI durante l’infanzia si è notato che i bambini con BI risulteranno con maggior probabilità adulti più cauti, che più difficilmente saranno a proprio agio nel conversare con estranei, meno estroversi, con vita sociale meno attiva, e networks sociali ridotti. Spesso eviteranno il rischio, lo stare al centro dell’attenzione, tenderanno a ricoprire ruoli lavorativi che non comportano posizione di comando e sono spesso meno ambiziosi (Caspi et al., 2003; Caspi & Silva, 1995; Gest, 1997).

BI non è semplicemente sinonimo di timidezza eccessiva. Il termine “timidezza” è correlato alla Behavioural Inhibition in significato, ma non per il metodo di misurazione. La BI si riferisce a evidenze osservabili in bambini in specifici contesti dove i comportamenti “inibiti” possono essere categorizzati, valutati, contati e ne può essere definita la durata. Al contrario la “timidezza”, valutando ricerche fatte sull’adulto, si serve di diversi metodi di misurazione e la sua definizione e quantificazione non possono essere limitate alla sola osservazione comportamentale.

Secondo Briggs e Smith, la timidezza “comporta un ricco insieme di comportamenti, conoscenze, sentimenti e reazioni corporee”. Per poter misurare questi multipli aspetti e sfaccettature della timidezza sono stati usati metodi di osservazione, ma collegati anche a metodi fisiologici e di self-report (Briggs and Smith, 1986).

1.2 Correlati neurobiologici della Behavioural inhibition

Si pensa che la BI sia caratterizzata da una soglia ridotta dell’arousal del sistema nervoso simpatico e del sistema libico (Kagan, Reznick, & Snidman, 1988).

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Studi sulla popolazione di pazienti con BI hanno rilevato nel bambino con Behavioural Inhibition dei marker di aumentata attività simpatica come: frequenza cardiaca maggiore e minore variabilità di frequenza sotto stress (Calkins, Fox, & Marshall, 1996; Kagan, Reznick, & Snidman, 1988; Marshall & Stevenson-Hinde, 1998; Schmidt & Fox, 1998; Schmidt, Fox, Schulkin, & Gold, 1999).

In questi soggetti era inoltre aumentato il diametro pupillare (Kagan et al., 1987), aumentata tensione della muscolatura laringea (Kagan, Reznick, & Snidman, 1988), aumentate MHPG urinarie, ovvero cataboliti della norepinefrina (Kagan, Reznick, & Snidman, 1988) e aumentata la pressione diastolica durante il cambio di posizione (Kagan, Reznick, & Snidman, 1988).

Si è anche dimostrato la tendenza dei bambini con BI ad avere una “startle response” maggiore (Schmidt & Fox, 1998) e una maggiore attivazione EEG della corteccia frontale destra (Calkins et al., 1996; Schmidt et al., 1999).

Da queste osservazioni Kagan ha ipotizzato che la BI trova una base neurobiologica nella incrementata reattività della corteccia basolaterale, dei nuclei centrali dell’amigdala e delle loro proiezioni dirette allo striato, ipotalamo, sistema simpatico e sistema cardiovascolare.

Due recenti studi hanno confermato attraverso l’utilizzo della fMRI una maggiore reattività dell’amigdala a nuovi stimoli (Schwartz, Snidman, & Kagan, 1999).

1.2.1 Ereditabilità della Behavioural Inhibition

Molti studi hanno dimostrato una moderata ereditabilità della BI, che va dal 51 al 64% (Dilalla, Kagan, & Reznick, 1994; Emde et al., 1992; Matheny, 1989; Robinson, Kagan, Reznick, & Corley, 1992), inoltre l’ereditabilità della condizione sembra essere particolarmente elevata nei bambini con BI estrema (Dilalla et al., 1994).

Molti geni sono associati con la BI, tra i quali il gene dell’acido glutammico-decarbossilasi (l’isoforma di 65 kDa), che codifica per un enzima coinvolto nella sintesi del GABA (Smoller et al., 2003), per il quale i topi knockout risultavano avere una maggiore BI, e il gene del releasing delle corticotropine (Smoller et al., 2003; Smoller et al., 2005).

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Uno studio recente documenta l’importanza dell’interazione gene-ambiente di questi pazienti: bambini con mutazione di entrambi gli alleli con poco supporto sociale, risultavano avere maggior tasso di BI nella seconda infanzia (Fox et al., 2005).

Considerata la possibile componente ereditaria della BI, lo studio di Stumper del 2017 (Stumper et al., 2017), ha valutato il ruolo della BI dei genitori nella moderazione della relazione della BI in una grande popolazione campione di bambini di 3 anni e il loro rischio di sviluppare disturbo d’ansia entro i 9 anni.

Figli di genitori che avevano riportato un passato di BI di alto livello, sia con il report dei genitori che tramite l’osservazione in laboratorio, la BI a 3 anni era associata a un aumentato rischio di sviluppare disturbo d’ansia a 9 anni. Al contrario nei bambini con BI con genitori che riportavano bassi valori di BI nella propria infanzia non esisteva correlazione tra BI a 3 anni e disturbo d’ansia 6 anni dopo.

I bambini con BI con genitori che possiedono un passato di BI sembrano quindi essere il sottogruppo a rischio per cui programmare un intervento precoce per ridurre l’incidenza di disturbo d’ansia, mentre i bambini con BI i cui genitori non avevano presentato durante la loro infanzia BI non sembrano essere una categoria particolarmente a rischio per lo sviluppo di disturbi d’ansia.

Il motivo di questa correlazione potrebbe essere attribuito a diversi fattori per i quali la BI pregressa dei genitori aveva effetto sulla BI del figlio e sul suo rischio di sviluppare disturbo d’ansia. È possibile ipotizzare che i genitori con BI pregresso adottino metodi educativi particolari, come essere iperprotettivi e/o mettere in atto comportamenti evitanti, che aumentano la suscettibilità all’ansia in figli caratterialmente predisposti (Degnan, Henderson, Fox, & Rubin, 2008; Hane, Cheah, Rubin, & Fox, 2008; Kiel & Buss, 2009; Lewis-Morrarty et al., 2012). La BI dei genitori potrebbe però essere anche un marker per una BI con maggiore componente genetica o di sottotipo di BI più severa. La BI dei genitori viene considerata una proxy per processi più complicati e poco compresi, come la genetica, l’epigenetica, l’influsso parentale o altre influenze contestuali. È importante continuare nelle ricerche di questo tipo, ma nel frattempo i self-report dei genitori sulla loro BI infantile sono una tecnica semplice che ci procura un indicatore di rischio che riflette l’influenza di processi multipli additivi o interattivi.

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1.3 Lo studio della Behavioural Inhibition nel bambino

La diagnosi è osservazionale. Si utilizzano metodi di misurazione standardizzati e oggettivi di osservazione nella prima infanzia e in età prescolare. I protocolli per assegnare al bambino la definizione di BI comprendono la sua esposizione (solitamente con la madre presente, lì vicino, per evitare di confondere la BI con l’Ansia di Separazione) a una serie di nuovi ambienti, oggetti, persone e compiti.

È utilizzata una “risk room” nella quale al bambino vengono presentati una serie di novità: - Giocattoli lievemente pericolosi (per esempio tunnel, tavola per equilibrio, una maschera..) con i quali giocherà prima senza poi con le indicazioni dell’esaminatore;

- Un esaminatore adulto sconosciuto con il quale dovrà interagire e giocare; - Un adulto travestito o con abiti non consoni, come costumi da clown o maschere

o con giocattoli inusuali

- Coetanei non familiari con il quale dovrà giocare.

Si vanno a calcolare i tempi di latenza con i quali il bambino si approccia agli oggetti, ai coetanei, agli estranei adulti, il tempo che passa in vicinanza della madre, la comparsa di manifestazioni di paura o atteggiamenti di evitamento e il rate complessivo del grado di inibizione nelle varie situazioni.

Alcuni studi, se effettuati su bambini più grandi, possono utilizzare tecniche di self-report o il report retrospettivo dei genitori. Questi hanno il vantaggio di valutare un periodo temporale più lungo rispetto alla sola misurazione fatta nella risk room del laboratorio, possono quindi descrivere in maniera più complessiva il comportamento generale del bambino nella sua quotidianità.

Questi, però, ci pongono di fronte ai bias tipici di queste misurazioni retrospettive. La critica maggiore sui self-report è che spesso hanno funzione per il paziente di aumentare la propria consistenza cognitiva o di promuovere la propria desiderabilità sociale (Crowne & Marlowe, 1960; Tanaka-Matsumi & Kameoka, 1986). Spesso i bambini che compilano un questionario su loro stessi, tendono a darsi minori punteggi, questo potrebbe indicare sia una mancanza di coscienza del proprio stato ma anche un meccanismo difensivo, per evitare di essere catalogati come eccessivamente timidi o paurosi.

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Un altro importante bias di questo tipo di questionari è il fatto che si basano esclusivamente sulla memoria.

Idealmente queste misurazioni possono essere usate in aggiunta all’osservazione o come sue sostitute.

Oltre alle misure ideate appositamente per l’individuazione della BI sono di supporto scale di timidezza o di estroversione/introversione sociale, come le scale Emotionality-Activity-Sociability (Buss & Plomin, 2016), l’estrapolazione dei dati della Neuroticism-Extraversion-Openness Personality Inventory (NEO) (McCrae, Costa Jr, & Martin, 2005) o dal Child Behaviour Questionnaire (Rothbart, Ahadi, Hershey, & Fisher, 2001) o con Australian Child Temperament Questionnaire (Rapee, Kennedy, Ingram, Edwards, & Sweeney, 2005)

1.4 Studi retrospettivi della Behavioural Inhibition eseguiti nell’adulto

Nonostante l’esigenza di osservazione comportamentale per la definizione di Behavioural Inhibition, è stato elaborato un questionario da Reznick per lo studio retrospettivo. Il Retrospective Self-Report of Behavioural Inhibition (RSRI) si avvale di 30 domande, riguardanti la propria infanzia. I 30 item sono molto specifici, riguardano la presenza di paure (per esempio paura del buio, degli animali, di essere rapito, della scuola), e comportamenti espliciti (come necessità di una luce accesa la notte, provare cibi nuovi, partecipare a giochi alle feste, dormire a casa di amici). Ogni item ha 5 risposte possibili (mai- raramente- qualche volta- spesso- sempre), o item compatibili con la domanda. Il RSRI è disponibile in questo format: le frasi sono al passato e il comando è “pensa a te stesso mentre eri alle elementari” (Tabella 1).

La critica mossa contro questo questionario è la stessa per gli studi retrospettivi: si avvale della sola memoria del soggetto, il soggetto ha una tendenza a promuovere la propria desiderabilità sociale e, considerata la più sofisticata conoscenza sociale e la maggiore esperienza sociale degli adulti, questi sono difficili da inserire e paragonare a studi ecologici osservazionali per la difficoltà di trovare un setting standard di osservazione come nel caso del bambino.

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Tabella 1. Retrospective Self-Report of Behavioural Inhibition. (Reznick et al., Developmental Psychopathlogy, 1992)

1) In media quante volte all’anno è stato assente da scuola per problemi di malattia? (a)

2) In media quante volte all’anno è stato mandato in infermeria a scuola per questioni di malattia? (a)

3) Ha mai avuto malattie/sintomi come mal di testa, mal di stomaco per i quali i dottori non trovavano una causa?(b) 4) Ha avuto spesso incubi? (c)

5). Aveva paura del buio? (c)

6) Era necessario che lei od i suoi genitori controllassero sotto il letto o dentro l’armadio prima che andasse a letto?(c)

7) Aveva bisogno di qualche oggetto che le desse sicurezza per addormentarsi (giochi, orsi di peluche etc.)? (c) 8) Aveva paura dei cani, gatti od altri animali domestici? (c)

9) Aveva paura degli animali non conosciuti, come quelli incontrati per la strada o in casa di qualcun altro? (c) 10) Ha mai avuto paura di essere rapito o comunque di essere separato dai suoi genitori? (b)

11) La disturbava quando i suoi genitori la lasciavano con una nuova baby-sitter poco conosciuta? (c) 12) Quando i suoi genitori uscivano senza di lei aveva paura che potessero non tornare più? (c) 13) Le capitava di dormire a casa di un amico? (d)

14) Provava nuovi cibi? (e)

15) Di solito era spaventato il primo giorno di scuola del nuovo anno scolastico? (f)

16) Ha mai finto di essere malato in modo da evitare di andare a scuola o in altri luoghi di ritrovo? (b) 17) A scuola aveva paura di essere chiamato a scrivere alla lavagna? (f)

18) Aveva paura di essere interrogato, anche se sapeva la risposta alla domanda? (f)19) I suoi insegnanti avevano problemi a sentire la sua voce quando in classe parlava o rispondeva ad una domanda? (c)

19) I suoi insegnanti avevano problemi a sentire la sua voce quando parlava in classe o rispondeva a una domanda? (c)

20) Se c’era qualcosa che non aveva capito in classe chiedeva aiuto alla maestra? (g) 21)A scuola durante l’intervallo giocava con il gruppo più numeroso di bambini? (g) 22) Si divertiva a partecipare ai giochi di gruppo? (g)

23) Le piaceva conoscere nuovi bambini della sua età? (g)

24) Quando parlava di fronte ad un gruppo di persone la sua voce tremava, era stridula o incerta? (c) 25) Quanto “popolare” si sentiva? (h)

26) Ha mai avuto problemi di allergie, insonnia o stitichezza per i quali andava dal medico? (b) 27) Aveva bisogno di una luce accesa per addormentarsi? (c)

28) Ha mai partecipato spontaneamente a gruppi di canto o in cui si suonava uno strumento? (g) 29) I suoi sentimenti venivano facilmente feriti? (b)

30) Parlava con i suoi amici e familiari quando era arrabbiato con loro? (g) Format delle Risposte associate alle lettere poste tra parentesi dopo le domande: a- 0-4 giorni, 5-9 giorni, 10-14 giorni, 15-19 giorni, 20 o più giorni.

b- Mai, Raramente, quaCGhe volta, spesso, molto spesso.

c- Mai, una volta all’anno, una volta al mese, una volta alla settimana, ogni notte. d- Molto spesso, spesso, alcune volte, raramente, mai.

e- Con entusiasmo, con piacere, con il convincimento, solo se costretto, mai. f- No assolutamente, poco, moderatamente, molto, moltissimo.

g- Sempre, spesso, qualche volta, raramente, mai.

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1.5 Associazione tra Behavioural Inhibition e Disturbi di Ansia

I disturbi d’ansia sono molto frequenti nella popolazione, con una prevalenza nel corso della vita del 25% (DuPont et al.,2002), determinano tentativi di suicidio, cambiamenti importanti della qualità della vita del paziente e costi economico-sociali che raggiungono quote molto elevate- si pensi che negli Stati Uniti è stato stimato nel 1994 il valore di spesa di 65 miliardi di dollari tra costi diretti e indiretti per questo gruppo di patologie. È globalmente riconosciuto che i disturbi d’ansia si sviluppano da un intersecarsi di fattori biologici, psicologici e sociali.

Una predisposizione genetica che determina un’aumentata sensibilità all’ansia, combinata con un’eccessiva preoccupazione per le esperienze negative di vita e della paura, può risultare in disturbo d’ansia clinico che causa al paziente un distress che cresce nel tempo.

Prima della diagnosi e del trattamento del disturbo d’ansia possono passare anche molti anni, quindi l’obiettivo verso cui ci dirigiamo è quello di identificare le persone che, nelle prime fasi della loro vita, hanno maggior rischio di sviluppare disturbi d’ansia così che possano ottenere una diagnosi e un trattamento precoci. Ancora più interessante sarebbe capire i fattori di rischio e pianificare un intervento preventivo per precludere lo sviluppo di patologia d’ansia.

Nonostante la diversità delle metodiche di studio della BI tra i diversi laboratori e una mancanza di unificazione e standardizzazione, molti studi hanno risultati concordanti: la BI sembra essere un fattore di rischio per disturbi d’ansia, in particolare del Disturbo d’Ansia Sociale.

• Studi familiari

Se la BI è un fattore di rischio ereditabile per i disturbi d’ansia, sarebbe attesa una sua maggiore prevalenza tra i figli di genitori con disturbi d’ansia rispetto al gruppo di controllo.

Infatti quattro studi su famiglie hanno rilevato una maggiore prevalenza di BI studiabile in laboratorio tra i bambini in età prescolare figli di genitori con Disturbo di Panico

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(Battaglia et al., 1997; Manassis, Bradley, Goldberg, Hood, & Swinson, 1995; Rosenbaum et al., 1988; Rosenbaum et al., 2000).

Al contrario uno studio (Warren et al., 2003) che ha preso in esame la BI nella prima infanzia fino ai 3 anni di bambini con genitori con disturbo di panico, non ha trovato associazione con il disturbo di panico della madre.

Questa incongruenza tra gli studi potrebbe essere correlata sia all’età minore dei bambini che alle diverse metodologie di studio, così come alla mancanza della valutazione dei padri.

Uno studio “bottom-up” ha rilevato che i genitori dei bambini selezionati come “inibiti” basandosi su osservazioni di laboratorio avevano più alti tassi di disturbi d’ansia, in particolare ansia sociale, disturbo di evitamento infantile e una storia di disturbi d’ansia che continuava durante il resto dell’età infantile e l’età adulta (Rosenbaum et al., 1991). Il tasso di disturbi d’ansia dei genitori era significativamente più alto quando il bambino aveva sia BI che disturbo d’ansia, rispetto ai genitori dei bambini che presentavano solamente BI o genitori dei bambini senza BI e patologia d’ansia. (Rosenbaum et al., 1992). Gli autori hanno suggerito che la presenza del disturbo d’ansia dei genitori potrebbe aiutare nell’identificare un sottogruppo di bambini con BI con un rischio ancora più alto di sviluppare disturbo d’ansia durante l’infanzia.

Biederman et al (Biederman et al., 2001) hanno scoperto che anche che la BI nel bambino è associata in modo selettivo a un rischio aumentato per disturbo d’evitamento e ansia sociale, soprattutto nei bambini che hanno genitori con Disturbo di Panico (PD) sia con, che senza depressione. Questo significa che il PD dei genitori, insieme alla BI del bambino possono essere usati per identificare i bambini con alto rischio di disturbo d’ansia sociale.

Le emozioni dimostrate della madre sono un altro fattore che è stato studiato per la comprensione del ruolo della BI nello sviluppo di disturbi d’ansia. Uno studio del 1997 (Hirshfeld, Biederman, Brody, Faraone, & Rosenbaum, 1997) ha riportato che le madri con disturbo di panico erano significativamente più critiche nei confronti dei figli con BI rispetto ai bambini “non inibiti”. In madri con PD il criticismo nei confronti dei bambini

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con BI si trovava in 13 bambini su 20 (65%), mentre riguardava 2 bambini senza BI su 11 (18.2%). Questa tendenza alla critica non si trovava nelle madri che non presentavano disturbo d’ansia.

Fu suggerito che l’ansia delle madri e la presenza di comportamento difficile nel bambino potessero contribuire a una relazione madre-figlio stressante e che quindi potessero esacerbare i sintomi in entrambi.

Questo modello supporta una nozione espressa da Thomas e Chess (Thomas & Chess, 1984), che, in qualche modo, furono i primi a mettere in dubbio la credenza che i bambini nascessero come tabule rase. Thomas e Chess suggerivano che alcuni bambini sono più difficili da crescere sin dalla nascita e che genitori non adeguati fossero un importante fattore di rischio per lo sviluppo di una patologia psichiatrica.

Ulteriore supporto di questa nozione fu dato da Nachmias et al (Nachmias, Gunnar, Mangelsdorf, Parritz, & Buss, 1996) che esaminarono l’effetto della relazione di attaccamento madre-figlio, come questa si correlava alla moderazione della BI e la sua relazione con l’incremento del cortisolo salivare in risposta a situazioni di novità. Lo studio coinvolse 77 bambini di 18 mesi. Il cortisolo salivare aumentava soltanto nei bambini con relazione di attaccamento insicuro alla madre, il che suggeriva che la BI interagisse con lo sviluppo di disturbi d’ansia parzialmente attraverso connessione genitori-figlio.

Lo studio longitudinale di Lewis-Morrarty (Lewis-Morrarty et al., 2012) si è dedicato invece alla correlazione tra BI, Disturbo di Ansia Sociale e over-controlling materno. Lo studio con approccio multiplo ha valutato 176 partecipanti, nei quali sono stati ricercati attraverso osservazione e questionari le caratteristiche di BI all’età di 14 mesi e a 7 anni. In età adolescenziale (14-17 anni) veniva valutata la presenza di SAD tramite questionari appositi, come lo SCARED-SP (Birmaher et al., 1999) somministrato a genitori e figlio. Questionari aggiuntivi sono stati utilizzati, come il K-SADS-PL (Kaufman et al., 1997) e l’ADISC (Chronis-Tuscano et al., 2009).

Per valutare l’over-controlling materno è stato utilizzato un’osservazione al settimo anno di vita dell’interazione genitori-figlio con semplici tasks: una sessione di gioco non strutturata, il rimettere in ordine i giochi usati e il compito di creare degli origami con la carta.

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Con l’intenzione di ridurre il distress del figlio con BI, i genitori assumono questo atteggiamento di over-control, iperprotettivo, di comando, anche quando la situazione vissuta non lo richiede (Rubin et al., 1991).

Come risposta a questo atteggiamento, i bambini diventano ancora più dipendenti dagli adulti, acquisendo la convinzione che non saranno mai in grado di affrontare da soli e in maniera adeguata una situazione che provoca ansia (Gazelle & Ladd, 2003).

Quindi, l’atteggiamento di over-control materno può incrementare il rischio di successivo Disturbo di Ansia Sociale quando i genitori si comportano in modo che il bambino sia meno esposto alle situazioni di novità e che abbia meno possibilità di coping indipendente ad esse (Rapee, 1997).

L’atteggiamento materno viene valutato in 5 categorie: ostile, negativo, over-controlling, controllo positivo o di assistenza.

Gli atteggiamenti negativi sono ulteriormente suddivisi, minuto per minuto in 3 classi: assente, moderato, eccessivo, poi viene fatta la media di questo atteggiamento nel tempo. Dai risultati di questo studio emerge che l’alto ipercontrollo materno all’età di 7 anni è correlato con sintomi di Ansia Sociale durante la vita del figlio. Nello specifico l’ipercontrollo materno era associato con i sintomi adolescenziali di Ansia Sociale tra i ragazzi che avevano storia di importante BI durante l’infanzia, ma non in chi aveva BI lieve o assente da bambino.

Questo significa che c’è una importante interazione tra BI elevato per lungo tempo e over-control materno con i sintomi di Ansia Sociale in adolescenza. Invece significativo BI ma con esperienza bassa di over-control materno non sembrano essere correlati a un aumentato rischio di Disturbo di Ansia Sociale, suggerendo che il basso over-control materno sia un fattore protettivo in bambini con BI stabilmente elevato.

Questi studi suggeriscono che anche un programma finalizzato al ridurre il comportamento di over-control materno possa essere d’aiuto al bambino con BI nel ridurre la probabilità di sviluppare Disturbo di Ansia Sociale in età adolescenziale.

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• Evidenze per un’associazione specifica BI-Fobia sociale

Studi prospettici longitudinali su bambini con BI presi da 5 differenti coorti ad alto rischio e di popolazione hanno dimostrato che, nella prima e seconda infanzia e durante l’adolescenza, i bambini “inibiti” hanno elevato tasso di disturbi d’ansia.

Anche se studi iniziali suggerivano che il rischio conferito dalla BI fosse per i disturbi d’ansia in generale o per disordini fobici (Biederman et al., 1993; Biederman et al., 1990), studi successivi più ampi hanno chiarito che la BI sembra essere associata specificatamente con il rischio di Ansia Sociale nell’infanzia e durante l’adolescenza (Biederman et al., 2001; Hayward, Killen, Kraemer, & Taylor, 1998; Hirshfeld-Becker et al., 2007; Schwartz et al., 1999).

Ulteriori studi hanno dimostrato come la BI sia maggiormente predittiva di disturbi d’ansia quando compare nella prole di genitori con disturbi d’ansia (Biederman et al., 2001; Rosenbaum et al., 1992).

Inoltre dati più recenti da gruppi ad alto rischio hanno suggerito che la BI osservata tra i 4 e i 6 anni è più predittiva di Ansia Sociale con onset nell’infanzia rispetto alla BI osservata a 21 mesi (Hirshfeld-Becker et al., 2007).

In uno studio di Isolan (Isolan et al., 2005) sono stati coinvolti 50 pazienti con disturbo di panico, 50 pazienti con disturbo d’ansia sociale e 50 soggetti nel gruppo di controllo. I pazienti con Disturbo di Ansia Sociale mostravano tassi significativamente più alti di disturbi d’ansia durante l’infanzia e BI rispetto al gruppo di controllo, ma anche rispetto al gruppo dei pazienti con PD. Questo potrebbe significare che la prima manifestazione di Disturbo di Ansia Sociale può anche comparire nel bambino. Oltre a questo, i pazienti con PD e i pazienti con Disturbo di Ansia Sociale mostravano score più alti di BI rispetto al controllo, ma una differenza significativa era presente anche tra il gruppo con Disturbo di Ansia Sociale e il gruppo PD: questo dato suggeriva che i pazienti con patologia d’ansia erano bambini maggiormente inibiti rispetto ai pazienti con panico.

Questo studio concordava con altri dati, come quelli in letteratura (Biederman et al., 1993; Hayward et al., 1998; Mick & Telch, 1998; Schwartz et al., 1999; Van Ameringen, Mancini, & Oakman, 1998).

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Hayward et al. (Hayward et al., 1998) hanno fatto il primo studio prospettico ricercando il ruolo della BI nello sviluppo del Disturbo di Ansia Sociale durante l’adolescenza. Seguivano 2242 studenti nel corso di 4 anni, con una media di 15 anni nella prima valutazione, mostrando che, anche se la BI non sia sempre sinonimo di Disturbo di Ansia Sociale in adolescenza, il rischio di Ansia Sociale nel giovane è 4-5 volte maggiore se ha un passato di BI.

L’associazione tra BI e Ansia Sociale è stata descritta anche da Schwartz et al. (Schwartz et al., 1999) che valutò con una intervista clinica semi-strutturata 79 adolescenti con una media di 13 anni, che erano stati classificati nel loro secondo anno di vita in “inibiti” o

“non inibiti”. Mostravano che la presenza di BI nell’infanzia, soprattutto nelle femmine,

era significativamente associata con fobia sociale generalizzata, ma non con fobie specifiche, ansia di separazione o ansia da prestazione nell’adolescente. Dei soggetti con BI durante l’infanzia, il 61% aveva sviluppato Disturbo d’Ansia Sociale durante l’adolescenza, quando solamente il 27% dei soggetti che non presentavano BI lo aveva sviluppato.

• Evidenze dell’associazione tramite studi retrospettivi

L’utilizzo di questionari self-report della BI sia nella terza infanzia, che in adolescenza e in età adulta determina risultati discordanti.

Alcuni studi hanno infatti riportato associazione tra BI e disturbo d’ansia in generale (Muris, Merckelbach, Schmidt, Gadet, & Bogie, 2001; Muris, Merckelbach, Wessel, & van de Ven, 1999), mentre altri hanno trovato più ampia o più specifica associazione con il Disturbo di Ansia Sociale (G. L. Gladstone & Parker, 2006; G. L. Gladstone, Parker, Mitchell, Wilhelm, & Malhi, 2005; G. Gladstone & Parker, 2005; Mick & Telch, 1998; Muris et al., 1999; Wittchen, Stein, & Kessler, 1999).

In ogni caso questi studi dovrebbero essere contemplati alla luce delle limitazioni, inclusa la possibilità di bias di memoria tra gli individui già affetti da disturbi d’ansia, la possibilità di confondere la BI con un’inibizione secondaria ai sintomi di esordio e la mancanza di informazioni sulla psicopatologia dei genitori. Se la BI è davvero più comune tra i figli di genitori con patologia d’ansia, allora i soggetti con confermata BI, estratti a campione dalla popolazione o da gruppi di studio, hanno maggiore probabilità

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20

di essere figli di genitori con ansia e questo può confondere l’osservazione dell’associazione tra BI e ansia in generale.

Uno studio di Hirshfeld et al. (Hirshfeld et al., 1992) ha dimostrato in particolare che i bambini che rimanevano “inibiti” durante l’infanzia avevano maggior rischio di disturbo d’ansia rispetto a quelli che non lo rimanevano altrettanto a lungo. 8 su 12 bambini definiti “stable inhibited” presentavano uno o più disturbi d’ansia, mentre nei bambini “unstable

inhibited” i disturbi d’ansia comparivano con una frequenza di 1 su 10. Questo risultato

suggerisce che la presenza di BI in forma stabile è un forte predittore di disturbi d’ansia.

1.6 Correlazione tra Behavioural Inhibition e patologie psichiatriche diverse dal Disturbo d’Ansia

Il grado con cui la BI può essere collegata al rischio di depressione maggiore e disturbo di panico non è ancora del tutto chiaro.

Studi familiari hanno trovato collegamenti con il Disturbo di Panico dei genitori; e in uno studio non sembravano tener di conto di una comorbidità con la Ansia Sociale dei genitori (Rosenbaum et al., 2000).

Nessuno studio, per adesso, ha esaminato BI tra la prole dei soggetti con Fobia Sociale, ma uno studio bottom-up ha rilevato che bambini di 4 anni definiti dalle madri o dalle insegnanti come “timidi”, senza comorbidità, avevano madri con un tasso di Fobia Sociale otto volte maggiore del gruppo di controllo (Cooper & Eke, 1999). Tassi di qualsiasi disturbo d’ansia e d’umore erano anch’essi più alti nelle madri con bambini “timidi” rispetto al controllo, ma non più alti del gruppo di bambini con altre difficoltà. Considerando la Depressione Maggiore, due studi su famiglie hanno osservato più alti tassi di BI tra la prole di genitori depressi (Kochanska, 1991; Rosenbaum et al., 2000), anche se un terzo studio non lo ha confermato (Kochanska & Radkeyarrow, 1992). Un ulteriore studio ha scoperto che bambini con BI a 14 mesi erano associati a madri con Depressione Post-partum a 4 mesi (Moehler et al., 2007).

Uno studio prospettico a lunga durata di un campione di popolazione ha trovato un’associazione tra comportamento “inibito” a 3 anni (osservato da esaminatori) e

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Depressione Maggiore all’inizio dell’età adulta (Caspi, Moffitt, Newman, & Silva, 1996); in particolare con depressione con onset nell’infanzia e che ricorreva in età adulta (Jaffee et al., 2002).

Studi cross-sectional (Muris et al., 2001) e retrospettivi (G. L. Gladstone & Parker, 2006) tramite questionari, in adolescenti e adulti, hanno anch’essi suggerito il link tra BI e depressione, ma uno studio ha suggerito che il collegamento era da correlarsi alla comorbidità per Fobia Sociale (G. L. Gladstone & Parker, 2006).

Nello studio Gladstone & Parker del 2006, infatti, venivano reclutati 576 adulti gemelli tra i 25 e i 55 anni che venivano sottoposti a molteplici questionari. Si sono utilizzati il Retrospective Measure of Behavioural Inhibition (RMBI) per lo studio e l’Adult Measure of BI (AMBI) per il controllo delle variabili all’interno delle analisi. Si è somministrato il MOPS, ovvero il Measure of Parental Style riferito a entrambi i genitori per valutare l’atteggiamento che i genitori avevano adottato fino a che i gemelli avevano 16 anni; si è usata la Social Anxiety Scale per la stima dell’Ansia Sociale contemporanea allo studio; l’Assesment of Lifetime Depression come questionario per la valutazione di presenza di Depressione Maggiore nell’arco della vita; l’Assesment of Childhood Bullying per valutare se fossero stati vittima di bullismo a scuola tra i 5 e i 12 anni.

Analizzando i dati, sono state ricavate molte informazioni utili:

1. Il 17% dei soggetti avevano avuto esperienze di depressione abbastanza severa da poter essere definita come “maggiore” o “clinica”. In maggioranza erano donne, ma questa differenza nel sesso non poteva essere considerata significativa. Il primo episodio depressivo era calcolato essere mediamente a 24.2 anni;

2. Gli score di BI, ricavati sommando le risposte dei questionari, avevano come media nel RMBI 12.3 punti. Gli score non erano correlati all’età, ma erano influenzati dal sesso del soggetto, con più alti punteggi di BI nelle donne;

3. Veniva poi ricercata una relazione tra BI e depressione: soggetti che avevano avuto un episodio depressivo durante il corso della propria vita avevano score del RMBI significativamente più alti degli altri soggetti che non avevano avuto episodi depressivi. Questa differenza rimaneva quando si controllava l’influenza degli score dell’AMBI e del sesso. Per gli episodi depressivi, lo score del RMBI

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era inversamente proporzionale all’età del soggetto nel primo episodio depressivo;

4. Gli score di Ansia Sociale erano ben distribuiti nella popolazione campione, come atteso in una popolazione non clinica, con una differenza non significativa tra maschi e femmine;

5. La correlazione tra BI, Ansia Sociale e Depressione Maggiore è stata valutata anche in ottica temporale, con tre possibili pathways analizzati. Il pathway di maggiore significatività vedeva la BI determinare un contributo causale alla depressione tramite la mediazione dell’Ansia Sociale, suggerendo che il passaggio da BI e depressione fosse dipendente dalla presenza dell’Ansia Sociale;

6. La “negatività genitoriale” aveva score significativamente più alti nei pazienti con presenza di depressione rispetto agli altri soggetti del gruppo. Inoltre le donne avevano score del MOPS significativamente più alti rispetto agli uomini.

7. I questionari sul bullismo rivelavano che questo era raro, infatti solo il 4% dei soggetti della popolazione ne era stato vittima. Nei soggetti con depressione essere vittima di bullismo era significativamente più frequente rispetto ai soggetti che non avevano riportato depressione.

8. Visto che il bullismo era riportato come non comune nei soggetti in studio, gli score del questionario sul bullismo sono stati sommati a quelli del MOPS dei comportamenti negativi dei genitori, venendo a costituire la variabile “stress

relazionale” utilizzata nell’analisi che indagava l’associazione tra BI, stress

relazionale, Ansia Sociale e Depressione. Sono state poste due questioni: quale sia il ruolo dello “stress relazionale” tra la BI e la Depressione e quale sia il modello che rappresentava in maniera migliore la contribuzione del fattore “stress

relazionale” con l’ansia sociale alla relazione tra BI e Depressione. Le

correlazioni rivelavano che anche se la BI era correlata con il comportamento negativo dei genitori, questa relazione era molto debole, mentre la BI era correlata in maniera molto più forte al bullismo. Il bullismo non veniva considerato come passaggio fondamentale per Depressione, ma il bullismo era correlato alla depressione solo come mediatore con l’ansia sociale. La BI contribuiva direttamente sia al bullismo che all’Ansia Sociale e, inoltre, contribuiva a incrementare l’Ansia Sociale per mezzo del bullismo.

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Figura 1. Diagramma che rappresenta l'interazione di alcuni fattori ambientali e ansia sociale nella relazione tra "inibizione temperamentale" dell'infanzia e depressione, con coefficienti

Quindi, riassumendo: la presenza di una BI può essere un rischio per l’incidenza di Depressione nel corso della vita, ma il rischio sembra essere indiretto, collegato attraverso l’Ansia Sociale. Relazioni stressanti con i genitori possono aumentare questo rischio di depressione.

In accordo con questi risultati, uno studio del 2007 (Beesdo et al., 2007), studio longitudinale della durata di 30 anni su un grande campione rappresentativo di popolazione fatto in Germania, ha rilevato che la Fobia Sociale nell’adolescenza aumentava il rischio per una seguente patologia Depressiva Maggiore e che retrospettivamente la BI riportata era un significativo predittore della transizione dalla Fobia sociale alla Depressione.

In definitiva la BI dell’infanzia sembra aumentare il rischio di depressione nell’adulto, possibilmente mediato dalla Fobia Sociale.

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Un’importante considerazione da valutare è che molti fattori ambientali giocano un ruolo tra il carattere e lo sviluppo di patologia depressiva o d’ansia. Alcuni ricercatori (Craske, 1997; Hirshfeld-Becker et al., 2003; Ollendick & Hirshfeld-Becker, 2002) hanno notato che la Behavioural Inhibition può costituire una vulnerabilità per successive patologie psicopatologiche solo in combinazione con fattori ambientali di stress. Data la natura del carattere “inibito”, stress rilevanti potrebbero essere associati a difficili situazioni relazionali, sia con i genitori che con i coetanei. Per esempio un bambino molto “inibito”, se viene esposto a esperienze stressanti dai compagni, potrà sviluppare più facilmente caratteri di evitamento sociale, insieme alla paura di essere giudicato o respinto.

Si deve ad oggi considerare in maniera specifica se gli importanti comportamenti “inibiti” influiscano negativamente la relazione con i genitori, producendo reazioni negative (criticismo/ rifiuto) di questi o, al contrario, se un comportamento eccessivamente dannoso per il bambino dei caregivers possa generare una inibizione e un carattere introverso del bambino. Nella stessa maniera, un’alta inibizione nei confronti dei coetanei nell’infanzia può risultare in un processo dove l’auto-isolamento si interfaccia con la disapprovazione dei compagni, scatenando potenzialmente un ulteriore isolamento e paura della interazione sociale con gli altri bambini.

Il comportamento dei genitori, soprattutto se sottopongono il bambino a controllo eccessivo o se sono troppo intrusivi (Arrindell et al., 1989; G. Parker, 1983), e la sopraffazione degli altri compagni, come episodi di bullismo, sono stati collegati con lo sviluppo dell’Ansia Sociale e sentimenti negativi (Olweus, 1994; Roth, Coles, & Heimberg, 2002).

Quindi la relazione tra i self-reported BI e la Depressione acquisita nelle fasi successive della vita non può essere studiata in maniera corretta senza considerare il ruolo degli eventi stressanti ambientali.

1.7 Si può modificare il rischio di sviluppo di patologia d’ansia dato dalla Behavioural Inhibition?

Anche se la Behavioural Inhibition aumenta il rischio di patologia d’ansia, non tutti i bambini con temperamento di BI sviluppano patologie psichiatriche, e ciò dimostra una certa resilienza di alcuni soggetti (Degnan & Fox, 2007). Le ricerche sui correlati

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neurologici della BI si sono concentrate in larga misura sugli outcome correlati all’ansia piuttosto che sul processo che favorisce la resilienza. Mentre gli impairments nella discriminazione tra minaccia e situazione sicura durante l’extintion recall sono associati con disturbi d’ansia, l’abilità di distinguere correttamente minaccia da stimolo non minaccioso potrebbe essere uno dei pathway coinvolti nella mediazione dello sviluppo dell’ansia.

Durante il fear conditioning, uno stimolo neutro (CS+) è associato a uno stimolo avverso (UCS) fino a che si forma l’associazione tra lo stimolo neutro CS+ e minaccia. Nella fase di extincion il CS+ viene presentato in assenza dell’associazione con lo stimolo avverso UCS, determinando una nuova associazione CS+-situazione sicura. L’exction recall si definisce quando viene presentato nuovamente lo stimolo CS+ dopo del tempo.

Ricerche preliminari nel campo della BI suggeriscono che i bambini a rischio quando vengono esposti a situazioni che provocano una leggera situazione di ansia durante l’infanzia, sono meno a rischio di sviluppare un disturbo d’ansia rispetto a bambini che non vi sono esposti (Lewis-Morrarty et al., 2012). Una simile associazione si ritrova negli adolescenti con una storia di BI, dove eventi “di tutti i giorni” possono riflettere forme di esposizione associate a una diminuzione di ansia (Frenkel et al., 2015). Questi risultati sembrano suggerire che l’estinzione della paura a fattori stressogeni naturali rappresenta un importante fattore di moderazione del rischio e di resilienza in bambini con BI (Pine & Fox, 2015).

Mentre l’amigdala è importante sia per il condizionamento alla paura che per la sua estinzione, il PFC ventromediale (vmPFC) ha un ruolo specifico nell’estinzione e nel recall (Quirk & Mueller, 2008).

Quando si fa il processing degli stimoli minacciosi che erano in passato considerati minacce, l’engagement del vmPFC può aiutare nell’abilità di distinguere stimoli minacciosi da quelli sicuri. Soggetti ansiosi parenti di soggetti non ansiosi mostrano minor engagement nel giro cingolato anteriore del lobo frontale (sgACC) e del vmPFC durante la extintion recall (Britton et al., 2013; Indovina, Robbins, Nunez-Elizalde, Dunn, & Bishop, 2011; Milad et al., 2009).

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Il coinvolgimento della vmPFC durante il processing di minacce estinte in precedenza può facilitare l’abilità di distinguere stimoli pericolosi da quelli sicuri, soprattutto durante la discriminazione tra CS-/CS+ in un esercizio di extinction recall.

Durante lo studio delle extinction recall nel disturbo d’ansia degli adolescenti, le differenze principali tra i partecipanti con disturbo d’ansia e senza disturbo d’ansia nell’amigdala e nel vmPFC emergevano durante la valutazione della minaccia, quando i partecipanti erano tenuti a stimare la loro reazione interiore al segnale di pericolo (Britton et al., 2013; Gold et al., 2016).

1.8 Si può modificare la Behavioural Inhibition con l’esperienza?

La non persistenza della BI in alcuni bambini suggerisce che questa può essere modificata da fattori ambientali. I dati degli esperimenti sui primati suggeriscono che il comportamento dei genitori possa modificare l’inibizione della prole, ma i risultati della letteratura degli studi umani sono controversi.

Alcuni studi hanno rilevato che la sensibilità dei genitori è correlata alla BI. Per esempio in uno studio, la risposta della madre ai lamenti e ai pianti del bambino di 5-7 mesi classificata “di alta intensità” a 4 mesi, era associata a maggiore prevalenza di BI a 14 mesi (Arcus, 1991). Nello stesso studio, limitando il comportamento a 9-13 mesi, si associava minor BI a 14 mesi.

Uno studio successivo dimostrò che tra i bambini maschi emergevano più alti tassi di BI al terzo anno di vita, se mostravano affetti altamente negativi nell’infanzia e avevano padri che mostravano maggiore sensibilità, affetto positivo, stimolazione cognitiva, assenza di distaccamento, minori intrusività e atteggiamenti negativi nelle osservazioni sperimentali durante il secondo e terzo anno di vita (Belsky, Hsieh, & Crnic, 1998). In modo simile, nella stessa coorte di pazienti dello studio, risultò che un atteggiamento intrusivo della madre era associato a BI più bassa (Park, Belsky, Putnam, & Crnic, 1997). Gli autori ipotizzarono che forse con lo spronare i figli a cambiare (seppur atteggiamento che sembra “intrusivo” o “privo di tatto”), i genitori possono aver influenzato i propri figli ad essere meno “inibiti”.

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Al contrario uno studio del 2002 arrivava alla conclusione che il controllo e criticismo materni erano associate maggiore stabilità della BI tra i 2 e i 4 anni (K. H. Rubin et al., 2002).

Un altro studio prospettivo dimostrava che l’utilizzo di una struttura tipo asilo per più di 10 ore a settimana riduceva la BI nella prima infanzia (Fox, 2004).

Anche se tutti questi risultati potrebbero essere influenzati dalla genetica e dalla presenza di disturbi d’ansia nei genitori (per esempio, se un genitore più ansioso ha mostrato maggiore empatia o atteggiamento positivo nei confronti di un distress dell’infante o del bambino, più difficoltà nell’imporre dei limiti, atteggiamento più di controllo o più critico e più difficoltà nel lasciare il bambino all’asilo), possono anche essere spiegate con ipotesi comportamentali che rinforzano l’atteggiamento di ansia e facilitando la condotta di evitamento e aumentando la BI e il distress al distacco; dove si facilita l’esposizione si riduce l’inibizione.

Oltre alle influenze ambientali, molti studi hanno suggerito che alcuni fattori del bambino possano influenzare la stabilità della BI. Per esempio, la competenza sociale è stata ritenuta associata a una ridotta stabilità della BI nel tempo (J. Asendorpf, 1994).

Altri studi hanno suggerito che il controllo dell’attenzione può essere capace di mitigare gli effetti della BI o della iperreattività agli stimoli nuovi (Crockenberg & Leerkes, 2006; Eisenberg, Shepard, Fabes, Murphy, & Guthrie, 1998; Muris & Dietvorst, 2006).

Studi di associazione con il sesso danno risultati contrastanti. Alcuni rivelano una maggiore stabilità della BI nel sesso femminile (Hirshfeld et al., 1992; Kagan, Reznick, & Snidman, 1988), altri nel sesso maschile (Fox, 2004) , altri non trovano differenze nei due sessi (Broberg et al., 1990).

Messi tutti insieme questi studi suggeriscono che migliorare le social skills del bambino e la sua abilità nel controllo dell’attenzione potrebbero essere utili per ridurre la BI. Uno studio di Frenkel del 2015 (Frenkel et al., 2015) ha ricercato se l’interazione tra BI e Ansia Sociale nell’adulto fosse o meno collegata alla presenza di un gruppo sociale nell’adolescenza.

Durante i primi anni dell’adolescenza le esperienze “di gruppo” con i coetanei crescono in estensione e in complessità (Smetana, Campione-Barr, & Metzger, 2006). Un alto

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livello di integrazione sociale, indicizzato dalla grandezza della rete sociale, è associato a una buona salute psicosociale (Bauman & Ennett, 1996; Ueno).

Inoltre il gruppo di coetanei con cui si affilia l’individuo e, soprattutto, la percezione delle norme sociali del gruppo, diventano importanti fattori che influenzano carattere e comportamento (Bukowski, Brendgen, & Vitaro, 2007; Terry & Hogg, 1999).

1.9 Intervento in bambini con Behavioural Inhibition

Se la presenza di Behavioural Inhibition è veramente un fattore di rischio per disturbi d’ansia sociale, allora potrebbero essere utili interventi comportamentali per ridurre il livello di BI nel bambino e prevenire il successivo insorgere di Fobia Sociale. Ancora nessuno studio è arrivato ad una conclusione definitiva, ma lo studio del 2005 effettuato da Rapee et al. (Rapee et al., 2005) ci è arrivato vicino. Ha sottoposto a screening 1647 bambini tra i 5609 dei 95 asili a Sidney, Australia, usando il Short Temperament Scale for Children (Sanson, Smart, Prior, Oberklaid, & Pedlow, 1994). Basandosi sulle osservazioni di laboratorio e i report dei genitori, 146 bambini che incontravano i criteri di BI sono stati assegnati a un programma che prevedeva 6 sessioni della durata di 90 minuti ciascuno con condizioni di gruppo di intervento sui genitori o a un gruppo di solo controllo. Al casting e al follow-up a 12 mesi i bambini sono stati descritti dai rispettivi genitori attraverso il ADIS-C/P-IV a dalla osservazione di laboratorio. Gli interventi prevedevano la discussione su temi come la natura e l’onset della patologia d’ansia, strategie di management dei genitori, l’effetto dell’iperprotezione sul disturbo d’ansia dei figli, principi di esposizione gerarchica, ricostituzione cognitiva, presenza di periodi a alto rischio.

L’intervento riduceva significativamente il numero di disordini d’ansia (Rapee et al., 2005). Mentre il 90% dei bambini aveva disturbo d’ansia al tempo zero, lo aveva il 50% dei bambini trattati e il 63% dei non trattati al follow-up al dodicesimo mese. Questa diminuzione si è avuta per Fobia Sociale, Disturbo d’Ansia di Separazione e per le Fobie Specifiche, ma non per la Behavioural Inhibition che è diminuita in entrambi i gruppi equamente.

Questo studio suggerisce che un intervento su bambini con BI può essere utile nel ridurre i disturbi di ansia nei bambini, ma non è chiaro se i cambiamenti nel BI siano il motivo della mediazione della mutazione dei disturbi d’ansia. È possibile che bambini con BI

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maggiore o con BI e genitori con disturbi d’ansia possano essere maggiormente inclini a mantenere il loro status di BI nel tempo.

In conclusione l’utilizzo di pochi semplici screening, combinato con un’adeguata osservazione durante le visite di routine dal pediatra di famiglia, potrebbero essere particolarmente utili nell’individuazione di Behavioural Inhibition del bambino e, di conseguenza, dei bambini che sono a maggior rischio di sviluppare disturbo di ansia. Questo screening potrebbe ovviamente essere ancora più utile nei bambini ad alto rischio, come, per esempio, figli di genitori con storia di disturbi d’ansia.

Una volta individuati i fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi d’ansia in un bambino, si possono attuare strategie per ridurre il rischio di patologia d’ansia in futuro, tipo educare i genitori e spiegare loro quali sono i segni della patologia, iniziare strategie comportamentali.

Una serie di metodiche parentali sono state suggerite per gestire le condotte di evitamento, per esempio introducendo sistematicamente il bambino a situazioni gradualmente più spaventose in combinazione con rassicurazione e espedienti cognitivi come la spiegazione anticipatoria e valutazione realistica.

Evidenze che supportano questo stile di coping dei genitori che riduce la BI (e quindi il rischio di sviluppare disturbo d’ansia) è stato notato nello studio di Hirshfeld et al. (Hirshfeld et al., 1992) che ha visto il cambiamento di comportamento da inhibited a non

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Capitolo 2. Ansia di Separazione nell’Adulto

2.1 Descrizione del Disturbo di Ansia di Separazione

Il disturbo d’ansia di separazione (SAD) è una patologia che è stata classicamente definita come un fenomeno dell’infanzia. Il disagio conseguente alla separazione dalla figura d’attaccamento è connesso al normale sviluppo infantile (M. D. Ainsworth, 1963; Bowlby, 1973, 1982), con il probabile scopo evolutivo di mantenere la prole umana, ancora inetta ad affrontare le difficoltà della vita, in prossimità del suo caregiver principale.

Un grado non eccessivo d’Ansia di Separazione è quindi una dimensione universale, attesa nello sviluppo di ogni bambino: si verifica sin dai primi mesi di vita, diventando via via più intenso per poi scomparire con la crescita.

Fino a un anno di età, la paura dell’estraneo in assenza della madre, è considerata una tappa importante del normale sviluppo sociale e altrettanto normale è considerata la reazione d’ansia in coincidenza del primo inserimento scolastico.

Solo qualora la sensibilità alla separazione diventi eccessiva, prolungata, con un’intensa componente ansiosa e tale da determinare interferenze nelle attività della vita quotidiana e con il normale sviluppo, è possibile parlare di SAD (nel bambino) (Ardizzone, Galli, & Guidetti, 2005).

Il SAD, chiamato anche “sindrome ansiosa da separazione”, è stato definito come una condizione gravata da un’ansia eccessiva evocata nel bambino alla separazione dalla figura genitoriale privilegiata (American Psychiatric Association, 2000; World Health Organization, 1994).

Dal punto di vista clinico sono generalmente presenti differenze evolutive nelle espressioni del disturbo:

• i bambini più piccoli sono intolleranti alle separazioni e manifestano inquietudine non appena la madre si allontana. In sua presenza attuano delle verifiche costanti: non la perdono di vista, le stanno vicino, la toccano, si aggrappano ai vestiti e le chiedono di farsi prendere in braccio. Anche l’addormentamento esige la stretta vicinanza della madre e il sonno può essere disturbato da incubi, da risvegli ansiosi, richiami continui e intrusioni nel letto dei genitori.

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• A 5-8 anni, i sintomi sono prevalentemente comportamentali e somatici: compaiono paure irrealistiche circa il fatto di perdersi senza i genitori o circa i pericoli che potrebbero subire alla separazione.

• Negli anni successivi prevale la paura di possibili incidenti/malattie a carico dei genitori e il rifiuto scolastico.

• In adolescenza sono molto frequenti le somatizzazioni e i comportamenti provocatori con cui l’adolescente cerca di attirare l’attenzione dei genitori. La prevalenza stimata del SAD, secondo la letteratura internazionale, è stata calcolata pari al 3-4% di tutti i bambini in età scolare e all’1% di tutti gli adolescenti (American Psychiatric Association, 1994).

La SAD dell’infanzia è più comune nelle femmine (OR=2.2), mentre se la patologia ha onset nell’adulto non si hanno differenze significative nel sesso (K. Shear, Jin, Ruscio, Walters, & Kessler, 2006a; Silove, Marnane, & Wagner, 2010).

2.2 Storia dell’inquadramento clinico del Disturbo di Ansia di Separazione

L’enfasi sull’esordio infantile già nel DSM-IV-TR, indicava che anche la prima comparsa del disturbo in età adolescenziale è rara. Tuttavia, il manuale suggerisce che la malattia può persistere anche dopo l’infanzia e l’Ansia di Separazione è rubricata come possibile criterio di esclusione per alcuni disturbi che si manifestano prevalentemente in età adulta, come il Disturbo di Panico (DP) e l’Agorafobia (Ag).

La questione rimasta per molto tempo in sospeso era la possibilità di comparsa dell’Ansia di Separazione in età adulta.

A partire dalla metà degli anni ’90, gli psichiatri dell’università del New South Wales a Sydney, in Australia, osservarono che, in alcuni pazienti adulti seguiti presso la clinica per disturbi d’ansia, il quadro clinico era dominato dai sintomi dell’Ansia di Separazione (Manicavasagar & Silove, 1997).

I primi studi avevano cercato di correlare l’Ansia di Separazione precoce e il DP con Ag (DP-Ag) negli adulti (Silove, Harris, et al., 1995).

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Tuttavia, come evidenziato da Manicavasagar et al., in alcuni pazienti adulti le paure fondamentali erano focalizzate sulla separazione dalle figure chiave e sulla possibilità che qualche evento potesse compromettere questo legame.

I sintomi associati includevano una certa riluttanza a lasciare i luoghi considerati sicuri, disturbi del sonno (paura di dormire da solo, incubi di separazione) e un focus eccessivo sul mantenimento della vicinanza o del contatto stretto con le figure d’attaccamento. I sintomi dell’adulto sembravano essere aggravati dalla rottura reale o minacciata di legami primari, con periodi di ansia acuta simile ad attacchi di panico scatenati da situazioni che attivavano l’ansia di separazione (Manicavasagar et al., 2010b).

In seguito, ulteriori studi dello stesso gruppo di lavoro si sono focalizzati sul SAD, definendolo in maniera più accurata (Manicavasagar et al., 2010a; Manicavasagar & Silove, 1997; Manicavasagar, Silove, & Curtis, 1997; Manicavasagar, Silove, Curtis, & Wagner, 2000; Silove, Manicavasagar, Curtis, & Blaszczynski, 1996) e anche di altri autori (Cyranowski et al., 2002; Silove et al., 2007).

Secondo Kessler et al. il SAD quindi non doveva risultare più confinato esclusivamente all’infanzia e all’adolescenza bensì, come altri disturbi d’ansia, doveva essere considerato una patologia con esordio in qualunque età (Kessler et al., 2005); inoltre, gli stessi autori, sostenevano che, sebbene il SAD fosse un fenomeno ben noto e studiato della patologia infantile, esso potesse permanere come tale anche in età adulta, esprimendosi con sintomi caratteristici del nuovo contesto in cui il disturbo si manifestava.

A oggi il SAD è accettato anche come patologia con onset nell’adulto, ed è stata descritta come tale anche nel DSM-5.

Una grande parte dei pazienti adulti con disturbi di ansia ha problemi che possono ricondursi a esperienze e ambienti dell’infanzia, ma che si manifestano con sintomi clinicamente visibili solamente nell’età adulta e l’Ansia di Separazione è considerata ad oggi in questo modo, così come le altre patologie d’ansia. Rimuovendo il criterio dell’età di onset nel DSM-5, si è messa l’ansia di separazione sullo stesso livello delle altre patologie d’ansia e si è rimossa la necessità di distinguere la patologia nei due gruppi “infantile” e “dell’età adulta” (Manicavasagar et al., 2010a).

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Lo studio di Pini et al. (Pini et al., 2010) valutò che i pazienti che presentavano ASAD avevano un onset a un’età media di 23.1 (+/- 11.5) e 8.3 (+/-8.1) anni per pazienti con Ansia di Separazione dell’Adulto (ASAD) rispettivamente senza e con Ansia di Separazione dell’infanzia.

In modo simile Shear (K. Shear, Jin, Ruscio, Walters, & Kessler, 2006b) riportò che la SAD con onset in età adulta cominciava negli ultimi anni dell’adolescenza o all’inizio dei 20 anni, mentre i casi con onset pediatrico cominciavano nella seconda o inizio della terza infanzia.

2.3 Studi di popolazione generale del Disturbo di Ansia di Separazione

Il National Comorbidity Survey Replication (NCS-R) (Kessler et al., 2004; Kessler & Merikangas, 2004) è stato il primo studio epidemiologico a includere un modulo per il ASAD e un modulo retrospettivo per il SAD dell’infanzia (Kessler et al., 2005). I risultati dello studio mostravano una prevalenza del ASAD a 12 mesi dell’1,9% e del 6,6% nell’arco della vita, quindi maggiore di quella per il SAD dell’infanzia che risultava essere pari al 4,1% (K. Shear et al., 2006a).

Studi su volontari e campioni clinici

Il primo studio su un campione di volontari è stato condotto mediante una campagna mediatica specificatamente disegnata per il reclutamento di pazienti con possibile diagnosi di ASAD.

Trentasei dei 44 soggetti arruolati hanno risposto ai criteri per il disturbo e nonostante molti di questi pazienti ricordassero l’inizio dei sintomi in età infantile, circa un terzo ha riferito un esordio in età adulta; inoltre, risultavano frequenti comorbilità per disturbi d’ansia e dell’umore -quali il DP o il Disturbo Depressivo Maggiore-, ma in circa il 75% dei casi i sintomi d’Ansia di Separazione precedevano gli altri (Manicavasagar et al., 1997).

Riferimenti

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