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«in riva alla luce». Il tema del mare nella lirica di Antonia Pozzi

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Études italiennes

 

17 | 2014

L’écrivain et les formes du pouvoir à la Renaissance

« in riva alla luce ». Il tema del mare nella lirica di Antonia Pozzi

Luca Bani

Edizione digitale

URL: https://journals.openedition.org/transalpina/1554 DOI: 10.4000/transalpina.1554

ISSN: 2534-5184 Editore

Presses universitaires de Caen Edizione cartacea

Data di pubblicazione: 2 octobre 2014 Paginazione: 205-222

ISBN: 978-2-84133-501-5 ISSN: 1278-334X

Notizia bibliografica digitale

Luca Bani, «« in riva alla luce ». Il tema del mare nella lirica di Antonia Pozzi», Transalpina [Online], 17 | 2014, online dal 29 mars 2022, consultato il 31 mars 2022. URL: http://journals.openedition.org/

transalpina/1554 ; DOI: https://doi.org/10.4000/transalpina.1554

Transalpina. Études italiennes

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Transalpina, no 17, 2014, L’écrivain et les formes du pouvoir à la Renaissance, p. 205-222

il tema Del mare

nella liriCa Di antonia pozzi

riassunto : Il saggio intende ripercorre la tragica vicenda della poetessa milanese Antonia Pozzi (1912-1938), morta suicida, che ha lasciato con la silloge Parole (postuma, 1939) le tracce di una vocazione lirica fortemente autobiografica, già apprezzata da Eugenio Montale, e segnata dall’influsso della letteratura mitteleuropea, dall’esperienza del simbolismo francese e dalla maggiore tradizione italiana di quegli anni : Carducci, Pascoli, D’Annunzio e i Crepuscolari. Tra i nuclei tematico / paesaggistici delle liriche della Pozzi vi è in netta prevalenza quello della montagna – spazio naturale prediletto dall’Autrice, vero e proprio territorio dell’anima con il quale la Pozzi ha un rapporto di profonda e appassionata empatia – e, in misura minore, anche quello del mare, verso il quale la Pozzi prova sentimenti più contrastanti e segnati da una forte ambiguità. Il saggio si concentra proprio su quest’ultimo tema attraverso l’analisi di liriche come Giacere, Sorelle, a voi non dispiace…, Infanzia, Esilio e molte altre.

Résumé : Cet essai retrace la vie tragique de la poétesse milanaise Antonia Pozzi (1912- 1938), morte par suicide. Elle a laissé dans le recueil Parole (posthume, 1939) les traces d’une vocation lyrique fortement autobiographique, jadis appréciée par Eugenio Montale et marquée par l’influence de la littérature de l’Europe centrale, par la connaissance du symbolisme français ainsi que de la grande tradition italienne de ces années : Carducci, Pascoli, D’Annunzio et les Crépusculaires. Parmi les thèmes liés aux paysages dans les poèmes d’Antonia Pozzi, c’est celui de la montagne qui domine – l’espace naturel préféré de l’auteur, véritable territoire de l’âme avec lequel elle entretient un rapport d’empathie passionnée et profonde – et, dans une moindre mesure, celui de la mer, envers laquelle Antonia Pozzi éprouve des sentiments plus contrastés et marqués par une forte ambiguïté. L’article se concentre surtout sur ce dernier thème, à partir de l’analyse de poèmes tels Giacere, Sorelle, a voi non dispiace…, Infanzia, Esilio et plusieurs autres.

Dopo tutto, quello che importa è sempre altrove 1.

1. V. Sereni, « ‘Caro avvocato…’. Lettere di Vittorio Sereni al padre di Antonia », in A. Pozzi e V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo. Poesie e lettere degli anni Trenta, A. Cenni (a cura di), Milano, Scheiwiller, 1995, p. 73-107, 89.

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introduzione

Antonia Pozzi pose fine alla sua esistenza a soli ventisei anni, lasciandosi morire in un prato della periferia milanese la notte tra il 2 e il 3 dicem- bre 1938 2. Dieci anni dopo, nella prefazione alla terza edizione delle sue poesie 3, Eugenio Montale individuava nella « nettezza dell’immagine » il

« dono nativo » 4 dei versi di questa poetessa, che tuttavia, sempre secondo Montale, rimaneva per molti aspetti ancora acerba, perché non bisognava dimenticare come « […] la non-poesia, l’eloquenza di Antonia sia […] come l’ineliminabile, necessaria matrice di un’arte che fu stroncata alle soglie del suo sviluppo. Verso le nebbie e i pericoli della poesia pura probabilmente Antonia non si sarebbe mai avviata » 5. I versi, o l’eloquenza per dirla con Montale, della Pozzi sono dunque una sorta di stato di grazia pre-poetico, destinato a non attraversare la soglia della piena maturità lirica. Nondimeno quella della Pozzi è poesia di una intensità tragica sorprendente, che nulla lascia al sentimentalismo d’occasione fatto « di sola confidenza e di sole effusioni » 6, perché costruisce il proprio percorso evolutivo su una lucida analisi critica della realtà interiore, oltre che sulla già citata capacità di riportare le ‘cose’ descritte – oggetti, persone, paesaggi – con parole che ne esprimono l’essenza più intima. Visto in questa prospettiva, non casuale risulta l’avvicinamento della Pozzi alla sua seconda passione artistica, la

2. Per la biografia della poetessa si rimanda a G. Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue.

Antonia Pozzi e la sua poesia, prefazione di O. Dino, Milano, Àncora, 2012 (1a ed. Milano, Viennepierre, 2004). Nel 2009 sulla vita di Antonia Pozzi è stato girato un film dalla regista Marina Spada intitolato Poesia che mi guardi, prodotto dalla Miro Film e pubblicato in DVD dalla casa editrice Sassella di Roma.

3. Queste le edizioni principali, tutte postume, delle liriche di Antonia Pozzi raggruppate sotto un titolo, Parole, che la stessa autrice scelse per la sua silloge e che sembra ispirato all’omonima raccolta di Umberto Saba del 1934 : Milano, Mondadori, 1939 (1a ed. privata con 91 liriche) ; 1943 (2a ed. con 157 liriche) ; 1948 (3a ed. con 159 liriche e prefazione di Montale) ; 1964 (4a ed. con 176 liriche e ancora la prefazione montaliana) ; poi, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Milano, Garzanti, 1989 e 1998 (2a ed. : è la più completa con 288 liriche) ; quest’ultima edizione è stata poi ristampata nel 2001 nella collana « Gli Elefanti ». Nel 2009, nella collana « Gli Elefanti. Poesia », è uscito un volume a cura di Alessandra Cenni intitolato Tutte le opere che oltre alle poesie raccoglie anche le lettere, il Diario, i Quaderni e tutte le altre prose. Edizioni parziali, ma comunque di piacevole consultazione, delle liriche sono anche : Le Madri-Montagne. Poesie 1933-1938, C. Glori (a cura di), Foggia, Bastogi, 2009 ; Guardami sono nuda, S. Carlessi (a cura di), Firenze, Barbès, 2010 ; Poesie pasturesi, Missaglia (Lecco), Bellavite, 2012 e Lieve offerta. Poesie e prose, A. Cenni e S. Raffo (a cura di), Milano, Bietti, 2012. Tutte le liriche citate nel testo e nelle note sono tratte dall’edizione uscita nella collana « Gli Elefanti » nel 2001.

4. E. Montale, « Prefazione », in A. Pozzi, Parole. Diario di poesia, Milano, Mondadori, 1948, p. 5-14, 11.

5. Ibid., p. 10.

6. Ibid., p. 13.

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fotografia, guarda caso scoperta nello stesso anno a cui risalgono anche le prime liriche : il 1929 7. Nella fotografia la poetessa trova un esercizio utile con il quale si educa a osservare attentamente gli elementi del reale, fissandone il sentimento nascosto e trasformando così i suoi album fotografici in vere e proprie raccolte poetiche per immagini. Nella Pozzi fotografia e poesia esprimono la necessità impellente di aderire alla vita con una semplicità d’espressione che non deve essere scambiata per attitudine banalizzante, ma che va vista come desiderio di concretezza teso a esaltare l’intima liricità degli oggetti osservati o la loro sostanza poetico-simbolica 8. Se da un lato la poesia esprime la necessità di trovare delle risposte a domande sempre più urgenti per la vita interiore della poetessa, dall’altro la fotografia sembra essere il tentativo di riconciliarsi con una realtà sorda alle sue richieste, ma ricca di una bellezza struggente e consolatrice, almeno in parte, delle piaghe aperte dall’apparente mancanza di senso. La tensione della Pozzi a definire liricamente, attraverso poesia e fotografia, il contorno degli oggetti osservati deve essere interpretata come la ricerca spasmodica di una compattezza e di una totalità di vitale importanza per una donna che si sente esclusa dal palpito della vita e che di conseguenza cerca di contrastare questo suo sentimento di non appartenenza proprio attraverso il tentativo di catturare nelle singole cose quell’afflato universale utile a ricomporre l’unità inscindibile della creazione 9. In questo desiderio di oggettiva chiarezza molti hanno visto un distacco polemico della Pozzi dalla coeva lirica ermetica – forma di poesia sentita come arbitraria, perché allontanandosi dall’oggettività dell’espressione perde qualsiasi punto di riferimento 10 – e una precisa scelta di campo verso la « linea lombarda » 11, che fa del contatto tra poesia e realtà uno dei suoi principi ispiratori 12 e di cui iniziatore riconosciuto è l’amico e confidente Vittorio Sereni. È lo

7. Cf. L. Pellegatta, « L’incanto della soglia », in A. Pozzi, Nelle immagini l’anima. Antologia fotografica, L. Pellegatta e O. Dino (a cura di), Milano, Àncora, 2007, p. 9-15, 10.

8. Cf. O. Dino, « Antonia Pozzi », in A. Pozzi, Nelle immagini l’anima. Antologia fotografica, p. 5-8, 8. Sulla fotografia della Pozzi si vedano ancora : A. Pozzi, Lettere e fotografie per Dino Formaggio, G. Sandrini (a cura di), Verona, Alba Pratalia, 2011 ; L. Pellegrini, « ‘Ora intatta, Ora sospesa’ : Antonia Pozzi e la fotografia » e C. Cappelletto, « L’immagine fotografica in Antonia Pozzi », entrambi in ‘…e di cantar non può più finire…’. Antonia Pozzi (1912- 1938) (Atti del Convegno, Milano, 24-26 novembre 2008), Milano, Viennepierre, 2009, rispettivamente p. 105-114 e 179-190.

9. Cf. L. Pellegatta, « L’incanto della soglia », p. 11.

10. Cf. A. Cenni, « Prefazione », in A. Pozzi, Parole, A. Cenni e O. Dino (a cura di), Milano, Garzanti, 1998, p. V-XV, X.

11. Cf. C. Annoni, « Chiarismo e linea lombarda. Parole di Antonia Pozzi », in Capitoli sul Novecento. Critici e poeti, Milano, Vita e Pensiero, 1990, p. 200-220.

12. Cf. L. Pellegatta, « L’incanto della soglia », p. 10-11.

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stesso Sereni 13, in una lettera del 13 marzo 1941 a Roberto Pozzi, padre di Antonia, a scrivere parole illuminanti su questo concetto :

È così facile, caro avvocato, dopo tanti secoli di poesia dire le grandi parole Eternità, Infinito e via dicendo, è troppo facile : il nostro è un lavoro oscuro – in bel senso e non in quello del così detto ermetismo – tutto teso alla riscoperta d’una sostanza, concreta, oltre quelle parole, divenute astratte 14. Una scelta di linea poetica, quella di Antonia, la cui genesi va forse ricercata nella sua predilezione per il realismo flaubertiano e per quella letteratura mitteleuropea – soprattutto Thomas Mann – che incentra la propria indagine letteraria sull’analisi scientifica della dissoluzione della totalità. Tutto ciò innestato in una corrente di influssi poetici che coinvol- gono la maggiore tradizione italiana otto-novecentesca – Carducci, Pascoli, D’Annunzio, i crepuscolari – così come gli esponenti della migliore lirica simbolista europea 15. La tesi di laurea 16 e la corrispondenza di Antonia documentano queste predilezioni, mentre la biblioteca personale è testimone fedele delle sue vaste letture, soprattutto poetiche : Corrazzini e Gozzano, di cui possiede i Colloqui nell’edizione Treves del 1922 ; i pur rifiutati poeti ermetici da Quasimodo e Ungaretti, di cui ha Sentimento del tempo pubbli- cato dalla Vallecchi nel 1922, a Saba e Montale, di quest’ultimo conserva la copia di Ossi di seppia edito da Carabba nel 1931, e poi Baudelaire con Les fleurs du mal, Rimbaud, Tennyson, Verhaeren, i poeti fiamminghi, Walt Whitman e Oscar Wilde 17.

il dissidio tra vita e arte

La breve esistenza della Pozzi, nella sua precoce scoperta della sofferenza e nella ricerca di un senso che possa dare uno statuto a questa condizione, si nutre di una delle questioni centrali per la letteratura del tempo : il dissidio tra vita e arte. Attraverso la citazione di pochi e brevi passi tratti

13. Sul rapporto tra Sereni e la Pozzi cf. Luoghi di un’amicizia. Antonia Pozzi, Vittorio Sereni 1933-1938, Milano, Mimesis, 2012.

14. V. Sereni, « ‘Caro avvocato…’. Lettere di Vittorio Sereni al padre di Antonia », p. 89.

15. Cf. C. Annoni, « Chiarismo e linea lombarda. Parole di Antonia Pozzi », p. 200-202.

16. Cf. A. Pozzi, Flaubert. La formazione letteraria (1830-1856), con una premessa di A. Banfi, Milano, Garzanti, 1940. Una nuova edizione di questo testo, sempre con la premessa di Banfi, una introduzione di A. Cenni e la curatela del testo di A. Amerio, è stata pubblicata da Scheiwiller nel 2012. Sul rapporto tra la Pozzi e l’universo letterario flaubertiano cf.

L. Nissim, « ‘L’incessante tensione trattenuta’. Il Flaubert di Antonia Pozzi », in ‘…e di cantar non può più finire…’. Antonia Pozzi (1912-1938), p. 133-145.

17. Cf. A. Cenni, In riva alla vita. Storia di Antonia Pozzi, Milano, Garzanti, 2002, p. 74-75.

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da alcune testimonianze epistolari, risalenti agli anni tra il 1928 e il 1935, è possibile ricostruire l’intera vicenda di Antonia : dall’amore contrastato e impossibile per Antonio Maria Cervi alla definitiva constatazione della propria ‘inettitudine’ esistenziale. La prima lettera, del 21 agosto 1928, è indirizzata a Maria Cavagna Sangiuliani, l’amatissima nonna Nena nipote di Tommaso Grossi, alla quale Antonia confida la propria profonda amarezza per il volontario trasferimento del Cervi da Milano a Roma :

Ho imparato che cosa sia il dolore. Tu non immagini che cosa fosse lui per me. Io avevo avuto la fortuna di incontrarlo nell’età inquieta in cui tutto il nostro essere sboccia e anela alla vita, in cui ogni influenza esterna lascia nell’anima una traccia indelebile, in cui ci torturiamo ricercando l’inizio della nostra via e l’indirizzo del nostro cammino nel mondo 18.

Macerato dalla tormentata relazione col Cervi, il dolore di Antonia per il diritto all’amore, alla maternità e alla vita che le è stato negato cercherà di sublimarsi nell’arte, di assurgere a una dimensione quasi neoclassica di catarsi, attraverso la quale le sue pene non vengano cancellate, ma siano più semplicemente pacificate in una sorta di olimpica rassegnazione alla sofferenza che l’esistere porta inevitabilmente con sé. Sono queste le speranze e i sentimenti che emergono da una lettera indirizzata l’11 gennaio 1933 al poeta Tullio Gadenz :

Perché la poesia, non è vero, ha questo compito sublime : di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare 19.

Quest’ultima immagine – « così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare » – offre lo spunto per introdurre il livello ulteriore del dramma esistenziale di Antonia Pozzi. Sfociare nel mare significa per la poetessa lenire la sua condizione di sofferenza con l’immersione nel circolo della vita, qui rappresentato dalla metafora non nuova della dimensione acquatica più assoluta e totalizzante, il mare appunto. Ma il contatto con la vita, con la sua frenesia avvolgente e curativa, non è facile e da ciò si arriva a quella frattura profonda e insanabile che, come già detto, è una delle questioni fondamentali per molti scrittori tra Otto e Novecento. È a Vittorio Sereni, in una lettera del 20 giugno 1935, che la Pozzi confida

18. A. Pozzi, L’età delle parole è finita. Lettere 1923-1938, A. Cenni e O. Dino (a cura di), nuova ed. riveduta e ampliata, Milano, Archinto, 2002, p. 50.

19. Ibid., p. 127.

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questo suo percepirsi estranea alla vita e alla realtà che la circondano e delle quali si sente solo un’osservatrice esterna, in una consapevole duplicazione del modello dell’artista manniano esemplificato nel personaggio di Tonio Kröger 20 :

E questo soprattutto è terribile : la mia assoluta inadattabilità alla vita pratica, il frantumarsi di tutta la mia unità di vita quando mi si porti fuori dall’atmosfera in cui m’ha cresciuta la solitudine 21.

E solo poche settimane più tardi, il 13 agosto, a ulteriore conferma : Mi convinco sempre di più dell’incompatibilità di poesia e vita, come è in Tonio Kröger. Io sono adesso come Tonio Kröger nella tempesta, sono appena uscita alla riva, vivo ancora di atti che non so tradurre in parole 22. Dunque, Antonia Pozzi come Tonio Kröger. Il problema, dopo la caduta nella malattia rappresentata dall’amore negato, è l’impossibilità di accedere all’unica cura possibile, è la non adesione alla vita, il sentirsene esclusi ed essere invece immersi in un mondo di poesia che con il flusso vitale non riesce ad entrare in contatto. Da ciò deriva il tentativo di trovare delle forme espressive, siano esse gli scatti fotografici o le parole poetiche, che fissino con precisione i contorni del reale. Da ciò anche la ricorrenza in diverse liriche di temi che pur non appartenendo all’immaginario prevalente rintracciabile nelle poesie della Pozzi 23 – di cui invece fanno parte, ad esempio, le sue

« mamme montagne » 24 – nondimeno ricoprono un ruolo non secondario nella definizione del patrimonio simbolico dell’autrice, proprio perché la loro valenza significativa rimanda incessantemente all’anelito vitale

20. Cf. M.B. Ferri, « Antonia Pozzi e Enzo Paci lettori del Tonio Kröger », in ‘…e di cantar non può più finire…’. Antonia Pozzi (1912-1938), p. 251-279.

21. A. Pozzi, L’età delle parole è finita. Lettere 1923-1938, p. 192.

22. Ibid., p. 197.

23. Un’indagine tematica dedicata alla lirica di Antonia Pozzi si può trovare nel saggio già citato di Annoni, che proprio al tema della montagna, così come a quello della preghiera e dell’ansia verso il divino, dedica alcune riflessioni (cf. C. Annoni, « Chiarismo e linea lombarda. Parole di Antonia Pozzi », p. 206-208) ; esistono poi altri lavori specificatamente dedicati al tema religioso (cf. L. Orsenigo, « La poesia religiosa di Antonia Pozzi », in Studi e fonti di storia lombarda. Quaderni milanesi, a. 11, 1991, n° 25-26, p. 151-164), a quello della luce (cf. O. Dino, « Naufragio nella luce », in A. Pozzi, Mentre tu dormi le stagioni passano…, A. Cenni e O. Dino (a cura di), Milano, Viennepierre, 1998, p. 191-212), alla ricorrenza di aspetti cromatici e ancora ad alcuni elementi paesaggistici (cf. L. Scorrano, « Memorietta su Antonia Pozzi », in Carte inquiete. Maria Corti, Biagia Marniti, Antonia Pozzi, Ravenna, Longo, 2002, p. 87-126).

24. A. Pozzi, Diari, O. Dino e A. Cenni (a cura di), Milano, Scheiwiller, 1998, p. 50.

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costantemente frustrato. Il tema del sangue, ad esempio, o proprio quello del mare. Sul primo ha già fatto opportune considerazioni Alessandra Cenni ed è innegabile che questo elemento, « richiamo potente della vita e dell’eros » 25, non solo torna spesso nella lirica della Pozzi 26, ma la sua importanza simbolica viene anche teoricamente definita attraverso alcune considerazioni critiche dedicate al romanzo di Aldous Huxley Eyeless in Gaza del 1936 :

Questo tema del sangue ci introduce direttamente nel mondo di Eyeless in Gaza, di Sansone cieco al mulino con gli schiavi, che nella profondità delle sue tenebre coscienti esplora il mistero della vita, giù fino all’analisi del suo sangue e di quello dei suoi fratelli, giù fino al disgregamento fisico e spirituale della personalità in atomi vitali indifferenziati e poi, da questo smisurato mare sotterraneo, a capofitto, in uno slancio deliberato, di nuovo nella vita, nell’amore della vita. […] Il tema del sangue – abbiamo detto – c’introduce nel mondo di quest’ultimo libro. Infatti qui, come nei poemi antichi, ove ciascun dio appariva armato dei suoi attributi, dovunque la vita ha da far sentire il suo richiamo violento, essa ricorre al colore, al tremore, all’irruenza spaventosa del sangue 27.

Il sangue, fluido vitale per eccellenza, è sostanza liquida e nel canzo- niere della Pozzi ricorrenti sono i richiami ad una dimensione acquorea esplicita – lago, pioggia, lacrime, fontane e fontanili, neve e ghiacciai – o simbolicamente traslata : il cielo, riflesso in uno specchio d’acqua, visto come cosmo navigabile 28. Sono quindi sostanzialmente presenti tutte le varianti nelle quali può presentarsi l’immagine dell’acqua dolce, declinata secondo il vasto e complesso spettro di valenze simboliche (elemento malinconico, dispensatore di morte, fonte di vita…) che solo pochi anni dopo verranno studiate da Gaston Bachelard 29.

25. A. Cenni, « Prefazione », p. XIV.

26. Il tema del sangue è presente con potente evidenza in molte delle prime liriche, come Sventatezza, Innocenza, Canto selvaggio, Vertigine, Alpe e anche in una poesia del 1931 : La disgrazia.

27. A. Pozzi, « Eyeless in Gaza », in Diari, p. 85-94, 87.

28. Cf. C. Annoni, « Chiarismo e linea lombarda. Parole di Antonia Pozzi », p. 215 ; A. Cenni,

« Introduzione », in A. Pozzi, La vita sognata e altre poesie inedite, A. Cenni e O. Dino (a cura di), Milano, Scheiwiller, 1986, p. 9-38, 18-19 ; A. Cenni, « Prefazione », p. XII e O. Dino,

« Introduzione », in A. Pozzi, Poesia, mi confesso con te. Ultime poesie inedite (1929-1933), O. Dino (a cura di), Milano, Viennepierre, 2004, p. 9-22, 18.

29. Cf. G. Bachelard, L’eau et les rêves. Essai sur l’imagination de la matière, Parigi, José Corti, 1942.

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il tema del mare

Pure il tema del mare è presente nelle liriche della Pozzi, nelle quali questo ambiente liquido, semanticamente molto denso di significati anche con- trapposti, viene declinato secondo le sue differenti accezioni : il mare come universo di vita in cui l’essere umano anela ad immergersi, ovvero come spazio di sospensione e di transizione verso la vita rappresentata, invece, dalla quiete della riva o del porto.

In Giacere l’immersione nel caldo abbraccio del mare, tuttavia mai nominato, è raffigurato attraverso l’azione del nuoto (v. 1-5) :

Ora l’annientamento blando di nuotare riversa,

col sole in viso

– il cervello penetrato di rosso traverso le palpebre chiuse – 30.

Il dato positivo – rappresentato dalla presenza implicita del mare, dalla dinamica del gesto natatorio, dal rivolgere il viso e gli occhi chiusi verso il sole, anch’esso simbolo di vita, e dal lampo di colore rosso ‘sangue’ che partendo proprio dal sole vìola, con palese metafora sessuale, la verginità delle palpebre abbassate per ‘fecondare’ il cervello – viene rafforzato sin dall’inizio da quell’ « annientamento blando » che può essere visto come abbandono assoluto alla sensazione del momento : non esistono più reti- cenze o resistenze di fronte all’esistenza, nella quale ci si immerge come in una dimensione dove due elementi forti della simbologia vitale, acqua e luce, si fondono a creare un tutto inebriante. La forza di questa immagine non si esaurisce con la conclusione del momento contingente nel quale si è rivelata, ma, nella seconda parte della lirica (v. 6-10), si riverbera nell’oscurità della notte successiva all’evento, effondendo anch’essa della luce potente del sole diurno :

Stasera, sopra il letto, nella stessa postura, il candore trasognato

di bere,

con le pupille larghe, l’anima bianca della notte.

La tenebra è circonfusa del « candore » che le pupille, ora « larghe », della voce narrante hanno catturato dall’epifania diurna per effonderlo

30. A. Pozzi, Giacere, in Parole, p. 11.

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nell’anima buia della notte, rendendola « bianca » e quindi consustanziale a quella del giorno. Anima notturna che l’io poetico brama bere, assetato della vita e della sua essenza luminosa, dopo aver metaforicamente ricomposto la dicotomia giorno / notte riconducendo il tutto a un’unità di senso che si trasforma in esperienza eterna e universale 31.

In Sorelle, a voi non dispiace… la Pozzi leopardianamente si rivolge alle stelle e chiede loro di poter seguire con l’immaginazione il loro cammino sul mondo, ma con pudore e discrezione, tenendosi in disparte e quasi temendo di disturbare l’eterno andare di questi astri luminosi (v. 8-10) :

[…]

così dolce è sentirsi una piccola ombra in riva alla luce – […] 32

Anche in questi versi, dunque, la luce, questa volta delle stelle, torna ad essere il simbolo di quella vita dalla quale la poetessa si sente esclusa 33, mentre nella parte conclusiva della lirica (v. 18-24) appare prepotente- mente l’immagine del mare come fonte primigenia dell’esistenza, principio generatore e materno di tutte le cose al quale la Pozzi vorrebbe tornare benevolmente accompagnata dalle stelle, invocate proprio perché le facciano da guida, con la loro luce, attraverso il cielo notturno :

Sorelle, se a voi non dispiace – io seguirò ogni sera

la vostra via

pensando ad un cielo notturno per cui due bianche stelle conducano una stellina cieca

verso il grembo del mare.

31. Al mare come immagine del profondo e insoddisfatto anelito all’eterno si accenna brevemente anche in Lagrime (Parole, p. 15, v. 1-8) : « Bambina, ho visto che stasera hai pianto, / mentre la mamma tua sonava : pochi, / per questo pianto, i tuoi quindici anni. / So che forse noi siamo creature / nate tutte da un’ansia eterna : il mare ; / e che la vita, quando fruga e strazia / l’essere nostro, spreme dal profondo / un po’ di sale da cui fummo tratte.

[…] », dove quel « po’ di sale », l’essenza costitutiva della poetessa e della bambina sua interlocutrice, rappresenta proprio i versi e le immagini liriche che il dolore dell’esistenza distilla dagli spazi reconditi dell’anima facendoli emergere in superficie.

32. Sorelle, a voi non dispiace… (Parole, p. 38).

33. Sentimento chiaramente ribadito dalla Pozzi in una lirica di poco successiva, In riva alla vita (Parole, p. 43-44), i cui versi 33-38 recitano ; « […] ed io sosto / pensandomi ferma stasera / in riva alla vita / come un cespo di giunchi / che tremi / presso un’acqua in cammino ».

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Il mare è però anche potente oggetto di evocazione onirica. La prima parte della lirica Nel duomo è interamente modulata su immagini che sembrano tratte da un sogno : il lungo e lento percorrere la navata oscura e silenziosa del duomo milanese, nel quale la Pozzi si è rifugiata per fuggire alla « furia del meriggio ventoso » (v. 3), si trasforma in una sequela di visioni, amplificate dalle caratteristiche dello spazio circostante, tra le quali emerge con forza la seguente (v. 13-20) :

Remiga la tristezza ad ancorarsi in golfi arcani

d’oscurità profonde ; remiga per un mare favoloso, ove sono i pilastri

tronchi d’una subacquea pineta, viva e fitta così

per lontananze senza confine… 34

L’inconsueto accostamento tra l’immagine del mare e quello della pineta provoca un forte scarto percettivo che ne acuisce la potenza visionaria ed estraniante. Pochi versi dopo l’autrice sembra riprendere contatto con la realtà circostante nell’osservazione di un bambino assorto davanti a un’immagine della Madonna ; in una sorta di circolarità narrativa è ora il bambino ad essere immerso nel sogno, a non vedere ciò che lo circonda, a trasformare i ceri accesi in fronde di un immaginario albero di Natale e « i rozzi vetri sanguigni / in cui regna un pallido lume… » (v. 42-43) in luminosi regali. Questo è per la Pozzi il richiamo della vita : il bambino e il suo piccolo sogno di festa, nel quale il doloroso sentimento di esclusione dell’autrice si dissolve ritrovando la pace, evocata ancora una volta attraverso un’immagine marina (v. 44-55) :

Gli sbocca nei grandi occhi intenti la piccola vita

e tutta si allarga

nella celeste immensità del sogno.

Sfocia così il tumulto d’ogni mio male nel riposo di un’estasi senza confine

e l’anima ritrova la sua pace,

34. Nel duomo (Parole, p. 47-48).

(12)

come un folle balzo di acque che si plachi, incontrando la suprema quiete del mare.

La fanciullezza è l’età nella quale l’esistenza si manifesta a pieno e senza reticenze. In Infanzia questo momento di vita assoluta viene non a caso rappresentato nello spazio della riva, in quel sottile diaframma tra terra e mare nel quale l’incontro / scontro tra elementi così diversi crea una ambigua sospensione che ancora raccoglie in sé tutte le possibilità e le infinite variabili che il successivo corso degli anni provvederà a ridurre drasticamente e con geometrica progressione. Il protagonista di Infanzia non è ancora un essere definito, non appartiene né alla terra né al mare e questo suo essere potenzialmente tutto e niente si metaforizza liricamente nel suo indaffarato andirivieni tra i poli opposti della sua esistenza inde- terminata, ma proprio per questo carica di una potenza assoluta, di una vitalità senza pari che include in se stessa l’unità dell’essere e si esprime in una gioia « assolata », ossia immersa nella luce. Il movimento frenetico del bambino in questo suo microcosmo di totalità provvisoria, ma non per questo meno significativa, è reso dal ritmo spezzato, quasi sincopato di versi per lo più estremamente brevi (due soli endecasillabi ai v. 11 e 15) :

Il mare alle finestre cadeva.

Onde verdi infrante tintinnavano sui vetri.

Era antica la casa.

A piedi scalzi tu correvi gli scogli : ti tuffavi

per rubare le vongole gettate dai pescatori.

A mezzogiorno dal balcone del palazzo una campana chiamava a riva la tua gioia assolata

di bambino 35.

35. Infanzia (Parole, p. 236).

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Ancora un bambino è protagonista di Esilio, lirica giocata interamente sulla metafora marina e sulla contrapposizione tra mare e terra, come risulta evidente dalla prima strofa :

T’hanno strappato dal mare, bambino e non sai dove ti portino

ora, per questa strada nuda, per questi prati arsicci,

parlandoti parole che non afferri e non senti

se da un’anima sorella o da un ignoto mondo ti giungano.

La nebbia aliava sul mare, morbida, bianca ; l’acqua era azzurrina sott’essa, chiara.

Volevi dormire anche tu, dentro la nebbia, come il sole ?

Il tuo mare è scomparso, bambino : non senti come ululano

le sirene, sperdute 36 ?

Il forzato allontanamento del bambino dal mare è chiaramente metafora di un doloroso abbandono del grembo della vita per dirigersi verso un territorio di aridità terrestre che non gli appartiene e che viene reso nella seconda strofa attraverso la metafora della casa « scialba » (v. 24) e « vuota » (v. 27). Tuttavia, nella terza ed ultima strofa della poesia la dicotomia tra mare / vita e terra / non vita viene smantellata in una sorta di presa di coscienza che il dolore e la sofferenza sono onnipresenti, perché travalicano persino la simbologia spaziale che la stessa poetessa ha messo in atto e pervadono l’intero universo creato :

Ma non hai visto, bambino, che le siepi lungo la strada

erano le stesse

che crescono vicino alla tua casa di là dal mare ?

Non lo sai che stasera

36. Esilio (Parole, p. 61-62).

(14)

sulla tua casa e sul mare e su te

il cielo piangerà lo stesso pianto di stelle ?

Un’idea diversa del mare ci viene dalla lirica I fiori, nella quale l’im- magine marina, unita però a quella di altri elementi naturali come il cielo e il vento, sembra trasformarsi in una presenza maligna, anche cromati- camente connotata in modo negativo attraverso l’analessi del sintagma

« mare nero » / « nero mare » (v. 5 e 22), che opprime l’essenza più intima del soggetto poetico rendendolo prigioniero (v. 1-11 e 22-28) :

Non c’è nessuno,

non c’è nessuno che vende fiori

per questa strada maledetta ? E questo mare nero

e questo cielo livido e questo vento avverso – oh, le camelie di ieri

le camelie bianche rosse ridenti nel chiostro d’oro –

oh, l’illusione primaverile ! […]

Ma in fondo al nero mare è la chiave del cuore – in fondo al nero cuore peserà

fino a sera

la mia inutile messe prigioniera – […] 37

Il tema del mare, dunque, anche come elemento estraniante, che allon- tana dalla vita e da essa separa, abbandonando gli esseri umani « Nàufra- ghi sugli scogli », dove « ognuno narra / a sé solo – la storia di una dolce

37. I fiori (Parole, p. 96-97).

(15)

casa / perduta, / sé solo ascolta / parlare forte / sul deserto piano / del mare » 38. Così, ad esempio in Fine :

Ritorno ed è ancora sul greto orma di mare,

mentre l’onda si esilia.

E mi imbarca :

e saluto le rive e i colori, sfumo nel dolce morente tramonto

con te mare, ora vasta

della mia fine notturna 39.

In questa poesia la dinamica dell’allontanamento dalla terra come spazio di vita e della partenza per il mare come spazio dell’oblio è semanticamente rafforzato dalla struttura verbale della lirica. Dei cinque verbi presenti (escludendo l’ausiliare del primo verso) – ritornare, esiliare, imbarcare, salutare, sfumare – i primi due sono di movimento, intransitivo e transitivo, e creano una sorta di cortocircuito semantico perché ‘ritornare’ dà l’idea di moto volontario verso luoghi conosciuti, mentre ‘esiliare’ presuppone la partenza forzata verso uno territorio sconosciuto. È come se la Pozzi volesse trasmettere l’ambiguità di questo spostamento : la vita, ossia la riva colorata alla quale ella non sente di appartenere, la esclude e la allontana e lei non può far altro che tornare al nulla, al mare che, in fondo, è il suo elemento, la sua vera patria. Il terzo e il quarto verbo, imbarcare e salutare, enfatizzano l’immagine del viaggio per mare, mentre il quinto è la preco- gnizione della conclusione di quest’ultimo, la « fine notturna » nel « dolce morente tramonto » e nella vastità della dimensione liquida 40.

38. Nàufraghi, v. 1-8 (Parole, p. 180). Non il tema del mare – pure presente, ma con funzione puramente strumentale – bensì quello tipicamente petrarchesco del porto domina la lirica omonima (Parole, p. 99-100) ; in essa il lido che già fu natio si idealizza, durante la faticosa vita / traversata con il suo carico di tempeste e naufragi, in agognato « […] nido / ultimo della mia anima migrante » nel quale l’autrice / nave possa trovare la « […] quiete / della mia errabonda / pena » (v. 44-45 e 50-51).

39. Fine (Parole, p. 282).

40. La tensione verso il « nero mare » come spazio di annullamento si trova anche in Come albero d’ombra, lirica nella quale prevale però la dimensione cromatica di questa esperienza, esaltata dalla forte presenza di sostantivi e aggettivi che tutti richiamano la tenebra dell’oblio :

« Dalla cornice di monti e di nubi / esorbita il gesto serale. / E s’erige la notte / ombra mia immensa : / ai ginocchi il gridìo dei campanili, / a ignoti mari / protese le mie braccia nere » (Parole, p. 280).

(16)

In Fuochi di S. Antonio il mare è ancora una volta connotato croma- ticamente con toni oscuri e dalle sue profondità emergono frammenti di dolorose testimonianze del passato che dovrebbero venire distrutte attraverso l’azione purificatrice del fuoco, ma che invece persistono come fantasmi irrequieti nelle sofferenze del presente :

Fiamme nella sera del mio nome sento ardere sulla riva

a un mare oscuro –

e lungo i porti divampare roghi di vecchie cose,

d’alghe e di barche naufragate.

E di me nulla che possa esser arso,

ma ogni ora di mia vita

ancora – con il suo peso indistruttibile presente –

nel cuore spento della notte mi segue 41.

Sorprendenti affinità pavesiane, dovute alla chimerica visione del mare filtrata dal paesaggio delle colline 42, risuonano infine in una delle prime liriche del canzoniere della Pozzi, Amore di lontananza, nella quale l’im- magine marina oscilla tra l’ironica rievocazione di questo luogo e il suo inaspettato e sincero disconoscimento :

Ricordo che, quand’ero nella casa della mia mamma, in mezzo alla pianura, avevo una finestra che guardava

sui prati ; in fondo, l’argine boscoso

41. Fuochi di S. Antonio (Parole, p. 216).

42. Va ricordato come la critica più recente abbia voluto avvicinare le vicende biografiche della Pozzi e di Pavese, lasciandosi forse suggestionare eccessivamente dal tragico epilogo che le accomuna (cf. G. Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, p. 305-306). Nondimeno risulta innegabile la somiglianza della prospettiva utilizzata dalla Pozzi in questa lirica e da Pavese nei Mari del sud : in entrambe si trova un mare immaginato e sognato a distanza, perché i punti d’osservazione privilegiati dell’io poetico, quelli dai quali il suo sguardo si irradia sui bagliori fantastici del mare / oceano lontano, rimangono per la Pozzi la pianura lombarda e per Pavese le Langhe (cf. L. Bani,

« Ritorno in città : la spiaggia antimitica », in La prova dell’anima. La borghesia in spiaggia nella letteratura europea tra Ottocento e Novecento. Sei letture, prefazione di C. Magris, Bergamo, Moretti & Vitali, 2012, p. 228-251, 228-231).

(17)

nascondeva il Ticino e, ancora più in fondo, c’era una striscia scura di colline.

Io allora non avevo visto il mare che una sola volta, ma ne conservavo un’aspra nostalgia da innamorata.

Verso sera fissavo l’orizzonte ;

socchiudevo un po’ gli occhi ; accarezzavo i contorni e i colori tra le ciglia :

e la striscia dei colli si spianava, tremula, azzurra : a me pareva il mare e mi piaceva più del mare vero 43.

Tutto l’incipit della lirica è immerso nella dimensione leopardiana della

‘rimembranza’, incentrata sulla casa « della mia mamma » (v. 2, espressione falsamente ingenua utile a rafforzare il tono infantile del ricordo), sulla pianura e sulla finestra che consente allo sguardo di allargarsi verso l’arioso panorama agreste circostante composto dai prati, dall’argine boscoso, dal Ticino nascosto ma incombente, dalle colline che chiudono lo sfondo. Da tutto ciò spira una suggestione di infinitezza che richiama inevitabilmente il mare, la cui rievocazione sembra però assumere, anche alla luce di quanto affermato nell’ultimo verso, il tono leggiadro dell’autoironia ; l’« aspra nostalgia da innamorata » (v. 9) con la quale è richiamata la visione del mare è da collegarsi con l’aura fanciullesca che pervade tutta la lirica e sembra più una pervicace infatuazione di bambina che un sentimento maturo e meditato. Tanto è vero che tutto il meccanismo visivo – « socchiudevo un po’ gli occhi » al v. 11 – messo in atto per trasformare il paesaggio agreste in quello marino porta all’improvvisa rivelazione della verità : il soggetto poetico, ora con profonda e matura lucidità, sente di appartenere non alla realtà del mare, lontana e in fondo estranea, bensì a quella ben più concreta che lo circonda, a quella pianura circonfusa di colli che l’ha effettivamente partorito e cresciuto, imprimendogli indelebilmente le sue care immagini nell’occhio e nel cuore : « […] a me pareva il mare / e mi piaceva più del mare vero » (v. 14-15).

Conclusione

Due declinazioni diverse dello stesso tema si profilano nelle liriche sopra citate, ma entrambe queste declinazioni puntano, pur nella loro simbologia contrapposta, ad un unico messaggio : la nostalgia lancinante verso la

43. A. Pozzi, Amore di lontananza, in Parole, p. 6.

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vita vera, composta di luminosa quotidianità e di concreta pienezza e, di contro, il sentimento vivissimo e doloroso dell’esclusione da questa vita, della mancanza di vere radici 44 e di legami con le persone, i luoghi e gli oggetti, ossia con uno qualsiasi di quegli elementi magari piccoli e banali, ma che con la loro determinata semplicità sono tuttavia portatori di senso.

La condizione esistenziale nella quale Antonia Pozzi si trova ad operare e a scrivere richiama quella di più di una generazione di artisti e intellettuali che, a cavallo tra Otto e Novecento, videro le loro vite travolte dall’onda montante di un nichilismo senza via d’uscita. Da questo punto di vista i referenti culturali della Pozzi, Thomas Mann soprattutto, non lasciano adito a dubbi, con la differenza che mentre Mann riuscì a resistere al declino della classe borghese a cui apparteneva, la Pozzi e con lei molti altri a questo declino non sopravvissero. Come suggerito ancora dalla Cenni 45, il destino di Antonia Pozzi non deriva da insegnamenti negativi di « cattivi maestri », ma da una sorta di irrazionalismo pervasivo e di « inettitudine » congenita, entrambi peraltro ben storicamente connotati e cifra specifica di un periodo preciso della letteratura europea, che le impedirono di leggere quanto di razionale, positivo e propositivo vi era, ad esempio, nel pensiero di Antonio Banfi, fondato non sulla rassegnazione verso il dolore e la morte, ma sulla pacifica accettazione di questi elementi come parti integranti di un ciclo dell’esistenza da vivere e amare nella sua totalità. Il richiamo a Tonio Kröger quale alter ego letterario di Antonia Pozzi rimane indubbiamente valido, ma se proprio volessimo fare un accostamento tra la poetessa e uno dei personaggi manniani, allora la scelta cadrebbe piuttosto su Hanno Buddenbrook, l’ultima, inconsapevole vittima sacrificale di un mondo in declino che non riesce più a riconciliarsi con se stesso e a dominare positivamente la realtà che lo circonda. Questo dissidio Antonia Pozzi l’ha tramandato sino a noi con l’esercizio quotidiano della sua poesia, vera trasposizione lirica di un’esistenza geneticamente votata alla tragedia.

Luca Bani Università di Bergamo

44. Cf. O. Dino, « Introduzione », in A. Pozzi, Diari, p. 9-24, 16.

45. Cf. A. Cenni, In riva alla vita. Storia di Antonia Pozzi, p. 134-135.

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