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Cap. X - La magnetizzazione delle rocce terrestriX.1

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Cap. X - La magnetizzazione delle rocce terrestri

X.1. Premessa

Com’è stato detto, il campo crostale è il campo magnetico generato da rocce della crosta terrestre che siano magnetizzate dal campo nucleare.

A proposito di questa magnetizzazione, vi sono quattro importanti osservazioni.

a) La prima osservazione riguarda il fatto che, a rigore, tutte le rocce terrestri sono magnetizzate dal campo nucleare, ma quelle che danno un contributo misurabile al campo magnetico totale sono soltanto quelle nelle quali il campo nucleare induce una relativamente grande magnetizzazione, cioè le cosiddette rocce ferromagnetiche e ferrimagnetiche; esse sono dette correntemente, anche se non correttamente, rocce magnetiche per distinguerle dalle altre (rocce diamagnetiche, paramagnetiche e antiferromagnetiche), che, al loro confronto, si magnetizzano assai più debolmente.

b) La seconda osservazione riguarda il fatto che per poter portare in conto la magnetizzazione di queste rocce occorre che la loro temperatura sia non troppo alta, e precisamente sia minore di quella temperatura, variabile da roccia a roccia e detta temperatura di Curie, al di sopra della quale (v. par. IX.1) cambia drasticamente il comportamento magnetico, passando piuttosto bruscamente nella categoria delle rocce paramagnetiche, pochissimo magnetizzabili. Per i vari tipi di rocce magnetiche (cioè ferro- o ferrimagnetiche) la temperatura di Curie varia, all’incirca, tra 400 e 1200 °C, come dire che sorgenti del campo di magnetizzazione crostale possono essere soltanto rocce ferri- o ferromagnetiche a profondità non maggiore di 100-200 km (cfr. fig. II.3/2): tutto sommato, è interessato un esiguo strato subsuperficiale della crosta terrestre.

c) La terza osservazione è che le misure dell’intensità del campo crostale ricavate in una certa zona della superficie terrestre contengono informazioni sulla natura chimico-fisica delle rocce sottostanti, e ciò è molto importante dal punto di vista geologico, relativamente all’individuazione sia della costituzione degli strati, anche relativamente profondi, del terreno sia di rocce o altre formazioni naturali industrialmente interessanti (giacimenti di minerali, di petrolio, ecc.); su questa circostanza è basata quell’importante parte della geologia e della geofisica applicate che si chiama prospezione geofisica del sottosuolo (che peraltro esorbita dagli scopi del presente Corso di lezioni).

d) La quarta osservazione riguarda il fatto che, come si vedrà tra non molto, una roccia ferri- o ferromagnetica di natura lavica presenta una magnetizzazione propria che non deriva dal CMT attuale ma dal CMT esistente nel momento in cui la roccia in questione si è formata, consolidandosi dal suo magma primigenio; dalle misure di questa particolare magnetizzazione è possibile ricavare quindi informazioni sul CMT che è esistito nelle varie regioni terrestri nel lungo corso dei tempi geologici, e ciò costituisce quella parte del geomagnetismo che è detta paleomagnetismo terrestre, o semplicemente paleogeomagnetismo; si tratta di una disciplina, relativamente recente (nacque all’incirca negli anni Sessanta del 20° sec.), che, come ben si comprende, è di grande interesse per la storia della Terra e, più in generale, per la cosmologia planetaria del Sistema Solare, e ad essa è stato dedicato il precedente cap. VIII.

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Ciò posto, quale necessario completamento di questa premessa si ritiene utile richiamare le nozioni di base della fisica della magnetizzazione dei corpi materiali.

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Richiami di fisica della magnetizzazione

X.2. Definizioni fondamentali

Ricordiamo brevemente che la magnetizzazione di un corpo materiale consiste nel fatto che quest’ultimo, posto che sia in un campo magnetico, acquista le proprietà di un magnete, e quindi, in particolare, di attrarre pezzi di ferro e di altri materiali ferromagnetici e, se possiede una forma comportante un asse di simmetria, di orientarsi spontaneamente dirigendo una delle sue estremità, e sempre quella, verso il nord geografico; passando da termini naturalistici a termini strettamente fisici, il corpo è diventato magnetizzato perché ha acquistato un momento magnetico dipolare m (momento di magnetizzazione) espresso dalla relazione:

[X.2*1] m = ∫∫∫v M(P) dv ,

essendo v il volume del corpo, P il generico punto dell’elemento generico dv di questo ultimo e M una grandezza vettoriale, detta intensità di magnetizzazione, o semplicemente (quando non vi sia equivoco) magnetizzazione, che rappresenta il momento magnetico volumico (cioè a unità di volume) nel punto P del corpo ed è a sua volta definita dalla relazione

[X.2*2] M(P) = limv 0(∆m/∆v) = dm/dv ,

cioè come limite, per il volumetto ∆v intorno al punto P che tende a zero (cioè che nell’intorno di P diventa sufficientemente più piccolo – nell’ambito del grado di precisione adottato – rispetto al volume di ogni altro corpo che compaia nel problema in esame), del rapporto tra il momento magnetico ∆m acquistato da questo volumetto e la misura ∆v del volumetto medesimo (e questo è il modo corretto di leggere la “derivata simbolica” dm/dv).

Come si vede immediatamente, unità di misura della magnetizzazione così definita è l’ampere a metro; la magnetizzazione è quindi una grandezza omogenea con l’intensità H del campo magnetico e può essere interpretata come la “risposta” che la materia da cui è costituito il corpo dà a un campo magnetico nel quale il corpo in questione venga a trovarsi. Questo legame di effetto/causa è esplicito anche nella relazione di legame tra M e H, per la quale rinviamo alle considerazioni svolte nei parr.

IV.3.5 e IV.3.6, riguardanti anche i legami tra i due detti vettori e l’induzione magnetica B; di queste considerazioni riterremo qui la parte conclusiva, secondo la quale in un mezzo materiale magneticamente lineare valgono le relazioni (in unità SI):

[X.2*3] M = H ,

[X.2*4] B = 0(H+M) = 0(1+ ) = 0 rH = H ,

con suscettività magnetica, adimensionata, 0 permeabilità magnetica del vuoto, pari a 4_ 10-7 henry a metro (H/m), r permeabilità magnetica relativa del mezzo, adimensionata, = 0 r permeabilità magnetica assoluta del mezzo, in H/m. A parte la permeabilità magnetica del vuoto, che è sempre una costante scalare, se il mezzo è magneticamente lineare le grandezze , e r sono tensori di secondo rango (cioè individuati da 9 componenti scalari: v. par. III.1.1) dipendenti dal punto considerato, che si riducono a funzioni scalari del posto se il mezzo è magneticamente isotropo (si magnetizza allo stesso modo indipendentemente dalla direzione del campo magnetizzante) e a costanti del mezzo se quest’ultimo è, oltre che magneticamente

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isotropo, anche magneticamente omogeneo (se il campo magnetizzante è uniforme, è parimenti uniforme, cioè identica in tutti i punti del mezzo, la magnetizzazione).

Aggiungeremo, a titolo di semplice completamento, che se il mezzo non è magneticamente lineare, le grandezze dette sono espresse da combinazioni di tensori di vario rango).

Nel seguito supporremo sempre – salvo esplicito avviso contrario – di poter considerare i materiali terrestri come mezzi magneticamente lineari e isotropi, per modo che si possano considerare sempre valide le relazioni testé ricordate e in esse le grandezze magnetiche del mezzo (suscettività e permeabilità magnetiche) come funzioni scalari del posto anziché come tensori del posto.

Infine, allo scopo di facilitare la consultazione di altri materiali didattici nei quali le questioni di magnetismo siano trattate con unità CGSem (cosiddette unità di Gauss) riportiamo i fattori di conversione per le unità più frequenti [tra parentesi quadrate le denominazioni derivanti dal passato]:

TAB. X.2-1 - CORRISPONDENZA TRA UNITÀ MAGNETICHE SI E CGSem Grandezza Unità SI Unità CGSem Induzione

magnetica B

tesla (T) = 104 abT abtesla (abT) [gauss (G)]

= 10-4 T Intensità magne-

tica H

ampere a metro (A/m) = 4_ /103 abA/cm _

12,56 10-3 abA/cm

abampere a centimetro (abA/cm) [oersted (Oe)]

=103/(4_ ) A/m_ 79,6 A/m Magnetizza-

zione

ampere a metro = 10-3 abA/cm

abampere a centimetro (A/cm) = 103 A/m Momento ma-

gnetico di- polare

ampere per metro qua- drato (A m2) = 103 abA cm2

abampere per centimetro quadrato (abA cm2) = 10-3 A m2

Permeabilità magnetica assoluta

henry a metro (H/m) = = 107/(4_ ) abH/cm _ 7,96 105 abH/cm

abhenry a centimetro (abH/cm) 4_ 10-7 H/m _ 1,256 10-6 H/m Suscettività

magnetica

unità SI (adimensionata) = = 107/(4_ ) unità CGSem (o di Gauss) _ 7,96 106 unità CGSem (o di Gauss)

unità CGSem (o di Gauss) (adimensionata) = 4_ 10-7 unità SI _ 1,256 10-6 unità SI

X. 3.Fenomenologia macroscopica della magnetizzazione

S’immagini di avere preparato una serie di campioni identici di vari materiali solidi che non siano stati preventivamente sottoposti a un campo magnetico (cioè che siano non magnetizzati), ciascuno in forma di cilindretto e di vincolare, di volta in volta, ciascuno di tali campioni nella parte centrale tra le espansioni polari di un potente elettromagnete, ortogonalmente a queste ultime (cioè nella direzione del campo magnetizzante H, il quale è quasi uniforme soltanto in una piccola parte di questa zona interpolare), avendo a disposizione i mezzi (per es., aghetti magnetici imperniati che funzionino a guisa di rudimentali magnetometri) per valutare l’intensità e la polarità della magnetizzazione acquistata dal campione.

Nell’ambito di questa esperienza di tipo macroscopico elementare cominceremo con il chiamare comportamento magnetico quello di un cilindretto che sia stato magnetizzato e costituisca quindi un magnete; tale magnetino si dispone quasi sempre perpendicolarmente alle espansioni polari dell’elettromagnete, cioè secondo la direzione dell’intensità H del campo magnetizzante; se si tenta di spostarlo da questa posizione

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esso vi ritorna reagendo spesso piuttosto vivacemente all’azione perturbatrice. Tutto ciò si spiega piuttosto facilmente ricordando (par. IV.3.4) che un magnete è fisicamente caratterizzato dall’essere provvisto (in prima ma generalmente ottima approssimazione) di un momento magnetico dipolare m e che su esso un campo magnetico esterno, di intensità H, esercita una coppia di forze il cui momento vale M=m_ ( 0H), con 0 permeabilità magnetica del vuoto (ben rappresentativa di quella dell’aria in cui si sta sperimentando); la posizione di equilibrio è quella corrispondente all’annullarsi di tale momento di coppia, cioè al parallelismo tra m e H.

Tornando ora ai nostri campioni, i tre comportamenti tipici desumibili dall’esperienza prima descritta sono i seguenti:

a) comportamento diamagnetico (dal greco, “comportamento differente da quello di un magnete”): il campione risente di una debole azione repulsiva da parte dei poli del-

l’elettromagnete (se lasciato libero, esso tende a porsi ortogonalmente a H e a spostarsi verso la zona periferica del traferro: posizione tratteggiata nella fig.

X.3/1, A); se si toglie il campione dal traferro, cioè se s’annulla il campo magnetizzante, sul campione (A’) non si manifesta più alcuna azione; questo comportamento può essere spiegato soltanto ammettendo che il campo magnetizzante susciti nel campione la comparsa di un momento magnetico di magnetizzazione md di debole intensità, che scompare al venire meno del campo medesimo ed è antiparallelo all’intensità H di quest’ultimo (nella fig.

X.3/1 Aè indica-

ta la polarità magnetica acquistata dal campione); la posizione tratteggiata è, in un certo senso, di equilibrio in quanto in essa è minimo il momento di coppia M, in virtù della diminuzione dell’intensità di H via via che ci si allontana dal centro verso la periferia del traferro dell’elettromagnete;

b) comportamento paramagnetico (dal greco, “comportamento simile a quello di un magnete”): il campione risente di una debole azione attrattiva da parte dei poli dell’elettromagnete (se libero, si attacca a uno dei poli), acquistando la polarità indicata nella fig. X.3/1, B; annullando il campo magnetizzante, sul campione non si manifesta più alcuna azione (B’); questo comportamento può essere spiegato soltanto ammettendo che il campo magnetizzante susciti nel campione la comparsa di un momento magnetico di magnetizzazione mp di debole intensità, che scompare al venire meno del campo medesimo ed è equiparallelo all’intensità H di quest’ultimo;

c) comportamento ferromagnetico (“comportamento simile a quello magnetico del ferro”, il quale ultimo elemento è l’esponente più importante del gruppo degli elementichimici ferromagnetici): ferro, nichel, cobalto, gadolinio): è simile al precedente comportamento paramagnetico (fig. X.3/1, C), salvo che l’azione attrattiva da parte dei poli dell’elettromagnete è assai più viva e che interrompendo la corrente elettrica nell’elettromagnete, cioè annullando il campo magnetizzante, il campione (C’)

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conserva gran parte della magnetizzazione acquistata, essendo diventato cioè un magnete permanente; questo comportamento può essere spiegato soltanto ammettendo che il campo magnetizzante susciti nel campione la comparsa di un momento magnetico di magnetizzazione mf piuttosto intenso, che è equiparallelo all’intensità H del campo magnetizzante e permanente, quest’ultimo termine stando a indicare che resta anche se si rimuove quest’ultimo campo.

Questi risultati qualitativi sono confermati e ulteriormente arricchiti dai risultati di misurazioni dell’intensità di magnetizzazione M e della suscettività magnetica in funzione dell’intensità H del campo magnetizzante e delle condizioni fisico-chimiche, prendendo la temperatura assoluta T come parametro indicativo di queste ultime.

a) Sostanze diamagnetiche: relazione lineare decrescente tra M e H (fig. X.3/2 a), suscettività negativa

indipendente dalla

temperatura (fig. b) e di piccolissimo valore (Tab. X.3- 1).

b) Sostanze

paramagnetiche: relazione lineare crescente tra M e H (fig. X.3/2 c), suscettività positiva decrescente (a parità di campo) al crescere della temperatura (fig. d) e di piccolissimo valore (Tab. X.3- 1).

TAB. X.3-1 - SUSCETTIVITÀ (IN 10-6SI) DI ALCUNE SOSTANZE DIA- E PARAMAGNETICHE

Diamagnetiche. Suscettività Paramagnetiche Suscettività

Acqua pura − 8,6 Alluminio + 22

Argento − 24 Aria + 0,38

Bismuto −164 Cromo + 31

Grafite − 8,2 Magnesio + 1,2

Piombo − 1,7 Manganese + 71

Rame − 8,9 Platino +260

Zinco − 14 Sodio + 7,5

c) Sostanze ferromagnetiche: relazione tra M e H (fig. X.3.3, a) crescente ma non lineare, tanto che al di sopra di un certo valore Hs dell’intensità del campo magnetizzante il valore di M resta costante a un certo

valore Ms (saturazione magnetica);

se, anche senza avere raggiunto la saturazione, si fa diminuire H, la magnetizzazione, e con essa la suscettività, presenta un andamento complesso con la temperatura (fig.

b): al di sopra di una temperatura TC

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carat-teristica di ogni sostanza e detta temperatura ferromagnetica di Curie il

comportamento diventa paramagnetico (scomparsa della saturazione, la suscettività crolla dai precedenti alti valori a un piccolissimo valore positivo che decresce, a parità di intensità del campo, con la temperatura); nell’ambito del comportamento ferromagnetico (T<TC) si dà il nome di curva di prima magnetizzazione al diagramma M(H) con il campione vergine, cioè non ancora assogettato a un campo magnetizzante (il diagramma tra l’origine O e la saturazione nella fig. a), mentre il comportamento per cui quando si fa diminuire l’intensità H del campo magnetizzante la magnetizzazione M diminuisce meno del dovuto (tanto che quando il campo magnetizzante s’annulla resta una magnetizzazione residua Mr), come se M seguisse con ritardo le variazioni di H; si chiama istèresi magnetica (in greco “istèresi” significa appunto “ritardo”) e ciclo d’isteresi si chiama la curva chiusa intorno all’origine O degli assi (M,H) che si ottiene facendo variare H tra due valori H1 e H2; in particolare, se questi valori sono ±H3, cioè simmetrici rispetto all’origine degli assi, si parla d’isteresi simmetrica; se H1≥Hs si parla poi d’isteresi a saturazione (è il caso della fig.) , altrimenti semplicemente di isteresi; è da osservare che si ha comunque isteresi sempreché Hsia non minore di un certo valore H*, caratteristico di ogni sostanza e detto campo anisteretico (greco:

“privo di isteresi”), al di sotto del quale si ha una magnetizzazione anisteretica o reversibile, come si ha per le sostanze dia-e paramagnetiche (in queste, per di più, la relazione tra campo magnetizzante e magnetizzazione è, come già detto, lineare, mentre per le sostanze ferromagnetiche si ha una relazione non lineare e non esprimibile esattamente con una funzione matematica); quale ultima notazione del linguaggio della magnetizzazione, si dà il nome di campo smagnetizzante (nel passato e tuttora nel linguaggio dei tecnici: campo coercitivo) all’intensità Hc del campo che occorre applicare per annullare la magnetizzazione residua, ovviamente diretto nel verso antiparallelo rispetto al campo che in precedenza aveva magnetizzato il corpo considerato.

Da queste notizie puramente definitorie appare bene la complessità della parte della fisica della magnetizzazione che attiene alle sostanze ferromagnetiche, le quali, è superfluo sottolinearlo, hanno una straordinaria importanza pratica in quanto hanno una suscettività magnetica e quindi una permeabilità magnetica molto maggiore di quella delle sostanze dia-e paramagnetiche; nelle applicazioni, infatti, interessa avere grandi induzioni magnetiche B e, dato che, come s’è visto poco sopra (v. 2*4]), è B= 0(1+ )H

= 0 rH= H, a parità di H, come dire a parità della molto costosa corrente elettrica che genera H, grandi valori di B (da centinaia a decine di migliaia di volte maggiori di quelli che si avrebbero nell’aria) s’ottengono usando sostanze ferromagnetiche. Dal punto di vista delle applicazioni tecniche i parametri più importanti di queste ultime sono la permeabilità relativa r(=1+ ), ed esattamente la permeabilità relativa massima rM (che si ha circa a mezza strada verso la saturazione), l’induzione di saturazione Bs, l’induzione residua Br, il campo smagnetizzante Hc. In rapporto a questi parametri tecnici si distinguono materiali magnetici dolci, caratterizzati da medi valori di rM e, soprattutto, da piccoli valori di Hc, per cui si magnetizzano bene e si smagnetizzano altrettanto bene, risultando dunque adatti, tipicamente, per costruire i nuclei di elettromagneti a funzionamento discontinuo (nuclei magnetici di relè elettromagnetici e di macchine elettriche in genere), e materiali magnetici duri, caratterizzati da grandi valori di Br e di Hc, che dunque si magnetizzano intensamente e si smagnetizzano molto

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difficilmente, prestandosi così tipicamente per la realizzazione di magneti permanenti.

Nella tab. X.3-2 sono riportati i valori medi dei detti parametri per alcuni materiali magnetici dolci e duri.

TAB. X.3-2 - PARAMETRI TECNICI [unità SI] DI ALCUNI MATERIALI FERROMAGNETICI

Materiali dolci rM [103] Bs [T] Hc [A/m] Tc [°C]

Ferro 5 2,15 80 770

Ferro-silicio 40 2,0 5 750

Ferriti Mn-Zn ≈40-80 0,3-0,6 10 ≈200

Mumetal 140 0,72 2,4 430

Permalloy 100 0,9-1,1 4 580-400

Materiali duri Br [T] Hc [A/m]

Acciaio con Al e W 0,95 5900

Alnico 0,6-1,1 ≈45.000

Ferriti Mn-Zn 0,2-0,4 ≈10.000

Pt (77 %) - Co (23 %) 0,65 344.000

Un esame attento del variare delle dette grandezze mostra che sono riconoscibili altre due categorie di sostanze:

d) sostanze ferrimagnetiche: sono costituite dalle ferriti, che sono materiali sinterizzati ottenuti da mescolanze di ferro con zinco o con manganese (rispettivamente

“ferriti Zn” e “ferriti Mn”) e hanno un comportamento simile a quello delle sostanze ferromagnetiche (peraltro con permeabilità leggermente minore) a seconda dei casi dolci oppure dure, distinguendosi da esse per il fatto di essere cattive conduttrici dell’elettricità e quindi essere più adatte per utilizzazioni in campi magnetici variabili nel tempo, anche ad alta o altissima frequenza;

e) sostanze antiferromagnetiche: sono costituite da alcuni composti di sostanze ferromagnetiche e hanno un comportamento magnetico simile a quello delle sostanze paramagnetiche per quanto riguarda i bassissimi valori di suscettività e l’andamento decrescente di questa con la temperatura alle temperature ordinarie; tuttavia, a temperature piuttosto piccole e precisamente minori di una certa temperatura, caratteristica di ogni

sostanza e detta temperatura di Néel [ Louis Néel

<neèl> (1904-1989), prof. di fisica nell’univ. di Grenoble;

premio Nobel per la fisica nel 1970] (TN nella fig. X.3/4), la suscettività ha un valore crescente con la temperatura, a partire dal valore teoricamente nullo che si avrebbe allo zero assoluto (dunque la suscettività decresce sia sotto sia sopra TN). Ecco alcuni valori di questa temperatura critica (in °C) per alcune sostanze: CoCl2 –235, FeCl2 –249, FeF2 –194, FeO –75, MnO –151, NiCl2 –223.

X.4. Descrizione microscopica classica della magnetizzazione

Per il comportamento magnetico macroscopico di sostanze materiali sono fondamentali la distinzione tra le sostanze le cui molecole non hanno un momento magnetico proprio, e sono le sostanze diamagnetiche, e tutte le altre, le cui molecole hanno invece un momento magnetico proprio, e, tra queste sostanze non diamagnetiche, la

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distinzione tra sostanze nelle quali i momenti magnetici molecolari (che, in particolare, possono essere relativi a molecole monoatomiche, cioè essere momenti magnetici atomici) interagiscono debolmente, e sono le sostanze paramagnetiche, e quelle in cui essi interagiscono fortemente, e queste sono le sostanze ferromagnetiche e ferrimagnetiche.

a) Premessa generale. Consideriamo, per semplicità, una sostanza elementare, cioè le cui molecole siano monoatomiche, in uno spazio in cui non esista alcun campo magnetico esterno; consideriamone una molecola, cioè un atomo, e di questo consideriamo uno degli Z elettroni costituenti, essendo Z il numero atomico della sostanza. Secondo le vedute dell’elettromagnetismo atomico classico (cioè non quantistico né relativistico), tale elettrone in moto sulla sua orbita equivale, dal punto di vista elettromagnetico, a una spira circolare, di area S, percorsa da una corrente elettrica di intensità i=-e/T, con -e carica elettrica negativa dell’elettrone e T frequenza del moto circolare di esso (si tratta infatti della carica elettrica che passa nell’unità di tempo nel generico punto della “spira elettronica”); il momento magnetico dipolare associato al moto di tale elettrone vale me0 = iS ñ = e(S/T)ñ = e(dS/dt)ñ, dove ñ è il versore nel centro dell’orbita ortogonale al piano di questa e orientato in modo da vedere come antiorario il moto dell’elettrone (fig. X.4/1), e, data l’uniformità del moto orbitale dell’elettrone, si considerano coincidenti il valore istantaneo dS/dt della velocità areolare e il suo valor medio S/T. Passando alla situazione dinamica, indichiamo con me la massa dell’elettrone e con

v la sua velocità; il momento della quantità di moto orbitale vale allora be = r×(mev) = r×[me(ds/dt)] = me(r×ds)/dt, essendo ds l’elemento di orbita percorso nel tempuscolo dt; il modulo del prodotto vettore tra parentesi rappresenta, come si sa, l’area del parallelogramma che ha per lati r e ds, come dire il doppio della velocità areolare ds, la quale è misurata dall’area della superficie spazzata dal raggio vettore r nel tempuscolo dt, per cui si può scrivere, in definitiva, be = 2me(dS/dt)ñ e, ricordando la relazione scritta poco sopra per il momento magnetico orbitale,

[X.4*1] me0 = be , essendo

[X.4*2] e = – me

e

2 ≈ 4,188 10-12 [C/kg]

il cosiddetto rapporto giromagnetico dell’elettrone.

b) Magnetizzazione diamagnetica. L’applicazione di un campo magnetico esterno con induzione B modifica profondamente la descritta dinamica del generico elettrone atomico. Infatti, all’applicazione del campo insorge un campo elettrico indotto Ei tale che, come sappiamo (terza equazione di Maxwell: riepilogo alla fine del IV cap.), rot Ei=–(∂B/∂t); questo campo transitorio (dura per tutto il transitorio temporale in cui B passa dal valore iniziale nullo al suo valore di regime) determina nell’orbita elettronica una forza elettromotrice indotta fi = 2πrEi = −πr2[∂ (Bcos )∂t], essendo (Bcos ) il

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flusso di induzione magnetica concatenato con l’orbita e l’angolo che B forma con il predetto versore ñ normale al piano dell’orbita (fig. X.4/1), avendosi, in definitiva:

[X.4*3] Ei = – ( cos )

2 B

dt d

r ;

questo campo elettrico indotto dall’applicazione del campo è un campo tangenziale, cioè nella direzione della velocità dell’elettrone e, a seconda del suo verso, accelera o decelera il moto orbitale dell’elettrone e ne varia l’assetto spaziale; l’elettrone acquista un moto di precessione intorno alla direzione del campo, nel quale la direzione della velocità angolare orbitale descrive un cono il cui asse è parallelo al campo magnetico (situazione analoga alla precessione della Terra nella sua rivoluzione intorno al Sole o, su una scala ben diversa, a quella di una trottola intorno alla verticale locale). L’applicazione del teorema della quantità di moto (o dell’impulso lineare) dà: d(Mv) = d(Mr ) = Mr d = F dt =

−eEi dt = (er/2) d(Bcos ). Integrando nel transitorio in cui il campo elettrico indotto agisce sull’elettrone (che, pur breve, è comunque molto grande rispetto al periodo T del moto orbitale e nel quale si hanno moltissime variazioni dell’assetto dell’orbita dell’elettrone in seguito alle collisioni che l’atomo subisce con gli atomi circostanti), ci si rende conto che, essendo del tutto casuale nel tempo l’assetto di ñ rispetto a B, il valore medio di cos (questo angolo varia tra −π/2 e +π/2) è 1 e quindi <d(Bcos )> = dB<cos > = dB e, ricordando espressioni precedenti, per la variazione d della velocità angolare conseguente all’applicazione del campo, che è vista

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come un’ulteriore velocità angolare, pe, da aggiungere a quella intrinseca dell’elettrone ed è chiamata velocità angolare di precessione elettronica, si ha:

[X.4*4] <d > = pe = M e 2 B .

Come si vede, p è parallela a B, indipendentemente dall’orientamento istantaneo del piano dell’orbita elettronico rispetto al campo magnetico applicato. Secondo la [X.4.2], a questa velocità angolare corrisponde un momento magnetico di precessione mpe=–[e/(2M)] [aM( L a)], con a distanza assiale istantanea dell’elettrone da pe (v.

ancora fig. X.4/1); segue:

[X.4*5] mpe = – 2

2

4 a

M

e B ,

cioè un momento antiparallelo a B; è r2=x2+y2+z2, a2=x2+y2, <x2>≈<y2>≈<z2>, e quindi

<a2>=(2/3)r2; per il momento magnetico di precessione atomico mpa di un atomo con numero atomico Z segue mpa = – [e2/(6M)] ii==Zri

1

2 B, che, chiamando < 2> il valore quadratico medio delle orbite degli Z elettroni, si può esprimere come:

[X.4*6] mpa = –

M Z e

6

2 2 < >

B .

Passando a sostanze composte, il momento magnetico di precessione molecolare è semplicemente il risultante vettoriale dei momenti magnetici di precessione degli atomi che costituiscono la molecola della sostanza considerata.

È utile fare presente che nel passato si è usato chiamare precessione elettronica di Larmor (e, di seguito, momento atomico di Larmor, ecc.) quello che prima abbiamo chiamato semplicemente

‘precessione elettronica’, ‘momento di precessione’, e via dicendo. Ciò deriva dal fatto che la prima teoria in termini classici relativa al fenomeno appena descritto è dovuta, intorno al 19o8, all’irlandese Joseph.

Larmor <làamoo> (1857-1942, prof. di matematica nell’univ. inglese di Cambridge); questi considerò come forza agente sul generico elettrone legato in seguito all’applicazione del campo magnetico, responsabile quindi della variazione dello stato dinamico e conseguentemente dello stato magnetico di esso, la forza di Lorentz, e non quella dell’impulso di campo elettrico per induzione all’applicazione del campo magnetico; benché le premesse e lo svolgimento della teoria di Larmor siano sensibilmente differenti da quelle esposte prima, la conseguente velocità di precessione è ancora espressa dalla [X.4.4]:

una coincidenza di risultati che talora si dà in certi fenomeni fisici tra una teoria esatta e una errata. Il ragionamento di Larmor era infatti errato; la dimostrazione di questa erroneità fu data nel 1917, quando il fisico statumitense John van Vleck <vèn vlèk> (1899-1980; prof. di fisica nella Harvard Univ., premio Nobel per la fisica nel 1977) osservò che lo stato termodinamico di un materiale magnetizzato per precessione degli elettroni dei suoi atomi è più ordinato e quindi con entropia minore rispetto allo stato non magnetizzato; a questa variazione di entropia deve corrispondere una variazione energetica, che non può essere assolutamente imputata alla forza di Lorentz: questa, com’è ben noto, è una forza trasversale allo spostamento dell’ente su cui agisce e quindi ha contenuto energetico nullo. L’impostazione di Larmor, con la relativa terminologia, è tuttora presente - è da presumere per ragioni di semplicità - in alcune trattazioni di prima approssimazione didattica.

In definitiva, tutte le molecole, siano provviste o no di un momento magnetico proprio, ne acquistano uno (o ne aggiungono uno a quello loro proprio) in virtù del predetto fenomeno di precessione elettronica nel momento in cui su esse venga ad agire un campo magnetico; il momento magnetico acquistato è antiparallelo rispetto al campo magnetico.

Se le molecole (mono- o pluriatomiche) non hanno un momento magnetico intrinseco, si ha la magnetizzazione diamagnetica, in cui il magnetismo è costituito dall’insieme dei momenti magnetici di precessione atomici o molecolari; per le molecole che hanno un momento magnetico proprio un campo magnetico esterno, oltre che determinare la detta magnetizzazione diamagnetica, agisce ben più intensamente, con azioni di coppia, sui

(12)

momenti molecolari, determinando la ‘magnetizzazione paramagnetica’ di cui parleremo tra breve; questa magnetizzazione soverchia e maschera quella diamagnetica, cosicché quest’ultima, ancorché di carattere universale per tutte le molecole, finisce per apparire soltanto per le molecole prive di momento magnetico proprio.

Per avere un’idea - sempre in termini di fisica classica - dell’entità della magnetizzazione diamagnetica possiamo considerare una generica sostanza semplice, cioè con molecole monoatomiche, di numero atomico Z, e magneticamente lineare; la suscettività diamagnetica, d, di questa sostanza è, a norma di definizione (v.

[IV.3.5*8]), il rapporto tra la magnetizzazione (momento magnetico dell’unità di volume, e quindi N volte il momento di precessione atomico mpa, se N è la concentrazione atomica, in atomi/m3) e l’intensità H del campo magnetico (siamo a livello atomico, e quindi nel vuoto, talché H=B/ 0, con 0 permeabilità magnetica del vuoto, pari a 4π 10-7 H/m); a conti fatti, risulta:

[X.4*7] d = 2

2

6 ZN

M

e = 5,883 10-15 ZN 2 ;

valutando N in circa 1023 atomi a m3 (sostanza solida) e < 2> in circa 10-18 m2, risulterebbe per d un valore negativo, indipendente dalla temperatura e piccolo (≈ 10-7 [SI]), tutto in accordo con i valori misurabili (v. tab. X.3-1).

c) Magnetizzazione paramagnetica e ferromagnetica. La magnetizzazione paramagnetica riguarda, come s’è detto, sostanze le cui molecole hanno un momento magnetico intrinseco, indipendentemente dalla presenza di un campo magnetico macroscopico esterno; osserviamo subito che la fisica classica non è in grado di dare dei criteri in base ai quali si possa stabilire se una data molecola può avere o no un momento magnetico proprio. Per il momento, accettiamo come un fatto di Natura che le molecole di certe sostanze hanno un loro momento magnetico, mm.

Un campo magnetico esterno esercita una coppia di forze su ognuno di questi momenti magnetici molecolari (v. [IV.3.4*1]), tendendo a disporli parallelamente a sé medesimo;

diciamo “tendendo” in quanto a questa azione orientatrice del campo s’oppone l’azione disordinatrice delle collisioni che ogni molecola subisce incessantemente da parte delle molecole circostanti in virtù dell’agitazione termica; il risultato netto è che se si considera il valore medio nel tempo della componente del momento magnetico della generica molecola nella direzione del campo, che chiameremo momento magnetico molecolare di orientamento (col campo), mmo, tale valore medio non è nullo, come invece sarebbe - a causa dell’agitazione termica - in assenza del campo magnetico esterno qualunque direzione si volesse considerare. Un brillante fisico francese, Pierre Langevin

<lang(e)vèn> (1872-1946; prof. di fisica nell’univ. di Parigi), ha calcolato nel 1901, con metodi di meccanica statistica, questo momento d’orientamento, ottenendo:

[X.4*8] mmo = L(a) mm , essendo

[X.4*9] L(a) = coth a − (1/a) ≈ a/3

la cosiddetta funzione di Langevin del parametro di Langevin [X.4*10] a = l

B

m B

T k

m ,

con kB (= 1,38 10-23 J/K) costante di Boltzmann, T temperatura assoluta, Bl induzione del campo ma gnetizzante locale, cioè agente sulla singola molecola (v. oltre); l’ordine

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di grandezza del momento molecolare mm è 10-19 A m2, per cui quello del momento magnetico d’orientamento mmo è deducibile dal diagramma di L(a) dato nella fig. X.4/2.

I momenti magnetici molecolari, orientati dal campo esterno, interagiscono tra loro più o meno fortemente a seconda del loro valore e della distanza intermolecolare media (il campo generato da un momento magnetico

dipolare decade con il cubo della distanza: v.

[IV.3.8.2*1]); sul singolo momento magnetico molecolare viene ad agire, oltre al campo magnetizzante esterno, anche il campo interno generato dai momenti magnetici molecolari circostanti, i due campi costituendo nel complesso il campo locale per la singola molecola (il Bl che compare nell’espressione 4*10 del parametro di Langevin).

Se il campo locale è poco diverso dal campo esterno (come dire se il campo interno è trascurabile o quasi rispetto al campo magnetizzante) le molecole interagiscono magneticamente tra loro in maniera molto debole, per modo che si possono ritenere pressoché libere le une rispetto alle altre; il piccolo valore dei momenti su cui il campo magnetizzante agisce e l’azione dell’agitazione termica spiegano, insieme, la relativamente debole magnetizzazione, concorde al campo magnetizzante, che si ha in questo caso, che è quello delle sostanze paramagnetiche; tipiche tra queste sono le sostanze aeriformi, nelle quali l’esiguità delle interazioni magnetiche molecolari è dovuta semplicemente alla relativamente grande distanza media tra molecola e molecola.

Se invece le molecole interagiscono magneticamente tra loro in maniera forte, come accade nelle sostanze ferromagnetiche (così dette perché esponente tipico ne è il ferro), in assenza di un campo magnetizzante esiste un campo interno relativamente intenso, derivante dal fatto che molecole contigue s’influenzano reciprocamente, così da allinearsi insieme secondo un’unica direzione, che è la situazione di minima energia magnetica; si tratta di fenomeni di allineamento mutuo con carattere molto locale, per cui in seno alla sostanza si crea tutta una serie di aggruppamenti molecolari, detti domini ferromagnetici, in ognuno dei quali tutti i momenti magnetici molecolari sono allineati secondo una stessa direzione, che peraltro varia da dominio a dominio; i domini interagiscono sviluppando azioni reciproche che portano, come risultato finale, a una situazione di minima energia magnetica.

La fig. X.4/3 illustra schematicamente la formazione e l’assetto reciproco dei detti domini. Nella fig. a è la situazione in una piccola regione interna di un parallelepipedo di materiale ferromagnetico, immaginato a temperatura decrescente e nella situazione in cui quest’ultima è di poco maggiore della temperatura di Curie di quel materiale; a causa della minore agitazione termica rispetto alla situazione che si aveva a temperatura maggiore, cominciano a formarsi nuclei di domini ferromagnetici, per il semplice fatto che in un sito qualsiasi due molecole interagiscono casualmente disponendosi con i loro momenti magnetici parallelamente fra foro, cosicché il più intenso momento magnetico così creatosi “cattura” il momento di una molecola tra quelle vicine, e così via, sempre in contrasto con l’azione disordinatrice dell’agitazione termica; ciò si ripete in tanti altri siti, con la formazione di nuclei di domini con pareti fluide, orientati a caso; nella zona

“d’incertezza” tra un dominio e l’altro, cosiddetta parete di domini, il progressivo passaggio dalla zona di predominio di un dominio informazione a quella del dominio

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conti-guo porta alla situazione schematizzata nella fig. b. Al diminuire della temperatura l’”azione di cattura” dei domini diventa sempre più efficace, lo spessore delle zone d’incertezza costituenti le pareti si riduce e si passa a una situazione in cui si può parlare di interazione di domini, il sistema dei domini portandosi verso la definitiva situazione a temperatura ambiente; il processo di tendenza a questa situazione finale di equilibrio è governato dalla generale legge naturale del sistema a portarsi nella situazione di energia minima come dire che sia minima l’energia totale del campo generato complessivamen-

te dai domini medesimi, a guisa di minuscoli magneti; poiché tale energia è calcolabile come integrale della densità di energia magnetica nel volume del campo, la situazione di energia minima è, in parole povere, quella in cui il volume occupato dal campo (all’interno e all’esterno del materiale) è minimo; le figg. c g schematizzano varie situazioni che possono verificarsi realmente (si tratta di schemi desunti da fotografie di domini evidenziati in campioni) e, come facilmente s’immagina, l’energia si riduce progressivamente dall’una all’altra via via che si riduce l’estensione e l’intensità del campo all’esterno del campione (nella situazione g, che è quella a energia veramente minima, il campo magnetico è ristretto, salvo qualche per mille, al solo volume del campione).

Questa è dunque la situazione dei materiali ferrimagnetici (e anche, come abbiamo accennato, ferromagnetici) per così dire naturale, cioè senza che sia applicato alcun campo magnetizzante. Applicando ora un campo magnetizzante, questo viene ad agire non sui debolissimi e disordinati momenti magnetici molecolari (come nelle sostanze paramagnetiche), ma sugli intensi e ordinati momenti magnetici dei domini, determinando una magnetizzazione centinaia o migliaia di volte più intensa rispetto a quella di una situazione paramagnetica. La fig. X.4/4 mostra (ripresa da fotografie di un campione) la fenomenologia della magnetizzazione di un campione ferromagnetico (simile a quello della fig. X.4/3 g). La situazione della fig. a è quella in assenza di un campo magnetizzante H. Come si vede, un campo magnetizzante moderato (fig. b) provoca l’espansione dei domini i cui momenti sono paralleli o quasi rispetto ad esso e la contrazione di quelli antiparalleli o quasi (si arriva facilmente a

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capire come ciò accada pensando che all’azione del campo dei domini s’aggiunge quella del campo esterno magnetizzante, con effetti diretti sui momenti delle molecole nelle pareti dei domini, che passano

dal dominio sfavorito a quello favorito dal campo esterno); queste espansioni o contrazioni sono di tipo reversibile per piccoli valori del campo magnetizzante, nel senso che al cessare di questo tutto ritorna com’era prima (è la situazione che ha nella

“zona anisteretica” della fig. X.4.3/3); per campi smagnetizzanti più intensi (fig. c))le espansioni o contrazioni sono di tipo irreversibile, nel senso che al cessare del campo il volume dei domini non ritorna qual era; benché si tratti di fenomeni d’interazione tra momenti magnetici e non d’interazione meccanica, si parla, espressivamente, di attriti di parete per indicare la causa di questa irreversibilità. L’esistenza dell’isteresi magnetica e, in particolare, di una consistente magnetizzazione residua al venire meno del campo magnetizzante derivano dal fatto che, in virtù di questi “attriti di parete”, i domini tendono a restare, in larga parte, nella posizione di reciproco allineamento in cui li aveva forzati il campo magnetizzante. Se poi il campo magnetizzante è sufficientemente intenso, all’espansione dei domini s’accompagna la loro rotazione nella direzione del campo, che è sempre irreversibile. Al limite, per campi magnetizzanti molto intensi tutti i domini sono orientati nella direzione del campo e all’aumentare dell’intensità di questo non si rilevano più altri effetti (situazione della saturazione magnetica)

Per quanto riguarda l’influenza della temperatura sulla magnetizzazione, al crescere della temperatura la sempre più vivace agitazione termica riduce la saldezza della struttura dei domini, sino a che, raggiuntasi l’intorno della temperatura di Curie del materiale, si ha il collasso dei domini, i singoli momenti magnetici molecolari riacquistano la loro libertà e si passa a un comportamento paramagnetico; riducendo poi la temperatura, si ripassa nelle fasi di formazione e d’interazione dei domini descritta analogicamente nella detta fig. X.4/3.

Risultano così spiegate, fenomenologicamente, le particolarità fondamentali del comportamento delle sostanze ferromagnetiche.

Ricordiamo ora succintamente i lineamenti della teoria che fu sviluppata al riguardo, ad opera del fisico francese Pierre Ernest Weiss <vàis> (1865-1940); prof. di fisica in varie univ. francesi), che nel 1904 completò le già ricordate considerazioni di un altro grande fisico francese, Pierre Curie <kiurì>, già ricordato, che nel 1903 meritò il premio Nobel per la fisica con la moglie Marie nata Sklodowska, per i loro studi sulla radioattività naturale).

Il campo locale di induzione Bl, è considerato, come s’è accennato, risultante del campo magnetizzante esterno, di induzione B= 0H e intensità H, e del campo interno, rappresentabile mediante la magnetizzazione M del materiale; in generale, può scriversi:

[X.4*11] Bl = 0(H+WM) ,

essendo W chiamata costante di Weiss, caratteristica di ogni materiale.

(16)

Caso W<<1 (paramagnetismo) Si ha allora Bl 0H, cioè il campo locale coincide sensibilmente con il campo magnetizzante; dalle 4*8÷4*10 segue per la suscettività paramagnetica:

[X.4*12] p = H Nm0

= k T Nm

B p

3

2

0 ,

che, raccogliendo i termini costanti in una costante C (costante di Curie, caratteristica di ogni sostanza),

[X.4*13] C =

B p

k Nm 3

2

0 ,

prende l’aspetto (legge di Curie) [X.4*14] p =

T C ;

questa legge mette ben in evidenza la dipendenza della suscettività paramagnetica dalla temperatura assoluta: p è positiva, di piccolo valore e decresce all’aumentare della temperatura, in perfetto accordo con l’esperienza.

Caso W>1 (ferromagnetismo) È Bl> 0H, cioè il campo locale è maggiore del campo magnetizzante, a questo aggiungendosi il campo d’induzione 0WM generato collettivamente dai momenti magnetici molecolari in allineamento circostanti la generica molecola considerata. Facendo sistema delle 4*8-10 e 4*11, e risolvendo rispetto a M ha::

[X.4*15] M =

W a H Wm

T k

p

B 2

0

, [X.4*16] M = NmpL(a) ;

nel piano M(a) (fig. X.4/5 a) la prima di queste equazioni rappresenta una retta c (retta di campo locale), in genere non passante per l’origine (passa per l’origine soltanto in caso di campo magnetizzante nullo), di coefficiente angolare tan =kBT/( 0Wm2p), mentre la seconda ripete la funzione di Langevin; i valori della magnetizzazione M in funzione del parametro di Langevin a (v. 4*10) si ottengono per intersezione. Peraltro è più espressivo assumere come variabile indipendente, anziché il parametro di Langevin a, l’intensità H del campo magnetizzante, che è presente in a; se si fa variare H simmetricamente intorno all’origine tra due situazioni di uguale saturazione, il cosiddetto ciclo d’isteresi magnetica a magnetizzazione rigida (cioè ‘alla saturazione’), riportato nella fig. b. Come si vede, partendo da una sostanza non magnetizzata, la magnetizzazione M cresce al crescere di H, dapprima rapidamente, poi sempre più lentamente fino a restare costante al valore di saturazione MS; se ora si fa decrescere H, si nota che M decresce assai meno (bisogna pensare che la sostanza considerata sia un cristallo costituente un unico

dominio), tanto che quando il campo magnetizzante s’è annullato (H=0), resta una magnetizzazione residua ben consistente, Mr; che s’annulla soltanto se si fa crescere H

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per valori “negativi” (cioè un campo diretto nel verso contrario di quello del campo magnetizzante precedente) fino a raggiungere un certo valore Hc, detto campo coercitivo, in corrispondenza al quale la magnetizzazione salta a un valore “negativo”

(il dominio

si capovolge di colpo); facendo crescere ancora H, stavolta per valori “negativi”, si raggiunge una saturazione “negativa”, e così via, ciclicamente (se la variazione di H non è simmetrica rispetto all’origine, si hanno “cicli asimmetrici”). Si ritrovano così tutte le circostanze descritte precedentemente in termini sperimentali; tuttavia, se si confronta il ciclo d’isteresi “teorico” X.4/5 b col ciclo “sperimentale” X.4/3 a, si nota la mancanza della brusca transizione di magnetizzazione che si ha in corrispondenza del campo coercitivo, l’inversione della magnetizzazione seguendo in maniera molto graduale quella del campo magnetizzante; come ben si comprende, questo fenomeno è determinato dalfatto che in questo caso pratico la sostanza è costituita da molti domini e dall’esistenza degli “attriti di parete” fra i domini cui s’è accennato poco sopra, circostanze che non sono contemplate nella semplice teoria di Langevin-Weiss dianzi richiamata.

Tornando alla situazione della teoria, cioè alla fig. X.4/5, è da osservare che l’esistenza del ciclo d’isteresi (caratteristica fondamentale del ferromagnetismo) corrisponde al fatto che la retta di campo locale immagine della 4*15 abbia due intersezioni con la curva immagine della funzione di Langevin 4*16; ciò accade soltanto se il coefficiente angolare di questa retta è non maggiore di quello della tangente nell’origine alla curva di Langevin, il che - dipendendo tale coefficiente angolare dalla temperatura assoluta T - è come dire che sia:

[X.4*17] T < TC =

B p

k Wm 3

2

0 ,

essendo TC la temperatura ferromagnetica di Curie, caratteristica di ogni sostanza, al disotto e al disopra della quale si ha un comportamento, rispettivamente, ferromagnetico (struttura a domini) e paramagnetico (domini collassati in momenti magnetici molecolari liberi).

d) Magnetizzazione ferrimagnetica e antiferromagnetica. Si tratta di due casi particolari di ferromagnetismo, cioè di magnetismo a domini magnetici, che si presentano con sostanze complesse cristalline la cui cella elementare è costituita da sottoreticoli compenetrantisi, alcuni dei quali provvisti di momento magnetico proprio, ma con orientamenti reciproci sia paralleli che antiparalleli.

Il ferrimagnetismo si ha quando i valori dei momenti sottoreticolari sono sensibilmente differenti, per cui si ha un momento risultante non nullo, anzi comparabile con quello molecolare di sostanze ferromagnetiche, e un comportamento simile appunto a quello ferromagnetico: suscettività positiva e grande, isteresi magnetica, transizione paramagnetica alla propria temperatura di Curie.

L’antiferromagnetismo si ha quando il momento risultante è nullo in assenza di

(18)

agitazione termica (cioè allo zero assoluto), ed è quest’ultima che turbando l’allineamento dei domini sottoreticolari, determina un piccolo momento risultante non nullo e fortemente dipendente dalla temperatura, con il comportamento descritto in precedenza, per qualche verso simile a quello paramagnetico: suscettività positiva e piccola, crescente oppure decrescente con la temperatura rispettivamente al di sotto e al disopra di una temperatura caratteristica di ogni sostanza (temperatura di Néel: v. sopra, fig. X.3.4).

La denominazione “ferrimagnetismo” deriva dalle ferriti, sostanze sia naturali sia artificiali, aventi una struttura chimica rappresentata dalla formula mO⋅Fe2O3, con m metallo bivalente (Mn, Zn, Mg, Fe, ecc.), e la cui struttura cristallina è schematizzata nella fig. X.4/6 a. La cella cristallina elementare comprende 32 ioni ossigeno negativi, O2, e 24 ioni metallici positivi, organizzati in due sottoreticoli, rispettivamente di 16 ioni (ottaedrico) e di 8 ioni (tetraedrico); la natura ferri- oppure antiferromagnetica deriva dalle relazioni magnetiche tra questi sottoreticoli. La ferrite naturale più importante è la magnetite, che è un ossido ferroso-ferrico, FeO⋅Fe2O3, la cui struttura cristallina è quella degli spinelli inversi e la cui struttura magnetica è specificata nella fig. b, con un momento risultante m non nullo; si tratta della roccia “magnetica” più importante: nota fino dall’Antichità, ha dato il nome al magnetismo (v. par. I.1). Negli anni Cinquanta del XX sec.

sono state realizzate ferriti artificiali (a zinco, ZnO⋅Fe2O3; a manganese, MnO⋅Fe2O3; e altre), sia ferrimagnetiche sia antifer-

romagnetiche. Per es., è antiferromagnetica la ferrite a zinco, con la struttura indicata nella fig. c; i 1 6 ioni Fe2+ sono organizzati in due domini uguali e antiparalleli, mentre il sottoreticolo degli 8 ioni Zn+2 non ha momento magnetico, talché il momento risultante m, ad antiparallelismo perfetto, è nullo; in realtà, l’agitazione termica turba l’antiparallelismo tendenziale, determinando un debole momento risultante medio e un comportamento simile a quello paramagnetico, descritto all’inizio di questo paragrafo.

A titolo di sintesi, la tab.X.4-1 è una sinossi comparativa delle principali nozioni sui cinque tipi di magnetismo che sono stati richiamati.

(19)

X.5. Cenno sulla teoria quantistica della magnetizzazione

Senza entrare nei particolari di questa teoria, che esula dagli scopi della presente esposizione, ci limiteremo a indicare le sue linee principali. Due basilari differenze rispetto alla teoria classica sono che (1) tutte le grandezze sono quantizzate, cioè le loro caratteristiche quantitative non variano con continuità ma discontinuamente, per

quanti, e

che (2) per gli elettroni legati in un atomo accanto al momento magnetico orbitale, meo (associato alla quantità di moto di rivoluzione intorno al nucleo atomico) è considerato anche un momento magnetico di spin, mes (associato a un momento angolare intrinseco dell’elettrone: l’inglese spin vale “rotazione”).

a) La quantità di moto di spin può avere soltanto i due valori s [h/(2π)], con s numero quantico di spin, che ha i due soli valori ±(1/2); facendo intervenire il rapporto giromagnetico elettronico dato dalla 4*2, il momento magnetico di spin vale:

[X.5*1] mes = e s 2

h = – M e 2 (±

2 1 )

2 h = ±

M eh

4 = ± B ,

essendo e ≈ 1,602 10-19 C la carica elettrica e M ≈ 9,108 10-31 kg la massa (a riposo) dell’elettrone, e h ≈ 6,62 10-34 J s la costante di Planck (la quantità h/(2π) si chiama costante di Planck ridotta); la quantità B=eh/(4πM) ≈ 9,27 10-24 A m2 è l’unità di misura quantistica dei momenti magnetici, detta magnetone (di Bohr), da Niels Bohr

<bòor>, fisico danese (1885-1962; prof. di fisica nell’univ. di Copenhagen). Come si vede, il numero quantico di spin quantizza il momento magnetico elettronico di spin, che vale un magnetone e il significato del doppio segno di s è che il detto momento può essere parallelo oppure antiparallelo rispetto al campo magnetizzante.

b) La quantità di moto orbitale può avere i valori discreti [l(l+1)]1/2[h/(2π)], essendo l un secondo numero quantico elettronico, detto numero quantico elettronico azimutale, che quantizza la forma dell’orbita intorno al nucleo (se l=0 si hanno orbite circolari e, al crescere di l, orbite ellittiche sempre più schiacciate) e può assumere gli n valori interi da 0 a n–1, essendo n un altro numero intero, detto numero quantico elettronico principale, che quantizza l’energia totale dell’elettrone. Facendo intervenire anche qui il rapporto giromagnetico elettronico e, per il momento magnetico elettronico azimutale meo associato alla detta quantità di moto si ha:

[X.5*2] meo = – l(l+1) B , con l = 0÷n–1 .

c) Un quarto numero quantico quantizza la posizione del momento magnetico azimutale (se si vuole, del piano orbitale) rispetto al campo magnetizzante;

precisamente, la componente mez di tale momento rispetto al campo vale:

[X.5*3] mez = – m B , con m = –l÷+l ,

m essendo detto numero quantico elettronico magnetico, un intero che, come indicato, può assumere uno dei 2l+1 valori tra –l e +l (la quantità di moto orbitale risulta parallela al campo magnetizzante per m=–l e antiparallela per m=+l).

d) Composizione dei momenti magnetici elettronici di un atomo. Sia L il risultante dei Z momenti della quantità di moto orbitali degli elettroni di un atomo di

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