1 Introduzione
Gli impianti biologici per il trattamento della acque reflue sono una componente fondamentale per il processo di abbattimento dell’inquinamento idrico. Questi impianti devono essere progettati adeguatamente per prevenire la contaminazione successiva della acque sia superficiali che sotterranee e per evitare conseguenti problemi per il riuso delle acque stesse. Inoltre non è infrequente che, anche in presenza di impianti ben progettati e efficienti, che i cambiamenti nella caratteristiche chimiche dei reflui o delle condizioni climatiche della località in cui l’impianto è costruito possano causare inconvenienti e abbassare l’efficacia depurativa dell’impianto.
Fig 1.1, Schema a blocchi di un generico impianto per la depurazione delle acque reflue
Queste tipologie di shock sono frequentemente documentate indipendentemente dal tipo di refluo trattato (civile, industriale, misto) e possono generare tutta una serie di problemi gestionali che vanno dall’eccessivo consumo di energia al calo di attività depurativa del fango attivo, come ad esempio un insufficiente abbattimento del carico organico.
Questi sconvolgimenti nel processo depurativo sono facilmente interpretabili come la naturale risposta delle biocenosi che compongono il fango attivo al cambiamento delle condizioni dell’ambiente in cui vivono.
Tuttavia è importante notare come una volta che il trattamento biologico è
stato compromesso, i tempi di ricostituzione dell’efficienza depurativa
possono essere sufficientemente lunghi da causare un impatto significativo nello stato ambientale del corpo idrico che riceve l’effluente del depuratore in questione.
Saper gestire le grandi e le piccole emergenze di questo tipo risulta dunque una componente fondamentale per una corretta gestione dell’impianto, associata ad un efficiente sistema di monitoraggio che possa identificare rapidamente i fattori di malfunzionamento che possono causare uno stress eccessivo per la biomassa responsabile della degradazione del carico organico del liquame.
Tra i molteplici processi che avvengono all’interno di una vasca di ossidazione biologica (che di fatto costituisce il cuore di un impianto di depurazione delle acque) possono essere individuate due grandi famiglie, la famiglia responsabile dei processi di ossidazione dei substrati carboniosi, più conosciuta e più studiata, e la famiglia responsabile dei procssi di ossidazione e rimozione dei substrati azotati. Quest’ultima famiglia di processi, (comunemente conosciuti sotto il nome generico di processi nitrificatori) sebbene tradizionalmente meno studiata rispetto alla via carbonio-ossidante risulta essere uno dei processi cruciali per il buon funzionamento di un impianto di depurazione. Questo perché i processi nitrificatori risultano essere maggiormente delicati dal punto di vista biologico (da letteratura si riscontra come la biomassa che li conduce è meno resistente ai cambiamenti delle condizioni dell’ambiente in cui è immersa) e anche per la criticità degli effetti che eventuali crisi nelle vie di rimozione dei substrati azotati possono avere sui macro ecosistemi. Infatti i corpi idrici le cui acque risultano essere eccessivamente ricche in azoto vanno spesso incontro a gravi crisi ecologiche dovute ad un’eccessiva eutrofizzazione. La prima tappa delle vie di rimozione dei substrati azotati è la nitrificazione.
1.1 La nitrificazione
La nitrificazione, intesa in senso lato, è un processo di ossidazione
biologica dell’azoto prima a ione nitrito e in seguito a ione nitrato. Può a
tutti gli effetti essere considerata il primo stadio del processo di rimozione
dell’azoto nelle acque reflue. La nitrificazione si compie in due fasi successive, condotte da due distinte popolazioni batteriche: quelle appartenenti al gruppo Nitrosobacteria e quelle appartenenti al gruppo
Nitrobacteria. Entrambe le tipologie appartengono alla famiglia delle Nitrobacteriaceae. Per semplicità di linguaggio indicheremo d’ora in avantii Nitrosobacteria come AOB (Ammonia Oxidizing Bacteria) e i
Nitrobacteria come NOB (Nitrite Oxidizing Bacteria).Gli AOB (tra i quali spiccano le specie appartenenti al genere
Nitrosomonas) convertono in una prima fase NH4+- N in NO
2-- N secondo la seguente stechiometria equivalente:
(1.1) 2NH
4++ 3O
2→ 4H
++ 2NO
2-+ 2H
2O + 550 KJ
questo processo è accompagnato parallelamente ad una riduzione di carbonio inorganico a carbonio organico.
Successivamente le specie appartenenti al gruppo NOB (prime fra tutte le specie appartenenti al genere Nitrobacter) ossidano NO
2-- N in NO
3-- N con la stechiometria equivalente che segue:
(1.2) 2NO
2-+ O
2→ 2NO
3-+ 150 KJ
anche questo processo è accompagnato dalla sintesi contestuale di materia organica. Governare l’andamento delle reazioni di nitrificazione in un impianto in opera può risultare complesso e non sempre gli sforzi condotti risultano efficaci. Tra tutti i processi di degradazione che un fango attivo è capace di portare avanti, la nitrificazione viene di norma considerata come il più fragile, anche perché dipende da una serie di processi spesso tra loro interconnessi. Per esempio affluenti che abbiano una forte variazione temporale nella concentrazione di ammonio, nel tenore del COD, o nella concentrazione di nutrienti possono causare due tipi differenti di comportamento non ottimale per quanto riguarda la nitrificazione, ovvero possono causarne sia l’arresto che un’improvvisa accelerazione.
Considerare costante la velocità di nitrificazione di un fango è un
approssimazione che può tuttavia ridurre l’efficacia depurativa complessiva
dell’impianto. Una sottostima di questi processi infatti può causare uno spreco notevole di energia e di risorse usate per spingere al massimo i processi biologici; viceversa una loro sovrastima porta ad un accumulo di intermedi nocivi nell’effluente, come l’ammoniaca e i nitriti (su i quali sono non a caso imposti severi limiti di legge). Quando questi prodotti si accumulano nel corpo idrico recettore infatti, possono causare seri problemi come l’eutrofizzazione delle acque, calo del tasso di ossigeno disciolto, casi di avvelenamento nella popolazione e morie improvvise di organismi acquatici.
Per prevenire queste sgradevoli conseguenze sull’ambiente e sulla salute umana è necessario che chi gestisce un impianto di depurazione possa assicurare le condizioni adatte affinché la biomassa responsabile del trattamento biologico sia in grado di mantenere un’adeguata attività nitrificatoria. La nitrificazione inoltre è uno dei processi biologici più delicati; una grande quantità di composti che possono trovarsi occasionalmente (o sistematicamente) nei reflui in arrivo a un impianto di depurazione può avere effetti inibitori sull’attività nitrificatoria del fango attivo. Ricerche recenti hanno infatti mostrato come anche in paesi tradizionalmente attenti alla sfera ambientale in una larga maggioranza di impianti le acque reflue in ingresso ai depuratori contenevano sostanze dall’effetto potenzialmente inibitorio sull’attività nitrificante: si parla di una quota del 60% in Svezia (Jönnson et al., 2000), e del 64% in Danimarca, (Laursen e Jansen, 1995).
Inoltre, in accordo con gli studi di McCarty (McCarty 1999), la fase più sensibile di tutto il processo sembra essere la prima fase relativa alla nitrosazione dell’ammonio, in quanto gli AOB risultano essere anche i più sensibili a variazioni anche modeste delle condizioni ambientali.
Tuttavia, nonostante l’estrema importanza di conoscere e saper governare i processi azoto-ossidanti che avvengono all’interno di una vasca di ossidazione biologica, solo da poco la comunità scientifica sembra aver sviluppato la volontà di studiare a fondo queste problematiche.
Attuare una serie di esperimenti per valutare come la cinetica di tali
reazioni possa cambiare in base ad alcune grandezze fondamentali che
caratterizzano la realtà del bioreattore è stato lo scopo fondamentale di questo lavoro.
1.2 La respirometria