• Non ci sono risultati.

Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Attività Diabetologica e Metabolica in Italia"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

Congresso Annuale SID Sezione Piemonte e Valle d’Aosta

Torino, 25 febbraio 2012

Comitato Scientifico: F. Broglio, G. Bruno, V. Inglese, R. Quadri, I. Rabbone

Riassunti – Comunicazioni orali

Effetti endocrino-metabolici di secretina nell’uomo in condizioni fisiologiche

Calvi E, Gramaglia E, Olivetti I, Tomelini M, Ramella V, Benso A, Ghigo E, Broglio F

Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale Molinette, Università di Torino, Torino

Obiettivo. Numerose evidenze hanno permesso di ipotizzare un ruolo di secretina, altrimenti nota per la sua azione gastrointestinale, nel controllo del metabolismo glucidico.

Considerandone le possibili implicazioni fisiopatologiche e la mancanza di dati certi in letteratura, lo scopo dello studio è di valutare gli effetti della somministrazione acuta di secretina sulla secrezione insulinica e sul metabolismo glucidico nell’uomo in condizioni fisiologiche.

Materiale e metodi. Dieci volontari sani (5 maschi e 5 femmine;

età media 28,3 ± 2,1 anni; BMI 23,1 ± 1,3 kg/m2) sono stati sottoposti alle seguenti sessioni di test a digiuno con bolo di:

soluzione salina (placebo) e dosi crescenti di secretina (0,2 µg/kg, 0,4 µg/kg, 1 µg/kg, 2 µg/kg). Gli effetti delle dosi di 0,4 µg/kg e 1 µg/kg confrontati al placebo sono stati valutati anche in seguito all’assunzione di un pasto isocalorico standardizzato. Prelievi per glicemia e insulinemia sono stati effettuati a intervalli di tempo predeterminati.

Risultati. A digiuno e dopo il pasto è stato possibile individuare in tutti i soggetti un rapido incremento della prima fase di secrezione insulinica (tempo medio di picco: 2′) signi - ficativamente maggiore e più precoce rispetto a quanto osservato col placebo per tutte le dosi analizzate (p < 0,05), con un effetto dose-dipendente fino alla dose di 1 µg/kg, risultata quindi essere la dose massima efficace. I valori glicemici postprandiali sono risultati in lieve diminuzione, pur senza variazioni statisticamente significative (p > 0,05). Dopo il pasto è stato inoltre rilevato un incremento tardivo dei valori glicemici (p < 0,05), verosimilmente dovuto a un effetto d’inibizione sulla seconda fase di secrezione insulinica osservato in seguito alla somministrazione di secretina.

Conclusioni. Sia a digiuno sia in seguito al pasto la somministrazione di secretina esercita un potente e rapido effetto insulino-segretagogo, accompagnato da una minima variazione dei livelli glicemici postprandiali.

L’acido oleico incrementa trascrizione, sintesi e secre - zione del VEGF in cellule muscolari lisce vascolari aortiche: ridotto effetto in condizioni di insulino- resistenza

Doronzo G, Viretto M, Russo I, Mattiello L, Barale C, Anfossi G, Vaccheris C, Trovati M

SCDU di Medicina Interna ad Indirizzo Metabolico, AOU San Luigi Gonzaga, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche e Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga dell’Università degli Studi di Torino, Torino

Introduzione. Gli stati di insulino-resistenza sono associati a una ridotta arteriogenesi e sono caratterizzati da elevate concentrazioni plasmatiche di acido oleico (AO). In precedenza, abbiamo dimostrato che l’insulina stimola la sintesi/secrezione del vascular endothelial growth factor (VEGF) – importante molecola angiogenetica – in cellule muscolari lisce vascolari (CMLV) attraverso le vie del segnale della PI3-K e della MAPK, effetto che risulta ridotto in condizioni di insulino-resistenza.

Scopo del lavoro. Verificare, in CMLV: 1) l’influenza dell’AO su trascrizione/sintesi/secrezione del VEGF e le vie del segnale coinvolte; 2) l’azione dell’AO in condizioni di insulino-resistenza;

3) l’interferenza dell’AO sull’azione dell’insulina sul VEGF.

Materiale e metodi. In CMLV aortiche di ratto Zucker magro insulino-sensibile (LZR) e obeso insulino-resistente (OZR) sono state valutate trascrizione (Real-timePCR), sintesi (Western Blot) e secrezione (ELISA) del VEGF dopo 4-24 ore di incubazione con AO (50-100 µM) e/o insulina (2 nM) in presenza o assenza di incubazione per 60 min con: 1) LY294002 (50 µM), inibitore di PI3-K; 2) rapamicina (100 nM), inibitore di mTOR; 3) inibitori di molecole della via delle MAPK: a) PD98059 (30 µM), inibitore di ERK-1/2; b) SP600125 (15 µM), inibitore di JNK-1/2;

c) SB203580 (10 µM), inibitore di p38 MAPK.

Risultati. L’AO in CMLV di LZR incrementa trascrizione, sintesi e secrezione del VEGF in modo dose e tempo dipendente (p = 0,003-0,0001) attraverso la via della PI3-K (Akt e mTOR) e della MAPK (ERK-1/2, JNK-1/2, p38 MAPK). Gli effetti dell’AO sul VEGF non sono presenti in CMLV di OZR. L’AO non modifica l’effetto dell’insulina su trascrizione, sintesi e secrezione del VEGF in CMLV di LZR e OZR.

Conclusioni. Lo studio incrementa le conoscenze dei meccanismi molecolari alla base della ridotta arteriogenesi in condizioni di insulino-resistenza e sottolinea il ruolo dell’AO sulla modulazione del VEGF per verificare l’associazione tra variazio- ni temporali di a-HSP70 e sviluppo di DMT2.

(2)

L’accoglienza psicologica del paziente con diabete di tipo 2 a primo accesso presso la struttura specialistica Porzio A, De Corrado G, Repetti E, Viglione P, Molina E, Rosso F, Gambaudo R, Fernicola M, Cortese M, Fruci F, Falvella M, Gentile L

Struttura Organizzativa Complessa Malattie Metaboliche e Diabetologia, Ospedale Cardinal Massaia, ASL AT, Asti La diagnosi di malattia diabetica e l’accesso alla struttura specialistica possono essere per una persona motivo di disagio emozionale con possibili ricadute sul benessere psicofisico e sull’accettazione della nuova condizione. Il team diabetologico dell’ASL AT, che da sempre si avvale di una modalità di presa in carico integrata, propria del modello assistenziale del disease management, ha voluto valutare l’efficacia della consulenza psicologica a supporto della prima visita diabetologica che rappresenta il momento di presa in carico della persona con diabete da parte della struttura. Tale affiancamento nasce dal tentativo di utilizzare la crisi innescata dalla diagnosi come agente di cambiamento rispetto all’accettazione della cronicità e del cambiamento del proprio stile di vita.

Quattrocentonove pazienti (214 nel 2010 e 195 nel 2011) con neoriscontro di diabete mellito di tipo 2 hanno effettuato un primo colloquio psicologico nel momento della prima visita e un secondo dopo circa un mese, in modo da individuare bisogni e necessità e conseguenti indicazioni clinico/terapeutiche: sia su questo gruppo sperimentale sia su un gruppo di controllo che non ha usufruito di tale percorso sono stati rilevati gli stati emotivi, le conoscenze rispetto alla propria condizione di cronicità, il senso di autoefficacia e la motivazione per attivare processi di autocontrollo. È stato rilevato che i pazienti del gruppo sperimentale hanno raggiunto in tempi più brevi miglioramenti significativi (p < 0,05) per quanto riguarda gli stati emotivi, il senso di autoefficacia e la motivazione. Inoltre, l’attenzione mostrata dal team alla fase di accoglienza ha permesso di rilevare precocemente bisogni che necessitavano di adeguati percorsi terapeutici, quali l’inserimento all’interno dei Gruppi di Educazione Terapeutica Strutturata e/o nei Gruppi di Attività Motoria e talvolta difficoltà emotive esplorate attraverso l’attivazione di una consultazione psicologica presso la SOC di Diabetologia stessa.

Caso clinico: sindrome da insulino-resistenza grave in un adolescente

Rabbone I1, Di Gianni VR1, Bertello MC1, Ignaccolo MG1, Gioia E1, Tuli G1, Sicignano S1, Tinti D1, Barbetti F2, Cerutti F1

1OIRM SCDU Endocrinologia e Diabetologia, Torino;

2Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma

L’insulino-resistenza (IR) può sottendere mutazioni di singoli geni che regolano il segnale insulinico. La comparsa di sindrome da IR è rara in età pediatrica. Presentiamo il caso di un’adolescente giunta alla nostra osservazione affetta da grave IR: S., 13 anni, etnia romena. Anamnesi familiare negativa per malattie metaboliche o cardiovascolari. Da sempre buona salute e normale accrescimento. Nel marzo 2011 viene inviata dal curante per sospetto DMT1 (iperglicemia, glicosuria) e sospetta candidosi orale. All’ingresso in reparto: condizioni generali buone; 47 kg (25° centile), 161 cm (90° centile), BMI 18,1 kg/m2 (25° centile); PHB 4-5 secondo Tunner, non ancora menarca, pannicolo adiposo scarso, non segni di disidratazione né di lipodistrofia; moderata ipertricosi al dorso e presenza di strie

iperpigmentate papillomatose alle pieghe e al dorso delle dita delle mani (acanthosis nigricans, AN). Al cavo orale presenza di numerose chiazze biancastre (gengive e parte interna delle guance), identificate dal dermatologo come localizzazione orale di AN. L’OGTT ha confermato il diabete (glicemia T0: 134 e T120: 267 mg/dl); glicosuria costante, chetonuria assente, EGA nella norma; HbA1c 6,1%; la negatività degli autoanticorpi ICA, IAA, GAD, IA2 e la tipizzazione degli aplotipi HLA hanno escluso la diagnosi di DMT1. Colesterolo totale e HDL, trigliceridi, enzimogramma epatico, GH, IGF1, ACTH, cortisolo, testo - sterone, DHEAS, cromogranina e PTH nei limiti di norma. In corso di test con glucagone il C-peptide era 4,10 e 19,5 ng/ml, nettamente superiore alla norma. Inizialmente si è deciso di iniziare la terapia insulinica con analogo rapido ai pasti a bassa dose (0,1 UI/kg/die), poi interrotta perché induceva ipoglicemia.

S. è stata dimessa con diagnosi di diabete mellito in fase di definizione diagnostica e acanthosis nigricans diffusa. Ai successivi controlli è stata confermata netta iperinsulinemia (insulina basale 389µU/ml e C-peptide 6,37 ng/ml), per cui è stata iniziata terapia con metformina a basse dosi (250 mg/die), utili per mantenere l’omeostasi glucidica. L’analisi genetico- molecolare ha evidenziato la mutazione R1201Q in eterozigosi del gene del recettore dell’insulina (INSR), con diagnosi di sindrome da insulino-resitenza grave tipo IA.

miRNA esosomiali come sorgente di biomarcatori urinari

Tricarico M, Barutta F, Pinach S, Corbelli A, Bruno G, Cavallo Perin P, Gruden G

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino Introduzione. I microRNA (miRNA) sono presenti nei fluidi biologici in forma estremamente stabile in quanto protetti all’interno degli esosomi. Recentemente è stata dimostrata la presenza di miRNA nelle urine a suggerire un loro possibile utilizzo come biomarcatori di patologia renale.

Scopo. Al fine di identificare una “firma molecolare” precoce di nefropatia diabetica incipiente (ND) abbiamo studiato i microRNA esosomiali espressi in modo differenziale nelle urine di pazienti diabetici di tipo 1 (DM1) con e senza microalbuminuria.

Materiale e metodi. Sono stati reclutati in modo consecutivo 10 DM1 con microalbuminuria e 10 DM1 normoalbuminurici, paragonabili per caratteristiche fisico-metaboliche. Gli esosomi sono stati isolati da raccolte overnight delle urine mediante ultracentrifugazioni seriali. La purezza dell’estratto è stata confermata mediante microscopia elettronica e immunoblotting (presenza/assenza di marcatori: HSP70, Alix, calnexina). L’RNA totale esosomiale è stato estratto, retrotrascritto, preamplificato.

La Human Taqman® miRNA Arrays Card A (Applied Biosystem) è stata utilizzata per eseguire un profiling dell’espressione di 376 miRNA in 2 soggetti per gruppo. I risultati del profiling sono stati validati su tutta la casistica mediante real-time PCR.

Risultati. Il profiling ha evidenziato la presenza negli esosomi urinari di 245 miRNA, di cui 88 ipoespressi e 48 iperespressi nei soggetti con microalbuminuria. La validazione, condotta su 10 miRNA, ha dimostrato che l’espressione di mir130a, mir450, mir199a, mir145, mir150, mir35 era significativamente maggiore nei pazienti con microalbuminuria rispetto ai soggetti normoalbuminurici (p < 0,05). Al contrario, mir155, mir424 e mir375 erano ipoespressi nei DM1 con microalbuminuria (p < 0,05).

Conclusioni. Questi risultati dimostrano che l’espressione degli miRNA esosomiali urinari differisce in pazienti DM1 con e senza ND incipiente e può rappresentare una “firma molecolare” della patologia.

(3)

Riassunti – Poster

Acido urico come marcatore non cardiovascolare di mortalità nel diabete di tipo 2? Il Casale Monferrato Study

Amione C, Panero F, Tricarico M, Schimmenti A, Spadafora L, Prinzis T, Ghezzo G, Cavallo Perin P, Bruno G

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino;

Ospedale Santo Spirito, Casale Monferrato, Alessandria Introduzione. Anche se alcuni studi hanno evidenziato il ruolo dell’acido urico come fattore di rischio per la mortalità, questa relazione è ancora incerta nelle persone con diabete di tipo 2.

Materiale e metodi. Lo studio è stato condotto su una coorte di popolazione di 1540 soggetti diabetici (età media 68,9 anni) nell’ambito del Casale Monferrato Study. Il ruolo dei livelli sierici di acido urico sulla mortalità generale e cardiovascolare in un follow- up a 15 anni è stato valutato mediante l’analisi multivariata di Cox, con aggiustamento per i fattori di rischio classici (età, sesso, profilo lipidico, ipertensione, fumo, eventi cardiovascolari), nuovi fattori di rischio (micro-macroalbuminuria, fibrinogeno), media cumulativa di HbA1ce altri fattori confondenti.

Risultati. I livelli basali sierici di acido urico sono correlati negativamente con HbA1ce risultano più alti negli uomini e negli anziani. Nell’analisi di regressione logistica, l’acido urico è risultato indipendentemente associato a tutti i componenti della sindrome metabolica. Su un totale di 14.179 anni-persona di osservazione, sono stati riscontrati 1000 decessi (514 morti cardiovascolari). Il rischio di mortalità aumenta con più alti livelli sierici di acido urico: HR (IC al 95%) 1,47 (1,22-1,76) per la mortalità per tutte le cause; 1,40 (1,09-1,80) per la mortalità cardiovascolare e 1,50 (1,15-1,96) per la mortalità non cardiovascolare. Nel modello aggiustato, tuttavia, sono risultati HR 1,26 (1,00-1,60) per la mortalità per tutte le cause; 1,09 (0,80-1,50) per la mortalità cardiovascolare e 1,52 (1,07-2,15) per la mortalità non cardiovascolare.

Conclusioni. Nei soggetti con diabete di tipo 2 l’acido urico sierico è associato ai componenti della sindrome metabolica, ma non può essere considerato un fattore di rischio indipendente per la mortalità cardiovascolare. Al contrario, può rappresentare un fattore indipendente di rischio di morte per cause non cardiovascolari, per esempio nelle malattie neoplastiche.

Elevata incidenza di diabete di tipo 1 in bambini di origine marocchina nati in Piemonte in relazione al difetto di vitamina D

Cadario F1, Prodam F1,2, Monzani A1, Savastio S1, Perino A1, Balafrej A3, Cerutti F4, Bona G1

1Clinica Pediatrica, Università del Piemonte Orientale, Novara; 2Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università del Piemonte Orientale, Novara;

3Unit for diabetic children, Children’s Hospital, Rabat, Marocco; 4Dipartimento di Pediatria, Università di Torino, Torino

Introduzione. L’incidenza di diabete di tipo 1 nei bambini (DM1) è in aumento. Le cause ambientali sono difficili da identificare, ma potrebbero spiegare variazioni di incidenza in popolazioni immigrate. La vitaminemia D (25OHD3) sembrerebbe avere un ruolo protettivo nel DM1 e una ipovitaminosi potrebbe essere

implicata in un aumento di incidenza negli immigrati dal Nord Africa in Italia.

Scopo dello studio. Valutare l’incidenza di DM1 in bambini marocchini residenti in Italia e in Marocco, e misurare i livelli di 25OHD3 in bambini con DM1 e nei controlli di pelle chiara e Marocchini residenti in Piemonte e in Marocco.

Soggetti e metodi. Dal Registro Regionale Piemontese abbiamo identificato negli anni 2004-2010 344 esordi di 6-13 anni (320 popolazione generale e 24 originari del Marocco) e ricavato l’incidenza di DM1 per etnia, utilizzando come denominatore gli studenti della scuole primarie e medie. La 25OHD3 è stata dosata presso il Laboratorio Ospedaliero di Novara in modo centralizzato.

Risultati. L’incidenza di DM1 nei Marocchini residenti in Piemonte (47,3/100.000 abitanti/anno, IC al 95% 23,9-83,2) era aumentata rispetto a quella della popolazione generale in Piemonte (17,8/100.000 abitanti/anno; IC al 95% 15,0-20,9) e dei Marocchini in Marocco (12,5/100.000 abitanti/anno; IC al 95% 10,5-14,6). In Piemonte la 25OHD3 era inferiore nei bambini diabetici vs controlli sani, nei bambini sia di pelle chiara (21,4 ± 41,5 vs 24,0 ± 0,5 ng/ml; p < 0,05) sia scura originari del Marocco (12,0 ± 2,6 vs 17,1 ± 1,7 ng/ml; p < 0,05). In Marocco i livelli di 25OHD3 erano simili tra bambini diabetici e controlli.

I figli di Marocchini immigrati in Piemonte avevano un maggiore rischio di DM1 rispetto alla popolazione di pelle chiara (IRRs 0,39, IC al 95% 0,23-0,72).

Conclusioni. L’etnia è un forte determinante di incidenza di DM1 in immigrati dal Marocco in Piemonte. La 25OHD3 e la pigmentazione cutanea potrebbero avere un ruolo fondamentale nel determinismo di DM1, sia in immigrati sia in Italiani.

Controllo metabolico, sviluppo o persistenza di complicanze croniche in una popolazione di giovani diabetici di tipo 1

Coppo E, Raviolo A, Sitia E, Albani S, Gallo S, Porta M, Zanone MM

Dipartimento di Medina Interna, Università di Torino, Torino Quarantuno giovani pazienti con diabete di tipo 1 (età 31 ± 2 anni, durata di malattia 23 ± 4 anni), seguiti presso Centri Diabetologici di Torino e Provincia, e appartenenti a una coorte originaria (112 pazienti) reclutata in media 16,6 anni prima, sono stati rivalutati (3 screening) per sviluppo o persistenza di complicanze croniche e andamento del compenso metabolico.

I valori medi HbA1cdell’ultimo anno (7,73 ± 1,27) correlavano significativamente con i valori degli ultimi 5 anni (7,75 ± 1).

Ventiquattro pazienti (58%) presentavano retinopatia back - ground, già presente in 5 al reclutamento o al 2° screening; in un paziente non era più rilevabile. La retinopatia era presente nel 54% dei fumatori e nel 48% dei non fumatori e non vi era significativa differenza di compenso glicemico.

Microalbuminuria era rilevabile in 4 (10%) pazienti, e assente in altri 4 in cui era presente in precedenza (3 assumevano un ACE- inibitore). Due pazienti erano in trattamento per ipertensione.

Dieci pazienti presentavano un solo test cardiovascolare alterato, in assenza di sintomi di neuropatia autonomica;

5 pazienti dichiaravano sintomi di neuropatia somatica (2 con diagnosi di tunnel carpale) e i riflessi OT erano assenti o debolmente evocabili in 11 pazienti, con soglia di sensibilità vibratoria più elevata rispetto ai pazienti con ROT presenti. Non vi era significativa differenza di compenso metabolico tra pazienti con test neurologici normali e pazienti con test CV alterato o assenza di ROT.

I dati preliminari indicherebbero che, in una coorte di pazienti con diabete di lunga durata di tipo 1, seguiti sin dall’esordio presso

(4)

una rete coordinata di centri diabetologici di una determinata piccola area geografica, il compenso metabolico, seppure subottimale, non sia l’unico determinante nella comparsa di complicanze croniche, di cui la retinopatia è la prevalente.

Modulazione delle cellule dendritiche e delle cellule T regolatorie da parte di cellule mesenchimali umane nel diabete di tipo 1

Favaro E, Caorsi C, Carpanetto A, Fusco A, Coppo E, Raviolo A, Giovarelli M, Cavallo Perin P, Camussi G, Zanone MM Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino Introduzione e scopo. Le cellule staminali mesenchimali (MSC) esercitano un effetto immunosoppressivo su ogni componente del sistema immunitario. Nel presente studio si è valutato se le MSC umane possano avere, in vitro, un effetto immunomodulatorio sulle cellule dendritiche presentanti l’antigene e sulle cellule T regolatorie.

Materiale e metodi. MSC sono state isolate da midollo osseo e caratterizzate. Dai PBMC di 7 pazienti diabetici all’esordio, sono state differenziate cellule dendritiche, maturate in presenza di TNF-α e IL-1β, stimolate con l’antigene pancreatico GAD65 e cocoltivate con le MSC. L’espressione di CD1a, CD14 e di marker di maturazione/attivazione sulle cellule DC (CD83, B7H1, B7H2) è stata valutata in analisi citofluorimetrica. In seguito, è stata valutata tramite ELISPOT la risposta IFN-γ positiva da parte di DC cocoltivate con e senza MSC. Inoltre, i livelli di prostaglandine E2 (PGE2), IFN-γ, IL-6, IL-10, IL-17 e TGF-β nei surnatanti raccolti dalle cocolture sono stati valutati tramite ELISA. Tramite analisi citofuorimetrica è stata infine valutata la presenza di cellule T regolatorie (CD4/CD25 high FOXP3+) in presenza o in assenza delle MSC.

Risultati. Nei pazienti diabetici con una risposta IFN-γ positiva allo stimolo GAD65 (media degli spot 40 ± 26), la presenza delle DC con le MSC inibiva l’attivazione delle cellule T, con diminuzione significativa nel numero degli spot IFN-γ (media degli spot 22 ± 18). Le MSC diminuivano inoltre la secrezione di IFN-γ e IL-6 e aumentavano la secrezione di IL-10, PGE2 e TGF-β e incre - mentavano il numero delle cellule T regolatorie.

Conclusioni. Le cellule MSC umane inibirebbero la pre - sentazione da parte delle DC dell’antigene GAD ai linfociti T autoreattivi e modificano la secrezione delle citochine infiammatorie, promuovendo un ambiente antinfiammatorio.

Efficacia e tollerabilità di vildagliptin in pazienti diabetici giovani e anziani: report di esperienza ambulatoriale real life

Frara S, Tomelini M, Gramaglia E, Olivetti I, Ramella Gigliardi V, Benso A, Ghigo E, Broglio F

SCDU Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Dipartimento di Medicina Interna, AOU San Giovanni Battista di Torino, Torino

Introduzione. La metanalisi di Schweizer ha recentemente riportato che vildagliptin, inibitore selettivo del DPP-IV, presenta un potente effetto di controllo del metabolismo glucidico sia in termini di riduzione dei livelli di HbA1csia di glicemia a digiuno nel soggetto anziano in modo sovrapponibile ai soggetti giovani con un ottimo profilo di sicurezza e tollerabilità.

Obiettivo. Confrontare i dati della metanalisi con i risultati ottenuti nella pratica clinica ambulatoriale del Centro per il controllo del rischio cardiometabolico.

Soggetti e metodi. Sono stati valutati 45 pazienti (età [media ± SEM; range]: 59,5 ± 1,59; 38-80 aa) affetti da diabete mellito di tipo 2 (DM2) in scarso compenso metabolico (HbA1c8,1 ± 0,1%, glicemia a digiuno 149,7 ± 5,41 mg/dl) e sovrappeso (BMI 29,8

± 0,76 kg/m2), in cui è stata introdotta terapia con vildagliptin (100 mg), secondo indicazioni AIFA, e mantenuta stabile per almeno sei mesi. L’analisi statistica è stata effettuata mediante test Wilcoxon e Mann-Whitney.

Risultati. La durata media di trattamento è stata di 18,8 ± 2,7 (3-54) mesi. Nel gruppo in toto il nadir di HbA1cin terapia è stato di 6,7 ± 0,1% pari a un decremento di –1,4 ± 0,2% (p < 0,01).

Analogamente il nadir dei livelli di glicemia a digiuno in terapia è stato di 109,0 ± 5,9 mg/dl pari a un decremento di –37,0 ± 7,2 mg/dl (p < 0,01). Inoltre durante il trattamento si è osservata una riduzione ponderale pari a –2,1 ± 0,7 kg (basale vs trattamento: 83,7 ± 2,82 vs 81,6 ± 2,7 kg; p < 0,01).

Confrontando due sottogruppi di età superiore o inferiore ai 65 anni non è stata osservata differenza né in termini di HbA1c o di glicemia né di peso. Non si sono registrate reazioni avverse di rilievo.

Conclusioni. Nella nostra esperienza di real life, vildagliptin si è confermato promettente nuovo strumento terapeutico per il controllo glicometabolico del DM2, risultando ugualmente efficace sia nei soggetti giovani sia nei soggetti anziani con buon profilo di tollerabilità.

L’iperinsulinismo congenito: un caso clinico Guercio Nuzio S, Giacoma S, Cadario F, Bona G AOU Maggiore della Carità, Novara

Nata a termine, Apgar 9/10, AGA. A 48 ore di vita ipotonia, iporeattività, scosse tonico-cloniche dell’arto superiore sinistro.

All’arrivo in TIN (terapia intensiva neonatale) reattività scarsa, cute pallida, persistenza delle scosse tonico-cloniche. Glicemia capillare: 36 mg/dl. Esegue bolo di soluzione glucosata (SG) 10% 2 ml/kg e inizia infusione con SG 10% (60 ml/kg/die, apporto di glucosio 4 mg/kg/h). EEG nella norma. Esami ematici successivi confermano l’ipoglicemia su siero. Dopo 2 ore miglioramento delle condizioni cliniche. In ottava giornata rialzo termico e grave peggioramento delle condizioni generali. I parametri di laboratorio confermano un quadro settico. Inizia tripla terapia antibiotica con supporto inotropo. Emocoltura positiva per E. coli. Buona risposta alla terapia, glicemie stazionarie con apporto di glucosio di circa 10 mg/kg/min. Dalla dodicesima giornata di vita nuovo riscontro di ipoglicemie nonostante infusione continua di glucosio (max 17 mg/kg/min).

Controlli ecografici, metabolici e visita NPI (neuropsichiatrica infantile) nella norma. La persistenza delle ipoglicemie oltre 1 settimana di vita, la concentrazione di insulina inappro - priatamente elevata (15,6 µIU/ml, vn 5-10 µIU/ml), il fabbisogno glucidico elevato (> 10-15 mg/kg/min), l’assenza di chetonemia, chetonuria e acidosi e la risposta glicemica al glucagone ( glicemia di 40 mg/dl) depongono per un iperinsulinismo congenito. Terapia con octreotide, dapprima in infusione continua e poi sottocute (8 mg/kg/die), unitamente a diazossido per os (max 16-18 mg/kg/die). La TC-PET individua circoscritta focalità di captazione in verosimile sede cefalo-pancreatica, confermando la diagnosi di iperinsulinismo congenito dell’in - fanzia, forma focale.

Conclusioni. Le manifestazioni cliniche dell’iperinsulinismo congenito a volte non soddisfano la classica triade di Whipple.

Per tale ragione l’ipoglicemia neonatale persistente andrebbe sempre indagata approfonditamente. L’avvio di un Servizio diabetologico di rete dedicato a questo settore faciliterà una rapida diagnosi e una corretta cura.

(5)

NT-proBNP e sopravvivenza a 5 anni in un’ampia coorte di diabetici di tipo 2: il Casale Monferrato Study Landi A, Panero F, Perotto M, Zucco C, Amione C, Tricarico M, Fornengo P, Cavallo Perin P, Bruno G

Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Torino, Torino

Premessa. Il diabete conferisce un elevato rischio cardio - vascolare, non completamente spiegato dai noti fattori di rischio;

l’interesse dei ricercatori è rivolto alla ricerca di marcatori capaci di migliorare la predizione del rischio di mortalità a breve e lungo termine. Alcuni studi di coorte clinica, limitati dalla piccola numerosità, hanno suggerito una forte associazione tra NT-proBNP e mortalità nei diabetici di tipo 2. Abbiamo quindi indagato l’associazione tra NT-proBNP e mortalità cardio - vascolare in una coorte di popolazione di diabetici di tipo 2.

Metodi. Abbiamo misurato il NT-proBNP in un campione causale di 666/2381 (23%) diabetici di tipo 2 inclusi nel Casale Monferrato Study. Tutte le misurazioni sono state standardizzate e i dosaggi centralizzati. L’associazione con la mortalità a 5 anni per cause cardiovascolari e per tutte le cause è stata valutata con analisi multivariata di COX.

Risultati. Lungo il follow-up si sono verificati 156 decessi. I pazienti nei quartili superiori risultano più anziani, con una maggior prevalenza di ipertensione, cardiopatia pregressa, nefropatia diabetica e terapia insulinica e livelli più elevati di PCR e fibrinogeno. Nell’analisi di regressione multipla di Cox, dopo aggiustamento per età, sesso e durata di malattia, gli HRs di morte generale e cardiovascolare, abbiamo verificato un trend positivo significativo (p < 0,0001) per quartile di NT-proBNP con HR (primo vs ultimo quartile) pari a rispettivamente 4,42 (IC 95%

2,41-8,08) e 10,03 (IC al 95% 2,97-33,85). Anche dopo aggiustamento per fumo, ipertensione, apob/apoA1, CVD, HbA1c, AER, eGFR, terapia antidiabetica, uricemia, noché BMI e fibrinogeno, abbiamo riscontrato HR pari a 8,96 (IC al 95%

2,35-34,17) e 8,07 (IC al 95% 0,88-73,48) con trend altamente significativo (p = 0,011 e p < 0,001).

Conclusioni. Nel diabete di tipo 2 i valori di NT-proBNP sono fortemente associati alla mortalità cardiovascolare e per ogni causa, indipendentemente dai noti fattori di rischio cardio - vascolare.

Andamento temporale e variazioni regionali dell’o spe - dalizzazione per complicanze acute iperglicemiche in Italia: una stima della qualità dell’assistenza

Lombardo F1, Maggini M1, Spadafora L2, Tricarico M2, Prinzis T2, Bruno G2

1Centro Nazionale di Epidemiologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma; 2Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino

Introduzione. Le ospedalizzazioni per complicanze acute iperglicemiche sono un indicatore di qualità dell’assistenza erogata ai diabetici. Abbiamo analizzato la frequenza delle ospedalizzazioni per complicanze acute del diabete in Italia, periodo 2001-2009, e la variabilità territoriale a livello regionale.

Metodi. Abbiamo considerato le SDO, periodo 2001-2009, con indicazione di diabete con chetoacidosi (ICD-9 250.1), diabete con iperosmolarità (ICD-9 250.2), diabete con altro tipo di coma (ICD-9 250.3) in diagnosi principale/secondaria. I tassi di dimissione (TD) sono stati standardizzati per età e sesso sulla popolazione italiana del 2001.

Risultati. Nel periodo 2001-2009, il TD standardizzato decresce da 53,4 a 34,8 per 100.000 abitanti, comportando una riduzione del tasso del 39%. La durata media del ricovero è 9,5 giornate (DS 11,3). Considerando il numero di dimissioni rapportato alla popolazione diabetica (stima ISTAT) il TD annuale è pari a 13,7 per 1000 diabetici nel 2001 e 7,2 per 1000 nel 2009, con una riduzione complessiva del 47%. Nel 2009, i tassi standardizzati calcolati a livello regionale variano da 17,0 e 61,9 per 100.000 residenti, con valori più elevati nelle regioni del Sud Italia.

Conclusioni. I ricoveri ospedalieri per complicanze acute iperglicemiche si sono ridotti del 39% nel periodo 2001-2009, ma tuttora costituiscono un problema di elevata entità, che denota una gestione non ottimale della patologia a livello territoriale. La variabilità geografica demarca una eterogeneità nel processo assistenziale e suggerisce la possibilità di migliorare la qualità della cura. Poiché l’autocontrollo della malattia e quindi l’informazione del paziente sono un punto centrale per la riduzione di tali eventi, un corretto percorso assistenziale dovrebbe favorire il processo di empowerment.

Associazione tra anti-HSP70 e sindrome plurimetabo - lica: il Casale Monferrato Study

Lorenzati B, Giunti S, Barutta F, Pinach S, Amione C, Tricarico M, Landi A, Schimmenti A, Cavallo Perin P, Bruno G, Gruden G

Dipartimento di Medicina Interna, Azienda Ospedaliero- Universitaria Molinette, Torino

Introduzione. La sindrome plurimetabolica (SM) si caratterizza per la presenza di uno stato infiammatorio di basso grado ed è associata ad aumentato rischio di sviluppare diabete di tipo 2 (DMT2) e cardiovasculopatia. Le heat-shock-proteins (HSPs) sono proteine intracellulari che, in condizioni di stress, possono essere esposte sulla superficie cellulare e/o rilasciate in circolo, innescando una risposta immunitaria. È stato proposto che, nel DMT2, la riduzione di HSPs contribuisca ad alterare il segnale insulinico.

Materiale e metodi. Abbiamo verificato l’associazione tra livelli sierici di anticorpi anti-HSP70 (aHSP70) e SM nell’ambi- to del Casale Monferrato Study, comprendente 3700 persone non diabetiche, di età 45-74 anni, reclutate con estrazione ran- domizzata dall’anagrafe, rispondenza 65%. Nel sottogruppo di 1552 persone senza cardiopatia ischemica, con creatininemia

< 2 mg/dl e proteina C-reattiva < 3 mg/dl, sono state identifi- cate 251 persone con SM (NCEP-ATPIII) e 170 senza alcun fattore di SM. I campioni disponibili per l’analisi sono risultati 180 (SM) e 136 (non SM), con una potenza dello studio dell’82% (α = 0,05) di evidenziare una differenza di almeno un terzo della deviazione standard di log-aHSP70 tra SM e non SM.

Risultati. I livelli di aHSP70 sono risultati più elevati in SM rispetto a non SM, anche dopo aggiustamento per età e sesso (118,2 vs 106,1 µg/ml, p = 0,02). In regressione logistica più elevati livelli di log-aHSP70 conferiscono maggior rischio di SM, anche dopo aggiustamento per età e sesso (OR = 2,02 [1,12- 3,66]). I soggetti con aHSP70 > 108,0 µg/ml mostrano un aumento del 77% del rischio di avere SM rispetto ai soggetti con livelli ≤ 108,0 µg/ml (p del trend di OR per quartili di aHSP70 = 0,04).

Conclusioni. In persone non diabetiche con basso rischio car- diovascolare livelli di a-HSP70 > 108,0 µg/ml si associano a pre- senza di SM. È necessaria una valutazione prospettica per veri- ficare l’associazione tra variazioni temporali di a-HSP70 e svilup- po di DMT2.

(6)

Applicazione del UKPDS outcome model alla coorte di pazienti diabetici di Casale Monferrato: una valu - tazione della capacità predittiva

Pagano E1, Gray A2, Rosato R3, Spadafora L4, Schimmenti A4, Prinzis T4, Cavallo Perin P4, Merletti F1, Bruno G4

1Unità di Epidemiologia dei Tumori, Ospedale San Giovanni Battista, Università di Torino e CPO, Torino; 2Health Economics Research Centre, Department of Public Health, University of Oxford, UK; 3Dipartimento di Psicologia,

4Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino Introduzione. Il modello predittivo UKPDS è stato elaborato per stimare la mortalità e l’incidenza di complicanze dei pazienti diabetici ai fini di utilizzo negli studi di valutazione economica (outcome stimati: QALYs e aspettativa di vita).

Obiettivi. Questo studio intende valutare la capacità di predizione del modello UKPDS rispetto ai dati di una coorte di pazienti diabetici italiana.

Metodi. Il modello UKPDS è stato applicato ai dati della coorte di pazienti diabetici di tipo 2, arruolati nel 1988 a Casale Monferrato e sottoposti a survey nel 1991-1992 (n = 1539). Nel 2000 l’archivio è stato aggiornato rispetto alle informazioni relative ai soggetti ancora in vita (n = 860) e con i dati relativi a pazienti con nuova diagnosi (n = 2389). In entrambe le survey (1991 e 2000) sono stati raccolti i dati relativi ai principali fattori di rischio (HbA1c, pressione, colesterolo e abitudine al fumo).

Per i soggetti della survey 2000, attraverso le schede di dimissione ospedaliera, è stata identificata l’occorrenza delle principali complicanze. Per i soggetti della survey 1991, la mortalità per tutte le cause osservata è stata comparata con i tassi predetti dal modello rispetto a un orizzonte temporale di 17 anni. Le analisi sono state stratificate per genere, età alla diagnosi e durata del diabete. Un’analoga analisi è stata effettuata per le complicanze nella survey del 2000 (7 anni).

Risultati e conclusioni. La mortalità per tutte le cause è ben predetta dal modello dal terzo al dodicesimo anno, mentre è sovrastimata nel lungo periodo e per i soggetti con età molto avanzata. Tra le complicanze analizzate, particolarmente buona è la predizione dell’infarto e dello scompenso. L’applicazione del modello UKPDS ai dati italiani pertanto sembra affidabile nel medio termine, con una potenzialità di utilizzo per condurre valutazioni di costo-efficacia nel contesto italiano, che adottino un orizzonte temporale di medio periodo ed escludano i sottogruppi di età molto avanzata.

Qualità di vita e suoi determinanti in giovani con diabete di tipo 1: il registro della provincia di Torino Panero F, Trento M, Perotto M, Lorenzati B, Zucco C, Greco E, Amione C, Cerutti F, Cavallo Perin P, Bruno G

Dipartimento di Medicina Interna; Dipartimento di Pediatria;

Laboratorio di Pedagogia Clinica, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino

Introduzione. Gli studi volti a valutare i determinanti della qualità di vita percepita tra gli adolescenti e i giovani adulti affetti da diabete mellito di tipo 1 (DM1) sono limitati, malgrado la malattia coinvolga diversi aspetti individuali e relazionali di persone in giovane età.

Materiale e metodi. Lo studio è stato condotto nel Registro di popolazione della Provincia di Torino. Il questionario diabetes quality of life score (DQOLs) è stato compilato durante la periodica visita diabetologica. I dosaggi ematochimici e le misurazioni sono state standardizzate, al fine di valutare

caratteristiche cliniche, presenza di complicanze micro- e macrovascolari, compenso metabolico.

Risultati. Trecentosessantanove soggetti (66 di età < 18 anni) hanno completato il questionario (52,3% maschi, età media 29,4 ± 9,7). DQOL e sub-score sono risultati significativamente più elevati (peggiore qualità di vita) tra le donne e gli adolescenti.

L’analisi univariata ha evidenziato come il sesso femminile, un basso livello di istruzione, HbA1c≥ 7,0%, l’esecuzione di > 4/die automonitoraggio della glicemia capillare, > 4 visite diabe - tologiche o l’esperienza di almeno un’ipoglicemia severa nei precedenti 12 mesi siano variabili significativamente associate a una peggiore qualità di vita tra gli adulti. L’analisi multivariata ha confermato sesso femminile (b = 1,06, IC al 95% 1,01-1,10, p = 0,012), grado di istruzione (b = 0,89, 0,83-0,95, p = 0,001 università vs scuola primaria), ipoglicemie severe (b = 1,05, 1,00-1,10, p = 0,06) e automonitoraggio glicemico intensivo (b = 1,06, 0,99-1,14, p = 0,06) quali variabili indipendentemente associate a uno score DQOL più elevato. Tra gli adolescenti, solo il sesso femminile è apparso significativamente associato a una peggiore qualità di vita.

Conclusioni. Adolescenti e giovani donne diabetiche riferiscono un peggiore impatto della malattia sulla qualità di vita, che si associa ad aspetti clinici potenzialmente modificabili con il coinvolgimento del paziente e del team diabetologico.

Caso clinico: utilizzo di exenatide associata a metformina in un adolescente obeso affetto da diabete mellito di tipo 2

Rabbone I1, Bertello MC1, Di Gianni VR1, Ignaccolo MG1, Gioia E1, Tuli G1, Sicignano S1, Tinti D1, Broglio F2, Cerutti F1

1SCDU Endocrinologia e Diabetologia, Ospedale Infantile Regina Margherita; 2SCDU Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Ospedale San Giovanni Battista, Università di Torino, Torino

Il diabete di tipo 2 (T2DM) è in aumento in età pediatrica e, a causa dell’esordio precoce, presenta un elevato rischio di sviluppare complicanze. La terapia del T2DM prevede, oltre all’intervento sullo stile di vita, l’eventuale uso di metformina, unico farmaco approvato in età pediatrica (> 10 anni).

L’exenatide è una molecola incretino-simile utilizzata nella terapia del T2DM in età adulta, ma mancano studi in pediatria.

Presentiamo il caso di un adolescente obeso con T2DM trattato con exenatide associata a metformina. S., maschio, 13 anni, giunto presso il nostro Centro per iperglicemia in obesità nell’aprile 2009. Anamnesi familiare: madre e sorella obese e con T2DM in trattamento con metformina. Anamnesi patologica prossima: poliuria, polidipsia da alcune settimane. Riscontro di iperglicemia a digiuno e 2 h dopo pasto (> 200 mg%). Dati clinici: BMI: 34 kg/m2; circonferenza vita (CV) 98 cm; glicemia a digiuno 300 mg/dl, colesterolo HDL 28 mg/dl; trigliceridi 161 mg/dl; HbA1c11% (vn 4-5,3); C-peptide 3,24 ng/ml; Ab IA2 e GAD negativi. Presenza di steatosi epatica e ipertensione. Viene posta diagnosi di sindrome metabolica con T2DM. Terapia: dieta ipocalorica, metformina 500 mg × 3 vv/die; amlodipina per ipertensione. Da aprile 2009 a febbraio 2010, lieve riduzione del peso (BMI 32,68 kg/m2e CV 94 cm) e raggiungimento di un buon compenso metabolico (HbA1c: 5,8%). Successivamente graduale peggioramento fino a giugno 2011: BMI 35,3 kg/m2; CV 112 cm; HbA1c: 12%. Si avvia, previo consenso informato, la terapia con exenatide al dosaggio iniziale di 5 µg 2 vv/die associato a metformina 500 mg × 3 vv/die. Dopo il primo mese di terapia: riduzione di BMI (33,5 kg/m2) e CV 108 cm; non sostanziale miglioramento delle glicemie ma HbA1cin riduzione (11,1%). Dopo 2 mesi con aumento di exenatide a 10 µg

(7)

2 vv/die riduzione delle glicemie e dell’HbA1c (10%), lieve riduzione del BMI (33,2 kg/m2) ma significativa della CV (103 cm).

Non riferiti effetti collaterali. L’exenatide può essere utilizzata, alle dosi utili negli adulti, anche negli adolescenti con T2DM che non rispondono al trattamento farmacologico con metformina.

Autoimmunità e neuropatia diabetica autonomica:

follow-up di una popolazione di giovani diabetici di tipo 1 Raviolo A, Coppo E, Passera P, Massucco P, Blatto A, Grassi A, Favaro E, Porta M, Zanone MM

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Divisioni di Diabetologia Ospedali San Luigi Gonzaga, M.

Vittoria e Mauriziano di Torino, Torino

Un coinvolgimento del sistema immunitario nella neuropatia autonomica (NA) diabetica è suggerito da osservazioni sierologiche e istologiche. Autoanticorpi (Ab) contro strutture nervose autonomiche, simpatiche e parasimpatiche sono presenti in circa il 30% dei pazienti con severa NA sintomatica.

Per esplorare l’associazione tra NA, Ab e un danno tessutale subclinico è stato disegnato uno studio longitudinale di pazienti adolescenti con DM tipo 1.

La coorte di pazienti con DM1 sottoposta a follow-up consisteva di 112 giovani (età > 11 anni e durata di malattia > 3 anni) reclutati, tra il 1994 e il 1997, per il primo screening (time 1).

Ventotto di questi presentavano Ab anti-nervo vago o ganglio cervicale (V14, G14, V+G1). Novantadue (82%) pazienti della coorte hanno eseguito un secondo screening (time 2), in media a 40 mesi dal reclutamento e 54 pazienti (di cui 41 con test completi, 37%) (età 31 ± 2 anni, durata di diabete 23 ± 4 anni) sono stati rivalutati (time 3) (16,6 anni dal time 1) per presenza di sintomi, esame clinico-neurologico, esecuzione di test CV standard (DB test, 30/15 ratio test, Valsalva ratio e variazioni di pressione sistolica nel passaggio clino/ortostatismo), valu - tazione di riflessi OT, sensibilità vibratoria (VT).

Si è evidenziata una significativa riduzione dei valori dei 3 test CV rispetto al time 1 e 2, con valori più bassi nei pazienti Ab+

rispetto agli Ab– (p = 0,05 per DB test). Un test era francamente alterato in 5 (16%) dei pazienti Ab–, mentre 5 (50%) dei pazienti Ab+ avevano 1 (3 pz), 2 (1 pz) o 3 test alterati (1 pz) (p < 0,05), senza associazione con retinopatia o microalbuminuria. I pazienti con riflessi OT ridotti presentavano VT più elevata.

L’HbA1cdegli ultimi 5 anni correlava con quella dell’ultimo anno, non con test CV o VT.

I risultati preliminari evidenziano assenza di sintomi di NA, ma tendenza a valori di test CV più bassi nei pazienti Ab+, indicando un iniziale danno subclinico a componente immunologica infiammatoria.

Verifica della presenza di depressione e ansia in pazienti con diabete di tipo 2. Studio osservazionale longitudinale in una popolazione ambulatoriale Trento M, Raballo M, Trevisan M, Coppo E, Gallo S, Raviolo A, Schellino F, Passera P, Charrier L, Cavallo F, Porta M Laboratorio di Pedagogia Clinica, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino, Torino

Introduzione. Il diabete mellito di tipo 2 (DMT2) può presentare, come complicanze misconosciute, ansia (AN) e depressione (DE).

Scopo. Verificare l’andamento su 4 anni dei livelli di DE e AN in una popolazione ambulatoriale di pazienti con DMT2 ed eventuale associazione con variabili cognitive e metaboliche.

Pazienti e metodi. Lo studio trasversale svolto fra gennaio 2006 e novembre 2007 ha coinvolto 498 pazienti DMT2 consecutivi, 249 non insulino-trattati (NIT) e 249 insulino-trattati (IT) di età 40-80 anni; a 4 anni si è svolta la successiva valutazione. Sono stati esplorati DE, AN e stato cognitivo con 3 questionari Zung self-rating depression e anxiety scale e mini mental state examination (MMSE).

Risultati. Al basale, i pazienti IT avevano maggiore età (p < 0,001) e durata di diabete (p < 0,001) dei NIT, facevano maggior uso di autocontrollo domiciliare (p < 0,001) con più alti livelli di glicemia a digiuno (p < 0,001) e HbA1c(8,46 ± 1,48 vs 7,85 ± 1,23; p < 0,001). Gli score mediani per DE erano più bassi tra i pazienti IT che NIT (37,46 ± 9,32 vs 39,73 ± 8,33;

p = 0,006). Non vi erano tuttavia differenze per AN e MMSE.

Dopo 4 anni 41 pazienti NIT utilizzavano insulina, 37 erano persi al follow-up. I rimanenti 171 riducevano i livelli di glicemia (p = 0,006), colesterolo totale (Col. Tot) (p < 0,0001), trigliceridi (p = 0,006) e HbA1c (p = 0,0006). Aumentavano tra i pazienti microalbuminuria e retinopatia diabetica (RD) (p < 0,0001, entrambi) e i livelli di HDL (p = 0,0012). Vi era un lieve miglioramento di DE (39,69 ± 8,33 vs 37,11 ± 8,10; p = 0,04) e MMSE (25,10 ± 3,45 vs 26,47 ± 2,08; p = 0,0007). I 41 pazienti NIT, diventati IT, aumentavano BMI (p = 0,004), ipertensione (p < 0,001), peggioravano RD (p = 0,03) e microalbuminuria (p = 0,0045), non si modificava DE, AN e MMSE. Gli IT (249-35 dropout = 214) diminuivano Col. Tot (p = 0,024), trigliceridi (p = 0,01), aumentavano numero e gravità di ulcere (p = 0,03), RD (p < 0,001) e microalbuminuria (p = 0,0047). Aumentavano i pazienti trattati per ipertensione (p < 0,0001), peggioravano i livelli di DE (37,46 ± 9,32 vs 38,48 ± 9,15; p = 0,0005), AN (36,16 ± 8,30 vs 38,50 ± 9,97; p < 0,0001), il MMSE migliorava lievemente (24,56 ± 3,22 vs 25,35 ± 2,79; p = 0,0002). In multivariata si evidenziava che donne con bassa scolarità avevano più alti livelli di AN.

Conclusioni. La prevalenza di DE può essere stimata al 16,5%, valore coerente con i dati della letteratura, quasi 3 volte superiore a quello della popolazione generale. Si evidenzia il peggioramento clinico del diabete e la necessità di maggiore attenzione al decorso della patologia depressiva e ansiosa nei pazienti IT.

La glicemia postprandiale, ma non a digiuno, predice la mortalità cardiovascolare nel diabete di tipo 2: follow- up a 14 anni del San Luigi Gonzaga Diabetes Study Valle M, Pagliarino A, Di Martino L, Bonomo K, Massucco P, Poy P, Vaccheris C, Trovati M, Cavalot F

SCDU di Medicina Interna ad Indirizzo Metabolico, AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche e Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga, Università degli Studi di Torino

Introduzione. La glicemia due ore dopo il pranzo predice, nel follow-up a 14 anni del San Luigi Gonzaga Diabetes Study (SLGDS), eventi cardiovascolari (CV) e mortalità totale dopo correzione per A1ce per fattori di rischio CV non glicemici: lo studio era stato effettuato su 505 pazienti CV affetti da diabete di tipo 2 (DM T2) in cui erano disponibili all’arruolamento A1ce profili glicemici. Gli unici predittori glicemici per eventi CV e mortalità totale erano risultati A1ce glicemia 2 ore dopo il pranzo.

Scopo del lavoro è verificare in una casistica più ampia se questo ultimo parametro predice altresì la morte CV.

Materiale e metodi. Nell’ambito del follow-up a 14 anni del SLGDS, sono stati considerati 622 pazienti DM T2 (M/F 340/282, età: 62,1 ± 9,4 anni, durata nota diabete: 9,6 ± 7,9 anni) in cui erano disponibili all’arruolamento (1995) BG a

(8)

digiuno (FBG), BG 2 h dopo il pranzo (PPBG) e A1c. È stato valutato con regressione di Cox – metodo backward – il valore predittivo per morte CV di FBG e PPBG correggendo per età, genere, durata del diabete, fumo, BMI, PAOS e PAOD, colesterolo totale e HDL, trigliceridi, albuminuria, creatinina e A1c. Le variabili glicemiche sono state categorizzate secondo target terapeutici ADA (FBG 70-130 mg/dl; PPBG < 180 mg/dl) e IDF (FBG < 110 mg/dl; PPBG < 145 mg/dl).

Risultati. Nel follow-up sono deceduti 192/622 pazienti, 54 (M 31, F 23) per evento cardio- o cerebrovascolare acuto. Non

sono stati considerati i decessi in cui la morte non seguiva immediatamente l’evento CV. PPBG è risultato predittore di morte CV sia se categorizzato secondo ADA (HR 2,695 per PPBG > 180 mg/dl, IC 1,557-4,664, p = 0,0001) sia secondo IDF (HR 2,621 per PPBG > 145 mg/dl, IC 1,414-4,858, p = 0,002). FBG non predice la morte CV.

Conclusioni. La glicemia postprandiale è forte predittore di morte CV nel follow-up a 14 anni (1995-2010) del SLGDS anche quando siano considerati nell’analisi A1ce noti fattori di rischio CV, mentre la glicemia a digiuno non predice la morte CV.

Riferimenti

Documenti correlati

In un gruppo di pazienti affetti da ridotta tolleranza ai carboidrati (RTC): 1) è stata valutata la correlazione tra il metabo- lismo basale (MB) calcolato mediante l’equazione

Nel 2005 i criteri diagnostici della sindrome metabolica (SM) sono stati modificati includendo un limite più basso di glicemia (100 mg/dl) (ATPIII 2005); inoltre

Sono stati studiati 3 gruppi di soggetti dis- lipidemici: 43 non diabetici (gruppo 1) e 44 diabetici di tipo 2 (gruppo 2) trattati con dieta associata a riso rosso fermentato;.. 38

Tra 821 diabetici di tipo 2 consecutivamen- te afferenti all’ambulatorio di diabetologia della IV Medicina Interna della Seconda Università di Napoli sono stati reclutati 29

± 6 e diastolica 75 ± 4, reclutate al momento dell’accertamento dello stato di gravidanza, dopo aver ottenuto il loro consenso informato, sono state sottoposte a monitoraggio con

Sono state quindi valutate le caratteristiche dei pazienti che si associano a una maggiore attitudine alla corretta stima del peso degli alimenti.. Materiale

Centoottantotto pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 sono stati arruolati in questo studio; 96 sono stati randomiz- zati ad assumere acarbose 50 mg 3 volte al giorno e 92

Valutare la prevalenza di complicanze micro- e macroangiopatiche, dei fattori di rischio cardiovascolare, il com- penso glicometabolico e la qualità di vita nella coorte di