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Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

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Academic year: 2021

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Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

4° Congresso Nazionale Gruppo di Studio Interassociativo AMD-SID Piede Diabetico

Roma, 19-21 febbraio 2015

Comitato Scientifico/Organizzativo: M.E. De Feo, L. Uccioli (Presidenti), A. Bruno, A. Chiavetta, R. Da Ros, L. Giurato, L. Mancini, G. Meloni, L. Rizzo

follow-up di 724 gg (DS 275) non è stata osservata alcuna reci- diva ulcerativa mentre si è osservata un’ulcera da trasferimento su un metatarso adiacente.

Conclusioni. Il lembo fasciocutaneo plantare di avanzamento può essere considerato un’opzione chirurgica sicura ed efficace nel trattamento delle ulcere neuropatiche plantari considerando l’elevato tasso di guarigione, il corto periodo di guarigione e il basso rischio di recidiva ulcerativa.

Approccio chirurgico plantare e stabilizzazione con fis- satore esterno nel trattamento dell’osteomielite medio- tarsale del piede di Charcot ulcerato

Caravaggi C, Sganzaroli A, Bona F, Sacchi G, Scotti A, Fattori M, Cassino R, Simonetti D

Centro per lo Studio e la Cura del Piede Diabetico, Istituto Cli- nico Citta Studi, Milano

La neuroartropatia di Charcot del mesopiede si caratterizza per una severa deformità e instabilità del mesopiede con inversione della volta plantare e protrusione plantare ossea. Queste defor- mità, benché alloggiate in calzature protettive con suola rigida e plantari su misura, possono evolvere in lesioni ulcerative plantari recidivanti che possono complicarsi con infezioni delle ossa del mediotarso che pongono il paziente a rischio di amputazione maggiore.

Scopo dello studio. Valutare la sicurezza e l’efficacia di un ap- proccio chirurgico plantare transulcerativo di bonifica del focolaio osteomielitico e stabilizzazione del mesopiede con fissatore esterno nell’osteomielite mediotarsale del piede di Charcot cro- nico ulcerato.

Materiale e metodi. Nel periodo da dicembre 2009 ad agosto 2014 sono stati trattati 16 pazienti giunti alla nostra osservazione poiché affetti da neuroatropatia di Charcot di mesopiede con ul- cera plantare cronica ed esposizione ossea mediotarsale. In tutti i pazienti era stata posta indicazione all’amputazione prossimale di piede o di gamba. Tutti i pazienti presentavano un quadro va- scolare normale con presenza dei polsi periferici. I pazienti sono stati sottoposti ad accertamenti radiologici (radiografia standard del piede ed RMN) per valutare l’entità del processo osteomieli- tico. È stato eseguito un primo step chirurgico consistente in

Riassunti – Comunicazioni orali

Lembo fasciocutaneo quadrato plantare di avanza- mento nel trattamento delle ulcere plantari diabetiche non infette

Caravaggi C1, Ferraresi R2, Sganzaroli A1, Bona F1, Galenda P3

1Centro Interdipartimentale per la Cura del Piede Diabetico, Istituto Clinico Città Studi, Milano; 2Servizio di Radiologia In- terventistica Periferica, Istituto Clinico Humanitas Gavazzeni, Bergamo;3Centro per la Cura del Piede Diabetico, Istituto Cli- nico Humanitas Gavazzeni, Bergamo

L’apparecchio deambulatorio di scarico, indicato come tratta- mento di prima scelta nelle ulcere neuropatiche plantari non è stato ampiamente usato a causa della scarsa compliance dei pa- zienti e degli elevati rischi di effetti collaterali quali la comparsa di lesioni ulcerative e infezioni.

Scopo dello studio. Valutare la sicurezza e l’efficacia di un lembo fasciocutaneo plantare di scorrimento nel trattamento delle ulcere neuropatiche plantari.

Materiale e metodi. Dal dicembre 2012 al febbraio 2013 ab- biamo consecutivamente arruolato 23 pazienti con lesioni ulce- rative profonde neuropatiche o neuroischemiche. Nove pz sono stati sottoposti a PTA e 18 pz a trattamento chirurgico osseo come segue: a) 10 rimozioni di teste metatarsali; b) 3 osteotomie distali di sollevamento; c) 2 resezioni dell’articolazione metatarso- falangea del I raggio con stabilizzazione con filo di K; d) 1 eso- stectomia plantare; e) 1 sesamoidectomia; f) 1 calcanectomia parziale. In tutti i pz è stato scolpito un lembo fasciocutaneo plan- tare di copertura della lesione ulcerativa. Due pz sono stati esclusi dall’analisi statistica poiché hanno sottoposto a carico il piede operato nei primi giorni dopo l’intervento.

Risultati. È stato osservato un tasso di guarigione del 100% nei rimanenti 21 pz. In 15 pz (71,5%) abbiamo osservato una guari- gione per prima intenzione mentre in 5 pz (24%) per seconda in- tenzione e in un pz (4,5%) dopo revisione chirurgica. Il tempo di guarigione per prima intenzione è stato di 30 gg (DS 13), in caso di guarigione per seconda intenzione di 86 gg (DS 40) mentre il tempo di guarigione totale è stato di 44 gg (DS 31). Durante un

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un’ampia ulcerectomia plantare con scheletrizzazione del me- diotarso e ampia resezione ossea cuneiforme sino a raggiunge spongiosa ossea apparentemente sane e sanguinante. È stata eseguita biopsia ossea per esame colturale e istologico. È stata impostata terapia antibiotica empirica con piperacillina-tazobac- tam 16 mg/die e daptomicina 8 mg/kg/die. Dopo circa 7 gg di medicazioni giornaliere con zaffo di garza iodoformica è stato eseguito l’intervento chirurgico definitivo di revisione chirurgica della lesione plantare e stabilizzazione di mesopiede e di caviglia con fissatore esterno Hofmann III. È stata in seguito modificata la terapia antibiotica secondo il risultato dell’esame colturale che il paziente ha proseguito per 3 mesi dopo la dimissione. Dopo tre mesi il fissatore esterno è stato rimosso e il paziente ha ripreso a deambulare con calzature a suola rigida di protezione e plantari su calco.

Risultati. Nel periodo di trattamento si è osservata la completa guarigione di 14 pazienti (87%) mentre in due pazienti (13%) per la progressione dell’infezione ossea è stato necessario eseguire un’amputazione di gamba. Nel periodo di follow-up non è stata osservata una ripresa del processo infettivo.

Conclusioni. L’approccio chirurgico aggressivo plantare del- l’ostemielite mediotarsale del piede di Charcot cronico ulcerato permette un elevato tasso di guarigione riducendo drasticamente il rischio di amputazione maggiore.

L’estensione e il grading della osteomielite non sono correlati alla prognosi in diabetici affetti da neuroartro- patia di Charcot complicata: studio prospettico di coorte Dalla Paola L, Carone A, Vasilache L, Principato MC, Patta- vina M

UO per il Trattamento Piede Diabetico, Maria Cecilia Hospital GVM Care and Research, Cotignola (RA)

Introduzione. L’osteoartropatia di Charcot (NAC) è una patolo- gia progressiva che può causare deformità, ulcerazione e, con- seguentemente, elevato rischio di amputazione.

Materiale e metodi. Una coorte di diabetici affetti da NAC com- plicata da un esteso quadro di osteomielite del mesopiede e/o retropiede è stata arruolata e seguita prospetticamente. L’esten- sione dell’osteomielite era stata valutata con radiografia standard e risonanza magnetica nucleare. Obiettivo del trattamento chi- rurgico era l’eradicazione dell’osteomielite. Biopsie ossee multi- ple sono state ottenute durante il trattamento chirurgico e quindi analizzate dal laboratorio di anatomia patologica. Sono state ana- lizzate la percentuale di guarigione in relazione all’estensione e grading dell’osteomielite.

Risultati. Da gennaio 2010 a maggio 2014 sono stati arruolati e trattati 33 pazienti diabetici consecutivi (21 maschi e 12 femmine) con NAC complicata. La localizzazione della NAC, secondo la classificazione di Frykberg e Sanders era: classe I 1 paziente (3,03%), classe II-III 21 pazienti (63,64%), classe IV 11 pazienti (33,33%). Il numero medio di segmenti ossei coinvolti dall’osteo- mielite era 3,18 ± 1,74. Durante la procedura chirurgica sono stati ottenuti multipli campioni ossei per l’analisi istologica. Il grading della osteomielite era: grado 1 in 11 pazienti (33,33%), grado 2 in 7 pazienti (21,21%), grado 3 in 4 pazienti (12,12%), grado 4 in 11 pazienti (33,33%). Il follow-up medio è stato di 409,35 ± 154,06 giorni. Trenta pazienti sono guariti (90,91%). Tre pazienti sono deceduti durante il follow-up per cardiopatia ischemica e cerebrale (2 pazienti) e per neoplasia (1 paziente). Nessuna diffe- renza nei tempi medi di guarigione, nel numero medio di inter- venti chirurgici è stata evidenziata tra i pazienti.

Discussione. In questa coorte di pazienti diabetici affetti da NAC e osteomielite abbiamo ottenuto un’elevata percentuale di salva- taggio d’arto. Tale risultato è stato ottenuto nonostante un esteso

coinvolgimento osteomielitico del mesopiede/retropiede. La lo- calizzazione, il grading e la diffusione dell’osteomielite non sono risultati correlati agli outcome clinici nella popolazione studiata.

Nuova tecnica chirurgica per il trattamento conserva- tivo delle lesioni ulcerate del 1° raggio con coinvolgi- mento osteomielitico metatarsale in una popolazione di soggetti diabetici: studio prospettico di coorte

Dalla Paola L, Carone A, Principato MC, Vasilache L, Patta- vina M

UO per il Trattamento Piede Diabetico, Maria Cecilia Hospital GVM Care and Research, Cotignola (RA)

Introduzione. Le lesioni ulcerate plantari con coinvolgimento osteomielitico dell’articolazione metatarso-falangea del 1° raggio costituiscono, nel piede diabetico, una comune localizzazione. Il trattamento conservativo di tali lesioni è spesso difficile da piani- ficare e deve essere condotto attraverso un appropriato debri- dement sia della componente ossea sia dei tessuti molli.

Materiale e metodi. In una coorte di 28 pazienti diabetici che presentavano una lesione ulcerata con coinvolgimento osteo- mielitico dell’articolazione metatarso-falangea del 1° raggio (1^MTPJ), dopo la rimozione della lesione e del corrispondente segmento osseo coinvolto, abbiamo posizionato uno spaziatore in cemento antibiotato e un fissatore esterno monoplanare per stabilizzare temporaneamente la sede di intervento.

Risultati. La durata media del follow-up è stata di 12,2 ± 6,9 me- si. Nel corso del follow-up 27 pazienti (96,43%) sono guariti. Ven- tiquattro pazienti sono guariti senza evidenziare recidive ulcerative locali o da trasferimento, problematiche di ortesizzazione o ano- malie del passo. Tre pazienti hanno sviluppato una recidiva ulce- rativa dopo tale procedura chirurgica. Nel periodo postoperatorio un paziente (3,57%) ha presentato la deiscenza del sito chirurgico ed è stato sottoposto a revisione locale e re-intervento. Durante il follow-up, dopo la guarigione, 2 pazienti (7,14%) hanno pre- sentato recidiva ulcerativa secondaria a dislocazione del cemento osseo. L’approccio chirurgico è consistito nella revisione con ri- mozione e riposizionamento dello spaziatore e del fissatore esterno temporaneo (1 paziente) e artrodesi con viti cannulate (1 paziente). Un paziente (3,57%) in seguito a recidiva di ischemia critica è stato sottoposto a nuova procedura di rivascolarizza- zione e ad amputazione transmetatarsale.

Conclusioni. Il nostro studio evidenzia l’efficacia di questa tec- nica chirurgica one-step per il trattamento di lesioni ulcerative con coinvolgimento osteomielitico della 1^MTPJ in pazienti diabetici.

Protocollo clinico-strumentale di confronto statistico della gestione dell’ipercarico plantare tra ortesi realiz- zate con tecnica CAD-CAM e da calco in pazienti con diabete

D’Amico M1, Roncoletta P1, Vermigli C2, Gnaldi Coleschi A3, Ceppitelli C2, Notarstefano F2

1SMART LAB, Bioengineering & Biomedicine Company Srl, Pescara; 2SC Misem, Dipartimento di Medicina Interna, Uni- versità degli Studi di Perugia, Perugia; 3Divisione Ecotechno- logy, Ecosanit, Anghiari (AR)

Introduzione. Scopo del presente lavoro pilota è stato quello di identificare un protocollo e una rigorosa procedura quantitativo- statistica per permettere il confronto tra le performance ottenute da ortesi plantari progettate e realizzate: con metodo tradizionale e con metodo CAD-CAM.

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Metodo. Nel protocollo sperimentale è stato utilizzato lo stru- mento baropodometrico a solette multisensore Pedar (Novel Gmbh), il sistema CAD-CAM Ecoplan SI (Ecosanit Ecotechno- logy) e appositi sandali che permettevano alternativamente l’in- serimento di una suola neutra o di plantari realizzati su misura per ciascun paziente. Sono stati valutati 30 pazienti: età > 18 anni;

diabete mellito con associata neuropatia sensitivo-motoria peri- ferica e ipercarico plantare o con pregresse lesioni ulcerative neu- ropatiche plantari. Tutti i pazienti sono stati valutati in 2 tempi. Al t0 sono state rilevate: impronta dei piedi con schiuma fenolica, aree di ipercheratosi/rischio ulcerazione con carta millimetrata, analisi baropodometrica durante il cammino a cadenza control- lata con sandali con soletta neutra. Sono stati richiesti un minimo di 24 appoggi per singolo piede determinato come il numero di ap- poggi validi necessari, imponendo una potenza del test P = 80%

significatività a = 99% per individuare differenze significative tra le medie pari al livello di una deviazione standard del campione rap- presentativo della popolazione. Da tutti gli appoggi sono state calcolate le medie delle distribuzioni di picco su cui è stata effet- tuata tutta l’analisi statistica. Dall’impronta sono state realizzate due paia di plantari per ogni paziente con metodo tradizionale e con metodo CAD-CAM con i quali al tempo t1 è stato effettuato un secondo esame baropodometrico, analogo a quello effettuato al t0. L’analisi statistica è stata condotta in due fasi successive:

paired t-test intra-individuale tra le medie delle mappe di picco nelle tre condizioni a livello del singolo sensore per determinare l’azione indotta dai due tipi di plantare sulle aree di rischio risul- tate statisticamente maggiori di 200KPa (p < 0,05). L’estensione delle aree di rischio dei 30 soggetti è stata raggruppata, per cia- scuna delle tre condizioni considerate, ed è stato applicato un test ANOVA, a una via su misure ripetute separatamente per cia- scun piede.

Risultati. Per tutti i soggetti si è rilevato che l’uso di un plantare correttivo determina una riduzione statisticamente significativa delle estensioni delle regioni a rischio ulcerazione. I due test ANOVA sono risultati entrambi statisticamente significativi (DX p < 1e-9) (SX p < 3e-12). I confronti post hoc confermano una mi- gliore performance dei plantari progettati e realizzati con tecnica CAD-CAM rispetto a quelli progettati da calco con tecnica ma- nuale tradizionale (DX p < 0,0083, SX p < 0,0055).

Conclusioni. Da questo studio pilota risulta evidente che il proto- collo di acquisizione ed elaborazione sviluppati sono idonei ed ef- ficaci per impostare un lavoro di confronto quantitativo-statistico sulle performance correttive di ortesi plantari di differente tipo per- mettendo di rilevare: la superiorità statisticamente confermata del- l’approccio con progettazione e realizzazione CAD-CAM delle ortesi plantari rispetto al metodo tradizionale con calco.

Riduzione delle amputazioni in Italia e procedure di ri- vascolarizzazione: esiste un rapporto di causa effetto?

De Bellis A1, Lombardo F2, Tedeschi A1, Seghieri G1, Maggini M2, Anichini R1

1UO Diabetologia, USL 3, Pistoia; 2Centro Nazionale di Epi- demiologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma

È noto che le procedure di rivascolarizzazione (arteriosa) agli arti inferiori nei pazienti con diabete mellito siano efficaci nel prevenire le amputazioni maggiori. Però ancora non è chiaro se esista una stretta correlazione tra la riduzione di amputazioni in Italia ottenuta nell’ultimo decennio e l’incremento del numero di procedure di rivascolarizzazione. Obiettivo di questa analisi è testare l’ipotesi se esista una relazione fra i trend di amputazione in Italia e nelle sin- gole realtà regionali e il numero delle procedure di rivascolarizza- zione periferiche (REVP) agli arti inferiori nei pazienti diabetici negli anni 2003-2012.

Metodi. Analisi retrospettiva del numero delle amputazioni in Ita- lia tra il 2003-2012 e il numero di REVP nello stesso periodo.

Risultati. In Italia negli anni 2003-2012 il numero delle amputa- zioni agli arti inferiori nei pazienti diabetici (LEAs) appare essersi ridotto: le amputazioni totali si sono ridotte da 3,6 per 1000 per- sone con il diabete a 2,7‰ (–23,4%), le amputazioni minori ri- dotte da 2,2 a 1,9‰ (–13,1%) e le maggiori da 1,2 a 0,7‰

(38,1%) p < 0,001. Nello stesso periodo il numero totale delle procedure di rivascolarizzazione progressivamente è incremen- tato: nel 2003, 4 persone su 1000 diabetici sono state sottopo- ste a REVP, di queste 2,5 ebbero un intervento di rivasco- larizzazione endoluminale (ER) mentre 1,4‰ furono sottoposte a procedura chirurgica (SP); in confronto nel 2012 REVP furono 4,7‰ di cui 4,1 furono ER e 0,6 SP. Il trend di incremento negli anni delle REVP è stato di: +61,3% per ER con un decremento del –55% per SP. Nei diabetici sottoposti a REVP è stata riscon- trata una significativa differenza per sesso RR = 3 (maschi-fem- mine) e negli anni un progressivo invecchiamento (2003-2012) dei soggetti sottoposti a REVP (p < 0,01). Analizzando l’anda- mento regionale di amputazioni e di REVP non esiste una stretta correlazione; infatti, vi sono ambiti regionali dove a un elevato nu- mero di REVP corrisponde un numero minore di amputazioni, ma esistono anche andamenti intermedi e talvolta a un elevato nu- mero di REVP corrisponde un elevato numero di amputazioni maggiori superiori alla media nazionale. Inoltre anche dall’analisi delle regioni con minor numero di amputazioni (Toscana) vi sono andamenti differenziati tra singole realtà territoriali e singoli ap- procci terapeutici.

Conclusione. In Italia negli anni 2003-2012 il numero delle am- putazioni maggiori nei pazienti diabetici è significativamente ri- dotto, così come le procedure di rivascolarizzazione si sono incrementate. Comunque sono necessari ulteriori studi e analisi per comprendere come e perché esistano andamenti differenziati sul territorio nazionale. Da questa analisi, inoltre, si evidenzia l’op- zione italiana nelle procedure vascolari periferiche con una netta prevalenza di scelta nelle endoluminali in confronto con le proce- dure chirurgiche.

Rivascolarizzazione e piede diabetico: differenze di esito a breve e lungo termine correlate al reparto di ri- covero

De Feo ME1, Fico F1, Capece S2, Volpe FP1, De Simone R1, Pi- scopo G1, Cangiano G2

1UOD Diabetologia, 2UO Radiologia Vascolare, AORN A. Car- darelli, Napoli

Scopo. Il Piano Nazionale Diabete ipotizza che un miglioramento nella cura del “Piede diabetico” si possa ottenere se il paziente con lesioni gravi viene tempestivamente e preferibilmente inviato a strutture dedicate. Abbiamo voluto valutare eventuali differenze di esito in termini di salvataggio d’arto, amputazione maggiore e/o morte per i pazienti diabetici (D) con lesioni vascolari agli arti inferiori che giunti al PS del nostro ospedale venivano indirizzati a differenti reparti ma subivano un uguale trattamento di rivasco- larizzazione endoluminale agli arti inferiori presso un unico Servi- zio di Radiologia Vascolare.

Metodi. Studio osservazionale retrospettivo. Tutti i D che dal gennaio 2008 al dicembre 2011 sono stati trattati, con esito im- mediato favorevole, presso il Servizio di Radiologia Vascolare del nostro ospedale sono stati valutati con un follow-up breve, a 3 mesi, e un follow-up a 24 mesi. I dati sono stati ricavati dalle cartelle, dai registri di controllo ambulatoriale post-ricovero o con indagine telefonica. I pazienti sono stati divisi in Gruppo A (110 pz per 117 arti trattati, quelli seguiti presso l’Unità di Diabetologia (Centro Regionale per il Piede Diabetico) e Gruppo B (155 pz

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per 169 arti, quelli ricoverati in altri reparti del nostro ospedale (Medicine 2,7%, UTIC 3,6%, Ch. Vascolare 81%, Ch. Urgenza 12,4%).

Risultati. Caratteristiche della popolazione; Gr.A vs Gr.B: maschi 71% vs 68%, età media sovrapponibile 67 a vs 68 a. Classifica- zione delle lesioni: Gr.A TUC 1C-D 7,2%, 2C-D 22,7%, 3C-D 70,1%; Gr.B non è stata usata una classificazione o è stata dif- ferente nei vari reparti. Esito al follow-up breve (3 m) Gr.A vs Gr.B:

1) salvataggio d’arto 96,36% vs 82,9% (p < 0,001); 2) amputa- zione maggiore 3,63% vs 15,38% (p < 0,005); 3) decesso 0% vs 1,7% (p = ns). Esito al follow-up lungo (24 m): 1) salvataggio d’arto 84,01% vs 58,48% (p < 0,0001); 2) amputazione mag- giore 7,99% vs 27,33% (p < 0,0005); 3) decesso 7,96% vs 14,18% (p = ns). Durante il ricovero il ricorso a un’amputazione minore è stato simile: Gr.A vs B 51,9% vs 56,4%; ma le prossi- mali (avampiede) erano meno frequenti nel Gr.A 6,4% vs 19,6%.

La degenza media è stata più breve nei reparti chirurgici.

Conclusioni. Il miglior esito nei pazienti ricoverati in Diabetologia solo in parte potrebbe essere spiegata con una diversa selezione di pazienti al PS ma a nostro parere dipende da un miglior con- trollo delle complicanze multisistemiche, dal ricorso a frequenti toilette chirurgiche e da una maggiore durata del trattamento in- traricovero.

Outcome di 100 soggetti diabetici trattati chirurgica- mente per ulcere profonde infette ai piedi

Galenda P1, Madaschi S1, Valerio N1, Gallicchio V1, Cisale C1, Colli D1, Ferraresi R2, Caravaggi CM1

1Centri Piede Diabetico, Endocrinologia, Diabetologia, Huma- nitas Gavazzeni, Bergamo; 2Laboratorio Emodinamica, Hu- manitas Gavazzeni, Bergamo

Le infezioni, unitamente all’ischemia, rappresentano le princi- pali cause di amputazione nel soggetto diabetico con ulcere ai piedi. In letteratura vengono segnalati tassi amputativi superiori al 90% per le ulcere profonde infette, 100% se associate a ischemia. L’obiettivo di questo studio è quello di valutare gli out- come di un trattamento chirurgico tempestivo, aggressivo, ma allo stesso tempo conservativo, di queste lesioni.

Materiale e metodi. Sono stati seguiti e raccolti i dati di 100 pa- zienti diabetici giunti consecutivamente a nostra osservazione per ulcere infette profonde dei piedi. Le lesioni sono state sta- diate secondo criteri della Texas University Classification (TUC) e il sistema PEDIS-IDSA:

– TUC (n): 2B (4), 2D (8), 3B (39), 3D (49);

– PEDIS (n): 1 (0), 2 (5), 3 (71), 4 (24).

Tutti pazienti sono stati sottoposti a drenaggio in urgenza o ur- genza differita dell’infezione e polichemioterapia antibiotica em- pirica o mirata sulla scorta di antibiogramma. Nei giorni suc - cessivi 57 soggetti sono stati sottoposti a PTA degli arti inferiori, di cui 2 inefficaci, 7 ad amputazioni maggiori transtibiali o tran- sfemorali, 3 del mesopiede, 15 dell’avampiede, 26 di 1 o più raggi, 5 di 1 o più dita, 43 a ulcerectomie e/o sequestrectomie ossee.

Risultati. Guarigione: Nel periodo di osservazione 59 pazienti sono guariti di cui 39 in meno di 12 settimane, 72 hanno ripreso a deambulare con ortesi o scarico gessato. Mortalità in fase acuta e post-acuta: 1 paziente è deceduto per setticemia prima del trat- tamento chirurgico, altri 2 durante la degenza, 1 dopo 20 gg dalla dimissione. All’analisi statistica sono state osservate differenze nei livelli di amputazione che sono risultati più prossimali nei sog- getti ischemici (p < 0,1), o con infezioni più gravi (p < 0,001).

Il tasso di guarigione è maggiore nei soggetti non ischemici (p < 0,1) senza che vi siano differenze significative nei tempi.

Meno soggetti tendono a guarire se trattati per infezioni gravi

(p < 0,1) e in tempi più lunghi (p < 0,1). La guarigione è risultata più lenta e difficile nei soggetti dializzati (18).

Conclusioni. Un trattamento chirurgico tempestivo delle lesioni profonde infette consente di ridurre significativamente la preva- lenza di amputazioni segnalata in letteratura. Lo stesso tratta- mento associato a rivascolarizzazione efficace consente di ridurre il tasso di amputazioni anche nelle ulcere ischemiche infette. Il li- vello di amputazione è risultato direttamente proporzionale alla gravità dell’infezione. L’emodialisi si conferma quale fattore pro- gnostico negativo di guarigione.

Analisi dell’indice di comorbilità di Charlson nei pazienti affetti da piede diabetico (PD) e sua correlazione con l’evoluzione clinica

Iacopi E, Coppelli A, Goretti C, Mattaliano C, Piaggesi A Sezione Dipartimento Piede Diabetico, Dipartimento di Area Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

Scopo dello studio. L’indice di comorbilità di Charlson (ICC), derivante dalla somma di punteggi attribuiti a 19 differenti pato- logie croniche, è la più diffusa metodica di valutazione delle co- morbilità in grado di predire la mortalità. Abbiamo valutato l’ICC in pazienti affetti da PD e abbiamo analizzato la sua correlazione con gli outcome clinici a lungo termine.

Materiale e metodi. Abbiamo calcolato retrospettivamente l’ICC in 638 pazienti consecutivi affetti da diabete mellito di tipo 2 (M/F 460/178; età 68 ± 11 aa; BMI 27,8 ± 5,0 kg/m2; durata diabete 19,8 ± 12,3 aa; HbA1c7,9 ± 1,8%) ricoverati presso il no- stro dipartimento nel periodo 2011-2014 per PD. I principali out- come clinici (percentuali di guarigione, di amputazione maggiore e di morte) sono stati valutati nel corso di un follow-up di 18,9 ± 12,4 mesi (range 1,7-43,2 mesi) e quindi correlati con il punteg- gio ICC.

Risultati. Il punteggio ICC medio (± DS) complessivo era 5,2 ± 1,6. La percentuale di guarigione era 67,2% (n 429), mentre quelle di amputazione maggiore e di morte erano rispettivamente 5,2% (n 33) e 19,5% (N 84) nel corso del follow-up. L’ICC era si- gnificativamente più basso nei pazienti guariti rispetto ai non gua- riti (5,1 ± 2,5 vs 5,8 ± 2,1; p < 0,02). Un punteggio ICC signi- ficativamente più alto (6,1 ± 2,3 vs 5,1 ± 2,3; p < 0,02) veniva osservato nei pazienti deceduti durante il follow-up. Nessuna dif- ferenza significativa veniva trovata nei pazienti sottoposti ad am- putazione maggiore d’arto rispetto agli altri (5,5 ± 2,6 vs 5,2 ± 2,5; p = ns).

Conclusioni. I pazienti diabetici con PD presentano un punteg- gio di ICC molto alto che correla con i tassi di guarigione e di mortalità, sottolineando l’importanza dell’importante coinvolgi- mento sistemico di questi pazienti. I nostri dati suggeriscono inol- tre un possibile valore predittivo dell’ICC non solo in termini di mortalità, ma anche in relazione all’evoluzione clinica delle lesioni a lungo termine.

Classificazione del rischio ulcerativo nei pazienti in dia- lisi: un’opportunità anche nei non diabetici?

Magi S1, Scatena A1, Duranti E2, Bartolini E1, Ricci L3

1SC Diabetologia, 2SC Nefrologia e Dialisi, 3SC Diabetologia, Ospedale San Donato ASL 8, Arezzo

Scopo della ricerca. Valutare il rischio ulcerativo in pazienti dia- lizzati, diabetici e non diabetici.

Metodi impiegati. Abbiamo valutato 3 gruppi di pazienti:

145 diabetici non dializzati (DMND); 36 diabetici dializzati (DMD)

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e 127 dializzati non diabetici (DND) per la presenza di vasculo- patia tramite indice caviglia/braccio (ABPI), di perdita della sensi- bilità protettiva (LOPS) tramite biotesiometria (VPT) e monofilamento per poter classificare i pazienti secondo la classe di rischio ulcerativo del Documento di Consenso Internazionale.

Conclusioni. Come atteso, un ABPI < 0,9 è presente nei tre gruppi sottoposti a studio, senza differenze significative tra i DMD (36%) e i DND (30%). Tuttavia i 3 gruppi non differivano statisti- camente per l’alterazione della VPT, presente anche in 38 (30%) dei DND; tutti questi ultimi presentavano una lesione in fase attiva o pregressa o pregresse amputazioni minori o maggiori. Le pre- gresse amputazioni minori erano presenti in 1 (0,7%) dei DMND, 5 (14%) dei DMD e in 3 (2%) dei DND; le pregresse amputazioni maggiori in 0 DMND, 1 (3%) dei DMD e in 4 (3%) dei DND, senza differenze significative tra i 3 gruppi (p > 0,005). Un’ulcera in fase attiva era presente in 25 (17%) dei DMND, in 10 (27%) dei DMD e in 5 (4%) dei DND. Pregresse ulcere in 13 (9%) dei DMND, 15 (42%) dei DMD e 2 (1%) dei DND. Risulta significativo che nes- suno dei DMD compaia nella classe di rischio ulcerativo assente e che la maggior parte (47%) appartenga alla classe di rischio elevatissimo. Inoltre la maggior parte dei pazienti DND (55%) ap- partiene alle classi di rischio media, elevata ed elevatissima. No- nostante la diversa numerosità dei campioni e la mancanza di studi similari, è possibile concludere che i pazienti DMD necessi- tino di azioni preventive dedicate e che l’esame della sensibilità vi- bratoria (VPT) possa essere condotto di routine anche nei DND al fine di individuare pazienti ad alto rischio ulcerativo. Il follow- up a un anno attualmente in corso di questi pazienti è volto a va- lidare la classificazione del rischio ulcerativo anche nei pazienti non diabetici in dialisi.

Calcificazioni vascolari nei pazienti diabetici con lesione ischemica del piede: confronto tra pazienti in dialisi e non

Meloni M1, Izzo V1, Vainieri E1, Del Giudice C2, Da Ros V2, Ruo- tolo V1, Giurato L1, Gandini R2, Uccioli L1

1Medicina dei Sistemi, 2Radiologia, Università di Tor Vergata, Roma

Scopo. Il trattamento sostitutivo dialitico è un forte fattore di ri- schio per malattia vascolare periferica (MVP) e calcificazioni va- scolari (CV)(1). Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare le differenze in termini di CV nei pazienti in dialisi e non, all’interno di una popolazione di soggetti diabetici affetti da ischemia critica dell’arto (IC) e lesione al piede (LP).

Metodi. Il gruppo di studio ha incluso 456 pazienti sottoposti a rivascolarizzazione endovascolare (RE) a causa di una condizione di IC complicata da LP. Sono stati individuati due sottogruppi in relazione al trattamento dialitico (D+) (n = 60) o meno (D–) (n = 396). All’interno dei due sottogruppi abbiamo selezionato i pa- zienti con più severa MVP che hanno avuto necessità di almeno un nuovo intervento di RE per tentare il salvataggio d’arto: D+ n

= 18 (24,7%) e D– n = 61 (14,7%). Inoltre, secondo il sistema di calcolo delle calcificazioni vascolari periferiche eseguito con fluo- roscopia e angiografia a sottrazione digitale (PACCS) abbiamo valutato la severità e la localizzazione delle CV nei vasi sopra il gi- nocchio (SopG) e sotto (SotG)(2).

Risultati. D+ ha avuto necessità di nuova RE in un maggior nu- mero di occasioni (24,7 vs 14,7%) p < 0,043. In relazione alle CV, D+ ha mostrato una malattia calcifica più severa (grado 4C PACCS) (56,5 vs 7,8%) (X = 0,001) e un più alto tasso di calcifi- cazioni combinate (intima e media) SotG (59 vs 9,5%) (X = 0,0001) mentre D– ha mostrato un maggior coinvolgimento del- l’intima sia nei vasi SopG (57,9 vs 4,3%) (X = 0,0001) sia SotG (34,2 vs 9%) (X = 0,027).

Conclusioni. Il fallimento della RE è stato più frequente nel gruppo D+ e i dializzati hanno avuto necessità di più procedure per trattare la loro MVP. Le CV sembrano svolgere un ruolo chiave nella severità della MVP e negli esiti peggiori dei pazienti dializzati. Infatti questi risultati potrebbero essere correlati alla gravità delle CV nei vasi SotG, principalmente per il coinvolgi- mento simultaneo sia dell’intima sia della media che sembre- rebbero influenzare negativamente il successo tecnico della rivascolarizzazione e determinare una più frequente re-stenosi del vaso.

1. Prompers L. Diabetologia 2008.

2. Khrishna J. Catheterization and Cardiovascular Intervention 2014.

Indagine a campione sulle conoscenze in tema di piede diabetico fra gli infermieri dell’Azienda Ospedaliero- Universitaria di Udine

Miniussi PM1, Monticelli S2, Caporale L2

1Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine, SO Medicina In- terna, Ambulatorio per la Cura del Piede Diabetico, Cividale del Friuli; 2Università degli Studi di Udine, Corso di Laurea in Infermieristica

Premessa. La gestione delle lesioni cutanee croniche, tra cui il piede diabetico, viene sempre più spesso demandata anche in ospedale al personale infermieristico. Non è però noto quale sia il suo livello di conoscenze in materia, premessa necessaria per un’adeguata presa in carico di tali pazienti. Si è ritenuto perciò utile indagarlo con uno studio descrittivo, anche per valutare la necessità e i contenuti di un eventuale programma di formazione specifica.

Scopo dello studio. Valutare il livello di conoscenze in tema di valutazione e cura del piede diabetico tra gli infermieri operanti nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine; ricercare even- tuali differenze tra quanti si ipotizza siano frequentemente od oc- casionalmente a contato con il piede diabetico e quanti lo sono raramente o mai; ricercare eventuali relazioni fra età, anzianità professionale e tipo di formazione e livello di conoscenze nel campo specifico.

Metodi. Ci si è serviti di un questionario strutturato a risposte multiple o aperte, anonimo, contenente 12 quesiti su aspetti ana- grafici e professionali e 14 quesiti su aspetti teorico/pratici dell’assistenza al piede diabetico. Il questionario è stato sommi- nistrato a 380 infermieri in servizio presso 20 strutture operative diverse dell’Ospedale di Udine (Anestesia e Rianimazione 1 e 2, Clinica di Anestesia e Rianimazione, Cardiochirurgia, Cardiologia, Pneumologia, Ortopedia, Clinica Ortopedica, Otorinolaringoiatria, Clinica Pediatrica, Clinica Medica, Medicina Interna 1 e 2, Clinica delle Malattie Infettive, Dermatologia, Diabetologia, Nefrolo- gia, Post-acuti). La partecipazione allo studio è stata volontaria;

198 infermieri, pari al 52% degli interpellati, ha restituito il que- stionario compilato.

Risultati. Una maggioranza rilevante del personale aderente al- l’indagine ha dichiarato di curare raramente o mai persone con piede diabetico (80,30%) e di non aver mai partecipato ad atti- vità di formazione e aggiornamento sull’argomento (73,20%);

peraltro, solo il 43,40% reputa la sua conoscenza in materia non adeguata o insufficiente. Nel complesso le risposte evi- denziano notevoli carenze non solo su argomenti pertinenti al piede diabetico (caratteri della cute neuropatica, sede e tratta- mento delle ipercheratosi, significato della manovra “probe to bone”, classificazione delle lesioni, caratteristiche delle ortesi ideali), ma anche su aspetti di carattere generale (sede di pre- lievo da una lesione aperta del campione per esame colturale, scelta del disinfettante). Sono risultate invece buone le percen-

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tuali di risposta corretta ai quesiti sui criteri di avvio immediato del paziente al Pronto Soccorso, sulle caratteristiche dell’ulcera infetta e sulla frequenza di sostituzione della medicazione in schiuma di poliuretano. Non è stata rilevata alcuna correlazione fra le caratteristiche demografiche, il titolo di studio, l’anzianità professionale e di servizio degli intervistati e le rispettive per- centuali di risposte corrette, così come fra gli infermieri operanti in strutture dove il contatto con il piede diabetico è possibile, se non frequente, e quelli delle strutture dove tale contatto è alta- mente improbabile.

Alta prevalenza di batteri chinolonici-resistenti nelle in- fezioni del piede diabetico

Miranda C1, Da Ros R2, De Rosa R3, Camporese A3, Zanette G1

1SSD Diabetologia, Azienda Ospedaliera S. Maria degli Angeli, Pordenone; 2SS Diabetologia, Ospedale San Polo, Monfal- cone; 3SSC Microbiologia, Azienda Ospedaliera S. Maria degli Angeli, Pordenone

Premessa. Le infezioni del piede diabetico sono spesso causa di ospedalizzazione e di amputazione.

Scopo del lavoro. Abbiamo condotto uno studio retrospettivo degli esami microbiologici, effettuati dal 2011 al 2014, in pz dia- betici affetti da lesioni ai piedi, al fine di analizzare la flora micro- bica isolata e la prevalenza dell’antibiotico-resistenza.

Materiale e metodi. Sono stati analizzati 105 esami colturali ef- fettuati su biopsie tessutali in 53 pz con infezioni moderate o se- vere non in terapia antibiotica. Le caratteristiche cliniche dei pz erano le seguenti: 53 pz con 2TDM (43 M, 10 F), età media 76,5 aa, neuropatia periferica (32%), arteriopatia ostruttiva arti in- feriori (13%), neurovasculopatia periferica (55%).

Risultati. Dei 105 esami raccolti, 89 (84,7%) sono risultati posi- tivi, 16 (15,3%) negativi. Sono stati isolati 132 microrganismi to- tali di cui 71 Gram+, 60 Gram–, 1 micete. I patogeni più frequenti fra i Gram+ sono stati: S. aureus (44), seguito da E. faecalis (12), S. beta-emolitico (5), S. epidermidis (4). Altri Gram+ isolati sono stati: S. xylosus (2), S. agalactiae (1), S. capitis (1), S. simulans (1), S. warneri (1). I patogeni più frequenti fra i Gram– sono stati:

Pseudomonas aeruginosa (15), Proteus mirabilis (10), E. coli (9), Morganella morgani (8), Serratia marcescens (7). Altri Gram– sono stati: Citrobacter koseri (2), Klebsiella oxytoca (2), Klebsiella pneu- moniae (2), Klebsiella planticola (1), Citrobacter fruendii (1), Aci- tenobacter (1), Enterobacter aerogenes (1), E. cloacae (1). Le infezioni sono risultate monomicrobiche nel 69,5%, polimicrobi- che nel 30,4%. Le sedi delle lesioni erano dita (46,6%), avam- piede (34,2%), tallone (15,2%), altre (4%). Negli esami colturali positivi le lesioni neuroischemiche sono state 62, quelle neuro- patiche 27. Negli esami colturali negativi le lesioni neuropatiche sono state 5, quelle neuroischemiche 11. Il 46,2% (61/132) dei batteri è risultato resistente almeno a un antibiotico, il 15%

(21/132) a due antibiotici. In particolare l’11,1% degli S. aureus sono risultati meticillino-resistenti e il 32,5% (43/132) dei batteri totali chinolonici-resistenti, di cui il 38% (27/71) dei Gram+ e il 26,6% (16/60) dei Gram–.

Conclusioni. I nostri dati hanno evidenziato un’alta prevalenza di batteri chinolonici-resistenti, in particolare sono risultati resistenti il 70% dei P. mirabilis (7/10) e il 40,9% (18/44) degli S. aureus. In un nostro precedente lavoro (Atti XVIII Congresso Nazionale AMD 2011) la prevalenza di batteri Gram– chinolonici-resistenti era stata del 37,2% e del 42,8% per quanto riguarda P. mirabilis (3/7).

L’ischemia sembra essere il principale fattore di rischio per ceppi chinolonici-resistenti, infatti il 76,7% (33/43) di essi è stato iso- lato da lesioni neuroischemiche. Altri fattori di rischio per lo svi- luppo di resistenza ai chinolonici sono precedenti ricoveri e precedenti terapie antibiotiche.

Piede diabetico infetto: importanza della tempestività della sinergia dei trattamenti per il salvataggio “funzio- nale” di parte del piede

Piazza1, Grassi A2, Ferri M1, Mormile A2, Limone P2, Nessi F1

1SC Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, 2SC Endocrinolgia, Diabetologia e Malattie Metaboliche, AO Ospedale Mauriziano, Torino

Introduzione. Le gangrene del piede (a partenza spesso dalle dita), soprattutto quando associate a ischemia e infezione, com- portano frequentemente il ricorso ad amputazione maggiore. L’in- quadramento eziologico della lesione e la tempestività dei trattamenti permettono di limitare il livello di amputazione, con- sentendo spesso salvataggio di una parte del piede, funzional- mente valida.

Materiale e metodi. Dal maggio 2010 al novembre 2014 sono stati trattati 138 pazienti, diabetici, affetti da lesione infetta a li- vello del piede, tutte di grado III secondo la Texas University Clas- sification (TUC). In 29 pazienti la lesione (sempre secondo TUC) rientrava nello stadio B (infezione) mentre in 109 nello stadio D (infezione e ischemia). In 2 pazienti l’ampia gangrena (coinvolgi- mento di tutti i compartimenti del piede) ha imposto un’amputa- zione maggiore immediata. Negli altri 136 pazienti si è attuato un PDTA (protocollo diagnostico terapeutico assistenziale) concor- dato in maniera multidisciplinare (chirurgo vascolare/endovasco- lare, medico di pronto soccorso, diabetologo, infettivologo). Il paziente è stato sempre inquadrato inizialmente dal punto di vista eziologico mediante esame ecocolordoppler; inoltre tempestiva- mente in base alla gravità del quadro infettivo (flemmone con qua- dro di limb o life threatening) si è proceduto (in emergenza prima dell’inquadramento eziologico) a drenaggio della raccolta con asportazione dei tessuti gangrenosi nonché ad amputazione dei segmenti ossei coinvolti dalla gangrena (eseguiti prelievi bioptici delle ossa residue e del fondo della lesione per esame colturale).

In altri casi il debridement è stato eseguito in un secondo tempo.

In ogni caso il sito di amputazione non è stato mai sottoposto a chiusura nel primo tempo chirurgico (anche se convinti di una completa bonifica del focolaio infettivo). In 29 pazienti non è stato necessario eseguire un intervento di rivascolarizzazione (eziologia neuropatica); in 107 pazienti si è eseguito intervento di rivascola- rizzazione per patologia steno-ostruttiva del segmento popliteo- tibiale: endovascolare (88 pz), chirurgica (11 pz), ibrida (8 pz). Il percorso di guarigione con ottenimento di un moncone di piede funzionale ha comportato un lungo (e spesso costoso) iter tera- peutico: antibioticoterapia ev mirata, utilizzo di pressione negativa (NPWT) in tutti i casi, innesto con sostituto dermico acellulare di origine bovina (Integra®) per la copertura di ossa e tendini sani esposti (in 34 casi), innesto cutaneo (in 21 casi); ortesi di scarico (inizialmente per prevenire lesioni da pressione e in seguito per permettere la deambulazione con scarico).

Risultati. Nel 91% (124/136 pazienti) si è ottenuto il salvataggio di un piede “funzionale” con amputazione minore. In 8 pazienti (8/136 pazienti) è stato necessario eseguire un’amputazione maggiore (7 gamba, 1 coscia) dopo comunque un iniziale tenta- tivo di salvataggio d’arto (7 rivascolarizzazione endovascolare, 1 con procedura ibrida). Si sono verificati 4 decessi peri-operatori (1 per polmonite, 3 per scompenso cardiaco).

Conclusioni. Il piede diabetico infetto comporta alto rischio di amputazione maggiore. L’aggressività del trattamento multidisci- plinare permette di ottenere (a contro di costi a volte elevati) spesso il salvataggio di una parte del piede funzionalmente valido.

Autoanticorpi contro collagene tipo I e II alterati da mo- difiche post-traslazionali indotte dallo stress ossidativo nella neuroartropatia di Charcot

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Rizzi A1, Rizzo P1, Musella T1, Costantini F1, Scavone G1, Galli M2, Caputo S1, Nissim A3, Ghirlanda G1, Pitocco D1

Istituto di Medicina Interna,2Istituto di Ortopedia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; 3Centre for Diabetes, Queen Mary University of London, Londra, UK

Obiettivo. La neuroartropatia di Charcot (CN) è una delle com- plicanze correlate al diabete più debilitanti. Scopo dello studio è valutare la presenza di una risposta autoimmunitaria diretta verso collagene tipo I (CI) e collagene tipo II (CII), nativi e alterati da mo- difiche post-traslazionali indotte da specie ossidanti.

Metodi. In questo studio caso-controllo sono stati arruolati 124 sog- getti con DM di tipo 2 (47 con CN, 37 neuropatia diabetica senza CN e 40 con DMT2 senza complicanze) e 32 controlli sani. È stata valutata con metodica ELISA la presenza di autoanticorpi di- retti verso CI e CII nativi e modificati da ribosio, acido ipocloroso, perossido di idrogeno e perossinitrito.

Risultati. I 4 gruppi erano sovrapponibili per età, BMI, circonfe- renza vita e fianchi, profilo lipidico. I soggetti diabetici erano inol- tre sovrapponibili per livello di HbA1ce per durata di malattia.

Confrontati con gli altri gruppi, i soggetti con CN hanno dimo- strato un’aumentata reattività anticorpale verso CII nativo e mo- dificato da specie ossidanti. Per CI, il gruppo CN ha mostrato un’aumentata reattività rispetto agli altri gruppi solo verso la forma modificata da perossinitrito.

Conclusioni. I nostri risultati suggeriscono che una risposta au- toimmunitaria verso il collagene, in particolar modo CII alterato da modifiche post-traslazionali indotte da specie ossidanti, possa essere coinvolta nella patogenesi di CN.

Rivascolarizzazione e chirurgia nella gestione del piede diabetico: uno studio prospettico

Salvotelli L1, Stoico V1, Perrone F1, Merighi M2, Puppini G3, Bruti M4, Veraldi GF5, Brocco E6, Zoppini G1, Bonora E1

1Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo,

2Malattie Infettive,3Radiologia,4Chirurgia Plastica,5Chirurgia Vascolare, AOUI, Verona; 6Piede Diabetico, Policlinico Abano Terme, Abano Terme (PD)

Scopo. Studio osservazionale prospettico che valuta la prognosi di pazienti (pz) sottoposti a interventi di chirurgia e rivascolarizza- zione per piede diabetico.

Metodi. Sono stati reclutati i pz ricoverati per chirurgia ed even- tuale rivascolarizzazione per piede diabetico, da ottobre 2012.

Outcome primari: riulcerazione, amputazione maggiore (AM).

Outcome secondari: restenosi clinica dopo angioplastica (PTA), complicanze di chirurgia/rivascolarizzazione, morte. Sono stati trattati 170 pz (24 con lesioni bilaterali), 60% con storia di ulcere.

Si trattava soprattutto di pz con diabete complicato da retinopa- tia (75%), neuropatia (95%), insufficienza renale emodialitica (8,2%). Il 65% dei pz aveva vasculopatia carotidea e il 36% car- diopatia ischemica. Nel periodo ottobre 2012-14 sono stati ese- guiti 351 interventi chirurgici; 103 pz della stessa coorte sono stati sottoposti a 130 PTA (61,2% dei pz aveva ischemia critica cronica, CLI). Dodici pz sono andati incontro a riulcerazione e lo stesso numero di soggetti (9,2%) ha subito AM. La chirurgia è stata complicata da gangrena (25,6%), sanguinamento (7,7%), progressione dell’infezione (7,4%). Le PTA hanno avuto risultato positivo (completo/parziale) in oltre l’84% dei pz, con un tasso di complicanze del 6,9%. La restenosi clinica si è avuta nel 24,6%.

Stato attuale dei pz: 60,7% guarito, 17,6% non guarito, 12,4%

morto, 5,9% AM, 3,5% perso al follow-up. Di 21 pz deceduti (17 con CLI), la causa di morte è stata cardiovascolare (50%), insuf- ficienza renale terminale (25%), sepsi o altro (25%). Il tasso di

guarigione è stato del 59% nelle ulcere neuroischemiche, del 69%

nelle neuropatiche.

Conclusioni. La maggior parte dei pz con piede diabetico è af- fetta da diabete pluricomplicato. La prognosi delle ulcere con componente ischemica è peggiore delle ulcere neuropatiche. In un follow-up di 24 mesi, il 12,4% dei pz è deceduto – oltre l’80%

affetto da CLI. Nella nostra casistica, una percentuale rilevante di interventi chirurgici è gravata da complicanze: un più lungo follow- up potrebbe consentire una più accurata stratificazione dei pa- zienti e, in base all’individuazione di fattori prognostici, il miglior iter da seguire.

Aumento della TcPO2nella ricostruzione del piede dia- betico mediante l’utilizzo del sostituto dermico Integra® Spazzapan L1, Nicoletti C1, Papa G2

1Unità Piede Diabetico e Vulnologia, Casa di Cura Pederzoli, Peschiera Del Garda, Verona; 2UO di Chirurgia Plastica e Ri- costruttiva, Azienda Ospedaliera Universitaria, Ospedali Riuniti, Trieste

Introduzione. Scopo di questo studio comparativo retrospettivo è stato quello di valutare i risultati della ricostruzione nel piede diabetico con innesto di pelle a spessore parziale e sostituto der- mico Integra® versus la ricostruzione solo con innesto di cute in termini di vascolarizzazione mediante la misurazione dell’ossige- nazione tessutale periferica (TcPO2).

Materiale e metodi. Sono stati inclusi nello studio 23 pazienti (12 sono stati ricostruiti con innesto di cute e 11 con Integra® e innesto di cute a tre settimane). In ogni paziente la TcPO2è stata misurata nello stesso punto della superficie ricostruita a 14 giorni, un mese, 3 mesi, 6 mesi, 12 mesi e 24 mesi dopo la ricostru- zione.

Risultati. I letti delle ferite ricostruite da Integra® hanno mostrato in media una TcPO2superiore di 10 mmHg.

Conclusioni. Il nostro studio ha valutato in modo oggettivo, con il valore di TcPO2, l’ossigenazione del letto della ferita nel piede diabetico dopo la ricostruzione con innesto di cute da solo e con l’aggiunta del sostituto Integra® al letto della ferita. Durante il primo mese dopo la ricostruzione non state rilevate differenze statisticamente significative. Dopo 3 mesi TcPO2studi hanno ri- velato uno statisticamente significativo aumento della pressione tessutale di ossigeno superiore nei piedi diabetici ricostruiti con In- tegra® e innesto di cute. Questi risultati appoggiano in modo og- gettivo i risultati clinici già segnalati durante l’utilizzo del sostituto dermico. Resta da spiegare il ruolo di questo aumento della pres- sione tessutale di ossigeno nel ridefinire le indicazioni per l’uso di sostituti dermici nella ricostruzione delle regioni scarsamente va- scolarizzate.

Colonizzazione rettale da Klebsiella pneumoniae car- bapenemasi-produttrice è un fattore di rischio di mor- talità in pazienti con piede diabetico infetto

Tascini C1, Iacopi E2, Coppelli A2, Goretti C2, Menichetti F1, Piaggesi A2

1UO Malattie Infettive, 2Sezione Dipartimento Piede Diabetico, Dipartimento di Area Medica, Azienda Ospedaliero-Universi- taria Pisana

Scopo. L’incidenza di infezioni da ceppi di Klebsiella pneumo- niae produttrice di carbapenemasi (KPC-Kp) sta aumentando in tutto il mondo. Scopo del nostro studio era verificare se la colonizzazione e l’infezione da KPC-Kp in pazienti con piede

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diabetico infetto (PDI) fosse associata con un incremento della mortalità.

Metodi. Abbiamo condotto uno studio retrospettivo, caso-con- trollo: i casi consistevano in pazienti adulti con PDI e isolamento di KPC-Kp in un tampone rettale. Per ogni caso abbiamo sele- zionato almeno un controllo corrispondente, affetto da PDI, ma che presentasse tampone rettale negativo per KPC-Kp. Fra l’1 di- cembre 2010 e il 31 marzo 2014 abbiamo identificato 21 pazienti con PDI e colonizzazione rettale da KPC-Kp. In 6 (28%) di questi pazienti era presente anche isolamento di KPC-Kp da un prelievo a carico del PDI. Nello stesso periodo abbiamo poi sele- zionato 25 controlli corrispondenti.

Risultati. Fra i due gruppi non erano presenti differenze signifi- cative in termini di età, sesso, punteggio di Charlson, classifica- zione delle lesioni e numero di precedenti ricoveri. Confrontati con i pazienti del gruppo di controllo, che presentavano una mortalità complessiva del 4%, la mortalità era significativamente più alta nei pazienti con colonizzazione rettale da KPC-Kp (40%; p = 0,013) e nei pazienti con PDI da KPC-Kp (67%; p = 0,002). Me- diante regressione logistica multivariata abbiamo evidenziato come la colonizzazione da KPC-Kp fosse l’unico fattore di rischio indipendente significativamente associato con la mortalità (OR = 22,41, IC al 95%: 3,43-455,28; p = 0,006).

Conclusioni. La colonizzazione e l’infezione di piede da KPC- Kp sembrano essere associate a un incremento della mortalità nei pazienti affetti da PDI.

Utilizzo di palloni conici per il trattamento di occlusioni lunghe dei vasi tibiali in pazienti diabetici con ischemia critica degli arti inferiori

Troisi N, Landini G, Michelagnoli S, Falciani F, Baggiore C Centro Interdipartimentale Piede Diabetico, Azienda Sanitaria Firenze, Firenze

Introduzione. Il diabete è la principale causa di ischemia critica degli arti inferiori. Nei diabetici le occlusioni lunghe dei vasi tibiali sono molto comuni. Scopo di questo studio è stato quello di valutare i risultati dei palloni conici nella ricanalizzazione di oc- clusioni lunghe di vasi tibiali in pazienti diabetici con ischemia critica.

Materiale e metodi. Da gennaio ad agosto 2014 49 vasi tibiali con occlusioni lunghe sono stati ricanalizzati e trattati con palloni conici (Amphirion Deep; Medtronic Inc., Minneapolis, MN, USA) in pazienti diabetici con ischemia critica afferenti al percorso aziendale del piede diabetico. I risultati a 6 mesi sono stati valu- tati in termini di morbilità, mortalità, pervietà primaria, pervietà pri- maria assistita, pervietà secondaria, assenza di restenosi (target lesion revascularization, TLR), guarigione delle ulcere/risoluzione dei sintomi e salvataggio d’arto.

Risultati. I pazienti erano prevalentemente di sesso maschile (27/35, 77,1%) con un’età media di 70,9 anni (range 51-85). La lunghezza media dell’occlusione tibiale era di 232,7 mm (range 110-380). Il successo tecnico angiosome-oriented è stato otte- nuto in 44/49 casi (89,8%). Durante il follow-up (durata media 3,1 mesi, range 1-6) la guarigione delle ulcere/risoluzione dei sin- tomi è stata ottenuta in 28/35 casi (80%). A 6 mesi il tasso stimato di salvataggio d’arto è stato del 97,1%. Inoltre, a 6 mesi i tassi di pervietà primaria, pervietà primaria assistita, pervietà secondaria e assenza di TLR sono stati rispettivamente del 64,5%, 81,4%, 81,4%, e 78,2%. L’analisi univariata ha dimostrato che il sesso maschile, la classe Rutherford 6, la presenza di concomitante co- ronaropatia e l’assenza di predilatazione sono fattori predittivi di insuccesso in termini di salvataggio d’arto, pervietà del vaso e di assenza di TLR.

Conclusioni. I palloni conici sono sicuri ed efficaci nel tratta-

mento di occlusioni lunghe di vasi tibiali in pazienti diabetici con ischemia critica. La predilatazione dovrebbe essere raccoman- data in tutti i casi. I risultati sembrano incoraggianti, anche se sono necessarie esperienze con popolazioni di studio più ampie e con un più duraturo follow-up.

Prevalenza e classificazione dell’anemia in pazienti af- fetti da “piede diabetico” con ulcera: nostra valutazione Zavaroni D, Bianco M, Busconi L, De Joannon U, Mazzoni G Cure Primarie, UO Diabetologia e Malattie Metaboliche, Azienda USL, Piacenza

Circa il 25% dei pazienti diabetici è a rischio di sviluppare un’ul- cera agli arti inferiori nella vita e la comparsa di questa grave com- plicanza correla con aumento di morbilità e mortalità. L’ulcera del piede diabetico (UPD) può associarsi ad anemia e malnutrizione, fattori che contribuiscono a peggiorare il quadro clinico generale.

Tale associazione è poco studiata. Alcuni studi suggeriscono una relazione con lo stadio clinico dell’ulcera e con il peggioramento della prognosi. Scopo di questo studio è stato di valutare la pre- valenza di anemia nei pazienti con UPD, classificare il tipo di ane- mia e costruire un protocollo di terapia in base alle cause, per correggere sia l’alterazione della crasi ematica sia la malnutri- zione.

Materiale e metodi. In un periodo di 6 mesi (da maggio a otto- bre 2014) sono stati valutati 188 pz con UPD affetti da diabete di tipo 1 e 2. La durata di malattia era di 10 anni ± 4,7 M ± DS.

L’emoglobina glicata era di 8,5 ± 3,4%. Tra questi, 65 pz presen- tavano anemia, definita come valore di emoglobina < 12 mg/dl. I pz avevano un’ulcera stadio Texas IID e III D, durata media di 3 mesi.

L’ulcera era mista, neuropatica e ischemica con sovrapposta infezione. In tutti sono stati valutati, oltre all’emocromo, sidere- mia, transferrina, ferritina, vitamina B12, folati, elettroforesi pro- teica, conta leucocitaria, valutazione GFR con formula CKD-EPI, VES, PCR. In tutti è stata valutata la malnutrizione con scheda MUST.

Risultati. Sessantacinque su 188 pz, con UPD pari al 28%, pre- sentavano anemia. In 4 l’anemia si associava a malnutrizione con punteggio MUST patologico. Tre pz presentavano anemia ma- crocitica con deficit di vitamina B12e folati. Sette pz avevano livelli di sideremia bassi. In 16 pz la sideremia era normale, ma con li- velli di ferritina alti, segno di deficit relativo di ferro secondario al- l’infiammazione cronica; 35 pz avevano una malattia renale cronica con stadio IIIb e IV. In tutti è stato attuato un protocollo te- rapeutico per normalizzare la crasi ematica a seconda della causa, associato a una valutazione nutrizionale.

Conclusioni. Nella nostra casistica un’elevata percentuale di pz con UPD (28%) presentava anemia. La causa più frequente era la malattia renale cronica (55%) seguita dal deficit relativo di ferro secondario all’infiammazione cronica (23%), dall’iposideremia (8%) e dalla malnutrizione. La correzione dell’anemia associata a un adeguato apporto calorico e proteico, oltre alle procedure con- suete di rivascolarizzazione, correzione dell’infezione e scarico della lesione, potrebbe avere un ruolo importante nel migliorare la prognosi dei pz con UPD.

Riassunti – Poster

Efficacia e sicurezza della risonanza magnetica tera- peutica nella gestione delle lesioni del piede diabetico

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Abbruzzese L, Bonino G, Mattaliano C, Goretti C, Iacopi E, Coppelli A, Piaggesi A

Sez. Dip. Piede Diabetico, Dipartimento Area Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

Scopo. Recentemente è stata proposta una nuova tecnologia, la risonanza magnetica terapeutica (TMR), per la gestione di una serie di condizioni ulcerative croniche; scopo del nostro studio è stato valutare la sicurezza e l’efficacia della TMR nella gestione delle lesioni del piede diabetico (DF).

Metodi. Abbiamo trattato un gruppo di pazienti consecutivi ri- coverati nel nostro reparto (Gruppo A - n 10; età 67,7 ± 18,9 aa, durata del diabete 22,3 ± 6,6 aa, HbA1c8,1 ± 1,1%, BMI 29,4 ± 2,1 kg/m2) con ampie lesioni post-chirurgiche per DF per due set- timane consecutive con un apparecchio per la TMR a bassa in- tensità (Thereson, Milano, I) in aggiunta al trattamento standard.

I pazienti, confrontati con un gruppo di controllo con le stesse caratteristiche (Gruppo B), sono stati successivamente seguiti mensilmente per 6 mesi per valutare il tasso (HR) e il tempo (HT) di guarigione, la percentuale della lesione coperta da tessuto di granulazione a 3 mesi (GT) e il numero di eventi avversi.

Risultati. HR era del 90% nel Gruppo A e 30% nel Gruppo B (p < 0,05); GT era 73,7 ± 13,2% nel Gruppo A vs 51,84 ± 18,77%

nel Gruppo B (p < 0,05). HT nel Gruppo A era di 84,46 ± 54,38 gior- ni vs 148,54 ± 78,96 giorni nel Gruppo B (p < 0,01). Nessuna differenza nel numero di eventi avversi (5 nel Gruppo A vs 6 nel Gruppo B) veniva registrata nel corso dello studio.

Conclusioni. TMR si è dimostrata sicura ed efficace, in aggiunta al trattamento standard, nella gestione delle ampie lesioni post- chirurgiche del piede diabetico.

Analisi dei costi sanitari del management ambulatoriale del piede diabetico in ospedale e progetto di assistenza basato sull’intensità di cure

Aliquò MS, Giordano S, Guzzetta P, Mamone G, Canzoneri G, Di Franco R, Pinto R

UOS Cura Piede Diabetico, ARNAS Civico, Palermo

Introduzione. Dati dell’Osservatorio ARNO Diabete mostrano che il diabete occupa il secondo posto tra le patologie per i più alti costi diretti: per ogni diabetico spendiamo 2756 € all’anno, contro i 1545 spesi per chi non ha il diabete. Circa 1600 € deri- vano dai ricoveri, che sono circa l’80% in più rispetto a chi non ha diabete. Le amputazioni, nei pazienti diabetici, sono cinque volte più frequenti.

Scopo del lavoro. Valutare i costi di un team multidisciplinare per la gestione ambulatoriale del piede diabetico in ospedale.

Metodi. È stata fatta un’analisi dei costi relativi al personale coinvolto nella cura del piede diabetico, al materiale impiegato per le medicazioni, alle analisi strumentali e di laboratorio ese- guite, alle terapie antibiotiche praticate. Il costo di gestione am- bulatoriale è stato confrontato con il costo di gestione in degenza ospedaliera. È stato inoltre ideato un percorso di rete assistenziale intraospedaliero e ospedale-territorio basato sul- l’intensità di cure che consente il follow-up del paziente e la ra- zionalizzazione delle risorse.

Conclusione. La gestione ambulatoriale della cura del piede dia- betico da parte di un team multidisciplinare è economicamente vantaggiosa, efficace e può ridurre il numero di ricoveri nel pa- ziente con piede diabetico con risparmio per il SSN.

Uso di medicazioni avanzate con tecnologia Hydrofiber® e aggiunta di ioni argento nella cura del piede diabetico

Aliquò MS, Giordano S, Guzzetta P, Mamone G, Di Franco R, Pinto R

UOS Cura Piede Diabetico, ARNAS Civico, Palermo

Scopo della ricerca. Valutare i vantaggi di un trattamento delle lesioni del piede diabetico con medicazioni avanzate con tecno- logia Hydrofiber®. Le medicazioni antimicrobiche topiche all’ar- gento sono utilizzate per la prevenzione e il trattamento delle infezioni in numerose tipologie di ferite, sono facili da applicare, garantiscono una disponibilità prolungata dell’argento, richiedono cambi della medicazione meno frequenti e assicurano ulteriori be- nefici, come la riduzione dell’eccesso di essudato, il manteni- mento di un ambiente umido, la facilitazione dello sbrigliamento autolitico.

Metodi. Abbiamo selezionato 36 pazienti diabetici con ulcere degli arti inferiori e segni di infezione. I pazienti sono stati medi- cati con medicazione in tecnologia Hydrofiber® con fibra rinfor- zante, di carbossimetilcellulosa sodica pura in fibre gelificanti e rinforzanti con aggiunta di ioni argento. Questa medicazione al- tamente assorbente e conformabile interagisce con l’essudato della lesione formando un gel che mantiene l’ambiente umido e non rilascia essudato. Sono stati esclusi dal campione esaminato 13 pazienti medicati per un periodo minore di due settimane.

I pazienti trattati erano 23 (7 F e 16 M) di età media 66 anni. Quin- dici pazienti avevano ulcere ai piedi e 8 alle gambe. Il trattamento medio è stato di 4 settimane. In presenza di segni di infezione è stato eseguito tampone con prelievo dei tessuti profondi dopo lavaggio con soluzione fisiologica. In caso di positività, è stata in- trapresa antibioticoterapia mirata. Nove pz sono guariti, 10 hanno ottenuto un miglioramento della lesione (riduzione di diametro o presenza di tessuto di granulazione), 2 pazienti non hanno otte- nuto benefici e in 2 pazienti si è avuto un peggioramento delle le- sioni.

Conclusioni. Il trattamento ha consentito di ottenere un buon controllo dell’essudato e il miglioramento delle lesioni in oltre l’80% dei casi. Considerato il progressivo aumento del fenomeno dell’antibiotico-resistenza, la diminuzione del numero di antibio- tici in fase di sviluppo e la restrizione di trattamento, le medicazioni utilizzate possono essere un valido aiuto nella cura delle ulcere degli arti inferiori in pazienti diabetici.

Piede di Charcot: una complicanza poco conosciuta.

Approccio diagnostico multidisciplinare

Baccolini L1, Forlani G1, Diodato S2, Guidalotti P2, Fanti S2, Marchesini Reggiani G1

1SSD Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica, 2UO Medi- cina Nucleare, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna Il piede di Charcot è caratterizzato, da un punto di vista morfo- strutturale, da una completa alterazione dei normali rapporti osteo - articolari con presenza di fratture ossee che comportano vari gradi di deformità del piede. La maggior parte dei pazienti affetti da osteoartropatia di Charcot ha un’età compresa fra i 50 e i 60 an- ni, con una prevalenza fra lo 0,08-13% delle persone con dia- bete, tuttavia con prevalenza reale verosimilmente più alta a causa della tardiva o errata diagnosi. Riportiamo il caso di un uomo di 58 anni (BMI 35,19 kg/m2). All’APR, IMA a 54 anni, dia- bete mellito a 42, con polineuropatia, ipertensione arteriosa (sin- drome metabolica), BPCO, discopatia degenerativa del rachide, pregresso TVP arto inferiore destro, pregresso intervento di ca- taratta all’occhio sinistro, meniscectomia bilaterale. Sette giorni prima, ricovero presso altro presidio per linfedema arto inferiore destro e placca sopraelevata arrossata interpretata dallo specia- lista dermatologo come erisipela, trattata con antibiotico-terapia

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