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Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

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Academic year: 2021

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Relazioni

La vita del diabetico: il difficile percorso tra paure e aspettative

Bassetti O

Qualsiasi esperienza di malattia, anche solo temporanea, manda a pezzi l’illusione della invulnerabilità e delle sicurezze umane: il malato, improvvisamente, si sente debole, impotente e in balia delle proprie emozioni.

“Nel mondo del malato, le emozioni regnano sovrane; la paura è lì, a un passo” (D. Goleman, 1999).

Ciò vale ancor più, quando si ha a che fare con la malattia cro- nica; questa incide costantemente sulla qualità di vita quotidia- na inducendo la necessità di un cambiamento nello stile di vita abituale, nelle relazioni, nella vita familiare e professionale.

La scoperta di essere diabetici viene vissuta e accompagnata da sentimenti intensi e contraddittori; alcuni diabetici esprimono il loro stato d’animo con queste parole: angoscia, disastro, ter- remoto interiore, trappola senza via d’uscita.

Ci si trova, infatti, di fronte a un condizionamento involontario dal quale non si può uscire; restano solo due scelte: o il condiziona- mento involontario è insuperabile e quindi non resta che essere tra- volti dalla paura, dalla depressione, dalla resa e dall’impotenza tota- le oppure si cerca di reagire e di dare un significato alla propria vita anche in presenza di esperienze dolorose, limitanti e drammatiche.

Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

XIII Congresso Interassociativo AMD-SID Sezione Lombardia

Milano, 19-20 ottobre 2007

Comitato Scientifico: G. Mariani, R. Trevisan

Prefazione

Le giornate del 19 e 20 ottobre 2007 ospiteranno a Milano il XIII Congresso Interassociativo dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e della Società Italiana di Diabetologia (SID) della Regione Lombardia.

Il Congresso è stato inserito nel Programma ECM del Ministero della Salute (8 crediti).

Questa è l’ottava edizione che si propone con il carattere della residenzialità, ovvero su almeno due giornate, con lo scopo non solo di incrementare le conoscenze medico-scientifiche, ma anche e soprattutto per consolidare i rapporti tra le diverse realtà dia- betologiche della nostra regione.

Quest’anno il programma scientifico è particolarmente intenso con la presenza anche di relatori di fama internazionale, alcuni dei quali lavorano all’estero: riteniamo fondamentale l’esigenza di allargare al massimo gli spazi di aggiornamento clinico e scientifico, sempre con un riferimento particolare alla traslazione delle ricerche anche più recenti nella nostra pratica clinica quotidiana.

L’attività di ricerca clinica della diabetologia lombarda trova espressione nelle sessioni dedicate alle comunicazioni orali.

Grande importanza è attribuita all’assistenza diabetologica in Lombardia, con il chiaro proposito di mettere a fuoco soprattutto le criticità del nostro lavoro e le possibili soluzioni per migliorarne qualità, efficienza ed efficacia.

AMD e SID hanno mantenuto elevato il grado di aggiornamento dei soci organizzando numerose iniziative culturali e formative, nonostante i problemi legati ai difficili rapporti tra l’industria farmaceutica e il Governo italiano.

Sono stati pubblicati gli “Annali AMD dell’Assistenza Diabetologica” che evidenziano la buona qualità organizzativa della diabeto- logia italiana che ha attivato un percorso di miglioramento continuo con la misurazione, standardizzata e omogenea, su tutto il ter- ritorio nazionale, di indicatori numerici utilizzando il “File Dati AMD”.

Entrambe le Società scientifiche e Diabete Italia hanno collaborato e promosso gli “Standard Italiani per la cura del Diabete Mellito”:

gli obiettivi da raggiungere, basati sulle evidenze della letteratura scientifica, sono i riferimenti a cui mirare per definire i percorsi assistenziali indispensabili per migliorare l’assistenza ai diabetici, coniugando efficacia ed efficienza clinica con un uso corretto delle risorse disponibili.

AMD e SID Lombardia hanno sempre cercato di ampliare l’interesse per il diabete mellito richiamando l’attenzione di specialisti e proponendo protocolli di integrazione con il territorio: gli Standard, un conciso documento “globale” sulla cura del diabete, sono uno strumento professionale importante non solo per i diabetologi, ma anche per altri specialisti (cardiologi, nefrologi, neurologi...) e per i medici di medicina generale.

La speranza di AMD e SID è che “Annali” e “Standard di Cura” siano utili anche alle Istituzioni per la progettazione e programma- zione di un’organizzazione sanitaria basata su una costante attenzione ai bisogni di salute delle persone con diabete.

I rapporti con le Istituzioni regionali e le ASL, nonostante l’offerta collaborativa delle due società scientifiche, presentano alcune proble- maticità: i vari gruppi di lavoro, in cui siamo stati coinvolti, hanno prodotto elaborati e decreti utili, encomiabili, ma raramente (quasi mai) applicati. L’impressione è quella che sia l’Assessorato alla Sanità sia le Amministrazioni Sanitarie Locali preferiscano mantenere rappor- ti di tipo consulenziale personali con alcuni diabetologi, negando però il ruolo specifico di referenti ufficiali ad AMD e SID regionali.

Abbiamo l’assoluta necessità di condividere gli approcci strategici con la Regione, ma anche contrattare supporti e finanziamenti necessari per rispondere alla sfida che il diabete e la sindrome metabolica pongono.

Il comune augurio di AMD e SID Lombardia è che la sessione congressuale del sabato mattina, in cui sono coinvolti per discute- re queste tematiche dirigenti dell’Assessorato regionale, delle ASL e delle Aziende Ospedaliere, sia foriera di propositi attuativi affin- ché sia possibile una diabetologia di eccellenza di fronte a un futuro che purtroppo vede questa patologia in costante aumento.

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Le recenti ricerche di Martin Seligman (Imparare l’ottimismo) e di Daniel Goleman (Intelligenza emotiva) che hanno affrontato il rapporto tra mente e corpo, hanno ormai ampiamente dimostra- to che il “modo” di guardare la vita secondo lo stile ottimista mantiene più attive le difese immunitarie, favorisce una maggio- re e migliore attenzione ai problemi della salute, il ricorso tempe- stivo al supporto medico, protegge e sviluppa il supporto socia- le ossia la capacità di instaurare forti legami di amicizia e di amore.

La persona diabetica può quindi rispondere con lo stile pessimi- sta o con quello ottimista; tanto il primo stile quanto il secondo non sono innati ma frutto di apprendimento.

“Ottimisti non si nasce, ma lo si può diventare apprendendo a guardare alla vita in modo da trarre il massimo vantaggio dalle lezioni dell’esperienza, dalle proprie capacità e dalle opportunità dell’ambiente” (G.V. Caprara).

Perché il diabetico possa apprendere a rispondere alle difficoltà della malattia con le migliori strategie:

principio della normalizzazione: partire dal normale, agire nel normale e tendere al normale;

difesa dell’autostima mediante il riconoscimento dei propri limiti ma anche la valorizzazione delle proprie capacità e la trasformazione delle potenzialità in capacità, grazie a un costante sviluppo del processo educativo e formativo;

potenziamento dell’autoefficacia percepita (A. Bandura) inte- sa come la convinzione di sapere e di poter comprendere, governare e risolvere, di volta in volta, i grandi e piccoli pro- blemi del vivere quotidiano, non dimenticando certamente la realtà dei vincoli, ma facendo affidamento anche sulle risor- se residue;

controllo e gestione delle emozioni attraverso le seguenti tappe: riconoscimento delle proprie emozioni, anche quelle forti e dolorose, identificazione delle cause interne ed ester- ne, ricerca delle possibili soluzioni realistiche e adeguate;

è altrettanto necessario che l’ambiente esterno che lo circonda crei tutte le condizioni ottimali in termini di informazione, di ascol- to, di aiuto effettivo materiale e psicologico.

Si tratta di stabilire una salda alleanza tra famiglia, operatori sani- tari, ambiente di lavoro, associazioni e istituzioni politiche, che sappia definire un piano di intervento mirato, concreto e condi- viso, nel quale, ciascuno per le proprie competenze e ruolo, fac- cia fino in fondo la sua parte.

Troppo spesso il diabetico si trova solo, senza ascolto, senza aiuti ed è proprio in questo momento che la tentazione pessimi- sta può prendere il sopravvento.

Bibliografia

Seligman MEP. Imparare l’ottimismo. Firenze: Giunti 1996.

Goleman D. Intelligenza emotiva. Milano: BUR 1999.

Campos Herrero J. Le ragioni del cuore. Milano: Paoline 2004.

Bonino S. Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia. Bari: Laterza 2006.

Bandura A. Il senso di autoefficacia. Trento: Erickson 1997.

Nuove evidenze nella neuropatia diabetica: dalla pato- genesi alla terapia

Cornblath DR

Diabetic neuropathies are the most common neuropathies in industrialized countries. While a number of different types of neuropathy are covered by the term, diabetic neuropathy, the most common is a distal, symmetric, sensory and autonomic >

motor polyneuropathy that progresses in a length-dependent fashion, most commonly called diabetic peripheral neuropathy or DPN. DPN is a progressive distal axonopathy beginning in the toes and progressing proximally. Clinical manifestations may be positive – pain, dysesthesias, or diarrhea – or negative – numb-

ness, weakness, or sexual dysfunction. Treatment of the underly- ing polyneuropathy is currently limited to excellent glycemic con- trol, but many investigational drugs are undergoing clinical trials in order to reverse the relentless progression of DPN. Many approved and unapproved drugs are available for the neuropa- thic pain and sexual dysfunction. Lesser numbers of people with diabetes suffer from the focal and multifocal neuropathies, most of which spontaneously improve. In past 5 years, there has been an explosion in knowledge concerning the pathogenesis of DPN. A comprehensive theory has been proposed by Brownlee which incorporates many of the prior data into a single hypothe- sis. This hypothesis leads toward the mitochondria where much of the current research interest is heading. This hypothesis sug- gests additional approaches to therapy of DPN.

Le evidenze per la miglior terapia ipoglicemizzante nel diabetico cardiopatico

De Micheli A

L’insufficienza cardiaca è presente nel 12% dei diabetici, rispet- to al 3% dei non diabetici. La concomitanza del diabete peg- giora la prognosi dell’insufficienza cardiaca, anche dopo aggiu- stamento per la presenza di altri fattori di rischio cardiovascola- re e di cardiopatia ischemica. In questo contesto epidemiologi- co è opinione condivisa che lo stretto compenso metabolico sia benefico nei pazienti con diabete e insufficienza cardiaca, ma non esistono tuttavia ancora prove conclusive. Si discute sull’u- tilizzo dei diversi ipoglicemizzanti orali in relazione alla loro inter- ferenza con la funzionalità cardiaca (sulfoniluree), la possibilità di indurre acidosi lattica (metformina) e l’induzione di ritenzione idrica (glitazonici), che ne controindica comunque l’utilizzo nelle classi di insufficienza cardiaca più avanzata. Il trattamento insu- linico potrebbe avere effetti benefici sulla funzione miocardica ma è stato anche associato ad aumento della mortalità. Una recente revisione sistematica indica che la metformina è l’unico ipoglicemizzante non associato a rischi nel diabetici con insuf- ficienza cardiaca. L’utilizzo di tale farmaco è comunque possi- bile nell’insufficienza cardiaca se la funzione renale è normale.

La trimetazina, l’etoxomir e il dicloroacetato, capaci di modifica- re il metabolismo cardiaco, sono stati studiati nei diabetici con insufficienza cardiaca, ma i risultati non sono al momento con- clusivi.

Focus on: il nuovo modello organizzativo per lo screen- ing e la diagnosi della retinopatia diabetica

Grassi G

La retinopatia diabetica rappresenta, nei Paesi industrializzati, la prima causa di cecità legale tra i soggetti in età lavorativa.

La sintomatologia soggettiva può essere scarsa o assente anche in presenza di gravi lesioni retiniche, l’adozione di efficaci programmi di screening è l’indispensabile premessa per ridurre i casi di gravi compromissioni visive da diabete.

Attualmente in Italia non viene utilizzato un metodo standard di screening, diverse modalità, dalla semplice oftalmoscopia alla fotografia digitale vengono utilizzate secondo attitudini e risorse locali.

Un modello di screening per la retinopatia diabetica riconosciu- to attualmente come efficace prevede l’utilizzo di retinografi digi- tali in strutture integrate nei Servizi di Diabetologia ottimizzando le risorse e permettendo maggior uniformità di applicazione dei criteri diagnostici.

Prospettive future sono rappresentate dall’utilizzo di sistemi automatici di riconoscimento delle lesioni retiniche e applicazio- ni di telemedicina per estendere lo screening e la diagnosi della retinopatia.

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Neuropatologia della neuropatia diabetica: biopsia del nervo e biopsia della cute

Lauria G

Il diabete causa vari tipi di neuropatia che si differenziano per patogenesi e presentazione clinica. Circa il 10% dei pazienti pre- senta sintomi e segni clinici di neuropatia al momento della dia- gnosi di diabete e tale percentuale raggiunge il 50% nei pazien- ti con malattia da oltre 15 anni. La neuropatia sensitivo-motoria e autonomica rappresenta la forma più comune e le sue compli- canze sono causa di severa morbilità e precoce mortalità. Il dia- bete causa alterazioni della funzione assonale che si traducono in una precoce degenerazione delle fibre nervose sensitive e in una ridotta capacità di rigenerazione. Le fibre sensitive di picco- lo calibro che trasportano la sensibilità termica e dolorosa e quelle con funzioni autonomiche sono inizialmente coinvolte nel processo degenerativo. Gli studi neuropatologici del passato hanno identificato le caratteristiche alterazioni della neuropatia diabetica. Recentemente, la biopsia cutanea ha permesso di dimostrare le modificazioni strutturali più precoci delle fibre ner- vose di piccolo calibro. Questa metodica ha reso più precoce la diagnosi e ha permesso di utilizzare lo studio neuropatologico anche nella ricerca clinica.

Recenti acquisizioni sulla patogenesi della retinopatia diabetica

Lorenzi M

Il diabete lascia il segno su tutti i tipi di cellule nella retina: neu- roni, glia e cellule dei vasi. Le conseguenze cliniche della retino- patia diabetica derivano soprattutto dal danno iperglicemico alle cellule vascolari, che si traduce in processi quali accelerata apoptosi, eventi proinfiammatorii e microtrombosi. Tali processi portano all’obliterazione dei vasi e all’ischemia che induce la fase proliferativa della retinopatia diabetica. Il danno alle cellule vascolari si traduce anche in una diminuita funzione di barriera emato-retinica che può causare edema maculare. Ma un nuovo e importante protagonista dell’edema maculare diabetico potrebbero essere le cellule gliali di Müller. Questa possibilità è da valutare in modo rigoroso, perché aggiungerebbe nuovi ber- sagli terapeutici. La ricerca genome-wide dei cambiamenti di espressione genica indotta dal diabete nei capillari retinici sta presentando nuovi possibili meccanismi del danno vascolare; la documentazione del ruolo di questi candidati è un’altra strategia per acquisire bersagli terapeutici razionali.

Il metabolismo del cuore insufficiente e del cuore ischemico

Trevisan R

I meccanismi che spiegano l’elevato rischio di scompenso car- diaco nei pazienti diabetici sono multifattoriali. Possono essere suddivisi in indiretti, e riguardano principalmente le patologie fre- quentemente associate al diabete quali per esempio la corona- ropatia, l’ipertensione e l’obesità, e in diretti, ossia causati dalle alterazioni metaboliche presenti nel diabete.

È peraltro dimostrato che le comorbilità presenti nel diabete sono più severe e aumentano il rischio di malattie cardiovasco- lari1. Ciò suggerisce che l’iperglicemia sia un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, in particolare è stata dimostrata una chiara associazione tra il controllo del glucosio e l’incidenza dell’insufficienza cardiaca, con un incremento di rischio proporzionale ai valori di HbA1ccome dimostrato da un’a- nalisi epidemiologica dell’UKPDS2.

L’iperglicemia causa una disfunzione endoteliale alterando la degradazione del NO, attraverso un’eccessiva produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), in particolare l’anione supe- rossido, implicato nella disfunzione cellulare e nell’apoptosi3,4. Il diabete è caratterizzato dall’incremento del livello circolante di acidi grassi liberi (NEFA), che risultano essere il principale mate- riale energetico per il muscolo cardiaco a discapito di un mag- gior consumo di ossigeno necessario per l’ossidazione di tali substrati. È inoltre dimostrato dai dati presenti in letteratura, che tra le proteine deputate al trasporto dei NEFA, vi è un aumento della FAT/CD36, implicata nell’eziopatogenesi della cardiomio- patia diabetica e dell’ipertrofia cardiaca. L’attivazione della FAT/CD36 non solo contribuirebbe alla disfunzione contrattile, ma anche all’aumentata sensibilità del cuore diabetico all’insulto ischemico5,6.

Elevati valori di glucosio determinano inoltre l’incremento della produzione di diacilglicerolo (DAG), un secondo messaggero lipidico che attiva le chinasi appartenenti alla famiglia della PKC (protein chinasi C). Tali molecole riducono la funzione vasodila- tatoria7, riducendo la produzione di NO, aumentano l’attività procoagulante delle cellule endoteliali8, aumentano macromole- cole della matrice extracellulare, che si accumulano durante la formazione delle lesioni aterosclerotiche e infine incrementano la produzione di citochine proinfiammatorie e la produzione di cel- lule nella parete vascolare9. La stessa insulino-resistenza può contribuire all’insufficienza cardiaca. Pazienti con insulino-resi- stenza, prima di sviluppare il diabete, sono frequentemente iper- tesi e obesi, hanno una disfunzione endoteliale e uno stato proinfiammatorio. Tutti questi fattori possono contribuire alla dis- funzione endoteliale10. Inoltre, l’iperinsulinemia, come conse- guenza di una ridotta sensibilità insulinica, è associata all’attiva- zione del sistema nervoso simpatico, che può contribuire allo sviluppo della disfunzione miocardica e al peggioramento di una preesistente insufficienza cardiaca. L’insulino-resistenza nello scompenso cardiaco potrebbe avere degli effetti deleteri anche direttamente sul cuore: si è ipotizzato che, a livello miocardico, la resistenza all’azione insulinica possa diminuire la disponibilità di glucosio come fonte di energia per le cellule muscolari car- diache.

In conclusione, come risulta dai complessi meccanismi metabo- lici sopraccitati, nei diabetici vi è una modificazione strutturale e funzionale a livello cardiaco, indipendenti dagli altri fattori di rischio, in precedenza definiti come indiretti.

Tutto ciò porta alla definizione di “cardiomiopatia diabetica”

caratterizzata dall’ipertrofia dei miociti, dalla fibrosi interstiziale e dalla malattia dei piccoli vasi, caratterizzata da fibrosi perivasco- lare, ispessimento della membrana basale e formazione di microaneurismi11. La presenza di cardiomiopatia diabetica, spesso associata a ipertensione arteriosa e a ischemia miocar- dica, determina una fibrosi del miocardio con disfunzione inizial- mente diastolica e poi sistolica. In aggiunta, la fibrosi del musco- lo papillare determina un’insufficienza mitralica che contribuisce a un’alterata disfunzione ventricolare sinistra.

Bibliografia

1. Malmerg K, Yusuf S, Gerstein HC et al. Impact of diabetes on long-term prognosis in patients with unstable angina and non Q- wave myocardial infarction: result of the OASIS (Organization to Assess Strategies for Ischemic Syndromes) Registry. Circulation 2000;100:1014-9.

2. Stratton IM, Adler AI, Neil HA et al. Association of glycaemia with macrovascular and microvascular complications of type 2 diabetes (UKPDS 35): prospective observational study. BMJ 2000;321:405-12.

3. Nishikawa T, Edelstein D, Du XL et al. Normalizing mitochon- drial superoxide production blocks three pathways of hypergly- caemic damage. Nature 2000;404:787-90.

4. Simon HU, Haj-Yehia A, Levi-Schaffer F. Role of reactive

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oxygen species (ROS) in apoptosis induction. Apoptosis 2000;5:415-8.

5. Bonen A, Benton CR, Campbell SE et al. Plasmalemmal fatty acid transport is regulated in heart and skeletal muscle by con- traction, insulin and leptin, and in obesity and diabetes. Acta Physiol Scand 2003;178:347-56.

6. Luiken JJ, Koonen DP, Willwms J et al. Insulin stimulates long-chain fatty acid utilization by rat cardiac myocytes through cellular redistribution of FAT/CD 36. Diabetes 2002;51:3113-9.

7. Kuboki K, Jiang ZY, Takahara N et al. Regulation of endothe- lial constitutive nitric oxide synthase gene expression in endothelial cells and in vivo: A specific vascular action of insulin.

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8. Terry CM, Callhan KS. Proteine kinase C regulates cytokine- induced tissue factor transcription and proagulant activity in human endothelial cells. J Lab Clinic Med 1996;127:81-93.

9. Koya D, King GL. Proteine kinase C activation and the devel- opment of diabetic complications. Diabetes 1998;47:859-66.

10. Parsonage W, Hetmanski D, Cowely A et al. Differentiation of the metabolic and vascular effects of insulin in insulin resist- ance in patients with chronic heart failure. Am J Cardiol 2002;89:696-703.

11. Hardin NJ. The myocardial and vascular pathology of dia- betic cardiomyopathy. Coron Artery Dis 1996;7:99-108.

Riassunti

Utilizzo dei microinfusori per insulina in una popolazio- ne pediatrica: esperienza del San Raffaele

Azzinari A, Bettini S, Piscopo MA, Rigamonti A, Biffi V, Bonfanti R, Viscardi M, Meschi F, Chiumello G

Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

Dal novembre del 2004 a oggi abbiamo posto in terapia insulinica mediante microinfusore (CSII) 45 pazienti con diabete di tipo 1.

La selezione del paziente viene effettuata dal team diabetologi- co. Il paziente motivato all’utilizzo del microinfusore viene valuta- to inizialmente dal diabetologo che verifica se c’è effettiva indi- cazione all’utilizzo della CSII. Il candidato viene inviato dalla die- tista per effettuare il percorso di rivalutazione dietetica che com- prende il conteggio dei carboidrati. Una volta effettuato tale per- corso il candidato viene ricoverato e si effettua il colloquio psico- logico necessario per valutarne la motivazione e l’assenza di altre problematiche, quali disturbi dell’alimentazione, che potrebbero non essere evidenti durante le visite ambulatoriali. Il ruolo infermieristico è altresì importante per il monitoraggio del paziente, in maniera attenta e quotidiana durante tutto il ricove- ro, nella gestione pratica dell’utilizzo della CSII. Durante il ricove- ro viene effettuata un’accurata educazione per gli aspetti pratici e metabolici della gestione dello strumento.

Come parametri di efficacia della terapia mediante CSII, sono stati valutati: modificazione dell’emoglobina glicosilata, anda- mento del peso (BMI), frequenza ipoglicemie gravi e chetoacido- si, infezioni del sito di inserzione della cannula. Attualmente abbiamo 45 pazienti in terapia con microinfusore con età media di 11,5 anni (0-6 anni: 9, 7-15 anni: 32, 16-22 anni: 4).

Indicazioni all’uso della CSII sono: frequenti ipoglicemie (3), fenomeno alba (3), controllo metabolico insoddisfacente in tera- pia multiiniettiva (15), qualità della vita (21), agofobia (2), iniziali complicanze (1).

HbA1c: dopo 6 mesi, 0,8% (7,8% vs 7% p = 0,001) per 32 pazienti; dopo 12 mesi, 0,5% (7,3%) per 22 pazienti; dopo 16 mesi, 0,4% (7,4%) per 15 pazienti; dopo 2 anni, 0,4% (7,4%) per 12 pazienti. Il BMI è rimasto stabile (19,9 vs 20 kg/m2). Non abbiamo riscontrato ipoglicemie gravi, né DKA, mentre si sono verificati 2 casi di infezioni in sede di inserzione della cannula.

Due pazienti hanno sospeso la CSII rispettivamente dopo 1 anno e 8 mesi e dopo 3 anni di terapia.

In conclusione il microinfusore, partendo da un’accurata selezio- ne, da un approfondito addestramento all’utilizzo e da una cor- retta educazione alimentare, si conferma metodica efficace, sicura e sostenibile nel medio termine nella terapia del diabete mellito di tipo 1 in età pediatrica.

Prevalenza di diabete di tipo 1b in età pediatrica Bettini S, Bonfanti R, Rigamonti A, Azzinari A, Piscopo MA, Biffi V, Viscardi M, Meschi F, Chiumello G

Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Istituto Scientifico H San Raffele, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

La maggioranza dei casi di diabete tipo 1 riconosce una patoge- nesi autoimmune documentabile attraverso il dosaggio degli autoanticorpi quali marker implicati nel processo di distruzione delle cellule beta pancreatiche. Negli ultimi 20 anni sono stati identificati altri tipi di diabete dell’età infantile che non sono asso- ciati a positività autoanticorpale e che possono non necessitare di trattamento insulinico. Tra questi tipi ritroviamo il diabete di tipo 2, in genere associato a obesità, il diabete genetico (MODY), il diabete mitocondriale, il diabete legato a sindromi (Wolfram o altri), il diabete neonatale e il diabete postinfettivo. Al di fuori di questi ultimi esiste una minima percentuale di pazienti che non ha positività autoanticorpale e non rientra in quelle categorie. Tali pazienti, in trattamento insulinico sostitutivo, vengono classificati secondo l’ADA come aventi un diabete di tipo 1b o “idiopatico”, la cui patogenesi non è attualmente ancora conosciuta.

Nella nostra clinica pediatrica abbiamo analizzato 324 pazienti consecutivi con esordio di diabete insorto tra il 2003 e il 2006.

Durante il ricovero all’esordio sono stati dosati per ogni pazien- te 4 autoanticorpi (ICA immunofluorescenza indiretta; GAD, IA2, IAA immunoprecipitazione) utilizzando quali cut off di positività quelli forniti dal nostro laboratorio (ICA: debolmente positivi, positivi; GAD > 3 UA; IA2 > 1 UA; IAA > 5 UA).

Abbiamo ottenuto i seguenti risultati: 21 (6%) su 324 pazienti non avevano nessuno dei 4 anticorpi alla diagnosi. Dodici pazienti erano classificabili come: 3 presentavano un diabete tipo 2, 3 erano MODY, 5 presentavano un diabete legato a sin- dromi (di cui 2 Wolfram), un paziente presentava un diabete postinfettivo (CMV). Nove (2,7%) di questi 21 pazienti rientrava- no nella classificazione di diabete tipo 1b o idiopatico. Ci propo- niamo di indagare le possibili cause coinvolte nella diagnosi di questo tipo di diabete.

Impatto della terapia e del controllo glicemico sull’au- tonomia nelle normali attività quotidiane negli anziani con diabete mellito di tipo 2

Bossoni S1, Mazziotti G1, Orini S1, Martinelli D1, Romanelli G1, Solerte B2, Gazzaruso C3, Giustina A1

1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Brescia; 2Geriatria, Università degli Studi di Pavia; 3Istituto Clinico “Beato Matteo” Vigevano

Recenti studi epidemiologici suggeriscono che il diabete mellito sia un fattore di rischio per la perdita dell’autonomia funzionale e

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per la comparsa di disabilità, prognosticamente sfavorevole, nei soggetti anziani. Non è noto se ciò dipenda dagli effetti dell’iper- glicemia cronica, da un’aumentata resistenza all’insulina o sia una conseguenza delle complicanze croniche del diabete. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare l’impatto del controllo glicemico e della terapia ipoglicemizzante sulla disabilità nelle atti- vità strumentali quotidiane in un gruppo di pazienti diabetici anziani di tipo 2. Abbiamo studiato 43 pazienti diabetici tipo 2 non dementi (MMSE > 20) (25 F e 18 M) (età 68-92 anni) e 39 normali (22 F e 17 M) (età 67-94 anni). Tutti i soggetti sono stati sottoposti a una valutazione multidimensionale comprensiva dello studio delle funzioni cognitive mediante MMSE (mini-mental state examination), dello stato funzionale mediante l’indice di Barthel, IADL (instrumental activity of daily living) e ADL (activity of daily living) e della valutazione del tono dell’umore mediante GDS (geriatric depression scale). L’analisi multivariata ha dimostrato che il punteggio IADL era significativamente e indipendentemen- te correlato con i valori di HbA1c(p = 0,009) e la storia di stroke (p = 0,001). Inoltre, nei pazienti in buon controllo glicemico, la di- sabilità nelle IADL era meno frequente nei pazienti in terapia con ipoglicemizzanti orali rispetto a quelli controllati con la sola dieta (30,8% vs 75%, Chi-square 3,9, p = 0,05) sebbene i valori di HbA1c fossero simili.

Analiticamente, l’impatto del buon controllo è risultato significa- tivo sui seguenti parametri di disabilità: gestione della casa (p = 0,01), capacità di assunzione dei medicinali (p = 0,04), uso del telefono (p = 0,04) e gestione finanziaria (0,05), senza una significativa differenza nella capacità di spostamento. In conclu- sione, i nostri dati suggeriscono che sia il controllo metabolico per sé sia il tipo di terapia ipoglicemizzante (probabilmente attra- verso una riduzione della resistenza insulinica) possono avere un impatto positivo sulla disabilità e quindi sulla prognosi dell’anzia- no diabetico.

Caratteristiche e costi della dialisi nei soggetti diabetici Cerra C, Dellagiovanna M, Grugni F, Fratino P

Dipartimento PAC, ASL della Provincia di Pavia

Premessa. Le modalità dialitiche dedicate ai soggetti diabetici sono molto difformi.

Obiettivo. Mappare nell’ambito dell’ASL di Pavia le caratteristi- che delle prestazioni dialitiche e i costi relativi.

Materiali e metodi. Nell’ASL di Pavia sono assistiti circa 24.500 diabetici (4,7% della popolazione generale) per un consumo sani- tario annuo pro-capite di 2780 € e un’età media di 67,5 anni. In più del 75% dei casi il diabete è complicato da altre patologie croniche. Gli assistiti diabetici in terapia dialitica nel 2005 sono stati 127 (60,1% maschi; 39,9% femmine). Questi pazienti si sono rivolti a 4 centri provinciali, che si distribuiscono la casistica in modo pressoché omogeneo. I centri di riferimento sono pres- so l’Azienda Ospedaliera (2), presso l’IRCCS pubblico Policlinico San Matteo (1) e presso l’IRCCS privato Maugeri Pavia (1). Nel corso dell’anno 2005 sono state effettuate più di 17.000 dialisi, per una media di 135 per assistito. L’importo pro-capite annuo è molto differente tra i centri di riferimento (da un minimo di 15.800

€ a un massimo di 23.700 €), così come molto variabile è l’of- ferta dialitica. Su un totale di 9 tipologie di dialisi codificate e tarif- fate, si va da un minimo di 4 tipologie praticate presso il centro privato a un massimo di 8 presso l’Ospedale Civile di Vigevano dell’Azienda Ospedaliera di Pavia. Si osserva come la maggiore ricchezza di offerta si associ a minori costi.

Conclusione. I dati riportati evidenziano la notevole disomoge- neità di trattamento dialitico, con notevole ricaduta sui costi delle prestazioni. È auspicabile una mappatura nazionale di questo segmento assistenziale ai fini di una migliore e più strutturata programmazione dei bisogni futuri.

Percorso assistenziale integrato per il diabete mellito:

progetto in itinere

Cerra C, Dellagiovanna M, Grugni F, Fratino P Dipartimento PAC, ASL della provincia di Pavia

Premessa. Il percorso assistenziale per il diabete mellito noto- riamente necessita di integrazioni specialistiche stante la com- plessità della malattia.

Obiettivo. Valutare una nuova modalità assistenziale, nell’ottica della medicina di iniziativa: Gruppi di Cure Primarie (GCP).

Materiali e metodi. A fronte del possesso di standard strutturali e organizzativi, e di forme di incentivazione e di supporto di per- sonale da parte dell’ASL, 55 medici di Medicina Generale (MMG) suddivisi in 13 GCP attualmente svolgono la loro attività profes- sionale in altrettante sedi centralizzate. Hanno concordato con l’ASL una serie di obiettivi per il miglioramento delle prestazioni e dell’accessibilità ambulatoriale. La popolazione diabetica recluta- ta soddisfa due criteri: stabilizzazione clinico-metabolica e assen- za di complicanze d’organo clinicamente espresse. Tali requisiti saranno applicati ai 1440 diabetici in carico con età compresa tra 40 e 75 anni. Per il monitoraggio e la valutazione della sperimen- tazione in atto l’ASL dispone di un DataWareHouse (DWH) di trattamento dei database e di una banca dati assistiti (BDA). Tali strumenti permettono di mappare i consumi sanitari di tutta la popolazione della provincia (circa 520.000 persone), diabetici compresi. Nell’ASL di Pavia sono assistiti circa 24.500 diabetici (4,7% della popolazione generale) per un consumo sanitario annuo pro capite di 2780 € e un’età media di 67,5 anni. Di que- sti pazienti il 18% è in terapia con insulina e il 20% non assume farmaci. In più del 75% dei casi il diabete è complicato da altre patologie croniche. Circa il 60% delle risorse dedicate è assorbi- to dai ricoveri ospedalieri e il 25% dalla terapia farmacologica.

Conclusione. Il percorso assistenziale implementato a livello dei GCP permetterà una più puntuale conoscenza epidemiolo- gica del territorio, utile ai fini della programmazione per l’assi- stenza diabetologica.

Il ruolo del “Caronte” nel trasferimento del giovane dia- betico dal diabetologo pediatra a quello dell’adulto: l’e- sperienza varesina

Chiaravalli S1, Franzetti I2, Saporiti A1, Bianchi G1, Cardani R1, Ultori C2, Salvatoni A1

1Clinica Pediatrica Università degli Studi dell’Insubria; 2Unità Operativa di Diabetologia, AO Ospedale di Circolo, Varese Introduzione. Il raggiungimento della maggiore età e il conse- guente trasferimento al diabetologo dell’adulto è un momento critico per il giovane diabetico che spesso esita in una progres- siva riduzione della frequenza ai controlli fino al drop-out.

Scopo. Pianificare e testare un processo di trasferimento del paziente diabetico dal diabetologo pediatra a quello dell’adulto in grado di garantire la continuità della gestione del paziente in termini sia quantitativi (frequenza dei controlli, controllo metabo- lico) sia qualitativi (adattamento alla nuova gestione, soddisfazio- ne del paziente, qualità di vita).

Pazienti e metodi. Ventidue pazienti affetti da DMT1, 14 maschi e 8 femmine, di età compresa fra 21 e 33 anni (media 25,5 anni), con durata di malattia fra 5 e 19 anni, seguiti pres- so l’ambulatorio di diabetologia pediatrica (DP) del presidio Filippo del Ponte di Varese. Presso la Diabetologia dell’Ospedale di Circolo di Varese (DA) è stato allestito un ambulatorio dedicato ad accogliere i diabetici trasferiti dalla DP attrezzato per dosaggio capillare dell’HbA1c, cartella informa- tizzata compatibile con quella in uso presso la DP, software per

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lo scarico delle glicemie da glucometro e gestito da un unico diabetologo (FI2). La procedura, affidata a un medico della DP (CS1), al quale è stato scherzosamente attribuito lo pseudoni- mo di “Traghettatore” o “Caronte”, prevedeva le seguenti fasi:

a) ultima visita presso ambulatorio di DP durante la quale, oltre ai normali accertamenti (glicemia, scarico su computer della memoria del glucometro, HbA1c con DCA-2000 plus-Bayer, valutazione della pressione arteriosa) venivano prescritti quelli per monitoraggio delle complicanze ed eseguita la fotografia del fundus oculi; b) due visite presso l’ambulatorio della DA accompagnato dal “Caronte”; c) terza visita senza “Caronte”;

d) quarta visita in presenza del “Caronte” con valutazione del drop-out e somministrazione di questionario valutativo sull’ef- ficacia dell’intero processo.

Risultati e conclusioni. Attualmente 22 pazienti hanno com- pletato la fase a) e 20 iniziato la fase b). In questa prima fase il ruolo del “Caronte” è stato a nostro avviso determinante per limitare il drop-out che sarebbe stato almeno del 25% già alla prima visita presso la DA. La conferma della validità della pro- cedura da noi proposta richiede il completamento dell’intero processo.

Funzione tiroidea nei soggetti obesi: valutazione basa- le e dopo perdita di peso tramite bendaggio gastrico (LAGB)

Dall’Asta C1, Morabito A1, Paganelli M2, Vedani P2, Pontiroli AE1

1Università degli Studi di Milano, AO San Paolo, Milano;

2IRCCS San Raffaele, Milano

È osservazione comune che i soggetti obesi presentino livelli di TSH più elevati dei soggetti normali, mentre non vi è accordo per quanto riguarda i livelli delle frazioni libere degli ormoni tiroidei.

Inoltre, esistono pochi dati riguardanti la funzione tiroidea dopo perdita di peso. Scopo di questo studio è stato la valutazione della funzione tiroidea in 248 pazienti obesi (OB: 208 F e 40 M, BMI 44,4 ± 0,41 kg/m2, età 40,8 ± 0,7) in condizioni basali e 6, 12, 24 mesi dopo perdita di peso tramite bendaggio gastrico (LAGB) e in 27 soggetti normali (N: 23 F e 4 M, BMI 21,7 ± 0,40 kg/m2, età 39,8 ± 2,6); è stato effettuato il dosaggio di TSH, fT4, fT3, glicemia, insulina, profilo lipidico. Al termine del follow-up è stata ottenuta una significativa perdita di peso (da 44,4 ± 0,41 a 36,8 ± 0,45 kg/m2, p < 0,001) e un miglioramento di tutti i para- metri metabolici considerati a eccezione del colesterolo totale e LDL; i livelli di TSH sono rimasti stabili (1,83 ± 0,06 vs 1,91 ± 0,13 µU/ml), con una riduzione dei livelli di fT3 (3,38 ± 0,05 vs 2,95 ± 0,06 pg/ml, p < 0,001) e un aumento di quelli di fT4 (1,17

± 0,01 vs 1,23 ± 0,02 ng/dl, p < 0,001). In condizioni basali, negli OB sono stati osservati livelli di TSH (1,83 ± 0,06 vs 1,36 ± 0,01 µU/ml, p < 0,02) e fT3 (3,38 ± 0,05 vs 2,98 ± 0,06 pg/ml, p < 0,041) superiori rispetto ai N; tali differenze non sono più state riscontrate dopo perdita di peso, quando invece i livelli di fT4 degli OB sono risultati superiori a quelli dei N (1,23 ± 0,02 vs 1,09 ± 0,04 ng/dl, p < 0,02). È stata osservata una debole cor- relazione tra TSH e BMI (p < 0,05), tra fT3 e insulina e HOMA (p

< 0,03 e < 0,05, rispettivamente), tra fT4 e glicemia e HOMA (p

< 0,03); i livelli di fT4, sia in condizioni basali sia dopo calo pon- derale, correlano con il delta della glicemia (glic basale-glic 2 anni, p < 0,05). In conclusione, negli OB si riscontrano alcune anomalie della funzione tiroidea rispetto ai normali, probabilmen- te prive di significato clinico, anche se livelli più elevati di fT4 appaiono correlati a un maggior miglioramento della glicemia dopo calo ponderale. Dopo perdita di peso si osserva una modi- ficazione dei parametri con lieve aumento dei livelli di fT4 e ridu- zione dell’fT3 rispetto al basale, fenomeno forse dovuto a una ridotta clearance dell’ormone.

Approccio multidisciplinare nella cura di estese ulcere cutanee croniche delle gambe in pazienti diabetici De Giglio R1, Vercesi F2, Brunati S3, Cimmino M4, Locati P5

1Ambulatorio di Diabetologia Corsico, Unità Operativa Medicina, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano, Presidio di Abbiategrasso; 2Unità Operativa Chirurgia Plastica, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano, Presidio di Magenta; 3Unità Operativa Medicina, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano, Presidio di Abbiategrasso; 4Unità Semplice Ortopedia, Unità Operativa Ortopedia, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano, Presidio di Abbiategrasso; 5Unità Operativa Chirurgia Vascolare, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano, Presidio di Legnano

Introduzione. Spesso è stata sottolineata l’importanza di un approccio multidisciplinare necessario per la cura delle ulcere croniche, ma estremamente faticosa è risultata la sua realizza- zione. Gestire una lesione cutanea in un paziente diabetico è per definizione complesso; da tempo sono affermati due approcci, costituiti da procedure note e codificate, che tengono conto della molteplicità degli aspetti utili a ottenerne la guarigione: la wound bed preparation (WBP) e il TIME (tissue – infection o inflammation – misture imbalance – epidermal margin).

Scopo. Dal gennaio 2006 al maggio 2007 sono stati seguiti e trattati 10 pazienti diabetici affetti da estese ulcere cutanee, pre- cedentemente insorte, localizzate esclusivamente alle gambe (4 monolaterali e 6 bilaterali). Scopo dello studio è stato dimostra- re la necessità di utilizzo di molteplici trattamenti (dalla VAC tera- pia a innesti di sostituti dermali) per arrivare a un soddisfacente risultato nel difficile trattamento di queste lesioni.

Materiali e metodi. Sono stati arruolati 10 pazienti tutti con DM tipo 2; insulino-trattati: 7 e con antidiabetici orali: 3; M/F 2/8, di età compresa fra i 57 e gli 88 anni; l’emoglobina glicata (A1c) risultava fra i 6,8 e l’8,7%. Una paziente, in cui era assente la palpazione del polso periferico, è stata sottoposta a rivascolariz- zazione mediante bypass femoro-popliteo dopo aver eseguito ossimetria transcutanea (TcPO2= 15 mmHg) e angiografia dis- tale che mostrava un blocco popliteo sovragenicolare; due soli pazienti mostravano segni di neuropatia periferica confermata dal monofilamento e dal biotesiometro (VPT > 25 mV). Vi erano differenti patologie associate (epatopatia HCV posit.; cardiopatia ischemica; ipertensione arteriosa; 2 malattie autoimmuni in tera- pia steroidea). Le ulcere interessavano, in modo differente, dal terzo prossimale al terzo distale della gamba (compresa la cavi- glia), in due casi a manicotto, con una superficie che andava da un minimo di 8 × 4 cm a un massimo di 22 × 16 cm. La durata delle cure si è protratta fra i 3 e i 12 mesi a seconda del caso cli- nico. Durante tale periodo, i 10 pazienti sono stati sottoposti a debridment chirurgico delle lesioni durante il ricovero ospedalie- ro, VAC terapia, terapie antibiotiche sulla base di tamponi coltu- rali, ciclo di ossigenoterapia iperbarica in 2 casi, consulenze del chirurgo vascolare e chirurgo plastico, innesti di sostituti dermali o innesti dermoepidermici in 5 casi, medicazioni avanzate seguendo i concetti del TIME e della WBP.

Risultati. Otto pazienti sono giunti a chiusura completa delle lesioni, un paziente risulta non ancora guarito (dopo 5 mesi di trattamento) nonostante le due lesioni si siano ridotte di dimen- sioni e un paziente è deceduto per morte improvvisa.

Conclusioni. Lo sforzo compiuto per seguire e trattare i 10 pazienti diabetici molto eterogenei fra loro per patologie associa- te, multiterapie e con eziologia delle lesioni cutanee multifattoria- li, ha comportato la necessità di seguire i principi di base per il trattamento delle lesioni, partendo dal corretto apporto di ossi- geno mediante un’adeguata vascolarizzazione dell’arto, un

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debridment chirurgico nei casi di tessuto necrotico, l’uso di ade- guata terapia antibiotica in caso d’infezione, corrette medicazio- ni o presidi per il controllo dell’essudato e infine la chiusura della lesione mediante innesti di sostituti dermali e dermoepidermici al fine di raggiungere l’obiettivo di riepitelizzazione completa. In questo percorso è stato utile avvalersi anche di consulenze spe- cialistiche, come il chirurgo plastico e il chirurgo vascolare. Tutto ciò dimostra la necessità di un coordinamento fra ambulatorio, attività di reparto e coinvolgimento di altri specialisti con la pos- sibilità di utilizzare la sala operatoria per la fase strettamente chi- rurgica. Un approccio multidisciplinare che potrebbe trovare il suo anello di congiunzione nel controllo costante del paziente anche sul territorio, riducendo i periodi di ospedalizzazione e razionalizzando meglio le risorse specialistiche intraospedaliere.

Valutazione dell’infiammazione e delle MMPs nei sog- getti con e senza diabete durante OGTT

Derosa G1, Salvadeo SAT1, D’Angelo A1, Ferrari I1, Gravina A1, Ramondetti F1, Maffioli P1, Cicero AFG2

1Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università di Pavia, Pavia; 2“G. Descovich” Centro di Studio dell’Aterosclerosi, “D. Campanacci” Dipartimento di Clinica Medica e Biotecnologie Applicate, Università di Bologna, Bologna

Introduzione. È noto in letteratura che alcuni parametri dell’in- fiammazione risultano alterati nel paziente diabetico rispetto ai soggetti non diabetici.

Scopo. Confrontare i marcatori dell’infiammazione e le MMPs nei soggetti con e senza diabete durante OGTT.

Materiali e metodi. Abbiamo arruolato 256 soggetti non diabeti- ci (M/F: 132/124; età: 46 ± 4) e 274 soggetti diabetici di tipo 2 (M/F: 134/140; età: 48 ± 5), ben controllati (HbA1c< 7,0%) con dieta e attività fisica. Abbiamo sottoposto i soggetti all’OGTT (3 ore) e abbiamo misurato sICAM-1, IL-6, CRP, sVCAM-1, sE-selectina, TNF-alfa, adiponectina, NO (valutato come rapporto nitriti/nitrati), MMP-2, e MMP-9 al tempo 0, 30, 60, 90, 120 e 180 minuti.

Risultati. Nessun paziente ha riportato effetti secondari duran- te l’OGTT; al basale e dopo 180 minuti, sICAM-1, IL-6, sE-selec- tina, TNF-alfa e MMP erano significativamente più alti (p < 0,05) nei soggetti diabetici rispetto a quelli non diabetici, mentre CRP e sVCAM-1 erano significativamente più alti (p < 0,01) nei sog- getti diabetici rispetto a quelli non diabetici. L’adiponectina, e il rapporto nitriti/nitrati erano significativamente più bassi (p <

0,01) nei soggetti diabetici rispetto a quelli non diabetici.

Conclusioni. I marcatori dell’infiammazione e le MMPs esami- nati sono modificati nei soggetti diabetici rispetto a quelli non diabetici a digiuno e dopo OGTT.

Effetto del telmisartan sui marcatori infiammatori a digiuno e postprandiale nei pazienti diabetici ipertesi Derosa G1, Salvadeo SAT1, D’Angelo A1, Ferrari I1, Gravina A1, Ramondetti F1, Maffioli P1, Cicero AFG2

1Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università di Pavia, Pavia; 2“G. Descovich” Centro di Studio dell’Aterosclerosi, “D. Campanacci” Dipartimento di Clinica Medica e Biotecnologie Applicate, Università di Bologna, Bologna

Introduzione. Il telmisartan, un inibitore dell’angiotensina II, ha dimostrato alcuni effetti pleiotropici al di là dell’abbassamento della pressione arteriosa.

Scopo. Valutare l’effetto del telmisartan sui marcatori infiamma- tori a digiuno e postprandiale nei pazienti diabetici ipertesi.

Materiali e metodi. Dopo un periodo di washout di 4 settima- ne, 86 pazienti non diabetici ipertesi (NH) (SBP > 130 < 160 mmHg e DBP > 80 < 100 mmHg) e 89 pazienti diabetici iperte- si (DH) sono stati sottoposti a un pasto grasso orale standardiz- zato (OFL) ed esso è stato ripetuto dopo 6 mesi di terapia con telmisartan, 80 mg/die. Abbiamo valutato la pressione sistolica (SBP) e diastolica (DBP) al basale e dopo terapia con telmisar- tan, mentre la glicemia plasmatica (PG), i trigliceridi (Tg), la mole- cola di adesione intercellulare (ICAM)-1, l’interleuchina (IL)-6, e la proteina C-reattiva (CRP) sono state analizzate al basale e dopo terapia con telmisartan a digiuno e dopo 6 ore dall’OFL.

Risultati. Il telmisartan riduce in maniera significativa SBP e DBP (p < 0,001, rispettivamente) in entrambi i gruppi senza alcuna differenza significativa. I valori della glicemia plasmatica a digiuno e dei Tg erano più alti nel gruppo DH rispetto al gruppo NH (p < 0,05). I livelli della molecola di adesione intercellulare-1 erano diminuiti in entrambi i gruppi, (p < 0,05, rispettivamente).

Gli incrementi di ICAM-1 e IL-6 erano significativamente più bassi (p < 0,05) nel gruppo NH, mentre gli incrementi di ICAM- 1, IL-6, e CRP erano significativamente più bassi (p < 0,01) nel gruppo DH, in terapia con telmisartan rispetto al gruppo tratta- to con placebo dopo OFL.

Conclusioni. I marcatori infiammatori a digiuno erano aumenta- ti nel gruppo DH rispetto al gruppo NH al basale. Il telmisartan ha evidenziato anche un minore incremento di tutti i marker infiammatori esaminati dopo OFL. Questo potrebbe essere attri- buito alle proprietà pleiotropiche del telmisartan.

Inibitori della HMG-CoA reduttasi: ruolo nella prevenzio- ne dell’ischemia miocardica silente nel diabete tipo 2 Disoteo O, Pizzi GL, Fossati C

SC Diabetologia e Malattie Metaboliche, AO Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano

È nota l’elevata prevalenza di cardiopatia ischemica (SIC) nel DM2 e l’impiego di inibitori della HMG-CoA reduttasi (HRI) nel tentativo di ridurne l’insorgenza è fortemente indicato. Abbiamo pertanto verificato la frequenza di SIC in un gruppo di soggetti con DM2 seguiti presso il nostro centro e comparato i profili lipidici di pazienti trattati e non trattati con HRI. 316 pazienti (192 M e 124 F), arruolati consecutivamente, hanno eseguito il protocollo in uso nel nostro reparto per lo screening della SIC. Esso prevede rac- colta di data di inizio di terapia antipertensiva e ipocolesterolemiz- zante, rilevazione circonferenza vita e indice di massa corporea, determinazione di HbA1c, FPG, trigliceridi, colesterolo totale, HDL e derivati: LDL e NON HDL, esecuzione di ECG, ecocardiogram- ma, e prova da sforzo; scintigrafia miocardica e coronarografia se indicate. La prova da sforzo è risultata positiva in 62 soggetti pari al 19,6% dei pazienti screenati (37 M, 25 F). Nel gruppo con SIC, 34 pazienti (53,9%) erano in terapia con HRI, nel gruppo con prova da sforzo negativa (254 pazienti), 155 (61%); in tutti il trat- tamento durava da almeno due anni. Abbiamo pertanto individua- to 2 gruppi: trattati (A) e non trattati (B). Nel gruppo A la prevalen- za di SIC era del 17,9%, nel gruppo B la prevalenza di SIC era del 23,3%. L’elaborazione statistica è stata effettuata con MedCalc for Windows. Il chi quadro effettuato tra le prevalenze di SIC nel gruppo A e nel gruppo B non è risultato significativo (p = 0,49). Il T student tra i valori medi e le deviazioni standard dei parametri lipidici nei 2 gruppi è risultato statisticamente significativo per il colesterolo NON HDL e per i trigliceridi a favore del gruppo dei non trattati (p = 0,01, 139 ± 30 vs 149 ± 42 mg/dl e p = 0,0006, 131 ± 74 vs 168 ± 114 mg/dl rispettivamente), con valori sovrap- ponibili di HbA1cnei due gruppi (p ns). I nostri risultati confermano l’elevata prevalenza di SIC nei pazienti con DM2, ma non confer- mano in modo univoco il ruolo protettivo della terapia con statine, in quanto la prevalenza di SIC nei due gruppi, trattati e non tratta-

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