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INDICE

1 Prefazione ... 2

2 Introduzione ... 4

2.1 Sistemi di Memoria ... 4

2.2 Formazione delle memorie ... 11

2.3 Il Consolidamento ... 16

2.4 I siti delle memorie remote ... 24

2.5 Meccanismi di plasticità a servizio delle memorie ... 34

2.6 L’Arricchimento Ambientale ... 40

3 Materiali e metodi ... 46

3.1 Soggetti sperimentali e condizioni di stabulazione .. 46

3.2 Apparato comportamentale : Morris Water Maze ... 48

3.3 Immunoistochimica ... 53

3.4 Analisi Dati ... 55

4 Risultati ... 57

5 Discussione ... 75

6 Bibliografia ... 79

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1 Prefazione

I meccanismi che sono alla base della formazione delle memorie sono stati ampiamente studiati e ad oggi si conoscono moltissime cose sui processi che li guidano, tuttavia alcuni quesiti rimangono ancora privi di una risposta esaustiva: quali sono i meccanismi che guidano la formazione di memorie in grado di essere richiamate a grande distanza temporale dall’acquisizione (memorie remote)? Cosa determina la durata di questo processo? Quali sono le aree che sottendono queste dinamiche?

Sulla base di tutti gli studi compiuti sulle amnesie umane e sui modelli animali sappiamo che le memorie dichiarative vengono inizialmente formate nell’ippocampo, il quale attraverso un processo di rafforzamento delle connessioni ippocampo-neocorticali e cortico-corticali (consolidamento di sistema), guida il “trasferimento” della traccia mnestica verso le aree corticali prefrontali, le quali diventano la sede specializzata dell’immagazzinamento e del richiamo delle memorie remote. La maggior parte degli studi ha utilizzato la memoria spaziale nel roditore come modello ideale delle memorie dichiarative umane, questi studi hanno fornito prove convincenti sulla specificità delle aree interessate nel recupero delle memorie remote spaziali, che sembrano essere: la corteccia cingolata anteriore, la corteccia infralimbica e la corteccia entorinale. Negli ultimi anni sta emergendo la possibilità che nuove aree corticali partecipino a questi processi; in questo modo il network che sottende la funzione mnestica semra più ampio di quanto inizialmente ipotizzato. Il contributo di tali aree è ancora oggetto di studio, così come lo è il decorso temporale della loro attivazione nel corso del consolidamento di sistema.

Studi molecolari e cellulari hanno evidenziato che in tutte le aree coinvolte nello

stoccaggio e nel richiamo delle memorie recenti e remote si verificano

complesse modificazioni molecolari e cellulari, alla base dei fenomeni di

plasticità che consentono il trasferimento della traccia. Sebbene ci siano molte

conoscenze sulla natura di questi cambiamenti si sa molto meno su cosa li guidi

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e come siano organizzati nel tempo. Un possibile approccio a tali domande potrebbe essere quello di valutare l’effetto indotto dall’ambiente arricchito su questi sistemi. Infatti, l’esposizione ad ambiente arricchito facilità la plasticità sinaptica e potenzia l’acquisizione di tracce di memoria dichiarativa. Tuttavia non è noto se l’ambiente arricchito esercita effetti anche sul consolidamento di sistema e sul processo di trasferimento delle tracce di memoria dichiarativa dall’ippocampo alla corteccia.

Sulla base di tali presupposti, questo studio si propone di andare ad indagare il

possibile coinvolgimento di diverse aree cerebrali nel consolidamento di

memorie spaziali a punti temporali ben precisi in seguito ad un intenso

apprendimento spaziale effettuato con il paradigma comportamentale del

labirinto ad acqua di Morris, andando ad indagare l’attivazione di tali aree in

seguito al richiamo della traccia di memoria e valutando la presenza di un

eventuale effetto modulatorio indotto dall'ambiente arricchito sul reclutamento

di tali aree nel processo di richiamo della traccia mnestica.

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~ 4 ~

2 Introduzione

2.1 Sistemi di Memoria

Le memorie quotidiane definiscono chi siamo, senza memoria non potremmo imparare dalle nostre esperienze e il senso dell’identità personale che tutti possediamo sarebbe perso (Squire & Kandel, 1999).

La memoria rappresenta quindi la facoltà di immagazzinare e di avere accesso alle conoscenze apprese relative al mondo circostante. Tutti gli animali anche quelli più semplici possiedono la capacità di apprendere dall’ambiente che li circonda, questa facoltà nell’uomo raggiunge la sua massima complessità; la memoria umana infatti non è una capacità cognitiva unitaria, ma piuttosto è composta da un'intera serie di sistemi interconnessi complessi con funzioni differenti e specifiche, che sono supportati da substrati neurali anatomo- funzionali distinti. I risultati delle ricerche neuropsicologiche e neurobiologiche hanno portato la proposta dell'esistenza di sistemi di memoria multipli e dissociabili. Un sistema di memoria è definito come l’insieme dei processi portati avanti in aree cerebrali specifiche che permettono di immagazzinare o richiamare uno specifico tipo di informazione mnestica, attraverso un’attività separabile da quella di un diverso sistema (Berardi & Pizzorusso, 2006). Le principali evidenze sull'esistenza di sistemi di memoria separati, sono tratte da studi neuropsicologici, in cui era stata osservata una precisa corrispondenza tra specifici deficit di memoria e specifici pattern di lesione cerebrale. In questo modo è stato dimostrato che forme di memorie diverse sono dipendenti dall'integrità di strutture cerebrali specifiche che possono essere selettivamente danneggiate (Gaffan, 1974) (Squire, 1992).

A questi studi classici sono stati affiancati dati ottenuti con tecniche di neuro

immagine che hanno permesso la visualizzazione dell’attività cerebrale in

soggetti normali durante lo svolgimento di diversi compiti di memoria.

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~ 5 ~

Sulla base di tali studi sono stati distinti dei grandi sistemi di memoria associati a substrati neurali differenti (figura 1-1): due di memoria a lungo termine, il sistema della memoria dichiarativa (o esplicita) e quello della memoria non dichiarativa (o implicita), e uno a breve termine cioè il sistema della memoria di lavoro. La memoria dichiarativa è l’insieme delle conoscenze a cui abbiamo accesso consapevole e si contrappone alla memoria non dichiarativa che invece raggruppa tutte quelle conoscenze alle quali non abbiamo accesso coscientemente, come le abilità motorie e percettive (memoria procedurale), i comportamenti appresi attraverso processi di condizionamento, e il priming.

Figura 2-1 Classificazione dei sistemi di memoria e delle principali strutture anatomiche che le sottendono (Squire, 1999)

La memoria dichiarativa può essere ulteriormente suddivisa in memoria

riguardante gli eventi della nostra vita nel contesto spaziale e temporale in cui

si sono verificati (memoria episodica) e in memoria riguardante le conoscenze

relative al mondo estratte dal contesto (memoria semantica), le quali

contribuiscono alla formazione di concetti, categorie e significati, compresa la

conoscenza di noi stessi (Tulving, 1985). Una particolare forma di memoria

dichiarativa è la memoria spaziale cioè un tipo di memoria che coinvolge abilità

come il memorizzare mappe, punti di riferimento, e sviluppare

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~ 6 ~

rappresentazioni mentali dell’ambiente esterno , sebbene non debba essere dichiarata, le memorie topografiche possono essere dimostrate muovendosi con sicurezza da un posto all’atro all’interno di un ambiente conosciuto. I primi studi sulle memorie dichiarative furono fatti da Scoville e Milner (1957), che indagarono sugli effetti della rimozione bilaterale dell'ippocampo e delle vicine regioni del lobo temporale eseguita a scopo terapeutico in alcuni pazienti affetti da epilessia del lobo temporale. Il primo e più celebre caso fu quello del paziente H.M., che soffriva da oltre 10 anni di accessi epilettici intrattabili. In particolare il suo intervento chirurgico di asportazione bilaterale dei lobi temporali mediali interessò il complesso ippocampale, composto oltre che dalle regioni CA1, CA2, CA3, dal giro dentato e dal subiculum, anche dalla regione paraippocampale, dalla corteccia entorinale, peririnale e paraippocampale (Fig.

1-2). L'operazione risultò efficace nel controllo dell’epilessia, mantenne intatta

la sua intelligenza, le sue funzioni percettive e motorie e le capacità mnestiche a

breve termine, ma causò una grave amnesia anterograda, ovvero l'incapacità di

formare nuove memorie, e una limitata amnesia retrograda, ovvero la perdita

dei ricordi acquisiti nel periodo precedente al danno. Gli studi condotti sul

paziente evidenziarono che questa incapacità di apprendere e memorizzare

nuove informazioni era specifica per alcune forma di memoria che includevano

le capacità di orientamento in spazi nuovi: H.M. mostrava di poter apprendere

e mantenere in memoria alcune informazioni per breve tempo (ad esempio la

capacità di ripetere dopo 30 secondi una breve lista di numeri memorizzati era

normale) e di poter mantenere a lungo termine delle capacità apprese dopo

l’intervento. Ad esempio, imparò ad eseguire dei movimenti fini con la mano

osservandone i movimenti allo specchio e risultò anche in grado di migliorare

con la pratica le prestazioni in molti altri compiti impliciti, ottenendo delle

performance del tutto simili ai pazienti senza lesioni al lobo medio temporale,

anche se, una volta interrogato sui compiti effettuati, non aveva memoria

cosciente di averli eseguiti. Le osservazioni sperimentali indicavano quindi che

nel paziente rimanevano intatte sia la memoria a breve termine che la memoria

(7)

~ 7 ~

di lavoro che l’acquisizione di abilità manuali, con un ritmo di acquisizione e per un tempo di ritenzione paragonabile ai controlli sani.

Osservazioni successive hanno confermato l’amnesia anterograde vista in H.M., ed hanno individuato nell’ippocampo e nelle aree corticali circostanti le strutture del lobo medio temporale MTL cruciali per la formazione ed il consolidamento iniziale di nuove tracce di memoria esplicita a lungo termine (Scoville & Milner, 1957)

Si presume che delle due componenti della memoria esplicita, la memoria episodica, caratterizzata dalla presenza di forti elementi di contesto, sia mediata da un sistema composto dall’ippocampo e dalle sue connessioni con i corpi mammillari e con i nuclei del talamo anteriore, mentre la memoria semantica, priva di elementi di contesto, sembra essere supportata maggiormente dalla corteccia peririnale e dalle sue connessioni con il nucleo dorsomediale del talamo. Va sottolineato che la corteccia paraippocampale sembra essere particolarmente impegnata nella formazione di tracce di memoria spaziale (Rosenbaum, 2000).

Dati più recenti hanno suggerito che non tutte le forme di memoria dichiarativa

sono ugualmente compromesse dal danno ippocampale: Vargha-Khadem e

collaboratori (1997) hanno riportato tre interessanti casi di amnesia anterograda

che suggeriscono che le persone con una limitata lesione ippocampale possano

acquisire memorie di tipo semantico (fatti, informazioni) e mantenere la

memoria di familiarità sebbene mostrino gravi amnesie per quanto riguarda le

informazioni episodiche. Lesioni totali dell’ippocampo e della corteccia limbica

compromettono entrambi i tipi di memoria. Nonostante la critica agli studi di

Vargha-Khadem che i pazienti da lei studiati, tutti in una fase precoce dello

sviluppo al momento della lesione, potessero avere fenomeni di compensazione

e che questo fosse il motivo della differenza con gli effetti della lesione al MTL

nell’adulto, vi è adesso un consenso abbastanza generale sul fatto che la

memoria semantica, inclusa la memoria di familiarità, data l’assenza di

informazioni contestuali in tali tipi di memoria, possa sopravvivere a lesioni

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~ 8 ~

ippocampali, grazie ad una possibile dipendenza di tale forma di memoria da altre regioni del MTL (O'Kane & Kensinger, 2004) (Bayley & Squire, 2005).

Figura 2-2 Immagine del cervello del soggetto HM (Kandel, 2003)

L’intervento di HM provocò anche un’amnesia retrograda parziale delle memorie dichiarative, che interessava solo gli anni precedenti all’intervento, mentre HM manteneva intatti i ricordi d’infanzia. In letteratura vengono riportati numerosi casi di pazienti in cui, in seguito a una lesione del MTL, la perdita di memoria è legata all’”età” di quest’ultima, ovvero alla distanza temporale fra l’acquisizione della memoria ed il momento della lesione:

generalmente l'effetto sui ricordi più recenti è risultato superiore a quello sulle

memorie remote (Rosenbaum et al., 2000) (Teng & Squire, 1999). Questa

dissociazione è nota come gradiente di Ribot, dallo psicologo francese, che

suggerì che le memorie possono essere gradualmente organizzate attraverso il

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tempo affermando che in seguito a un danno temporale le nuove memorie vengono inficiate maggiormente rispetto a quelle acquisite precedentemente. Le conclusioni tratte da questi primi studi erano che le tracce di memoria più remote non dipendevano più dall’ippocampo e dalle altre strutture del lobo temporale mediale, grazie alle quali si erano formate e consolidate, in quanto erano state trasferite in altre strutture cerebrali. Come magazzino finale delle memorie dichiarative remote veniva proposta la corteccia frontale e le cortecce temporali. Tuttavia, con l’aumentare degli studi sull’argomento, questa semplice visione è stata messa in discussione. Esiste infatti una notevole variazione della gravità temporale dell’amnesia retrograda documentata in letteratura, la quale può spaziare da pochi mesi a diversi decenni (Rempel- Clower et al., 1996). Tale amnesia può dipendere da almeno due fattori in grado di spiegare questa variabilità. In primo luogo, l’entità della lesione: ad esempio, se il danno è limitato alla regione CA1 dell'ippocampo, l’amnesia retrograda potrà interessare gli ultimi 2 anni di vita. Al contrario, se la lesione è maggiormente estesa nel MTL, includendo l'ippocampo e parti della corteccia entorinale, l’amnesia potrà ampliarsi indietro nel tempo per un paio di decenni.

In secondo luogo, questa gradualità potrebbe essere correlata al tipo di

memoria dichiarativa testata, come dimostra la dissociazione tra i ricordi

semantici ed episodici, i quali necessitano di un ippocampo intatto (Vargha-

Khadem et al., 1997). Ci sono diverse difficoltà nello studio dell’amnesia

retrograda in pazienti con danni al cervello, fondamentalmente perché questi

studi si affidano prevalentemente a test retrospettivi le cui performance sono

difficilmente comparabili nei diversi punti temporali; in più l’estensione del

danno può variare da caso a caso e le lesioni sono raramente confinate ad una

sola area (Squire & Alvarez, 1995). E’ per questi motivi che agli studi sull’uomo

sono stati affiancati da studi su modelli animali, che presentano tra i principali

vantaggi la possibilità di seguire gli studi sulle amnesie in maniera prospettica,

controllare l’estensione della lesione e di conoscere l’origine e il tipo di memoria

studiata. In questi studi sono stati utilizzati diversi modelli comportamentali

per saggiare differenti sistemi mnestici, come il Morris water maze ( modello di

(10)

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memoria spaziale ippocampo dipendente), il fear Conditioning e il socially- acquired food preference (forme di memorie non spaziale). Sebbene questi protocolli comportamentali presentino delle profonde differenze in termini di proprietà dello stimolo, di motivazione e di richieste della performance, rappresentano tutti aspetti diversi della memoria dichiarativa umana, tutti infatti richiedono una complessa relazione tra gli stimoli e le informazioni spaziali e temporali del contesto. Anche questi studi hanno mostrato in casi di lesione ippocampale (farmacologica o genetica) un impatto maggiore sulle memorie di recente formazione rispetto alle memorie remote.

Tuttavia, sulla base di evidenze più recenti, attualmente è in corso un acceso dibattito sulle strutture implicate nell’immagazzinamento e nel recupero di memorie esplicite remote, con possibili divergenze all’interno della stessa memoria episodica, in particolare sia per quanto riguarda gli aspetti spaziali e non (Kumaran & Maguire, 2005) che per i diversi aspetti della memoria spaziale (Kessel et al. 2001) (Rosenbaum, 2004) (Lopez, Herbeaux, & Bontempi, Context- Dependent Modulation of Hippocampal and Cortical Recruitment During Remote Spatial Memory Retrieval, 2011). Secondo alcuni studiosi, il recupero, di memorie dichiarative anche da molto tempo consolidate ma ricche di elementi di contesto, non si affrancherebbe mai dall’ippocampo (teoria della traccia multipla) e, in soggetti con lesioni ippocampali, la qualità del recupero delle memorie più antiche, pur presente, non sarebbe equivalente a quella di soggetti normali; secondo altri, invece, le memorie più antiche diventerebbero completamente indipendenti dall’ippocampo.

Nella parte seguente della tesi riassumerò brevemente le evidenze in letteratura

relative alla formazione iniziale ed al consolidamento delle tracce di memorie

dichiarative.

(11)

~ 11 ~ 2.2 Formazione delle memorie

Le prime evidenze sull’esistenza di una rappresentazione anatomica dei processi mnemonici nell’uomo furono messe in luce dagli studi di Wilder Penfield, il quale osservò, attraverso la stimolazione elettrica della superficie cerebrale, che agendo sui lobi temporali otteneva quella che chiamava una risposta esperienziale, o esperienza retrospettiva, la quale consisteva nella descrizione da parte del paziente di un ricordo coerente di un'esperienza precedente. Il ruolo di tali zone venne ulteriormente chiarito, come già menzionato, all'inizio degli anni cinquanta dalle ricerche della sua collaboratrice, Brenda Milner, grazie agli effetti della rimozione bilaterale del lobo temporale mediale.

Ad oggi, è noto che l'informazione del mondo esterno arriva al nostro cervello tramite sistemi sensoriali che trasmettono i segnali alla neocorteccia, dove si formano le rappresentazioni sensoriali degli oggetti e degli eventi, questi segnali vengono inviati all’ippocampo. Il principale input alla formazione ippocampale proviene dalla corteccia entorinale i cui assoni terminano nel giro dentato e nei campi CA1 e CA3. La corteccia entorinale a sua volta riceve input dalle varie regioni associative neocorticali e dalla corteccia limbica sia direttamente che indirettamente tramite due regioni note come corteccia paraippocampale e peririnale, le quali integrano le informazioni provenienti dalle diverse modalità sensoriali e le inviano all'ippocampo propriamente detto;

collettivamente queste tre regioni costituiscono la corteccia limbica del lobo

temporale mediale (fig 1-3).

(12)

~ 12 ~

Figura 2-3 Rappresentazione grafica del “sistema delle memorie del lobo temporale. (Kandel, Principi di Neuroscienze, 2003)

All'interno dell'ippocampo possono essere descritte tre vie connettive: il

pathway delle via perforante, che proietta dalla corteccia entorinale alle cellule

dei granuli del giro dentato; il pathway delle fibre muscoidi che contiene gli

assoni delle cellule dei granuli che arrivano alle cellule piramidali della CA3

dell’ippocampo; e il pattern delle collaterali di Schaffer che consistono in

collaterali eccitatorie delle cellule piramidali della CA3 che terminano sulle

cellule piramidali della CA1 (Kandel, Principi di Neuroscienze, 2003). Tutte

queste vie sono in grado di sostenere fenomeni di potenziamento a lungo

termine (Box 1). Questi pathway nel loro insieme costituiscono un circuito

molto complesso, che partecipa all'elaborazione dei segnali in arrivo, detto

circuito trisinaptico, particolarmente importante nella trasmissione di segnali

dalla e per la corteccia entorinale (fig 1-4).

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~ 13 ~

Figura 2-4 Tale schema è valido sia per i primati che per i roditori. L’ippocampo riceve informazioni dalla maggior parte delle aree associative neocorticali. Tali informazioni giungono attraverso le altre strutture di MTL, la corteccia peririnale e la corteccia paraippocampale, che a loro volta proiettano alla corteccia entorinale. Questa invia le informazioni ai diversi circuiti ippocampali, che le elaborano e le trasmettono, tramite la corteccia entorinale, alle aree neocorticali.

Gli output del sistema ippocampale hanno principalmente 2 origini: la prima proviene dagli assoni del campo CA3, che hanno due ramificazioni; un ramo termina nell'adiacente campo CA1 e l'altro viaggia attraverso il fornice fino a raggiungere le strutture del proencefalo basale, inclusi il setto e i corpi mammilari. La seconda uscita proviene dagli assoni del campo CA1 che proiettano al subiculum che a sua volta proietta al di fuori della formazione ippocampale fino alla corteccia entorinale e anche, attraverso la fimbria, fino al proencefalo basale. Un ulteriore input alla formazione ippocampale proviene dalle regioni sottocorticali attraverso il fornice, ma questo circuito dovrebbe avere solamente una funzione modulatoria.

Come si può dedurre da quanto detto le connessioni tra l'ippocampo e la

neocorteccia sono tutte più o meno reciproche. Di conseguenza, le vie nervose

che trasportano le informazioni della neocorteccia alle aree del MTL e quindi

all'ippocampo sono rispecchiate da vie che escono dall'ippocampo in direzione

della corteccia entorinale e terminano nelle stesse aree neocorticali che hanno

originato gli input.

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~ 14 ~

Box 1: Ruolo del potenziamento a lungo termine

Lo studio del potenziamento a lungo termine nella formazione ippocampale ha suggerito un meccanismo che potrebbe essere responsabile dei cambiamenti sinaptici che si verificano durante l'apprendimento e quindi potrebbe essere alla base della formazione delle memorie a lungo termine. Nel 1973 Lomo e Bliss scoprirono che uno stimolo ad alta frequenza in una qualsiasi delle 3 vie ippocampali dava origine a fenomeni di potenziamento a lungo termine dell’efficacia sinaptica (sia in vivo che in vitro) ma con caratteristiche differenti. Il potenziamento a lungo termine (LTP) nelle fibre muscoidi ha un carattere non associativo, dipende dall’ingresso di ioni calcio, e a seguito della stimolazione tetanica attiva la via dell’AMPc. Nella via Perforante e nelle collaterali di Shaffer c’è un LTP di tipo associativo, ovvero coinvolge la contemporanea attivazione del terminale postsinaptico e presinaptico, quindi dipende dalle peculiari caratteristiche dei recettori NMDA che controllano l’ingresso di ioni calcio che a sua volta porta all’attivazione di molecole enzimatiche dipendenti dal calcio come PKA, ERK, CaMKII. L’LTP è diviso in fasi successive, nella fase precoce che dura1-3 ore il calcio attiva molecole come la CaM-KII che è in grado di auto fosforilarsi e di indurre cambiamenti nell’attività, nel numero e nella localizzazione dei recettori AMPA per il glutammato, incrementando l’attività elettrica della sinapsi. Nella fase tardiva è richiesta la sintesi proteica realizzata mediante l’attivazione del pathway di CREB operata dalla stessa CaM-KII, la transizione dalla fase precoce alla fase tardiva è consentita dalla attivazione di molecole come PKA che fosforilano le fosfatasi inattivandole, in questo modo viene garantita l’attività degli attivatori di CREB. CREB induce a sua volta la trascrizione di molecole modulatorie e effettrici che promuovono meccanismi di plasticità come la formazione di nuove sinapsi. Sono stati utilizzati approcci genetici per indagare il ruolo di questi meccanismi sulla memoria. Un esempio rappresentativo viene da un lavoro di Fleischmann, et al.

(2003) in cui sono stati utilizzati dei topi KO condizionali per il gene c-fos, un gene precoce rapidamente trascritto in seguito a fenomeni di plasticità attività dipendenti, la cui delezione era stata limitata alle regioni cerebrali, in primo luogo è stata osservata una riduzione della magnitudine dell’LTP tra la CA3 e la CA1 a causa di una riduzione nell’espressione del recettore NMDA, questo decremento è stato ritenuto responsabile della compromissione delle performance di richiamo della memoria in due test di apprendimento ippocampo dipendente, come il labirinto d’acqua di Morris (MWM) e il fear conditioning(FC). Questo studio, così come molti altri simili evidenziano che una riduzione della funzionalità di queste molecole è associato a forti deficit di formazione e mantenimento della traccia mnestica, collegati ad un significativo peggioramento delle performance in diversi compiti ippocampo dipendenti.

Figura b-1: Grafici delle perfomance dei topi c-fos∆SNC. A Le curve di apprendimento sono uguali tra i KO e i WT. B e C si osserva un peggioramento delle performance nei KO rispetto ai controlli nel richiamo a

12 giorni sia nel MWM che nel FC (Fleischmann, et al., 2003).

(15)

~ 15 ~

In questo modo, le aree corticali interessate nell'elaborazione di uno stimolo

possono, come vedremo in seguito, partecipare anche all’immagazzinamento a

lungo termine delle memorie su quello stimolo. È importante sottolineare che

grazie alle loro connessioni, le regioni del MTL fungono da zone di

convergenza, che integrano le informazioni in maniera trasversale alle varie

modalità sensoriali, creando così rappresentazioni che sono indipendenti dalla

modalità originaria di elaborazione dell'informazione. Le regioni di

convergenza sono implicate anche nella rappresentazione mentale, la quale

permette di andare oltre la percezione fino ad avere una conoscenza formata da

concetti e rappresentazioni astratte indipendenti dallo stimolo concreto,

l'ippocampo infine riceve input da varie zone di convergenza delle regioni del

MTL, elabora le informazioni ricevute e attraverso le sue connessioni efferenti

modifica le memorie che si stanno consolidando, legandole insieme in modi che

ci permettono di ricordare le relazioni tra gli elementi che le costituiscono anche

se appresi in momenti differenti (Carlson, 2008). Senza dubbio l'ippocampo ha

un ruolo essenziale nella nostra capacità mnestica, tuttavia presenta dei limiti

temporali nell’immagazinamento e nel richiamo di certe forme di memorie,

questa idea costituisce il punto centrale delle teorie classiche sul

consolidamento che prevedono che ad una funzione ippocampale limitata

debbano subentrare delle aree nuove che consentano lo stoccaggio a lungo

termine per tali memorie. E abbastanza intuitivo immaginare l’esistenza di una

migrazione della traccia dai circuiti ippocampali verso le aree di destinazione

neocorticali, questa migrazione è quindi alla base del processo che consente

l’assimilazione dell'esperienza fino alla sua memorizzazione permanente

come un ricordo relativamente immune da perturbazioni (Lechner & Squire,

1999).

(16)

~ 16 ~ 2.3 Il Consolidamento

Tutti i ricordi delle nostre esperienze di vita non si formano istantaneamente, le nuove memorie infatti sono gradualmente trasformate da uno stato inizialmente labile e prono all’estinzione ad uno stato più solido e permanente.

Nel 1900 Müller e Pilzecker adottarono il termine “consolidamento” per

descrivere il processo di trasformazione delle esperienze apprese in ricordi

permanenti. Il consolidamento è un processo organizzato in due fasi successive,

la prima più rapida che avviene a livello sinaptico, la seconda più lenta che

coinvolge una riorganizzazione a livello sistemico (Dudai, 2004). Il

cambiamento a livello sinaptico si avvia poche ore dopo l’apprendimento e

include la crescita di nuove connessioni sinaptiche e il rimodellamento di

connessioni preesistenti, così come avviene nei pathway ippocampali descritti

precedentemente. Qualsiasi manipolazione sia genetica, farmacologica o

ambientale che interferisce a qualunque livello di questo processo blocca la

formazione della memoria a lungo termine, provocando la perdita della traccia

di memoria entro poche ore dalla sua acquisizione (Kandel, 1998). Il

consolidamento, però, per poter avvenire in maniera completa, oltre ad una

riorganizzazione locale necessita, per quanto detto precedentemente, anche di

una graduale riorganizzazione di intere regioni cerebrali che supportino le

memorie dichiarative remote. Questa riorganizzazione avviene mediante il

trasferimento del flusso di informazioni apprese attraverso la rete ippocampo-

corticale. Durante alcuni studi di riproduzione simulata dell’attività mnestica, è

stato visto che l’acquisizione di nuove informazioni era facilitata da una

graduale acquisizione degli input, che consentiva di non creare delle

interferenze tra le nuove e le vecchie memorie, implicando l’esistenza di una

sede elaborazione primaria, rapida e sequenziale, in grado di trasferire le

informazioni ad una sede secondaria di stoccaggio (McLelland & McNaughton,

1995). Questo processo di apprendimento usufruisce di una rete, che attraverso

molte ripetizioni, definisce una nuova rappresentazione che va ad arricchire le

(17)

~ 17 ~

conoscenze di base. Nei sistemi fisiologici è l’ippocampo a svolgere la codifica

iniziale e a dirigere il processo di immagazzinamento corticale, partecipando,

quando le esperienze acquisite si ripropongono, al ripristino dei pattern di

attivazione corticali precedentemente formati, ogni ripristino cambia le sinapsi

corticali, in modo che l' acquisizione di una nuova conoscenza non interferisca

con i ricordi precedenti e si consolidi. L’insieme degli studi sulle amnesie

umane e sui modelli animali hanno consentito la formulazione di diversi

modelli di consolidamento. Marr (1970) è stato il primo a proporre che

l'ippocampo processi rapidamente gli eventi giornalieri prima che le

informazioni vengano trasferite alla corteccia per la riorganizzazione e la

successiva riclassificazione; inoltre ha proposto che il processo di trasferimento

dipenda da un replay durante il sonno dell’attività neuronale

corrispondente ai pattern memorizzati durante la veglia. Tali idee costituiscono

la base dei modelli contemporanei di consolidamento della memoria. Secondo

questi modelli cosiddetti classici o standard, l’ippocampo integra le

informazioni di distribuiti moduli corticali, che rappresentano i vari caratteri

dell’esperienza, per convertirli in una traccia di memoria coerente: tali

cambiamenti sono rapidi e transienti. Una successiva riattivazione della

rete ippocampo-corteccia porta ad un graduale rafforzamento delle

connessioni cortico-corticali e alla creazione di nuove. Il rafforzamento

incrementale di queste connessioni permette ai nuovi ricordi di diventare

indipendenti dall’ippocampo e di essere progressivamente integrati con le

memorie pre-esistenti. Queste memorie corticali diventano più resistenti al

tempo e alle interferenze rispetto a quelle ippocampali. La caratteristica

fondamentale di questo modello è che i cambiamenti della forza tra le

connessioni del sistema ippocampale e delle diverse aree corticali sono

rapidi e transitori, mentre le modifiche delle connessioni all’interno delle

aree corticali sono lente e resistenti nel tempo.

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~ 18 ~

Figura 2-5 Modello Standard di Consolidamento (Bontempi et al., 2005)

Sebbene non possa essere messa in discussione la funzione precoce dell’ippocampo questo modello prevede una serie implicazioni che sono state contradette da evidenze sperimentali successive.

La prima asserzione dice che una volta completato il consolidamento le connessioni ippocampali, non sono più necessarie per il richiamo delle memorie elaborate e essendo transienti vengono rapidamente cancellate per consentirne il riciclo nella codifica di nuove memorie. I nuovi dati suggeriscono che questa asserzione, se non può essere considerata errata, quantomeno è considerabile come eccessivamente semplificata. Per esempio se da un lato sembra essere supportato dalle evidenze sulle amnesie retrograde dopo i danneggiamenti ippocampali i range di memorie perdute fatte risalire tra i 10 e i 20 anni vanno oltre la comune definizione di “meccanismo transiente”.

La seconda asserzione del modello non prevede che ci sia alcuna differenza tra i

meccanismi delle memorie semantiche e quelli delle memorie episodiche, e

quindi che l’ippocampo abbia un ruolo importante nella codifica iniziale e che

dopo il consolidamento non abbia alcun ruolo in entrambe, anche in questo

caso sembra esserci un’inesattezza come dimostrano gli studi di Vargha-

Khandem illustrati precedentemente. Inoltre i risultati ottenuti da studi, in cui

vengono recuperati ricordi remoti in soggetti con danno ippocampale, sia su

umani (Rosenbaum et al., 2000) che su animali (Bontempi & Laurernt-Demirc.,

(19)

~ 19 ~

1999), indicano che la qualità del ricordo non è la stessa presente in soggetti sani che invece riflettono il contributo importante del sistema ippocampale (Nadel &

Booth, 2001) .

In risposta alle inesattezze del modello standard di consolidamento Nadel, Moscovitch e collaboratori proposero un modello alternativo che prese il nome di multiple trace theory, MTT. Questo modello sosteneva che l’ippocampo resta sempre implicato nell’immagazzinamento mnestico e nel richiamo di una rappresentazione contestuale e spaziale ricca di dettagli a prescindere dall’età della memoria. In particolare il complesso ippocampale codifica rapidamente tutte le informazioni per poi andare a creare una traccia di memoria sostenuta dal legame con i neuroni neocorticali: di conseguenza la memoria di un episodio consisterà in un network ippocampo-corteccia. Ogni volta che la memoria precedentemente immagazzinata è recuperata, con il coinvolgimento di entrambi i siti, ippocampali e neocorticali, viene attivata una nuova codifica all’interno dell'ippocampo. Questa riattivazione della memoria genera tracce multiple nuove nell'ippocampo che proliferano in maniera distribuita, coinvolgendo sempre più regioni cerebrali, specialmente aree neocorticali, in modo da rendere i vecchi ricordi sempre più resistenti al decadimento o a seguito di un danno al sistema ippocampale (Nadel & Booth, 2001).

A sostegno di questo modello ci sono moltissimi studi di fMRI che mettono in evidenza l’attivazione funzionale dell’ippocampo in risposta a ricordi episodici fortemente legati al contesto sia di natura recente che remota, rispetto a ricordi di natura semantica. L’analisi è stata compiuta su un gruppo misto tra i 65 e i 70 anni precedentemente sottoposti ad un questionario che potesse fornire informazioni su esperienze personali nel tempo. Ai pazienti veniva richiesto di immaginare eventi correlati ad un cue che potesse riportare ad eventi personali.

I risultati della risonanza hanno evidenziato un’ uguale attivazione dell’intera

area ippocampale sia in risposta ad un richiamo di memorie recenti che a un

richiamo di memorie remote di eventi autobiografici (fig 1-6).

(20)

~ 20 ~

Figura 2-6 A sinistra il grafico mostra l’attivazione dell’ippocampo durante il richiamo di memorie recenti e remote richiamate da cue ricollegabili ad eventi personali a confronto con cue generici. A destra imagine

della risonanza magnetic funzionale (Nadel & Booth, 2001).

Secondo la MTT il complesso ippocampale è quindi richiesto nel richiamo delle

memorie episodiche per due ragioni fondamentali, in primo luogo perché gli

episodi sono definiti dal contesto spaziale e temporale e il contesto è

immagazzinato nell’ippocampo, e secondariamente perché sono le tracce del

contesto a catalogare i dettagli contenuti nelle memorie episodiche, come si

evince dagli studi che descriveremo in seguito (Ryan et al., 2001). Per

distinguere più nettamente i ricordi legati al contesto, spaziale e temporale, è

stato effettuato uno studio analogo che utilizzava la fMRI, in cui in seguito alla

visione di un video veniva richiesto di individuare degli oggetti presenti nel

filmato, posizionare nello spazio degli elementi ed riordinare particolari eventi

avvenuti nel video. I risultati mostravano che l’ippocampo era

preferenzialmente attivato durante il richiamo di informazioni contestuali

spaziali. L’ippocampo ha chiaramente un ruolo importante in tutti i tipi di

memoria dichiarativa episodica, riveste però una particolare importanza nelle

memorie spaziali. Questo ruolo privilegiato fu messo in luce, da O’Keefe e

Dostrovky nel 1971 con le prime evidenze sull’esistenza delle “place cell”,

particolari neuroni ippocampali in grado di generare internamente delle

rappresentazioni spaziali dell’ambiente circostante. Attualmente sappiamo che

più che definire solamente una mappa spaziale l’ippocampo è dedicato ad

identificare relazioni e nessi tra oggetti, fatti e eventi (Shreger et al., 2007). Più

(21)

~ 21 ~

specificamente i net-work ippocampali codificano i percorsi attraverso lo spazio così come fanno per gli episodi di memoria, i quali sono definiti come sequenze di eventi e di luoghi in cui questi episodi si verificano. Quindi lo studio del ruolo dell’ippocampo nella memoria spaziale, può essere visto come esempio specifico della capacità generale dell’ippocampo che comprende tutta la memoria dichiarativa ed in particolare, il richiamo di rappresentazioni molto dettagliate dell’ambiente (Shreger et al., 2007). Alcuni degli studi sugli animali, effettuati fin’ora, mostrano un quadro discordante, in questi vari studi gli animali sperimentali vengono addestrati a un compito spaziale ed in seguito la memoria recente viene tipicamente testata dopo un giorno dal training, mentre la memoria remota dopo 25-30 giorni. I metodi maggiormente usati sono il monitoraggio dell’attivazione metabolica a livello regionale, segno della riattivazione della traccia di memoria, il controllo dell’espressione genetica attività-regolata l’uso di modelli animali con anomalie nella plasticità corticale.

I dati disponibili hanno riscontrato che il richiamo delle memorie spaziali recenti è stato associato con l'attivazione dell'ippocampo, mentre il richiamo di ricordi remoti è stato prevalentemente associato con l'attivazione di regioni corticali come la corteccia prefrontale, frontale, cingolata anteriore (Frankland et al., 2001) (Maviel & Bontempi, Sites of neocortical reorganization critical for Remote Spatial Memory, 2004).

Questi lavori, che vedremo successivamente nel dettaglio, forniscono prove a favore della teoria standard di consolidamento ed in particolare evidenzia il ruolo delle aree prefrontali nello stoccaggio e del richiamo delle memorie remote. Tuttavia lavori più recenti rimettono in discussione il decadimento ippocampale nel richiamo delle memorie remote, Bontempi e collaboratori (2011) hanno utilizzato un particolare protocollo del task comportamentale del Morris water maze in cui è stato saggiato il reclutamento dell’ippocampo e delle strutture prefrontali nel richiamo delle memorie remote in un compito d’apprendimento “difficile” (contesto distante e complesso) rispetto ad uno

“facile”(contesto vicino e semplificato) comparando i livelli di attivazione di c-

fos ippocampale durante il recupero di memorie remote nei due compiti (fig 1-

(22)

~ 22 ~

7). Nel contesto difficile l’ippocampo esprime un aumento dell’espressione di c- fos nel richiamo remoto rispetto a quello recente, in modo simile all’attivazione nella corteccia prefrontale, il cui contemporaneo ingaggio riflette il dialogo tra queste due regioni.

Figura 2-7 Le figura in alto mostra i due apparati utilizzati nel training A corrisponde all’apparato definito Performance Degradetion Resistant (PDR) corrispondente ad un ambiente con contesto complesso; B corrisponde all’apparato definito come Performance Degradetion Prone (PDP) corrispondente ad un ambiente semplice. I grafici in basso riportano i risultati dell’attivazione di c-fos in due aree ippocampali CA1 e DG e in un’area prefrontale aCC. Per ciascun ambiente e in corrispondenza di due punti temporali, uno recente 5 giorni e uno remoto 25 giorni, sono stati utilizzati due gruppi sperimentale uno testato con piattaforma nascosta e l’altro con piattaforma visibile, entrambi razionalizzati sull’attivazione in un gruppo di controllo home cage. (Bontempi et al., 2011)

La divergenza tra questi risultati, e di conseguenza tra le due teorie, potrebbe

essere dovuta alla particolare peculiarità funzionale dell’ippocampo nel

trattamento delle informazioni ricche di elementi contestualizzanti (Moscovitch

et al.,2006; Winocur et al.,2010). Wang e collaboratori (2009) recentemente

hanno mostrato che il richiamo di precise memorie remote associate alle paure

non richiede l’ippocampo, similmente risultati di fMRI (fig 1-8) in un compito

(23)

~ 23 ~

di navigazione semplice in soggetti sani hanno mostrato il disimpegno dell’ippocampo e l’attivazione di diverse aree corticali a seconda del compito, anche se la corteccia paraippocampale sembra essere fondamentale per qualsiasi rappresentazione topografica (Rosenbaum et al., 2004).

Figura 2-8 Immagini di fMRI che riportano l’attivazione media tra tutti i partecipanti delle regioni cerebrali riportate in tutti i tasks di memoria remota spaziale. A destra il giro paraippocampale; al centro,

la corteccia retro spinale; a destra la corteccia occipitale superiore. L’ippocampo non è stato attivo in nessun tasks (cerchio) (Rosenbaum et al., 2004)

E’ chiaro che le memorie non sono un sistema unitario, e similmente anche le

stesse memorie episodiche e più in particolare le memorie spaziali non possono

essere considerate come tali, di conseguenza sono caratterizzate da molteplici

specializzazioni supportate da substrati differenti. Le diverse codifiche e di

conseguenza i diversi tasks, si basano su diversi substrati neurali che non si

limitano all’ippocampo e le teorie esistenti non riescono a cogliere appieno

la complessità del meccanismo dell’immagazzinamento e del richiamo delle

varie forme di memoria. Quello che sembra chiaro e comunemente accettato è il

fatto che aree neocorticali differenti costituiscono dei sistemi multipli e

interattivi impegnati in modo cooperativo attraverso l’ippocampo a fornire

percorsi complementari per lo stoccaggio e il recupero delle memorie (Ryan et

al., 2009).

(24)

~ 24 ~ 2.4 I siti delle memorie remote

La ricerca dei sistemi specifici coinvolti nel consolidamento della memoria è iniziata, come già detto, con la constatazione che danni al MTL producono una grave amnesia anterograda e retrograda, ovvero, i pazienti riportavano grande difficoltà nella formazione di nuovi ricordi e nel recupero di ricordi recenti ma non delle memorie molto antiche. Una seconda osservazione, complementare alla precedente, è che, quando la patologia cerebrale comprende danni anche alla neocorteccia, la memoria remota è spesso compromessa (Squire et al., 2001). Ciò suggerisce che le aree neocorticali fungono da siti di stoccaggio per le memorie remote. Come abbiamo già assodato studi di apprendimento e memoria hanno fornito molte prove sul coinvolgimento di meccanismi ippocampali nell’acquisizione, nel mantenimento e nel recupero di memorie episodiche, tuttavia, abbiamo dato pochi accenni su come e dove queste informazioni vengono memorizzate in modo permanente. Una recente serie di studi molecolari e cellulari su roditori, con l’uso di diversi paradigmi comportamentali, hanno fornito convincenti prove sul coinvolgimento di specifiche regioni neocorticali nella memorizzazione di informazioni inizialmente strettamente legate all'ippocampo (Bontempi et al. 1999; Frankland et al. 2001, 2004; Maviel et al.

2004). In particolare le aree maggiormente interessate nel recupero delle

memorie remote spaziali sembrano essere quelle della corteccia prefrontale,

compresa la corteccia cingolata anteriore. C’è da sottolineare che gli studi su

animali da laboratorio sono riusciti a fare luce sui siti di stoccaggio della

memoria remota spaziale, anche se molto rimane ancora da approfondire per

quanto riguarda il decorso temporale delle varie interazioni ippocampo-

neocorteccia che rendono possibile la memoria a lungo termine, come, ad

esempio quali sono i punti temporali precisi in cui le varie aree neocorticali

vengono ingaggiate. Dato che dagli studi di amnesia retrograda, osservata in

seguito a lesioni dell'ippocampo, nell'uomo e negli animali, è possibile dedurre

solamente il ruolo da parte dell’ippocampo nell’immagazzinamento della

(25)

~ 25 ~

memoria, Bontempi e collaboratori (1999), usando il monitoraggio dell’attività metabolica, hanno esaminato in che modo i circuiti cerebrali sottostanti alla memoria a lungo termine sono riorganizzati nel tempo in un cervello intatto.

Per fare questo hanno addestrato alcuni topi wild tipe ad un compito di

apprendimento spaziale ippocampo-dipendente (eight-arms radial maze) ed

hanno monitorato l’attività cerebrale durante il seguente recupero di una delle

memorie o recenti, a 5 giorni dal training, o remote, a 25 giorni dal training. Il

recupero delle memorie recenti spaziali ha prodotto una robusta attivazione

dell'ippocampo rispetto a quello dei ricordi remoti, in cui viene persa la

correlazione tra l’attività metabolica e la performance mnestica, risultato

coerente con il modello che propone un progressivo disimpegno

dell'ippocampo durante il consolidamento della memoria. Al contrario, diverse

aree della neocorteccia, tra cui corteccia frontale, anteriore cingolata e

temporale, hanno mostrato un pattern di attivazione opposto, queste aree non

si attivavano in contesti differenti da quello appreso (Fig. 1-9). Questi risultati

sono prove convincenti a favore della partecipazione di reti neocorticali

nell’immagazzinamento delle memorie remote e di una riorganizzazione

tempo-dipendente dei circuiti neuronali sottostanti alla memoria a lungo

termine.

(26)

~ 26 ~

Figura 2-9 Riorganizzazione tempo-dipendente dei circuiti neurali che supportano le memorie discriminative spaziali. A Protocollo comportamentale (gruppo di controllo testato in un ambiente differente).B Procedura di iniezione ((14C)2-DG) permette di visualizzare il cambiamento dell’attività metabolica per mezzo del metodo autoradiografico 148. C sezioni colorate con metodo autoradiografico. I corrispondenza delle memorie recenti l’attività è localizzata nelle aree ippocampali, di contro in corrispondenza delle memorie remote l’attivazione è localizzata nelle aree frontali. (Bontempi et al.,1999).

(27)

~ 27 ~

Sulla stessa linea adottata da Bontempi sono stati sviluppati moltissimi studi

mirati ad individuare più specificamente le diverse aree coinvolte. In un lavoro

del (2004) Maviel, combinando l’immaging funzionale dell’espressione genica

con specifiche inattivazioni neuronali transitorie, in modo da ridurre al

minimo eventuali meccanismi di compensazione associati a lesioni

irreversibili, ha identificato la corteccia prefrontale e la corteccia anteriore

cingolata come le aree critiche per la conservazione e il recupero di ricordi

spaziali. Hanno mappato l’espressione di due geni precoci, Zif268 e c-fos che

possono essere usati come marker dell’attivazione neuronale, molto utile per

tracciare i cambiamenti a diversi punti temporali in seguito all’apprendimento,

o come indice di un LTP in corso. I soggetti sono stati addestrati nel labirinti a 5

braccia ed è stato effettuato il richiamo della memoria a recente 1 giorno e

remota 30 giorni. Lo studio ha interessato per la prima volta un ampio numero

di aree, mai considerate precedentemente (fig. 1-10) mettendo in evidenza la

partecipazione di un’intera rete di aree coinvolte in tempi differenti nei

meccanismi di consolidamento. Si osserva una divergenza del coinvolgimento

delle aree prefrontali e retrospleniali che si attivano in corrispondenza delle

memorie remote opposte dalle aree posteriori, ippocampali ed entorinali che si

attivano con le memorie recenti. Per confermare queste dissociazioni funzionali

tra le regioni cerebrali, gli autori hanno anche utilizzato l’inattivazione

farmacologica con lidocaina, bloccante dei canali sodio che sopprime l’attività

neuronale inibitoria ed eccitatoria, in seguito all’addestramento di due nuovi

gruppi di animali, ai quali selettivamente veniva danneggiata o un’area

prefrontale o l’ippocampo (fig1-11).

(28)

~ 28 ~

Figura 2-10 Espressione di c-fos nella corteccia prefrontale, nella corteccia cingolata anteriore, nella corteccia cingolata posteriore, nella corteccia retrospleniale nell’ippocampo dorsale e ventrale, nel subiculum e nella corteccia entorinale dopo il test di memoria recente (giorno 1) o remoto (30 giorni), con le corrispondenti microfotografie. L’espressione di c-fos è sovrapponibile a quella di Zif268 in tutte le regioni cerebrali tranne che nella corteccia retrospinale, dove solo i dati di Zif268 rivelano un coinvolgimento di quest’area.(Maviel et al., 2004).

Figura 2-11 Effetti dell’inattivazione neuronale della corteccia prefrontale, cingolata anteriore, posteriore e dell’ippocampo dorsale attraverso lidocaina (barre in nero) rispetto a un liquido cerebrospinale artificiale (aCSF, barre in bianco), nel test di memoria recente (giorno 1) o remota (giorno 30). (Maviel et al., 2004).

(29)

~ 29 ~

Infine per verificare se le modifiche funzionali fossero state accompagnate da

cambiamenti strutturali, tra i quali sinaptogenesi e riorganizzazione laminare, è

stato rilevato in aCC e PFC l’espressione della proteina GAP-43, proteina

presinaptica, che controlla la crescita assonale e che viene utilizzata come

marcatore della formazione di nuove sinapsi. Anche se non sistematicamente a

30 giorni è stato ritrovato un aumento della proteina, che potrebbe essere

ritenuto responsabile della facilitazione e del potenziamento dell’LTP in

quell’area. Anche Teixeira e collaboratori (2006) hanno cercato di sottolineare

l’importanza della corteccia anteriore cingolata (aCC) in un compito spaziale,

come quello del labirinto ad acqua di Morris, nell’espressione della memoria

remota in ratti. Per valutare l’attivazione di tale area dopo il test di richiamo,

hanno esaminato l’espressione del gene c-fos. In linea con le loro ipotesi gli

autori riscontrarono un’espressione c-fos aumentata in aCC durante il test di

memoria remota (30 giorni). Mentre nelle strutture ippocampali, CA1, CA3 e

DG, l’espressione genetica è stata simile sia nel caso del richiamo a distanza sia

per il richiamo recente (1 giorno). Anche se, l’attivazione dell’ippocampo si è

rivelata indipendente dall’apprendimento, è stata significativamente maggiore

rispetto ai controlli che non hanno ricevuto il training, indicando l’impiego di

questa struttura nel task. Per confermare maggiormente queste dissociazioni

funzionali tra le regioni cerebrali, anche in questo caso è stata effettuata

l’inattivazione farmacologica con lidocaina prima del richiamo sia nella aCC

che nell’ippocampo. Le performance dei soggetti del primo gruppo erano

deficitarie nel test di richiamo tardivo e non nel recente, viceversa, il danno

ippocampale provocato nel secondo gruppo ha effetti negativi su entrambe le

prestazioni (Fig. 1-12).

(30)

~ 30 ~

Figura 2-12 Effetti dell’inattivazione con lidocaina di aCC e dHPC nella memoria spaziale recente (1 giorno) e remota (30 giorni) testata dopo l’addestramento alla versione classica del water maze con la piattaforma nascosta. 10 minuti prima del test i soggetti ricevevano l’infusione di PBS, soluzione salina innocua (a), o lidocaina in aCC (b) o in dHPC (c). A sinistra, la percentuale del tempo speso nel cercare la zona target (T) comparata con le altre zone (O) durante il probe test. Al centro, plot della densità delle ricerche per ogni gruppo nei test recenti e remoti. Il colore della scala rappresenta il numero di passaggi per animale per 5x5 cm di area. A destra, tracciato di ricerca nel probe test remoto di un soggetto rappresentativo. La posizione della piattaforma è segnalata da un piccolo cerchio in basso a destra; inoltre un cerchio interno concentrico alla piattaforma indica l’area della vasca usata per quantificare il comportamento tigmotattico (Teixeira et al., 2006).

Questo studio è selettivamente incentrato sul ruolo di aCC nella memoria

spaziale, ma, non bisogna dimenticare che altre aree giocano un ruolo

fondamentale nel complesso network responsabile del consolidamento. Una

di queste regioni è la corteccia entorinale, la quale funge da interfaccia di

dialogo ippocampo-neocortex, la corteccia parietale e retrospinale,

fondamentali rispettivamente per la rappresentazione di informazioni spaziali

egocentriche e allocentriche (Mocovitch et al. 2005), e la corteccia infralimbica e

prelimbica correlate con gli aspetti motivazionali della performance. A

(31)

~ 31 ~

differenza di lesioni ad aCC e all’ippocampo, danni alle aree sopra citate portano solo a deficit spaziali minori.

Una strategia alternativa potrebbe essere di interrompere il trasferimento della

traccia, mediante una lesione che va a bloccare il dialogo tra l'ippocampo e la

corteccia poco dopo il training, in modo da permettere la normale formazione

di tracce mnemoniche ippocampali ma impedire il loro ulteriore

consolidamento nelle reti corticali. Ad esempio, un danno alla proiezione che

dallo strato III della corteccia entorinale arriva alla regione CA1

dell'ippocampo, consente una normale funzionalità ippocampale ma impedisce

il dialogo ippocampo-corteccia. Ratti con simili lesioni, sottoposti al labirinto di

Morris, mostrano un apprendimento spaziale normale e delle prestazioni

ottime in seguito al test di memoria recente ,ma la memoria è compromessa se

testata in seguito a un intervallo di ritenzione maggiore. Ciò indica che le

interazioni cortico-ippocampali sono necessarie per la formazione di memoria

spaziale remota (Remondes & Shuman, 2004). La corteccia cingolata anteriore

aCC, insieme alla corteccia prelimbica e infralimbica, fanno parte della corteccia

mediale prefrontale (mPFC), regione fortemente interconnessa al suo interno e

al suo esterno con aree sensoriali (Teixeira et al., 2006). Recenti studi mirati

all’individuazione dei net-work che sottendono i processi mnestici, hanno

dimostrato che alcuni nuclei talamici anteriori compresi alcuni nuclei

intralaminari , svolgono un ruolo selettivo nei processi di memoria, grazie alle

connessioni dirette e indirette con il sistema ippocampale e con la corteccia

prefrontale, partecipano alla riorganizzazione tempo-dipendente delle tracce di

memoria durante il consolidamento. Infatti, lesioni a queste aree influenzano

l'acquisizione ed il recupero di tracce di memoria spaziale acquisite in seguito al

training nel ratto. Questo studio fornisce la prima evidenza del ruolo della

regione talamica come componente fondamentale della rete extraippocampale

coinvolte nella riorganizzazione tempo-dipendente della memoria spaziale nel

corso del consolidamento (Lopez et al., 2009) ed in particolare mette in luce

alcuni percorsi presenti tra l’ippocampo e la mPFC essenziali nella

riorganizzazione tempo-dipendente delle tracce di memoria. Uno dei percorsi

(32)

~ 32 ~

che collega l’ippocampo direttamente alla corteccia mediale prefrontale, è originario dalla regione CA1 dell'ippocampo e dal subiculum, e termina nella corteccia prelimbica, mentre i nuclei talamici sono coinvolti in due percorsi indiretti. Il primo circuito ha origine in CA1 e nel subiculum, passando per il nucleo accumbens e la parte mediale del pallidum. Queste strutture a loro volta proiettano ai nuclei intralaminari, fino ad arrivare nella mPFC. Anche il secondo circuito a partire nell'ippocampo proietta verso il nucleo accumbens, quindi nella parte dorsomediale della substantia nigra, la pars reticula, prima di innervare gli stessi nuclei talamici, così come la mPFC. Questi percorsi potrebbero quindi rappresentare la via ippocampo-prefrontale importante per l'elaborazione della memoria spaziale. E’ evidente che i meccanismi che sottendono alle memorie spaziali non possono essere supportati da un numero limitato di aree così come può accadere per altre funzioni, ma necessitano di un’ampia rete di connessioni che elabora a più livelli ed in tempi differenti le varie componenti che le costituiscono. Di recente nuovi studi portano nuove informazioni utili a chiarire le componenti di questo net-work complesso. E’

comunemente riconosciuto che le funzioni di base del processo spaziale di

navigazione nel topo sono sorrette dagli stessi meccanismi che guidano la

codificazione delle memorie episodiche nell’uomo (Doller & Burges, 2010). La

navigazione spaziale si basa sulla percezione di punti di riferimento e sul

processamento di informazioni che integrano la velocità e la direzione del

movimento rispetto alla posizione del soggetto, gli input visivi sono

fondamentali per fornire gli elementi a questo processo nutrendo i network sia

a livello ippocampale che corticale. Nell’ uomo ma più in generale nei primati

questo processo è svolto da due percorsi differenti che originano dalla corteccia

visiva associativa chiamate “via ventrale” e “via dorsale”. La via ventrale è

coinvolta principalmente nella percezione e nel ricordo di oggetti, mentre la via

dorsale nella percezione e nel ricordo di localizzazioni spaziali, queste vie si

connettono rispettivamente con la corteccia peririnale e con la corteccia

paraippocampale. Studi di imaging funzionale hanno rilevato che quando i

soggetti apprendono un compito dichiarativo che implica la memorizzazione di

(33)

~ 33 ~

pattern colorati la corteccia peririnale è più attiva di quella paraippocampale; al contrario, quando i soggetti apprendono un compito dichiarativo che implica la memorizzazione della localizzazione degli oggetti, il pattern di attivazione di queste regioni è invertito; l’ippocampo rimane attivo in entrambe (Carlson, 2008). In un lavoro dell’ultimo anno di Burkhalter e collaboratori (2011) è stata mostrata l’esistenza di questi percorsi anche nei roditori. Mediante l’uso di marcatori citoarchitettonici, sono state individuate due zone dell’area extrastriata nel topo, principali bersagli degli output della corteccia visiva primaria e specializzati nel processamento di informazioni visive spaziali e rispettivamente chiamati campo latero mediale LM e campo antero laterale AL (fig.1-13). L’insieme di analisi quantitative e di registrazioni eletrofisiologiche hanno mostrato dall’area LM parte un circuito che la connette direttamente con l’area temporale e con la corteccia entorinale laterale fortemente analogo alla via ventrale; mentre dall’area AL parte un circuito biunivoco che presenta delle fortissime analogie con la via dorsale dei primati. Questa via connette l’area AL da un lato con la corteccia motoria secondaria, questa connessione sembra rafforzarsi in seguito ad attività esperienza dipendente (Guandalini 1998), dall’altro con la corteccia parietale posteriore che a sua volta è collegata alla corteccia entorinale mediale la quale conclude il circuito trasferendo le informazioni all’ippocampo.

Figura 2-13 Connessioni dell’area AL della corteccia visiva di topo adulto. Si possono osservare su campo scuro le proiezioni assonali rese visibili da un iniezione di BDA (Biotinalated Dextran Amine). (Wang, Gao, & Burkhalter, 2011)

(34)

~ 34 ~

Questi studi, così come molti altri in corso, sono ancora iniziali e non dicono nulla si meccanismi di partecipazione di aree corticali come la visiva e la parietale nello stoccaggio e nel richiamo delle memorie spaziali, sebbene è evidente il loro coinvolgimento nella formazione di quest’ultime. Tuttavia, è intuitivo pensare che, essendo biunivoche, le connessioni ippocampali possano in qualche modo rinforzare anche queste connessioni corticali, durante il consolidamento di specifiche esperienze. In questo elaborato ci proponiamo di fornire degli elementi, seppur minimi, relativi alla complessità di questo network.

2.5 Meccanismi di plasticità a servizio delle memorie

Le interazioni ippocampo-corticali sono cruciali per il mantenimento e il richiamo delle memorie dichiarative, questa evidenza sperimentale viene da studi che mettono in luce l’attivazione, prima dell’ippocampo (memoria recente) e successivamente della corteccia prefrontale mediale (memoria remota)(Bontempi et al., 1999; Maviel et al., 2004; Frankland et al., 2006) descritti nella sezione precedente. Questi cambiamenti nell’attività regionale sono mediati da precisi meccanismi cellulari e molecolari, che portano ad una rapida modificazione dell’efficacia sinaptica, ed al riarrangiamento della densità delle spine nei dendriti delle cellule ippocampali, guidando i primi stadi della formazione delle memorie. Questi riarrangiamenti sono necessari anche nelle regioni corticali, durante la formazione delle memorie remote;

questi meccanismi non sono ancora del tutto chiariti ma alcune indicazioni

provengono da studi su modelli animali. Per individuare l’importanza del

mantenimento della traccia formata nell’ippocampo, è stata soppressa in

maniera inducibile la funzione di NMDAr (N-methyl-D-aspartate receptor) in

CA1 nella settimana immediatamente dopo l'addestramento al water maze test.

(35)

~ 35 ~

Nel gruppo sperimentale si osserva un peggioramento nella performance, causa del blocco nella formazione di ricordi remoti (Fig. 1-14) (Shimizu & Tang, 2000). Un pattern simile della perdita della memoria remota si verifica in topi mutanti che esprimono un dominante negativo per “p21-activated kinase”

(PAK), molecola che regola la spinogenesi. Questa alterazione è limitata alla corteccia, dove i neuroni hanno meno spine dendritiche ed aumentano in proporzione la larghezza delle sinapsi. Nei soggetti sperimentali si verifica un’alterazione della struttura delle spine dendritiche collegata ad una conseguente alterazione della plasticità sinaptica corticale, le performance nel labirinto di Morris e nel fear conditioning sono positive se testate un giorno dopo l’addestramento ma peggiorano ad intervalli maggiori. Approcci differenti focalizzano l’attenzione direttamente sulla plasticità corticali; ad esempio analoghi risultati sono stati ottenuti con modelli animali aventi un’anomalia nella plasticità corticale ma intatta plasticità ippocampale a causa di una manipolazione genetica della CaMKII. Questi soggetti testati nel labirinto ad acqua di Morris hanno registrato buone performance in seguito al richiamo della memoria recente. Tuttavia, hanno avuto un decadimento della traccia della memoria remota. Gli autori hanno ipotizzato che l’assenza di LTP corticale ha impedito il consolidamento delle tracce, infatti, gli aumenti di attivazione della neocorteccia, osservati durante il recupero della memoria remota, erano del tutto assenti nei soggetti con la mutazione di CaMKII, da ciò l’implicazione che livelli corticali normali, potrebbero essere critici per il consolidamento neocorticale così come nell’ippocampo (Frankland et al., 2001).

Nel complesso questi risultati suggeriscono l’esistenza di fortissime analogie

nelle molecole e nei meccanismi alla base della plasticità ippocampale e

neocorticale. Un aspetto interessate risiede nei processi che guidano questi

cambiamenti morfologici e che consentono il mantenimento delle memorie. A

questo proposito è stata messa in evidenza la possibilità di cambiamenti

strutturali come la crescita di spine dendritiche nell’ippocampo e nella corteccia

cingolata anteriore in seguito al solo condizionamento, di tracce di memoria

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