INDICE
Introduzione
Capitolo Primo
La conquista della musica: tecnologia e mercato
1.1 Il fonografo e i suoi antenati 1.2 Il grammofono e il supporto disco
1.3 Nascita e sviluppo dell’industria discografica 1.4 L’avvento della trasmissione:
la radio e gli effetti sulla discografia 1.5 Le innovazioni del mercato musicale:
la rivoluzione del 45 e del 33 giri
1.6 Il nastro magnetico: arriva la «musicassetta»
1.7 La rivoluzione Walkman:
comincia l’era della portabilità
1.8 L’«home taping»: majors contro musicassette
1.9 L’era digitale: il compact disc e i suoi successori 1.10 Musica, computer e Internet:
era multimediale e nuovi scenari
1.11 I supporti del nuovo scenario: Mp3 & Co
Capitolo secondo
L’industria fonografica: struttura e caratteristiche del settore
2.1 Settore fonografico e mercato della musica 2.2 La catena del valore dell’industria fonografica 2.3 Gli attori del settore: il circuito «Brick & Mortar»
2.3.1 Il manager 2.3.2 L’artista 2.3.3 L’agente
2.3.4 Le case discografiche: Majors e Indies 2.3.5 La fabbricazione
2.3.6 La produzione 2.3.7 L’edizione 2.3.8 La promozione 2.3.9 I distributori 2.3.10 I dettaglianti 2.3.11 I consumatori
2.4 Il modello economico tradizionale dell’impresa discografica
2.5 Le caratteristiche del prodotto musica e l’importanza della promozione 2.6 Il ruolo del prezzo
2.7 La distribuzione dei supporti musicali 2.8 Il successo della grande distribuzione:
il multistore e il retailtainment
2.9 Le cifre del mercato della musica registrata 2.10 Le difficoltà del settore:
il calo delle vendite di supporti musicali 2.11 La pirateria
e gli interventi a tutela dei diritti esclusivi
Capitolo terzo
Musica on-line: la nuova frontiera della distribuzione musicale
3.1 La rivoluzione digitale e la trasformazione dell’industria della musica registrata 3.2 L’impatto di Internet e delle ICT sulle componenti della filiera musicale
3.2.1 Gli effetti sul «comparto innovazione»:
ridefinizione delle royalties e i nuovi canali e strumenti di promozione 3.2.2 L’abbattimento dei costi di produzione 3.3 La distribuzione digitale del prodotto musicale 3.4 Le strategie delle imprese operanti
nella distribuzione digitale
3.5 Le politiche dei prezzi e nuovi modelli economici:
il «download» e l’abbonamento 3.6 L’evoluzione della catena del valore 3.7 La nuova catena del valore e le relazioni con i nuovi modelli economici
3.7.1 I fornitori di musica digitale indipendenti, detti «stand alone»
3.7.2 I Music Service Providers 3.7.3 Gli editori di software 3.7.4 I distributori tradizionali
3.7.5 Le marche di prodotti di consumo (non musicali)
3.7.6 Le compagnie di telecomunicazione e i portali Internet
3.7.7 Le società di carte di credito 3.7.8 I produttori di hardware 3.8 I numeri della musica digitale 3.9 La diversificazione dei mezzi di distribuzione musicale
3.9.1 Il video dà un nuovo impulso alla musica digitale
3.9.2 Gli investimenti delle case discografiche 3.9.3 Nuove opportunità di commercializzazione 3.9.4 La ribalta delle «labels digitali»
3.9.5 I nuovi intermediari della musica digitale 3.10 Musica on-line, artisti e consumatori
3.10.1 Il ruolo degli artisti
3.10.2 Il profilo del nuovo consumatore 3.11 Gli ostacoli alla distribuzione legale
di musica digitale
3.11.1 La pirateria su Internet 3.11.2 DRM e interoperatività 3.11.3 Il Digital Stream Ripping
3.12 Gli effetti dei provvedimenti giudiziari contro la «pirateria digitale»
Capitolo quarto Il caso Fnac
4.1 L’impresa
4.2 Fnac e la musica: il lancio
della piattaforma digitale Fnacmusic.com
Conclusioni Bibliografia
Introduzione
Dal momento in cui l’uomo è riuscito ad imprigionare il suono e riprodurlo a proprio piacimento la musica è diventata un affare planetario. La nascita dell’industria musicale è infatti coincisa con la
«materializzazione» della musica, intesa, cioè, nell’incorporazione della stessa su un supporto fisico:
rulli, dischi, cassette, compact disc, i quali, nel tempo, hanno procurato guadagni e successo alla stessa industria.
Sin dalle sue origini, il settore fonografico (o discografico) è stato caratterizzato da un indissolubile legame tra mercato e tecnologia, un legame che oggi riviene fortemente alla ribalta e che è alla base della nuova trasformazione che sta interessando l’intero settore.
Il continuo e crescente sviluppo delle Information and Communication Technologies, e più in particolare l’avvento alla ribalta di Internet, sta stravolgendo i paradigmi alla base delle logiche dell’industria musicale contribuendo in modo determinante all’affermazione della
«rivoluzione digitale» e comportando di conseguenza profondi mutamenti nei comportamenti di consumo e nei processi di produzione della musica registrata.
Alla base del terremoto che sta sconvolgendo l’industria fonografica vi è l’abbandono dell’idea di musica come prodotto fisico, sostituita dal concetto di musica immateriale, la musica, cioè, compressa in files digitali che possono viaggiare ad enormi velocità da un capo all’altro del mondo a costi quasi nulli.
Il processo di trasformazione indotto dalla
«dematerializzazione» della musica riguarda tutti gli elementi della catena del valore, dalle dinamiche di creazione fino ai modi di consumo, passando inevitabilmente per la distribuzione che, nell’accezione tradizionale, risulta il comparto che viene maggiormente messo in pericolo dai nuovi scenari digitali nei quali vanno affermandosi i nuovi intermediari della musica: le piattaforme di distribuzione digitale.
Il settore fonografico si presenta, dunque, al momento come un settore in forte e continuo fermento. Le nuove tecnologie, il crollo delle barriere all’ingresso e la conseguente estensione dell’arena competitiva portano alla ribalta nuovi protagonisti e inducono quelli tradizionali a rivedere le proprie regole di funzionamento.
L’obiettivo di questo studio è quindi quello di individuare i cambiamenti in atto nel settore fonografico, delineare le tendenze che traspaiono nei comportamenti strategici dei soggetti economici coinvolti, nonché soprattutto quello di illustrare l’evoluzione e le prospettive della distribuzione musicale. L’esposizione è articolata in quattro parti.
Nella prima parte della tesi ho analizzato lo stretto rapporto tra tecnologia e mercato che da sempre contraddistingue il settore fonografico. Nel far ciò ho ripercorso la storia dei supporti musicali che si sono susseguiti nel corso del tempo, dall’invenzione del fonografo di Edison che consentì all’uomo di realizzare il suo antico sogno di catturare il suono, fino ad arrivare ai nuovi scenari digitali e all’“Mp3 Revolution” dei giorni
nostri, passando per la comparsa della radio, gli anni del vinile e per l’invenzione del Walkman che diede inizio all’era della portabilità della musica, analizzando allo stesso tempo i risvolti sociali ed economici che ognuno di essi ha portato con se. Inoltre, contestualmente alla storia dei supporti musicali ho esaminato, ripercorrendole in ordine cronologico, le tappe fondamentali dello sviluppo dell’industria musicale.
Nella seconda parte della tesi ho analizzato la struttura e le caratteristiche dell’industria fonografica tradizionale: la catena del valore del settore, i suoi attori, il modello di funzionamento economico. Ho focalizzato poi l’attenzione sulle caratteristiche del prodotto musicale
«fisico» e sull’importanza che nella definizione e nella diffusione dello stesso assumono la promozione, il prezzo e la distribuzione (soffermandomi in modo particolare sui nuovi canali distributivi che si sono sviluppati prima dell’avvento della distribuzione digitale tra i quali: i chioschi online dedicati alla vendita di supporti fisici e le grandi catene specializzate e non). Infine ho riportato i dati relativi al mercato mondiale e italiano della musica registrata nonché le difficoltà che lo stesso sta attraversando, soffermandomi in modo particolare sulla pirateria.
La terza parte della tesi è invece dedicata alla distribuzione digitale del prodotto musicale. Innanzitutto ho analizzato la trasformazione dell’industria della musica registrata alla luce della rivoluzione digitale considerando gli effetti di Internet e delle ICT sulle componenti della filiera musicale. In secondo luogo, poi, l’attenzione è stata
focalizzata in modo particolare su tutto ciò che riguarda la nuova distribuzione digitale della musica: la comparsa di nuovi operatori, primi tra tutti le piattaforme di distribuzione di musica digitale, le strategie e le motivazioni delle imprese operanti nel nuovo settore, i nuovi modelli economici che vanno delineandosi, l’evoluzione della catena del valore e le relazioni di questa con i nuovi modelli economici, nonché la posizione degli artisti e dei consumatori di fronte ai nuovi scenari di distribuzione digitale. Infine per dare un’idea dell’importanza del fenomeno ho riportato i dati relativi al nuovo mercato digitale senza tralasciare la trattazione degli ostacoli che ancora limitano lo sviluppo di questa fantastica opportunità economica e culturale che è la distribuzione legale di musica digitale.
Infine la quarta parte della tesi è dedicata allo studio del caso Fnac, società francese specializzata nella vendita di prodotti culturali e tecnologici leader in Francia ed in continua espansione a livello internazionale, la quale, forte di una consolidata tradizione ed esperienza nella distribuzione di supporti musicali (che nel 2005 rappresentano il 21,3% del fatturato totale dell’impresa), non si è lasciata sfuggire l’occasione di far ingresso anche nel nuovo settore della distribuzione digitale con il lancio della piattaforma digitale Fnacmusic.com.
1. La conquista della musica:
tecnologia e mercato
1.1 Il fonografo e i suoi antenati
Prima degli anni Novanta del secolo scorso sarebbe stato inconcepibile sentire la musica senza vederla. Essa, infatti, in origine era diffusa, cioè suonata e fruita, nel momento stesso dell’ascolto, dai suonatori ambulanti che giravano per le tribù primitive, o dai musicisti che accompagnavano le feste rituali. Sin dall’antichità, però, uno dei tanti sogni dell’uomo è stato quello di catturare voce e suono per poterli trattenere e riprodurli a proprio piacimento, fare cioè della musica un oggetto. I primi tentativi di registrare la musica sono iniziati con le civiltà più evolute che dopo aver codificato il parlato, il verbo, con la scrittura, hanno tentato di registrare, e quindi archiviare, anche la musica, mediante la notazione musicale. Tale metodo, che si è andato sviluppando dal Medio Evo in poi, consentiva (e consente ancora tuttoggi) però, di diffondere e riprodurre la musica così come un libro consente di distribuire un testo, trattandosi effettivamente di una traduzione in simboli dei suoni musicali trascritti su carta; in altre parole, trattandosi di una codifica, necessita di qualcuno in grado di leggerla ed eseguirla. L’idea, poi, di rendere la musica un oggetto nasce con l’ascesa delle classi borghesi, che nel Seicento
inventano il concerto pubblico1. Di conseguenza, la nascita di tale fenomeno fa aumentare la richiesta di spartiti, per poter riprodurre la musica dei grandi artisti nei salotti borghesi: comincia così a muovere i suoi primi timidi passi quello che poi diverrà l’attuale mercato discografico. Si potrebbe dire, infatti, che lo spartito, contenente la trascrizione di un’opera con la notazione musicale è stato il primo supporto per la distribuzione della musica, e gli editori di spartiti gli antesignani delle attuali case discografiche.
I primi tentativi, però, di registrare proprio il suono della musica, e rendere quindi possibile la distribuzione su supporti in grado di riprodurre direttamente la musica furono mossi a partire dai primi anni del ‘700.
La prima tecnica messa a punto è stata quella dei rulli, ovvero del carillon, tuttora usata dai suonatori di strada nelle pianole. Il rullo consentiva di trasferire la notazione musicale direttamente su uno strumento a tastiera (clavicembalo, piano o altri varianti), identificando la sequenza dei tasti. Era sufficiente applicarlo ad uno strumento predisposto e girare la manovella alla giusta velocità per ricreare nell’etere il brano musicale. Il primo ad avvalersi di tale tecnica fu l’italiano Giovanni Barberi che nel 1702 proponeva sulle piazze di mezza Italia il suo prototipo di organetto meccanico, poi denominato “organetto di Barberia”, il quale ispirò poi la realizzazione tra il XVIII e il XIX
1 Cfr C.Di Gennaro, R. Favaro, L. Pestalozza, Storia della musica, Nuova Carisch, San Giuliano Milanese 1999
secolo, dei carillon moderni, del pianoforte meccanico e dell’autopiano. Siamo ancora molto distanti dall’idea di registrazione della musica, piuttosto si pensa a come rendere possibile l’esecuzione in assenza dell’esecutore.
Non sarebbe trascorso però molto tempo dall’invenzione che avrebbe cambiato per sempre il modo di tramandare il suono e in secondo luogo di fruire della musica.
A porre le basi a tale invenzione fu Edouard-Leon Scott de Martinville, nato in Francia all’inizio del XIX secolo, di professione stampatore, che nel 1857 brevettò il fonoautografo, apparecchio in grado di rendere con un segno grafico l’onda sonora. L’invenzione di Scott era basata su una membrana di carta, mossa dalla voce o dal suono (che, come noto, provoca vibrazioni nell’aria), che guidava a sua volta una penna la quale registrava la sinusoide del suono2.
La nascita della moderna registrazione si deve, però, all’intraprendenza e al genio di Thomas Alva Edison, newyorkese di origini olandesi, “lo stregone di Menlo Park” come venne in seguito soprannominato, il quale il 18 luglio del 1877 registrò e riascoltò un semplice
‹‹Hallo›› tramite il fonografo, uno strumento rivoluzionario di sua invenzione che, attraverso la dinamica dei fluidi (come l’aria), permetteva di incidere i suoni su cilindri, prima ricoperti di una sottile lamina di stagno (tin-foil), poi di cera, e successivamente di
2 Cfr. A. Truffi, Le tecniche di registrazione del suono, documento Internet tratto dal sito http://www.musicaememoria.com, 20.02.06
riprodurli. Con in fonografo Edison riuscì in ciò in cui non era riuscito Scott, ovvero imprigionare il suono e riprodurlo a proprio piacimento. Costruendo il primo fonografo, Edison elaborò l’intuizione dello stampatore francese, che si era limitato a rappresentare graficamente la forma del suono su un cilindro ricoperto di carta affumicata, sostituì alla cellulosa la stagnola in un primo momento, poi la cera, per ottenere non il segno grafico ma una vera e propria incisione, quando poi la puntina ritornava sul solco tracciato sul cilindro metallico restituiva il suono secondo il procedimento inverso3; il genio di Edison aveva quindi compiuto il passo successivo, quello di rendere riproducibile il suono.
Nonostante la paternità dell’invenzione sia rivendicata dal chimico e fisico francese Charles Cros (attento studioso dell’opera di Scott) che contemporaneamente, a Parigi presentava domanda di brevetto per il suo Paléophone, (una variante del fonografo funzionante con cilindri di cristallo), il dato che per la storia fa testo è la concessione, nei primi mesi del 1878, del brevetto U.S. 200521 che attribuì a Edison la paternità e, di conseguenza, la titolarità dei diritti di sfruttamento economico del fonografo, dando così l’avvio all’epopea della registrazione.
Curiosamente, però, Edison non intuì immediatamente il potenziale della tecnologia che aveva
3 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal Fonografo alla Rete e all’MP3. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
messo a punto. In un articolo del 1877 elencava infatti dieci possibili usi per “spingere” la nuova invenzione, che andavano da registrare libri per ciechi, tramandare le ultime parole dei moribondi, annunciare l’ora esatta, insegnare a scrivere sotto dettato, ma non era elencata la
registrazione della musica. E invece fu proprio la musica a fare la fortuna di Edison e a decretare il successo del fonografo. Infatti nonostante la deperibilità e la fragilità dei materiali usati, il supporto cilindro ebbe un notevole successo e catturò l’attenzione della nascente Columbia Phonograph Company di Washington che comprò il brevetto di Edison iniziando ad incidere canzoni, filastrocche per bambini, brani in prosa e gag comiche. Lo stesso Edison, poi, si dimostrò, oltre che uno scienziato dall’indiscutibile senso pratico, un accorto uomo d’affari fondando la Edison Speaking Phonograph Company, una delle prime label musicali del mondo.
I primi cilindri di cera commercializzati negli anni Ottanta garantivano una manciata di ascolti, mai più di quindici, poi venivano restituiti al dettagliante che provvedeva a riutilizzarli rimodellando la cera e rendendoli disponibili per una nuova incisione. Bisognerà attendere l’inizio del ventesimo secolo per la diffusione di cilindri in grado di garantire un centinaio di prestazioni,
L’Edison Standard Phonograph
anche grazie alla composizione di materiali più resistenti come la celluloide e l’amberol, una plastica brevettata dallo stesso Edison.
In un primo periodo nessuna indicazione era posta sugli involucri che avvolgevano i cilindri in vendita. Poi, quella che oggi potremmo considerare la più semplice
tecnica di marketing, impose la specificazione del nome dell’etichetta, del nome dell’esecutore, titolo del brano e numero di catalogo.
Il fonografo, dunque, nato come registratore della voce umana, si affermava invece come riproduttore, in particolare di musica, mentre la fase della registrazione, effettivamente più complessa di come Edison pensava, veniva gestita dai professionisti, cioè le case di edizione, in seguito poi case discografiche. Nasceva così il mercato della musica riprodotta, come estensione e moltiplicazione della musica editata (gli spartiti). Ora le case editrici che detenevano i diritti degli artisti potevano mettere in commercio non lo spartito, ma un supporto sul quale era registrata la musica o la esecuzione da vendere, e i fruitori, gli utenti finali, acquistavano il diritto di
Annuncio pubblicitario del 1898: il fonografo era già un “prodotto di
massa
riprodurla sui loro fonografi casalinghi, ed erano una platea ben più ampia di quella che acquistava spartiti, perché comprendeva anche chi non conosceva musica.
Nasce con il fonografo un mercato veramente di massa, dove il consumo del “prodotto musica” si fonde con la formazione, con le attività ludiche e quelle lavorative, fino a permeare ogni aspetto del vivere sociale.
I nuovi ascoltatori/consumatori introducono di buon grado la musica nel loro vivere quotidiano, inventando una nuova forma di fruizione non competitiva con le altre attività (potremmo parlare di consumo time saving): si può ora ascoltare la musica leggendo, lavorando, sbrigando le faccende domestiche e così via; la musica si preparava a diventare ‹‹un oggetto che ognuno poteva possedere individualmente e godere a proprio agio››4 tramutandosi secondo tale accezione da bene culturale collettivo e pubblico a bene privato, fisicamente tangibile e commerciabile.
Tuttavia la poca praticità del supporto (che nella sua versione più avanzata misurava dieci centimetri in lunghezza e cinque in diametro, per un ascolto della durata compresa tra i due e i quattro minuti) decretò nel giro di poco più di un ventennio il tramonto del cilindro a vantaggio del più agile disco, primo formato a conoscere un’autentica commercializzazione su larga scala.
4 E. Eisemberg, L’angelo del Fonografo: musica dischi e cultura da Aristotele a Zappa, Instar Libri, Torino 1997
1.2 Il grammofono e il supporto disco
L’invenzione che diede avvio al passaggio di consegne dal supporto cilindro al nuovo supporto disco fu il Grammofono, brevettato nel 1887 dal tedesco Emile Berliner che ne assegnò la commercializzazione alla Berliner Gramophone Company (una cordata di imprenditori da lui stesso guidata).
Berliner, affascinato dalla trasmissione del suono e dalla riproducibilità di esso, sfrutta l’intuizione di Edison e approfondisce la tecnica di incisione su disco anziché su cilindro. La nuova “macchina parlante” ideata dal tedesco prevede l’incisione in senso verticale da parte di una puntina, di un solco a forma di spirale su un disco inizialmente in fibra vetrosa.
Quattro anni dopo l’inventore perfeziona il modello, utilizzando un disco in alluminio e prevedendo la modulazione del solco laterale. I primi dischi in commercio nel 1895 recanti il marchio Berliner Gramophone Company sono in ebanite (gomma vulcanizzata) misurano appena 7 pollici di diametro (17.78 cm, le dimensioni del moderno “singolo”), girano alla velocità di 55 rotazioni al minuto e possono contenere fino a due minuti di musica: verranno soppiantati all’inizio del XX secolo dai più resistenti e capienti dischi in lacca nitrocellulosa (“shellac” anche nota come
Il Berliner Gramophon
gommalacca)5. Nel 1906, poi, la Columbia immette sul mercato il modello di disco “Velvet Tone” in schellac flessibile. Le innovazioni continuano a susseguirsi in modo vertiginoso, ulteriori ritocchi vengono apportati dall’ingegnere meccanico Eldridge R. Johnson, che risolve i problemi tecnici derivanti dalla corretta velocità di rotazione del disco, progettando un motore che sfrutta i meccanismi dell’orologeria a molla; lo stesso Johnson, poi, fonda con Berliner l’etichetta Victor Talking Machine nel 1901. Ed è proprio nello stesso anno che dall’accordo tra le detentrici dei principali brevetti tecnici del settore, la Edison National Phonograph, la Victor Talking Machine e la Columbia Phonograph Company nasce il cartello che darà vita alla produzione in serie del supporto disco, per mezzo della stampa di una matrice in zinco. Comincia, dunque l’era della distribuzione della musica suonata attraverso un supporto fisico. E’ quindi, il grammofono a disco di Berliner a dare l’impulso definitivo, consentendo di duplicare all’infinito il master originario e aprendo così il mercato delle royalties, che viene a sovrapporsi a quello dei diritti d’autore. Nasce così l’industria discografica, con, oltre alle già citate americane Columbia (1897) e Victor Talking Machine Co. (1901), l’inglese Gramophone Co. (1898), la francese Pathé Frères (1897), la tedesca International Zonophone e la napoletana Polyphon (1901). La musica comincia a diventare un
5 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal Fonografo alla Rete e all’MP3. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
affare mondiale, mentre negli Stati Uniti si vendono oltre 150 mila tra fonografi e grammofoni, il nuovo mass medium fa un timido ingresso anche in India, Egitto e Giappone6.
Attorno al 1910 la velocità di rotazione dei dischi si attesta intorno ai 78 giri, il formato più comune diventa quello dei 10 pollici (circa 25 centimetri di diametro) capace di contenere fino a 4-5 minuti di musica. Lo standard dei 78 giri non è casuale: il funzionamento a manovella dei primi fonografi il cui compito era al contempo di incidere i cilindri e di riprodurre il suono in essi catturato (il supporto andava naturalmente suonato alla stessa velocità con la quale era stato registrato) determinò i giri al minuto su misura variabili tra i 60 e i 90, funzionali alle capacità di azionamento dell’uomo.
Quelle misure coincidevano inoltre con le esigenze del lavoro delle prime rudimentali puntine in acciaio che determinavano la grandezza del solco che imponeva una gamma di frequenze riproducibili unicamente su quei valori di giri al minuto. Quando attorno alla metà degli anni Venti l’azionamento divenne elettrico, si assistette alla standardizzazione della velocità a 78 giri per convenzione industriale imposta dall’azienda principale del settore, la Victor.
L’inizio del ‘900 è caratterizzato dalla “guerra” tra cilindri e dischi, una battaglia senza esclusione di colpi,
6 Cfr C.Di Gennaro, R. Favaro, L. Pestalozza, Storia della musica, Nuova Carisch, San Giuliano Milanese 1999
giocata su i più svariati campi, dall’economico al tecnologico al legale.
Nel 1902 Edison propone sul mercato una serie a larga tiratura di cilindri, i “Gold Medal” (50 centesimi di dollaro), mentre la Victor punta tutto sui “Red Seal”
dischi a 10 pollici (1 dollaro).
Nel 1906 la Victor propone al grande pubblico l’apparecchio Victorola, la cui commercializzazione avrà una tale fortuna che per lungo tempo così verranno chiamati comunemente i grammofoni. Per Edison, assiduo sostenitore del cilindro, è un duro colpo, ma il suo genio riesce a limitare gli effetti dell’attacco della Victor, progettando e producendo nel 1912 un cilindro infrangibile in celluloide contenente 5 minuti di registrazioni e il modello fonografo “Opera”. Avendo compreso la preponderanza sul mercato del grammofono, Edison cederà alla produzione di dischi proponendo il suo
“Edison Diamond Disc” a incisione verticale, pure rimanendo convinto della maggiore fedeltà dei cilindri che continuerà a produrre fino al 1929. All’inizio del secolo la Columbia abbandona l’idea del cilindro, così come la francese Pathè, e il successo del disco diventa innegabile7. Successo che come ben si evince dalla storia non è dovuto ad una manifesta e incontrovertibile superiorità tecnologica o per altre sofisticate caratteristiche del disco rispetto al cilindro, ma per una banale ragione: i sottili
7 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal Fonografo alla Rete e all’MP3. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
dischi di gommalacca si prestavano a essere conservati nelle dimore borghesi più comodamente e in minor spazio e questo fu un motivo sufficiente a decretarne il successo.
Già da ora possiamo individuare l’indissolubile legame tra mercato e tecnologia che caratterizza il settore fonografico, legame che compare fin dai primi passi dell’industria fonografica e che ancora oggi assume importanza vitale per tale settore.
Ciò che però ora, è importante sottolineare è che tali invenzioni nonché lo sviluppo di tali tecnologie, coincidono anche con una crisi strutturale che nella metà dell’Ottocento, proprio con la rivoluzione industriale, investe molte attività. Infatti le migliorie e i mutamenti del nuovo apparato produttivo evidenziarono le differenze tra i settori organizzati secondo logiche artigianali, e quelli in cui la nuova dimensione industriale imprimeva un’accelerazione senza precedenti.
Si consolidava, dunque, il passaggio dalla produzione labour intensive a quella capital intensive, che sarebbe divenuta la parola d’ordine del XX secolo. Di conseguenza, tutte quelle attività che non erano suscettibili di progresso tecnico o lo erano in maniera sporadica e limitata cominciavano a risentire della concorrenza con le attività progressive, la cui produttività (produzione per addetto) presentava un andamento crescente. La musica e le arti rappresentative, da sempre incentrate sul lavoro dei singoli individui, dunque labour intensive, erano tra le attività che iniziavano a soffrirne pesantemente, tanto che analisi economiche e statistiche del tempo arrivavano fino prefigurare la scomparsa dello
spettacolo dal vivo: si sosteneva infatti che mentre, si può ripensare un procedimento industriale, migliorarlo con innovazioni, ben poco si può fare per aumentare la produttività di un quartetto d’archi, né si può dimezzare l’organico di un’orchestra senza irrimediabilmente condizionare il risultato finale.
A far cambiare tali visioni pessimistiche ed allarmanti ecco che intervengono allora le tecnologie di registrazione e il fonogramma (“the canned sound”, il suono in scatola cosi come venne definito); la musica inscatolata diventava finalmente un artefatto che poteva essere riportato agli schemi produttivi introdotti dalla prassi industriale8. La musica viene duplicata, confezionata e venduta sul mercato come gli altri prodotti, entrando a far parte dei beni di largo consumo. Inoltre può essere ‹‹eseguita›› all’infinito senza costi crescenti (potremmo dire a costi marginali costanti o addirittura nulli). Ogni apparecchio, ogni altoparlante diviene un ripetitore che permette alla musica di invadere ogni spazio ed ogni occasione.
Da questo momento in poi la registrazione diviene il motore del mercato della musica e lo spettacolo, il concerto, si trasforma in accessorio e funzionale al mercato della fonografia.
8 Cfr. F. Silva, G. Ramello, dal Vinile a Internet.
Economia della musica tra tecnologia e diritti, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1999
1.3 Nascita e sviluppo del mercato discografico
Passano pochi anni dall’invenzione del grammofono di Berliner (considerato ancor più del fonografo di Edison un oggetto appetibile per il grande pubblico di fruitori della musica) e la musica diventa subito un affare milionario, fiutato con grande prontezza dal nascente mondo dell’editoria commerciale. La musica che fino ad allora si era venduta solo su spartito, aveva scelto un nuovo supporto, il disco. Già a metà degli anni Venti la fortuna dei dischi supera quella degli spartiti, ma il segnale definitivo del successo del nuovo supporto viene dato da White Christmas di Irving Berlin, che a cinque anni dalla sua pubblicazione (1942) avrebbe venduto 5 milioni di dischi a dispetto dei 3 milioni di spartiti. Se nel 1912 le compagnie dominanti sono tre, nel 1916 sono quarantasei e la produzione di dischi salirà dai 27 milioni del 1914 ai 160 del 1919. Si aprono filiali in Sud America e in Cina mentre i dischi approdano nei bazar dell’Asia Centrale.9
E’ l’inizio di una vera e propria rivoluzione culturale, ma soprattutto commerciale, della quale punto di partenza è la mitica “Tin Pan Alley” (il nome deriva dalla cacofonia che si produceva in quel luogo, dovuta allo strimpellare di più pianoforti insieme, simile al suono delle casseruole, e barattoli di latta, “tin pan”) a New
9Cfr C.Di Gennaro, R. Favaro, L. Pestalozza, Storia della musica, Nuova Carisch, San Giuliano Milanese 1999
York, nella 28esima strada, tra la Broadway e la Sixth Avenue; è lì, infatti, a partire dal 1885 che il settore dell’editoria musicale muove i suoi primi passi. In un’epoca in cui i cilindri e i dischi non si sono ancora affermati definitivamente come supporti di successo, gli editori vendono la musica sotto forma di partiture (“sheet music”) per voce e piano. Il prendere piede dell’attività editoriale di Tin Pan Alley risponde all’elementare meccanismo di mercato di incontro tra domanda e offerta di musica. I “publisher” newyorkesi arrivarono in breve a diventare datori degli autori, a gestire per loro i proventi derivanti dai diritti e ad assegnare le canzoni alle star del vaudeville10 e del musical11 prima e alle case discografiche poi, e a formare gli autori stessi, i cosiddetti
“music plugger”, reclutati per creare e popolarizzare le melodie destinate alla vendita.
Nel 1914, nel momento di massima espansione di Tin Pan Alley, viene fondata a New York la American
10 Canzone satirica spesso riferita a eventi locali, genere che ebbe inizio in Francia nel XV sec. Dal XIX sec.
commedia leggera di intrighi, scambi, colpi di scena.
Anche spettacolo di varietà composto di numeri sceneggiati con un breve filo conduttore tra l’uno e l’altro.
Forse da Vaut de Vire ‹‹Vallata di Vire››, nella Francia nord-orientale, dove ebbero successo le canzoni satiriche.
11Spettacolo musicale misto di prosa, danze, parti cantate, fiorito a Broadway (il quartiere musicale di New York) tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec. Come adattamento dell’operetta europea al gusto americano, poi diffuso largamente.
Society of Composers, Authors and Publishers (ASCAP), per tutelare la proprietà intellettuale e compensarla con i proventi derivanti dal diritto d’autore. La diffusione del medium radiofonico nelle famiglie americane negli anni Trenta fu una forte spinta per gli autori alla rivendicazione dei propri diritti ogni qualvolta i brani venivano trasmessi.
Alla fine degli anni Trenta la ASCAP comprendeva poco più di 1000 autori e 140 editori, 15 dei quali controllavano più del 90% del repertorio musicale trasmesso dalle radio, radunate in tre network, la NBC (National Broadcasting Company), la CBS (Columbia Broadcasting System) e la MBS (Mutual Broadcasting System). Alla metà degli anni Trenta la radiofonia nazionale versava il 5% dei proventi pubblicitari alla ASCAP. Per questo motivo nel 1939 l’industria radiofonica dà vita a una propria organizzazione, la Broadcast Music Incorporated (BMI), forte di una propria publishing company, per eludere le richieste della ASCAP. Il rapporto di mutua assistenza tra le etichette musicali e Tin Pan Alley dura fino alla nascita del rock’n’roll, fino a quando cioè ‹‹la performance registrata inizia ad assumere maggiore importanza rispetto al brano stesso e alla sua vendibilità (…). La musica popolare fino a quel momento creata per adulti frequentatori di teatri, vaudeville, nightclub che compravano spartiti per cantare e suonare, fu dominata improvvisamente dai teenager più attenti alla performance che alla musica scritta e alle parole››12, ed è da questo
12 Cfr. D. Jasen, Tin Pan Alley: The Composers, The Songs, The Performers And Their Times – The Golden
momento che nel mercato della musica sono le case discografiche a prendere il sopravvento.
Un sopravvento fatto di feroci battaglie ad eliminazione, legali, economiche e tecnologiche, tant’è che già a partire dagli anni Trenta dello scorso secolo, fusioni, accorpamenti e acquisizioni sono all’ordine del giorno nel mondo dell’industria discografica.
All’alba del dopoguerra sono sei le grandi corporazioni dell’industria musicale che hanno saldamente nelle mani il mercato discografico: Columbia, RCA, Victor, MGM, Mercury, Decca, Capitol13.
La Columbia viene fondata a Washington D.C. nel 1888 per la commercializzazione sulla costa est degli Stati Uniti dei primi modelli prodotti in serie del fonografo di Edison e dei cilindri in cera, e a partire dal 1901 inizia la produzione di dischi, contendendosi il primato con la Edison Phonograph Company e la Victor Talking Machine Company. Nel 1908 la Columbia conquista il primato con la produzione del disco registrato sui due lati, abbandonando definitivamente i cilindri quattro anni dopo. Nel 1925 è la prima etichetta a passare al sistema di incisione elettrico, che segna una vera e propria rivoluzione nel campo della registrazione. Nel 1938 viene assorbita dal marchio Columbia Broadcasting System, il Age Ofv American Popular Music From 1886 To 1956,, Penguin, London 1989
13 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal Fonografo alla Rete e all’MP3. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
network radiofonico fondato nel 1927 dall’accordo tra la stessa Columbia e dall’uomo d’affari, nonché ex manager della Philadelphia Orchestra, Arthur Judson. Dieci anni più tardi la label è ancora al centro dell’attenzione del mondo della discografia per l’introduzione sul mercato del disco 33 giri. Nella seconda metà degli anni Sessanta, giunta a controllare il 20% del mercato discografico, la CBS apre al mercato giapponese siglando una joint venture con la Sony (corporation che nel secondo Dopoguerra aveva raggiunto un peso notevole nel Sol Levante nel mercato dell’elettronica e delle sue applicazioni pratiche) e trasformandosi nella CBS/Sony Records. Dopo vari cambi di ragione sociale, nel 1988 la CBS viene totalmente acquisita dalla Sony che nel 1989 ingloba anche la compagnia cinematografica Columbia Pictures Entertainment Inc. Ciò che un tempo era CBS acquista il nome di Sony Music Entertainment Inc.
(SME).
La Victor Talking Machine era stata creata da Eldridge R. Johnson nel 1901 a Camden, nel New Jersey, e nel giro di breve si era affermata come azienda leader nella produzione di fonografi e grammofoni, grazie alla fusione tra la Emile Berliner Gramophone e la Consolidated Talking Machine Company. Nel fare ciò la Victor aveva ereditato dalla Berliner Gramophone la sussidiaria inglese Gramophone Company, poi diventata His Master’s Voice (HMV) espandendo il business musicale anche nel vecchio continente, dove nel 1903 si era accaparrata il primo grande contratto della storia del mercato musicale, quello con il tenore Enrico Caruso. Nel
1906 la Victor aveva lanciato il fonografo “compatto”
Victorola, il primo dal design appetibile (era integrato in un mobile), dal prezzo contenuto per le famiglie. Nel 1928 Johnson cede la Victor all’istituto di credito Siegelman &
Spyer che provvede alla vendita alla Radio Corporation of America (RCA), azienda monopolistica della radiofonia statunitense nata nel 1919 dall’accordo tra la General Electric Company (GE) e la American Telephone and Telegraph (AT&T). La label che nasce prende il nome di RCA Victor. Trent’anni dopo l’etichetta è ancora sulla breccia pronta a rispondere alla Columbia, che ha appena brevettato il long playing, con il singolo a 45 giri. Negli anni Ottanta, a causa delle prime battute di arresto dovute ad alcune mosse errate sul mercato (la commercializzazione non fortunata del videodisco) la General Electric dispone la vendita della RCA Records al gruppo tedesco Bertelsmann AG.
La Metro-Goldwin-Mayer (MGM) nasce nel 1924 dall’accorpamento della Metro Picture Corporation, della Goldwin Picture Corporation e della Louis B. Mayer Pictures, diventando così nel giro di dieci anni la principale compagnia cinematografica americana. Dopo la seconda Guerra Mondiale la MGM intuì la possibilità di grandi guadagni con il confezionamento di film musicali, genere popolare e alquanto redditizio al botteghino. Nel 1947 la compagnia decide di intraprendere la vendita di dischi di colonne sonore di film di propria produzione attraverso la MGM Records. Una gestione non troppo accorta, poi, inizierà a segnare il declino dell’etichetta che
nel 1972 verrà rilevata dal gruppo tedesco-olandese Polygram.
La Mercury viene fondata a Chicago nel 1945 principalmente con lo scopo di diffondere il verbo della black music, blues e rhythm’n’blues. Fondatori dell’etichetta furono il talent scout Arthur Talmadge, Berle Adams, un agente teatrale e musicale, e Irving Greene, un piccolo imprenditore del settore della plastica che contribuì alla costruzione di un avveniristico impianto di stampaggio automatico che fece la fortuna della label.
La Mercury comprese immediatamente l’importanza della possibilità di ottenere il permesso di stampare i nuovi formati dei 33 e dei 45 giri e fu la prima etichetta a puntare su una massiccia campagna promozionale itinerante, inviando in tour delle vere e proprie truppe di propri artisti per pubblicizzare il marchio. Dopo aver ramificato le proprie attività nei più disparati campi musicali, la label viene acquisita nel 1961 dal potentissimo gruppo olandese Philips, cui si deve la diffusione dell’audiocassetta nel 1963.
Il marchio Decca compare per la prima volta in Inghilterra nel 1914 su un grammofono portatile elaborato dalla ditta Barnett Samuel & Sons Ltd., e ribattezzato
“dulcephone”. Nel 1934 la Decca sbarca negli Stati Uniti con l’impresario Jack Capp che inizia un’intelligente campagna di vendita a prezzi contenuti, i primi “nice price” della storia. Nel 1942 assesta il colpo più fortunato di tutti i tempi del mercato musicale pubblicando White Christmas di Bing Crosby, il singolo più venduto della storia. Nel 1946 la Decca produce dischi con un sistema di
registrazione che può essere considerato antesignano dell’alta fedeltà, il metodo FFRR (full frequency range recording) che esalta il suono, e immediatamente si pone come uno dei più grandi colossi dell’industria discografica. La fortuna dell’etichetta anglo-americana va e viene: nel 1952 compra gli Universal Studios, nel 1953 firma un accordo con la RCA per la vendita dei dischi di Elvis Presley in Inghilterra, ma nel 1962 manca l’appuntamento con la storia rinunciando a mettere sotto contratto i Beatles. Due anni prima la American Decca era stata acquistata dalla Music Corporation of America (MCA), e dopo un declino inesorabile dovuto a scelte artistiche e gestionali discutibili la Decca inglese viene acquisita dalla Polygram14.
LA Capitol venne fondata nel 1942 dal produtore cinematografico dei Paramount Studios Buddy De Silva, da Glenn Wallichs, proprietario del negozio di dischi Music City di Los Angeles e stampatore all’ingrosso di dischi di gommalacca, e dall’autore e cantante Johnny Mercer al quale vennero affidati compiti di talent scouting. Con i più di 40 milioni di album venduti, la Capitol, nel giro di cinque anni, diventa una dei più grandi colossi dell’industria discografica mondiale. Al massimo della sua espansione, nel 1955, la major inglese Electric and Musical Industries (EMI), per compensare il mancato rinnovo degli accordi di licenza con la RCA e la CBS,
14 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal Fonografo alla Rete e all’MP3. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
rileva la Capitol e il suo stellare catalogo (che comprende tra gli altri, artisti del calibro di Frank Sinatra) per 8,5 milioni di dollari.
La Emi è la più potente label europea del momento, nata dalla fusione, nel 1931, della British Gramophone Company e della Columbia Graphophone Company ed è titolare dei prestigiosi studi di registrazione londinesi Abbey Road. Il nuovo marchio Capitol/EMI rimane centrale lungo tutti gli anni Sessanta (la Capitol è l’etichetta che stampa e distribuisce i dischi dei Beatles negli Stati Uniti) e ben oltre. Nel 1979 la EMI acquista la United Artists Records Group e si fonde a sua volta con la Thorn Electrical Industries Limited. Dieci anni dopo inizia una lunga serie di acquisizioni: nel 1989 acquista il 50%
della Chrisalys e due anni dopo la rimanente metà; nel 1991 è la volta del Virgin Music Group di Richard Branson; nel 1996 la Jobete Publishing Company che detiene i diritti sul catalogo della Motown; nel 2001 dispone la fusione della Capitol con la Priority, e nel 2002 acquisisce la Mute.
La vicenda della EMI, rampante etichetta inglese pronta a dare l’assalto al mercato americano e tra le prime a ragionare come una grande corporation all’interno di un mercato ormai globalizzato è lo specchio di un cambiamento iniziato dopo la seconda Guerra Mondiale, evento, quest’ultimo, che segna il passaggio alla maturità del settore e spinge le ambizioni e le dimensioni del settore fonografico verso orizzonti inimmaginabili.
Innanzitutto, vi è la scoperta di una nuova categoria di consumatori, i giovani, che si pongono alla ribalta del
mercato come un nuovo e consistente segmento della domanda, in grado con i propri gusti di influenzare e trascinare il mondo degli adulti. In secondo luogo, la congiuntura favorevole a una corposa crescita economica fa si che l’intrattenimento in senso stretto faccia da volano per una gamma immensa di consumi e da questi ne tragga a sua volta giovamento. L’industria fonografica, complice la musica pop, d’ora in avanti regina incontrastata della scena musicale, fornisce la colonna sonora per quegli anni di apparente spensieratezza e di grande benessere. Il rock’n’roll negli anni Cinquanta, la musica beat negli anni Sessanta sono il pretesto di una crescita esponenziale dei consumi di musica che si rivela strettamente vincolato alla sfera del costume e dei mutamenti sociali, Inoltre il conflitto mondiale aveva impresso un’accelerazione senza precedenti alla ricerca scientifica e al successivo sviluppo tecnologico; di conseguenza erano disponibili considerevoli novità che potevano rivoluzionare ancora una volta prodotti e consumi15. Ed è in questo clima che si forma, l’industria discografica così come la conosciamo oggi.
Fino a ieri il mondo della musica era dominato da cinque major, le cosiddette “Big Five”, tutte installate negli Stati Uniti (pure essendo solo la Warner l’unica label americana), che si contendevano il 90% dell’intero mercato musicale: Vivendi Universal (che tra le altre
15 Cfr. F. Silva, G. Ramello, Dal Vinile a Internet.
Economia della musica tra tecnologia e diritti, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1999
raggruppa Decca, Polygram, MCA, Mercury, Philips), Time Warner (WEA, Atlantic, Electra), BMG (RCA, DGC), Sony (Columbia, Epic, CBS), EMI (Capitol, Virgin, United Artists, Odeon). Sony e BMG, poi, nell’agosto del 2004 hanno unito le loro forze, determinando un mercato quadripartito16.
Ciascuna major ha diversificato la propria attività nel campo dell’editoria, delle telecomunicazioni e della ricerca elettronica, e ha ramificato la propria attività discografica rilevando in tutto o in parte la proprietà di etichette indipendenti, o fungendo da braccio distributivo per esse. In particolare le prime due, Vivendi Universal e AOL Time Warner, da sole producevano fino a poco tempo fa il 45% del fatturato globale nel campo dell’industria discografica e dell’intrattenimento tout court. La situazione vede dunque un accordo di cartello tra gli oligarchi della musica che determina la ripartizione del mercato e regolamenta una serie di aspetti di esso (prezzi e quantità) di fatto strozzando le etichette indipendenti, e impedendo il sorgere di nuovi competitor.
La storia della Warner risale all’alba del cinema moderno, quando i quattro fratelli Jack, Albert, Harry e Samuel fondano nel 1918 la propria casa di produzione, la Warner Brothers, che solo dopo cinque anni si trasformerà in Warner Brothers Pictures Inc., una corporation dotata di
16 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal Fonografo alla Rete e all’MP3. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
settore distributivo. Nel 1927 la Warner rivoluziona il mondo del cinema producendo il primo film con sonoro, The Jazz Singer di Al Jolson. La musica inizia a interessare il gruppo solo nel 1958 quando viene fondata la Warner Bros Records. Nel giro di breve verranno inglobate la Reprime di Frank Sinatra (1963), la Atlantic (1967) e la Elektra (1970), dando così vita alla WEA (Warner/Elektra/Atlantic) in uno scenario che vedrà la Warner passare di mano in mano, fino alla fusione, nel 1989, con il gruppo editoriale Time. Siamo negli anni delle prime affermazioni di Internet e il gruppo America Online (AOL) nel 1991 inizia a imporsi nel mondo del Net. Nel giro di poco meno di dieci anni AOL e Time Warner procedono ad una fusione del valore di 183 milioni di dollari dando vita alla più grande compagnia mediatica del mondo, con ramificazioni nei settori dell’editoria libraria e giornalistica, della musica, del cinema, della televisione, della Rete, che conoscerà un ridimensionamento e il ritorno al nome Time Warner nel 2003, dopo il fallimento su Internet.
Anche la Universal affonda le sue radici nel cinema muto, quando Carl Laemmle inizia a produrre e a distribuire a Chicago film con la sua Indipendent Moving Picture Company of America (IMP) nel 1909. Due anni più tardi, dopo aver esteso la sua attività a New York, fonda la Universal Film Manufacturing Company che raccoglie una manciata di case indipendenti in una sorta di consorzio. Poco prima dell’inizio della prima Guerra Mondiale Laemmle fonda la Universal City in California, una vera e propria città del cinema. Nel 1936 Lemmle si
ritira e la proprietà passa alla Standard Capital Company, nel 1946, poi, la Universal si fonde con la International Pictures diventando Universal-International. Nel 1952 la stessa Universal viene acquisita dalla Decca, mentre gli Universal Studios passano sotto la proprietà della MCA, la compagnia fondata da Jules Stein a Chicago nel 1924, dando vita alla MCA Inc. Le vicende nel settore musicale del gruppo proseguono con la creazione della MCA Records derivante dalla fusione tra la MCA e la ABC Records (1979), l’acquisto della Chess (1985), e della GRP Records, a formare la MCA Music Entertainment Group. Il 1991, rappresenta l’anno della svolta per il gruppo, che viene acquistato in blocco dalla Matsushita Electrical Industrial Co. Ltd., che quattro anni dopo cederà la MCA alla Seagram Company Ltd., azienda canadese produttrice di alcolici che nel 1990 inizia una veloce e bruciante scalata al mondo dell’intrattenimento e ribattezza la MCA Inc. con il vecchio nome Universal Studios. Nel 1998 la Seagram rileva per intero la Polygram e decide di utilizzare la nuova sigla Universal Music Group per le attività discografiche del gruppo. Alla fine del 2000 la Seagram unisce le sue forze alla francese Vivendi e con il network televisivo Canal+ da vita al colosso dei media Vivendi Universal. Dopo una crisi fisiologica del mercato azionario la Vivendi Universal Enertainment si è fusa, poi, con la National Broadcasting Company (NBC) all’inizio del 2004.
La Sony nasce, invece, come azienda di componenti elettronici e telecomunicazioni nel 1946 a Tokyo con il nome di Tokyo Tsushin Kogyo K.K. per opera di Akio
Morita e Masaru Ibuka. Il primo successo commerciale arriva con il primo rudimentale registratore a cassetta magnetica nel 1950, mentre nel 1957 l’azienda produce il primo esemplare di radio a transistor portatile. Nel 1958 si ribattezza Sony e solo due anni dopo invade il mercato americano costituendo la Sony Corporation of America.
La Sony contribuisce con la Philips nel 1979 allo sviluppo della tecnologia digitale lavorando al progetto del disco ottico poi ribattezzato compact disc (CD) sulla base degli studi compiuti negli anni precedenti sul video laser disc.
Poi, come ho già avuto modo di illustrare parlando della Columbia (CBS), la Sony a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta comincia il procedimento di acquisizione della CBS, che si conclude nel 1989 con la creazione della Sony Music Entertainment. Solo di recente, nel luglio del 2004, la Sony Music Entertainment si è unita alla major BMG (Bertelsmann Music Group)17 per formare il gigante dei media che detiene circa il 30%
del mercato musicale mondiale.
17 Fondata in Germania (Guetersloh) nel 1835 come copisteria e casa editrice da Carl Bertelsmann. Inizia l’attività discografica nel 1958 (Auriola Eurodisc) e diviene BMG nel 1987 dopo fusione con RCA.
1.4 L’avvento della trasmissione: la radio e gli effetti sulla discografia
Mentre l’industria discografica cominciava a prendere forma, e le prime majors cominciavano a darsi battaglia per il controllo del nascente “mercato musicale”, un altro fenomeno, destinato a travolgere il mondo della musica, muoveva contestualmente i suoi primi passi: la radio.
In Italia, come in altre parti del mondo la radio venne dapprima usata tecnicamente dai radioamatori per parlarsi e per ascoltarsi. Poi, con la diffusione degli apparecchi riceventi negli anni Venti, iniziò a diffondersi il concetto di broadcast, ovvero di diffusione del segnale da uno (stazione trasmittente) a molti (apparecchi riceventi). Pioniere delle due tecnologie fu l’americana Westinghouse che nei primi anni Venti testò le prime stazioni trasmittenti ed iniziò a produrre i primi apparecchi radio civili sul modello di alcuni prototipi costruiti per le forze armate americane nella prima Guerra Mondiale. L’invenzione degli apparecchi riceventi permise la trasmissione da uno a molti per la prima volta nella storia dell’umanità e questo cambiò per sempre la cultura, la politica e l’assetto sociale del mondo18: cominciava l’era della mass communication. A metà degli anni Venti la radio era entrata nelle case di milioni di
18Il 2 novembre 1920 nasce a Pittsburgh la prima stazione radio: si chiama KDKA e il primo programma è il resoconto delle elezioni presidenziali americane.
americani e di europei ed iniziava ad assumere i suoi connotati classici: programmi di informazione, intrattenimento parlato (varietà, radiodrammi) e intrattenimento a base di musica, con la quale sin dall’inizio la radio instaura un rapporto contrastato ma molto prolifico. Infatti, se la registrazione (la cui affermazione si ha con il fonografo e il grammofono) costituisce la premessa per il mercato della musica, i mezzi di comunicazione (la radio quindi, alla quale si affiancherà poi la televisione, e poi ancora Internet) divengono l’amplificatore di tale organismo economico, con la creazione di un rapporto sinergico in cui la prima fornisce i contenuti per i secondi e ne trae in cambio un enorme beneficio promozionale. Non a caso la prima significativa crescita dell’industria fonografica e di quella radiofonica avviene contemporaneamente, dopo la fine del primo conflitto mondiale, grazie a una combinazione esplosiva di registrazione, radio e mutate condizioni socio-economiche19.
In verità , però, gli esordi della radiofonia segnarono una competizione commerciale con il fonografo e il grammofono: tutte erano “macchine parlanti” e, pertanto, sembravano in concorrenza tra loro, dovendo soddisfare la medesima domanda.
Nei primi anni Venti la fortuna della radio cresceva a ritmi incalzanti, tale da pregiudicare, almeno nelle
19 Cfr. F. Silva, G. Ramello, Dal Vinile a Internet.
Economia della musica tra tecnologia e diritti, Edizioni della fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1999
aspettative dell’epoca, la vita stessa dell’industria fonografica: nei soli Stati Uniti, nel 1921, vi erano oltre 250.000 apparecchi che, nell’anno successivo, divennero 400.000; di contro, nel 1924, la Edison Company dovette addirittura dimezzare la produzione dei suoi apparecchi e la Victor subì una contrazione delle vendite del 60 per cento. Nell’arco di cinque anni la radio si era trasformata da prodigio tecnologico a pezzo di arredo fondamentale per ciascuna famiglia. Con le sue valvole e gli amplificatori, dava corpo e brillantezza al suono e conquistava facilmente le orecchie e i portafogli dei consumatori dando vita a quelli che furono definiti “radio days”: nel 1930 era entrata in circa 12 milioni di dimore americane e nel 1935 il numero era raddoppiato20.
Quando ormai i commentatori annunciavano la disfatta della musica registrata, i suoi produttori ebbero la felice e geniale intuizione che, se i nemici non potevano essere battuti, dovevano allora essere imitati: si scoprì il vantaggio nel combinare i due apparecchi e apparvero così i primi sistemi integrati di “home entertainment”.
D’altronde, la registrazione forniva buona parte dei contenuti ai canali radiofonici, mentre questi ultimi agivano da promotori dei prodotti fonografici.
Il potere della radio diventò (ed è tutt’oggi, così come altri media) pressoché assoluto, riuscendo a determinare in larga misura il successo o il fallimento di un fonogramma.
20 Cfr. A. Millard, America on Record, Cambridge University Press, Cambridge 1995
Ciò comportò lo svilupparsi di una pratica distorsiva, denominata “payola”, che consisteva nella programmazione radiofonica di musica dietro compenso (illecito) agli operatori, al fine di affermare determinati prodotti sul mercato. In altri termini, numerosi programmatori di palinsesti (disc jockey e così via) cominciarono a dimostrarsi particolarmente sensibili al fascino di specifici fonogrammi accompagnati da regalie in natura (automobili per esempio), da consistenti trasferimenti monetari o da acquisizioni di una pare dei diritti d’autore con conseguenti rendite. Ciò, ovviamente, alterava la giusta concorrenza tra prodotti e determinava il prevalere artificioso di quelli maggiormente sostenuti da
“benefits”. Negli anni numerose sono state le denunce e i tentativi di stroncare tale attività illegale, mentre scarsi sono stati i risultati e la payola si è confermata persistente:
nel 1916 la Music Publishers Protective Association stimava che la sua entità fosse di circa 400.000 dollari l’anno; negli anni Ottanta la cifra era salita, secondo il Wall Street Journal, a 80 milioni di dollari. Nel 1960 il Congresso degli Stati Uniti, dopo un’accurata indagine, dichiarava la pratica un crimine federale e pertanto sottoposta allo statuto del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations (RICO Act)21. Ciononostante, nel 1986, il senatore Albert Gore riapriva in Senato un’indagine che collegava la payola al mondo della droga
21 Codice emanato nel 1970 per combattere il Crimine organizzato e la Corruzione in America
e della prostituzione. E gli anni Novanta sono protagonisti di un’ulteriore recrudescenza del fenomeno22.
Fenomeno, dunque, questo della payola, che non fa altro che confermare la virtuosa e viziosa sinergia tra radiofonia e fonografia (o discografia) che ancora oggi è di stretta attualità.
Sinergia che si traduce in un meccanismo perverso:
dove da un lato ci sono i musicisti con la loro musica, vertice debole del sistema, ma che nei fatti fornisce la
“materia prima” ossia la musica, e dall’altro i due poli alleati delle case discografiche e delle radio. L’industria musicale è nelle mani delle case discografiche perché sono esse che investono e rischiano; la radio, come prima la stampa e oggi le TV musicali, è il megafono del catalogo delle etichette discografiche che, a fronte dei loro investimenti pubblicitari, possono ottenere maggiori passaggi e promozioni per determinati artisti. Non solo, per garantire il ritorno pubblicitario ai loro investitori e per avere una certezza di target e audience, le radio hanno
“formattato” se stesse, definendo il proprio genere musicale di riferimento e il proprio linguaggio conseguente. Così facendo, esse hanno creato dei veri e propri segmenti di domanda, possono, quindi, essere scelte sia dalle case discografiche che forniscono loro la musica che dagli investitori che forniscono la pubblicità con maggiore certezza e continuità. Ma, formattandosi, le radio hanno di fatto “segmentato” anche il catalogo dei
22 Cfr. M.W. Krasilowsky, S. Shemel, This Business of Music, Watson-Guptill Pubblications, USA 2003
discografici e la musica dei musicisti: sia gli uni che gli altri ormai sceglieranno gli artisti e comporranno musica avendo bene in mente i format radiofonici, rivelandosi la via più semplice da scegliere per arrivare alle orecchie (e al portafoglio) del pubblico. Ecco perché oggi buona parte della musica in radio e tv sembra tutta uguale: perché è costruita in funzione dell’ascolto radiotelevisivo fin dall’origine, dai musicisti e dalle case discografiche, fenomeno questo denominato “industria culturale di massa” e che rappresenta uno dei problemi dell’attuale settore discografico.23
23 Cfr. E. Assante, F. Ballanti, La musica registrata. Dal fonografo alla Rete. La nuova industria musicale, Dino Audino Editore, Roma 2004
1.5 Le innovazioni del mercato musicale: la rivoluzione del 45 e del 33 giri
Così come precedentemente analizzato, la musica, alla luce delle invenzioni del fonografo, del grammofono e l’affermazione della radiofonia, diventa un fenomeno di massa e di conseguenza comincia ad assumere sempre più importanza economica a livello internazionale. Il contributo, però, decisivo all’affermazione del “mercato musicale” viene dato dalle nuove tecnologie che a partire dal secondo dopoguerra spingono verso l’alto le ambizioni e le dimensioni del settore. Si assiste infatti, negli anni immediatamente successivi al conflitto mondiale, ad un’intensificazione senza precedenti della ricerca scientifica, che favorisce di conseguenza il progresso tecnologico. Vengono messi in commercio novità destinate a rivoluzionare per l’ennesima volta prodotti e consumi: il microsolco, il nastro magnetico, la stereofonia, si tratta di una vera e propria rivoluzione che altera definitivamente i rapporti all’interno del mondo della musica facendo acquisire (come ho già avuto modo di illustrare cfr. 1.3) alle case discografiche una posizione di supremazia nel settore, e che ha tra i suoi maggiori effetti quello di spostare decisamente l’attenzione del mercato dal contenuto (l’opera) al contenente (il supporto materiale). Ma procediamo con ordine.
Il formato a 78 giri (RPM), diffuso fino agli anni Cinquanta, aveva mostrato la propria debolezza sotto l’aspetto qualitativo della riproduzione, la resistenza
all’usura24 e l’estensione del tempo di registrazione25. Inoltre, poi, durante la guerra, a causa delle intense attività di spionaggio, la richiesta di lunghi tempi di registrazione era divenuta drammatica e aveva incentivato la ricerca di nuovi supporti. Ecco, dunque, nascere il microsolco che dava facoltà, finalmente, di custodire nei robusti dischi in vinile decine di minuti di messaggi, comunicati radiofonici e così via. L’industria fonografica, perciò, non dovette far altro che raccogliere e organizzare i progressi compiuti in ambito militare, si apriva, dunque, così l’era del disco in vinile.
Il vinile (o PVC) viene scoperto da Fritz Klatte nel 1912, si tratta di una plastica particolarmente economica prodotta dalla lavorazione di derivati del petrolio, che all’inizio del secondo conflitto mondiale sostituisce definitivamente la fragile e deformabile gommalacca che aveva spopolato ancora nei primi anni della guerra con i V-disc (V da Victory) destinati alle truppe americane di stanza in Europa e contenenti motivi da classifica di swing band e resoconti della situazione bellica. Il vinile è resistente, flessibile, infrangibile, e il suo processo di deterioramento è infinitamente più lento rispetto a quello di qualsiasi altro materiale fino a quel momento adottato per il confezionamento dei dischi. La malleabilità del
24 Si pensi, a tale proposito, che la scarsa resistenza dei materiali dei 78 giri, combinata con la grossolanità delle puntine dei grammofoni permetteva ad un disco una vita media compresa tra le 75 e le 125 esecuzioni.
25Non andava oltre i 4-5 minuti.
prodotto, poi, favorì l’incisione di solchi sempre più ravvicinati (da qui la denominazione di “microsolco”) determinando l’espansione della durata dei dischi; il vinile infatti consentiva di realizzare circa ottocento metri di microsolco, ovvero quasi una mezz’ora di musica per lato, inoltre migliorava la qualità sonora, misurata dal rapporto segnale/rumore che passava dai 30 dB dei 78 giri (nel migliore dei casi) a circa 50-60 dB26. Col vinile che mette fuori uso la gommalacca (il materiale usato per il 78 giri), si entra, dunque, nella modernità del disco, finalmente in condizione di riprodurre un brano musicale senza interruzioni e con una qualità sonora senza confronti.
Fu poi la Columbia nel 1948, ad imporre sul mercato il formato a 12 pollici (ideato dall’ingener Peter Goldmark l’anno precedente), capace di contenere fino a 23 minuti di musica per lato, subito ribattezzato “long playing” (LP).
L’affermazione dell’LP a 33 giri, fu poi definitivamente sancita da una strategia commerciale vincente (strategia che si ripeterà poi nella storia del settore dell’intrattenimento).
La Columbia, infatti, prima di lanciare sul mercato il nuovo standard fece due mosse fondamentali: strinse innanzitutto un accordo con la Philco per mettere a
26 Si definisce rapporto segnale/rumore (signal-to-noise ratio) il massimo livello di segnale audio in uscita diviso l’ammontare del residuo rumore, sempre in uscita. Esso misura la qualità di un segnale audio ed è espresso in deciBel.
disposizione del grande pubblico un hardware a buon mercato per la riproduzione e, successivamente, allestì un ampio catalogo di musica registrata. Quando poi cominciò ad invadere il mercato mondiale, l’impatto della strategia fu tale da obbligare tutti i produttori di fonogrammi e di apparecchi ad adottare l’innovazione. Ma l’intuizione più importante della Columbia, fu quella di spezzare il proprio monopolio conferitole dal brevetto del 33 giri, e permettere a terzi di adottare l’innovazione; mossa, quest’ultima che non appariva ovvia, in quanto la concessione della licenza ad altri da parte del titolare di un brevetto implicava l’annullamento (parziale o totale) del potere di esclusiva associato al brevetto medesimo, eppure nell’industria dell’informazione la diffusione di uno standard tecnologico è stata spesso accessoria alla sua affermazione, come testimoniano la storia delle compact cassette rispetto all’avversaria stereo8, del formato video VHS rispetto a Betamax e Video 2000, dei sistemi informatici IBM compatibili rispetto a Macintosh e così via.
L’unica azienda che tentò di tener testa alla Columbia, anche per una questione di primato e di orgoglio imprenditoriale, fu la RCA, che rifiutò inizialmente il coinvolgimento offerto dalla Columbia nello studio e sviluppo del formato 33 giri, e presentò nel 1949, un nuovo formato, il 45 giri, della misura di 7 pollici, in grado di contenere una canzone per lato della durata media di quattro minuti. La scelta della diversità di formato e velocità rientra in una precisa strategia di mercato della RCA, intenzionata a proporre un formato
non compatibile con il long playing e con i suoi “player”27 e più maneggevole dello stesso LP. Quella dei 45 giri sarà un’intuizione di portata commerciale incredibile, diventando il formato d’elezione dei juke box, e potendo essere suonato da pratici e poco ingombranti giradischi di costo assai contenuto28 che avranno un enorme successo tra il pubblico giovane, privi di speaker e amplificatore ma collegabili all’apparecchio radio.
Nel giro di due anni però entrambi le label, attente al mercato discografico del Dopoguerra in piena espansione, prenderanno a produrre 45 e 33 giri. Anche le industrie dei giradischi si adegueranno e inizieranno a costruire modelli in grado di variare la velocità di riproduzione.
La “guerra delle velocità” (33 e 45 giri) si concluse con l’affermazione di entrambi i formati. Il 33 LP, più sofisticato (e caro) si rivolgeva soprattutto, almeno in esordio, a un pubblico adulto, che desiderava ascoltare la musica senza troppe interruzioni. Invece il 45 giri, soprannominato nel gergo discografico “singolo”, così immediato ed accessibile, diveniva oggetto di culto del pubblico giovanile, vettore di un unico brano (due in effetti, ma era la facciata A che determinava l’acquisto) che diventava l’insistente ritornello di una breve stagione,
27 Il 33 giri ha un’apertura circolare centrale di piccole dimensioni, 6 millimetri, attraverso la quale passa il perno del giradischi, mentre quella dei 45 giri ha un diametro molto più esteso, 3,8 centimetri.
28 Il grammofono Philco a 33 RPM costava 29,95 dollari contro gli appena 12,95 dei “mangiadischi” a 45 RPM della RCA.