• Non ci sono risultati.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA FACOLTÀ DI ECONOMIA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA FACOLTÀ DI ECONOMIA"

Copied!
147
0
0

Testo completo

(1)

i

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA  FACOLTÀ DI ECONOMIA 

 

   

Corso di Laurea Specialistica in  

ECONOMIA APPLICATA E POLITICHE ECONOMICHE   

   

 

TESI DI LAUREA  

“ Analisi dello strumento dell'asta competitiva applicato ai servizi  pubblici locali” 

 

 

Relatore:       Laureando: 

Prof. Enrico Bracci

       Matteo Avanzi 

 

       

Anno Accademico 2008‐2009

(2)

1

Indice

Introduzione 3

I. Il settore dei Servizi Pubblici Locali 9

I.1 Nozione di servizio pubblico 9

I.2 Le cause all’origine dell’intervento pubblico: il monopolio 12

naturale I.3 L’evoluzione storica dell’intervento pubblico: i principali 23

cambiamenti del quadro politico e normativo degli ultimi decenni I.4 Dati economici e produttivi del settore dei SPL 35

II. Requisiti e strumenti per l’introduzione della concorrenza: le privatizzazioni e la regolamentazione 45

II.1 La ristrutturazione del settore 45

II.2 Il processo di privatizzazione: strumenti e obiettivi 46

II.3 La regolamentazione in generale 50

II.3.1 La regolamentazione dei prezzi 54

II.3.2 La regolamentazione nei servizi a rete: determinazione dei prezzi all’accesso e regolamentazione asimmetrica 58

II.4 Le aste competitive 60

II.4.1 Le tipologie di aste competitive 64

II.4.2 Il franchising 66

(3)

2

II.4.3 Il franchising operativo 69 II.4.4 Le aste multidimensionali 71 II.5 Le aste competitive applicate al servizio di raccolta dei rifiuti 74 II.6 Le aste competitive applicate al servizio idrico integrato 77 II.7 Le aste competitive applicate al servizio di trasporto pubblico

locale 83 II.8 Le aste competitive applicate al settore dell’energia elettrica e del

gas naturale 90

III. I servizi pubblici in Inghilterra 100 III.1 Le nazionalizzazioni e le privatizzazioni nel Regno Unito 102 III.2 Le privatizzazioni delle Public Utilities 109 III.3 Gli effetti delle privatizzazioni nel Regno Unito 114 III.4 L’introduzione della “Compulsory Competitive Tendering” 115 III.5 Il passaggio al sistema del “Best Value” 121 III.6 Evoluzione del “Best Value” e introduzione del

“Comprehensive Performance Assessment”(CPA) 130 III.7 Le caratteristiche dell’esperienza inglese a confronto con il

contesto dei servizi pubblici locali in Italia 134

Conclusioni 138 Bibliografia 142

(4)

3

Introduzione

Il settore delle public utilities italiano negli ultimi anni ha subito radicali cambiamenti dovuti in primo luogo ai mutamenti del settore pubblico e secondariamente agli interventi da parte del legislatore per uniformarsi agli orientamenti stabiliti dalle norme comunitarie. La ratio della disciplina comunitaria è quella di favorire la liberalizzazione dei mercati e quindi promuovere la concorrenza all’interno degli stessi. In ragione di ciò, il settore pubblico, tutt’ora e nel corso degli ultimi anni, è stato oggetto di numerosi interventi per introdurre meccanismi concorrenziali soprattutto per quanto riguarda le procedure di affidamento dei servizi pubblici locali (SPL).

In particolare l’intento delle numerose riforme del settore hanno riguardato soprattutto la ricerca della modalità migliore per aumentare la contendibilità del mercato; aspetto di fondamentale importanza poiché solo aumentando la contendibilità (quindi rendendo il mercato appetibile a nuovi operatori) si è in grado di raggiungere l’obiettivo prefissato, ovvero aumentare l’efficienza del mercato e di conseguenza aumentare i benefici per l’utenza, minimizzare i costi ed infine migliorare la qualità del servizio.

Il primo capitolo analizza l’aspetto che riguarda il concetto stesso di servizio pubblico locale. In passato la nozione di pubblico servizio individuava l’attività imputabile direttamente o indirettamente allo Stato per la soddisfazione di un determinato bisogno della collettività. In seguito, quella che verrà chiamata “teoria oggettiva”, metterà in luce che non è importante stabilire il soggetto che attende al servizio, ma l’interesse perseguito dal servizio medesimo, e quindi sarà dimostrato come un servizio pubblico possa essere esercitato anche da un soggetto privato.

(5)

4

Come anticipato, uno degli obiettivi delle riforme è quello di aumentare l’efficienza dei SPL, finora ciò non è stato possibile poiché la presenza vincoli di Stato e la presenza in questi mercati di monopoli hanno determinato distorsioni nell’allocazione delle risorse. Com’è noto in situazioni di concorrenza perfetta vengono massimizzate sia l’efficienza produttiva (in termini di minimi costi di produzione) sia l’efficienza allocativa (in termini di massima somma tra surplus del consumatore e profitto del produttore). E’ stato evidenziato come la gestione da parte del monopolista ha condotto a inefficienze, e se c’è la possibilità che l’efficienza sia raggiunta in regime di assoluta competizione, allora una possibile soluzione per garantire una risposta più adeguata ai bisogni da soddisfare può essere rappresentata dall’introduzione di concorrenza.

Sempre nel primo capitolo, si cercherà di spiegare e analizzare le motivazioni economiche a sostegno dell’intervento pubblico. Il primo elemento che si prende in considerazione e che giustifica l’intervento pubblico è la presenza dei monopoli naturali.

Come sarà illustrato l’intervento pubblico ha la funzione di correggere le distorsioni e le inefficienze indotte dal monopolio in un settore cruciale per lo sviluppo dell’intero sistema economico. Le teorie economiche a riguardo suggeriscono che correggere le distorsioni e le inefficienze non è necessario sovrapporre un monopolio legale a un monopolio naturale. L’introduzione della concorrenza è pertanto oggettivamente possibile; perché sia anche effettivamente implementabile è necessario in primo luogo operare una ristrutturazione del settore, affinché sia possibile sostenere l’entrata di nuovi competitori.

La ristrutturazione e gli altri requisiti all’effettiva apertura del mercato

(6)

5

saranno oggetto del secondo capitolo. In particolare sarà presentata la procedura svolta per le ristrutturazioni dei settori delle public utilities, e saranno inoltre analizzati i tre strumenti utilizzati: la privatizzazione delle imprese, la riforma della regolamentazione e la liberalizzazione dell’accesso al mercato, ove possibile.

Il primo strumento esaminato è la privatizzazione, intesa non solo come cambiamento della natura giuridica dell’impresa, ma anche come via per introdurre contendibilità nel controllo dell’impresa. La privatizzazione è intesa quale strumento per migliorare le performance dell’impresa, l’efficienza produttiva e dinamica e per accelerare il processo di liberalizzazione. L’effettivo conseguimento di queste finalità dipende da diversi fattori, e come è spiegato nel corso dell’analisi, in particolare dalle modalità con cui viene condotta la regolamentazione del mercato, ossia il secondo strumento proposto; infatti la regolamentazione permette di rendere effettivi i recuperi di efficienza che la privatizzazione rende solo potenziale.

Nei settori in cui permangono condizioni di monopolio naturale la regolamentazione rappresenta un metodo alternativo, rispetto alla produzione pubblica diretta, per correggere le distorsioni e le inefficienze (sia produttive sia allocative) del monopolio.

La prima osservazione da fare è che, nonostante le innovazioni tecnologiche mutano la funzione di produzione e le ristrutturazioni operate, permangono nei settori delle public utilities segmenti caratterizzati da monopolio naturale: è il caso, tipicamente, dei servizi a rete. In generale, si osserva che esistono delle limitazioni all’apertura dei mercati in tutti i casi in cui l’aggregazione territoriale delle aree servite non presenta un livello di utenza tale da giustificare, in termini economici, il pluralismo degli operatori. Sarà dimostrato come la condizione essenziale per

(7)

6

promuovere la liberalizzazione nei settori ancora interessati da forme di mercato non perfettamente concorrenziali è imporre la separazione tra le attività che possono essere svolte in regime di concorrenza da quelle che, per ragioni strutturali, devono essere svolte in regime di monopolio. La procedura adottata per l’introduzione della concorrenza si sviluppa attraverso due indirizzi distinti; per le attività che possono essere svolte da più soggetti in regime di competizione si procede alla progressiva introduzione della concorrenza “nel” mercato. I settori invece che non presentano caratteristiche di fallimento del mercato vanno liberalizzati in tempi brevi, consentendo l’entrata di nuovi operatori ed impedendo, mediante un’efficace applicazione della normativa antitrust, che le imprese che fino ad allora detenevano potere di mercato (i cosiddetti incumbents) abusino della loro posizione dominante.

La successiva parte dell’analisi è invece dedicata ai settori ancora caratterizzati da forme di mercato non perfettamente concorrenziali. Per questi settori, l’apertura del mercato viene effettuata attraverso l’introduzione di forme di concorrenza “per” il mercato. In particolare, verranno presentati due strumenti che possono costituire un valido supporto all’attività di regolamentazione: il “franchising” e il “franchising operativo” ossia l’assegnazione del servizio in concessione attraverso una procedura di gara pubblica.

Sarà evidenziato come l’obiettivo di questi strumenti è rendere contendibili mercati in cui e’ presente un monopolio naturale e come le condizioni per l’applicabilità di questi strumenti e le modalità effettive di implementazione sono fortemente condizionate dalle peculiarità del settore medesimo; saranno quindi valutate caso per caso all’interno dei vari settori speciali (idrico, elettrico-gas, rifiuti e del TPL) per verificare in base alle caratteristiche del servizio e del settore se l’asta competitiva

(8)

7

risulti essere uno strumento efficiente per l’affidamento del servizio.

Infine nell’ultimo capitolo l’attenzione sarà rivolta alle public services inglesi;

il Regno Unito da sempre è stato il paese che ha riservato maggiore attenzione alla riforma della Pubblica Amministrazione e alla riforma dei SPL.

La prima perte del terzo capitolo sara’ oggetto di una approfondita analisi del lungo processo di nazionalizzazione, privatizzazione di alcune importanti imprese pubbliche per poi giungere alla fase di liberalizzazione dei mercati iniziata gia’ nel 1980 dal Governo Conservatore. L’intento era quello di uscire da una fase di eccessivi sprechi e di rallentamento della PA dovuto alla presenza di troppa burocrazia; proprio per questo le riforme in tema di competitivita’ dei servizi pubblici locali riguardano essenzialmente l’introduzione obbligatoria della “Compulsory Competitive Tendering”(CCT) all’interno del piu’ ampio processo di cambiamento offerto dall’introduzione del “New Public Management”. In secondo luogo sara’ analizzato un secondo strumento, frutto dell’evoluzione avvenuta durante il Governo Laburista, ovvero il “Best Value”(BV). Grazie a questo strumento l’amministrazione e’ in grado di raggiungere gli obiettivi che la CCT si ritiene generalmente non sia stata in grado di raggiungere poiche’ rivolge la sua attenzione ad una serie di elementi trascurati finora:

ad esempio la misurazione delle performances delle imprese, i livelli qualitativi ed infine la trasparenza del servizio. Il lavoro si conclude l’approfondimento dell’ultimo strumento introdotto nel Regno Unito nel 2002: “Comprehensive Performance Assessment” (CPA) il cui scopo principale è quello che fornire dei parametri di valutazione riguardo l’attività svolta dagli enti locali per poter quindi, in seguito a questa valutazione, reindirizzare attraverso politiche locali il processo di miglioramento delle performance locali.

(9)

8

(10)

9

CAPITOLO I

IL SETTORE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

I. 1. Nozione di servizio pubblico

Nel corso del tempo il problema al quale si è cercato di trovare una soluzione è stato quello di dare precisa definizione al concetto di “pubblico servizio”. Si rende necessario individuare un profilo, per pubblico servizio, dal carattere definitorio poiché manca una definizione legislativa e ciò rende difficoltoso individuare l'ambito applicativo della disciplina speciale prevista dall’art 112 del TUEL1; la Costituzione all'art. 43, cita i servizi pubblici, ma non li definisce, e dunque, la nozione che viene generalmente associata ai servizi pubblici locali e' frutto essenzialmente dell'azione interpretativa di dottrina e di giurisprudenza.

Secondo la definizione classica di De Valles2, il servizio pubblico è

“un’attività imputabile direttamente o indirettamente allo Stato, volta a fornire prestazioni ai singoli cittadini”. Da questa definizione emerge con chiarezza che i servizi pubblici sono inseriti in un campo ben preciso e delimitato dell'attività' amministrativa, e la dottrina considerava che la prestazione di tali servizi dovesse essere rivolta alla totalità dei cittadini, “uti universi”. Questa interpretazione è stata generalmente denominata “teoria soggettiva”3; elemento identificativo di tale teoria è focalizzato sul fatto che il servizio viene erogato da un ente per motivi di pubblica utilità o di vantaggio collettivo, e quindi il profilo pubblico del servizio era individuato in quanto attività svolta dalla pubblica amministrazione, priva di connotazione autoritaria, di produzione di beni e servizi. Ma quando all'inizio del Novecento l'ordinamento legislativo viene stravolto con l'introduzione della legge n.103/1903       

1 Definizione ampia e generale appositamente strutturata. Art 112 D.lgs 267 del 18 agosto 2000 “Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”

2 Dal volume “I sevizi pubblici, Primo tratto di diritto amministrativo italiano, V.E Orlando, Milano, 1930.

3 Vittorio Italia, Alberto Zucchetti, “I servizi pubblici locali guida operativa”, Giuffrè, 2004    

(11)

10

“legge sulle municipalizzazioni” inserendo il profilo economico del servizio pubblico si profila una seconda teoria, c.d. “teoria oggettiva”. Il fulcro del ragionamento si è progressivamente spostato dalla natura del soggetto che attende al servizio verso l’interesse perseguito dal servizio medesimo, fino a giungere alla visione odierna secondo la quale un servizio pubblico può essere esercitato anche da un soggetto privato. Data la rilevanza collettiva dell’interesse, la pubblica amministrazione ha il ruolo fondamentale di garantirne la soddisfazione, specificamente con le attività di vigilanza, programmazione e controllo del settore dei servizi pubblici. Infatti secondo tale teoria il servizio pubblico e' un'attività' equiparabile a quella imprenditoriale4, pertanto, a prescindere dal soggetto effettivamente imputato a esercitarla, si intende un

“servizio pubblico in quanto volto a realizzare un interesse pubblico”.

L'interpretazione assunta dalla Carta Costituzionale sembra essere a sostegno della teoria oggettiva, in quanto la norma (art. 41 Cost.) individua un sistema ad economia mista, nel quale l'iniziativa economica privata convive con la presenza dello

“Stato imprenditore” e con una politica economica di coordinamento e di indirizzo.

Nella fattispecie la norma prevede la possibilità per lo Stato di assoggettare l'attività', anche privata, a programmi e controlli per indirizzarla e coordinarla a fini sociali. Per quanto riguarda la gestione, l'art. 43 Cost., riserva esclusivamente allo Stato e agli Enti Locali la produzione e gestione delle attività economiche concernenti settori di vitale importanza per la società, e porta a constatare con evidenza che per avere un pubblico servizio non e' necessaria la gestione da parte dello Stato o di altro ente pubblico. E' indubbio, infatti, che i pubblici servizi possano essere gestiti anche da soggetti privati, tendenza sempre più diffusa negli ultimi anni, e quindi da questo punto di vista risulta essere veramente importante non la gestione, ma la titolarità del servizio pubblico. Non e' rilevante il carattere pubblico o privato di chi espleta il servizio, ma la titolarità del servizio in capo all'Amministrazione pubblica. Per quanto riguarda l'ordinamento interno nulla che faccia ricadere la scelta sull'una o sull'altra interpretazione e' stato individuato; forse perché, come si può intuire da quanto sopradetto l'una implica l'altra, arrivando a parlare di “servizio soggettivamente pubblico” anche se gestito da soggetti privati.

      

4 Andrea Garlatti, “Scelte Gestionali per i servizi pubblici locali”, Cedam, 2005

(12)

11

Attualmente neppure in ambito di diritto comunitario si e' pensato di dare una definizione in chiave oggettiva o soggettiva. Basti pensare che l'art. 86 del Trattato individua un modello nel quale si legittima solo limitatamente l'intervento del pubblico potere rispetto alla regola del mercato concorrenziale. Infatti, l'interpretazione maggiormente condivisa dell'art. 86 del Trattato conferma una compresenza tra aspetti soggettivi e oggettivi dei servizi pubblici.

Entrando nell’ambito più ristretto dei servizi pubblici locali si fa immediatamente riferimento all’art 112, comma 1 TUEL, che pur non fornendo una precisa definizione individua i caratteri distintivi di questo argomento. I servizi pubblici locali (d’ora in poi, SPL) sono ivi definiti come “servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni e attività economiche rivolte a realizzare fini sociali e promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.

Si tratta di una definizione volutamente ampia per lasciare massima libertà di designazione dei servizi da parte degli Enti Locali, non si basa ne' sull'una ne' sull'altra interpretazione, ma pare essere comprensiva di più caratteri e aspetti: da quello soggettivo, oggettivo, istituzionale e sociale.

Si parla, infatti, di “assunzione del servizio pubblico” come di quell'atto di autonomia con il quale, verificata l'utilità' collettiva di una determinata attività, l'ente locale assume su di sé la titolarità del servizio. In altri termini la libertà non e' affatto assoluta, non ogni servizio solo perché e' assunto dall'ente pubblico diventa' perciò pubblico servizio; e' necessaria una valutazione degli enti locali riguardo il contesto socio-economico e territoriale. Un' attività e' ritenuta servizio pubblico locale in quanto va ad incidere in via diretta sulla comunità, che risponde ad esigenze essenziali o diffuse di una determinata collettività locale. L'ente locale non può quindi assumere servizi pubblici che abbiano ad oggetto un'attivita' qualsiasi; questa deve avere delle caratteristiche per la soddisfazione di bisogni fondamentali per la vita dei cittadini.

In una ormai lontana pronuncia del Consiglio di Stato5 e' stato ribadito quanto serve a identificare un servizio pubblico locale: si tratta della scelta politico- amministrativa dell'ente locale di assumere il servizio stesso, al fine di soddisfare in modo continuativo le esigenze della collettività', al perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile.

      

5 Pronuncia del Consiglio di Stato 30 marzo 2000 sulla nozione dei servizio pubblico

(13)

12

L'assunzione del servizio da parte dell'ente pubblico risponde essenzialmente ad esigenze di:

rendere accessibile a tutti i cittadini il prezzo del servizio

assicurare una migliore qualità del servizio

rimediare ad una situazione di monopolio o di concorrenza perfetta.

Tuttavia i modelli di gestione dei servizi pubblici locali, previsti fino a questo momento, si sono rivelati in parte inadeguati in seguito al cambiamento radicale di due ordini di fattori la cui importanza e' stata sempre più crescente nel tempo:

crescenti aspettative della società a ottenere l'erogazione di servizi qualitativamente soddisfacenti

l'insostenibilità', per lo Stato, dei costi sociali sopportati dai Comuni e dalle Province nell'erogazione dei servizi

A fronte della situazione venutasi a creare, è emersa l'esigenza, per gli enti locali di adottare nuove politiche di gestione economica per l'erogazione dei servizi alle comunità di riferimento. Il quadro normativo all'epoca vigente non forniva, tuttavia, adeguati strumenti giuridici per far fronte a queste mutate esigenze. I modelli di gestione previsti, infatti, non erano in grado di assicurare la qualità del servizio e, comunque, non permettevano di reperire le risorse necessarie per procedere al miglioramento delle attività.

I. 2. Le cause all'origine dell'intervento pubblico; il monopolio naturale

Dal punto di vista della teoria economica, l'intervento pubblico e' reso necessario quando le relazioni tra gli agenti operanti sul mercato siano alterate da alcuni particolari fattori; sono individuabili tre tipologie di cause:

asimmetrie informative

esistenza di un monopolio naturale

presenza di esternalità

Al verificarsi di queste tre condizioni si assiste al fallimento del mercato concorrenziale. Il mercato fallisce poiché il sistema dei prezzi conduce a un’allocazione delle risorse non Pareto-efficiente, date le risorse e le tecnologie

(14)

13

disponibili6. Per essere Pareto-efficiente, un mercato dovrebbe basarsi su un sistema di prezzi che tenga conto di ogni possibile forma di economia e di diseconomia, al pari dell’equilibrio di concorrenza perfetta. In altri termini, i prezzi di un mercato efficiente esprimono il valore sociale delle risorse e dovrebbero livellarsi ai costi marginali di produzione, così come avviene nel modello del mercato perfettamente concorrenziale.

In realtà, in casi particolari, le attività svolte da alcuni agenti generano effetti positivi (o negativi) sul benessere di altri soggetti senza che questi ultimi siano coinvolti: è il fenomeno delle esternalità. Tipiche esternalità positive sono ad esempio i benefici che l’attività di ricerca svolta da alcune imprese genera a favore di altre imprese, ove queste siano in grado di beneficiare dell’attività delle prime senza dover sostenere gli stessi costi (allo stesso tempo la quantità scelta dal mercato è più bassa della quantità efficiente).

Un altro esempio che e' possibile inserire nel campo dei servizi pubblici locali e' quello delle esternalità positive generate da un efficiente sistema di trasporto pubblico locale, caso in cui le esternalità positive sono generate da una diminuzione del traffico e da una diminuzione delle emissioni inquinanti in atmosfera.

Le principali situazioni di fallimento dei mercati emergono dunque in presenza di ampie esternalità nel sistema produttivo e di forme di mercato non perfettamente concorrenziali (soprattutto monopolistiche o strettamente oligopolistiche). In queste situazioni, i prezzi da un lato non riflettono interamente il valore sociale delle risorse, dall’altro tendono a superare il livello dei costi marginali generando extraprofitti non equamente distribuiti. Il problema delle esternalità giustifica la produzione pubblica innanzitutto nei casi limite dei beni pubblici, per i quali l’esistenza stessa di un mercato è difficile da ipotizzare (es. difesa e giustizia).

Un'altra situazione in cui tradizionalmente e' previsto l'intervento pubblico e' quando vi sia la presenza si un monopolio naturale. L’espressione “monopolio naturale” fa riferimento ai casi in cui una sola impresa detiene un forte potere di mercato che le deriva da specifiche caratteristiche tecnologiche del processo produttivo. Per la natura stessa del mercato un' unica impresa e' in grado di raggiungere una produzione efficiente e dunque l'unica modalità organizzativa e' quella del       

6 Zanetti G, Alzona G., “Capire le privatizzazioni”, il Mulino, 1998  

(15)

14

monopolista. Un’impresa in grado di esercitare un così forte potere di mercato non prende il prezzo di vendita come dato, e ciò provoca uno scostamento dell’allocazione delle risorse dal punto di ottimo per l’intero sistema economico. Il monopolista può aumentare i propri profitti riducendo la quantità prodotta ed aumentando il prezzo al di sopra del costo marginale, portando ad una riduzione del benessere dei consumatori. Il monopolio conduce a una minore efficienza allocativa perché l’incremento di profitto per il produttore è inferiore alla perdita di benessere per il consumatore.

L’inefficienza allocativa non è il solo motivo di preoccupazione per la presenza di imprese che operano in condizioni di monopolio. È infatti opinione comune che l’assenza di competizione diminuisca per le imprese l’incentivo a produrre in modo efficiente, e determini quindi costi di produzione maggiori di quelli che vi sarebbero in condizioni concorrenziali: il monopolio genera pertanto altre forme di inefficienza non strettamente riconducibili a quella allocativa.

Vi sono, oltre all’aspetto allocativo, due ulteriori questioni da tenere in considerazione, e che concorrono a generare il costo sociale del monopolio:

Il fatto che la forma di mercato può influire sugli incentivi al perseguimento dell’efficienza interna dell’impresa, per cui l’assenza di concorrenza potrebbe fornire al management stimoli insufficienti alla minimizzazione dei costi di produzione

Il fatto che l’impresa, per conquistare e mantenere la posizione di monopolio, possa intraprendere attività di rent-seeking7. Con questa denominazione si indicano attività unicamente finalizzate a garantire il conseguimento della rendita connessa alla posizione monopolistica, comportando costi aggiuntivi per l’impresa. Il rent-seeking conduce a ulteriori sprechi di risorse perché i costi aggiuntivi non si traducono, se non in parte, in creazione di valore per l’economia.

È consuetudine ritenere che vi sia un monopolio naturale ogni volta la produzione di un bene o di un servizio avviene a costi medi decrescenti. Ciò implica che se il prezzo del bene o servizio viene fissato al costo marginale, come vuole il       

7 Il fenomeno del “rent seeking” è stato identificato per la prima volta associato in relazione ad un mercato monopolistico da Gordon Tullock, in un paper nel 1967.

(16)

15

modello del mercato in concorrenza perfetta, il produttore incorre in una perdita. E’ il caso di molti servizi pubblici (“servizi infrastrutturali”), specialmente dei servizi a rete (“public utilities): attività economiche, quali ad esempio l’erogazione di servizi idrici, di energia elettrica, di erogazione del gas, delle telecomunicazioni e del trasporto ferroviario, ecc. , che si sviluppano su proprie infrastrutture. Nell’offerta di servizi a rete si possono presentare due tipi di problemi: in primo luogo nella maggior parte dei casi la riproduzione dell’infrastruttura può rivelarsi oggettivamente impossibile, per la natura del territorio (esempi calzanti ne sono la rete ferroviaria e quella autostradale italiana). In altri casi la riproduzione può essere oggettivamente possibile ma non economicamente conveniente. Infatti tali infrastrutture necessitano di elevati investimenti (elevati costi fissi per intraprendere l’attività e l’irrecuperabilità dell’investimento, “sunk cost”) e richiedono uno sforzo elevato per sostenere i costi di gestione e manutenzione; nonché lo scarso utilizzo della piena capacità produttiva .

In secondo luogo le reti si prestano facilmente a problemi di congestione, proprio a causa della loro non-riproducibilità, pertanto diventa necessario regolamentarne l’accesso. La teoria economica ritiene che siano già presenti barriere all'entrata, costituite proprio dai rilevanti investimenti sulla rete infrastrutturale necessari per poter operare.

La concezione moderna del monopolio naturale fu delineata a partire dagli anni ’70 da Baumol e altri autori8, attraverso un riesame e un ampliamento della concezione tradizionale. In passato la presenza di un monopolio era attribuita all’esistenza di economie di scala (o rendimenti di scala crescenti) nella produzione. Il concetto di economie di scala non e' però sufficiente per un’analisi del caso delle imprese multiprodotto, la cui rilevanza è andata aumentando nel tempo.

La presenza delle imprese multiprodotto rende necessaria la considerazione degli effetti sui costi di produzione non solo di una variazione della scala produttiva, ma anche nel mix di beni e servizi offerti. Inoltre, come vedremo, anche nell’ipotesi di produzione da parte di imprese monoprodotto, la presenza di economie di scala non       

8 La prima definizione venne fornita da H. Carter Adams nel 1887, secondo la quale: “Le industrie dominate da rendimenti crescenti di scala, dove la libera concorrenza risulta incapace di esercitare una sana influenza regolatrice, sono per natura monopoli”. La nuova teoria moderna del monopolio naturale fu introdotta da W. Baumol, J. Panzer, R.D. Willig in relazione alla contendibilità dei mercati in

“Contestable Market and the Theory of Industrial Structure”.

(17)

16

esaurisce i casi in cui il costo complessivo per l’industria viene minimizzato concentrando la produzione in capo ad una singola impresa.

Secondo la concezione moderna la presenza di monopolio naturale è generata da una particolare condizione della funzione di costo: la subaddittività9.

Una funzione di costo C(q) , relativa alla produzione di un vettore di quantità di output q = (q1, q2,...qn) è strettamente subaddittiva in q se:

C(q)< Σk C(qk)

Per ogni possibile K-upla (K>1) di vettori n-dimensionali (q1, q2, …,qk) tali che:

k qk = q

In altri termini, il costo di produrre il vettore q per un’unica impresa è inferiore al costo di produzione complessivo che dovrebbe sostenere una combinazione qualsiasi di k imprese distinte. L’idea di fondo è che se un unico produttore è in grado di offrire un dato servizio nella quantità richiesta dal mercato a costi più contenuti di quelli che si determinerebbero affidando la produzione a una combinazione qualsiasi di più imprese allora si è in presenza di monopolio naturale.

La condizione di subaddittività può essere verificata per un certo valore q e non esserlo in corrispondenza di un altro valore q'. Affinché la configurazione dell’industria sia di monopolio naturale la funzione di costo deve risultare subaddittiva sull’intero intervallo rilevante dei valori dell’output, che è definito dalla domanda di quel bene; è importante sottolineare che la subaddittivita' continua anche nel primo tratto crescente della curva di costo. Pertanto, la presenza di un monopolio naturale dipende sia dalle caratteristiche della tecnologia, che definisce la funzione di costo, sia dalla dimensione della domanda, che definisce l’intervallo rilevante dei valori dell’output.

Nell’industria monoprodotto, la presenza di rendimenti di scala crescenti è condizione sufficiente ma non necessaria alla subaddittività della funzione di costo.

La presenza di rendimenti di scala crescenti implica costi medi decrescenti, e dunque,       

9 Definizione e dimostrazione matematica generale in: “Liberati P., Enti territoriali e servizi pubblici locali: liberalizzazioni, investimenti, gestione”, Dexia Crediop, 2007. 

(18)

17

si hanno costi medi decrescenti quando, date due quantità di output, q1 e q2 (con q1<q2) la funzione di costo è tale che:

C(q1)/q1<C(q2)/q2

Considerando una qualsiasi K-upla di vettori di quantità di output (q1,q2,…, qk) tale che ∑k qk = q, con qk < q per ogni k, avremo quindi:

C(qk)/qk> C(q)/q

Per ottenere la condizione di subaddittività sarà sufficiente moltiplicare entrambi i membri della disequazione per qk e sommare:

Σk[C(qk)/qk] qk > Σk[qk/q] C(q)

Σk C(qk) C(q)

In questo caso il costo di un' unica impresa per produrre la quantità richiesta dal mercato è inferiore al costo che una qualsiasi altra combinazione di n imprese dovrebbe sostenere.

In presenza di costi medi decrescenti (economie di scala) la funzione di costo è sempre subaddittiva (e quindi vi è monopolio naturale), ma si può dimostrare che la subaddittività può verificarsi anche in presenza di una funzione di costo medio crescente per qualche livello di output10.

Nell’industria multiprodotto (nel nostro caso multiservizio), la subaddittività della funzione di costo si distacca totalmente dalla presenza di economie di scala, perché non costituiscono più né condizione necessaria né sufficiente alla       

10 Samo D., “L’impresa pubblica tra privatizzazione e regolamentazione, FrancoAngeli, 1994

(19)

18

subaddittività11. Nell’industria monoprodotto le economie di scala generano l’effetto che la quantità di output cresce più che proporzionalmente alla quantità di input immessa nel processo produttivo. In tale tipologia di industria (multi prodotto) l’aumento della quantità di output può avvenire in molti modi, a seconda di come varia la proporzione tra le componenti del vettore q. La convenienza a tenere unita la produzione scaturisce da:

− presenza di “economies of scope” (economie di diversificazione o di varietà)

− decrescere del costo incrementale all’aumentare della quantità prodotta

In presenza di economie di scopo, la funzione di costo implica che

C(qx, qy, qz, ...) < C(qx,0,0) + C(0,qy,0) + C(0,0,qz) + ...

Dove qx, qy, qz rappresentano, rispettivamente, le quantità di determinati beni (o servizi) X, Y o Z. In questi casi si creano sinergie produttive che generano un abbattimento dei costi complessivi per la produzione di beni diversi. Si tratta di casi che si riscontrano frequentemente nel settore dei SPL, in particolar modo nei servizi a rete. Gli esempi di sinergie che si originano operando congiuntamente in più settori sono moltissimi, primo fra tutti l’erogazione di gas naturale e servizi idrici, binomio consolidato e sfruttato da aziende diverse in gran parte del territorio italiano12. Altri servizi che possono beneficiare della creazione di sinergie sono la telefonia mobile e la distribuzione di energia elettrica (si pensi all’idea da cui nacque la Wind13), o ancora la distribuzione di energia elettrica e l’erogazione di gas naturale.

      

11 Dimostrazione matematica in: Cervigni G., D’Antoni M. Monopolio naturale, concorrenza, regolamentazione, 2001

12 Esempi significativi sono Acea(Roma), Hera(Bologna, Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena, Ferrara, Modena e Imola), Acega Aps (Padova, Trieste)

13 Wind Telecomunicazioni nasce alla fine del 1997 grazie all'investimento di ENEL, France Télécom e Deutsche Telekom. Già nel dicembre 1998 con l’avvio dei servizi di telefonia fissa per le aziende conquista il suo primo record: è la più veloce start-up del mercato europeo delle telecomunicazioni. Nel luglio del 2003 Wind Telecomunicazioni è tutta italiana: Enel ne diventa l’unico azionista acquistando il  restante 26,6% da France Télécom. Il primo semestre si chiude con il raggiungimento di 30 milioni di clienti tra telefonia fissa, mobile e internet.

(20)

19

Le economie di scopo sono frequenti anche tra SPL e attività tradizionalmente attribuite al settore privato: basti pensare alle sinergie potenziali realizzabili dall’offerta congiunta di servizi postali, bancari e di prodotti di gestione del risparmio alle famiglie.

Per spiegare il secondo punto (decrescere del costo incrementale all’aumentare della quantità prodotta) si consideri il caso specifico della produzione di due soli beni (o servizi), X e Y, il cui output sia rispettivamente qx e qy . La presenza di economie di scopo è tale che:

C(qx, qy) < C(qx, 0) + C (0, qy)

Il costo incrementale del bene (o servizio) X è il costo aggiuntivo che il monopolista deve sostenere per produrre qx quando già produce qy , cioè:

ICx(qx, qy) = C(qx, qy) – C(0, qy)

Se ICx decresce all’aumentare di qy, per cui la produzione del bene (o servizio) X è meno onerosa se già il monopolista produce Y, si parla di complementarietà di costo tra i due beni.

Un caso che si presenta frequentemente, anche negli esempi esposti sopra, è la compresenza economie di scopo in concomitanza con economie di scala: per spiegare questo fenomeno è necessario spiegare un altro concetto pocanzi introdotto, il costo medio incrementale.

Il costo medio incrementale per il bene (o servizio) X è pari a:

ICX(qx,qy) / qx

Se il costo medio incrementale per X è decrescente all’aumentare della quantità prodotta dello stesso bene o servizio, qx, allora sussistono economie di scala specifiche per quel prodotto. La presenza di economie di scala specifiche per il prodotto costituisce infatti una condizione più forte rispetto alla semplice presenza di economie di

scala.

È possibile infatti dimostrare che costi medi incrementali decrescenti per valori inferiori o uguali a q,per ogni prodotto X, ed economie di scopo in q

(21)

20

costituiscono condizione sufficiente per la subaddittività della funzione di costo in q14.

In conclusione, l’ampliamento dell’analisi delle condizioni di esistenza di monopoli naturali ad industrie multiprodotto rende non esaustivo il riferimento classico alle economie di scala. Si rende pertanto necessario considerare il complesso dei rapporti di complementarietà nella produzione dell’intera gamma di beni e servizi offerti dal monopolista.

Sono state illustrate in precedenza le condizioni di esistenza di un monopolio naturale nelle industrie monoprodotto e multiprodotto. Prima di concludere l’argomento è necessario introdurre a margine un altro concetto che caratterizza la nozione stessa di monopolio naturale, ossia il concetto di “sostenibilità”. Una configurazione di mercato è detta sostenibile quando il sistema dei prezzi vigenti su di esso è in grado rendere non profittevole l’entrata di altri concorrenti. Ciò comporta necessariamente che, qualora l’entrata abbia effettivamente luogo, i prezzi restino invariati.

Per spiegare il concetto di sostenibilità, è necessario introdurre la nozione di configurazione di mercato “ fattibile”. Si consideri il caso di un mercato in cui operano k imprese che utilizzano la stessa tecnologia e quindi sostengono gli stessi costi. In questa ipotetica situazione è possibile considerare anche un monopolio, basti pensare al caso per il quale k = 1; ciascuna delle k imprese produce il vettore q (q1, q2, … , qn) di prodotti che sono venduti sul mercato rispettivamente ai prezzi p1, p2, … , pn

Perché tale configurazione industriale sia fattibile devono essere verificate le seguenti condizioni:

Il mercato deve essere in equilibrio. Pertanto

Σi qi = Q(p) con i=1,2,…k con i = 1,2,…k

La quantità di beni prodotta e offerta complessivamente dalle k imprese deve cioè essere uguale a Q(p), che rappresenta il vettore delle quantità domandate dai consumatori al prezzo p.

      

14 Dimostrazione matematica svolta ad opera di Baumol, Panzer e Willig (1982) 

(22)

21

Nessuna impresa deve operare in perdita, quindi:

Σi (p*q)i – C (qi) ≥ 0

Una configurazione industriale fattibile è quindi rappresentata da un mercato in equilibrio nel quale ciascuna impresa genera profitti non negativi.

Perché una configurazione industriale fattibile sia anche sostenibile, occorre che sia verificata un’ulteriore condizione; per sottostare a tale requisito si considerano un qualsiasi vettore di prezzi p’ tale che p’ ≤ p e un vettore di quantità q’ tale che q’ ≤ Q(p) deve valere la seguente condizione:

Σi pi’*qi’ – C(q’) ≤ 0

In altri termini, non esistono vettori di prezzi, inferiori a quelli vigenti sul mercato, tali che un’impresa possa offrire un output su quel mercato e ottenere profitti non negativi.

Esaminiamo ora le condizioni affinché un monopolio monoprodotto e multiprodotto sia sostenibile.

Nel caso di industrie monoprodotto abbiamo visto come la subaddittività sia condizione necessaria e sufficiente all’esistenza di un monopolio naturale.

Affinché questo sia anche sostenibile occorre poi che siano verificate due ulteriori condizioni:

− La curva di domanda del servizio deve intersecare la funzione di costo in un tratto decrescente o costante

− Il monopolista deve praticare un prezzo non superiore al costo medio

Se queste due condizioni non sono rispettate vi è la possibilità che un concorrente entri sul mercato e produca ad un prezzo inferiore a quello del monopolista ma superiore ai costi medi, appropriandosi di un segmento più o meno ampio della domanda. In questo caso può generarsi il fenomeno della cosiddetta

(23)

22

concorrenza “hit and run15” (queste considerazioni verranno riprese successivamente, nel corso del II capitolo, in cui si introdurrà la teoria dei mercati contendibili).

Nel caso multiprodotto un monopolio è sostenibile quando, oltre alle condizioni viste in precedenza, sono verificate anche le seguenti:

Le quantità prodotte dal monopolista siano pari a quelle domandate per tutti i beni o servizi prodotti

I prezzi praticati siano tali da non generare profitti (in caso contrario il settore sarebbe appetibile per nuovi concorrenti)

Il processo di determinazione dei prezzi escluda la formazione di sussidi incrociati.

I sussidi incrociati si generano ogniqualvolta il prezzo di un servizio non ne riflette il vero costo di produzione, perché gli utenti di un servizio finanziano in parte i costi comuni non attribuibili ad un particolare servizio16. In presenza di sussidi incrociati la configurazione del mercato non può mai essere sostenibile perché il monopolista, per sussidiare la fornitura di un prodotto, deve ottenere dalla fornitura di un altro prodotto ricavi in eccesso sui costi. Questo comporta necessariamente che vi sia un sottoinsieme dei mercati serviti (quelli per cui i ricavi eccedono i costi e i profitti sono quindi positivi) in cui un competitore possa trovare conveniente l’entrata, avendo la possibilità di appropriarsi di una parte del mercato e conseguire profitti positivi.

Prima di concludere la trattazione dell’argomento è necessario riportare almeno le conseguenze principali della condizione di sostenibilità. Innanzitutto va ricordato che un monopolio rappresenta una configurazione industriale sostenibile solo       

15 La concorrenza hit and run è un caso particolare che si verifica quando uno o più concorrenti entrano sul mercato, applicando un prezzo inferiore a quello del monopolista ed escono prima che quest’ultimo possa reagire incorrendo cosi in una perdita. Affinché questo tipo di concorrenza possa verificarsi non è sufficiente che il monopolista applichi un costo superiore al costo medio, ma occorre altresì che altre condizioni siano rispettate: l’assenza di sunk cost (costi irrecuperabili) per il monopolista, parità di accesso per tutti i potenziali entranti alla conoscenze tecnologiche, impossibilità di reazione immediata  del monopolista ai nuovi entranti e razionalità dei consumatori (reazione simultanea o quasi della domanda a variazioni di prezzo)

16 Il problema dei sussidi incrociati non è specifico delle multi utility. I rimedi storici adottati fin dal 1970 sono sostanzialmente quattro ed il loro obiettivo e di “distribuire” i costi comuni su tutti i servizi offerti dalla multi utility e non su un solo servizio. Si tratta di: “Divieto di ingresso, Separation Standards, Cost Allocation, Price Cap Rgulation“

(24)

23

se si tratta di un monopolio naturale, ossia quando l’esistenza del monopolio è riconducibile a particolari condizioni della tecnologia produttiva. Pertanto, un monopolio legale, cioè un mercato nel quale la presenza di competitori è esclusa per legge, è sostenibile se e solo se la presenza di competitori è impossibile anche per ragioni strutturali (nel caso in cui, quindi, quando il monopolio legale è sovrapposto a un monopolio naturale). Vi è inoltre un’incompatibilità sostanziale tra sostenibilità e sfruttamento del potere di mercato da parte del monopolista: l’output in una configurazione sostenibile è sempre prodotto a condizioni di minimo costo complessivo per l’industria. Da ciò discende l’ultima conseguenza: in una configurazione sostenibile, i profitti del monopolista sono nulli. L’esistenza e la sostenibilità di un monopolio naturale, connesse alla funzione di produzione dell’industria, variano quindi con l’evoluzione del progresso tecnologico. È quindi possibile che l’innovazione tecnologica elimini le condizioni strutturali di esistenza, o al limite di sola sostenibilità, del monopolio in determinati settori.

La moderna teoria del monopolio naturale suggerisce che in alcuni casi il fallimento del mercato concorrenziale può essere risolto senza necessariamente sovrapporre un monopolio legale al monopolio naturale.

Quest’idea è la base sulla quale sono stati costruiti tutti i processi di privatizzazione degli ultimi due decenni. Prima di allora si ricorreva all’intervento pubblico diretto nei settori dei SPL, come correttivo delle situazioni di fallimento del mercato e quando la regolamentazione era ritenuta insufficiente. Il prossimo paragrafo è dedicato all’evoluzione dell’intervento pubblico nell’economia, con attenzione particolare al settore dei SPL.

I.3. L’evoluzione storica dell’intervento pubblico: i principali cambiamenti del quadro politico e normativo degli ultimi decenni

Il settore dei SPL è uno degli scenari nei quali l’intervento pubblico si manifesta in modo più accentuato. Il ruolo delle public utilities è cruciale nell’avvio e nel prosperamento di tutto il sistema economico: esse, infatti, definiscono l’assetto del territorio e concorrono a determinare il livello di qualità della vita delle comunità

(25)

24

locali. Inoltre i beni prodotti da alcuni settori dei SPL, primi fra tutti gli outputs dei settori elettrico, del gas e idrico entrano direttamente nella funzione di produzione delle imprese industriali in qualità di inputs.

Fin dai primi decenni del secolo scorso, tutte le economie miste, pur rimanendo fondate sulla logica di mercato, furono interessate dal sorgere di imprese con un duplice ruolo; lo svolgimento di attività di produzione e distribuzione di beni e servizi. Sorsero così imprese private, non-profit, a partecipazione statale, consorzi e cooperative che costituirono un settore dell’offerta non omogeneo in cui ancora oggi operano soggetti di natura e con motivazioni diverse; e ciò si ripercuote sui livelli di efficienza, sui livelli qualitativi e sulle condizioni di accesso ai beni e servizi che costituiscono un diritto per i cittadini.

Le modalità di intervento pubblico si svilupparono diversamente nei vari Stati, a seconda dei particolari contesti storici ed economici. Le principali differenziazioni tra Stati nelle modalità di intervento pubblico riguardano:

la presenza di imprese pubbliche e le loro forme di organizzazione.

Queste possono configurarsi come organi dello Stato (è il caso, ad esempio, delle aziende autonome italiane), come enti pubblici o come imprese private (in prevalenza s .p.a.) di cui lo stato detenga partecipazioni di controllo

le attività svolte dalle imprese pubbliche. Tali attività sono molto variegate, spaziano dalle attività in settori strutturalmente concorrenziali (assorbimento pubblico per correggere i fallimenti e le deficienze dei privati) alle attività in settori strutturalmente monopolistici (per correggere le distorsioni e assorbire le rendite del monopolio). Altre attività caratteristiche sono quelle svolte nei settori a domanda prevalentemente o esclusivamente pubblica, per garantire la continuità, la qualità e la sicurezza delle erogazioni. L’ultima categoria è poi costituita dalle attività nei settori di rilevante pubblica utilità, nei quali rientrano i SPL, oggetto della nostra analisi.

L’economia italiana è sempre stata caratterizzata da una forte presenza dello Stato, le cause della pervasiva ingerenza pubblica nell’economia sono riconducibili a particolari contingenze storiche ed economiche. All’inizi del ’900 l’economia italiana

(26)

25

si trovava in una situazione difficile, caratterizzata da una debolezza strutturale che ne minava gravemente lo sviluppo.

L’impatto delle nuove tecnologie ad elevata intensità di capitale, la carenza di cultura industriale, la scarsità e la concentrazione dei capitali di rischio in pochi agenti economici avevano provocato ritardi nello sviluppo economico rispetto a paesi leaders quali la Francia, la Gran Bretagna, la Germania e gli Stati Uniti. Per sostenere l’economia italiana ed evitare che l’Italia rimanesse un paese follower nel contesto europeo per molti anni, lo Stato scelse la via dell’intervento pubblico.

L’assorbimento pubblico delle deficienze private, portato a un livello che ben oltrepassava le tradizionali forme di regolamentazione, diffuse un nuovo modello di comportamento fra soggetti pubblici e soggetti privati. In base a questo nuovo approccio, ogni fallimento delle relazioni di mercato, così come ogni squilibrio fra equilibri privati e bisogni pubblici veniva assorbito e inserito nel bilancio pubblico.

Il modello italiano di offerta di servizi di pubblica utilità si fondava sulla filosofia e sull’istituto della riserva pubblica originaria, introdotta come abbiamo visto dall’art. 43 della Costituzione. Questo istituto esclude i soggetti privati dal possesso di attività in quel particolare settore, e veniva di solito imposto nei settori caratterizzati dall’esistenza di un monopolio naturale, sovrapponendo così un monopolio di natura legale al monopolio di natura economica.

L’altra possibilità era rappresentata dalla concessione in esclusiva a soggetti privati; in molti casi, però, la gestione era assegnata tramite concessione a società solo formalmente private, in quanto il controllo era sostanzialmente pubblico.

In queste situazioni venivano a sommarsi due tipi di intervento pubblico:

l’imposizione della riserva prima e l’affidamento in concessione del servizio ad un soggetto a partecipazione pubblica poi. Lo Stato diventava così regolatore e produttore, e la doppia valenza dell’intervento statale trovava la sua massima espressione nel frequente ricorso all’ente pubblico.

L’espansione e consolidamento dell’intervento pubblico in gran parte dei settori dell’economia proseguì fino agli anni ’80. Contemporaneamente all’espansione, cominciarono ad essere sempre più evidenti i limiti di questo approccio all’intervento. Lo scenario stava profondamente cambiando: oltre al progresso tecnologico, stava acquistando sempre maggiore forza il processo di

(27)

26

globalizzazione delle economie e soprattutto stava maturando il processo di integrazione europea, che ha portato con sé una profonda riforma dell’approccio all’intervento pubblico. La consapevolezza dei limiti allo sviluppo economico e sociale posti dalle ristrette estensioni ai contesti nazionali risaliva al secondo dopoguerra, e aveva portato i governi dell’Europa occidentale ad avviare il progetto di costituzione di un unico mercato europeo.

Il processo di integrazione europea implicava necessariamente un ripensamento delle modalità con cui lo Stato interveniva nell’economia. E’ infatti facilmente intuibile che i benefici derivanti dall’allargamento dei mercati nazionali in un unico mercato europeo non possono essere raggiunti se non si impongono restrizioni e divieti alle pratiche nazionali che distorcono la competizione sul mercato comune. La diffusione, promozione e tutela della concorrenza, obiettivi cardine dell’ordinamento comunitario, richiedono trasparenza e armonizzazione negli operati degli Stati Membri non solo riguardo alle forme di sostegno delle economie nazionali ma anche nelle modalità di regolamentazione economica. L’ordinamento comunitario, al quale gli ordinamenti dei singoli Stati Membri devono necessariamente adeguarsi (è infatti fonte normativa di natura superiore all’ordinamento nazionale) delinea un modello di Stato “forte ma neutrale” nell’economia.

Questo modello si articola sulla base del principio di sussidiarietà, principio guida nell’individuazione di una nuova tipologia di intervento pubblico che avviene con differenti modalità. La sussidiarietà presume che nei rapporti tra entità istituzionali e sociali di dimensioni diverse la preferenza sia da accordare a quelle minori, mentre gli interventi delle entità maggiori si giustificano come rivolti a sopperire a inadeguatezze delle prime.

La sussidiarietà può essere di due tipi:

verticale, nella regolazione dei rapporti tra Unione Europea, Stato e Autonomie Locali

orizzontale, nella regolazione dei rapporti fra individuo e Stato cioè nei rapporti fra attività dei privati e funzioni pubbliche.

L’intento non è di sminuire l’importanza dello Stato, ma valorizzare, ridefinire e razionalizzare il suo ruolo nella dinamica delle relazioni Stato-Cittadini e

(28)

27

Pubblico-Privato. Lo Stato si configura come garante dell’interesse generale, interviene direttamente per soddisfare un bisogno reale della società solo quando le collettività e i gruppi sociali, ai quali per primi spetta il compito di intervenire, non sono in grado di farlo.

Secondo questa ottica non esistono più funzioni necessariamente di appartenenza pubblica: sorge un onere di conferma e legittimazione da parte dello Stato dei compiti che ritiene di dover assumere e svolgere. Accanto all’onere di conferma vi è anche un onere di dimostrazione dell’impossibilità di rispettare la sfera dell’autonomia dei privati e della loro capacità di assolvimento delle attività di interesse pubblico.

Il principio di sussidiarietà è uno dei fondamenti della disciplina della concorrenza contenuta nel Trattato dell’U.E. e della “devolution” che negli ultimi anni ha aumentato il potere degli Enti Locali nelle sfere ritenute di loro competenza.

Per le public utilities il ricorso alla sussidiarietà economica e amministrativa va nella direzione di un maggior ricorso ai privati (in luogo dell’ingerenza pubblica) che permetta di restituire loro spazi per sperimentare il perseguimento dell’interesse pubblico con forme proprie del mercato e del profitto. Questa è la nuova impostazione dell’intervento pubblico alla luce del diritto comunitario e non comporta il completo ritiro dello Stato dall’economia ma la sua partecipazione deve avvenire con le medesime regole che valgono per l’imprenditore privato. Il ricorso alla pubblica amministrazione deve giustificarsi come una risorsa per la società, si passa da una concezione soggettiva del servizio pubblico all’impostazione oggettiva e parallelamente lo Stato da amministratore diventa regolatore.

A partire dagli anni ’90 presero il via alcuni importanti processi di riforma del settore dei servizi pubblici e furono avviate le prime privatizzazione di adeguamento all’impostazione comunitaria. Vengono emanate nuove leggi per permettere l’avvio di una maggiore concorrenza e liberalizzazione, viene ridotta la spesa pubblica per rendere possibile l’adesione all’Unione Monetaria e per questo diminuiscono i trasferimenti e i contributi statali, con un significativo effetto sul bilancio degli Enti Locali. Per rendere possibile l'adeguamento agli orientamenti comunitari in materia il legislatore nazionale ha dovuto modificare e promulgare nuove norme

(29)

28

incentrate su un processo di liberalizzazione e concorrenza delle procedure di affidamento dei servizi pubblici locali; come vedremo nel corso del paragrafo.

A partire dagli anni '80 due diverse disposizioni hanno segnato un radicale cambiamento e l'inizio del processo di riforma: il dpr 902/1986 e la legge 142/1990 prevedono che Comuni e Province possono gestire i SP nelle seguenti forme:

in economia, quando per le modeste dimensioni o per la caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire un'istituzione o un'azienda

a mezzo azienda speciale, anche per la gestione di piu' servizi a rilevanza economica ed imprenditoriale

a mezzo istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale

a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privatizzazione

mediante convenzione tra enti locali

mediante consorzi tra enti locali

La più importante innovazione introdotta dalla legge n.142/1990, rispetto al precedente sistema di gestione dei servizi pubblici locali, e' costituita dalla precisa introduzione, della società per azioni con capitale pubblico di maggioranza. Il principale merito di questa legge infatti risulta essere il fatto di affiancare a gestione in economia nuovi strumenti di gestione di “mercato”.

Le società per azioni, in quanto adibite al perseguimento di interessi pubblici e formate da partecipazioni in misura maggioritaria dall'ente locale, beneficiavano dell'affidamento diretto del servizio, senza che fosse, a tal fine, necessario alcun confronto concorrenziale e senza ricorso allo strumento della concessione. Fin da subito questa soluzione legislativa e la procedura che ne deriva hanno presentato una serie di limiti; il primo dei quali risultava essere la necessità che il capitale pubblico fosse detenuto in misura maggioritaria dall'ente locale. Ciò ha comportato l'impossibilita' di utilizzare questa procedura nel caso in cui fosse necessaria una forte capitalizzazione della società (nell'ipotesi, quindi, in cui gli enti

(30)

29

locali non potevano essere in grado di sottoscrivere la quota di maggioranza del capitale).

In secondo luogo la società per azioni era comunque inadeguata per la gestione dei servizi di più modeste dimensioni, per i quali sarebbe risultato più adatto, invece, il modello della società a responsabilità limitata. Proprio per far fronte a questa incongruenza con successivo decreto legislativo e' stata ammessa la possibilità di utilizzare, quale forma di gestione dei servizi pubblici locali, lo strumento della società per azioni a partecipazione pubblica minoritaria. Anche per questa nuova tipologia di società era previsto l'affidamento diretto del servizio; ma ai fini della scelta del socio privato di maggioranza era però obbligatorio lo svolgimento di una gara pubblica. Un altro importante limite individuato risulta essere quello che non obbliga, dunque non incentiva, a lasciare al libero mercato la gestione dei SPL. Ciò si traduce nella mancanza dell'obbligo di concessione mediante bandi di gara e assenza di contratti di servizio per regolare i rapporti tra Comune e società concessionaria. La disposizione normativa ha certamente accelerato il processo di privatizzazione formale che era già atto, ma non ha provveduto alla privatizzazione in senso sostanziale. Politiche molto diverse fra loro possono essere introdotte per aumentare l'efficienza, genericamente indicate come privatizzazioni, ma come indicato sopra ne esistono di due diverse tipologie. Ci si riferisce alla privatizzazione in senso formale (cosiddetta privatizzazione fredda) quando avviene una mera trasformazione della forma giuridica delle imprese pubbliche. Con privatizzazione sostanziale si fa invece riferimento al mutamento della struttura proprietaria delle aziende pubbliche trasformate in s.p.a. Con tale metodologia d'intervento si assiste all'apertura ai privati delle partecipazioni in imprese pubbliche, oppure alla vendita a privati di imprese gestite dal settore pubblico.

Il quadro normativo fin qui esposto e' rimasto pressoché invariato fino all'entrata in vigore del d.lgs n 267 del 18 agosto 2000, successivamente a tale data le modifiche apportate hanno introdotto un' elemento di sostanziale innovazione del superamento della concezione unitaria della nozione di servizio pubblico, alla quale aveva fatto seguito una regolamentazione uniforme. Infatti, gli elementi comuni ai diversi servizi si sono andati progressivamente riducendo: alcune attività hanno continuato ad essere caratterizzate dalla prevalenza del profilo sociale, altre si sono contraddistinte per il loro risvolto imprenditoriale; tutto ciò ha comportato, quindi, la

(31)

30

necessità di introdurre regimi normativi differenziati. La disciplina delle forme di gestione dei servizi pubblici locali è stata trasferita nell'art. 113 del TUEL, i cui contenuti erano sostanzialmente riproduttivi dell'art. 22 della legge n. 142/1990. La sopradescritta impostazione è stata oggetto, poi, di integrale revisione ad opera dell'art.

35 della legge 28 dicembre 2001, (legge finanziaria 2002), che ha modificato l'art. 113 e aggiunto l'art. 113 bis.

Con il provvedimento di riforma è stata operata una distinzione concettuale, alla quale si collegava anche una diversa regolamentazione, tra:

− servizi a rilevanza economica (art. 113)

− servizi privi di rilevanza economica (art. 113 bis)

Per quanto concerne i servizi pubblici a rilevanza industriale (art. 113) si è affermato il principio della necessaria separazione tra il soggetto proprietario delle reti, degli impianti e quello chiamato ad erogare il servizio; si è prevista, inoltre, una separazione tra soggetto erogatore del servizio e soggetto chiamato a gestire le reti. Più precisamente la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali è stata riservata all'ente locale, con divieto di attribuzione al gestore del servizio (è prevista la possibilità, per l'ente locale, di attribuire la proprietà a società di capitali di cui detti enti locali detengano la maggioranza, che rimane incedibile). La gestione delle reti e degli impianti era, invece, di norma, affidata al gestore del servizio. Tuttavia, nel caso in cui leggi di settore prevedessero la necessaria separazione tra attività di gestione delle reti e attività di erogazione del servizio, la prima doveva essere affidata direttamente ad una società di capitali, appositamente costituita, con la partecipazione maggioritaria degli enti locali (eventualmente anche associati); oppure ad imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica. Per quanto concerne, poi, l'attività di erogazione del servizio, era previsto che l'affidamento potesse avere luogo esclusivamente a favore di società di capitali, individuate a seguito della procedura di gara. Ne conseguiva l'obbligo, per i consorzi e le aziende speciali operanti nel settore, di procedere, entro il 31 dicembre 2002, alla trasformazione in società a

(32)

31

responsabilità limitata o società per azioni. Era inoltre prevista la decadenza, una volta esaurito il periodo transitorio, di tutti gli affidamenti in essere operati senza gara.

I servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale sono stati disciplinati, come detto, dall'art. 113-bis. La fondamentale differenza introdotta dal legislatore da quella dettata per i servizi a rilevanza industriale consisteva che per i primi non erano previste rispettivamente l'esclusività della proprietà dei beni da parte dell' ente locale ed era necessaria una separazione tra proprietà dei beni e gestione dei servizi.

Il quadro normativo fin qui descritto, tuttavia, aveva aperto delle incompatibilità a livello comunitario. Infatti, per quanto la riforma avesse introdotto, nel settore dei servizi pubblici a rilevanza industriale, l'obbligatorietà della procedura di gara per l'individuazione del soggetto gestore, essa manteneva, comunque, una serie di casi in cui erano previsti affidamenti diretti.

Proprio per questo motivo la Commissione Europea, nel giugno 2002, ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per incompatibilità con alcune disposizioni contenute nell'art. 35 della legge n. 448/2001 (e quindi negli articoli 113 e 113 bis).Più precisamente, la Commissione aveva ritenuto non conforme ai principi comunitari l'affidamento diretto della gestione delle reti e degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali.

In conseguenza di ciò, furono dunque necessarie alcune modifiche (apportate con legge finanziaria per il 2004) che prevedessero la sostituzione della definizione di “servizi a rilevanza industriale” e “servizi privi di rilevanza industriale”

rispettivamente con quelle di servizi a “rilevanza economica” e “privi di rilevanza economica”. Sempre all'interno dello stesso intervento normativo il legislatore italiano ha previsto la possibilità di ricorrere, ai fini dell'affidamento del servizio di gestione dell' infrastruttura ed anche in quella di erogazione del servizio al cosiddetto in “house providing”. Si tratta dell'unica ipotesi in cui è consentito l'affidamento diretto, in deroga alla regola generale della pubblica gara. Come precisato si tratta dell'unica deroga possibile in quanto il ricorso alle procedure ad evidenza pubblica, ai fini dell'individuazione del potenziale contraente, presuppone che il contratto di cui si

Riferimenti

Documenti correlati