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IL COLLEGIO DI MILANO. Prof. Avv. Antonio Gambaro Presidente

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Academic year: 2022

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IL COLLEGIO DI MILANO

composto dai signori:

– Prof. Avv. Antonio Gambaro Presidente

– Prof.ssa Antonella Maria Sciarrone Alibrandi Membro designato dalla Banca d’Italia (Estensore)

– Prof. Avv. Emanuele Cesare Lucchini Guastalla Membro designato dalla Banca d’Italia – Dott. Mario Blandini Membro designato dal Conciliatore

Bancario Finanziario

– Dott.ssa Anna Bartolini Membro designato dal C.N.C.U.

nella seduta del 29 novembre 2011 dopo aver esaminato x il ricorso e la documentazione allegata;

x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;

x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica FATTO

Con ricorso datato 19 maggio 2011 il ricorrente, titolare di una carta bancomat appoggiata su un conto corrente in essere presso la banca resistente, si rivolgeva all’Arbitro Bancario Finanziario esponendo la seguente vicenda.

Il ricorrente riferiva che, il 12.03.2010, si avvedeva del furto del sopracitato strumento di pagamento e che, nello stesso giorno «verso le ore 12:30», si recava presso la filiale della banca «ove, con l’assistenza di un funzionario [della resistente]» provvedeva ad effettuare «la procedura di blocco prevista dall’art. 4, n. 1, delle norme che regolano i servizi automatici con Carta bancomat».

Tuttavia, il 28.05.2010, «nonostante la comunicazione di blocco (…), la conferma ricevuta dall’operatore del numero verde e l’ulteriore conferma costituita dall’invio di una nuova Carta Bancomat», il ricorrente si avvedeva dell’avvenuta effettuazione di prelievi indebiti, «tramite la Carta che doveva essere bloccata», per un importo totale di € 7.890,00.

Con formale reclamo del 28 giugno 2010, il ricorrente, assistito da legale, si rivolgeva alla banca resistente e considerato che «tali prelievi [erano] stati effettuati fraudolentemente dal possessore della Carta bancomat oggetto di furto nel periodo dal 13.03.2010 al 6.05.2010, cioè successivamente al blocco di cui all’art. 4, comma 5 lettera b)» riteneva gli stessi essere opponibili alla banca e ne chiedeva il relativo rimborso.

Con ulteriore nota del 3.08.2010, facendo seguito alla precedente comunicazione, «[dalla banca] riscontrata solo verbalmente», il ricorrente trasmetteva copia della denuncia di furto presentata il 15.03.2010 e copia dei movimenti del conto corrente «dai quali risulta che, dopo l’avvenuta effettuazione presso [la filiale della banca] della procedura di blocco (…) [il ricorrente]

ha subito prelievi per € 7.961,40 (comprese le spese) che non doveva essere possibile effettuare».

(2)

Tutto ciò precisato invitava la banca a provvedere al «rimborso delle somme prelevate dopo la procedura di blocco, al rimborso delle spese dei prelievi, e dei danni subiti».

La banca riscontrava con nota del 13.09.2010 e informava il ricorrente «dell’esito degli accertamenti effettuati presso le competenti funzioni aziendali».

Precisamente la banca riferiva che «le operazioni disconosciute sono risultate tutte regolarmente portate a termine con l’ausilio del codice P.I.N. (…) senza che si sia evidenziata alcuna anomalia o manomissione al sistema di sicurezza».

Inoltre, «dalle verifiche svolte è emerso che le operazioni sono state effettuate antecedentemente all’orario di blocco della carta (avvenuto in data 27.05.2010 alle ore 12:56) e pertanto non sono rimborsabili».

«Riguardo a quanto dichiarato [dal ricorrente] nella lettera del 03.08.2010», la banca precisava che in realtà il ricorrente si era presentato presso la filiale «chiedendo di bloccare solo la sua carta di credito n. (…) e non la carta bancomat in oggetto».

Tutto ciò chiarito la banca resistente comunicava, dunque, di non poter accogliere la richiesta di rimborso.

Il ricorrente, sempre tramite legale, riscontrava la predetta comunicazione con nota del 22.10.2010 «per contestarne integralmente il contenuto».

Precisamente il ricorrente sosteneva che «la procedura di blocco della Carta Bancomat è stata effettuata e portata a termine, con l’assistenza di un funzionario [della resistente] in data 12.03.2010» e che «ha sicuramente avuto come oggetto la Carta Bancomat contraddistinta dal n. (…) e non la carta di credito (…)».

Tale circostanza «è dimostrata dal fatto che il numero [della carta], necessario per presentare la denuncia ai Carabinieri, venne fornito (…) dal funzionario [della filiale della banca], che aveva assistito il ricorrente per l’effettuazione della procedura di blocco».

La banca con nota del 25.01.2011 ribadiva quanto già espresso nella precedente comunicazione del 13 settembre 2010.

Nell’occasione la banca precisava che «sia dalla relazione fornitaci dalla filiale quanto dal verbale redatto dai Carabinieri, viene denunciato il furto unicamente della Carta di credito e non della carta bancomat».

Non soddisfatto delle risposte ricevute il ricorrente, con il sopra citato ricorso, si rivolgeva all’Arbitro Bancario Finanziario riprendendo gli argomenti dedotti nel reclamo e quanticando i prelievi indebiti in € 7.890,00.

La banca resistente presentava le proprie controdeduzioni il 12 luglio 2011.

In tale sede la banca ribadiva quanto affermato in occasione della risposta al reclamo, precisando che:

- il blocco della carta di credito del 12.3.2010 è avvenuto tramite il numero verde CartaSi;

- la tessera bancomat è stata invece bloccata in maggio, subito dopo la scoperta dei prelevamenti contestati (il primo dei quali avvenuto il 15.3.2010 alle ore 00,05 e i successivi fino alle 00,11 del 6.5.2010);

- la carta di credito bloccata non era di tipologia multifunzione, ma si trattava di due tessere separate, per cui gli operatori della banca «non potevano essere a conoscenza dell’avvenuto furto anche del bancomat, non compreso in denuncia»;

- il ricorrente non aveva aderito al sistema “SMS informativo” pubblicizzato sul sito internet della banca.

Secondo la banca resistente «la tempistica in esame evidenzia una responsabilità del ricorrente sotto molteplici aspetti quali la mancata denuncia di furto della tessera bancomat, il mancato blocco della stessa, che ha causato il perpetrarsi dell’illecito aggravando così le conseguenze subite, il mancato controllo sulle operazioni eseguite sul conto corrente» e chiedeva pertanto all’ABF di respingere il ricorso.

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Considerato il procedimento maturo per la decisione questo Collegio lo ha esaminato nella riunione del 29 novembre 2011.

DIRITTO

La questione che questo Collegio ritiene di dover affrontare al fine di risolvere la presente controversia attiene all’individuazione, nel caso di furto di uno strumento di pagamento, degli obblighi gravanti su ciascuna delle parti coinvolte e alla relativa ripartizione delle responsabilità nel caso di successivo indebito utilizzo dello strumento di pagamento.

Com’è noto, la disciplina dei servizi di pagamento è stato oggetto di un’opera di armonizzazione a livello europeo posta in essere attraverso la direttiva 2007/64/CE (nota anche come PSD, Payment Service Directive) recepita in Italia con d. lgs. n. 11/2010.

È l’art 7 del d. lgs. n. 11/2010 ad enucleare le obbligazioni a carico dell’utente che sia titolare di uno strumento di pagamento.

In particolare, il comma 1 lett. b) dell’art. 7 contempla quegli obblighi gravanti in seguito alla presa di coscienza di eventi legati o potenzialmente propedeutici all’indebito utilizzo dello strumento di pagamento quali lo smarrimento, il furto, l’appropriazione indebita individuabili nella comunicazione tempestiva dell’evento.

È opportuno precisare che l’obbligo informativo previsto dalla norma in esame non ha ad oggetto la contestazione dell’operazione bensì la comunicazione di eventi strumentali al potenziale indebito utilizzo.

Tale disposizione deve poi essere letta in stretta connessione con le prerogative in capo al prestatore di servizi di pagamento, con riferimento specifico al blocco dello strumento di pagamento ex art. 6, nonché, con il correlativo obbligo di impedire qualsiasi utilizzo dello strumento di pagamento, a seguito della comunicazione dell’utilizzatore ex art. 8, comma 1, lett.

d).

Con riferimento alla ripartizione della responsabilità in caso di indebito utilizzo conseguente al furto dello strumento di pagamento, una volta rispettato l’obbligo di comunicazione di cui all’art.

7, comma 1, lett. b) e salvo i casi di condotta fraudolenta, l’utilizzatore è esonerato da responsabilità in relazione a tutte le perdite derivanti dall’utilizzo dello strumento di pagamento smarrito, sottratto o utilizzato indebitamente con una conseguente e corrispondente esposizione del prestatore.

La ratio di tale previsione può essere individuata nel considerando n. 32 della PSD quale quella di «incentivare l’utente dei servizi di pagamento a notificare senza indugio al suo prestatore l’eventuale furto o perdita di uno strumento di pagamento e di ridurre pertanto il rischio di operazioni non autorizzate».

Nello specifico ai sensi del comma 1 dell’art. 12 l’utilizzatore, salvo il caso in cui abbia agito in modo fraudolento, «non sopporta alcuna perdita derivante dall’utilizzo di uno strumento di pagamento smarrito, sottratto, o utilizzato indebitamente» intervenuto dopo la comunicazione eseguita ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b).

Parimenti il secondo comma dispone che l’utilizzatore – fatto salvo il caso di frode – non sia responsabile di tali perdite nel caso in cui il prestatore non abbia ottemperato all’obbligo ex art.

8, comma 1, lett. c) di assicurare che siano sempre disponibili strumenti adeguati affinché l’utilizzatore possa eseguire la comunicazione di cui all’art. 7, comma 1, lett. b).

Ai sensi del comma 3 della disposizione in esame, infine, prima della comunicazione eseguita ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b) e «salvo il caso in cui l’utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave», quest’ultimo «può sopportare per un importo comunque non superiore complessivamente ai 150 euro la perdita derivante dall’utilizzo indebito dello strumento di pagamento».

La citata disposizione deve, quindi, intendersi nel senso che il rischio del furto di uno strumento di pagamento grava sul prestatore di servizi di pagamento, salvo una franchigia di euro 150,00

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avente la funzione di incentivare l’utilizzatore ad informare tempestivamente il prestatore di servizi di pagamento dell’evento, affinché provveda al blocco dello strumento sottrattogli. E ciò in ragione anche della professionalità e capacità di gestione dei rischi inerenti all’utilizzo di strumenti valutati aprioristicamente quali “pericolosi”.

Con riguardo al concetto di colpa grave, infine, questo Collegio, ha già avuto occasione di precisare che esso implica una valutazione della condotta «in termini di totale trascuratezza verso i minimi accorgimenti che vengono utilizzati dai consociati al fine di evitare un accadimento dannoso».

Secondo l’autorevole insegnamento della Suprema Corte, infatti, il nostro ordinamento è informato ad un principio in base al quale – in tema di inadempimento contrattuale – le conseguenze giuridiche della colpa grave sono trattate allo stesso modo di quelle della condotta dolosa (cfr. Cass n. 5910/2004).

L’onere della prova di tale ultima circostanza grava, ex art. 10 del d.lgs. n. 11/2010, sul prestatore di servizi di pagamento.

Posta questa breve ricostruzione dei confini normativi entro i quali muoversi, occorre ora valutare nel caso di specie se le parti abbiano correttamente rispettato gli obblighi su ciascuna di esse gravanti e di conseguenza allocare il costo degli addebiti fraudolenti posti in essere a seguito del furto dello strumento di pagamento per complessivi € 7.890,00.

La questione appare particolarmente delicata in quanto vi è una divergenza temporale in merito al blocco dello strumento di pagamento oggetto del ricorso.

Da un lato, infatti, il ricorrente, avvedutosi del furto della propria carta bancomat, sostiene di essersi recato il 12.03.2010 «verso le ore 12:30», presso la filiale della banca «ove, con l’assistenza di un funzionario [della resistente]» ha provveduto ad effettuare «la procedura di blocco prevista dall’art. 4, n. 1, delle norme che regolano i servizi automatici con Carta bancomat» e a sporgere il successivo 15 marzo 2010 regolare denuncia presso l’AG competente.

Di contro la banca nelle proprie controdeduzioni riferisce che, in tale data, in realtà il ricorrente avrebbe richiesto il blocco della propria carta di credito mentre la tessera bancomat sarebbe stata invece bloccata solo in maggio, subito dopo la scoperta dei prelevamenti contestati.

Dirimente per la questione appare, ad avviso di questo Collegio, quanto dichiarato nella denuncia presentata dal ricorrente il 15 marzo 2010, successiva all’asserito blocco della carta e prodotta agli atti anche dalla banca resistente.

In tale denuncia testualmente si legge: «sono stato vittima di furto con destrezza il 12/03/2010 fra le 11:40 e le 11:45 in pubblica via. (…) La refurtiva del fatto è composta da: (…) carta di credito, numero di serie 01210068, istituto rilasciante [banca resistente]».

Orbene, seppure il ricorrente abbia impropriamente definito la carta sottratta «di credito» e non bancomat, ne ha allo stesso tempo indicato il numero di serie.

Ad avviso del Collegio, definire in modo non preciso lo strumento di pagamento sottratto nei termini appena descritti, sicuramente è un comportamento connotato da negligenza ma non tale da integrare il concetto di colpa grave richiesto dalla normativa.

Inoltre, sempre dalla documentazione prodotta dalla stessa banca resistente, risulta che i prelevamenti fraudolenti sono nella maggior parte concentrati in orari di poco successivi alla mezzanotte dei primi giorni del mese, fino ad esaurimento del plafond mensile.

Di ciò avrebbe invece dovuto avvedersi la banca resistente, non certo monitorando direttamente ogni singola operazione, ma predisponendo sistemi automatici di blocco delle operazioni da postazione remota in presenza di un’attività dello strumento di pagamento decisamente non in linea con l’operatività del cliente.

Ne consegue che, nel caso in esame, i rischi connessi al furto dello strumento di pagamento debbano essere ripartiti secondo quanto stabilito dall’art. 12 del d.lgs. n. 11/2010, applicando quindi a carico della ricorrente la sola franchigia di euro 150,00.

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P. Q. M.

Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e dispone che l’intermediario restituisca al ricorrente la somma di € 7.740,00.

Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00, quale contributo alle spese di procedura, e al ricorrente la somma di € 20,00, quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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Già Docente nei corsi di «Diritto privato» e «Diritto privato delle comunicazioni» presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Firenze;. Già