Scuola Universitaria della Svizzera Italiana – SUPSI Dipartimento Economia aziendale, Sanità e Sociale – DEASS
Corso di Laurea in Cure Infermieristiche
Lavoro di Tesi (Bachelor Thesis)
Strumenti efficaci per la valutazione della dispnea nei pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica: revisione della letteratura
Autore Daniele Lentschik
Direttore di Tesi Luciano Thomas
2020-2021 Manno, 31.07.2021
“L’autore è l’unico responsabile dei contenuti del Lavoro di Tesi”
ABSTRACT Background
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una tra le malattie neurodegenerative più frequenti nell’età adulta, la cui prognosi è inevitabilmente infausta nel giro di 3-5 anni dalla sua diagnosi. Le cause rimangono per lo più sconosciute, ma sempre più studi rivelano una correlazione tra fattori ambientali e genetici. La malattia è sporadica in circa l’85-90% dei casi, mentre nel restante 10-15% è famigliare e può manifestarsi con diverse forme cliniche. Fino ad oggi non è stato trovato alcun medicamento in grado di curare in maniera risolutiva la SLA e per questo motivo ci si concentra sui trattamenti volti alla gestione della sintomatologia. Quasi la totalità dei pazienti va in contro ad insufficienza respiratoria nel corso della malattia e nella maggior parte dei casi vi è associata la dispnea. Questo sintomo provoca grande sofferenza al paziente e a chi lo circonda e la sua valutazione risulta spesso difficoltosa.
Obiettivi
Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di rispondere alla seguente domanda di ricerca:
“quali sono gli strumenti a disposizione dell’infermiere per valutare con efficacia la dispnea nei pazienti affetti da SLA?”. Gli obiettivi del lavoro sono quelli di identificare gli strumenti attraverso l’analisi della letteratura scientifica con provata efficacia per la valutazione della dispnea nei pazienti affetti da SLA, descrivere il ruolo infermieristico nella valutazione della dispnea nei pazienti affetti da SLA e implementare le conoscenze professionali nella gestione di malattie croniche neurodegenerative.
Metodo
È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura e per ricercare gli studi sono state utilizzate le seguenti banche dati: PubMed, CINHAL (EBSCO), Cochrane Library e Wiley-Blackwell. Dopo aver eseguito un’accurata analisi, sono stati selezionati 5 articoli per svolgere questo lavoro di tesi.
Risultati
L’analisi degli studi ha identificato tre strumenti efficaci per la valutazione della dispnea nei pazienti affetti da SLA: la Dyspnea-ALS-Scale a 15 item (DALS-15), la scala di Borg modificata e il BDI/TDI. Queste scale possiedono una buona sensibilità e specificità.
Inoltre, il loro utilizzo è stato dimostrato essere di facile e di breve durata.
Conclusioni
I tre strumenti identificati ed analizzati attraverso questo lavoro risultano efficaci nel valutare la dispnea nella SLA e la loro particolare sensibilità permette di riconoscere precocemente la comparsa di problematiche respiratorie. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza per poter fornire trattamenti tempestivi che permettono di migliorare la qualità di vita del paziente e dei suoi famigliari. Essendo un tema di recente interesse scientifico, non sono presenti molti studi su questo tema. Per questo motivo, sono necessarie ulteriori ricerche in merito a questo argomento.
Parole chiavi
Assessment, scale, tools, amyotrophic lateral sclerosis, dyspnea, validation.
Indice
1. Introduzione ... 1
1.1 Scelta del tema ... 1
1.2 Obiettivi della tesi ... 1
1.3 Metodo di lavoro ... 2
2. Quadro teorico ... 2
2.1 Definizione di Sclerosi Laterale Amiotrofica ... 2
2.1.1 Anatomia e fisiologia: le vie motorie volontarie e i motoneuroni ... 2
2.1.2 Epidemiologia ... 5
2.1.3 Fisiopatologia ... 6
2.1.4 Eziologia e fattori di rischio ... 6
2.1.5 Sintomatologia e forme cliniche ... 7
2.1.6 Diagnosi ... 9
2.1.7 Complicanze ... 9
2.1.8 Trattamento ... 9
2.1.9 Prognosi ... 11
2.2 Dispnea ... 11
2.2.1 Valutazione della dispnea ... 12
2.2.2 Approccio alla dispnea ... 13
3. Metodologia ... 14
4. Risultati degli studi ... 17
4.1 Ricerca degli articoli ... 17
4.2 Tabella riassuntiva degli articoli ... 18
4.3 Scala DALS-15 ... 21
4.4 Scala di Borg ... 23
4.5 Scala BDI/TDI ... 24
5. Discussione ... 25
5.1 Risultati chiave ... 25
5.2 Limiti degli studi ... 26
5.3 Ruolo infermieristico ... 26
5.4 Ricerche future ... 27
6. Conclusioni ... 28
6.1 Conclusioni personali ... 28
7. Ringraziamenti ... 30
8. Bibliografia ... 31
9. Allegati ... 35
1. Introduzione 1.1 Scelta del tema
Il lavoro di tesi si sviluppa attorno ad una delle malattie neurodegenerative più frequenti dell’età adulta e la sua inevitabile evoluzione incide notevolmente sulla qualità di vita del paziente e dei famigliari che lo circondano (Brown & Al-Chalabi, 2017). Questa malattia è denominata Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), esplicitando di fatto le principali caratteristiche fisiopatologiche che la contraddistinguono da altre patologie a carico del sistema nervoso (Naumann, 2015).
L’ambito neurologico, le molteplici malattie ad esso associato e la presa in carico di quest’ultime da un punto di vista infermieristico hanno da sempre suscitato in me grande interesse. Inoltre, nei precedenti stage ho avuto modo di confrontarmi con alcuni pazienti affetti da SLA e ciò ha accresciuto notevolmente la curiosità per questa malattia e la volontà di approfondirla. Questi motivi hanno contribuito in modo particolare alla scelta del tema.
Dopo aver svolto un’ampia ricerca su questo tema sono giunto alla conclusione che uno dei problemi principali a cui va in contro il paziente affetto da SLA è l’insufficienza respiratoria, a causa della progressiva debolezza muscolare. In concomitanza a questo quadro clinico insorge molto spesso la dispnea, un sintomo che incide in maniera negativa sulla qualità di vita del paziente e di chi lo circonda. La dispnea non si ripercuote solamente sulla sfera fisica, ma agisce anche su quella psicologica ed emotiva generando stati d’ansia e di paura. Si può quindi appurare che la dispnea rientra tra quei sintomi ritenuti multidimensionali (Morélot-Panzini et al., 2018). Inoltre, essendo considerata un’esperienza personale di disagio, in cui la componente soggettiva prevale, risulta spesso difficile valutarla in maniera efficace (Kamal et al., 2011).
La complessità di questo sintomo nei pazienti affetti da SLA ha attirato particolarmente la mia attenzione e mi ha permesso di formulare la domanda di ricerca. L’aspetto che desidero indagare con questo lavoro di tesi sono gli strumenti più efficaci a disposizione dell’infermiere per valutare la dispnea. Si tratta di un argomento che negli ultimi anni sta suscitando sempre più interesse tra i ricercatori.
I pazienti malati di SLA possono essere incontrati in diversi contesti, come il domicilio, l’ospedale e le cliniche. Per questo lavoro ho deciso di non fare alcuna distinzione sul luogo in cui i pazienti soggiornano, ma ho considerato tutti gli individui affetti da SLA in età adulta.
1.2 Obiettivi della tesi
Questo lavoro di tesi è orientato alla ricerca degli strumenti più efficaci per valutare la dispnea nei pazienti affetti da SLA in modo da garantire una presa in carico precoce del sintomo e migliorare di conseguenza la qualità di vita del paziente.
Di seguito sono riportati gli obiettivi specifici:
• Identificare gli strumenti attraverso l’analisi della letteratura scientifica con provata efficacia per la valutazione della dispnea nei pazienti affetti da SLA.
• Descrivere il ruolo infermieristico nella valutazione della dispnea nei pazienti affetti da SLA.
• Implementare le conoscenze professionali nella gestione di malattie croniche neurodegenerative.
1.3 Metodo di lavoro
Per svolgere questo lavoro è stata effettuata una revisione della letteratura tramite l’utilizzo di molteplici strumenti, come le banche dati, le riviste scientifiche, i motori di ricerca “Google” e “Google Scholar” e i libri reperiti in biblioteca.
Per approfondire gli argomenti e rispondere agli obiettivi ho strutturato il lavoro in cinque parti principali. La prima parte è composta da un’introduzione sul tema scelto per la ricerca in cui viene esposto lo svolgimento dell’elaborato. Nella seconda parte è presente il quadro teorico che ha lo scopo di approfondire la SLA e la dispnea. La terza parte risponde alla domanda di ricerca attraverso i risultati degli studi scelti per questa revisione. Nella quarta parte ho discusso i risultati esposti in precedenza, correlandoli anche al ruolo infermieristico. Inoltre, ho esposto i possibili sviluppi per la ricerca futura.
Infine, la quinta parte è rappresentata dalle conclusioni in cui valuto il percorso seguito per l’elaborazione di questo lavoro e il raggiungimento o meno degli obiettivi.
2. Quadro teorico
2.1 Definizione di Sclerosi Laterale Amiotrofica
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia neurodegenerativa che comporta una progressiva paralisi ed è caratterizzata dalla degenerazione dei motoneuroni nel cervello e nel midollo spinale. All’esordio è presente una debolezza focale, ma con il progredire della malattia vengono coinvolti la maggior parte dei muscoli, compreso il diaframma (Brown & Al-Chalabi, 2017). La SLA è anche conosciuta come malattia di Charcot, in onore del neurologo francese Jean-Martin Charcot che nel 1869 descrisse per la prima volta questa patologia. Negli Stati Uniti divenne nota come malattia di Lou Gehrig, nome del famoso giocatore di baseball alla quale fu diagnosticata la malattia nel 1939 (Zarei et al., 2015).
La SLA appartiene ad un gruppo di patologie note con il nome di “malattie del motoneurone” che colpiscono il sistema nervoso e nello specifico comportano la perdita dei neuroni deputati alla propagazione dell’informazione motoria dal cervello fino alla periferia. È bene precisare che i due termini, Sclerosi Laterale Amiotrofica e malattia del motoneurone, non sono sinonimi perché oltre alla SLA, che è comunque la forma più comune tra le malattie del motoneurone, esistono altre forme che differiscono da un punto di vista clinico e prognostico (Bertora, 2015).
Il nome della malattia deriva da parole radicali appartenenti alla lingua latina che riassumono le caratteristiche fisiopatologiche evidenziate negli studi in laboratorio. Il termine “sclerosi” significa cicatrizzazione, mentre “laterale” fa riferimento alla zona del midollo spinale dove corrono i tratti motori efferenti discendenti. Quindi, la “sclerosi laterale” si riferisce all’indurimento dei tratti corticospinali anteriori e laterali poiché, i neuroni in questo tratto vanno in contro a degenerazione e vengono sostituiti dalla gliosi.
La parola “amiotrofia” è composta dalla lettera “a” che indica assenza, da “mio” che significa muscolo e trofia che significa nutrizione. Il termine “amiotrofico” si riferisce quindi alla mancanza di nutrimento muscolare che comporta un progressivo deperimento o atrofia (Naumann, 2015).
2.1.1 Anatomia e fisiologia: le vie motorie volontarie e i motoneuroni
Le vie motorie permettono al sistema nervoso centrale (SNC) di controllare le funzioni dell’apparato locomotore. Per fare in modo che le informazioni giungano alla periferia vengono coinvolte diverse strutture anatomiche organizzate su più livelli e comprendono:
le aree motorie corticali, i gangli della base, il cervelletto, i sistemi discendenti e il midollo spinale (Gazzaniga, 2015).
Le unità fondamentali, per l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni nel sistema nervoso, sono i neuroni (cellule nervose). Queste cellule sono caratterizzate dall’eccitabilità elettrica che permette di rispondere a uno stimolo e convertirlo in un potenziale d’azione. Esistono diversi tipi di neuroni all’interno del sistema nervoso e per classificarli si ricorre alle loro caratteristiche strutturali o funzionali (Tortora et al., 2011).
Tra le varie categorie sono presenti i motoneuroni o neuroni effettori che sono responsabili della funzione motoria. Questo tipo di neuroni consente all’organismo di compiere movimenti più o meno complessi in base alle richieste individuali e ambientali (Purves, 2009).
I motoneuroni si suddividono in due sottogruppi, quelli inferiori e quelli superiori. I motoneuroni inferiori (chiamati anche II motoneuroni o motoneuroni alfa) originano dalla sostanza grigia del midollo spianale e dai nuclei motori del tronco encefalico (Purves, 2009). Gli assoni dei motoneuroni inferiori terminano a livello della muscolatura scheletrica attraverso i nervi cranici che innervano i muscoli della testa e i nervi spinali che innervano i muscoli degli arti e del tronco (Tortora et al., 2011). L’attivazione di questi neuroni proviene da una molteplicità di fonti come i fusi muscolari che generano sinapsi con i motoneuroni inferiori direttamente nel midollo spinale e gli interneuroni che a loro volta sono connessi con i nervi sensoriali e i motoneuroni superiori (Gazzaniga, 2015). I motoneuroni inferiori, quindi, rappresentano la via finale comune con la quale le diverse strutture del sistema nervoso interagiscono con i muscoli scheletrici (Purves, 2009).
I motoneuroni superiori (o I motoneuroni) originano dalla corteccia cerebrale e dal tronco encefalico e i rispettivi assoni generano sinapsi con gli interneuroni o più raramente direttamente con i motoneuroni inferiori. I motoneuroni superiori situati nella corteccia cerebrale sono fondamentali per l’esecuzione dei movimenti volontari del corpo, mentre quelli collocati nel tronco encefalico permettono di regolare il tono muscolare, di controllare i muscoli posturali e di mantenere l’equilibrio. Sia i nuclei della base che il cervelletto esercitano un’influenza su questo sottogruppo di motoneuroni (Tortora et al., 2011).
Figura 1: Organizzazione complessiva delle strutture nervose
A livello della corteccia cerebrale sono presenti più aree deputate al controllo del movimento e tra le principali è importante citare la corteccia motoria primaria e la corteccia premotoria. La corteccia motoria primaria (o area di Brodmann 4) è situata nell’ultima porzione posteriore del lobo frontale ed è connessa con la maggior parte delle strutture designate al movimento. Ogni singola regione di questa area controlla la funzione di specifici muscoli o gruppi muscolari che possono essere rappresentati in una mappa chiamata homunculus. L’estensione corticale non è proporzionale alle dimensioni reali delle varie parti del corpo e un’area più estesa è destinata a quei muscoli che sono coinvolti in movimenti specializzati e complessi (Gazzaniga, 2015). La corteccia premotoria (Brodmann 6) fa parte delle aree associative ed è collocata anteriormente alla corteccia motoria primaria. Questa area è collegata alle attività complesse e sequenziali che sono già state acquisite durante lo sviluppo della persona (Tortora et al., 2011).
Dalla corteccia cerebrale e dal tronco encefalico originano numerose vie motorie che decorrono parallelamente verso il basso. Complessivamente, si possono distinguere due vie discendenti che originano da queste regioni: la via piramidale (o via diretta) e la via extrapiramidale (o via indiretta) (Gazzaniga, 2015).
I corpi cellulari che danno origine alla via piramidale sono situati nella corteccia cerebrale incaricata al movimento e i rispettivi assoni scendono attraverso i tratti corticobulbari e corticospinali. Il nome dei due tratti definisce il luogo in cui gli assoni si fermano ovvero, nel tronco encefalico e rispettivamente nel midollo spinale (Purves, 2009). La via corticobulbare discende attraverso la capsula interna e il peduncolo cerebrale mesencefalico per terminare in prossimità dei nervi cranici. Questa via permette la conduzione di impulsi atti al controllo della muscolatura scheletrica della testa (Tortora et al., 2011). Il tratto corticospinale percorre la prima parte affiancato a quello corticobulbare ma a differenza di quest’ultimo, prosegue lungo il midollo spinale attraverso due vie. A livello del bulbo, la maggior parte degli assoni del tratto piramidale si intersecano e formano il fascio corticospinale laterale che prosegue nel midollo spinale. Gli assoni di questo tratto fanno sinapsi con i neuroni dei circuiti locali, situati nelle porzioni laterali del corno ventrale e della sostanza grigia intermedia, o direttamente con i motoneuroni inferiori. Il tratto corticospinale laterale svolge un ruolo importante nel controllo dei movimenti delle porzioni distali degli arti (Purves, 2009). I restanti assoni del tratto piramidale che non si intersecano nel lato contrapposto a livello del bulbo, formano il fascio corticospinale anteriore (o ventrale) che discende lungo il midollo spinale. Come il fascio corticospinale laterale, anche questo si connette ai neuroni dei circuiti locali o ai motoneuroni inferiori. La via corticospinale anteriore è responsabile dell’azione dei muscoli del tronco e dei muscoli prossimali degli arti (Purves, 2009).
La via extrapiramidale, invece, origina all’interno del tronco encefalico dove vari nuclei inviano proiezioni discendenti al midollo spinale attraverso una serie di tratti ben distinti.
A loro volta, queste regioni sono stimolate da strutture corticali e sottocorticali. I tratti extrapiramidali hanno un ruolo primario sul controllo dell’attività spinale permettendo la modulazione della postura, del tono muscolare e della velocità dei movimenti. I tratti che discendono lungo il midollo spinale sono il rubrospinale, il tettospinale, il vestibolospinale e il reticolospinale (Gazzaniga, 2015).
Il midollo spinale, oltre a condurre ai muscoli i segnali motori finali come visto in precedenza, si occupa anche di raccogliere le informazioni sensoriali dai recettori periferici e di inviarli al cervello. Se osserviamo un’immagine trasversale, possiamo notare che la regione situata alla periferia è
costituita da materia bianca mentre al centro è presente la sostanza grigia. Quest’ultima, ha una forma simili ad una farfalla e presenta due sezioni: il corno dorsale e il corno ventrale. Il corno ventrale, chiamato anche corno anteriore, contiene i motoneuroni che proiettano ai muscoli. Il corno dorsale, invece, include i neuroni sensoriali e gli interneuroni che interagiscono con i motoneuroni dello stesso lato o del lato opposto (Gazzaniga, 2015). Al centro del midollo spinale è presente un
segmento orizzontale che prende il nome di commessura grigia e al suo interno è presente un canale contenente liquido cerebrospinale. Il midollo spinale è suddiviso in segmenti e da ciascuno di essi emerge un paio di nervi spinali diretti ai diversi muscoli scheletrici degli arti e del tronco (Tortora et al., 2011).
2.1.2 Epidemiologia
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è considerata la malattia neurodegenerativa più frequente nell’età adulta (Brown & Al-Chalabi, 2017). Attraverso degli studi recenti, è emerso che l’incidenza della SLA a livello globale varia tra 0,6 e 3,8 persone ogni 100'000 abitanti all’anno. In Europa, si osserva un’incidenza più elevata che varia da 2,1 a 3,8 persone per 100'000 abitanti/anno (Longinetti & Fang, 2019). In alcune aree geografiche, come ad esempio l’Asia, il tasso di incidenza è inferiore rispetto a quelli del Nord America e dell’Europa. Una spiegazione a queste differenze può essere dovuta a fattori demografici in quanto, la SLA è una malattia che esordisce nella mezza età e la densità di popolazione a rischio varia da paese a paese (Aktekin & Uysal, 2020). Inoltre, se si osserva l’evoluzione negli ultimi anni è possibili riscontrare un lieve ma costante incremento dei nuovi casi su base annua (Longinetti & Fang, 2019).
La prevalenza della SLA varia tra 4,1 e 8,4 persone ogni 100'000 abitanti e nel corso degli ultimi anni si è verificato un lieve rialzo di questo indice. L’aumento delle opportunità diagnostiche e il prolungamento dell’aspettativa di vita dovuto alle migliori qualità di cura hanno contribuito all’innalzamento di questo dato. Se si mettono a confronto i vari paesi si può notare una prevalenza decisamente più alta in Europa, Australia e Nord America (Aktekin & Uysal, 2020). In Svizzera si stima che circa 500-600 persone sono affette attualmente da SLA (Associazione SLA Svizzera, n.d.).
Circa il 10% dei casi di SLA ha una componente familiare o ereditaria, mentre il restante 90% è considerata una forma sporadica. Nei casi di SLA sporadica il rapporto tra maschi e femmine colpiti dalla malattia si avvicina a 2:1. Per quanto concerne la forma familiare, invece, non si evidenzia una grande differenza tra il sesso maschile e quello femminile (Brown & Al-Chalabi, 2017).
L’età media d’insorgenza della SLA è compresa tra i 51 e i 66 anni, ad eccezione della forma familiare che generalmente esordisce circa dieci anni prima. È importante sottolineare il fatto che la diagnosi spesso subisce dei ritardi dovuti ad un’assenza di segni e sintomi specifici della malattia. Studi recenti mostrano un ritardo compreso tra 9 e 24 mesi (Aktekin & Uysal, 2020).
Figura 2: Anatomia macroscopica del midollo spinale (Gazzaniga, 2015)
2.1.3 Fisiopatologia
Nella SLA le aree soggette al fenomeno degenerativo comprendono le regioni motorie centrali, i motoneuroni superiori e quelli inferiori. Come verrà descritto più avanti, non sempre la degenerazione colpisce il I e il II motoneurone in eguale misura e nello stesso tempo, giustificando così i diversi quadri clinici e le diverse evoluzioni della malattia (Bertora, 2015). Sebbene l’esordio possa variare in termini di sede anatomica, con il progredire della malattia si giunge ad un’inevitabile e progressiva perdita di entrambe le categorie di motoneuroni. Infatti, per riuscire a giungere ad una diagnosi definitiva di SLA è necessario che vi sia un chiaro coinvolgimento sia del primo sia del secondo motoneurone (Hauser & Ferrarese, 2007).
I meccanismi fisiopatologici che caratterizzano la SLA sono considerati multifattoriali, con prove emergenti di una complessa interazione tra vie genetiche e molecolari. In particolare, l’eccitotossicità indotta da aumentati livelli di glutammato può contribuire al processo di neurodegenerazione, attraverso l’attivazione di vie enzimatiche e alla creazione di radicali liberi (Kiernan et al., 2011). Inoltre, possono verificarsi mutazioni a livello dei geni coinvolti nella rimozione delle proteine, favorendo la formazione di aggregazioni proteiche che alterano il corretto funzionamento cellulare (Brown & Al- Chalabi, 2017). A livello della nevroglia è possibile riscontrare una proliferazione di astrociti e microglia, che accompagnano inevitabilmente tutte le patologie degenerative del sistema nervoso centrale (Hauser & Ferrarese, 2007).
La morte dei neuroni periferici nel tronco cerebrale e nel midollo spinale causa denervazione con conseguente atrofia delle fibre muscolari corrispondenti. Nella fase iniziale della malattia i muscoli colpiti dalla denervazione possono essere reinnervati da terminazioni nervose motorie vicine, che appartengono a motoneuroni risparmiati dal processo degenerativo. In questa patologia, però, il processo di reinnervazione è notevolemente meno esteso rispetto ad altre malattie del motoneurone (Brown & Al- Chalabi, 2017). L’atrofia muscolare viene identificata con il termine “amiotrofia neurogena” e diventa facilmente riconoscibile all’esame obiettivo con il progredire della perdita neuronale. La progressiva perdita dei motoneuroni superiori conduce ad un assottigliamento della via corticospinale che attraversa la capsula interna e il tronco encefalico fino alle colonne anteriori e laterali del midollo spinale. La perdita delle fibre situate nelle colonne laterali e la conseguente comparsa di gliosi fibrillare conferiscono una particolare consistenza definita “sclerosi laterale” (Hauser & Ferrarese, 2007).
Una caratteristica specifica di questa malattia è la morte neuronale selettiva. Diversi studi mostrano il risparmio di alcune aree cerebrali e spinali lungo tutto il decorso della patologia o fino ad una fase avanzata di essa. Per esempio, i motoneuroni che controllano la motilità oculare non sono mai interessati, mentre i neuroni deputati al controllo degli sfinteri intestinali e vescicali possono venire coinvolti in una fase tardiva (Brown & Al- Chalabi, 2017).
2.1.4 Eziologia e fattori di rischio
Le conoscenze sulle cause che determinano l’inizio del fenomeno patologico sono ancora limitate, ma sempre più studi forniscono indicazioni al riguardo. Una presunzione generale considera come causa della SLA un’interazione avversa tra fattori genetici ed ambientali, mentre un’altra visione teorica ritiene che tutti i casi di malattia siano principalmente una conseguenza di fattori genetici complessi (Brown & Al-Chalabi, 2017).
Di seguito verranno approfonditi i principali meccanismi molecolari coinvolti nello sviluppo della patologia. Il glutammato è un amminoacido usato dalle cellule nervose come messaggero chimico, ma un suo eccessivo accumulo a livello sinaptico determina un’iperattività che risulta essere nociva. Anche le anomalie strutturali e funzionali dei
mitocondri, che normalmente sono responsabili della produzione energetica all’interno delle cellule, hanno dimostrato aver un’influenza significativa sul processo neurodegenerativo. Inoltre, è stato osservato come l’aumento di radicali liberi dovuti all’inefficace difesa antiossidante delle cellule rivesti un ruolo nella morte dei motoneuroni, favorendo un incremento di stress ossidativo. Un’altra alterazione avviene a livello delle strutture assonali dove si assiste ad una compromissione del normale trasporto di impulsi nervosi e molecole incaricate al corretto funzionamento del sistema nervoso (Zarei et al., 2015).
A livello genetico è possibile riscontrare delle mutazioni che accrescono la possibilità di contrarre la malattia e possono essere presenti sia nella forma familiare sia in quella sporadica, anche se in quest’ultima la percentuale è nettamente inferiore (Hulisz, 2018).
Nella forma familiare, l’eredità segue un chiaro modello mendeliano e nella maggior parte dei casi avviene attraverso una trasmissione autosomica-dominante. Fino ad oggi, sono stati identificati circa 25 geni coinvolti nel processo patologico e le loro mutazioni provocano alcuni dei meccanismi anomali descritti in precedenza (Hulisz, 2018). La prima mutazione scoperta come causa della SLA è a carico del gene SOD 1 (Superossido Dismutasi 1), responsabile del 12% di tutte le forme familiari e del 5% di quelle sporadiche. Le proteine SOD 1 mutate esercitano una funzione tossica attraverso la loro aggregazione all’interno dei motoneuroni e interferiscono negativamente con le funzioni degli astrociti, cellule gliali che supportano e forniscono nutrimento ai neuroni (Zarei et al., 2015). Oltre al SOD 1, i principali geni ritenuti responsabili della SLA sono il TDP-43, il Fused in sarcoma (FUS) e il C9ORF72 (Hulisz, 2018).
I fattori di rischio accertati scientificamente fino ad oggi relativi alla SLA sono l’età avanzata, il sesso maschile e la storia familiare (Ingre et al., 2015). Inoltre, sono stati identificati diversi fattori esogeni che possono svolgere un ruolo più o meno importante nell’insorgenza della malattia, tra i quali: l’esposizione a metalli pesanti e pesticidi, il fumo di sigaretta, un’anamnesi di traumi fisici o lesioni, aver subito uno shock elettrico ed essere entrati in contatto con solventi organici (Wang et al., 2017).
2.1.5 Sintomatologia e forme cliniche
La SLA si presenta frequentemente con sintomi aspecifici e rimane silente fino a quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità compensatoria di quelli sani.
Nella maggior parte dei casi l’esordio della malattia è asimmetrico e la sintomatologia è dunque riscontrabile in una regione ben precisa del corpo (Zarei et al., 2015). Le manifestazioni cliniche variano da individuo a individuo e dipendono principalmente dal distretto corporeo colpito e dall’interessamento prevalente del I o II motoneurone.
Quando ad essere coinvolti sono principalmente i motoneuroni superiori i segni osservabili sono: il segno di Babinski positivo, i riflessi osteotendinei vivaci, il clono, la rigidità muscolare e le labilità emotive (riso e pianto spastici). Nei casi in cui vengono interessati i motoneuroni inferiori è possibile riscontrare i seguenti segni: crampi muscolari, fascicolazioni, riflessi osteotendinei ridotti o assenti, amiotrofia e deficit di forza (Tard et al., 2017). Anche se l’esordio può essere riconducibile al coinvolgimento di un solo tipo di motoneurone, con il progredire della patologia saranno inevitabilmente colpiti entrambi i tipi. Questa è una delle principali caratteristiche che contraddistingue la SLA da altre malattie dei motoneuroni (Zarei et al., 2015).
A dipendenza della zona corporea interessata all’inizio della malattia è possibile distinguere diverse forme cliniche e le principali sono quella spinale e quella bulbare.
La forma spinale, o di Charcot, è quella più frequente e interessa circa due terzi degli individui affetti da SLA. In questa forma vengono interessati fin dall’inizio entrambi i motoneuroni e il quadro clinico si caratterizza da una debolezza muscolare focale
insidiosa. Inoltre, si osserva anche un processo di amiotrofia e la comparsa di contrazioni muscolari involontarie, dette anche fascicolazioni. Inizialmente vengono colpiti gli arti superiori con la compromissione dei movimenti fini della mano e la perdita di massa muscolare. Anche se l’esordio è asimmetrico, con l’avanzare della malattia tutti gli arti vengono coinvolti e di conseguenza si possono riscontrare difficoltà nella deambulazione, problemi d’equilibrio e disturbi nel coordinamento dei movimenti. Nelle prime fasi della patologia è già possibile osservare segni di interessamento bulbare, come disartria e disfagia, o problemi a livello respiratorio, ma la successione degli eventi non segue necessariamente questo tipo di linearità. Alcuni segni e sintomi possono essere riscontrati con minor frequenza come: le disfunzioni vescicali, i disturbi sensoriali e i sintomi cognitivi (Wijesekera & Leigh, 2009).
La forma ad insorgenza bulbare è riscontrata nel 25% dei pazienti affetti da SLA e la lesione dei motoneuroni si verifica inizialmente a livello del tronco cerebrale/bulbare con la comparsa di problematiche della deglutizione, del linguaggio verbale e della respirazione (Zarei et al., 2015). L’assunzione del cibo viene limitata, e resa impossibile con il progredire della malattia, dalla compromissione di diversi elementi come la masticazione e la motilità della mandibola e della lingua (Bertora, 2015). La disfagia può essere riconducibile sia all’assunzione di liquidi sia a quella di solidi e comporta una progressiva perdita di peso e uno stato di malnutrizione (Tard et al., 2017). Inoltre, i pazienti affetti da questa forma presentano spesso scialorrea a causa della debolezza facciale dovuta al danno dei motoneuroni superiori che rende difficile deglutire la saliva (Zarei et al., 2015). I problemi del linguaggio si traducono nell’incapacità di articolare correttamente le parole (disartria) e spesso compaiono prima della disfagia. I pazienti presentano frequentemente una voce nasale dovuta all’incompleta occlusione del nasofaringe da parte del palato molle. Con l’avanzare della malattia si giunge inevitabilmente all’anartria, condizione nella quale vi è una totale impossibilità di articolazione verbale (Tard et al., 2017). La compromissione dei muscoli respiratori comporta un progressivo sviluppo d’insufficienza respiratoria che si manifesta con dispnea, ortopnea, disturbi del sonno, mal di testa mattutini, diminuzione della concentrazione e cambiamenti d’umore (Wijesekera & Leigh, 2009). L’insufficienza diaframmatica provoca un declino delle funzionalità respiratorie attraverso la riduzione del volume corrente e della capacità vitale. Inoltre, i meccanismi di protezione, come il riflesso della tosse, subiscono delle alterazioni che aumentano il rischio di aspirazione e complicanze infettive (Bertora, 2015).
In un numero significativo di pazienti affetti da SLA è possibile riscontrare sintomi pseudobulbari, caratterizzati da labilità emotive e sbadigli eccessivi. È infatti probabile osservare episodi improvvisi di pianto o risata, indipendentemente dal contesto o dallo stato d’animo del paziente (Wijesekera & Leigh, 2009).
Circa il 70% dei malati di SLA sviluppa nel corso della malattia dolore di tipo muscoloscheletrico. Questo sintomo può insorgere in forma acuta e in molti casi tende a cronicizzarsi. Le cause sono riconducibili ai crampi muscolari, alla spasticità e alla riduzione del tono muscolare (Zarei et al., 2015). Un’altra condizione associata alla SLA è la depressione che può incidere negativamente sulla qualità di vita del paziente in qualsiasi fase della malattia (Tard et al., 2017). Infine, i pazienti sottoposti a ventilazione assistita con tracheostomia per prolungare la loro vita sviluppano una paralisi motoria nota come “totally locked-in state”, nella quale si verifica un blocco di tutti i muscoli volontari e una compromissione su più livelli della motilità oculare (Zarei et al., 2015).
2.1.6 Diagnosi
La complessità e la natura eterogena della SLA rende difficile formulare una diagnosi precoce e accurata. Infatti, è mediamente presente un tempo di circa 13-18 mesi dall’inizio dei sintomi alla conferma della diagnosi a causa della mancanza di un marcatore biologico per la SLA e alla patogenesi sovrapponibile a diversi disturbi neurodegenerativi (Zarei et al., 2015). Purtroppo, il ritardo diagnostico può portare all’uso di terapie inappropriate, ostacolando l’inizio di trattamenti farmacologici e sintomatici opportuni. Inoltre, possono emergere problemi nella gestione dei fattori psicosociali in quanto, l’incertezza iniziale sulla diagnosi di SLA può interferire negativamente con il processo di accettazione della malattia da parte del paziente e dei familiari (Kiernan et al., 2011).
In assenza di un test diagnostico definitivo, la diagnosi di SLA viene appurata tramite l’esame clinico e il supporto di indagini neurofisiologiche come l’elettroneuromiografia (Lenglet & Camdessanché, 2017). Quest’ultimo esame permette di valutare la conduzione degli stimoli nervosi e la perdita di motoneuroni inferiori. Tutti gli altri esami, come le neuroimmagini e i test di laboratorio, sono mirati ad escludere patologie simili alla SLA (Kiernan et al., 2011). I criteri diagnostici formali della SLA, noti come criteri di El Escorial, sono stati pubblicati nel 1994 dalla World Federation of Neurology e nel corso degli anni hanno subito revisioni costanti. Nel 2008 un comitato di esperti in neurofisiologia ha divulgato nuovi criteri diagnostici, chiamati Awaji-shima, includendo raccomandazioni per l’uso di dati elettrofisiologici nella diagnosi di SLA (Lenglet &
Camdessanché, 2017). Secondo questi criteri la diagnosi definitiva di SLA richiede l’evidenza della degenerazione dei motoneuroni superiori e inferiori in concomitanza alla diffusione di segni e sintomi neurologici verso altre regioni anatomiche. Inoltre, i risultati elettrofisiologici, di laboratorio e di neuroimaging non devono mostrare altri processi patologici che potrebbero spiegare il quadro clinico osservato nel paziente (Zarei et al., 2015).
2.1.7 Complicanze
Le complicanze della SLA sono strettamente correlate alla progressiva debolezza e perdita della muscolatura liscia in tutti i distretti del corpo. L’insufficienza dei muscoli coinvolti nella respirazione aumenta il rischio di broncoaspirazione e di conseguenza può insorgere un’infezione che incrementa il rischio di mortalità del paziente. Per questo motivo è fondamentale riconoscere precocemente segni e sintomi di disfagia in modo da prevenire le potenziali complicanze (Zarei et al., 2015). La comparsa di problemi della deglutizione può comportare una perdita di peso significativa e un quadro di malnutrizione che aggrava notevolmente le condizioni cliniche del paziente (Tard et al., 2017).
2.1.8 Trattamento
Fino ad oggi non sono state scoperte terapie in grado di curare in maniera risolutiva la SLA. Il trattamento sintomatico è considerato il caposaldo nella gestione dei pazienti affetti da questa malattia poiché, permette di alleviare i sintomi, previene le possibili complicanze, accresce la qualità di vita e la sopravvivenza. Nonostante la terapia farmacologica della SLA non ha subito cambiamenti significativi nel corso degli anni, importanti innovazioni si sono verificati nella modalità di gestire il paziente (Brown & Al- Chalabi, 2017).
L’unico farmaco approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento della SLA è il Riluzolo, un modulatore del glutammato. Questo principio attivo agisce principalmente su tre livelli: inibisce il rilascio di glutammato, attiva i recettori postsinaptici del glutammato e inattiva i canali del sodio-voltaggio dipendenti (Zarei et al., 2015). È
generalmente ben tollerato dai pazienti e gli effetti collaterali più comuni sono l’astenia, la nausea, le vertigini, la diminuzione della funzione polmonare e il dolore addominale.
Inoltre, in una piccola percentuale di casi si può verificare epatotossicità, neutropenia e malattie polmonari interstiziali. Il dosaggio consigliato è di 100 mg/giorno, ma possono esserci delle variazioni in base alla razza, al genere e alle caratteristiche metaboliche individuali. Infine, alcuni studi sul Riluzolo mostrano un’efficacia sul prolungamento della sopravvivenza da 2 a 3 mesi e un ritardo nella posa della trachestomia (Schultz, 2018).
La gestione dei sintomi riconducibili alla SLA deve avvenire in maniera multidisciplinare, richiedendo la collaborazione, oltre che del neurologo, anche del nutrizionista, dello pneumologo, del gastroenterologo, del fisioterapista, del logopedista, dell’otorinolaringoiatra, dell’infermiere e dello psicologo. È importante che queste figure interagiscono reciprocamente, al fine di garantire una presa in carico globale del paziente. Questo approccio, infatti, consente di sviluppare una visione olistica e deve essere integrato fin dall’esordio della malattia (Dharmadasa et al., 2017). L’obiettivo principale dei trattamenti volti ad alleviare i sintomi è quello di garantire la migliore qualità di vita, favorendo il più possibile lo svolgimento delle normali attività quotidiane del paziente. I sintomi più frequenti associati alla SLA includono l’affaticamento, i crampi, la scialorrea, la disfagia, i problemi respiratori, la spasticità, il dolore, la depressione, l’ansia, l’insonnia e le labilità emotive. Tra tutti questi, hanno un ruolo cruciale la funzione respiratoria e nutrizionale (Schultz, 2018).
La funzione respiratoria deve essere monitorata accuratamente e frequentemente poiché, le complicanze di questo apparato sono le principali cause di morte nei malati di SLA. La progressiva debolezza dei muscoli conduce all’insufficienza respiratoria, che si traduce in una ridotta ventilazione da parte del paziente. Per rimediare a questa condizione è necessario ricorrere alla ventilazione non invasiva (NIV) e alla fisioterapia respiratoria. Nel caso in cui la NIV non viene tollerata o non è più sufficiente, deve venir considerata la ventilazione invasiva tramite la posa di una trachestomia (Dharmadasa et al., 2017).
La gestione della nutrizione è essenziale per prevenire la malnutrizione e le possibili complicanze a livello respiratorio. Inizialmente, è importante fornire un’educazione al paziente riguardo l’alimentazione e deve essere modificata la consistenza dei cibi o integrato un supplemento calorico. Quando questi approcci non sono più sufficienti è necessario posizionare una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG), o un dispositivo simile, che permetta una nutrizione enterale. La maggior parte delle linee guida raccomandano di prendere in considerazione questa via nutrizione nel caso in cui il paziente perda più del 10% del peso corporeo dal valore precedente alla diagnosi (Zarei et al., 2015).
I crampi muscolari possono essere attenuati attraverso la pratica di massaggi, mentre l’esercizio fisico e lo stretching aiutano nella prevenzione di quest’ultimi. La fatica, invece, può essere trattata con esercizi di resistenza e respiratori. La scialorrea, osservata in più della metà dei pazienti affetti da SLA, deriva da una ridotta capacità di deglutire e non da un aumento di produzione di saliva. La terapia di prima linea per questo sintomo è la somministrazione di farmaci anticolinergici e in caso di insuccesso è possibile ricorrere all’iniezione di tossina botulinica nelle ghiandole salivari. Gli antidepressivi sono frequentemente utilizzati per risolvere le labilità emotive involontarie presenti in questi pazienti (Schultz, 2018).
La SLA è attualmente al centro di molti studi e diversi approcci innovativi per il suo trattamento sono in fase di sviluppo. Ad esempio, sono in corso ricerche sull’uso di cellule staminali in grado di fornire fattori neurotrofici al sistema nervoso, favorendo di conseguenza la sopravvivenza dei neuroni (Brown & Al-Chalabi, 2017).
2.1.9 Prognosi
Il decorso della SLA, nella maggior parte dei casi, non può essere valutato in modo efficace vista l’eterogeneità con cui si manifesta la malattia. La sopravvivenza complessiva dal momento in cui compaiono i primi sintomi varia da 2 a 3 anni per i casi ad insorgenza bulbare e da 3 a 5 anni per i casi ad insorgenza spinale. I principali fattori prognostici di sopravvivenza citati in letteratura includono l’età d’esordio dei sintomi, il sito d’insorgenza, il tempo intercorso tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi, il declino della capacità vitale forzata (FVC) e l’uso di Riluzolo (Wijesekera & Leigh, 2009).
I pazienti con la comparsa di sintomi prima dei 40 anni hanno una sopravvivenza spesso superiore ai dieci anni, ma con l’avanzare dell’età questo dato tende ad abbassarsi drasticamente. La SLA ad insorgenza bulbare è associata ad una prognosi peggiore rispetto a quella spinale. Altri fattori che incidono negativamente sulla sopravvivenza sono la malnutrizione e la compromissione precoce della funzionalità respiratoria. Inoltre, è stato provato che un tono dell’umore più basso provoca una progressione più rapida della malattia e di conseguenza una sopravvivenza più breve (Chiò et al., 2009).
Nel corso della malattia il 5-10% dei pazienti sviluppa una demenza frontotemporale con un’influenza significativa sullo sviluppo, sulla prognosi e sui trattamenti della SLA. Nella restante percentuale di pazienti le funzioni cognitive non subiscono alcuna alterazione (Zarei et al., 2015).
Uno strumento di valutazione utile per comprendere il grado di disabilità fisica nelle attività di vita quotidiana e la progressione della malattia è l’Amyotrophic Lateral Sclerosis Functional Rating Scale Revised (ALSFRS-R). Si tratta di una scala a 12 voci dove ognuna di essa possiede un punteggio cha va da 0 (incapacità) a 4 (capacità normale).
Un punteggio elevato denota un buon funzionamento fisico del paziente, mentre un risultato più basso può indicare una compromissione più o meno grave delle funzioni prese in analisi. Questa scala valuta principalmente le aree dell’alimentazione, della mobilità e della respirazione (Zarei et al., 2015).
2.2 Dispnea
Il progressivo indebolimento della muscolatura respiratoria nei pazienti affetti da SLA conduce inevitabilmente a un quadro d’insufficienza respiratoria cronica. Questa condizione comporta inesorabilmente la comparsa della dispnea che incide in maniera negativa sulla qualità di vita del paziente (Morélot-Panzini et al., 2018). In letteratura la dispnea è stata ampiamente studiata nei pazienti affetti da Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e nelle malattie tumorali, ma è ormai risaputo che molte altre condizioni cliniche sono in grado di evocarla. Infatti, questo sintomo è presente circa nell’85% dei pazienti colpiti da malattie del motoneurone (Moens et al., 2014). La parola dispnea deriva dalle radici greche “dys” e “pneuma” che significano rispettivamente difficile e respiro (Kamal et al., 2011).
La definizione più nota è quella proposta dall’American Thoracic Society (ATS) che definisce la dispnea come:
“un’esperienza soggettiva di disagio respiratorio caratterizzata da sensazioni qualitativamente distinte che variano d’intensità” (Parshall et al., 2012, pag. 436).
Si tratta, dunque, di un sintomo derivante da un’esperienza personale di disagio in cui prevale la componente soggettiva e ciò rende difficile una definizione chiara dall’esterno.
Spesso viene descritta dai pazienti come fame d’aria o senso di soffocamento.
Per descreivere l’eziologia di questo sintomo e il suo ampio impatto sul paziente e sui cargivers, negli anni ’60 è stato creato il concetto di “dispnea totale”. Questo concetto integra i quattro domini (fisico, psicologico, sociale e spirituale) e permette di comprendere le molteplici prospettive dell’esperienza della dispnea che, sinergicamente,
si combinano per dare forma al sintomo e determinano il suo influsso sia sul paziente sia sui famigliari. Oltre agli elementi fisici, è quindi necessario considerare anche quelli psicologici, sociali e spirituali come: l’ansia, la paura, la tristezza, i desideri, le relazioni, ecc. (Kamal et al., 2011).
Le condizioni anatomiche e le malattie sottostanti che danno origine alla dispnea possono essere l’ostruzione polmonare (BPCO, secrezioni, tumori), la restrizione polmonare (fibrosi o altre malattie interstiziali, infezioni, cifosi, obesità), il deficit di perfusione/ossigenazione (anemia, ipertensione polmonare, insufficienza cardiaca, embolia polmonare) e la debolezza/affaticamento (sclerosi multipla, SLA) (Kamal et al., 2012).
Questo sintomo può manifestarsi a riposo o durante lo svolgimento di attività, può essere continuo, intermittente o apparire in forma acuta su una condizione cronica. Poiché la respirazione è una sensazione primordiale della vita, il suo disturbo crea un senso viscerale di paura che, a sua volta, genera sofferenza (Kamal et al., 2011).
2.2.1 Valutazione della dispnea
In letteratura sono presenti numerosi strumenti convalidati per aiutare i professionisti della salute a valutare quantitativamente e qualitativamente la dispnea nei pazienti (Kamal et. al., 2011). Un aspetto importante da considerare è che ci sono notevoli differenze in ciò che le diverse scale misurano vista la multidimensionalità del sintomo.
Ad esempio, per misurare l’intensità dell’esperienza sensoriale-percettiva della dispnea è possibili ricorrere alla scala analogica visiva (VAS), alla scala di valutazione numerica (NRS) e alla scala di Borg modificata (Parshall et al., 2012). Invece, per valutare come questo sintomo influisca sulla capacità funzionale possono essere utilizzati la Medical Research Council Dyspnea Scale e altre scale unidimensionali o multidimensionali (Kamal et. al., 2011). Un altro elemento da considerare nella valutazione della dispnea è l’angoscia vissuta dal paziente che può essere definita attraverso una scala numerica o una scala a risposte multiple (Parshall et al., 2012). Inoltre, alcuni strumenti come l’Edmonton Symptom Assessment Scale (ESAS), prendono in considerazione più sintomi alla volta. Quest’ultimo metodo consente ai curanti di identificare possibili correlazioni tra i sintomi e permette una presa in carico più specifica (Kamal et al., 2011). Fino ad oggi,
Figura 3: Concetto di dispnea totale (Kamal et al., 2011)
non è stato identificato uno strumento in grado di valutare la dispnea in tutti i suoi domini (Parshall et al., 2012).
Per poter eseguire una valutazione accurata è necessario definire quale aspetto del sintomo si vuole indagare, in modo che si possa stabilire quale strumento sia più idoneo.
Inoltre, è importante cercare degli strumenti di facile e di breve somministrazione per evitare che il paziente si stanchi inutilmente. Nella pratica clinica, il modo più fruttuoso per noi curanti di misurare l’esperienza di un sintomo risiede nel chiedere, intervistare e rivalutare attraverso l’utilizzo di una scala appropriata (Kamal et al., 2011).
2.2.2 Approccio alla dispnea
Per poter gestire con efficacia questo sintomo è necessario adottare una presa in carico interprofessionale, nella quale più figure sono chiamate a collaborare per raggiungere gli obiettivi di cura predefiniti (Kamal et al., 2011). Infatti, se si presta attenzione al concetto di “dispnea totale” è facilmente intuibile come un solo professionista non sia sufficiente per affrontare adeguatamente questo sintomo. Ad esempio, si può ricorrere all’aiuto dei fisioterapisti per lo svolgimento degli esercizi respiratori e la scelta delle posture più adatte per il paziente, mentre gli ergoterapisti possono lavorare sul mantenimento dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana ed incrementare la partecipazione sociale.
In base alla situazione individuale del paziente è possibile rivolgersi anche ad altri professionisti come lo psicologo, lo pneumologo, ecc. (Kamal et al., 2012). Inoltre, questo sintomo è spesso trattato dal team di cure palliative poiché, sono specializzati nella gestione dei sintomi cronici (Kamal et al., 2011).
La dispnea può essere trattata attraverso l’utilizzo simultaneo di interventi farmacologici e non farmacologici. Gli oppioidi, tra cui specialmente la morfina, sono considerati in letteratura un pilastro centrale nella cura di questo sintomo grazie agli effetti esercitati sui meccanismi della respirazione. Questi farmaci vengono spesso utilizzati nella fase tardiva della malattia, quando la dispnea risulta molto invalidante. L’ossigeno viene somministrato principalmente nei pazienti dispnoici con ipossiemia, ma a volte il suo impiego può dare sollievo anche se i valori ematici risultano normali (Kamal et al., 2012).
La riabilitazione polmonare riveste un ruolo cruciale per la gestione della dispnea e deve essere introdotta precocemente. I principali benefici comprendono una riduzione del sintomo e una migliore tolleranza nel compiere le diverse attività della vita quotidiana (Parshall et al., 2012). Inoltre, per favorire gli scambi gassosi ed alleviare la dispnea è possibile ricorrere all’uso della ventilazione non invasiva (NIV). Questo trattamento si è rilevato essere molto efficace anche nei pazienti affetti da SLA (Morélot-Panzini et al., 2018).
3. Metodologia
Per redigere il mio lavoro di tesi ho deciso di eseguire una revisione della letteratura.
Questo metodo prevede l’analisi sistemica e critica della letteratura accademica divulgata relativa a un determinato argomento (LoBiondo-Wood et al., 2004). La revisione della letteratura possiede molteplici finalità, ma lo scopo principale consiste nell’acquisire conoscenze di base per promuovere lo sviluppo della ricerca, della formazione e della pratica clinica. Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario seguire un percorso ben preciso, composto da riflessioni, ricerca di fonti, lettura critica, elaborazione, scrittura e rilettura di quanto prodotto. La stesura di una revisione della letteratura richiede dunque il supporto di una guida, che permetta di svolgere un lavoro accurato ed eviti di compiere errori grossolani (Polit et al., 2014). Per il mio lavoro di tesi ho scelto di seguire la guida proposta da Sironi (2010), costituita da undici punti o passi che illustrò in breve di seguito.
Il primo passo consiste nell’individuare l’argomento o il problema che si desidera studiare. Ciò che ha contribuito in modo particolare alla scelta è stato l’interesse personale sulle malattie neurodegenerative e la loro presa in carico. Per ristringere l’area d’interesse ho poi eseguito un’ampia ricerca bibliografica e della letteratura, giungendo alla definizione del tema in questione. Per agevolare la ricerca delle evidenze successive ho formulato in modo chiaro il quesito clinico attraverso il metodo PIO (Polit et al., 2014):
• P: pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica di tutte le età
• I: valutazione della dispnea
• O: identificare gli strumenti più efficaci nella valutazione della dispnea per migliorare la qualità di vita
La domanda di ricerca è la seguente: “quali sono gli strumenti a disposizione dell’infermiere per valutare con efficacia la dispnea nei pazienti affetti da SLA?”
Il secondo passo prevede la ricerca di fonti sull’argomento scelto. Il consiglio fornito da Sironi (2010) è di impostare una strategia di ricerca al fine di trovare gli studi più pertinenti.
Inizialmente, oltre ai libri ricercati in biblioteca, ho consultato anche i motori di ricerca
“Google” e Google Scholar” in modo da avere un quadro generale. Le banche dati utilizzate per reperire gli articoli sono le seguenti: PubMed, CINHAL (EBSCO), Cochrane Library e Wiley-Blackwell.
I termini di ricerca impiegati nelle diverse banche dati includevano: assessment, scale, tools, amyotrophic lateral sclerosis, dyspnea, breathlessness.
Per combinare in maniera efficace i termini di ricerca ho utilizzato nella stringa d’interrogazione dei database gli operatori booleani AND e OR. Il primo permette di restringere la scelta di materiale bibliografico selezionato agendo sulla specificità, mentre il secondo consente di ampliarlo e agisce principalmente sulla sensibilità (Sironi, 2010).
A questo punto del lavoro ho trovato molti articoli che prendevano in considerazione la SLA e le problematiche legate alla respirazione. La maggior parte di questi studi esaminava la funzione respiratoria da un punto di vista prettamente medico attraverso gli esami di funzionalità respiratoria. Altri, invece, si concentravano esclusivamente sulle tipologie di ventilazione assistita, analizzando diversi aspetti come l’efficacia e le possibili complicanze.
Il terzo passo ha lo scopo di delimitare ulteriormente il campo di studio eliminando le fonti non rilevanti. A questo proposito ho stilato una serie di criteri d’inclusione degli studi:
• Arco temporale dal 2005 al 2020
• Studi primari
• Articoli in lingua inglese
• Scale di valutazione specifiche per la dispnea
• Pazienti affetti da SLA con presa in carico al domicilio, in ospedale o in altre strutture
Per svolgere questo passo ho letto attentamente l’abstract dei vari articoli e ho svolto una rapida lettura dell’intero studio.
Una volta identificati gli articoli principali sono passato al quarto passo che prevede il recupero degli studi dalle banche dati con le rispettive fonti. Tutti i documenti prioritari sono stati salvati sul mio dispositivo elettronico e in seguito, per preferenza individuale, stampati.
Il quinto passo consiste nel riesaminare le fonti precedentemente schedate per verificare la pertinenza rispetto all’oggetto di studio. Per poter svolgere questo compito nel migliore dei modi è necessario adottare un processo di lettura critica che permette di identificare e chiarire i concetti, interrogarsi sulle ipotesi e determinare l’evidenza (LoBiondo-Wood et al., 2004). Consultando la letteratura sono risalito ad uno strumento di valutazione degli articoli proposto da Benton e Cormack nel 1996, composto da una serie di elementi alla quale prestare attenzione durante la lettura degli studi (Hamer et al., 2002):
• Titolo: è necessario verificare se il titolo permette di comprendere chiaramente il contenuto dell’articolo e l’approccio usato per la ricerca.
• Autore: bisogna chiedersi se gli autori possiedono adeguate qualifiche accademiche e se hanno maturato una sufficiente esperienza professionale.
• Abstract: è importante accertarsi che quest’ultimo riporti il problema di cui tratta la ricerca, la metodologia usata e i principali risultati a cui sono giunti i ricercatori.
• Revisione della letteratura: occorre valutare lo stato d’aggiornamento della letteratura e la pertinenza con la domanda di ricerca del lavoro di tesi. Inoltre, bisogna controllare che vi sia un giusto equilibrio tra il materiale bibliografico a favore e quello contro alla posizione proposta dall’articolo.
• Metodologia: la sezione in questione deve esporre chiaramente l’approccio utilizzato per la ricerca, precisando i punti positivi e negativi di quest’ultimo. Inoltre, si deve verificare che i soggetti siano stati identificati apertamente. Le caratteristiche e le dimensioni del campione utilizzato nello studio devono essere riportati all’interno dell’articolo.
• Raccolta dei dati: sono descritte le modalità con cui i dati vengono raccolti ed è stabilita chiaramente la validità e l’attendibilità di eventuali strumenti o questionari.
• Considerazioni etiche: nel caso in cui lo studio riguarda soggetti umani è necessario verificare che sia presente l’approvazione da parte della commissione etica. Altri elementi alla quale si deve prestare attenzione sono la presenza o meno del consenso informato e l’anonimato degli individui coinvolti nello studio.
• Risultati: occorre valutare se i risultati sono presentati chiaramente e se i dettagli forniti dai ricercatori sono sufficienti per permettere al lettore di giudicare quanta fiducia può essere accordata a questi ultimi.
• Analisi dei dati: bisogna accertarsi che l’approccio utilizzato sia adeguato al tipo di dati raccolti e nel caso in cui sono state effettuate delle analisi statistiche è bene valutare la loro correttezza e validità.
• Discussione: in questa sezione devono emergere le evidenze ottenute dallo studio, i possibili legami con precedenti ricerche, i punti di debolezza dello studio e le implicazioni cliniche che scaturiscono dalla ricerca.
• Conclusioni e raccomandazioni: è necessario verificare la pertinenza delle conclusioni e se vengono sostenute o meno dai risultati ottenuti dallo studio.
Inoltre, bisogna considerare se le raccomandazioni proposte dai ricercatori rivelano ulteriori aree d’indagine.
Il sesto passo prevede la lettura critica di ciascuna fonte. Per adempire questo punto ho letto gli articoli utilizzando lo strumento di valutazione descritto nel punto precedente.
Il settimo passo ha come obiettivo la sintesi dei dati ritenuti importanti di ciascuno studio o quelli significativi per il campione d’indagine e il problema precedentemente delimitato.
La strategia adottata è stata la creazione di una tabella nella quale sono state riassunte tutte le informazioni significative di ogni articolo scelto per questa revisione della letteratura.
L’ottavo passo mira a decidere come si vuole strutturare la stesura della revisione.
Innanzitutto, ho cercato di suddividere gli argomenti nei rispettivi capitoli e sottocapitoli, giungendo infine alla designazione dell’indice.
Il nono passo consiste nel redigere la revisione della letteratura. La stesura di questo lavoro, oltre all’introduzione e al quadro teorico, è costituita da una sintesi critica e strutturata delle fonti bibliografiche ricercate nelle banche dati. Questo processo permette un’esposizione oggettiva delle conoscenze attuali sull’argomento in questione.
Il decimo passo è rivolto alla formulazione di una conclusione pertinente e significativa che motivi la proposta dello studio e contenga la domanda, lo scopo e gli obiettivi.
Dunque, nel capitolo conclusivo ho deciso di esporre i concetti principali del lavoro, le indicazioni per le ricerche future e per la pratica clinica e i limiti insorti lungo la stesura del lavoro.
L’undicesimo passo prevede la rilettura e la verifica di tutte le citazioni bibliografiche.
Per quest’ultimo passo ho riletto in maniera accurata l’intero lavoro assicurandomi la presenza di un filo logico, l’assenza di errori ortografici e di battitura, la correttezza dell’impaginazione e il rispetto dei criteri formali. Inoltre, sono state ricontrollate le citazioni bibliografiche all’interno del testo e la bibliografia. Per valutare la qualità del testo e la comprensione dei concetti ho richiesto l’aiuto di una persona esterna.
4. Risultati degli studi 4.1 Ricerca degli articoli
Per identificare gli articoli in grado di rispondere alla domanda di ricerca ho utilizzato le banche dati e i termini di ricerca esposti in precedenza. Purtroppo, non sono riuscito a disporre di tutta la documentazione trovata poiché, alcuni testi risultavano a pagamento.
Dopo una ricerca accurata, ho identificato 45 potenziali articoli da utilizzare per questo lavoro. Analizzandoli nel dettaglio mi sono reso conto che diversi studi non rispondevano in modo pertinente alla domanda di ricerca e per questo motivo sono stati esclusi (n=35).
In seguito, è stata effettuata una seconda selezione e altri 5 articoli sono stati eliminati perché non rispettavano i criteri dell’arco temporale definito e di scala di valutazione specifica per la dispnea. Lo schema riportato qui sotto illustra i vari passaggi eseguiti per giungere agli articoli approvati ed inclusi in questa revisione della letteratura e nel capitolo successivo vengono riassunti in una tabella.
4.2 Tabella riassuntiva degli articoli
Titolo – Autori – Anno Disegno di studio Scopo Risultati principali e conclusioni The Dyspnea-ALS-Scale
(DALS-15) optimizes individual treatment in patients with amyotrophic lateral sclerosis (ALS) suffering from dyspnea Susanne Vogt, Stefanie Schreiber, Hans-Jochen Heinze, Reinhard Dengler, Susanne Petri and Stefan Vielhaber
2019
Studio di due
casi clinici Analizzare il beneficio della scala di valutazione DALS-15 nei pazienti affetti da SLA. Esaminare le implicazioni diagnostiche e cliniche di questa scala.
In un paziente la presenza di dispnea rilevata dalla DALS-15 ha indicato la ventilazione non invasiva (NIV) anche se la capacità vitale forzata (FVC) e l'analisi dei gas sanguigni erano ben conservate. In un altro paziente, che si presentava anartrico e non era più in grado di eseguire la spirometria a causa della grave compromissione bulbare, la DALS-15 ha permesso una valutazione standardizzata ed efficace del disagio legato alla dispnea.
Questa scala fornisce una visione più approfondita dello stato respiratorio dei pazienti, ottimizzando la presa in carico della dispnea ed incrementando di conseguenza la qualità di vita.
Dyspnea in amyotrophic lateral sclerosis: The Dyspnea-ALS-Scale (DALS-15) essentially contributes to the
diagnosis of respiratory impairment
S. Vogt, S. Schreiber, K.
Kollewe, S. Körner, H.-J.
Heinzea, R. Dengler, S.
Petri, S. Vielhaber
Studio di corte Analizzare se la dispnea può essere correlata ai parametri dello stato respiratorio principalmente utilizzati nella pratica clinica neurologica.
Indagare se la DALS-15 può aiutare ad identificare i pazienti che necessitano di NIV in modo da migliorare la qualità di vita.
Non è presente una relazione lineare tra la dispnea e i valori respiratori principalmente utilizzati nella pratica clinica.
Questo studio mostra chiaramente che la dispnea può verificarsi indipendentemente dagli indicatori oggettivi di compromissione respiratoria come la spirometria o i gas sanguigni.
Quindi, la DALS-15 permette di valutare in maniera efficace la componente
2019
soggettiva della disfunzione respiratoria.
Questa scala può aiutare a migliorare la stratificazione dei pazienti con insufficienza respiratoria, rendendo più efficace la gestione dei sintomi e un coordinamento tempestivo delle cure, con il fine di incrementare la qualità di vita del paziente.
Measures of dyspnea in patients with Amyotrophic Lateral Sclerosis
Noah Lechtzin, Dale J.
Lange, Cynthia Davey, Brian Becker, Hiroshi Mitsumoto and HFCWO Study Group 2007
Studio
prospettico di corte
Analizzare la capacità dell’indice di dispnea basale (BDI) e dell’indice di dispnea di transizione (TDI) di misurare la dispnea nei pazienti affetti da SLA.
Questo studio dimostra che il BDI/TDI è un indicatore sensibile della dispnea nei pazienti affetti da SLA. Il TDI è anche in grado di catturare informazioni sullo stato respiratorio che non vengono misurati dagli esami oggettivi e riflette in modo importante l'impatto della dispnea sulle attività quotidiane.
Il BDI/TDI è una semplice misura dei sintomi respiratori in grado di rilevare anche piccoli cambiamenti della dispnea in brevi periodi di tempo nei pazienti con SLA. Per questi motivi dovrebbe essere considerato il suo utilizzo nella pratica clinica quotidiana.
The Borg dyspnoea score:
a relevant clinical marker of inspiratory muscle weakness in amyotrophic lateral sclerosis
Studio
retrospettivo di corte
Determinare se la scala di valutazione della dispnea di Borg modificata può essere un marcatore utile e semplice per prevedere la debolezza dei muscoli respiratori nei pazienti affetti da SLA.
Questo studio è il primo a dimostrare che il punteggio di dispnea di Borg, soprattutto in posizione supina, è un predittore non invasivo di debolezza muscolare respiratoria nei pazienti affetti da SLA, con una buona sensibilità e specificità. I risultati
N. Just, N. Bautin, V. Danel- Brunaud, V. Debroucker, R.
Matran and T. Perez 2010
indicano che la scala di Borg dovrebbe essere sistematicamente inclusa nella valutazione iniziale e nel monitoraggio dei pazienti con SLA da parte del personale curante.
Dyspnea in Amyotrophic Lateral Sclerosis: Rasch- Based Development and Validation of a Patient- Reported Outcome (DALS- 15)
Susanne Vogt, Susanne Petri, Reinhard Dengler, Hans-Jochen Heinze and Stefan Vielhaber
2018
Studio di corte Sviluppare e convalidare una scala di misurazione specifica per valutare la dispnea nei pazienti affetti da SLA attraverso la combinazione di un approccio qualitativo e quantitativo utilizzando l’analisi di Rasch.
Dopo aver eseguito tutte le analisi si è giunti alla realizzazione della DALS-15, una scala a 15 item che permette di valutare la dispnea nei pazienti affetti da SLA.
La DALS-15 è un Patient-Reported Outcome Measures (PROM) affidabile e validato che può essere particolarmente utile per una rapida ed efficiente gestione della dispnea nella SLA. Questa scala è breve, facile e veloce da completare, aspetti importanti nelle fasi avanzate della malattia, in cui la dispnea è sempre più presente.