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PROCURA GENERALE presso la Corte di Cassazione

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PROCURA GENERALE

presso la Corte di Cassazione

UDIENZA PUBBLICA DEL 30 SETTEMBRE 2019 TERZA SEZIONE CIVILE

Presidente: Danilo SESTINI Relatore: Augusto TATANGELO

ANTICIPAZIONE DELLE CONCLUSIONI ORALI DEL PUBBLICO MINISTERO (art. 379, comma 2, c.p.c.)

N. 21284/2017 Reg. gen.

N. 15 ruolo di udienza pubblica

AL SIGNOR PRESIDENTE TERZA SEZIONE CIVILE CORTE DI CASSAZIONE SEDE

Il Pubblico Ministero, in persona del sottoscritto Sostituto Procuratore Generale, vista la fissazione di udienza pubblica davanti a Codesta Sezione, per la data sopra indicata, stante la complessità del procedimento in epigrafe e la difficoltà di compendiare in forma esclusivamente orale le proprie conclusioni motivate, anche allo scopo di ridurre i tempi della pubblica udienza

CHIEDE

alla S.V. di poter anticipare in forma scritta il contenuto delle proprie conclusioni, nel modo che segue.

Nella pubblica udienza questo Pubblico Ministero, per assolvere al suo obbligo di concludere motivatamente, qualora autorizzato dalla S.V., si limiterà, pertanto, a richiamare il contenuto del presente scritto.

Per porre le parti in grado di interloquire sulle conclusioni così anticipate, si fa presente che il presente scritto è stato inviato, dal sottoscritto Pubblico Ministero, ai difensori dei ricorrenti e dei controricorrenti, presso il loro indirizzo di Posta Elettronica Certificata, come risultante dagli atti di causa. Ciò, anche per sgravare la Cancelleria di Codesta Sezione dall’onere, seppure non previsto da alcuna norma, di comunicazioni aggiuntive.

Il presente scritto non ha da intendersi quale memoria ex art. 378 c.p.c., non prevista per il Pubblico Ministero, che non può essere qualificato come parte del procedimento di cassazione1.

1 Che il pubblico ministero non possa essere considerato, nel processo civile di cassazione, parte processuale, si evince dal tenore letterale dell’art. 378, comma 2, c.p.c., ove si giustappone il pubblico ministero ai difensori delle parti. Non a caso, l’art. 72, commi 1 e 2, c.p.c., attribuisce al pubblico ministero gli stessi poteri delle parti (fra cui certamente quello di produrre memorie), ma limitatamente a quelle cause che egli stesso avrebbe potuto proporre, ex art. 69 c.p.c., o nei casi di intervento di cui all’art. 70 c.p.c. Norma che, significativamente, al comma 2, esclude da tale previsione proprio il giudizio di cassazione. Senza contare la pacifica esclusione di ogni potere di impugnazione in capo al pubblico ministero presso

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Venendo alla trattazione dei motivi di ricorso, il Pubblico Ministero osserva quanto segue.

Ricorso principale di XXX, YYY e ZZZ.

Con il motivo di ricorso principale 1., XXX, già sindaco della RRR S.r.l. in liquidazione, dichiarata fallita, lamenta che la Corte di appello di Napoli abbia affermato il carattere non vessatorio della clausola claims made del contratto di assicurazione da lui stipulato con TTT avverso la responsabilità civile per l’attività di sindaco di società; così violando gli artt. 1322, 1341 e 1917 c.c.

La suddetta clausola2 prevedeva che “l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato nel corso del periodo di efficacia dell’assicurazione, a condizione che tali richieste siano conseguenti a comportamenti colposi posti in essere non oltre 5 anni prima della data di stipula della presente polizza”.

Il ricorrente lamenta il carattere non meritevole di siffatta clausola, il cui effetto sarebbe quello di escludere dalla copertura assicurativa i fatti colposi commessi nella vigenza della copertura, ma nell’imminenza della sua scadenza, stante il tempo necessario alla loro emersione e alla formulazione di richieste risarcitorie da parte dei danneggiati. Il che comporterebbe, in concreto, un ingiustificato vantaggio accordato all’assicuratore, senza contropartita di sorta; la creazione di una posizione di soggezione dell’assicurato; la rilevanza di elementi casuali ed estranei alla volontà delle parti, quale il momento di formulazione di una domanda risarcitoria; l’imposizione all’assicurato di un onere di sollecitazione alla proposizione, da parte del danneggiato, di domande risarcitorie, in violazione dell’art. 1915 c.c.

Dalla non meritevolezza della clausola discenderebbe anche il suo carattere vessatorio, erroneamente escluso dalla Corte territoriale in accoglimento dell’appello principale TTT.

il Pubblico Ministero osserva, in primis, che la questione della meritevolezza della clausola contrattuale non può essere confusa con quella della vessatorietà; ben potendo una clausola vessatoria essere inserita in un contratto meritevole di tutela e, per contro, un contratto non meritevole di tutela non contemplare clausole vessatorie3.

L’eventuale non meritevolezza del contratto di assicurazione on claims made based, contenente elementi di atipicità rispetto alla disciplica codicistica, comportando la nullità del negozio, deve essere valutato da questa Corte, indipendentemente dalla novità della questione.

Nel caso di specie, ci si trova di fronte ad una clausola claims made (a richiesta fatta) la quale comporta la rilevanza, ai fini della operatività della polizza, non del momento di verificazione del fatto generatore del danno, come è naturaliter previsto dall’art. 1917, comma 1, c.c.4, ma del momento in cui la richiesta risarcitoria viene formulata dal terzo danneggiato verso l’assicurato- danneggiante. La copertura assicurativa copre pertanto i fatti la cui richiesta risarcitoria venga formulata nel periodo di vigenza della polizza.

Nel modello claims made puro non rileva il momento in cui il fatto dannoso si verifica, il quale può essere anche precedente l’inizio della copertura assicurativa.

Nel modello claims made impuro, invece, tanto il fatto quanto la richiesta debbono essere ricompresi nel torno di tempo di vigenza della copertura assicurativa; salva la previsione contrattuale di una retrodatazione della copertura a fatti precedenti la sua vigenza. Ed è appunto questo il caso di specie, nel quale la copertura si estendeva a comportamenti precedenti di non oltre cinque anni la data di stipula della polizza (purché, ovviamente, la richiesta risarcitoria fosse stata formulata durante la vigenza della polizza).

Sono possibili ulteriori varianti contrattuali, che peraltro qui non interessano.

la Corte di cassazione, non essendo qualificabile come rimedio impugnatorio l’istituto di cui all’art. 363 c.p.c.

Sostanzialmente, il pubblico ministero nel giudizio civile di cassazione svolge un ruolo di amicus curiae.

2 Art. 16, allegato 1 al contratto 1490856.

3 Cass. Sez. un., 2140/2016.

4 Secondo il modello definito loss occurrence (evento della perdita) o anche act committed (atto commesso).

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La ragione economica del sistema claims made è quello di rendere maggiormente prevedibile per l’assicuratore il costo degli indennizzi che, verosimilmente, sarà chiamato ad erogare. Il che assume particolare rilievo per i danni lungo-latenti; id est quei danni che possono emergere anche a lunga distanza temporale dal fatto che li ha generati. Situazione ricorrente nei casi di colpa sanitaria, ma non solo. In sostanza, con la chiusura della polizza assicurativa, in mancanza di richiesta risarcitorie comunicate dall’assicurato, l’assicuratore non deve più allocare nel proprio bilancio la posta relativa ad eventuali fatti avvenuti nel periodo di copertura, ma dei quali non è stato posto a conoscenza dall’assicurato. Il che agevola anche i meccanismi di rilevazione statistica posti a fondamento del calcolo dei premi assicurativi.

Dal suo canto l’assicurato è posto in grado di difendersi di fronte a richieste risarcitorie per fatti avvenuti durante il periodo di copertura, ma giuntegli successivamente a questo, semplicemente prolungando la durata della copertura anche successivamente alla cessazione della propria attività rischiosa, sino al maturare del termine di prescrizione del diritto di un eventuale danneggiato.5 Il modello on claims made based ha trovato un suo espresso riconoscimento legislativo con le norme dettate, di recente, in tema di responsabilità per attività sanitaria e per attività libero-professionali in genere.6 Indipendentemente dalla applicabilità, o meno, ratione temporis delle citate disposizioni al caso in esame, emerge da tale riconoscimento l’accettazione di un modello assicurativo che prevede espressamente una deroga al sistema delineato dall’art. 1917, comma 1, c.c., sulla base del modello loss occurrence, tale da rendere arduo concludere che la deroga pattizia prevista espressamente dall’art. 1932 c.c. non possa, al di là del tenore testuale della norma, estendersi anche al presupposto della copertura (il “sinistro” di cui all’art. 1882 c.c.) e consentire così l’introduzione, per volontà delle parti, di clausole claims made. In altre parole, una volta che il legislatore stesso ha fatto proprio un modello claims made già ampiamente diffuso nella prassi assicurativa, non si vede come si possa concludere per la non meritevolezza di clausole che tale modello pattiziamente introducano, anche al di fuori dell’area di applicazione delle innovazioni legislative.

L’anzidetta conclusione, valida sul piano astratto, non esime il giudice del merito dalla valutazione della disciplina pattizia del singolo contratto, in funzione dell’accertamento della liceità e dell’adeguatezza di tale disciplina rispetto alla funzione economico-sociale dell’assicurazione contro la responsabilità civile.

Nel caso di specie, tale valutazione è stata espressamente svolta dalla Corte territoriale, la quale ha posto in evidenza l’estensione della copertura assicurativa anche a fatti precedenti la data di stipula del contratto, quale elemento equilibratore rispetto alla clausola claims made ed alla limitazione dell’area di copertura che ne discende7. La situazione, pertanto, non è paragonabile a quella di una clausola claims made esaminata in un recente arresto di legittimità, ove se ne è esclusa la meritevolezza in considerazione del fatto che tanto il fatto generatore di responsabilità che la richiesta dovevano verificarsi entro il periodo di copertura assicurativa.8

Quanto al carattere vessatorio, essa va escluso in ragione della considerazione che la clausola claims made non limita la responsabilità dell’assicuratore, ma delimita l’area stessa del rischio assicurato, id est l’oggetto del contratto.9

Quanto sin qui esposto vale anche ad escludere la fondatezza del motivo 2. di ricorso di XXX.

Con il motivo di ricorso principale 3. YYY – anch’egli già sindaco della RRR S.r.l. in liquidazione – lamenta, con riferimento alla polizza da lui stipulata con SSS S.p.a.10, che la copertura assicurativa

5 Cass. Sez. un., 9140/2016.

6 Art. 11, l. 8.3.2017, n. 24; art. 3, comma 5, lett. e), dl 13.8.2011, n. 138 – convertito, con modificazioni, dalla l. 14.11.2011, n. 148 – novellato dall’art. 1, comma 26, l. 4.8.2017, n. 124. Si veda anche, in tema di responsabilità da attività forense, l’art. 12, comma 1, l. 31.12.2012, n. 247 e la relativa normativa di attuazione, di rango secondario, costituita dal d.m.

22.9.2016. Sul punto vedi meglio, in motivazione, il § 10 e il § 13.1 della sentenza citata alla nota che precede

8 Cass. Sez. III, 10506/2017.

9 Cass. Sez. un., 9140/2016.

10 Già KKK S.p.a. La polizza è la n. 168/60/121.882.

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era stata erroneamente delimitata dalla Corte territoriale sino al 23.4.1995, essendo invece operativa sino al 2001 e valevole anche per denunce di sinistro pervenute nei dieci anni successivi; cioè sino al 2011. Essendo i fatti dannosi in questione databili sino al 2002-2003 ne conseguiva la vigenza della copertura assicurativa.

Il Pubblico Ministero rileva la mancanza di autosufficienza del motivo di ricorso, che non pone Codesta Corte in grado di valutare la fondatezza delle affermazioni fattuali del ricorrente.

Inoltre, pur essendo ammesso dal controricorrente assicuratore che la polizza in questione rimase operativa sino al 2001 (e non sino al 1995), risalendo i fatti agli anni 2002-200311, non si vede come una clausola che prevedeva la copertura anche per le denunce di sinistro prevenute successivamente (entro 5 anni secondo l’assicuratore; entro 10 anni secondo il ricorrente) potesse riferirsi a fatti avvenuti successivamente alla scadenza dell’assicurazione stessa. In altre parole, l’estensione della copertura a richieste risarcitorie successive alla scadenza del contratto di assicurazione concerne, comunque, i fatti generatori di responsabilità avvenuti nell’ambito di operatività temporale dell’assicurazione stessa. Diversamente argomentando si affermerebbe che la polizza assicurativa non era scaduta al momento previsto dal contratto, ma successivamente.

Con il motivo di ricorso 4. YYY lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente escluso che la copertura assicurativa, di cui alla seconda polizza stipulata con SSS12, concernesse l’attività di sindaco di società. Ciò in quanto sarebbe incomprensibile e contraddittorio che la prima polizza assicurativa, scaduta nel 2001, coprisse anche l’attività di sindaco e la seconda, invece, solo l’attività di dottore commercialista.

Il Pubblico Ministero rileva – al di là dei noti limiti alla sindacabilità, in questa sede, dell’interpretazione del contratto adottata dai giudici del merito - che la Corte territoriale ha escluso che la copertura assicurativa si estendesse all’attività di sindaco, essendo questa ricompresa unicamente nelle Condizioni aggiuntive, non richiamate, però, nel frontespizio della polizza. Inoltre, secondo l’art. 18 delle condizioni generali, alla lett. c), era contenuta l’espressa esclusione di tale copertura.

Non si vede, in presenza di tali elementi testuali difficilmente superabili, quale diversa interpretazione avrebbe potuto adottare la Corte territoriale, non potendo certo rifarsi alla incoerenza fra due distinti contratti di assicurazione succedutisi nel tempo per poter leggere il secondo come se dovesse necessariamente costituire la fotocopia del primo, in contrasto con il tenore testuale sopra ricordato.

Con il motivo di ricorso 5. – che pare riferibile a tutti e tre i sindaci ricorrenti: XXX, YYY e ZZZ – si lamenta la mancata individuazione dell’exordium praescriptionis nella messa in liquidazione della fallita RRR (27.1.2004), momento in cui i creditori, impiegando l’ordinaria diligenza, potevano avere contezza della insufficienza patrimoniale.

Il Pubblico Ministero osserva che la messa in liquidazione di una società non comporta, necessariamente, quella sproporzione fra attività e passività che costituisce l’insufficienza patrimoniale che legittima l’azione di responsabilità dei creditori sociali, in quanto questo procedimento non è necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali, mentre la perdita integrale del capitale sociale neppure implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale.13

Con il motivo di ricorso 6. si lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto applicabile ai sindaci dimissionari il regime di prorogatio dei relativi poteri (e connesse responsabilità), in violazione degli artt. 2385, 2400 e 2401 c.c. In particolare, secondo i ricorrenti, la prima norma prevede una prorogatio solo per l’organo amministrativo, mentre l’art. 2400, comma 1, c.c. fa riferimento, per i sindaci, solo al caso della scadenza del termine. L’art. 2401, u. comma, infine, prevede, per il caso di mancata

11 Vedi sentenza impugnata, pagg. 25-28.

12 N. 168/60/399312.

13 Cass. Sez. I, 941/2005; 5287/1998

(5)

ricostituzione dell’organo di controllo dovuta all’insufficienza di supplenti, la convocazione dell’assemblea per l’integrazione del collegio sindacale.

Il Pubblico Ministero osserva che dal sistema normativo relativo alla governance (in senso lato) delle società si ricava che queste non possono patire vuoti: né nella gestione, né nel controllo. Così come una società non può patire un’assenza, ancorché temporanea, di amministratori – per il che provvede l’art. 2385, comma 2, c.c. – parimenti non può patire l’assenza dell’organo di controllo. Non a caso è prevista, come obbligatoria (artt. 2397, comma 1, secondo periodo e 2477, comma 4, c.c.), la figura del sindaco supplente. Obbligatorietà che si spiega proprio con l’esigenza di mantenere comunque in vita la funzione di controllo, al di là delle vicende che possono colpire il singolo sindaco. In sostanza, il controllo societario non può mai rimanere acefalo14.

Ciò spiega perché l’art. 2385, comma 2, c.c. debba essere considerato come un principio di ordine generale ed onera il sindaco effettivo dimissionario, non sostituito per carenza di sindaco supplente, a proseguire nello svolgimento della sua funzione, fino al momento della ricostituzione dell’organo di controllo.

Con il motivo di ricorso 7. si lamenta che la Corte di appello abbia determinato il danno patito dai creditori sociali nella somma algebrica fra attivo e passivo fallimentare, pari ad € 1.422.494,03, invece di valutare le effettive e concrete ricadute dannose delle omissioni addebitate ai sindaci, come richiesto dai più recenti orientamenti di legittimità15.

Il Pubblico Ministero rileva che la determinazione del danno non è stata operata dalla Corte di appello mediante il semplice ed equitativo riferimento allo sbilancio fra poste attive e poste passive, accertato in sede concorsuale. La Corte territoriale, invece, ha fatto riferimento a circostanze specifiche addebitate agli amministratori e, conseguentemente, a cagione della rilevata assoluta carenza di controllo, ai sindaci. Si fa qui riferimento alle forniture effettuate a favore di imprese ormai decotte per importi ingentissimi; alla esistenza di disponibilità liquide, poi non reperite in sede di inventario, del tutto sproporzionate alle esigenze effettive della RRR; alle gravi violazioni contabili che hanno impedito il recupero di crediti da parte della curatela e, in genere, a tutto quanto esposto nella sentenza impugnata, alle pagg. 34-35.

A fronte di quanto sopra, da cui sarebbe emerso un pregiudizio complessivo pari ad € 3.727.601,00, la Curatela ha limitato il petitum al solo sbilancio patrimoniale fra attivo e passivo, il quale, pertanto, non può essere considerato un riferimento puramente equitativo per la determinazione del quantum risarcibile.16

Con il motivo di ricorso 8. si lamenta che la Corte di appello, in violazione dell’art. 1292 c.c., non abbia defalcato dal risarcimento dei danni dovuto dai sindaci la quota oggetto di transazione, intervenuta fra Fallimento ed amministratori, a tacitazione delle pretese del primo. La Corte di appello si era limitata a detrarre dall’importo di € 1.422.494,03 – pari alla totalità del danno risarcibile – l’importo di € 80.000,00, oggetto dell’anzidetta transazione, giungendo così a determinare il risarcimento pretendibile dai sindaci in € 1.342.494,03. Invece, la Corte territoriale avrebbe dovuto dedurre dalla somma globale non l’importo di € 80.000,00, bensì la quota di risarcimento astrattamente riferibile agli amministratori transigenti, lasciando permanere a carico dei sindaci non transigenti la restante quota astratta.

Il motivo è fondato.

Appare pacifico che la quota di responsabilità ascrivibile agli amministratori comportasse una debenza concreta ben superiore agli 80.000 euro che hanno costituito il risultato finale della transazione.

14 Cass. Sez. I, 6788/2012; 5928/1986.

15 Si vedano Cass. Sez. un., 9100/2015. Sez. I, 38/2017; 17098/2013; 11155/2012.

16 Si vedano Cass. Sez. I, 2500/2018; 9983/2017, sulla fondatezza di un riferimento allo sbilancio accertato in sede concorsuale in presenza di carenze contabili che impediscano un accertamento più analitico degli effetti dannosi delle singole condotte addebitate all’organo amministrativo.

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Orbene, ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l'ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all'importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.17

La ragione è semplice: nel momento in cui il creditore transige con un debitore solidale, rinunzia alla somma maggiore che da questi gli sarebbe dovuta in base ad una divisione meramente matematica del debito complessivo. Pertanto, la quota astratta (e non il pagamento ottenuto) va detratta dalla residua debenza ancora pretendibile dagli altri debitori solidali. Diversamente argomentando, la transazione suddetta nemmeno sarebbe tale, non comportando la rinuncia del creditore ad alcun diritto, potendo questi richiedere ai debitori non transigenti tutto quanto non ottenuto dal debitore transigente. Ad esempio, se il credito complessivo dovuto a Tizio, da parte dei condebitori solidali al 50% Caio e Sempronio, è pari a 100 e Tizio transige con Caio accontentandosi di un pagamento pari a 25, anziché ai 50 dovutigli, egli non potrà poi pretendere da Sempronio i restanti 75 (il che renderebbe priva di effetti rinunciatori la transazione intervenuta con Caio), ma potrà pretendere i restanti 50, essendo stata annullata, in virtù della transazione, la debenza pro-quota di Caio, pari a 50.

Il suddetto effetto non richiede nemmeno la dichiarazione del debitore non transigente Sempronio di profittare della transazione conclusa con il creditore Tizio dall’altro debitore Caio, di cui all’art. 1304, comma 1, c.c., poiché tale norma si riferisce al caso della transazione raggiunta sull’intera debenza e non sulla sola quota dovuta dal debitore transigente (come pacificamente è stato nel caso in esame).18

Con il motivo di ricorso 9. si lamenta che la Corte territoriale abbia dichiarato inammissibile il motivo di appello avente ad oggetto la domanda di manleva rivolta dai sindaci nei confronti degli amministratori, in quanto ritenuto non idoneo a scalfire la ratio decidendi posta dal Tribunale a fondamento del rigetto della domanda di manleva. I sindaci sottolineano che nessuna violazione nella tenuta delle scritture contabili sarebbe loro direttamente ascrivibile.

Il motivo - oltre a mancare di autosufficienza, non ponendo Codesta Corte in condizioni di valutare il motivo di appello dei sindaci – non è fondato. Il Tribunale e la Corte hanno poggiato l’affermazione di responsabilità dei sindaci non tanto, e non solo, su alcune omissioni contabili esclusivamente loro ascrivibili, ma sulla ben più grave omissione concernente l’omessa segnalazione dei comportamenti degli amministratori.

Non si vede, poi, come il vigilante potrebbe pretendere di essere manlevato dal vigilato, posto che le omissioni ascrivibili al vigilante sono relativi ad obblighi ricadenti su quest’ultimo, con conseguente insorgenza di una obbligazione risarcitoria per fatto proprio, e non per fatto altrui. Non si versa, pertanto, nella situazione di colui che è stato chiamato a rispondere del fatto altrui, del quale debba ex lege rispondere, a prescindere dalla violazione di obblighi propri; quale, ad esempio, quella delineata dall’art. 2049 c.c., nella quale è prevista la manleva del padrone o committente verso il domestico o il commesso.19

Ricorso incidentale di SSS S.p.a., assicuratore di YYY e ZZZ.

Con il motivo di ricorso incidentale 1. SSS lamenta che la Corte di appello abbia dichiarato inammissibile il suo appello incidentale proposto avverso la sentenza del Tribunale di Nola, nella parte in cui riteneva efficace il contratto di assicurazione stipulato con ZZZ. Inammissibilità che la

17 Cass. Sez. un., 30174/2011. Sez. I, 23418/2016.

18 Oltre alle sentenze citate alla nota che precede, vedi Cass. Sez. I, 16087/2018; 20107/2015.

19 Cass. Sez. III, 16512/2017. Sez. L, 24567/2016.

(7)

Corte territoriale ha fondato sulla presentazione di due distinti appelli incidentali da parte di SSS. Un primo concernente la sola posizione di YYY. Un secondo, concernente la sola posizione di ZZZ.

Quest’ultimo, peraltro, precluso dalla consumazione del potere di impugnazione avvenuta con la proposizione del primo appello incidentale.

Preliminarmente va precisato che il giudizio di appello sorse, in realtà, da due appelli principali, riuniti ex artt. 335 e 350, comma 3, c.p.c., proposti avverso la medesima sentenza del Tribunale di Nola.

Un primo appello principale di TTT, dal quale sorse il giudizio r.g. 4438/2013. Un secondo appello principale di YYY, ZZZ e XXX, dal quale sorse il giudizio 5361/2013.

Nell’ambito del primo giudizio SSS si costituì con due coeve comparse di costituzione, ciascuna contenete un distinto appello incidentale: l’uno nei confronti di YYY e l’altro nei confronti di ZZZ.

Nel secondo giudizio SSS si costituì senza formulare nuovi appelli incidentali, stante la già avvenuta loro proposizione nell’ambito del primo giudizio.

Il Pubblico Ministero osserva che il principio della non frazionabilità in distinti atti dell’impugnazione avverso la medesima sentenza presuppone che vi sia una prima impugnazione e, successivamente, una seconda impugnazione, preclusa da quella anteriore.

Nel caso di specie, pur poco comprensibilmente, i due appelli incidentali di SSS furono coevi e contestuali, tanto da poter ritenere che, in sostanza, i due scritti rappresentassero un unico atto di appello rivolto, per una parte, contro YYY e, per l’altra parte, contro ZZZ. Non può, invece, richiamarsi la disciplina di cui all’art. 358 c.p.c., la quale presuppone una seconda impugnazione destinata a sostituire (non ad aggiungersi a) la prima, nel caso in cui questa non sia ancora stata dichiarata inammissibile o improcedibile.

Ne consegue che non può parlarsi di un primo appello incidentale (quale fra i due?) destinato a consumare il potere di impugnazione incidentale di SSS.

Con il motivo di ricorso 2. SSS lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto privo di motivi specifici l’appello incidentale proposto nei confronti di ZZZ, alla luce del fatto che le considerazioni espresse nella comparsa di costituzione nel secondo giudizio 5361 non potevano essere prese in considerazione, stante la cennata consumazione del potere di impugnazione conseguente all’appello incidentale proposto nel primo giudizio 4438.

Dall’argomentare della Corte territoriale risulta evidente che essa ritenne che l’appello incidentale proposto avverso ZZZ fosse quello contenuto, “sostanzialmente ma non espressamente”, nella comparsa di risposta depositata nel secondo giudizio 5361. Il che evidenzia che la Corte territoriale omise, invece, di prendere in considerazione l’autonomo appello incidentale avverso ZZZ proposto nel primo giudizio 4438.

Il motivo di ricorso 3. ricalca i precedenti motivi.

IL PUBBLICO MINISTERO pertanto, conclude come segue:

accoglimento del motivo 8. del ricorso principale di XXX, YYY e ZZZ; rigetto degli altri motivi;

accoglimento del ricorso incidentale di SSS S.p.a.

ROMA, 25 settembre 2019

Il Sostituto Procuratore Generale Alberto CARDINO

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