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Angelo Porrone

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Academic year: 2022

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RILEVANZA CLINICA, EPIDEMIOLOGICA E VALUTATIVA MEDICO LEGALE DEL RITARDO DIAGNOSTICO EVENTUALMENTE

RISCONTRABILE NELL’AMBITO DELLE NEOPLASIE MALIGNE. PROFILI DI RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE, ASPETTI METODOLOGICI E

APPLICATIVI.

Clinical Relevance, Epidemiological and Forensic Evaluation of Diagnostic Delay Arising within the Malignancy.

Profiles of Professional Responsibility, Methodological Aspects and Applications

Angelo Porrone *

ABSTRACT

L’autore, prendendo lo spunto dalla problematica inerente il possibile ritardo diagnostico verificabile nell’ambito delle neoplasie maligne di maggiore impatto epidemiologico e che peculiarmente si prestano, proprio per le caratteristiche intrinseche della storia clinica naturale dei tumori stessi, all’occorrenza considerati ed esaminati, talora, a ritardi ed errori diagnostici di vario genere, si sofferma sui principali aspetti di carattere clinico, metodologico e applicativo medico legale che sono più facilmente individuabili e a cui consegue la formulazione del giudizio di merito, sia riguardo al problema dell’ eventuale responsabilità professionale medica che relativamente alle possibili ulteriori ricadute sotto il profilo clinico e applicativo.

INTRODUZIONE

* Coordinatore Medico Centrale - Responsabile UOC Area Studi, Ricerca e Procedure Medico Legali –

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Vengono essenzialmente delineati e sintetizzati i principali aspetti e gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali riferiti alla colpa professionale medica di tipo omissivo.

Si passa, poi, ad esaminare i più frequenti ritardi diagnostici riferiti alle seguenti fra le più comuni forme neoplastiche maligne, che maggiormente si prestano a confusioni diagnostiche, fra le quali sembrano emergere:

 adenocarcinomi della mammella, nello specifico, altre particolari forme tumorali mammarie come i più rari sarcomi;

 noduli primitivi polmonari;

 linfomi non Hodgkin nelle forme extralinfonodali primitive: midollare spinale, pancreatico, cerebrale;

 sarcomi dei tessuti molli a basso grado, specie degli arti inferiori;

 presunte neoplasie primitive retroperitoneali di ndd;

 inquadramento e diagnosi di presunte metastasi cutanee.

Per quanto riguarda nello specifico gli attuali indirizzi giurisprudenziali e dottrinari medico legali, inerenti la colpa professionale medica di tipo omissivo, essi vertono essenzialmente, ancora una volta, sulla dimostrazione del nesso di causalità materiale esistente fra la colpa e il danno eventualmente verificatosi, ovvero fra la responsabilità professionale del medico intesa come condotta, inerente gli errori eventualmente commessi, a fronte dei comportamenti attesi, ossia quelli richiesti in pieno ossequio alla perizia, prudenza e diligenza necessari e auspicabili, in base alle diverse circostanze verificatesi, e il danno che ne sia esitato, danno prodotto, come si dice, in termini legali, “cum iniuria”, ovvero contra legem, ossia ingiusto, con infrazione di regole codificate di carattere generale ma assai più spesso in contrasto con i dettami e con le conoscenze specifiche di quella determinata disciplina di riferimento, valide al momento in cui si è verificato l’evento lesivo e in base alle conoscenze relative vigenti in materia, nella branca medica di riferimento.

Esistono, quindi due filoni o poli di riferimento in base ai quali deve essere formulato il giudizio medico legale relativamente al fatto o ai fatti reato ascritti in cui si va ad incardinare la responsabilità professionale medica di tipo omissivo.

Il primo aspetto riguarda la criteriologia medico legale di riferimento per la dimostrazione del nesso di causalità materiale fra la colpa medica e il danno eventualmente prodotto, laddove nell’indagine medico legale vanno indifferentemente individuati gli elementi essenziali che si riferiscono al riconoscimento e alla verifica dell’esistenza di uno o più errori medici di tipo omissivo, ossia la dimostrazione dell’esistenza di una vera colpa professionale medica e, in secondo luogo, come tale colpa abbia interagito con lo stato patologico del paziente e con il suo destino terapeutico indirizzandolo o meno in senso negativo, in quanto non appare affatto scontato che un errore medico di tipo omissivo abbia ingenerato automaticamente un

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danno in termini prognostici, ovvero sia stato decisivo ai fini del mancato buon esito del trattamento o anche di un esito infausto che poteva anche essere del tutto atteso in base alle caratteristiche della storia naturale della malattia in atto, ovvero in rapporto ai dettami delle conoscenze scientifiche vigenti al momento in cui si è verificato l’evento avverso.

In pratica ai fini delle decisioni di merito, soprattutto in penale, nel caso di errore omissivo, un ruolo fondamentale recita il cosiddetto giudizio controfattuale, ossia quanto si sarebbe verificato o potuto verificare, con elevata o elevatissima probabilità, in base ad un ragionamento critico rigoroso e ad una attenta e ponderata ricognizione di tutti gli elementi oggettivi qualificativi a disposizione, inerenti il caso specifico, se l’errore omissivo non si fosse verificato e, quindi di come lo stesso abbia pesato ai fini del buon esito di un trattamento e della risoluzione di quello specifico caso, in base ai dati in possesso della letteratura specifica del settore.

In definitiva ciò che si vuole e si deve evitare è proprio di attribuire ad un determinato errore medico omissivo una valenza che non ha o non può avere, in modo tale che il medesimo venga inopinatamente considerato decisivo ai fini del verificarsi di un certo evento lesivo, comunque determinatosi, in quanto reputabile nell’ordine naturale delle cose e indipendente da tale errore, situazione tutt’altro che inusuale in medicina e in oncologia, in particolare.

La prospettiva è sempre quella di dimostrare che un determinato evento lesivo non si sarebbe verificato se non ci fosse stato l’errore medico, in grado, quindi, di agire quale causa efficiente e determinante ai fini del verificarsi di un determinato danno patito di alcun genere, tutto ciò ottenuto attraverso un rigoroso e puntuale ragionamento di tipo controfattuale, in grado di considerare le due ipotesi e di paragonarle, in caso di mancanza di errore medico e nel caso che lo stesso, altrimenti si sia verificato, con il danno conseguente verosimilmente prodotto, ciò che va dedotto in modo assolutamente concreto e circostanziato.

In caso contrario si arriverebbe ad una situazione i cui l’evento negativo prodottosi, di tipo lesivo, verrebbe confuso nella colpa professionale del medico, attribuendogli le caratteristiche improprie del danno cum iniuria, potendo la colpa eventuale verificata apparire, magari per lo più indifferente e neppure condizionale rispetto allo stesso danno addotto.

Mostrandosi il problema di non facile soluzione in medicina legale, nei differenti ambiti e discipline mediche in cui venga applicato, tale assunto appare ancora di maggiore difficile collocazione nel caso dell’evenienza di malattie neoplastiche.

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Le problematiche medico legali che si prestano maggiormente a verificarsi in oncologia possono essere di vario genere, ma sono essenzialmente riconducibili ad errori diagnostici di tipo omissivo, con un più o meno netto ritardo diagnostico conseguente che implica anche un ritardo terapeutico derivante, in una malattia neoplastica nel frattempo magari progredita verso stadi più avanzati rispetto al momento in cui, avendo già dato manifestazioni di sé, poteva essere trattata più precocemente, con interventi meno demolitivi e con migliori esiti e migliore prognosi globale, ai fini della sopravvivenza.

Tutto ciò se corrisponde ipoteticamente, in gran parte, alla verità dei fatti, non può essere standardizzato in assoluto, verificandosi situazioni fra le più disparate in cui le variabili non sono semplicemente costituite dalla precocità maggiore o minore della diagnosi, ma anche dai protocolli terapeutici applicati, più o meno aggiornati, dalla rispondenza o meno ai trattamenti specifici, dalla tollerabilità degli stessi, dalla completezza degli accertamenti diagnostici intrapresi, dall’efficacia dei trattamenti e dalla loro intrinseca tollerabilità, in definitiva dalle peculiari e intrinseche caratteristiche della storia clinica naturale della malattia neoplastica in atto, che si può giovare o meno di una prognosi molto o poco favorevole entro determinati limiti oggettivi, anche ma non solo, quindi, in base alla precocità e all’efficacia dei trattamenti intrapresi o ipotizzabili e allo stadio più o meno avanzato verificato.

Il vero problema è, quindi, riconducibile all’ipotesi, nel caso di mancata o ritardata diagnosi relativa ad una neoplasia, all’individuazione dello stadio specifico in cui versava la malattia oncologica all’atto della mancata diagnosi, ciò che non sempre appare di facile collocazione; in effetti non sembra cosa agevole verificare lo stadio specifico in cui è stata effettivamente riscontrata la patologia in essere e valutare l’aggravio prognostico conseguente ad un errore omissivo diagnostico che ne sia derivato, sempre ipoteticamente, ovvero, in modo più appropriato, risalire alle conseguenze prognostiche valutabili, in modo rigoroso, in termini di probabilità ridotte in funzione dell’errore, ai fini della sopravvivenza globale e delle ulteriori conseguenze deducibili per la necessità di terapie più demolitive e più prolungate, ovvero delle lesioni e menomazioni di organi ed apparati che altrimenti sarebbero verosimilmente rimasti esenti da effetti primitivi o secondari terapeutici.

Ma in campo oncologico la valutazione prognostico non risente in modo scalare della progressione della diffusione della malattia, sic et simpliciter, specie nel caso di neoplasie che si giovano, comunque, di una prognosi globale favorevole o molto favorevole, risiedendo tale tipo di osservazione nelle caratteristiche intrinseche della patologia neoplastica in essere.

Lo stadio, quindi, ossia il grado di avanzamento della neoplasia, la storia clinica naturale della malattia neoplastica con le sue peculiari caratteristiche, l’emendabilità della patologia in rapporto alle terapie ipotizzabili, ovvero le possibilità di guarigione

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in rapporto alle cure protocollari effettuabili, le lesioni e le menomazioni consequenziali alle varie terapie intraprese o da istaurare, rappresentano gli aspetti essenziali del giudizio di merito di tipo medico legale, in campo oncologico, tutti in gran parte valutabili come concreto apprezzamento del danno futuro e di perdita di

“chance”, in caso di sopravvivenza libera da malattia del paziente dopo le terapie, ovvero di danno ormai attualizzatosi, in caso di exitus del paziente o di lesioni e menomazioni persistenti apparentemente non dovute.

La valorizzazione degli elementi causali attraverso l’indagine compiuta con l’applicazione dei ben noti criteri qualitativo, quantitativo, modale, cronologico, topografico, di esclusione di altre cause, ecc., normalmente utilizzati in medicina legale per la dimostrazione del nesso di causalità materiale, in campo oncologico risente abbastanza delle peculiarità specifiche della disciplina considerata, trattandosi in genere di malattie caratterizzate da una variabilità intrinseca legata alla loro storia naturale e ai diversi esiti delle cure intraprese, per cui è possibile solo in parte assimilarle fra loro, verificandosi, nella fattispecie, ad es., la circostanza di neoplasie solide, già con una prognosi intrinseca più o meno severa, a prescindere dai trattamenti comunque ipotizzabili o intrapresi.

Ma un vero, autentico problema è rappresentato, talora, dalla diagnosi oncologica o anche istologica, relativa alla tipizzazione neoplastica, non sempre così ben compresa e codificata, nella pratica clinica, come si potrebbe immaginare.

La tipizzazione oncologica della malattia già di per sé rappresenta talvolta un problema diagnostico rilevante, anche sulla base delle risultanze non sempre inequivoche degli esami istologici definitivi, laddove il clinico può evidenziare una diagnosi che appare in contrasto da quanto dedotto, magari erroneamente dal patologo, con problemi conseguenti all’ambito di responsabilità relativo al clinico e all’istologo, talvolta di difficile soluzione.

Ma è soprattutto l’analisi retrospettiva, puntuale e rigorosa, di segni e sintomi antecedenti non ben valutati, anche di tipo radiologico e, più in generale, collegabili alla diagnostica per immagini, che può rappresentare, apparentemente, un vero problema in campo medico legale, relativamente alla dimostrazione del nesso di causalità materiale per una presunta condotta medica omissiva, laddove non sia immediatamente ed intuitivamente riconducibile alla patologia neoplastica successivamente verificatasi e, laddove si riesca anche a dimostrare che si tratti di un primo ed importante segno di quella malattia, manifestatosi antecedentemente.

D’altronde non appare affatto facile individuare lo stato di avanzamento, ossia lo stadio presunto, della malattia in quella fase in cui si sono manifestati segni e sintomi

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riconducibili alla malattia neoplastica, e quindi le relative conseguenze, in senso di aggravio prognostico, eventualmente derivatone.

L’idea di riportare alcune esemplificazioni pratiche, quali tipologie possibili di casi clinici, serve appositamente per poter mettere appieno in luce e valutare taluni aspetti ed ambiti della disciplina oncologica presa in esame, insieme all’opportunità verificata di specificare talune ricorrenti circostanze che maggiormente si prestano, proprio per le caratteristiche intrinseche delle neoplasie considerate, ad un ritardo ed errore diagnostico, al punto da rappresentare, sotto certi aspetti, come si direbbe, una categoria di errore diagnostico se non proprio un possibile tipo di errore seriale.

Il fattore dell’alta incidenza epidemiologica e dell’alta risonanza sociale di talune patologie neoplastiche, come nel caso del tumore della mammella, rappresenta un altro aspetto condizionante anche nell’ambito dell’incidenza delle relative responsabilità professionali, quasi tutte incentrate sulla mancata diagnosi precoce specifica lamentata dal paziente.

Anche se apparentemente non sembrano avere una grande risonanza ai fini epidemiologici, in senso stretto relativamente al problema delle denunce di responsabilità professionale verificabili, di fatto ben note patologie neoplastiche come i linfomi non Hodgkin, per la capacità di manifestarsi in diversi organi ed apparati extralinfonodali e per la sintomatologia clinica conseguente molto pleomorfa, sono in grado di ingenerare facilmente confusione diagnostica.

Identicamente i noduli primitivi polmonari, talvolta diversamente etichettabili e meritevoli, in ogni caso, di ulteriori approfondimenti diagnostici, i sarcomi dei tessuti molli, per l’indolenza delle forme morbose e la lentezza dell’evoluzione in moltissimi casi, alcune forme leucemiche croniche, facilmente confondibile, anche loro, con quadri clinici apparentemente similari e una serie di neoplasie di vario tipo, come i tumori testicolari o della prostata, per la loro frequente manifestazione a distanza in assenza, talvolta, di sintomatologia loco – regionale, rappresentano ipoteticamente tutte condizioni patologiche neoplastiche a rischio di errore diagnostico di tipo omissivo, anche se con diversa valenza e ricaduta prognostica, in cui si può teoricamente imbattere il medico legale accertatore.

Più che altro questo lavoro scientifico, attraverso la disamina di casi clinici esemplificativi, affrontati non in modo perfettamente circostanziato e specifico, ma riportati più o meno genericamente, quale utile spunto per il tema di volta in volta in argomento, vuole rappresentare un contributo concreto alla conoscenza delle caratteristiche intrinseche di talune comunque ricorrenti malattie neoplastiche e fornire un quadro d’insieme rapportabile alle problematiche diagnostiche oncologiche

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complessive e ai riflessi medico legali conseguenti di tipo prevalentemente omissivo verificabili.

Non da ultimo viene anche riportato qualche ulteriore spunto pratico relativo alle problematiche diagnostiche di talune patologie sia maligne che benigne, ovvero di natura non neoplastica, che si prestano, talvolta, a confusione diagnostica, come, ad esempio nel caso di talune presunte forme neoplastiche retroperitoneali che malgrado la codificata rarità delle neoplasie primitive retro peritoneali e malgrado la localizzazione talvolta esclusivamente linfonodale, sono talvolta diagnosticate come neoplasie primitive.

In molti casi, si tratta, invece, di problematiche cliniche di altro genere facilmente deducibili, sia di tipo neoplastico secondario, prevalentemente linfonodale, che benigne ovvero idiopatiche, come nel caso della relativamente rara fibrosi retroperitoneale idiopatica confondibile, sul piano istologico, nelle sue prime fasi di insorgenza, con un linfoma, ascrivibile, invece, sotto il profilo nosologico, vagamente nell’ambito delle cosiddette malattie del connettivo, stando alle ricerche più recenti in tal senso.

Tutto ciò può rappresentare di certo un problema relativo alla dimostrazione di una responsabilità professionale medica ma anche un reale campo d’indagine di tipo non più semplicemente valutativo medico legale ma soprattutto diagnostico e clinico.

La dottrina e la giurisprudenza assumono, in ogni caso, sempre un grande valore in tema di responsabilità professionale del medico.

In tal senso una pietra miliare nell’ambito della dimostrazione del nesso causale per la colpa professionale medica di tipo omissivo è stato quanto recepito e affermato nella cosiddetta Sentenza “Franzese” del 2002 quella poi destinata a fare giurisprudenza, in tal senso, di cui si riporta la massima:

Cassazione penale, Sezioni Unite,10 luglio 2002, n. 30328, Franzese Massime

In tema di reato colposo omissivo improprio, l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio [Cass. pen. 2002, 3643 nota (MASSA)]

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Il nesso causale, nell’ambito di un’ipotesi accusatoria, in base al disposto della predetta Sentenza, non si può basare sulle risultanze di una mera probabilità statistica o legge scientifica ma deve essere dimostrato sulla base delle circostanze del fatto e di quanto disponibile in termini di conoscenza concreta, escludendo, quindi, l’interferenza di fattori alternativi, in modo tale che in caso di condotta omissiva del medico la condizione necessaria per la dimostrazione dell’evento lesivo a carico del medico sia rappresentata da un “alto o elevato grado di credibilità razionale" o di "probabilità logica”.

Il nesso causale può essere dimostrato solo grazie ad un adeguato giudizio controfattuale, basato sulle regole generali dell’esperienza e sulle leggi scientifiche, in modo tale che considerandosi realizzata la condotta doverosa del medico l’evento dannoso non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato solo in epoche successive e con minore intensità.

“Causalità omissiva, responsabilità del medico, prova del nesso causale Cassazione penale , sez. IV, sentenza 03.10.2007 n° 36162

Causalità omissiva – responsabilità del medico – prova del nesso causale – criterio statistico – insufficienza – alta probabilità logica – necessità [artt. 40-41 c.p.]

Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.”.

Prosegue poi la sentenza:

“In tema di colpa professionale medica, specie con riferimento alle condotte omissive, l'interpretazione giurisprudenziale, da sempre caratterizzata da notevole e costante evoluzione, si è, negli ultimi anni attestata sui principi elaborati dalla Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza del 10.7.02 (Franzese) hanno affermato che:

"Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva".

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Le Sezioni Unite, quindi, hanno escluso che, ai fini dell'individuazione del nesso causale, si possa far riferimento esclusivamente o prevalentemente a dati statistici o a criteri a struttura probabilistica. Non dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica può, dunque, trarsi la conferma, o meno, della sussistenza del nesso di causalità. Sulla scia dei richiamati principi, è stato, altresì, precisato che l'individuazione del nesso causale non può avvenire in termini di certezza oggettiva, bensì di "certezza processuale". Il giudice, quindi, pur partendo dalle leggi scientifiche, e statistiche in particolare, è tenuto a verificarne l'adattabilità al caso concreto, prendendo in esame tutte le circostanze di fatto disponibili sì che, nella complessiva valutazione della vicenda e, tenuto conto della eventuale interferenza di fattori estranei, possa, o meno, ritenersi processualmente certo che la condotta omissiva del sanitario sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o

"probabilità logica".

Non bastano, quindi le statistiche per dimostrare l’esistenza del nesso causale logico fra condotta omissiva del medico ed evento lesivo, ma occorre un "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica" processualmente dedotta.

E’ questo l’indirizzo giurisprudenziale e dottrinario vigente in tema di responsabilità omissiva del medico.

La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione a cui fa riferimento la Sentenza precedente è, appunto la cosiddetta “Sentenza Franzese” del 2002.

Ad ulteriore specificazione si consideri una sentenza della Sezione IV penale del 22 gennaio del 2002, la N. 22568.

Si ribadisce ancora che in assenza di un adeguato giudizio controfattuale, ossia un ragionamento, alla lettera, opposto ai fatti, che sia in grado di dimostrare che, in caso di condotta medica omissiva, al verificarsi di un determinato evento lesivo, laddove tale omissione non si fosse realizzata, l’evento stesso imputato non si sarebbe a sua volta concretizzato, con un "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica", essendo, in ogni caso prevalente quanto si evince e si deduce dalla realtà processuale degli atti esistenti.

Di eguale tenore appare poi una Sentenza della Sezione Penale del Tribunale di Nola, più esattamente “Tribunale Penale di Nola Sentenza 20 ottobre 2004 - 14 dicembre 2004” che si richiama sempre alla sentenza “Franzese” delle sezioni unite della Cassazione, la n. 30328/2002, in cui viene espresso ulteriormente come nei reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione, il nesso causale, ancora una volta, si debba accertare mediante un giudizio contro fattuale che si basi su leggi scientifiche, tale da dimostrare che l’evento lesivo ascritto, con alta probabilità logica vicina alla

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certezza, non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoche successive e con minore intensità.

Si dimostra superato, in base alle predette sentenze della Cassazione il limite di probabilità, ovvero di serie e apprezzabili possibilità di successo legate all’ipotetico trattamento doveroso omesso, anche nel caso di coefficienti di relativa entità, talvolta stimabili in misura inferiore al 50%.

Si sottolinea, invece, ancora una volta l’esigenza di un giudizio controfattuale che basandosi su leggi scientifiche sia in grado di dimostrare che quel determinato evento lesivo non si sarebbe verificato senza l’omissione dell’agente, nell’ambito della responsabilità professionale del medico.

Similari, in tal senso, sono altrettante sentenze emesse in tempi più recenti, come la seguente:

“Condotta omissiva del medico: profili di colpa e nesso di causalità Cassazione penale , sez. IV, sentenza 03.10.2007 n° 36162”

La predetta Sentenza della Cassazione, nell’ambito della ricostruzione del nesso causale sottolinea l’importanza, insieme alla condotta omissiva del sanitario, di tutti gli altri elementi di conoscenza esplorabili, riguardanti l’evento morte o quello concernente le lesioni eventuali riportate dal paziente.

La malattia oggetto della discussione da cui è stato, quindi, affetto il soggetto leso, va ricostruita dalle sue origini fino al momento del manifestarsi dell’evento lesivo, in tutti i suoi aspetti sia fattuali che scientifici, onde poter meglio analizzare la condotta omissiva colposa attribuita al sanitario.

Tutto ciò viene appunto prospettato nel cosiddetto giudizio controfattuale, nell’ambito del quale si deve assumere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che se la condotta perita diligente e prudente richiesta fosse stata doverosamente compiuta, in luogo dell’omissione colposa invece verificatasi, l’evento lesivo ascritto non si sarebbe effettivamente realizzato o si sarebbe verificato successivamente e con minore intensità (v. Cass. pen. Sez. IV, 25-05-2005, n. 25233).

Nella ricostruzione, quindi, del nesso causale, non appare sufficiente una pur esaustiva e puntuale applicazione delle leggi statistiche scientifiche che governano la materia o la disciplina in essere, ma vanno unitamente considerate tutte le altre vicende ed emergenze esistenti nello specifico caso concreto considerato.

Le leggi statistiche vengono, quindi, a rappresentare solo uno degli elementi di cui si deve tenere conto ai fini del giudizio di merito (v. Cassazione penale, sez. IV, sentenza 02.02.2007, n. 4177).

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Si parla, altrimenti, di un giudizio fondato su un’alta probabilità fattuale logica ovvero di un giudizio basato realmente sulla specificità del caso concreto (Cass.

pen. Sez. IV, Sent. 20.09.2007 n. 35115).

In precedenza, prima della Sentenza Franzese, il nesso di causalità materiale, in base a talune sentenze, poteva essere ammesso anche nel caso che esistessero almeno 30% di probabilità, ovvero inferiori al 50% di salvare il paziente o di evitare il danno secondo le leggi scientifiche su basi statistiche, ciò che appare ribaltato in base ai più recenti ma ormai consolidati indirizzi giurisprudenziali in tema di condotta omissiva del medico.

Sotto il profilo epidemiologico, in termini di numero di denunce per casi di presunta responsabilità professionale, prevalgono, in campo oncologico, le neoplasie mammarie, largamente per problemi di ritardo diagnostico, con necessità conseguente, sotto il profilo medico legale, di valutare le conseguenze prognostiche dell’eventuale ritardo diagnostico verificatosi e la sua reale entità, non sempre facilmente individuabile, in base alle risultanze degli esami clinici e strumentali di volta in volta effettuati e allegati alla consulenza.

Come è possibile desumere dalle Linee Guida AIOM, “Mammella 2010”, in generale la prognosi dei tumori maligni della mammella non è da ritenersi particolarmente severa in senso generale, con percentuali complessive di sopravvivenza che nella gran parte sfiorano anche 80 – 90 % dei casi correttamente trattati, per tutti gli stadi.

Secondo le statistiche più recenti, tratte dai dati della letteratura scientifica di settore, relative alla sopravvivenza a 5 anni, ad esempio, anche in stadi localmente avanzati e perfino avanzati le neoplasie mammarie si giovano di una discreta prognosi globale ai fini della sopravvivenza.

Sono da ritenersi, in assoluto, sempre secondo le predette Linee Guida AIOM, “Mammella 2010”, prioritari i seguenti fattori prognostici e, più esattamente, nell’ordine:

 Dimensioni del tumore

 Stato dei linfonodi ascellari

 Grado istologico

 Attività proliferativa (Ki67)

 Tipo istologico

 Invasione vascolare peritumorale

 Stato di HER-2

 Stato dei recettori ormonali

 Età della paziente (< 35 anni: prognosi peggiore)

Sono, quindi, da ritenersi, in particolare, fattori principali prognostici, ai fini della sopravvivenza globale, per quanto tutto ciò sia motivo di approfondimento e discussione tuttora aperta, al riguardo, da parte degli esperti del settore, tutti i seguenti elementi di conoscenza istopatologici, nell’ordine così di seguito riportato:

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 il T, da T1 a T4, ossia le dimensioni del nodulo primitivo, in ordine crescente di severità, che è considerato elemento di assoluta rilevanza in ragione non solo esclusivamente dello stato di avanzamento locale della neoplasia ma anche e soprattutto, come da tempo codificato nella letteratura scientifica specifica del settore, quale importante fattore condizionante per gli altri, principalmente lo stato linfonodale N, esistendo una corrispondenza diretta e progressiva fra le dimensioni del T all’esordio e lo stato linfonodale N, con possibilità maggiori di sviluppo di localizzazioni secondarie linfonodali in ragione delle maggiori o minori dimensioni del T, anche se ciò non rappresenta una costante in assoluto, condizionando, in generale la relativa positività o negatività linfonodale, senza però dimenticare gli altri fattori prognostici esistenti;

 lo stato di N, cioè lo stato linfonodale, ossia la presenza o l’assenza di linfonodi positivi, acquisito anche con la ricerca del linfonodo sentinella, metodica attualmente pressoché standardizzata in quasi tutti i centri oncologici dedicati alle neoplasie mammarie e da ritenersi ormai quasi routinaria, per cui nel caso di positività linfonodale valutata all’esame istologico definitivo, EI definitivo, assume rilevanza prognostica anche la presenza di meno di 3 linfonodi positivi o di più di 3 linfonodi positivi, essendo stato considerato il limite di 4 linfonodi ascellari positivi, essenzialmente per le neoplasie mammarie dei QSE della mammella, lo spartiacque fra una prognosi favorevole e una prognosi man mano più severa, con ulteriori diversificazione prognostiche, da parte di taluni autori per un numero di linfonodi positivi superiore a 9 o per un numero ancora diverso, ciò che non trova piena condivisione e appare assai meno codificato rispetto al limite considerato di 4 linfonodi positivi, più classicamente accettato;

 lo stato recettoriale, soprattutto la positività dei recettori per gli estrogeni ER +, considerato fattore positivo prognostico in quanto indicante la ormonosensibilità della neoplasia mammaria e la possibilità di intervenire con farmaci antiestrogenici di sintesi, quelli di ultima generazione (Arividex) per il controllo delle recidive durante il follow up di controllo, con possibilità concreta di miglioramento della prognosi globale, mentre appare assodato in letteratura che uno stato recettoriale di ER negativo, ER -, rappresenti il maggiore fattore predittivo di recidiva della malattia neoplastica mammaria, tale da condizionare in senso negativo anche gli altri fattori prognostici quali T e N, soprattutto, anche se si ritiene che, di per sé, lo stato recettoriale sia un fattore prognostico meno importante rispetto allo stadio della malattia al momento della diagnosi; di minore rilevanza, a sua volta appare la positività dei recettori progestinici Pg rispetto alla presenza di ER; in realtà la mancanza di ormonosensibilità del

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tessuto neoplastico, prevalentemente indagata sul pezzo anatomico asportato per l’EI definitivo appare come un segno di indifferenziazione dello stesso, ovvero di maggiore aggressività e anaplasia relativamente al comportamento biologico della malattia neoplastica in atto;

 il grading della neoplasia, G1 – G3, con la testimonianza di un maggiore grado di indifferenziazione del tessuto neoplastico in caso di riscontro di un grading G3, manifestandosi una prognosi meno favorevole in tali casi, in quanto sempre segno di maggiore aggressività biologica della malattia neoplastica;

 la sopraespressione del recettore HER2 neu, ormai reputato consolidato fattore prognostico principale, presente in circa il 20 – 30 % delle neoplasie, avendo tale indice un effetto prognostico negativo, per cui il tumore mammario con tale positività risulta sensibile alla terapia con anticorpi monoclonali, a base di Trastuzumab e insensibile al trattamento con antiestrogeni;

 altri fattori prognostici da considerare meno importanti ai fini della sopravvivenza quali sono, ad es., gli indicatori di proliferazione, il numero di mitosi, l’indice di marcatura della timidina, labeling index, altri come Ki 67, MIB 1, ecc., ovvero degli indicatori di aggressività, come gli oncogeni c-Erb B-2, p53, Bcl2, e altri fattori di carattere immunoistochimico, come la ricerca delle citochine, ecc., tutti elementi da considerarsi assai meno dirimenti in senso prognostico, malgrado il proliferare delle ricerche in tal senso.

Altri aspetti essenziali da considerare relativamente alla prognosi della malattia neoplastica mammaria, soprattutto ai fini della valutazione medico legale di un eventuale ritardo diagnostico, sono ancora da ritenersi nell’ordine:

 la storia clinica naturale della neoplasia mammaria che indica, nella stragrande maggioranza di casi una notevole lentezza del processo di accrescimento del tumore mammario, con tempi medi variabili di molti anni di formazione di un nodulo mammario sospetto, comunque evidenziabile alla mammografia, reputata indagine cardine nello screening di massa del tumore mammario, che ha un potere di risoluzione di almeno cm 1 o poco meno, altrimenti non appare evidenziabile radiologicamente in ogni caso; ciò sottolinea la necessità conseguente per lo sviluppo e la manifestazione almeno strumentale di un tumore mammario di almeno 10

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anni in toto, tempo di latenza indispensabile al tumore per svilupparsi ed evidenziarsi clinicamente, avendo lo stesso nodulo tumorale tempi di raddoppio medi di circa 200 – 250 giorni, salvo nel caso che la neoplasia abbia raggiunto già dimensioni notevoli, per cui con un T > cm 1,5 – 2,00 possono anche necessitare tempi di raddoppio di 400 - 500 giorni complessivi (J. Michaelson e al. - Estimates of Breast Cancer Growth Rate and Sojourn Time from Screening Database Information - JOURNAL OF WOMEN’S IMAGING Volume 5, Number 1, 11–19 – 2003), il che da l’esatta misura delle possibilità terapeutiche in queste fasi, laddove, una volta che il nodulo mammario si sia reso evidente mammograficamente, ossia radiologicamente, e/o clinicamente, ovvero ci sia coincidenza e complementarietà fra indagini cliniche, ecografiche e mammografiche sulle caratteristiche dubbie o sospette di un determinato nodulo mammario, appare di relativa facilità affidare il prosieguo delle indagini strumentali agli esami istopatologici in grado di chiarire definitivamente il quesito diagnostico di certezza;

 l’individuazione della fase clinica o la conferma delle risultanze probanti dell’indagine radiologica eventualmente condotta, tali da rendere diagnosticabile la malattia neoplastica mammaria, manifestatasi o meno clinicamente; ciò serve, soprattutto, a far qualificare come dubbio o molto sospetto un nodulo mammario comunque localizzato; in questo caso va ritenuta indispensabile l’effettuazione di una biopsia escissionale del nodulo, restando l’agoaspirato indagine poco dirimente e gravata da un alto numero di falsi negativi, specie se non eseguita con tecnica ecoguidata; sotto tale punto di vista va considerato che, clinicamente sono da ritenersi segni e sintomi sospetti o certi diretti di malattia neoplastica mammaria, nelle prime fasi:

a) presenza eventuale di nodulo a margini piuttosto indistinti, indolente, abbastanza adeso ai piani sottostanti e poco mobile alle manovre palpatorie condotte secondo i canoni classici, ovvero la presenza di linfonodi palpabili in sede ascellare, o più semplicemente segni inequivoci all’ispezione come la retrazione del capezzolo o la pelle a buccia d’arancia, ecc.;

b) ricomparsa di una cisti, ovvero mancata scomparsa alla mammografia di una lesione cistica dopo agoaspirato del contenuto della stessa ed esame citopatologico anche negativo, ciò che appare un segno di malignità e dovrebbe indurre a ripetere l’esame più di una volta;

c) presenza di segni radiologi diretti, come un nodulo a contorni ancora indistinti e non capsulato, microcalcificazioni irregolari, vermiformi, puntiformi o pleomorfe, di dimensioni variabili, presenza di distorsioni dei tessuti circostanti, tanto per citare gli aspetti più noti, o anche ecografici;

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 lo stadio istopatologico definitivo, TNM secondo la classificazione per Stadi conseguito al momento dell’effettuazione dell’esame istologico definitivo sul pezzo anatomico;

 lo stadio istopatologico ipotetico al momento in cui era possibile effettuare già la diagnosi, ciò che, appunto, rappresenterebbe, in caso di mancata diagnosi, una colpa omissiva del clinico e/o del radiologo ovvero della relativa struttura di appartenenza, in base alle risultanze di taluna indagine clinica o mammografica antecedentemente effettuate e presente agli atti, ciò che rappresenta un’operazione tutt’altro che facile, trattandosi di un tipo di valutazione non oggettivabile interamente, per ovvi motivi, ma che, in qualche modo è possibile effettuare con ragionevole deduzione, per estrapolazione, conoscendo in generale i tempi di raddoppio della neoplasia e quelli catalogabili e applicabili al caso concreto, considerando quanto assunto con le risultanze di tutte le indagini di protocollo effettuate nell’ambito dell’esame microscopico condotto sul pezzo anatomico neoplastico asportato con l’intervento chirurgico;

 la sopravvivenza globale con le relative percentuali dopo l’effettuazione di tutti i presidi terapeutici effettuati o prescritti, di tipo chirurgico ovvero chemio e radioterapico od ormonale di tipo prevalentemente adiuvante, in esito, quindi ai trattamenti intrapresi o previsti, al momento effettivo della diagnosi,

 la sopravvivenza globale prevedibile o ipotizzabile grandemente se la diagnosi fosse stata effettuata più precocemente al momento della comparsa dei primi segni o sintomi da reputarsi indicativi quantomeno di approfondimenti diagnostici, con valutazione anche della relativa perdita di chance;

 l’entità reale del ritardo diagnostico conseguito, con valorizzazione delle indagini strumentali e, in particolare radiodiagnostiche eseguite in precedenza in caso di nodulo sospetto;

 le conseguenze di tale ritardo diagnostico sullo stato di avanzamento della malattia neoplastica e, in definitiva sulla prognosi globale quoad vitam della malattia, fra il momento in cui era possibile formulare una diagnosi o indicare come sospette le caratteristiche di un nodulo, per ulteriori approfondimenti diagnostici, e il momento dell’effettiva diagnosi, con un bilancio, in definitiva delle percentuali di sopravvivenza nel primo caso e nel secondo e la quantificazione dell’aggravio prognostico in termini di minori percentuali di sopravvivenza globale;

 le conseguenze di tale ritardo diagnostico ai fini delle necessità evidenziata di trattamenti terapeutici più aggressivi e radicali di quelli altrimenti dovuti, con la quantificazione del danno emergente e del danno biologico conseguente dovuto agli stessi trattamenti meno conservativi attuati.

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Caso clinico n. 1 - Esempio

Fra i tumori primitivi maligni della mammella un posto di un certo rilievo, specie per le implicazioni terapeutiche, è occupato dai sarcomi della mammella, un istotipo, non particolarmente aggressivo se non nelle sue forme più indifferenziate che rappresenta meno del 1 % di tutte le neoplasie mammarie maligne considerate, circa lo 0,5 % secondo alcune statistiche del settore (G. P. Andreoletti - I Sarcomi Mammari – Senology Oncology and women’s health – Internet, www.senology.it, stampato dicembre 2011).

Nell’ambito invece dei tumori cosiddetti benigni della mammella merita una mensione, non tanto ai fini epidemiologici quanto per le peculiarità istologiche e cliniche della patologia stessa sicuramente il cistosarcoma filloide o fibroadenoma gigante o tumore filloide che dir si voglia, in considerazione anche del fatto che esistono ben 65 diversi sinonimi della stessa malattia, anche in rapporto alle differenze esistenti non sempre così demarcate rispetto ai pur rari sarcomi della mammella, ovvero per le similitudini cliniche e le caratteristiche di accrescimento, per cui, talvolta la diagnosi differenziale fra le due forme di tumore è solo istopatologica.

Entrambe le predette forme, peraltro hanno l’attitudine ad un accrescimento eminentemente locale, con la possibilità di raggiungere dimensioni ragguardevoli (David V. Feliciano - Cystosarcoma phyllodes tumor - Arch Surg. 2001;136:475-477.), con un più rapido accrescimento per i tumori filloidi, e con la mancanza di localizzazioni secondarie linfonodali, come del resto accade tipicamente per i sarcomi primitivi dei tessuti molli, in generale.

Un esempio pratico dell’evoluzione della malattia può illuminare sulle caratteristiche cliniche del sarcoma, relativamente alle difficoltà diagnostiche esistenti e, soprattutto in rapporto alle possibilità terapeutiche e ai profili di eventuale responsabilità professionale inerenti.

Una donna di circa 45 anni viene trovata affetta da una neoplasia mammaria, datata da qualche anno, con evidenza di una grossa neoformazione mammaria sinistra delle dimensioni riscontrate di circa cm 16, 00 nel suo diametro massimo.

Un’agobiopsia della lesione consente di formulare la diagnosi di “sarcoma primitivo della mammella” senza che null’altro venga opportunamente specificato nell’esame istologico.

Viste le caratteristiche cliniche e topografiche della voluminosa neoformazione, dopo esame TC del torace si evidenzia un’invasione locale notevole, con coinvolgimento anche dei piani muscolari sottostanti mammari e dei muscoli piccolo e grande pettorale.

Vengono anche effettuati dei cicli di chemioterapia neoadiuvante, a due riprese, che producono inizialmente una riduzione della dimensioni della massa in toto ma a cui successivamente la paziente non risponde più, con scarso beneficio complessivo finale.

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Dopo una visita chirurgica la neoplasia mammaria viene ritenuta inoperabile per cui non di procede a nessun tipo di trattamento, al di fuori di banali cure di supporto e a qualche trasfusione per correggere lo stato anemico incipiente.

In effetti sulla grossa neoformazione mammaria si è prodotta una lesione necrotico – ulcerativa saniosa che non manifesta alcuna tendenza a cicatrizzare, con continue perdite siero – ematiche e, quindi, stato anemico consensuale.

Le condizioni generali della paziente sono defedate ed è presente, come indicato un quadro anemico e disprotidemico.

La paziente ha trascurato di andare dal medico per lungo tempo.

Non sono presenti metastasi a distanza né linfoadenopatie ascellari satelliti.

A distanza di qualche mese dalla visita che accerta le condizioni precedentemente descritte avviene l’exitus della paziente.

Si potrebbero nella fattispecie individuare vari profili di responsabilità, come si evidenzierà successivamente.

E’ da considerare che nella stragrande maggioranza dei casi le neoplasie mammarie sono di origine epiteliale e derivano dall’unità ghiandolare duttulare – lobulare.

In meno del 1% dei casi i tumori mammari sono di origine mesenchimale, trattandosi nel caso specifico di sarcomi.

Dal punto di vista istopatologico le varietà maggiormente rappresentate, nel caso dei sarcomi, sono il rabdomiosarcoma e il liposarcoma, oltre all’angiosarcoma e al cistosarcoma filloide maligno.

Si tratta in genere di masse piuttosto voluminose che tendono rapidamente ad infiltrare i muscoli circostanti.

Di un certo interesse, in tal senso è un articolo dal titolo tradotto “Angiosarcomi” – da Emedicine Internet – B. Carsi e al. – 27 gennaio 2006.

E’ possibile formulare la diagnosi in base alle caratteristiche anamnestiche, dell’accrescimento del nodulo tumorale mammario, piuttosto rapide, verosimilmente nello spazio di tempo di qualche mese o di qualche anno, in rapporto alle risultanze dell’esame obiettivo locale, con evidenza finale di una grossa massa adesa ai piani sottostanti, occupante quasi tutti i quadranti mammari in assenza di localizzazioni secondarie linfonodali, e con il conforto, in tal senso, degli esami strumentali come l’ecografia e la mammografia.

La diagnosi definitiva viene, in ogni caso, stilata mediante l’esame istologico definitivo, assunto su un’agobiopsia o biopsia escissionale, in rapporto alla grandezza raggiunta dalla massa mammaria.

Per il sarcoma della mammella non trovano indicazione né la radioterapia né la chemioterapia, essendo le cellule tumorali insensibili a tali tipi di trattamento.

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La terapia di scelta è sempre in particolare quella chirurgica.

Poiché la disseminazione a distanza del tumore avviene, nelle fasi avanzate, solo per via ematogena e non per via linfatica, come già accennato, non si osservano metastasi linfoghiandolari, per cui l’intervento chirurgico non prevede la dissezione dei linfonodi ascellari omolaterali.

In base al pensiero corrente di molti autori italiani e di alcuni anglosassoni i sarcomi della mammella non si gioverebbero né della chemio né della radioterapia adiuvanti ovvero neoadiuvanti, ma ciò appare confutabile in base agli ultimi più recenti studi sull’argomento che evidenzierebbero, invece una reale utilità sia della terapia adiuvante che di quella neoadiuvante con antiblastici, secondo specifici schemi o protocolli di utilizzo.

In effetti secondo molti autori anglosassoni tale tipo di impostazione terapeutica iniziale si rivela non del tutto corretta, perlomeno sotto il profilo della pianificazione terapeutica.

Ciò appare, ad es., in un articolo di Carla Lilaia, Ferro Pereira, Saudade André, Beatriz Cabrita, dal titolo: Breast Angiosarcoma - The Internet Journal of Gynecology and Obstetrics. 2007. Volume 6 Number 2.

I sarcomi primitivi della mammella sono dei tumori poco comuni che rappresentano dallo 0,5 al 1 % delle neoplasia mammarie maligne.

In realtà gli stessi rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie sotto il profilo istopatologico. Una diagnosi citopatologica e clinica preoperatoria, sebbene sia possibile in un certo numero di casi, usualmente non è conseguita sia per la gli aspetti clinici similari delle varie forme morbose di sarcoma con le comuni patologie mammarie, che per il basso indice di dubbio in merito relativo, confondendosi, quindi con le neoplasie mammarie più frequenti come gli adenocarcinomi.

Importante appare, quindi, per la conoscenza della storia naturale dei sarcomi mammari un articolo di Blanchard DK, Reynolds CA, Grant CS, Donohue JH dal titolo “Primary nonphylloides breast sarcomas.” - Am J Surg. - 2003 Oct;186(4):359-61.

L’aspetto dimensionale di una massa neoplastica di 14 – 15 cm, che occupa la gran parte della mammella affetta, appare abbastanza usuale per i sarcomi, con iniziale mobilità e dolore, nelle fasi iniziali della malattia, e successivo ingrandimento repentino della massa neoplastica e coinvolgimento ed aderenza ai piani muscolari sottostanti, con cute ulcerata e secernente nelle fasi avanzate.

E’ possibile un trattamento preoperatorio neoadiuvante, con 3 – 4 cicli d’induzione con una combinazione di Ciclofosfamide, Adriamicina e 5 florouracile (5 FU), con possibilità di buona risposta terapeutica.

In definitiva nel caso dei sarcomi della mammella si tratta di un gruppo altamente eterogeneo di tumori nella maggior parte dei casi rappresentato da:

 istiocitoma maligno fibroso;

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 fibrosarcoma, liposarcoma e

 i meno comuni angiosarcomi, rabdomiosarcomi, dermato - fibrosarcomi, condrosarcomi, tumori dermoidi, ecc.

Capitano prevalentemente in donne di oltre 40 anni e non c’è usualmente infiltrazione cutanea neoplastica, risultando le ulcerazioni sopravvenute conseguenti, causalmente dovute o a interventi chirurgici di tipo bioptico o ad altro genere di interventi o, in definitiva, quindi, generate per scarsa irrorazione della massa neoplastica, ossia di tipo distrofico.

La chirurgia rimane, in questi casi il migliore e principale presidio terapeutico.

I trattamenti integrati multimodali, con chemio e radioterapia a scopo neoadiuvante o adiuvante possono diminuire il rischio di ricaduta loco – regionale e sistemica dei sarcomi primitivi ma non sono affatto risolutive in pazienti con sarcomi mammari.

La prognosi globale è più favorevole nei casi di bassa atipia cellulare e basso indice mitotico che sono poi quelli che rispondono meglio alla chemioterapia.

In conclusione i sarcomi mammari si giovano di un diverso piano terapeutico rispetto agli adenocarcinomi della mammella, con una evidente negatività recettoriale estrogenica del tessuto neoplastico.

Di carattere generale, poi, e di buon spessore si può considerare un articolo dal titolo “Primary breast sarcoma: clinicopathologic series from the Mayo Clinic and review of the literature”, di C. Adem e al. - British Journal of Cancer (2004) 91, 237–241.

Nella letteratura anglosassone l’incidenza dei sarcomi mammari viene prevista fra lo 0,7 e l’1,0 % dei casi con prevalenza nella maggior parte degli angiosarcomi rispetto alle altre forme neoplastiche sarcomatose.

Vengono da taluni descritti come masse a rapido accrescimento, mobili sui piani sottostanti, con facilità alla metastatizzazione a distanza, specie per le forme a più alto indice di aggressività e malignità ovvero più indifferenziate.

L’esordio clinico è dato dal dolore, da una massa palpabile e mobile, dal mancato coinvolgimento cutaneo e linfonodale ascellare.

In effetti gli aspetti clinici sono quelli tipici del fibroadenoma.

In realtà un rapido ingrandimento di una massa indolente dovrebbe far porre il serio sospetto dell’esistenza di un sarcoma primitivo mammario.

Le indagini diagnostiche correlate sono le stesse esistenti per i noduli mammari in generale.

Alla mammografia si rilevano aspetti non sempre peculiari ed esemplari, essendo soprattutto tipico l’aspetto mammografico di una massa densa a margini irregolari e indistinti.

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Tra l’altro un aspetto piuttosto addensato del parenchima mammaria può oscurare la presenza di un nodulo a sua volta denso e a margini indistinti.

Nell’ambito delle ricerche istopatologiche e immunoistochimiche può essere utile la positività rilevata per alcuni tipi di reattivi contenenti anticorpi anti vimentina, proteina S 100, HMB – 45 CD 31, CD 34, actina, desmina e citocheratine, per le varie componenti di tipo mesenchimale, neuronale, endoteliale, vascolare, muscolare ed epiteliale, nell’ordine indicato in precedenza dei marcatori.

Il picco d’incidenza della neoplasia riguarda la V^ decade di vita, ben due – tre decadi oltre quella tipica del fibroadenoma presente, quindi, in età giovanile.

Sotto il profilo ecografico l’aspetto del nodulo è simile, ovvero indistinguibile, da quello del fibroadenoma.

Visto il numero ridotto di casi esistono pochi trials clinici relativi ai trattamenti terapeutici.

Come detto per la maggior parte degli autori il gold standard del trattamento è dato dall’asportazione chirurgica radicale.

Si preferisce la mastectomia semplice totale senza linfoadenectomia, con un margine libero da malattia preferibilmente compreso fra i 2 e i 3 cm.

Un coinvolgimento ascellare linfonodale rappresenta il segno suggestivo di una disseminazione a distanza e soprattutto di rapida progressione della malattia.

Il ruolo della chemioterapia e radioterapia adiuvante è discusso.

La prognosi è senz’altro migliore per dimensioni della neoplasia inferiori a cm 5, essendo da considerarsi trascurabili tutto gli altri fattori prognostici.

Sono stati distinti 4 precisi sottogruppi con diversi patterns di risultati prognostici:

 pazienti con massa neoplastica resecabile, anche per le localizzazioni primitive asportabili presenti a distanza;

 pazienti con sincronismo del tumore primitivo e malattia a distanza;

 pazienti con situazione di trattamento solo locale ma con lesione apparentemente non resecabile in modo radicale, ovvero con fallimento del trattamento locale;

 pazienti con situazione di trattamento di malattia diffusa incurabile.

La prognosi dei primi due gruppi è sicuramente migliore sia per il controllo locale della malattia che per la sopravvivenza globale.

Circa i protocolli terapeutici attuabili alcuni autori suggeriscono la radioterapia adiuvante dopo la chirurgia con margini di resezione liberi, ai fini della prevenzione delle ricadute.

Talvolta, come nel caso dell’angiosarcoma, la radio e la chemioterapia adiuvante utilizzate dopo chirurgia conservativa possono scatenare recidive più aggressive del tumore primitivo.

La chemioterapia ha dimostrato un effetto positivo sul prolungamento dell’intervallo libero da malattia.

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In ogni caso la chirurgia si dimostra in grado, ove realmente radicale, di assicurare il controllo locale della malattia.

Fra i fattori prognostici principali vanno considerati degli aspetti istopatologici come il contorno della neoplasia, se pseudocapsulato, infiltrante o indeterminato, e il grado di malignità, ovvero il grado di atipia cellulare se di tipo basso o medio, +, o alto, ++, o molto elevato, +++., determinato in base al numero di mitosi per campo.

In pratica sono il grado di malignità e le dimensioni della neoplasia che influenzano l’esito del trattamento ed è ancora possibile offrire terapie efficaci, in base all’esperienza degli studiosi, in relazione alle evenienze di localizzazioni diverse nella altre parti del corpo, valide anche per i sarcomi mammari.

Vengono peraltro riferiti casi in letteratura di plurime recidive loco – regionali per sarcomi indifferenziati della mammella, con possibilità terapeutiche ancora aperte, ad es., per un sarcoma indifferenziato della mammella complicato anche da metastasi ascellari linfonodali, già in precedenza asportati, ma senza il controllo dei margini liberi, con la presenza di una massa di circa 13 cm di diametro adesa ai piani muscolari, segnatamente con coinvolgimento del muscolo grande pettorale, in cui è stato effettuato un intervento chirurgico di mastectomia totale radicale a margini liberi di resezione, seguita da ricostruzione della parete toracica e successivi cicli di chemioterapia adiuvante.

Ciò rende bene l’idea che non sia impossibile asportare masse di tali dimensioni anche aderenti alle strutture muscolari sottostanti.

Sono state quindi eseguite le chemioterapie a scopo adiuvante, dapprima con vincristina + adriamicina + ciclofosfamide, 3 cicli, e successivamente ifosfamide ed etoposide + radioterapia adiuvante 5.140 cGy, con intervallo libero di 12 mesi ed exitus in 14 mesi, per malattia metastatica secondaria.

Si trattava in ogni caso di un sarcoma indifferenziato già trattato in precedenza in modo inappropriato ed escisso interamente, comunque, malgrado le notevoli dimensioni raggiunte e l’infiltrazione dei piani sottostanti muscolari.

Peculiari, peraltro, appaiono le caratteristiche del cistosarcoma filloide o tumore filloide della mammella, per le sue analogie cliniche con il sarcoma primitivo mammario, come si desume da un articolo di Donald R Lannin e al., dal titolo

“Cystosarcoma Phyllodes” apparso ancora su emedicine, (emedicine.medscape.com - internet), ultimo aggiornamento 12 giugno 2006.

L’esordio clinico tracciato nell’ anamnesi è contraddistinto, di solito, dalla comparsa di un nodulo mammario, associato a dolore, ovvero di una massa palpabile della mammella, sviluppatasi in un lasso di tempo breve o brevissimo, come un paio di settimane, in soggetti di sesso femminile con familiarità negativa per i carcinomi della mammella, di età di 45-46 anni, atteso che lo stesso tumore filloide ha pure un picco d’età fra i 14 – 15 anni di vita, in giovani donne.

La mammografia rivela, così, la presenza di un nodulo delle dimensioni di circa 4,5 – 5,00 cm senza calcificazioni, al fotogramma.

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L’ecografia evidenzia, in genere la presenza di una massa circoscritta macro lobulata, ecograficamente eterogenea, al suo interno, con un enhancement positivo posteriore, agli echi.

All’esame con agoaspirato, ben condotto e preferibilmente ecoguidato, è possibile evidenziare la presenza di sole cellule benigne che appaiono suggestive o della presenza di un fibroadenoma mammario o di un tumore filloide.

In genere si sottopone la massa ad escissione o viene pianificato l’intervento per una mastectomia semplice in corso di ricovero.

La massa delle dimensioni riferite appare al taglio macroscopico di aspetto trabecolato.

L’esame microscopico rivela invece la presenza di tessuto stromale con bordi circoscritti. Qualche nucleo appare pleomorfo e ci sono sporadiche mitosi, approssimativamente circa 5 o più di 5 per campo.

Laddove presenti esse rivelano la presenza di un tumore filloide maligno.

In pratica il tumore filloide, precedentemente descritto da J. Muller nel 1838 come cistosarcoma filloide, rappresenta meno del 1 % dei tumori mammari e circa il 2 – 3 % dei tumori fibroepiteliali della mammella.

Il tumore filloide è composto da elementi epiteliali e da tessuto connettivo simile a quello del fibroadenoma, ma il tumore filloide ha una cellularità altamente stromale.

Normalmente si verifica fra i 40 e i 50 anni di vita mentre il fibroadenoma è comune in donne di 20 – 30anni.

Clinicamente i pazienti presentano una massa dolorosa che rapidamente si ingrandisce e che può anche raggiungere dimensioni considerevoli.

Occasionalmente si può verificare l’ulcerazione cutanea dovuta allo stiramento conseguente e al deficit nutrizionale legato alla grandezza della massa tumorale.

La presenza di materiale fluido filloide, l’allargamento degli spazi dentro una massa solida, sono tutti suggestivi della presenza di un tumore filloide ma non sono patognomonici relativamente alla diagnosi.

La diagnosi preoperatoria di tumore filloide con agoaspirato è controversa per la sostanziale similarità citologica esistente con il fibroadenoma.

Possono capitare casi di falsi positivi di carcinoma.

Dovrebbe quindi essere condotta un’indagine istopatologica per confermare la diagnosi.

E’ la presenza della componente stromale che consente la diagnosi e la tipizzazione.

Normalmente il tumore filloide è benigno, ma in circa il 20 – 50 % dei casi è maligno istologicamente.

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Le caratteristiche di malignità comprendono l’attività mitotica, la componente stromale accentuata relativamente alle strutture ghiandolari, le atipie citologiche, l’incremento dell’invasione periferica con infiltrazione dentro i tessuti adiacenti.

Le metastasi a distanza si verificano in meno del 20 % dei casi se il tumore viene escisso in maniera incompleta.

Non è indicata l’asportazione dei linfonodi ascellari satelliti.

Una combinazione di chirurgia, radioterapia e chemioterapia, e anche di terapia ormonale è controversa relativamente alle forme maligne di tumore filloide.

Radiologicamente si tratta di un’opacità circoscritta, a margini netti, più frequentemente di grosse dimensioni, a bassa densità, con presenza occasionale, talvolta, di grossolane calcificazioni.

Da un altro articolo di Trent II JC 2nd, Benjamin RS, Valero V, dal titolo “Primary soft tissue sarcoma of the breast”, apparso su Curr Treat Options Oncol. 2001 Apr;2(2):169-76, è possibile desumere ulteriori conoscenze terapeutiche in tema di sarcomi primitivi della mammella.

Il sarcoma della mammella ha una estrema variabilità di dimensioni e anche esso una crescita rapida, variando le dimensioni da 1 a 30 cm di diametro.

La migliore e completa escissione chirurgica, con una mastectomia totale per le forme di maggiori dimensioni, rappresenta il migliore trattamento in assoluto, riservando la chemioterapia e la radioterapia adiuvanti a casi selezionati.

In un caso segnalato in letteratura lo sterno invaso è stato asportato con ricostruzione successiva della parete toracica con plastica che utilizzava il muscolo latissimo dorsale e pezzi di cute di altre regioni del corpo, con un intervento di chirurgia plastica.

Anche la chemioterapia neoadiuvante può essere utilizzata nei sarcomi della mammella ad alto grado di malignità utilizzando un protocollo a base di epirubicina e ifosfamide, in caso di masse di grosse dimensioni.

Si tratta spesso di sarcomi che infiltrano la pelle e la parete toracica, oltre ai muscoli grande e piccolo pettorale, come può essere evidenziato dalla RM toracica, con dimensioni maggiori di cm 10 nel diametro maggiore.

Con cicli di chemioterapia adiuvante, secondo protocollo, in numero di 4, è possibile ottenere una riduzione della massa neoplastica pari o superiore a circa il 20 % del tessuto totale, anche con scomparsa delle localizzazioni linfonodali ascellari.

Con questo tipo di trattamento seguito da mastectomia totale radicale è stato in qualche caso possibile ottenere un intervallo libero da malattia, con controllo sia locale che a distanza, pari a ben 44 mesi di sopravvivenza e con possibilità seguenti di guarigione clinica.

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Alla luce di tutto quanto sopra esposto, nel caso clinico in precedenza rappresentato in modo esemplificativo, con una massa di diametro maggiore pari a cm 16, è possibile ipoteticamente considerare i seguenti profili di responsabilità nei confronti dei sanitari che ebbero, sia negli esordi che nella progressione di malattia, in cura la paziente risultata affetta da sarcoma mammario primitivo:

 non aver precocemente e prontamente individuato e diagnosticato il sarcoma mammario, permettendo allo stesso di raggiungere le ragguardevoli dimensioni indicate con infiltrazione dei mm grande e piccolo pettorale e anche la parete costale;

 non aver considerato il rapido accrescimento della massa neoplastica che da solo poteva indicare la presenza tipicamente di una forma sarcomatosa primitiva;

 non aver nemmeno provveduto ad effettuare, nella fasi precoci della crescita della massa una biopsia escissionale o nodulectomia, da eseguire sempre con conservazione dei margini liberi, onde evitare successive possibili ricadute;

 non aver provveduto ad una formulazione piena della diagnosi istopatologica, indicando l’esatto tipo di sarcoma individuato, dapprima utilizzando una biopsia escissionale e successivamente almeno con agobiopsia, essendo la biopsia incisionale sconsigliata per il rischio di disseminazione, ciò che avrebbe consentito sia la diagnosi istologica di sarcoma che di stabilire, in particolare, il grado di malignità, se basso, intermedio o alto, onde procedere ad una adeguata strategia terapeutica;

 aver reputato la neoplasia mammaria sarcomatosa in atto inoperabile, in assoluto, a fronte dell’infiltrazione individuata dei mm grande e piccolo pettorale e parete costale, mentre, al contrario la stessa parrebbe ancora suscettibile di trattamento chirurgico radicale con mastectomia totale radicale, a margini di resezione liberi, con successiva ricostruzione chirurgica plastica della parete toracica utilizzando il m. latissimo dorsale o lembi cutanei di altre regioni, apparendo in ogni caso il problema solo di natura tecnica e non prognostica, ai fini di trattamento chirurgico, essendoci, da ultimo, la possibilità di conseguire ottimi risultati terapeutici a fini prognostici;

 non aver considerato l’importanza della riduzione della massa dopo l’effettuazione della chemioterapia, ai fini dell’esecuzione di un successivo intervento di mastectomia, ovvero di non aver considerato l’utilità della chemioterapia neoadiuvante ai fini del trattamento chirurgico radicale.

Occorre altresì considerare, a latere del problema diagnostico del sarcoma della mammella, che non è del tutto infrequente la circostanza che lo stesso venga trattato come un comune adenocarcinoma mammario, non avendo, in tal caso, i sanitari che hanno in cura nell’occasione la paziente opportunamente sottoposto la neoplasia a

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tipizzazione istologica, previa biopsia incisionale, visto peraltro l’aspetto macroscopico del tumore e le sue considerevoli dimensioni che non parrebbero, in apparenza, far sorgere dubbi di sorta circa la sua malignità e origine di carcinoma mammario tout court, vista l’estrema frequenza dello stesso in rapporto alla nota rarità del sarcoma mammario, evidentemente meritevole, invece, di un diverso approccio diagnostico e terapeutico.

Caso clinico n. 2 - Esempio

Un secondo problema, ai fini di eventuali ritardi diagnostici, è sicuramente costituito dalla presenza ipotetica di un nodulo polmonare solitario ad una radiografia standard toracica.

Interessanti spunti di conoscenza sull’argomento si possono trarre da un articolo di R. Silvestrini, dal titolo “Diagnostica per immagini” - Basi Scientifiche Linee Guida : Documenti : 2.0 DIAGNOSTICA PER IMMAGINI – Ministero della Salute – Internet: www.iss.it – stampato dicembre 2011, in cui viene affrontato in maniera esaustiva il problema della precoce individuazione di un nodulo solitario polmonare sospetto mediante tecniche radiologiche d’immagine.

La gestione del nodulo solitario polmonare (NSP) rappresenta sicuramente uno dei maggiori problemi di Radiologia Toracica.

In effetti l’avvento delle nuove tecnologie, TC spirale multistrato, diagnosi assistita dal computer (CAD), PET, invece di contribuire a definire uno standard di protocollo operativo diagnostico ha dato luogo ad ulteriori controversie.

Non è infrequente riscontrare tale tipo di anomalia radiologica toracica nel corso delle attività diagnostiche d’imaging.

Annualmente in USA vengono scoperti 150.000 nuovi NPS, ossia 1 ogni 500 radiogrammi, ferma restando anche la loro ricerca sistematica nell’ambito dello screening del carcinoma bronchiale.

La definizione di NSP è riferita al riscontro di una “opacità di diametro uguale o inferiore a cm 3 circondata da polmone areato…”.

Risalta già un aspetto fondamentale che è appunto il fatto che una massa > cm 3 si possa reputare un nodulo con alta probabilità di malignità, fra il 93 e il 99 % dei casi, mentre noduli di dimensioni fra cm 1-3 hanno fra il 20 e il 40 % di possibilità di essere maligni e, infine, noduli di grandezza < cm 1 hanno una probabilità ancora più bassa di essere maligni, da 1 - 3 % fino al 28 %, secondo le diverse statistiche del settore.

In poche parole, i NPS di piccole dimensioni sono da ritenersi benigni nella stragrande maggioranza dei casi, essendo di riscontro occasionale e necessitando, in ogni caso di inquadramento e di tipizzazione sotto il punto di vista istologico.

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L’indagine radiologica, sia con la radiografia standard che con la TC, inoltre, è molto più attendibile per i NPS di grosse dimensioni che per quelli piccoli, essendo al massimo in grado di individuarne l’esistenza.

E’ anche da considerare che la presenza di NPS è sicuramente più frequente nell’anziano di età maggiore di 70 anni, per cui in tali soggetti un eventuale intervento chirurgico è a maggior rischio nel 32 % dei casi e controindicato nel 19 % dei casi.

Il gol standard della ricerca radiologica del NSP è rappresentata dalla TAC spirale multistrato.

Nonostante le buone performances della tecnica, i falsi negativi variano fra il 20 e il 39 % dei casi.

I segni radiologici da considerare rispetto alla presenza di NPS sono da ritenersi i seguenti:

 le dimensioni dei noduli, essendo come già detti, quelli più piccoli anche i più difficili da tipizzare, per cui i problemi dei radiologi sono legati all’individuazione e alla tipizzazione dei noduli, aspetti che non sono concordanti ma antitetici sotto il profilo dell’indagine diagnostica;

 densità media, per cui NPS con densità uguale o superiore a 164 Uh sono con alta probabilità benigni, così come quelli con enhancement > 1° Uh hanno elevata probabilità di malignità;

 tempo di duplicazione: è noto che TD pari o < a 20 giorni, sono indicativi della presenza di un processo flogistico, mentre una lesione benigna ha un TD maggiore di 450 giorni e infine una lesione maligna ha un tempo di raddoppio variabile fra 30 e 400 giorni, anche se in base all’esperienza ciò non appare sempre così veritiero; il problema principale è rappresentato dalla possibilità di effettuare dei confronti per valutare l’accrescimento, ovvero la mancanza di modificazioni della lesione sospetta, ossia del NPS sospetto, sia con eventuali radiografie precedenti che con indagini dello stesso genere ripetute a distanza congrua di tempo, sempre per confronto; questo non rappresenta in assoluto un criterio certo sia perché non è detto che il paziente si voglia sottoporre con regolarità ad un follow up biennale, come richiesto, sia perché i tempi di raddoppio delle neoplasie mediamente variano fra fumatori e non fumatori, essendo di ben 813 giorni nei non fumatori, ossia più del doppio che per i fumatori;

 margini e parenchima adiacente, essendo i contorni speculati e l’alone a vetro smerigliato, associati eventualmente a ispessimento e/o retrazione della pleura, segni indicativi di malignità;

 il grado di omogeneità, potendo la disomogeneità assumere diversi significati, per cui la presenza di tessuto adiposo e di calcificazioni assumono sempre un significato benigno, con la possibilità di diagnosi di amartoma in caso di rilievo della presenza di grasso all’interno della lesione;

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