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Disciplina dell’insolvenza e recessione economica: un punto di vista austro-libertario - Judicium

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Academic year: 2022

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VALERIO TAVORMINA

Disciplina dell’insolvenza e recessione economica: un punto di vista austro-libertario1

1.- Le istituzioni ostacolano la ripresa economica

Fattore determinante nel differire anche di vari anni la ripresa economica dopo la fine di un boom non è un atteggiamento psichico di imprenditori e consumatori, come è apparso credere il prof.

Monti con la sua celebre frase “la ripresa è dentro di noi” (che ha ragionevolmente indotto un blog- ger ad invocare: “levateje er vino”).

Nell’ambito del modello austro-libertario, che è l’unico razionalmente descrittivo dell’attività eco- nomica, anziché autoritariamente prescrittivo dei relativi comportamenti (con risultati sempre de- vianti dagli obiettivi dichiarati, benché magari consonanti con quelli in realtà perseguiti), avvertiva invece Colombatto nel 2005 (22 ss.) che giocano senz’altro un importante ruolo i costi di smantel- lamento dei cattivi investimenti indotti dal boom, che hanno immobilizzato capitale ora da converti- re a più produttivi impieghi; ma che tali costi non possono spiegare da soli l’intensità e la durata della conseguente recessione, che vanno invece ascritte al fattore istituzionale (sul ruolo delle istitu- zioni ancora Colombatto 2011, 53 ss. e passim).

E’ l’intervento del governo di ogni livello (locale, statale e sovranazionale) a bloccare la ripresa, cedendo – per mantenere l’indispensabile consenso elettorale – alle pressioni di coloro che durante il boom hanno goduto di remunerazioni non più compatibili con la produzione di ricchezza: siano essi lavoratori dipendenti che esigono mantenimento di attività in perdita (a cominciare da quella parte di attività della mano pubblica che è puramente sostitutiva di sussidi di disoccupazione, per continuare con quella privata non più remunerativa), perpetuando ed aggravando le barriere all’ingresso nel mercato del lavoro; siano essi lavoratori autonomi (dai tassisti ai farmacisti) arroc- cati sulla restrizione della competizione economica; siano essi imprenditori divenuti submarginali, che invocano credito e protezione contro i creditori, alla ricerca di rendite con il consumo coatto di capitali altrui2.

A quest’ultimo proposito, dalla grande crisi del 1929 in poi è venuto a stratificarsi un apparato nor- mativo di sostegno e protezione delle imprese decotte, del quale è tutta da dimostrare la razionalità economica.

Non che una legislazione fallimentare (dacché anche questa, come dirò, mi pare rappresenti un o- stacolo alla conversione degli investimenti) e concordataria non esistesse anche prima (e da vari se- coli in Italia, esportata poi in tutta Europa: Rossi, 4 ss.3); ma non è certo un caso che l’antesignano normativo del tanto celebrato chapter 11 della legge fallimentare statunitense, ossia di quello stru- mento che permette al debitore insolvente, anche tramite l’interruzione di una procedura fallimenta- re già in essere, di continuare la propria attività sgravandosi di grosse percentuali dei suoi debiti con l’assenso della sola maggioranza dei suoi creditori (ed a decorrere dal 1978, soltanto di quelli votan-

1 Sono in debito con il prof. Colombatto sia per l’origine di queste mie riflessioni che per le sue successive osservazioni;

ogni carenza nel farne uso è ovviamente solo mia.

2 E’appena il caso di avvertire che consumo coatto di capitali altrui si ha anche nel caso di capitali ottenuti con un addi- zionale credito (fiduciario) bancario, che gonfia la massa monetaria sottraendo potere d’acquisto reale a tutti i non sov- venzionati (von Mises, 433 ss.).

3 Pare invece del tutto inappropriato parlare di fallimento nel caso tratto da un documento del VI secolo a.C. del secon- do impero babilonese, riportato da Kohler et al. (24 ss.) e ripreso da Johns (prefazione xvii), che concerne invece un’ipotesi di concorso in un’espropriazione singolare.

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ti), sia stato introdotto per le persone fisiche sotto la presidenza Hoover nel 1933 e poi esteso con il Chandler Act del 1938, sotto la presidenza Roosevelt, alle società (Rothbard 1963, 318 s.) ossia

“sotto la manifesta immediata influenza” della più grande tra le “ricorrenti crisi economiche che hanno lasciato dirette tracce nell’evoluzione” del diritto fallimentare (Rotondi nella prefazione a Rossi, XII; Rossi, 190).

2.- In particolare: a) le procedure concorsuali relative all’imprenditore

2a. Nemmeno Keynes (per citare un concentrato di verità non originali e di originalità non veritiere:

Hazlitt 1959, 6, 9, che così scioglieva l’alternativa di valutazione da parte dei posteri ipotizzata dal- lo stesso Keynes nella sua prefazione; ma vedi anche Rothbard 1963, 60 ss.) dubitava del fatto che l’uscita dalla recessione passa attraverso il potenziamento degli investimenti4; anzi, arrivava addirit- tura al miracolo del moltiplicatore, per cui se si consumano i 9/10 del reddito e si investe il residuo decimo, ciò significa che basta investire 1 per avere un reddito di 10 (Keynes, 10.II) e quindi (con la stessa logica) addirittura non investire nulla (consumando tutto) per avere un reddito infinito (Ha- zlitt, 135 ss.5).

Ciò implica che, per accelerare la ripresa, assume valore decisivo la massima accelerazione della disponibilità da parte dei creditori dei mezzi finanziari invece bloccati presso l’imprenditore insol- vente e del reimpiego produttivo, nei limiti del possibile, delle sue immobilizzazioni: obiettivi si- multaneamente perseguibili solo attraverso una liquidazione più veloce possibile al maggior prezzo concretamente ottenibile tra quelli offerti per ciascuno dei cespiti aziendali o per l’azienda nel suo complesso.

Due obiezioni di fatto ricorrenti (sia pure abbinate ad aspetti prescrittivi di vario genere ossia soli- daristici ecc., che qui non interessano) concernono la salvaguardia dell’occupazione (e degli altri fattori produttivi) quale fonte di capacità di consumo e quindi di traino degli investimenti e la salva- guardia del patrimonio tecnologico aziendale, la cui possibile dispersione in una liquidazione di- smembratrice si ipotizza depressiva della produttività dei relativi fattori.

Questa seconda obiezione tuttavia non regge, perché il maggior valore dell’unità di più fattori della produzione può soltanto rivelarsi (ed allora non risultare perduto) nel prezzo di realizzo. E quanto alla capacità di consumo, questa non viene pregiudicata neppure nel breve termine, se non in misura irrilevante rispetto al recupero conseguente non solo al miglior utilizzo del capitale immobilizzato, ma anche alla maggiore e più efficiente produzione dei concorrenti resa possibile dal recupero (par- ziale o totale, a seconda dei casi) della quota di mercato prima occupata dall’impresa agonizzante:

purché tuttavia non si ostacoli questo recupero interferendo nella determinazione dei prezzi dei fat- tori produttivi; purché cioè si lasci al mercato (anziché alle istituzioni) la determinazione del livello dei salari non meno che dei canoni di locazione, dei prezzi delle materie prime ecc.6

4 Salvo che egli lo riteneva possibile solo in quanto indotto dalla forzata espansione dei consumi (Keynes, 3, II, 8; 10, VI; ecc.), che presenta tuttavia il difetto capitale di agire con tempi eccessivamente lunghi (ad esempio Skousen, 33) e quello accessorio di distorcere i prezzi relativi e quindi di impedire un’allocazione delle risorse conforme ai desideri dei consumatori (ad esempio von Mises, 555 s.).

5 E dopo più di 50 anni Paul Krugman, premio Nobel (come Dario Fo), insiste sulla croce di Samuelson nel diagramma cartesiano della spesa e del reddito (Krugman 2011, fig. 1), come se bastasse tracciare quelle linee per definire causa ed effetto (Rothbard 1962, 875 s.).

6 Sulla fallacia dell’argomento keynesiano dell’irraggiungibilità della piena occupazione senza previo stimolo esterno (via deficit, inflazione ecc.) della domanda aggregata (la c.d. analisi IS-LM) cfr. Reisman, 879 ss.

E’ vero naturalmente quanto osserva ad esempio Caloia (226) e cioè che le ipotesi di “flessibilità completa di prezzi e salari sono nella realtà attuale (massiccia presenza di oligopoli e sindacati) a dir poco eroiche”; ma ciò evidenzia soltan-

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Ed allora, contrariamente a quanto si continua a ripetere (Rossi, 36 ss., 190; Foerste, 266 ss.), quan- to meno in un contesto di recessione non sono fuor di luogo solo tutti i procedimenti concordatari o di riorganizzazione che comportano comunque, nella liquidazione dei debiti ed investimenti dell’insolvente, differimenti da ridurre al minimo nelle intenzioni dichiarate dal regolatore, ma in realtà perseguiti con successo come obiettivo principale da una serie di attori, ma la stessa procedu- ra fallimentare per i tempi di ricostruzione del passivo e di liquidazione dell’attivo che comporta, in un quadro del tutto irrealistico di par condicio creditorum.

Quali più efficienti alternative si potrebbe pensare alla libertà di esecuzione forzata individuale, che non esclude certo accordi diversi, anche solo con una parte dei creditori, subordinandoli però ad al- tri con i restanti creditori ed alle relative singole valutazioni di utilità, o quanto meno alla prioritaria liquidazione dell’intero patrimonio residuo dell’insolvente e distribuzione provvisoria del ricavato ai creditori privilegiati ed ai chirografari che già l’abbiano richiesta; il tutto in attesa dell’esito (in tempi notoriamente biblici) del perseguimento di responsabilità penali, dell’invalidazione di atti fraudolenti e di una correzione degli esiti della ripartizione provvisoria in funzione di un qualche ef- ficiente criterio di ripartizione delle perdite tra i vari creditori7.

Dopo tutto, sia pur soli fra gli altri, continuiamo a fare a meno di procedure concorsuali per l’insolvenza dell’imprenditore agricolo (oltre che delle microimprese commerciali: non più di 300.000 euro di attivo patrimoniale, di 200.000 di ricavi e di 500.000 di debiti). Solo di recente si è estesa all’imprenditore agricolo la possibilità di usufruire degli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall’art. 182bis della legge fallimentare (art. 23.43 d.l. n. 98/2011), che se può portare ad una moratoria dei pagamenti, vincolante tutti i creditori, di oltre 7 mesi, esige però l’accordo con almeno il 60% dei crediti e l’integrale (prospettiva di) pagamento degli altri.

Emerge in ogni caso come un’aberrazione la recente introduzione, quale “misura urgente per la cre- scita del Paese”, “per lo sviluppo economico” e “per facilitare la gestione delle crisi aziendali” (così le rubriche, rispettivamente del d.l. n. 83/2012, del suo titolo III e del relativo capo III), del c.d. pre- concordato ossia della possibilità per l’imprenditore (commerciale) insolvente di bloccare, con una sua semplice richiesta in tal senso e per un periodo di tempo che può arrivare fino a sei mesi, ogni pagamento ed ogni esecuzione forzata, per meditare sul se e quale tipo di accordo proporre ai suoi finanziatori, fornitori, clienti e controparti economiche in genere; per poi arrivare alla sottoposizio- ne di una proposta che, per quanto insoddisfacente possa essere, potrà – dopo non pochi altri mesi e nonostante l’eventuale voto contrario della maggioranza dei crediti che lo hanno espresso – essere rigettata solo se a quel voto contrario se ne cumulino altri fino a raggiungere un totale di più del 50% di tutti i crediti ammessi al voto (artt. 161.6, 168, 178 legge fallimentare); ed infine per arriva- re, dopo l’omologazione giudiziale, al pagamento dei creditori (che potrebbe però essere differito ancora di un anno: art. 186bis.2c) oppure alla risoluzione del concordato con conseguente fallimen- to (art. 186)8.

to ulteriori elementi di interferenza delle istituzioni, ossia rispettivamente artificiali barriere all’ingresso e coazione a salari nominali minimi.

7 Ad esempio, perché par condicio creditorum, anziché prior in tempore potior in iure (salvo ogni approfondimento per debiti scaturenti da illeciti extracontrattuali)? La seconda soluzione fungerebbe certo da freno alla creazione di un inde- bitamento eccessivo.

8 Con la legge 7.12.2011, in vigore dall’1.3.2012, i tedeschi hanno anch’essi previsto, oltre alla normale continuazione della gestione da parte del fallito sotto la supervisione di un esperto, la possibilità di chiedere un termine per la presen- tazione di un piano (§ 270b InsO): ma almeno deve trattarsi di insolvenza incombente e non ancora attuale, il termine è

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Certo, non siamo ancora ai 18/20 mesi per presentare il piano, cui può arrivare l’imprenditore insol- vente statunitense con il § 1121 di quella legge fallimentare, ma almeno la tempestività di interven- to del governo dei tecnici di cui abbiamo goduto l’anno scorso è stata impeccabile.

2b. Un altro problema è rappresentato dalle conseguenze dell’insolvenza sulla successiva attività economica dell’insolvente e/o dei suoi esponenti (se si tratta di società). Il trend normativo interna- zionale è quello di escludere ogni limitazione di attività, quanto meno per il periodo successivo alla chiusura della procedura (vedasi l’abolizione nel 2006 degli artt. 50 e 142 ss. della legge fallimenta- re, rispettivamente sul pubblico registro dei falliti e sulla riabilitazione estintiva delle incapacità conseguenti alla dichiarazione di fallimento, dichiarati anche incostituzionali9) e di sancire l’esdebitazione dell’imprenditore individuale che non si sia reso colpevole di frode in danno dei creditori (§§ 523, 727 e 1141 della legge statunitense; §§ 286 ss. della legge sull’insolvenza tede- sca; artt. 142 ss. della nostra legge fallimentare); mentre detto trattamento resta escluso in caso di reati propri dell’insolvente e/o dei suoi esponenti (art. 142.1.6 e 216.4 legge fall. ecc.).

Una raccolta ed analisi dei dati relativi all’andamento ed all’imputazione soggettiva delle insolven- ze potrebbe certo fornire qualche argomento, in un senso o nell’altro, sull’utilità del trattamento in discorso, benché sempre controvertibile in una prospettiva controfattuale (what if?). Di sicuro, però, la conoscibilità di tali dati può risultare d’interesse per un agente economico e, correlativamente, ogni impedimento in materia, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ravvisa implausibilmente imposto dal diritto al rispetto della propria vita privata ex art. 8 della Convenzione10, emerge come distorsivo delle relative scelte.

Per quanto concerne in particolare l’esdebitazione, a prescindere dalla sua condanna in quanto lesi- va dei diritti di proprietà dei creditori, che opera sul diverso piano del dover essere nell’ambito del diritto naturale austro-libertario (Rothbard 1982, 143 ss.), occorre considerare:

- gli effetti disincentivanti dell’attività produttiva in generale implicati dalla pratica limitazione di responsabilità al patrimonio attuale dell’imprenditore, sì che risulta ridondante, per l’imprenditore assoggettato a fallimento, la formulazione dell’art. 2740 secondo cui lo stesso risponde dell’adempimento delle obbligazioni contratte “con tutti i suoi beni presenti e futuri”. E’ peraltro anche vero che la limitazione di responsabilità caratterizza l’intero attuale contesto istituzionale, nel quale può sempre essere ottenuta tramite certi strumenti societari (artt. 2362 e 2462.2 c.c.); però sol- tanto con il contraltare di maggiori costi e, quello che più importa, di maggiore trasparenza attraver- so l’obbligo di deposito dei bilanci ecc.;

- il trasferimento forzoso di risorse dai creditori originari dell’insolvente a questo ed ai suoi credito- ri successivi;

- i probabili effetti incentivanti dell’attività produttiva dell’ex insolvente;

- la possibile perpetuazione di effetti perturbatori dell’attività produttiva altrui ove l’insolvenza fos- se stata l’effetto di una strutturale inadeguatezza dell’imprenditore.

Nel complesso sembra che gli svantaggi superino i vantaggi.

di soli 3 mesi e, nel frattempo, solo le esecuzioni mobiliari possono (e non devono) essere sospese dal giudice (Foerste, 278 ss.).

9 Corte cost. 27/02/2008, n. 38, che richiama e condivide la sentenza 23/03/2006 della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Vitiello c. Italia, ric. n. 77962/01.

10 E’ la sentenza richiamata nella nota precedente, che è un peccato non possa essere usata come scudo contro lo spio- naggio fiscale, dato che quest’uso sarebbe certamente bollato come contrario al (anziché promotore del) “benessere e- conomico del paese” ex art. 8 § 2.

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3.- b) le procedure concorsuali relative al non imprenditore

Non in tutte le c.d. economie avanzate il quadro istituzionale si è ancora mosso nello stesso senso per le situazioni di insolvenza dei non imprenditori. E’ avvenuto ad esempio negli Stati Uniti ed in Germania, ove il trattamento dell’insolvenza è stato sostanzialmente unificato per tutti i debitori, con differenze procedurali che non incidono sui suoi tratti essenziali: libero accesso (e possibilità di coazione) a procedure collettive di liquidazione o di “ristrutturazione” del debito e susseguente e- sdebitazione; e perfino in Russia la Duma ha approvato il 14.11.2012 la legge sul fallimento per o- gni persona fisica. Si è esclusa l’esdebitazione in Spagna (art. 178 della legge fallimentare). E’ stato limitato in Francia ai consumatori, con la peculiare aggiunta delle persone fisiche garanti di un im- prenditore (art. L330-1 del codice del consumo), lasciando fuori dall’ombrello i professionisti. In Italia è stata recentemente introdotta, con gli artt. 6 ss. della legge n. 3/2012 e per tutti i non assog- gettabili a fallimento, la possibilità di un accordo con almeno il 70% dei crediti che impone ai dis- senzienti una moratoria che può arrivare a più di un anno.

Non interessa qui stabilire se la prospettiva di una futura purgazione del debito stimoli il ricorso all’indebitamento per il consumo (in questo senso White) e se ciò possa (contribuire a) generare l’avvio di un ciclo espansionistico-recessivo: Rothbard lo negava con riferimento al credito banca- rio al consumo (1963, 93) ed aveva probabilmente ragione per quanto riguarda il consumo imme- diato; mentre il boom edilizio americano e spagnolo, che ha innescato la crisi dei mutui subprime in cui siamo ancora immersi11, depone in senso opposto per il consumo dei beni durevoli (Huerta de Soto, 406 ss.).

Il tema è invece quello della ripresa dalla recessione e da questo punto di vista non c’è ovviamente il problema di garantire la migliore allocazione possibile dei fattori produttivi dell’insolvente (su- pra, § 2a), che non esistono per il consumatore e giocano un ruolo assai modesto anche per il pro- fessionista non imprenditore; residua comunque la negatività dei tempi di realizzo dei crediti.

In ordine ai punti residui affrontati sub 2b, è certo auspicabile l’esercizio di una qualsiasi attività produttiva da parte dell’insolvente, ma al contempo non dovrebbe essere in alcun modo impedita la raccolta e diffusione di tutti i dati relativi all’insolvenza per consentire ai produttori (e non solo alle banche ed agli altri enti finanziatori) di minimizzare i rischi della loro attività in accordo con le scelte di ciascuno. Si palesa dunque come un’interferenza nociva la previsione dell’art. L334-4 del codice del consumo francese che vieta ogni attività del genere se non in pro’ degli enti creditizi; ed invece come una misura opportuna l’istituzione da parte del governo britannico dell’"individual in- solvency register" posto a disposizione del pubblico, anche se, come ho già accennato sopra, dovrà vedersela o prima o poi con i cerberi della privacy [che naturalmente non funziona quando si tratta di rapina di Stato ossia di tassazione: cfr. art. 13, § 1, lett. e), della direttiva 95/46/CE sui dati per- sonali].

Per quanto concerne infine l’esdebitazione, lasciando cadere le considerazioni attinenti alla perpetu- azione (come già si è detto, sempre auspicabile) di un’attività produttiva da parte dell’insolvente non imprenditore, la bilancia porta su di un piatto la sfiducia generata dalla consapevolezza dell’esistenza per la controparte di una via di fuga dalle sue responsabilità e la perdita definitiva del

11 Sul ruolo giocato dal Community Reinvestment Act del 1977 in detta crisi, con i suoi strumenti di “convincimento”

del sistema bancario all’espansione del credito edilizio per i meno abbienti, cfr. le irrilevanti considerazioni di Krugman 2010 sulla cartolarizzazione di quei mutui (che toccano il solo tema dello smaltimento e non della creazione della spaz- zatura) ed invece lo studio di Agarwal et al.

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controvalore delle proprie prestazioni e, sull’altro piatto, la probabile maggior produttività dell’ex insolvente.

Quest’ultima assume tuttavia un peso variabile in ragione della porzione di reddito individuale che, in base ad una diffusa normativa, verrebbe comunque esentata da ogni aggressione esecutiva, pon- derata con il livello dei sussidi di disoccupazione disponibili nei diversi contesti.

Anche qui perciò una valutazione complessiva fa propendere per gli svantaggi dell’esdebitazione.

Bibliografia

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