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Il Mito. Una rilettura antropologica, di Giuseppe Licari. Padova: Cleup, 2008

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Il Mito. Una rilettura antropologica, di Giuseppe Licari. Padova: Cleup, 2008 (recensione)

Mariella Saverino

www.narrareigruppi.it – Etnografia dell’interazione quotidiana. Prospettive cliniche e sociali, vol. 4, n° 1, Marzo 2009

Narrare i gruppi

Etnografia dell’interazione quotidiana

Prospettive cliniche e sociali, vol. 4, n° 1, Marzo 2009

ISSN: 2281-8960 Rivista semestrale pubblicata on-line dal 2006 - website: www.narrareigruppi.it

Titolo completo dell’articolo

Il Mito. Una rilettura antropologica, di Giuseppe Licari. Padova: Cleup, 2008 (recensione)

Autore Ente di appartenenza

Mariella Saverino

Università di Palermo

Pagine 158-160 Pubblicato on-line il 18 marzo 2009 Cita così l’articolo

Saverino, M. (2009). Il Mito. Una rilettura antropologica, di Giuseppe Licari. Padova: Cleup, 2008 (recensione).

In Narrare i Gruppi, vol. 4, n° 1, Marzo 2009, pp. 158-160 - website: www.narrareigruppi.it

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Mariella Saverino

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www.narrareigruppi.it – Etnografia dell’interazione quotidiana. Prospettive cliniche e sociali, vol. 4, n° 1, Marzo 2009

recensione

Il Mito. Una rilettura antropologica, di Giuseppe Licari. Padova:

Cleup, 2008, pp. 103, Euro 14,00

Il Mito, testo di cui ho avuto l’onore di rivisitare più volte l’editing, si presenta come un interessante volume che ripercorre l’avvicendarsi temporale dei miti secondo diverse chiavi di lettura. L’interpretazione iniziale valorizza la verità narrativa espressa dal mito e ne evidenzia le conseguenze reali; Omero, Platone, Tucidite usano la parola Mithos con il significato di consiglio, ammo- nimento, ordine: dunque mito come strumento paideutico cioè educativo per la comunità.

In questa direzione di ricerca, l’ipotesi centrale che Licari propone va oltre il piano esplicito dell’evidente per formulare delle interessanti questioni circa il significato e l’importanza degli aspetti strumentali presenti nel mito.

L’autore si chiede, in sostanza, se un complesso di miti che agisce su una cultu- ra (o che crea una cultura) possa avere solamente un effetto funzionale al profi- lo paideutico o possa avere anche un effetto ideologico che potremmo definire politico? E, in questo ultimo caso, quale è la posizione del mitografo, cioè di colui al quale si commissiona la nascita di un nuovo mito? Che intenzionalità ha il mitografo?

Le questioni, le sollecitazioni a “pensarci su” seguono, nel testo, una suggestiva trattazione attraverso l’avvicendarsi temporale di un complesso di miti: dalla Grande Madre Cibele che non riconosce il ruolo del maschio nella generazio- ne, si passa al mito dell’eroe e al potere del Padre. Compare sulla scena Zeus che tramite il figlio Apollo consegna all’uomo la medicina, la musica, la filoso- fia, la matematica. Attraverso queste arti, Apollo fonda una nuova potente mo- rale che sostituisce in toto l’arcaico e altrettanto potente diritto matrilineare.

Questo nuovo paradigma decreta che è il seme dell’uomo a contenere, prefor-

mata, la nuova creatura, mentre l’utero femminile deve solo accoglierlo al suo

interno e facilitarne la maturazione. È un evidente passaggio di potere mitolo-

gico dal femminile al maschile, che ha immediate e tangibili ricadute sul con-

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trollo e l’ordine sociale, affondando le sue radici nel processo di costituzione promozione e perpetuazione della polis aristotelicamente intesa.

Le donne possono essere felici, ma solo nel ruolo di mogli e madri (non a caso la “matri di famigghia” siciliana, spoglia della sua sessualità e soggettività, per molto tempo è stata modello di potere totalizzante, di identificazione e trasmis- sione di questi valori antropologizzati per entrambi i generi).

Il filo rosso attraverso il quale si dipana la storia degli equilibri dei ruoli fra i generi, le generazioni, i pari, fra l’ambiente naturale e divino è, per l’autore, il mito dell’Isteria.

Il mito greco, per definire il rapporto fra generi e la questione della femminilità all’interno dell’organizzazione sociale, comunitaria e politica, pone a causa dell’Isteria la verginità e la rabbia verso l’uomo da parte di una donna nostalgi- ca, di un ideale madricentrico.

Dunque, la tesi di Licari ha a che fare sostanzialmente con l’idea (illuminista) che il mito dell’Isteria sia stato elaborato in maniera strumentale per sanare la frattura fra il potere delle madri e quello dell’eroe. L’articolazione della nuova organizzazione sociale, si basa su un falsa elaborazione medica, una strumenta- lizzazione medica del tempo che l’uomo greco ha composto per tenere a freno l’istinto delle donne che non accettavano la perdita del potere. L’Isteria allora assume canoni e parametri biologici, secondo un modello utero-centrico di una fisiologia femminile difettosa che si trasforma in una realtà bio-clinica curabile o con l’appagamento erotico o con una terapia farmacologica.

Il ragionamento scientifico di Licari, alla luce di quanto sostenuto, ci ridà chia- ramente l’idea (ci toglie il maltolto) che l’Isteria più che una sindrome clinica abbia la sua origine nella lotta fra il maschile e il femminile, in cui quest’ultimo soccombe.

In questa nuova prospettiva, le scienze umane, ma anche quelle cosiddette esat- te, avranno il coraggio di ripensarsi epistemologicamente? E ancora, quanto lo svelamento mitografico può essere strumento di pace e di generatività umana?

Con queste domande il lavoro di Licari, un piccolo volumetto, apre un enorme

dibattito epistemologico con il pensiero occidentale, ma non solo: anche con i

vari fondamentalismi psichici frutto di uomini emozionalmente primitivi anche

se tecnologicamente avanzati.

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