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UNIVERSIT `A DEGLI STUDI DI FERRARA FACOLT `A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI FERRARA

FACOLT `A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea Triennale in MATEMATICA

MODELLI MATEMATICI PER LA CRESCITA TUMORALE

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Josef Eschgf ¨aller

Laureanda:

Giulia Giantesio

Anno Accademico 2006-2007

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Indice

Introduzione 3

I. CELLULE STAMINALI TUMORALI

1. Ematopoiesi dei leucociti 5

2. La leucemia mieloide cronica 7

3. Cellule staminali tumorali 11

4. Biologia generale dei tumori 14

5. Alcune implicazioni 20

II. L’ESPONENZIALE MATRICIALE

6. Funzioni di matrici ed esponenziale matriciale 21

7. Il polinomio minimale di una matrice 25

8. Matrici che soddisfano un’equazione quadratica 30 9. Formule che utilizzano serie ipergeometriche 34

10. Interpolazione di Hermite 46

11. La formula spettrale di Sylvester-Buchheim 57 12. Matrici che soddisfano un’equazione cubica 61 13. L’algoritmo di Parlett-Koc¸ per matrici triangolari 64 14. La rappresentazione di Wronski-Vandermonde 74

15. Metodi di Runge-Kutta 80

III. FUNZIONI DI CRESCITA

16. La distribuzione esponenziale 82

17. Dinamica della leucemia mieloide cronica 84

18. Funzioni di crescita 88

19. Differenziazione numerica 103

Bibliografia 108

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Introduzione

Questa tesi contiene alcuni strumenti matematici utili per descrive- re la dinamica dei processi tumorali e per valutare gli effetti di una terapia.

La ricerca sul cancro `e attualmente incentrata sull’analisi dei mec- canismi coinvolti nella genesi e nella crescita di tumori al fine di svi- luppare nuovi approcci terapeutici e di prolungare la vita del paziente.

Perci`o, prima di iniziare la trattazione matematica, abbiamo dedi- cato i primi cinque capitoli alla spiegazione e descrizione medica di alcuni termini e processi biologici inerenti ai fenomeni tumorali.

Nella parte biomatematica contenuta negli ultimi quattro capito- li, ci proponiamo di analizzare alcuni dei recenti modelli matematici riguardanti la dinamica tumorale. In particolare nel capitolo 17 de- scriveremo il modello sviluppato da Franziska Michor e colleghi per la dinamica della leucemia mieloide cronica; mentre nel capitolo 18 caratterizzeremo, a partire dal modello logistico e dall’equazione di Gompertz, alcune classi di funzioni di crescita in parte nuove insie- me ad alcune tecniche elementari, ma possibilmente piuttosto utili, di adattamento terapeutico. Questa idea viene ulteriormente elaborata nell’ultimo capitolo in cui presentiamo un metodo di interpolazione e differenziazione numerica basato sull’interpolazione di Hermite che si presta all’analisi e al controllo delle funzioni di crescita.

La parte matematica centrale della tesi `e dedicata allo studio della funzione esponenziale matriciale. Questo `e dovuto da un lato al fatto che molti modelli della biomatematica si fondano su sistemi di equa- zioni differenziali ordinarie lineari a coefficienti costanti, quindi della forma ˙X= AX che possiede la soluzione X(t) = X(0)eAt.

Dall’altro lato, l’esponenziale matriciale appare in molti campi della matematica pura e applicata. Il calcolo di eAt `e anche oggi un argo- mento attuale dell’analisi numerica, sia per la ricerca di formule es- plicite a cui anche nella tesi abbiamo dato molto spazio, sia per alcuni risvolti teorici. I lavori citati in bibliografia (ad esempio Apostol, Da- vies/Higham, Higham [S], Moler/Van Loan) mostrano l’interesse dei matematici per questo tema.

Dopo aver definito, nel capitolo 6, le funzioni matriciali e l’esponen- ziale matriciale nel campo complesso, si passa nel settimo capitolo allo studio delle propriet `a dei polinomi minimale e caratteristico di matrici quadrate. Grazie a questi polinomi, si riescono a dimostrare nel capi- tolo 8 le prime formule per il calcolo di eAt per una matrice A che soddisfa un’equazione quadratica. Nel successivo capitolo, partendo dall’interpolazione di Lagrange deriviamo alcuni legami con le serie ipergeometriche che forse possono essere approfondite.

Nel capitolo 10, si definisce il polinomio d’interpolazione di Hermite e si dimostra un semplice algoritmo ricorsivo per il suo calcolo. Inoltre definiamo uno schema alle differenze molto utile per il calcolo di que- sto polinomio d’interpolazione. Il polinomio di Hermite sar `a utilizzato

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per ricavare formule esplicite per l’esponenziale di una matrice nei successivi due capitoli e, nell’ultimo capitolo, per lo studio di funzio- ni di crescita tumorali. Infatti, tramite l’interpolazione di Hermite, nel capitolo 11 si dimostra la fondamentale formula spettrale di Sylvester- Buchheim. Nel capitolo 12 troviamo cos`ı formule esplicite per il calcolo dell’esponenziale di una matrice che soddisfa un’equazione cubica.

Il tredicesimo capitolo `e dedicato all’algoritmo di Parlett-Koc¸, molto efficace per il calcolo dell’esponenziale di una matrice triangolare (ma- trici triangolari inferiori appaiono spesso nei modelli compartimentali della biomatematica).

Il capitolo 14 `e dedicato alla classica rappresentazione di Wronski- Vandermonde, mentre il capitolo 15 contiene una breve introduzione al metodo di Runge-Kutta, che sar `a usato nelle sperimentazioni nu- meriche.

Nonostante gli immensi sforzi degli ultimi decenni il cancro rima- ne uno dei pi `u terribili nemici dell’uomo. Ci`o `e naturalmente dovuto al fatto che la malattia `e legata ai segreti pi `u profondi della vita; esi- stono per`o anche critiche all’organizzazione della lotta contro il can- cro. Talvolta ad esempio si ha l’impressione che la ricerca sia troppo concentrata nelle grandi istituzioni e che nuove idee o nuovi farmaci facciano fatica ad aver successo (cfr. Leaf, Moss e, per la situazione italiana, De Filippis Russo). Cos`ı ad esempio solo una minima parte della ricerca `e rivolta allo studio delle metastasi, uno degli aspetti pi `u temuti del cancro! `E forse anche trascurata, misurata con l’enorme portata del problema, la prevenzione, bench´e an ounce of prevention is worth a pound of cure, come cita Paul Talalay dall’almanacco di Benjamin Franklin di 250 anni fa. Il capitolo introduttivo del libro di Pelengaris/Khan contiene un’esposizione moderna dello stato attuale della ricerca sul cancro.

Per un’esposizione degli aspetti statistici ed epidemiologici apparsi nel 2007 rimandiamo all’articolo di Hayat/Howlader/Reichman/

Edwards.

Molti dei pi `u attuali modelli matematici in oncologia sono descritti nel libro di Wodarz/Komarova, per un analisi della crescita e progres- sione tumorale con gli strumenti della fisica matematica indichiamo Sherratt/Chaplain e la raccolta di articoli pubblicati a cura di Luigi Preziosi.

L’immensa importanza umana del problema dovrebbe indurre pi `u matematici a dedicarsi ad esso e a non ignorarlo, o perch´e si ritiene che non si possa fare nulla oppure che i modelli che si potrebbero svi- luppare siano irrilevanti perch´e troppo elementari per un matematico di professione. Infatti anche modelli elementari possono essere mol- to utili per lo studio della malattia, per l’ottimizzazione di strategie di terapia, per il disegno di nuovi farmaci. Quindi i matematici non dovrebbero ignorare il campo medico, ma al contrario farsi coraggio e non averne paura: molto pu`o fare la matematica!

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I. CELLULE STAMINALI TUMORALI

1. Ematopoiesi dei leucociti

Nota 1.1.L’ematopoiesi `e il processo di formazione, differenziazione e maturazione delle cellule del sangue e degli altri elementi formati nel sangue. Il processo dell’ematopoiesi non `e ancora del tutto capito. Esso inizia con una cellula staminale pluripotente che d `a origine a cascate separate di cellule. Questa cellula staminale emopoietica `e rara, circa una in 20 milioni di cellule che si trovano nel midollo osseo, un organo sparso estremamente prezioso e delicato, che `e responsabile della pro- duzione, della differenziazione e della crescita delle cellule del sangue.

Il midollo osseo `e situato esclusivamente nelle ossa dello scheletro e in et `a giovanile `e essenzialmente midollo osseo rosso che pi `u tardi vie- ne progressivamente sostituito da quello giallo, dovuto a un aumento nelle cellule adipose e una riduzione degli elementi emopoietici. Le cellule staminali hanno la capacit `a di autorinnovarsi.

La differenziazione cellulare avviene tramite progenitori separati per ogni linea cellulare che hanno una capacit `a ristretta di sviluppar- si. L’esistenza di cellule progenitrici separate pu`o essere dimostrata nelle culture in vitro. Progenitrici molto giovani si trovano nelle cul- ture a lungo termine dello stroma, un tessuto connettivo fibroso del midollo osseo.

Il midollo osseo `e anche il sito principale dell’origine dei linfociti, che si differenziano da cellule staminali linfoidi. Un uomo adulto possiede circa 1012 linfociti, di cui 109 muoiono ogni giorno e vengono sotituiti dal sistema emopoietico.

I granulociti derivano dalla differenziazione di apposite progenitrici (CFU-GM), mentre i megakariociti sono gigantesche cellule di circa 100 µm di diametro con un grande nucleo contente alcuni nucleoli.

Il midollo osseo forma un ambiente favorevole per la sopravviven- za, la crescita e lo sviluppo delle cellule staminali. `E composto dalle cellulle stromali e da una rete microvascolare. Le cellule stromali in- cludono adipociti, fibroblasti, cellule endoteliali, macrofagi e molecole extracellulari secrete da esse come il collagene, le glicoproteine e gli- cosaminoglicani per formare una matrice extracellulare.

Il componente ematopoietico, o parenchima, del midollo osseo con- siste di un gran numero di cellule formate del sangue a vari stadi di sviluppo, differenziazione e crescita, colmando gli spazi tra gli ele- menti dei componenti vascolari. Le cellule reticolari del midollo osseo sopportano gli elementi ematopoietici e sintetizzano le fibre reticolari.

Nota 1.2.L’ematopoiesi inizia con la divisione delle cellule staminali nella quale una cellula figlia rimpiazza la cellula staminale e l’altra

`e assegnata alla differenziazione; quali cascate di cellule sono scelte per la differenziazione dipende sia dal cambiamento sia dai segnali

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esterni ricevuti dalle cellule progenitori.

Riassumiamo le fasi principali dell’ematopoiesi nella seguante ta- bella, seguendo Hoffbrand/Moss/Pettit. In essa mancano molti stadi intermedi; la derivazione delle cellule, deducibili della linea CFU-M sembra che non sia certa. Le abbreviazioni BFU e CFU, comunemente usate, significano burst forming unit e colony forming unit.

cellule staminali emopoietiche pluripotenti (CFU-GEMML)

progenitrici mieloidi miste (CFU-GEMM) staminali linfoidi

BFU-E BFU-Meg CFU-GM linfociti adattivi

CFU-E CFU-Meg

eritroblasti megacariociti CFU-M CFU-G

T

eritrociti piastrine monociti dendr. eos. bas. neutr. NK helper citotoss. B

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2. La leucemia mieloide cronica

Nota 2.1.Seguiamo in questo capitolo, nella parte generale, soprattut- to il libro di Castoldi/Liso. Alcuni dati qualitativi sono presi da Pois- singer/Regierer.

La leucemia mieloide cronica (LMC, in inglese CML) `e un disordi- ne ematopoietico provocato da una trasformazione neoplastica della cellula staminale pluripotente. Questa malattia corrisponde a circa il 15% delle leucemie e pu`o svilupparsi ad ogni et `a, pi `u frequentemente comunque tra i 40 e i 60 anni. La diagnosi della LMC `e difficile cos`ı come la terapia (allo stato attuale infatti le leucemie croniche sono pi `u difficili da curare delle leucemie acute, cfr. Hoffbrand/Moss/Pettit, pag.

174). La LMC si contraddistingue per una presenza caratteristica del cromosoma Philadelphia (Ph).

Non sembra per`o chiaro se si tratta di una lesione dovuta alla pro- gressione della malattia che appare a partire dalla fase cronica, oppu- re se, come altri espirimenti sembrano indicare, la presenza del cro- mosoma Philadelphia sia un fattore che pu`o provocare la LMC.

Si distinguono quattro fasi della malattia: una fase iniziale a decorso lento, in cui la leucemia `e spesso asintomatica e in cui possono passare da 2 a 10 anni dall’inizio biologico della malattia alla diagnosi che in genere avviene nella successiva fase cronica in cui si osservano spe- cifiche anomalie cromosomali e molecolari. Questa fase normalmente

`e sintomatica: leucocitosi elevata, splenomegalia (nel 75% dei pazi- enti), epatomegalia (nel 50%), tensione addominale, ipermetabolismo con perdita di peso e astenia; si osserva una forte proliferazione delle CFU-GM e CFU-G (cfr. la tabella nella nota 1.2) e un soprannumero sempre pi `u marcato delle cellule Ph+ (in cui cio`e `e presente il cromo- soma Philadelphia). Una fibrosi midollare rappresenta un elemento prognostico sfavorevole. Nella fase accelerata (descritta pi `u dettaglia- tamente a pag. 219 del libro di Castoldi/Liso) si notano un accentuarsi dei sintomi e nuove anomalie cromosomiche, mentre la terapia diven- ta sempre pi `u difficile. La fase blastica terminale dura circa 6 mesi e porta nel 90% dei casi alla morte del paziente. Solo in relativamente pochi casi `e possibile un ritorno alla fase cronica.

Una delle cause pi `u probabili della LMC `e l’esposizione a radiazioni ionizzanti; come osservano Castoldi e Liso, prima dell’introduzione di appositi sistemi di protezione, l’incidenza della LMC nei medici radio- logi era nove volte superiore rispetto alla popolazione normale, mentre un anologo aumento della LMC si `e osservato nei sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Alcune varianti della LMC sono la leucemia mieloide cronica Ph−

(si trova prevalentemente nei soggetti maschili anziani e ha un tempo di sopravvivenza minore), la LMC giovanile, la leucemia eosinofilica e neutrofilica e la leucemia mielomonocitica cronica. Nella LMC Ph−

si `e dimostrata la presenza di una variante dell’accoppiamento BCR- ABL molto simile dal punto di vista funzionale a quello classico.

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Nota 2.2.Il cromosoma Ph deriva da una reciproca combinazione tra i cromosomi 9 e 22, in cui una parte del proto-oncogene c-ABL si muove verso il gene BCR del cromosoma 22 e una parte del cromosoma 22 si muove verso il cromosoma 9. Questa 9;22-traslocazione si trova in circa il 95% dei casi della LMC ed `e descritta molto schematicamente nella figura.

9^

22=Ph

Dalla traslocazione nasce un nuovo gene BCR-ABL che codifica per una fosfoproteina di grandezza 210 kD, mentre l’ABL normale produ- ce una proteina di 145kD. La proteina patologica ha un’attivit `a tirosi- nochinasica maggiore di quella della proteina normale.

Come osservano gli autori citati, la fosfoproteina anomala pu`o fos- forizzare molti substrati, attivando cos`ı una cascata di segnali di tras- duzione i quali a loro volta regolano crescita e differenziazione delle cellule.

Alcuni dettagli in pi `u sui siti di rottura nei cromosomi 9 e 22 si trovano in Macdonald/Ford/Casson, pagg. 178-181, un’esposizione pi `u completa in Deininger/Goldman/Melo.

Mutazioni nel gene BCR-ABL che possono portare a resistenza sono discusse in Chu/. . ./Bhatia.

Nota 2.3.Per curare la leucemia mielode cronica si possono scegliere diverse strade, come la chemioterapia ad esempio con il busulfano, un alchilante mielodepressivo che miglora notevolmente il grado emato- logico e quindi anche la quantit `a della vita dei pazienti, ma non riesce a ritardare la crisi blastica, il trattamento con l’interferone α (usato di solito dopo o in combinazione con la chemioterapia) e il trapianto allogeno di midollo osseo tanto efficace quanto rischioso, in quanto il trattamento riesce a curare la malattia nel 50% dei casi, ma pu`o essere fatale (con una mortalit `a che arriva al 25%) ed `e comunque proponibile solo nel 15% circa dei pazienti, ma di solito da alcuni anni si preferisce per la sua efficacia e la buona tollerabilit `a il trattamento con imatinib.

La terapia dovrebbe iniziare il pi `u presto possibile.

Se per`o il trapianto `e possibile, secondo Deininger, pag. 180, biso- gna spiegare al paziente che l’imatinib non riesce ad eliminare com- pletamente la leucemia, che la terapia dovr `a durare tutta la vita e che esiste il rischio di un’improvvisa apparizione di cloni resistenti e progressione in fase blastica.

Tutti i trattamenti sono efficaci solo nella fase cronica; sembra che non esista una terapia nella fase blastica anche se talvolta alte dosi di imatinib riescono a indurre un ritorno alla fase cronica (cfr. Castol- di/Liso, pag. 224).

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Nota 2.4. L’introduzione di inibitori dell’attivit `a tirosinochinasica ha rivoluzionato la terapia della leucemia mieloide cronica (Castoldi/Liso, pag. 222).

L’imatinib `e una droga usata nel trattamento di diversi tipi di tumo- ri che viene utilizzata anche in alcuni tumori del cervello e in rari tu- mori gastrointestinali. L’imatinib, chiamato anche STI571 (STI=signal transduction inhibitor) e, come prodotto commerciale della Novartis, Gleevec o Glivec, `e un inibitore della BCR/ABL tirosino proteina china- si che agisce mediante un blocco dell’ATP, la molecola che governa la dinamica energetica della cellula. `E stato identificato alla fine del 1990 e, negli Stati Uniti, `e stato approvato come trattamento per la LMC, proprio per la sua efficacia. L’imatinib `e una 2-fenilaminopirimidina la cui formula `e rappresentata nella figura.

Una dose di 400 mg al giorno `e capace di produrre una remissione ematologica completa in quasi tutti i pazienti riducendo fortemente il numero delle cellule tumorali nel midollo osseo. Purtroppo questa re- missione `e soltanto temporanea. Infatti, molti tumori sviluppano resi- stenza alla droga. In alcuni casi la resistenza coinvolge l’amplificazione del gene BCR-ABL, mentre in altri i cambiamenti rendono questa pro- teina meno sensibile agli inibitori.

Gli effetti tossici dell’imatinib riguardano il fegato, l’apparato ga- stroenterico e il sistema nervoso, provocando esantemi, ritenzione di liquidi, tensioni muscolari e nausea.

La terapia pu`o provocare neutropenia e trombocitopenia che talvol- ta costringe a una riduzione della dose.

La LMC generalmente mostra una buona reazione all’imatinib so- prattutto nella fase cronica e riesce a prolungare la sopravvivenza dei pazienti.

Per pi `u dettagli si cfr. Hoffbrand/Moss/Pettit, pagg. 177-179, e Dei- ninger/Buchdunger/Druker.

Osservazione 2.5.Due nuovi farmaci, il dasatinib (BMS-354825, svi-

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luppato dalla Bristol-Myers-Squibb) e l’AMN107 sembrano poter com- petere con l’imatinib; cfr. Shah/. . ./Sawyers, Weisberg/. . ./Griffin e O’Hare/Corbin/Druker. Si tratta ancora di inibitori della tirosinochina- si BCR-ABL promettenti soprattutto nella possibilit `a di superare i fe- nomeni di resistenza. Nonostante ci`o sembra che anche queste nuove sostanze non siano in grado di eliminare completamente le cellule sta- minali tumorali; gli autori citati prospettano quindi l’utilizzo di un cocktail di inibitori per evitare la formazione di classi resistenti.

Nel lavoro di Rea/. . ./Rousselot `e descritto uno studio clinico su una terapia combinata in cui l’imatinib viene somministrato a una dose doppia (800 mg al giorno) rispetto a quella normale.

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3. Cellule staminali tumorali

Nota 3.1. La scoperta di cellule staminali tumorali ha rivoluziona- to gli studi sulla carcinogenesi e promette di aprire nuove vie per la chemioterapia tumorale. Si tratta attualmente di uno dei campi pi `u attivi della ricerca sul cancro; seguiamo in questo capitolo soprattutto i lavori di Dean/Fojo/Bates e Rea/. . ./Weisman.

Le cellule staminali sono definite come quelle cellule che hanno l’abilit `a di perpetuarsi attraverso l’autorinnovamento; da esse discen- dono le cellule mature dei vari tessuti attraverso diversi stadi di diffe- renziazione. Le cellule staminali sono rare ed `e molto difficile poterle identificare, mentre la loro origine `e ancora sconosciuta.

Probabilmente anche tra le cellule staminali esiste una gerarchia che va da cellule che possono produrre qualsiasi tipo di cellula e sono chiamate pluripotenti a cellule staminali pi `u specializzate.

Il tempo di duplicazione delle cellule staminali `e relativamente lun- go rispetto a quello dei progenitori.

Durante la divisione da una cellula staminale nascono due cellule figlie: una del tutto uguale alla cellula madre, la seconda destinata a diventare progenitrice di una linea cellulare tissutale specifica che si evolve attraverso la differenziazione cellulare.

Nota 3.2. Le cellule staminali sono alla base di molti meccanismi di riparazione dei tessuti, inoltre la loro capacit `a di divisione e autorin- novamento `e cruciale per il mantenimento di un giusto stato di equi- librio (omeostasi) degli organi; infatti un organo sano mantiene un normale equilibrio controllando le diverse cellule per riparare lesioni all’organo.

Siccome le cellule di molti organi vengono continuamente rinnovate, ci`o richiede un preciso meccanismo di proliferazione e distruzione che in pi `u deve essere in grado di reagire in modo appropriato a situazioni nuove in seguito a traumi o particolari esigenze fisiologiche.

Per conservare le loro caratteristiche biologiche e per garantire e regolare la divisione cellulare asimmetrica descritta nella nota 3.1, le cellule staminali hanno bisogno di un microambiente stabile e favo- revole che prende il nome di nicchia staminale, descritto ad esempio in Fuchs/Tumbar/Guasch, Schulz, pagg. 185-191 e Clarke/Fuller. Nel caso delle cellule staminali tumorali probabilmente `e decisivo se esse riescono a trovare o crearsi un tale ambiente favorevole.

Nota 3.3.Si pu`o supporre che ci siano parallele tra le cellule stami- nali normali e quelle tumorali: che abbiano quindi meccanismi simili che regolano l’autorinnovamento attraverso una gerarchia di cellule sempre pi `u specializzate. La grande massa delle cellule tumorali de- riverebbe dalle cellule staminali tumorali, che risultano cos`ı decisive per la progressione della malattia.

Il ruolo delicato delle cellule staminali normali nel mantenimento dell’omeostasi e i complessi meccanismi di riparazione di cui dispon-

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gono le rende probabilmente spesso il bersaglio degli eventi che con- ducono a una trasformazione maligna.

In questo senso un tumore pu`o essere visto come un organo aberran- te governato da un compartimento di cellule staminali trasformate le quali, fino a quando non sono completamente eradicate, continuano ad essere in grado di rigenerare il tumore.

Una caratteristica importante per le strategie di terapia `e che le cellule staminali sia normali che tumorali dispongono di meccanismi di protezione pi `u efficaci delle cellule specializzate (ad esempio nelle cellule staminali sono spesso fortemente espressi i geni per sistemi di trasporto con cui la cellula riesce a liberarsi di sostanze tossiche e quindi anche di farmaci tumorali) e sono quindi molto pi `u resistenti al- la chemioterapia che quindi spesso riesce (come abbiamo visto nel caso della leucemia mieloida cronica) ad eliminare la grande massa del- le cellule tumorali, ma non `e in grado di distruggere il compartimento staminale. Nelle cellule staminali tumorali molto probabilmente si ag- giungono mutazioni patologiche che possono a loro volta causare una maggiore resistenza.

Nota 3.4.Cellule staminali tumorali sono state identificate per la pri- ma volta in alcuni tipi di leucemia nel 1997, mentre nel 2003 sono state trovate cellule staminali in tumori al seno (cfr. Dick, al-Hajj/. . ./

Clarke) e ancora pi `u recentemente in tumori del cervello, delle ossa e in teratocarcinomi. Nel 2007 sono state isolate per la prima volta cellule staminali del tumore del pancreas.

Osservazione 3.5. I biologi non sono sicuri ancora di come le cellu- le staminali (normali o tumorali) acquisiscono le loro caratteristiche particolari.

Si `e visto comunque recentemente, quando si sono isolate celulle staminali tumorali, che esse costituiscono solo una piccolissima parte dell’intera massa del tumore e che ne bastano poche per generare un nuovo cancro, mentre la maggior parte delle cellule tumorali non ne `e in grado.

In base a queste considerazioni Kathryn Packman ha sviluppato un nuovo modello del cancro che differisce sostanzialmente dal vecchio:

Vecchio modello:

(1) Tutte le cellule del tumore possono formare nuovi tumori.

(2) Crescita sregolata attribuita a eventi genetici.

(3) Cancro `e un malessere proliferativo.

Nuovo modello:

(1) Solo poche cellule del cancro possono formare nuovi tumori.

(2) Crescita sregolata attribuita a difetti nei meccanismi nel rinno- vo delle cellule staminali.

(3) Cancro `e un disordine delle cellule staminali.

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Un tentativo di definire cellule staminali pretumorali capaci di un’evoluzione sia benigna che maligna che potrebbero essere i precursori delle cellu- le staminali tumorali si trova in un recente lavoro di Chen/. . ./Gao.

Osservazione 3.6. Il concetto di cellula staminale tumorale aprir `a sicuramente nuove strade per la terapia.

Analizzando infatti le caratteristiche particolari di queste cellule si possono sviluppare farmaci che attaccano specificamente le cellule che hanno quelle propriet `a.

Allo stato attuale comunque bisogna aggiungere che in alcuni tu- mori (ad esempio del rene, del pancreas, del colon) la chemioterapia non riesce a ridurre in modo decisivo nemmeno il numero delle cellule tumorali comuni.

Osservazione 3.7. Molti scienziati pensano che anche le mutazioni di un tumore risalgano spesso a cellule staminali tumorali che talvolta, in accordo con le loro propriet `a biologiche, possono rimanere quiescen- ti per molti anni e causare metastasi ritardate; cfr. B¨ordlein.

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4. Biologia generale dei tumori

Nota 4.1. Nell’organizzazione generale di questo capitolo seguiamo l’articolo di Hanahan/Weinberg.

Il cancro `e una malattia che ha origine da cambiamenti nel genoma.

Le mutazioni pi `u facilmente identificabili riguardano gli oncogeni e i geni soppressori della crescita.

Hanahan e Weinberg prospettano per il futuro una nuova imposta- zione delle ricerche sul cancro che si spera che potr `a diventare una scienza logica che cerca di capire la malattia individuandone un picco- lo numero di principi astratti.

In questo processo di messa a punto dei concetti fondamentali forse anche il matematico pu`o avere il suo ruolo, contribuendo con metodi analitici (come in questa tesi) o statistici classici oppure importando nella ricerca medica strumenti della matematica pura come le reti di Petri o la teoria dei sistemi.

Nel seguito spiegheremo le regole che governano la trasformazione di cellule normali umane in maligne, mentre vedremo che il cancro `e un processo a pi `u tappe tipicamente associate a specifiche alterazioni genetiche.

Il problema del cancro non `e comunque difficile solo per la nume- rosit `a dei fattori e processi coinvolti, ma anche perch´e non si tratta di una singola malattia, ma di un’intera classe di malattie spesso con caratteristiche biologiche molto diverse.

Esse hanno in comune uno sregolamento della cooperazione bilan- ciata tra i fattori che stimolano la crescita dei tessuti e i fattori che controllano e limitano la crescita. Quando i geni che producono questi fattori subiscono mutazioni, nel primo caso possono diventare onco- genie provocare una crescita incontrollata; se i geni soppressori sono mutati, essi a loro volta non sono pi `u in grado di regolare la crescita e di impedire la successiva trasformazione maligna.

Questo meccanismo spiega anche perch´e in genere `e sufficiente la mutazione di un solo allele per attivare un oncogene, mentre affinch´e l’azione di un sopressore venga compromessa la mutazione deve ri- guardare entrambi gli alleli (per questa ragione persone in cui per un difetto genetico solo uno dei due alleli soppressori funziona bene, sono particolarmente a rischio di perdere questa protezione).

Per un’esposizione pi `u approfondita delle conoscenze attuali su on- cogeni e geni soppressori rimandiamo ai libri di Macdonald/Ford/Casson e Pelengaris/Khan che contengono anche capitoli su alcuni degli altri temi che adesso toccheremo molto brevemente (apoptosi, telomeri, in- stabilit `a genetica, angiogenesi, ciclo cellulare).

Nota 4.2. Molti tipi di cancro sono noti nel genere umano; qui di se- guito riportiamo alcuni dati del 2006 riguardanti gli USA, presi dalla tabella del NCI.

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Nuovi casi stimati nel 2006 Morti stimate nel 2006

uomini donne uomini donne

Cavit `a orali e faringe 20

.180 10

.810 5

.050 2 .380

Esofago 11

.260 3

.290 10

.730 3 .040

Stomaco 13

.400 8

.880 6

.690 4 .740

Colon e retto 72.800 75.810 27.870 27.300

Fegato e dotti biliari 12

.600 5

.910 10

.840 5 .360

Pancreas 17

.150 16

.580 16

.090 16 .210

Laringe 7

.700 1

.810 2

.950 790

Polmone e bronchi 92

.700 81

.770 90

.330 72 .130

Melanoma della pelle 34

.260 27

.930 5

.020 2 .890

Seno 1

.720 212

.920 460 40

.970

Cervice (utero) 9

.710 3

.700

Endometrio (utero) 41

.200 7

.350

Ovaie 20

.180 15

.310

Prostata 234

.460 27

.350

Testicoli 8

.250 370

Vescica urinaria 44

.690 16

.730 8

.990 4 .070

Rene e bacini renali 24

.650 14

.240 8

.130 4 .710

Cervello e altri nervi 10

.730 8

.090 7

.260 5 .560

Tiroide 7

.590 22

.590 630 870

Linfoma Hodgkin 4

.190 3

.610 770 720

Linfoma non-Hodgkin 30.680 28.190 10.000 8.840

Mieloma 9

.250 7

.320 5

.680 5 .630

Leucemia 20

.000 15

.070 12

.470 9 .810

Trasformiamo la tabella in diagrammi a trapezio, in cui il lato superio- re si riferisce agli uomini, il lato inferiore alle donne, mentre la parte scura corrisponde alla mortalit `a.

bocca e faringe esofago stomaco colon e retto

fegato pancreas laringe polmoni

prostata mammella

cervice dell’utero corpo dell’utero ovaia testicoli

vescica urinaria rene sistema nervoso tiroide melanoma

Hodgkin linfomi non-Hodgkin mieloma leucemie

(18)

Nota 4.3.Esistono notevoli differenze tra i vari paesi. I seguenti bipro- fili corrispondono alla tabella a pag. 3 in Schulz; sono indicate le mor- talit `a per alcune forme di tumore secondo zone geografiche. Dall’alto in basso: Europa occidentale, Nordamerica, Sudamerica, Cina, Africa, media mondiale.

stomaco colon

fegato polmoni

prostata seno

cervice dell’utero

Nota 4.4. Le cellule cancerose sono caratterizzate da un difetto nei circuiti regolatori che governano la proliferazione e l’omeostasi delle cellule normali.

Si conoscono pi `u di 100 tipi diversi di cancro e numerosi sottotipi.

Nonostante questa complessit `a si possono evidenziare sei alterazioni essenziali nella fisiologia cellulare, probabilmente presenti in tutti i tipi di cancro.

• Autosufficienza rispetto ai segnali di crescita.

• Insensibilit `a ai segnali che limitano la crescita.

• Capacit `a di evitare la morte programmata (apoptosi).

• Capacit `a illimitata di autoreplicazione.

• Angiogenesi tumorale.

• Invasione dei tessuti vicini e formazione di metastasi.

Nota 4.5. Autosufficienza nei segnali di crescita.

Le cellule normali necessitano di un segnale di crescita mitogenico prima di passare da uno stato di quiescenza a uno di proliferazione.

Questi segnali sono accolti dalle cellule tramite recettori specifici, i quali trasmettono il segnale all’interno. Nell’assenza di questi segnali cellule normali non possono proliferare.

(19)

Molti oncogeni agiscono imitando questi segnali, cosicch´e la cellula cancerosa diventa indipendente dagli stimoli provenienti dall’ambiente.

Pi `u specificamente, per realizzare questa indipendenza si osservano tre diverse strategie: l’alterazione dei segnali di crescita extracellula- ri, l’alterazione dei trasduttori transcellulari di questi segnali oppure dei circuiti intracellulari che traducono questi segnali in risposte pro- liferative.

Nei tessuti normali, le cellule sono stimolate a crescere da quelle vicine o da segnali sistemici e infatti anche nei tumori si osserva, oltre all’autosufficenza, che si stabiliscono dei meccanismi di cooperazione tra le cellule (cancerose e non), e spesso le cellule tumorali acquisi- scono l’abilit `a di cooptare i loro normali vicini inducendoli a rilasciare segnali necessari per la crescita tumorale.

Nota 4.6. Insensibilit `a ai segnali che limitano la crescita.

Nei tessuti normali, una variet `a di segnali antiproliferativi agisce per mantenere le cellule in quiescenza proliferativa e garantire l’omeostasi nei tessuti; questi segnali includono sia inibitori solubili sia inibitori immobilizzati nella matrice extracellulare e sulla superficie di cellule vicine.

Anche questi segnali inibitori agiscono attraverso un sistema di ri- cettori trasmembrana associati a circuiti a cascata all’interno delle cellule.

Questi stimoli possono bloccare la proliferazione attraverso due mec- canismi distinti: o le cellule escono dal ciclo di proliferazione entrando in uno stato di quiescenza da cui possono successivamente rientrare in un ciclo, oppure perdono definitivamente la capacit `a di proliferazione passando a uno stato postmitotico differenziato.

Le cellule del cancro allo stato iniziale devono quindi eliminare o evadere questi segnali, ad esempio attraverso mutazioni che compro- mettono i geni responsabili della produzione della molecola associata ai segnali inibitori.

Molti dei meccanismi che le cellule tumorali utilizzano a questo sco- po sono per`o ancora sconosciuti.

Nota 4.7. Capacit `a di evitare la morte programmata (apoptosi).

L’abilit `a della popolazione cellulare tumorale di espandersi non `e de- terminata solo dalla rata di proliferazione ma anche dalla resistenza alla morte programmata (apoptosi) presente seppur in forma latente, in quasi tutte le cellule del corpo umano. Il programma apoptico si ba- sa su due componenti: i sensori, attraverso i quali la cellula percepisce l’ambiente interno ed esterno rivelando condizioni che determinano se la cellula deve continuare a vivere oppure morire, e gli effettori, ad es- empio la proteina p53, che a sua volta causa il rilascio di citocromo C, un potente catalizzatore dell’apoptosi, e le caspasi che in un meccanis- mo a cascata completano il programma di distruzione.

La resistenza all’apoptosi pu`o essere acquisita dalle cellule del can-

(20)

cro in pi `u modi, tra cui forse il pi `u importante `e la soppressione della proteina p53.

Viceversa alcune delle terapie pi `u moderne cercano di indurre le cellule tumorali all’apoptosi.

Nota 4.8. Capacit `a illimitata di autoreplicarsi.

Cellule in culture hanno un potenziale finito di replicarsi, infatti dopo essersi duplicate un certo numero di volte smettono di crescere.

Al contrario, molte cellule tumorali che si propagano nelle culture sembrano essere immortali, e da questo si deduce che la capacit `a illi- mitata di riprodursi `e un fenotipo che si acquisisce durante la progres- sione tumorale in vivo e ed `e essenziale per capire lo stato maligno di crescita.

Queste osservazioni suggeriscono che, a un certo punto dell’evolu- zione tumorale, la popolazione premaligna delle cellule raggiunge il numero consentito di duplicazioni e pu`o completare la strada verso il cancro solo superando questo limite e acquisendo un potenziale illimi- tato di replicazione.

Ci`o potrebbe avvenire attraverso la conservazione (in questo conte- sto patologica perch´e favorisce il cancro) delle estremit `a dei cromoso- mi (i telomeri) i quali dopo ogni divisione cellulare fisiologica vengono accorciati (di circa 50-100 coppie di basi) comportando, dopo un certo numero di replicazioni, l’incapacit `a della cellula di dividersi ancora.

Nota 4.9. Angiogenesi tumorale.

Le cellule del nostro corpo hanno bisogno di nutrimento e ossigeno forniti nei tessuti dei vasi sanguigni. Ci`o vale anche per le cellule can- cerose. Queste per`o inizialmente non sono in grado di stimolare la cre- scita di nuovi vasi sanguigni e devono acquisire questa capacit `a prima che un tumore solido si possa espandere. Ci`o avviene attraverso mec- canismi complessi di regolazione attualmente molto studiati anche dai biomatematici.

Nota 4.10. Invasione dei tessuti vicini e formazione di metastasi.

Molti tumori sono in grado di invadere i tessuti adiacenti, e da es- si possono distaccarsi cellule capaci di raggiungere siti anche lontani dove talvolta riescono a formare nuove colonie.

Questi insediamenti distanti di cellule tumorali (metastasi) sono la causa del 90% delle morti di cancro.

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, oggi si pensa che non tutte le cellule tumorali siano capaci di rigenerare il tumore in un altro sito, ma soltanto le cellule staminali tumorali e sottoclassi particolari di queste.

Invasione e metastasi sono processi estremamente complessi e solo parzialmente compresi.

I meccanismi sono probabilmente piuttosto simili e legati a modifi- che dei livelli di espressione di alcune molecole responsabili delle in-

(21)

terazioni tra le cellule: molecole di adesione cellula-cellula (soprattut- to alcune immoglubine e cadherine); le integrine, che legano le cellule alla matrice extracellulare; le proteasi extracellulari. Queste ultime, capaci di distruggere le barriere tissutali, spesso non vengono prodot- te dalle cellule tumorali, ma da cellule stromali e infiammatorie che in qualche modo hanno iniziato a collaborare con le cellule maligne.

Osservazione 4.11. Instabilit `a genetica.

Le sei alterazioni fisiologiche fondamentali che abbiamo elencato (de- scritti molto pi `u dettagliatamente nel lavoro di Hanahan/Weinberg) sono a loro volta connesse con cambiamenti a livello genetico che si esprimono spesso in una spiccata instabilit `a genetica delle cellule tu- morali.

Nota 4.12.Non abbiamo potuto toccare in questa tesi un altro capitolo estremamente importante della ricerca sul cancro, la regolazione delle fasi di ciclo cellulare. Se da un lato esso si presenta particolarmente bene a un approccio matematico (ad esempio nell’ambito delle reti di Petri o della teoria dei sistemi), probabilmente mancano ancora co- noscenze precise dei componenti del ciclo per poter formulare modelli matematici biologicamente corretti.

Una discussione della biologia dei tumori dal punto di vista del cic- lo cellulare si trova nella parte conclusiva del libro di Morgan e nel quarto capitolo di Pelengaris/Khan.

(22)

5. Alcune implicazioni

Nota 5.1. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la crescita di molti tumori `e governata da un compartimento di cellule staminali tumorali. Solo eliminando questo compartimento si pu`o arrivare a una terapia definitiva.

Il recente lavoro di Dingli/Michor descrive questi aspetti dal punto di vista quantitativo, utilizzando un modello a quattro compartimenti della forma

˙x0 = x0· [ϕ(x0+ y0) − ax0]

˙x1 = αx0− bx1

˙y0 = y0· [ψ(x0+ y0) − cy0]

˙y1 = βy0− dy1

in cui x0 denota il numero delle cellule staminali sane, x1 il numero delle cellule differenziate sane, mentre y0 si riferisce alle cellule sta- minali tumorali, y1alle cellule tumorali differenziate. Le funzioni ϕ e ψ sono funzioni decrescenti che esprimono un legame competitivo tra i due compartimenti staminali.

Il modello dimostra poi piuttosto bene come il tumore non possa essere eradicato se la terapia non `e in grado di distruggere il compar- timento staminale. Siccome le cellule staminali tumorali sono partico- larmente suscettibili a mutazioni che possono portare a una sempre maggiore resistenza, si dovrebbe cercare di eliminare il compartimen- to staminale il pi `u presto possibile, nel caso della LMC ad esempio con l’interferone α. `E quindi importante sviluppare terapie che riescano ad aggredire selettivamente le cellule staminali tumorali e allo stesso tempo incidano il meno possibile sul compartimento staminale sano.

Punish the parent not the progeny `e quindi il titolo del lavoro di El- rick e colleghi che fornisce una visione dal punto di vista medico dei fattori biologici coinvolti e delle strategie terapeutiche che si potreb- bero considerare.

Nota 5.2. Alcuni aspetti matematici generali della formulazione di modelli per la resistenza sono discussi nell’articolo di Wodarz/Komarova, gli aspetti medici corrispondenti nel caso della cura della LMC in Dei- ninger/Druker e Bhatia/. . ./Forman.

Un modello stocastico della resistenza alla chemioterapia tumorale

`e presentato nel lavoro di Komarova.

Il problema della resistenza `e comunque molto complesso dal punto di vista biologico. L’azione di farmaci che incidono sul ciclo cellulare pu`o essa stessa produrre la resistenza, se il farmaco ferma il ciclo in una fase dove la cellula successivamente non `e pi `u suscettibile alla terapia, ad esempio tramite altri farmaci che vengono somministrati in combinazione oppure perch´e la cellula non raggiunge il punto in cui possa entrare in azione il p53. Questi aspetti sono discussi nell’articolo di Shah/Schwartz.

(23)

II. L’ESPONENZIALE MATRICIALE

6. Funzioni di matrici ed esponenziale matriciale

Situazione 6.1.Sia A ∈ Cnn e sia σ(A) lo spettro di A, cio`e l’insieme dei suoi autovalori.

Come sempre, per un anello commutativo K denotiamo con Kmn l’insieme delle matrici ad n righe ed m colonne con coefficienti in K. δ sia la ma- trice identitica in Knn.

Definizione 6.2.Per un polinomio f = a0+ a1x+ ... + arxr ∈ C[x]

definiamo f(A) :=

r

X

k=0

akAk. Naturalmente A0 := δ.

Osservazione 6.3. Sia ϕ = f

g con f, g ∈ C[x] una funzione razionale per cui g(λ) 6= 0 per ogni λ ∈ σ(A).

Allora la matrice ϕ(A) := (g(A))1f(A) risulta ben definita.

Dimostrazione. La matrice ϕ(A) `e ben definita in quanto sono ben definite f(A) e g(A), secondo la definizione precedente, ed `e possibile invertire g(A) in quanto si `e supposto g(λ) 6= 0 per ogni λ ∈ σ(A).

Osservazione 6.4.SianoΩ un dominio di C ed f : Ω → C una funzione analitica. Γ sia una curva di Jordan in Ω che contiene σ(A) al suo interno. Allora si pu`o definire

f(A) := 1 2πi

Z

Γ

f(z)(zδ − A)1dz

Si pu`o dimostrare che questa matrice `e ben definita e non dipende daΓ. Per i coefficienti essa significa

(f (A))jk:= 1 2πi

Z

Γ

f(z)((zδ − A)1)jkdz per ogni j,k.

Se z0 `e un punto di Ω in cui f `e rappresentata dalla serie di potenze f(z) =

X

k=0

ak(z − z0)k, si pu`o dimostrare che f(A) =

X

k=0

ak(A − z0δ)k.

Definizione 6.5.L’esponenziale eA:=

X

k=0

1 k!Ak

`e definito per ogni A ∈ Cnn.

Nel teorema 6.6 riportiamo alcuni utili enunciati sulle propriet `a dell’esponenziale di una matrice.

(24)

Teorema 6.6.

(1) Per ogni T ∈ GL(n, C) si ha eT−1AT = T1eAT.

(2) Sia B ∈ Cnne AB= BA. Allora eA+B = eAeB= eBeA. (3) (eA)1= eA, quindi eA `e sempre una matrice invertibile.

(4) Se λ1, ..., λn sono gli autovalori di A, allora eλ1, ..., eλn sono gli autovalori di eA. La moltiplicit `a degli autovalori di A `e maggio- re o uguale a quella di eA, in quanto pu`o accadere che λj 6= λk, ma eλj = eλk.

(5) det(eA) = etrA.

Dimostrazione. Huppert, pagg. 269-283, Arnold, pagg. 115 sgg., Amann, pagg. 167-183.

Nota 6.7. L’equazione differenziale ˙x = Ax (in cui si cerca una fun- zione x: R → Cn) per ogni dato iniziale x(0) = x0 ammette un’unica soluzione x=

t

etAx0.

Ci`o implica l’enunciato analogo per l’equazione differenziale matri- ciale ˙X = AX, in cui si cerca una funzione X : R → Cnn. Per ogni k infatti, questa corrisponde a un’equazione ˙Xk = AXk con soluzione Xk =

t

etAXk(0) e ci`o significa proprio che X =

t

etAX(0).

In particolare, l’unica soluzione del problema X˙ = AX con X(0) = δ `e X = etA.

Definizione 6.8. Per λ ∈ C ed m ∈ N+1 definiamo le caselle di Jordan Jm(λ) ∈ Cmm nel modo seguente:

J1(λ) := (λ) J2(λ) :=λ 1

0 λ



J3(λ) :=

λ 1 0 0 λ 1 0 0 λ

 . . .

Jm(λ) :=

λ 1 0 . . . 0 0 λ 1 . . . 0 . . . .

0 0 . . . λ 1

0 0 0 0 λ

Se poniamo Nm := Jm(0), abbiamo Jm(λ) = λδ + Nm.

Osservazione 6.9. N ∈ Cnn sia una matrice nilpotente, cio`e tale che esiste r ∈ N con Nr= 0. Allora la matrice δ − N `e invertibile e si ha

(δ − N )1=

r−1

X

k=0

Nk

(25)

Dimostrazione.

(δ−N )

r−1

X

k=0

Nk= δ+N +N2+. . .+Nr−1−(N +N2+. . .+Nr−1+Nr) = δ

Proposizione 6.10. Siano z, λ ∈ C ed m ≥1. Se z 6= λ, allora

(zδ − Jm(λ))1 = ((z − λ)δ − Nm)1=

m−1

X

k=0

Nmk (z − λ)k+1

Dimostrazione. Segue dall’osservazione 6.9 usando che Nmm= 0.

Proposizione 6.11. Siano λ ∈ C edΩ un dominio di C con λ ∈ C.

f : Ω → C sia una funzione analitica e Γ una curva di Jordan in Ω che contiene λ al suo interno. Allora

f(Jm(λ)) =

m−1

X

k=0

f(k)(λ) k! Nmk =

=

f(λ) f(λ) f′′(λ)

2! . . . f(m−1)(λ) (m − 1)!

0 f(λ) f(λ) . . . f(m−2)(λ) (m − 2)!

. . . .

0 0 0 . . . f(λ)

Dimostrazione.

f(Jm(λ))6.4= 1 2πi

Z

Γ

f(z)(zδ − Jm(λ))1dz

6.10= 1 2πi

Z

Γ

f(z)

m−1

X

k=0

Nmk (z − λ)k+1dz

=

m−1

X

k=0

Nmk 1 2πi

Z

Γ

f(z) (z − λ)k+1dz

=

m−1

X

k=0

Nmkfk(λ) k!

= δf (λ) + Nmf(λ) + Nm2 f′′(λ) 2! + . . . e si ottiene ovviamente la matrice dell’enunciato.

Nella dimostrazione abbiamo usato la nota formula f(n)(z) = n!

2πi Z

k

ϕ(ζ) (ζ − z)n+1

che si trova ad esempio in Knopp, pag. 64.

(26)

Definizione 6.12. Siano M1, . . . , Ms matrici quadratiche, non neces- sariamente della stessa dimensione. Allora con M1⊕. . .⊕Msdenotiamo la matrice

M =

M1 0 . . . 0 0 M2 . . . 0 0 . . . . .. 0 0 . . . Ms

Diciamo allora che M `e somma diretta delle matrici Mj.

Teorema 6.13 (teorema della forma normale di Jordan). Esiste T ∈ GL(n, C) tale che A = T1M T , dove M `e somma diretta di caselle di Jordan.

Dimostrazione. Ad esempio Huppert, pagg. 23-26, Mondini, pagg.

60-67.

Osservazione 6.14.Siano f come nell’osservazione 6.4 e T ∈ GL(n, C).

Allora f(T1AT) = f (A).

Perci`o in principio si pu`o usare la proposizione 6.11 per calcolare f(A); nella pratica per`o la forma normale di Jordan presenta notevoli difficolt `a algoritmiche e numeriche.

Dimostrazione. Immediato dalla formula integrale oppure dallo svi- luppo in serie di potenze di f .

(27)

7. Il polinomio minimale di una matrice

Situazione 7.1. Sia A∈ Cnn.

Lemma 7.2. U sia un’algebra su C con elemento neutro1U. Per f = a0xn+ a1xn+1+ · · · + an∈ C[x] ed u ∈ U poniamo f(u) := a0un+ a1un+1+ · · · + an1U.

Allora per ogni u∈ U , l’applicazione

f

f(u) : C[x] → U `e un omomor- fismo di C-algebre.

Abbiamo quindi f(1) = 1U e, per f, g∈ C[x] e α ∈ C, le relazioni (f + g)(u) = f (u) + g(u)

(αf )(u) = αf (u) (f · g)(u) = f (u) · g(u)

Nel seguito useremo questi risultati per U = Cnn.

Dimostrazione. Dimostriamo solo l’ultima relazione, in quanto le altre sono evidenti.

Siano f = a0xn+ a1xn+1+ · · · + an, g = b0xm+ b1xm+1+ · · · + bmed h:= f · g. Allora h =

n+m

X

k=0

ckxkcon ck =

k

X

j=0

ajbn−jper ogni k.

Ma questi sono proprio i coefficienti che si ottengono raccogliendo i coefficienti delle potenze di x con lo stesso esponente nel prodotto espanso(a0xn+ a1xn−1+ · · · + an)(b0xm+ b1xm−1+ · · · + bm) ed `e quindi chiaro che, sostituendo x con u, si ottiene proprio h(u) =

n+m

X

k=0

ckuk.

Corollario 7.3. Siano λ1, . . . , λn ∈ C ed f = (x − λ1) · · · (x − λn).

Allora f(A) = (A − λ1δ) · · · (A − λnδ).

Definizione 7.4. Se calcoliamo l’espressione det(xδ − A) =: PA in C[x], otteniamo un polinomio monico in C[x] che si chiama il polinomio caratteristicodi A.

Definizione 7.5. Sia B ∈ Cnn. Le matrici A e B si dicono simili, se esiste T ∈ GL(n, U ) tale che B = T−1AT .

Proposizione 7.6. Matrici simili hanno lo stesso polinomio caratteri- stico.

Dimostrazione. Segue immediatamente dalla definizione.

(28)

Teorema 7.7. Sia λ ∈ C. Le condizioni (1) e (2) sono equivalenti tra di loro e, quando n≥ 2, equivalenti alla (3):

(1) λ `e un autovalore di A.

(2) λ `e radice del polinomio caratteristico di A : PA(λ) = 0.

(3) Esiste una matrice B ∈ Cn−1n−1 tale che A `e simile a una matrice della formaλ ∗

0 B



. In questo casoPA= (x − λ) · PB. Dimostrazione. Corsi di geometria oppure Koecher, pag.234.

Proposizione 7.8. I sia un ideale ( possibilmente improprio) di C[x].

Se I6= 0, esiste un unico polinomio monico p ∈ C[x] che genera I.

Il grado di p `e il pi `u piccolo grado di un polinomio non nullo conte- nuto in I.

Dimostrazione. Corso di algebra.

Definizione 7.9. C[A] := {f (A) | f ∈ C[x]}.

E immediato che C[A] `e una sotto-C-algebra di C` nn.

Lemma 7.10. Esiste un polinomio f ∈ C[x] con f 6= 0 ed f (A) = 0.

Dimostrazione. Siccome C[A] `e un sottospazio vettoriale di Cnn, sicu- ramentedimCCnn≤ n2 =: s. Ci`o significa che le s+1 matrici δ, A, A2, . . . , As sono linearmente dipendenti, perci`o esistono a0, a1, . . . , as ∈ C non tutti nulli, tali che a0δ + a1A + a2A2 + . . . + asAs = 0. Se poniamo f := a0 + a1x+ . . . + asxs abbiamo trovato un polinomio f 6= 0 con f(A) = 0.

Definizione 7.11. Dal lemma 7.2 `e immediato che l’insieme {f ∈ C[x] | f (A) = 0} `e un ideale (possibilmente improprio) di C[x].

Dal lemma 7.10 sappiamo che questo ideale `e6= 0, quindi per la pro- posizione 7.8 esiste un unico polinomio monicoMA ∈ C[x] che genera questo ideale.

Per ogni f ∈ C[x] si ha quindif (A) = 0 se e solo se esiste g ∈ C[x] con f = g · MA. Il grado di MA `e allo stesso tempo il pi `u piccolo grado di un polinomio6= 0 che annulla A.

MAsi chiama il polinomio minimale di A. Per definizioneMA6= 0.

Corollario 7.12. m sia il grado diMA. Allora:

(1) Le matrici δ, A, A2, ..., Am−1 formano una base di C[A].

(2) dimCC[A] = m.

Dimostrazione. Dal lemma 7.10 sappiamo cheMA6= 0, quindi MA

`e della forma MA= xm+ a1xm−1+ . . . + am.

Abbiamo perci`o Am = −a1Am−1− . . . − amδ e ci`o implica che δ, A, A2, . . . , Am−1 generano lo spazio vettoriale C[A].

(29)

Se queste matrici fossero linearmente dipendenti, ad esempio b0δ+ b1A+ . . . + bm−1Am−1 = 0 con i coefficienti bj non tutti nulli, allora con g:= b0+ b1x+ . . . + bm−1xm−1 avremmo trovato un polinomio g 6= 0 con g(A) = 0 e grado minore di m, in contraddizione alla prop.7.8.

Proposizione 7.13. A `e invertibile se e solo seMA(0) 6= 0.

In tal caso A−1∈ C[A].

Dimostrazione. Sia di nuovo MA = xm+ a1xm−1+ . . . + am. Allora Am+ a1Am−1+ . . . + am−1A= −amδ e quindi AB= −amδ con

B := Am−1+ a1Am−2+ . . . + am−1δ. Per il corollario 7.12 B6= 0.

Si noti cheMA(0) = am. (1) Sia A invertibile.

Allora−amA−1 = B 6= 0 e quindi am6= 0.

(2) Sia am6= 0.

Allora A−1= − 1

amB∈ C[A].

Esempio 7.14. Assumiamo di sapere cheMA= x3+ 2x + 5. Allora

−5δ = A3+ 2A, ovvero A(A2+ 2δ) = −5δ e quindi

A−1= −1

5(A2+ 2δ) ∈ C[A].

Corollario 7.15. A sia invertibile. Allora esiste f ∈ C[x] con f(A) = δ ed f (0) = 0 .

Dimostrazione. Per la proposizione 7.13 esiste g ∈ C[x] con

A−1 = g(A). Perci`o A · g(A) = δ e se poniamo f = x · g, allora f (A) = δ ed f(0) = 0.

Esempio 7.16. Nell’esempio 7.14 possiamo porre f = −1

5x(x2+ 2) = −1

5(x3+ 2).

Infatti allora f(0) = 0 ed f (A) = −1

5(A3+ 2A) = −1

5(−5δ) = δ.

Osservazione 7.17. Siano f ∈ C[x] e T ∈ GL(n, C).

Allora f(T−1AT) = f (A).

Dimostrazione. `E sufficiente osservare che(T−1AT)k = T−1AkT per ogni k∈ N.

Corollario 7.18. Sia, anche, B ∈ Cnn. Se le matrici A e B sono simili, alloraMA= MB.

Lemma 7.19. Siano λ∈ C e v ∈ Cntali che Av = λv. Per ogni f ∈ C[x]

allora f(A)v = f (λ)v.

(30)

Dimostrazione. Infatti l’ipotesi implica Akv = λkv per ogni k ∈ N.

Per linearit `a si ottiene l’enunciato.

Teorema 7.20. Per λ∈ C sono equivalenti:

(1) λ `e autovalore di A.

(2) λ `e radice del polinomio caratteristico di A : PA(λ) = 0 . (3) λ `e radice del polinomio minimale di A : MA(λ) = 0.

Dimostrazione.

(1) ⇐⇒ (2): Teorema 7.7.

(1) ⇒ (3) : λ sia un autovalore di A. Allora esiste v ∈ Cn\ 0 tale che Av = λv. Dal lemma 7.9 segue che MA(λ)v = MA(A)v = 0 e quindi MA(λ) = 0 perch´e v 6= 0.

(3) ⇒ (1) : Sia MA(λ) = 0. Allora esiste f ∈ C[x] tale che

MA = (x − λ)f . Siccome f 6= 0 e grado f < grado MA, la minimalit `a di MA implica f(A) 6= 0. Perci`o esiste un vettore w ∈ Cn tale che v:= f (A)w 6= 0.

Usando il lemma 7.2 abbiamo adesso

Av− λv = Af (A)w − λf (A)w = (A − λδ)f (A)w = MA(A)w = 0.

Siccome v6= 0, ci`o mostra che λ `e un autovalore di A.

Corollario 7.21. Sia f ∈ C[x] con f (A) = 0. Allora f (λ) = 0 per ogni autovalore λ di A .

Teorema 7.22 (teorema di Cayley-Hamilton).PA(A) = 0.

Dimostrazione. Corsi di geometria oppure Mondini, pagg. 68-70.

Corollario 7.23. Il polinomio minimaleMAdivide il polinomio carat- teristicoPA.

Nota 7.24. Dal teorema 7.20 e dal corollario 7.23 vediamo che, se il polinomio caratteristico di A possiede la forma

PA= (x − λ1)n1· · · (x − λs)ns

con i λk distinti e gli esponenti nk ≥ 1, allora il polinomio minimale MA `e della forma

MA= (x − λ1)m1· · · (x − λs)ms con1 ≤ mk≤ nkper ogni k.

Se n non `e troppo grande e se gli autovalori λk sono noti con le lo- ro molteplicit `a nk (come accade nel caso di una matrice triangolare), possiamo cos`ı trovare il polinomio minimale tra i polinomi della forma (x − λ1)r1· · · (x − λs)rs con1 ≤ rk≤ nk per ogni k, partendo con

r1 = . . . = rs = 1 e aumentando gli esponenti, fino a quando troviamo un polinomio che annulla A.

(31)

Assumiamo ad esempio chePA= (x − λ)3(x − µ)2(x − ν) con λ, µ, ν distinti.

Allora proviamo, in questo ordine, i sei polinomi f1 = (x − λ)(x − µ)(x − ν)

f2 = (x − λ)2(x − µ)(x − ν) f3 = (x − λ)(x − µ)2(x − ν) f4 = (x − λ)3(x − µ)(x − ν) f5 = (x − λ)2(x − µ)2(x − ν) f6 = (x − λ)3(x − µ)2(x − ν)

fino a quando fj(A) = 0. Possiamo eseguire l’algoritmo formando in successione

B1 = (A − λδ)(A − µδ)(A − νδ) B2 = B1(A − λδ)

B3 = B1(A − µδ) B4 = B2(A − λδ) B5 = B2(A − µδ) B6 = B5(A − λδ) fino a quando Bj = 0.

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