QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO
SffiV"™!™ L. 100
P I A Z Z A C A R I G N A N O I N T O R I N O
a
P E S C A
ff
COMPAGNIA GENERALE ITALIANA DELLA GRANDE PESCA
SOCIETÀ PER AZIONI - CAPITALE SOCIALE L. 50.000.000
D I R E Z I O N E :
LIVORNO - P. della Repubblica, 8 TeleI. 32-993 - Casella Postale 250
Indirizzo Telegr. : . GENEPESCA .. - Livorno
S E D E L E G A L E :
ROMA - Via Regina Elena, 68 Telefoni 485-224 - 43-40 7
Indirizzo Telegr. : . GENEPESCA . - Roma
iMmMw
" G e n e p e s c a V » varata n e l 1946
CONCESSIONARIA PER IL PIEMONTE
S. A. S. T O L D O F R A N C O & C.
VIA B A R B A R O U X , N. 6 — T O R I N O — VIA B A R B A R O U X , N. 6
T E L E F O N I : 43-608 - 46-530
r ^
Depositi frigoriferi: VIA GIAVENO,
15 - TORINO - Tel. 20-418
N . 24 15 Dicembre 1947
lift hALì n fc
E b U l l U l l l b h E
QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO
r ^
C O N S I G L I O DI R E D A Z I O N E dott. A U G U S T O B A R G O N I prof. dott. A R R I G O B O R D I N prof. avv. ANTONIO CALANDRA dott. G I A C O M O F R I S E T T I prof. dott. S I L V I O G O L Z I O p r o f . d o t t . F R A N C E S C O P A L A Z Z I - T R I V E L L I * prof. d o t t . L U C I A N O GIRETTI D i r e t t o r e d o t t . A U G U S T O B A R G O N I C o n d i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e
LA F A V O L A D E L N A B A B B O
C'era una volta un Re, anzi un Nababbo, il qualereggeva felicemente le sorti d'un impero ricco di gem-me, d'ori ie di uomini industri che alacremente opera-vano per aumentare la prosperità dei singoli e della comunità. Fra le attività 'cui maggiormente si dedica-vano i sudditi del nostro Nababbo spiccava quella del commercio internazionale 'con paesi vicini e lontani. A mezzo di tale commercio i prodotti degli artigiani e operai del luogo venivano con reciproco vantaggio scambiati con gli altri prodotti in cui più eccellevano gli stranieri. Tutto sarebbe dunque andato per il me-glio nel Principato della nostra favola, se — come in tutte le favole degne 'd,i questo nome — non fosse com-parso un Orco e cioè una potenza maligna, rappre-sentata qui da un'organizzazione di interessi occulti e sfruttatori che riuscì a procurarsi il monopolio dei dazi posti alle frontiere sui beni importati per essere destinati al consumo degli abitanti, con la conseguenza di aumentarne indebitamente il costo e di diminuire quindi assai il benessere del Principato.
Il Nababbo, che si considerava iil primo servitore del suo paese e teneva alla felicità dei sudditi, decise di combattere la potenza del male. « Fece ricorso a un espediente inatteso — racconta una cronaca dei suoi tempi — e improvvisamente a'bolì del tutto i dazi sul commercio internazionale ». Era questo, fuor di dub-bio, il rimedio adatto a combattere i malefici del-l'Orco. « Mai c'era stato — continua la cronaca — un metodo più efficace, più semplice e più equo per sba-ragliare le vessazioni del monopolio ».
Purtroppo però questa nostra favola ha una triste fine, perchè l'organizzazione monopolistica, così dura-mente e improvvisadura-mente colpita nei suoi interessi, riuscì con pretesti bugiardi a fomentare disordini nel Principato. Il Nababbo venne deposto, i dazi sul com-mercio rimasero e l'Orco continuò a prosperare alle spaile degli ingenui.
Cose del genere capitano purtroppo spesso, nella storia, ed anche quella che abbiamo riportato non è una ¡fiaba triste, ma un fatto storico realmente acca-duto. Il Nababbo era Cossim Ali Khan, signore del Bengala; l'organizzazione monopolistica e sfruttatrice la Compagnia delle Indie, e il cronista Edmund Burke, che si valse di tale avvenimento, nel 1783, come di un capo d'accusa nelle sue requisitorie parlamentari con-tro Warren Hastings (1).
Come da tutte le favole o dagli avvenimenti della storia, anche da quelli concernenti il Nababbo Cosisim Ali Khan può trarsi una morale, la seguente: che cioè il Nababbo vide allora il meglio, ma non agì per « meglio; operò da moralista, ma
non da politico; si propose un fine di giustizia, ma non seppe rag-giungerlo. Si può dire di lui ciò che Machiavelli diceva ne « Il Princi-pe » di coloro che si raffigurano Repubbliche e Principati quali mai si son visti nella realtà, non misu-rando la differenza che corre da •come si vive a come si dovrebbe vivere, preferendo stoltamente la
il
immaginazione delle cose alla « verità effettuale » di esse, incorrendo così in fallimenti immancabili che riducono a zero la somma di tutte le loro buone in-tenzioni.
Di questa morale bisogna tener conto proprio oggi, quando molti uomini di buona volontà di ogni paese, apparentemente ammaestrati dalla esperienza dei di-sastri del recente passato, vanno discorrendo e trat-tando di leghe doganali, di unioni economiche e di fe-derazioni politiche. Bisogna agire in maniera che gli Orchi della favola, le organizzazioni monopolistiche e sfruttatrici, i « vested interests », creàti dappertutto da cinquanta e più anni dal protezionismo e da un inter-ventismo statale falsamente orientato, non abbiano da coalizzarsi ancora una volta, riuscendo purtroppo a far deporre — come il Na'babbo — i Ibene intenzionati che non si dimostrassero abbastanza a v v e d u t i . Come i
« bootleggers », i contrabbandieri d'alcool americani,
furono i più accaniti fautori del proibizionismo che co-stituiva per loro la ragione prima di larghi cespiti di entrata; come i « borsaneristi » d'ogni tempo sono sem-pre stati 'i partigiani più accesi dei calmieri e' degli ammassi, così il presente, disordinatisisimo e caotico sistema feudale dell'Europa e del mondo, dovuto in primo luogo all'interventismo protezionista, troverebbe difensori potentissimi sia nei baroni della burocrazia che interviene e protegge, sia in quelli protetti, Eia infine nei contrabbandieri della produzione e dello scambio, tutti insieme alleati per combattere senza esclusione di colpi chi volesse toglier loro d'un tratto la fonte del guadagno.
E' per simile « verità 'effettuale » che, pur essendo i piani di moda — così come generalmente li si intende — mere superstizioni, rivelantisi alla lunga assai dannose per l'economia, un'eccezione può esser fatta per un piano a lunga scadenza, che Serva a smobilitare poco alla volta, gradualmente, le sovrastrutture malsane cresciute nelle serre protezioniste, concedendo loro la relativa sicurezza di una morte lenta e contribuendo in tal modo ad evitarne la lotta a coltello, difensiva e coalizzata, contro le forze del bene e della prosperità. Nel 'tentare opera coraggiosa e rivoluzionaria quanto quella del ritorno alla libertà economica occorre sag-giare bene le forze degli infiniti avversari e non ri-nunciare a nessuno degli elementi capaci a tenerli in ¡scacco.
*
S O M M A R I O :
(A. Crespi)
Deflazione privata e inflazione pub Crisi del Piemonte (A. Bordin)
Rosa dei venti
(1) The works of the right honoura-ble E d m u n d Burke. - L o n d r a , G e o r g e
B e l l & S o n s , 1889. . V o l . I V , p a g . 56.
Borsa compensazioni
Macchine per l'industria (G. F. Miche-pag- 14
Notiziario estero pag. 17 . pag. 2 Il mondo offre e chiede pag. 19 i- D i s p o s i z i o n i u f f i c i a l i p e r il
4 c o m m e r c i o con l'estero pag. 21 • Pag. 5 Breve rassegna della « G a z z e t t a
uf-. paguf-. 9 f i c i a l e » pag.
li
APPUNTI DI SIMBOLISMO ISTITUZIONALE
La notizia della conclusione a Ginevra dell'accordo
tra ventitré nazioni per ridurre le tariffe doganali nel
mondo ci è giunta simultaneamente o quasi col nobile
discorso Truman concernente gli aiuti econcmici
all'Europa e col discorso Marshall in reazione, come
già il discorso Attlee, alla campagna sovietica contro
il successo del piano Marshall, proprio nel
mo-mento in cui a Londra la celebrazione del
matri-monio della Principessa reale, or Duchessa di
Edim-burgo, col luogotenente Mountbatten, or Duca di
Edimburgo, ha dato luogo a manifestazioni di
entu-siasmo superiori a quelle stesse per la vittoria finale
sull'Asse. E' fortuito questo- convergere di eventi?
O vi è tra essi un qualche profondo nesso organico?
S:no queste manifestazioni mere espressioni di
su-perficiali emozioni da parte di folle volubili, forse
più o meno servili, in reazione alla politica
dell'au-sterità o alla propaganda antimonarchica del
grup-petto comunista, o hanno esse un significato
pro-fondo e non meramente inglese o anglosassone?
Ecco alcune domande a-cui vorremmo cercar di
rispondere con una seria analisi storica e
sociolo-gica, convinti -come siamo che ci sono verità su
questi punti che in Italia sono ignorate o
sotto-valutate.
E' un fatto indiscutibile che se nel 1939 non fosse
esistito tra l'Inghilterra, l'Australia, la Nuova
Ze-landa, il Canadà, Terranova, il Sud Africa, ecc.
quell'unico vincolo che è ormai il vincolo dinastico;
ossia se questi paesi fossero stati con l'Inghilterra
nella stessa relazione che gli Stati Uniti, essi non
si sarebbero immediatamente trovati in guerra con
l'Asse ed è estremamente probabile che a sarebbero
l'uno dopo l'altro caduti preda della Germania e
del Giappone con tutta l'Europa, l'Asia, l'Africa e
come tanti paesi neutri europei, ovvero... sarebbero
intervenuti troppo tardi per sè e per l'Inghilterra!
Senza l'immediata cooperazione dell'Impero
Bri-tannico l'anno d'eroica solitaria resistenza
dell'In-ghilterra sarebbe stato impossibile; senza gli aiuti
transoceanici dal Canadà e soprattutto
dall'Au-stralia e dalla Nuova Zelanda, il Mediterraneo
sa-rebbe stato ben presto perduto. .V'è di più. Pur dopo
tale solitaria annata di resistenza e pur dopo
quel-l'intervento americano che Dio solo sa quanto
an-cora avrebbe potuto tardare senza l'attacco
prodi-torio giapponese a Pearl Harbour, la vittoria sul
Giappone sarebbe stata immensamente difficile je
forse Impossibile senza le basi navali ed aeree
prov-vedute dall'Impero Britannico in India, in Africa,
in Oceania; pur quella sulla Germania sarebbe stata
immensamente più difficile senza le basi navali nel
Med.terraneo e in Africa.
Senza la solitaria resistenza britannica prima, e,
immediatamente dcpo, senza gli aiuti materiali
con-siderevoli americani e britannici inviati alla Russia
per le vie dell'oceano Artico sfidando i sott; marini
tedeschi o per la via del golfo Persico, la Russia
sovietica che parecchie volte f u lì lì per ricevere
colpi mortali, presso che certamente sarebbe stata
vittima. Tante sono le inestimabili conseguenze del
persistere del vincolo dinastico imperiale tra i
po-poli dell'Impero Britannico sparsi per tutti i
con-tinenti e divisi da tanti oceani.
Né questo è tutto. L'inglese che dopo la vittoria
alleata contempla il resto dell'Europa non può
es-sere cieco al fatto che è solo nella Norvegia, nella
Svezia, nella Danimarca, nell'Olanda, nel Belgio,
cioè in monarchie più o meno nordiche dall'Impero
Britannico liberate, che, all'infuori della Svizzera,
sono sicuramente rispettate le libertà individuali, le
libertà di riunione, d'associazione, di stampa, di
co-scienza, di culto. In tutte le repubbliche europee,
tranne la Svizzera, o ci sono dittature, talora
ultra-dispotiche come quelle sotto controllo sovietico,
ov-vero vi è pericolo di cadere o ricadere sotto regimi
dittatoriali, spesso per pressione di partiti di massa.
Pur nel Nuovo Mondo è così: l'Argentina è una
dittatura; nessun Dominion Britannico ha la
mi-nima voglia di toglier la testa del re britannico dai
suoi francobolli per divenir pari in dignità e libertà
di qualsiasi repubblica americana; nemmeno degli
Stati Uniti, giacché mediante la chiara distinzione
tra le funzioni del Re e quelle del Gabinetto
responsa-bile al Parlamento, è resa impossiresponsa-bile, in momenti
gravi, la perdita di tempo talora pericolosissima, che
può derivare dall'essere il Presidente, come capo
d'un partito, di fronte talora a un Parlamento
do-minato dal partito opposto. E la stessa Svizzera, che
è sola fra le repubbliche europee a dar tuttavia
sta-bile esemplo di civiltà e libertà, sopravvive a tutte
le altre repubbliche in questo carattere solo perchè
l'anno di solitaria resistenza britannica rese
pos-sibile la successiva integrale vittoria alleata!
Senza di questa probabilmente gli Stati Uniti
sarebbero non solo la sola repubblica superstite, ma
l'unica oasi di libertà nel mondo intero. E se noi ci
chiediamo perchè gli Stati Uniti siano quella tra le
repubbliche americane che, da che esiste, è sola a
nor> aver conosciuta altra dittatura dopo quella di
Washington e la sola che non ha pressoché mutata
la sua Costituzione, troviamo 'che ciò è dovuto al
fatto che i Padri di questa, sotto l'influenza
del-l'ammirazione del Montesquieu per la monarchia
inglese, cercarono di mantenerne tutto ciò che si
poteva nonostante l'impossibilità di avere un
mo-narca e una Camera ereditaria, e di nulla erano
più preoccupati che della necessità di non essere
una... democrazia, cioè un governo dittatoriale da
parte di -una maggioranza numerica, senza riguardo
a diritti di individui e di minoranze. Nessun
feno-meno più ha colpito l'Inghilterra che pensa dello
spettacolo offerto dalla Germania, da questo pcpolo
che pareva assurto al monopolio naturale della
cultura, nel mandare a spasso dozzine di dinastie
e nel prostituirsi poi ai piedi d'un imbianchino
ne-vropatico, seguito da un'orda di nevropatici e
squi-librati come lui, spesso emersi dalla feccia della
popolazione. Ecco perchè a ogni inglese che pensa
la sopravvivenza pur ora in tanti spiriti d'Europa e
d'America di entusiasmi per l'ideologia repubblicana
pare pur essa un fenomeno psicopatico. Non si era
la Germania data la più perfetta delle cicstituzioni
repubblicane fin qui concepita?
Ebbene come si spiega storicamente e
sociologica-mente questa sopravvivenza e questo indubitato
im-menso successo del vincolo dinastico in un popolo,
che nessuno che lo conosca può accusare di servilità,
visto che non son pochi nella sua storia i re uccisi
o costretti ad abdicare e che esso ha preceduto la
Francia nel dar l'esempio d'una solenne
decapita-zione, dopo processo più io meno regolare d'un re,
e visto che è solo nel 1937 che un altro sovrano —
Edoardo V i l i — si vide additata la via
dell'abdica-zione nientemeno che dall'Arcivescovo di Canterbury
della Chiesa Anglicana di cui il Re è capo e da un
Primo Ministro, capo non di radicali o di socialisti,
ma del partito conservatore?
Per spiegare degnamente il fenomeno occorrerebbe
scrivere un intero commento di quelle Riflessioni sulla
Rivoluzione Francese, che, se pur contengono molti
radicali fraintendimenti di questa da parte del
Burke sono un documento luminosissimo del come
funziona politicamente lo spirito inglese pur oggi.
Ci limiteremo a dire che la spiegazione potrebbe
riassumersi così. A cagione della conquista
norman-na del 1066 si trovarono di fronte ima forte
Mo-narchia, una forte aristocrazia feudale ed un forte
popolo vinto anglosassone; ossia tre forze di cui
nes-suna potè mai sopraffar da sola le altre due, e di
cui ciascuna ebbe bisogno di qualche altra per
re-sistere alla terza; donde un equilibrio instabile che
un po' alla volta educò tutte al senso del limite e
a preferire l'unità che viene da reciproche
conces-sioni che tutti s'impegnano di rispettare, alla unità
che è mera uniformità livellatrice imposta da una
f
parte a tutte le altre. S'aggiunga che l'Inghilterra medievale oltre a vari re di genio •— Guglielmo il Conquistatore, Enrico I I e I I I , Edoardo I e I I I f o n -datori del sistema giuridico inglese — ebbe ot-timi cooperatori arcivescovi che prima di essere ecclesiastici erano stati giuristi: tali Lanfranco di Pavia, ed Anselmo d'Aosta, nonché vari altri di grande spirito di conciliazione tra queste parti e di res.stenza nientemeno che a papi come Innocen-zo I I I : tale Stefano Langton, arcivescovo di Londra e padre della « M a g n a Charta ». E' sotto questi in-flussi fondamentali che si è sviluppato il genio emi-nentemente pratico del popolo inglese e che questo, protetto per molti secoli dall'insularità, ha appreso, per dirla col Carlyle, che le piramidi stanno in piedi sulla base e non sul vertice!
Ebbene, è il senso del limite al cuore di questo sempre più diffuso eminentemente genio pratico che ha condotto il popolo inglese alla scoperta che una società, come ogni organismo vivente, ha bisogno ad un tempo di unità e di mutamento e che gli or-gani per la preservazione dell'unità e quelli per l'a-dattamento a nuove circostanze interne ed esterne non possono essere riuniti nelle stesse mani senza presto o tardi condurre a conseguenze disastrose. E' quello che avviene quando un re come Carlo I, oltre a rappresentare il bisogno d'unità, cerca anche con-durre od iniziare la politica di adattamento a :iuove situazioni; o quando un uomo, sia pur di grandissimo genio come Cromwell, oltre ad attendere alla poli-tica si mette in testa di creare o ricreare e rappre-sentare l'unità nazionale. Siccome presto o tardi è inevitabile che si commettano errori, in entrambi questi casi si costringe il popolo o a rendersi cor-responsabile di errori e di colpe io a ribellarsi, in ambo le eventualità mettendo in pericolo la pace e financo l'indipendenza del paese. Ecco ciò che, ri-petendosi più volte, ha finito col condurre alla scoperta della monarchia limitata, cioè a lasciare al M i -nistero e al Parlamento la responsabilità ultima delle innovazioni politiche e ad affidare al caso della nascita o a Dio, cioè a una forza superiore ai con-flitti d'idee e d'interessi politici, la conservazione e la rappresentazione dell'unità. L'esperienza ha inse-gnato che la scelta d'una famiglia il « l i capo rap-presenti l'unità e può essere educato a rappresen-tarla e può esser mandato a spasso o al patibolo ove trasgredisca i limiti assegnatigli dalla legge supe-riore a tutti è il miglior modo di risolvere il pro-blema, in quanto utilizza ai fini della pace e della coesione nazionale le emozioni domestiche connesse nella vita di tutti con gli eventi misteriosi e solenni della nascita, del matrimonio e della morte e le emo-zioni religiose in quanto per chi non crede nella for-tuna o nei fato, pure i casi della nascita, dell'amore e della morte, che interrompono o possono interrom-pere la regolarità della successione, acquistano so-lennità quando sono riguardati come voluti da Dio.
Per di più non v'è chi non veda che i costi e i rischi d'una rivoluzione sono immensamente mag-giori delle spese occasionate da simili festività; que-ste sono financo infinitesimali in confronto delle conseguenze pur di tanti scioperi ufficiali o non ufficiali e di molto assenteismo; e laddove i vantaggi della scoperta di questo vero e proprio meccanismo istituzionale sono, come si vide, incalcolabili :.ion solo per gli inglesi, ma pel mondo intero. Senza dub-bio all'invenzione e alla fortuna di questo meccani-smo ha concorso anche il caso della frequente man-canza di prole nelle famiglie regali inglesi, ciò che contribuì a mantenere sempre vivo il controllo na-zionale in materia di successione; laddove, ad es. in Francia, la prole non mai mancata contribuì a man-tenere per secoli la corona ininterrottamente nella stessa famiglia. M a è indiscutibile che molto a tale invenzione contribuì tanto il concetto medievale del-la regalità e deldel-la autorità come servigio quanto il concetto medievale della legge come superiore al sovrano. Il concetto imperiale romano del princeps
a legibus Solutus non trionfò mai in Inghilterra.
Soprattutto vi contribuì per altro lo sviluppo e la preservazione promossi considerevolmente da in-flussi ecclesiasdcl e monastici, delle istituzioni
rap-presentative parlamentari : sono queste che hanno impedito in Inghilterra lo sviluppo della monarchia feudale prima e poi assolutistica a tipo francese. A n -che i re più dispotici hanno preferito governare per mezzo di parlamenti anche servili, anziché farne sen-za; e durante la guerra delle Due Rose le due case di-nastiche rivali andarono a gara a f a r registrare i pro-pri diritti dal Parlamento. In tempi recentissimi vi è la secessione delle colonie americane che andarono a costituire gli Stati Uniti che, in combinazione con la lunga vedovanza e il lungo regno della Regina Vittoria, contribuì a sviluppare quél regime di Gabi-netto responsabile al Parlamento che, se fosse esi-stito nel secolo X V I I I , avrebbe impedito tale seces-sione, con conseguenze incalcolabili per la pace nel mondo e che, sviluppatosi ininterrottamente dal 1837 in poi, permise lo sviluppo del regime parla-mentare nei paesi britannici transoceanici.
Lord Samuel, liberale ed ebreo, in una recente conferenza ha richiamato l'attenzione sul fatto che, in contraddizione della tesi marxista secondo la quale ogni grande progresso politico sociale non sarebbe stato fin qui che strappato rivoluzionaria-mente dagli sfruttati privilegiati, in Inghilterra, mercè « la diffusa coscienza cristiana, l'abitudine del compromesso tra i partiti e libero gioco delle idee e la pace nella legalità resa possibile dalla monarchia parlamentare, la transizione dal governo aristocra-tico al governo delle classi medie e lavoratrici, non-ché il conferimento dell'autonomia ai Dominion» sotto l'egida della stessa Corona si sono compiuti nel secolo XIX e si stanno compiendo ora (Birmania. India, Ceylon, M a l t a ) senza rivoluzioni dal basso e semplicemente per la forza della persuasione mo-rale, costituendo un fenomeno unico nella sua gran-diosità storica. V'è di più: non è negli Stati Uniti, ma in Giamaica, sotto la Corona britannica, chc-abbiamo un paese governato da negri ed in cui giudici negri possono giudicare cittadini bianchi!
• • •
Ed ora il nesso tra i tre eventi da cui abbiamo preso le mosse — l'accordo di Ginevra riducente le tariffe doganali fra ventitré nazioni, il messaggio Truman al Congresso circa gli aiuti all'Europa e la celebrazione del matrimonio della Principessa Reale d'Inghilterra — è ovvio : quest'ultimo studiato nelle cause storiche che hanno reso possibile una simile cerimonia, in un momento economico tanto buio e grave pel Regno Unito ed in mezzo a manife-stazioni di devozione e d'entusiasmo superiori a quelle stesse della recente vittoria mette in evidenza le forze che sole possono permettere il regolare e co-struttivo funzionamento delle energie economiche: le forze morali. L a condizione essenziale al costrut-tivo funzionamento delle forze economiche si è la possibilità di f a r piani a lunga scadenza e questa esige fiducia nella pace, spirito di tolleranza, di transazione, di rispetto reciproco tra popoli come tra classi sociali; abitudine a preferire la coopera-zione -al conflitto tra le classi, l'unità che è sintesi volontaria di "differenze a quella che è mera uni-formità livellatrice impesta dall'alto. In un mo-mento in cui la Russia e i suoi ammiratori in tutti i modi, per settantadue ore al giorno si sbracciano ad accusar d'imperialismo il mondo anglosassone, vai la pena di meditare l'immenso contributo, a van-taggio di tutti e della stessa Russia, apportato dalla frazione britannica di questo mondo, semplicemen-te mediansemplicemen-te l'invenzione nel corso dei secoli del meccanismo istituzionale che pone in organi di-versi l'appagamento dei bisogni organicamente con-nessi della unità e del divenire sociale in ogni na-zione. Quei riti, quelle cerimonie, quelle istituzioni che, a bella prima, a chi le consideri superficial-mente, paiono mere reliquie feudali, al sociologo osservatore si rivelano i simboli della capacità di preferire il concreto all'astratto, di distinguere ad ogni momento il possibile dall'impossibile e di con-seguire i massimi risultati col minimo sforzo e col massimo comune consenso.
ANGELO CRESPI
DEFLAZIONE PRIVATA e INFLAZIONE PUBBLICA?
Negli sviluppi della politica anti-inflazionistica
del governo, definita in sintesi dalle cosiddette
«restrizioni creditizie», e nelle reazioni ed effetti
sul complesso economico del Paese sono da
distin-guersi, a nostro avviso, alcune ben determinate e
successive fasi.
— In un primo tempo (luglio-agosto), provocato
dalle iniziative e dai richiami della Banca d'Italia
e dalle crescenti restrizioni praticate dalle
maggio-ri banche (gruppo dell'I.R.I.), abbiamo avuto un
periodo di riflessione, di quasi incredula attesa:
con riflessi sensibili solo sul contegno delle Borse
(caduta dai massimi di maggio) e del mercato dei
beni strumentali.
— In secondo tempo (settembre-ottobre), al
ri-gido obbligato estendersi delle restrizioni per il
com-plesso bancario nazionale hanno corrisposto un
ri-sveglio quasi affannoso, una levata di proteste
vee-menti e una attiva insurrezione — delle
organizza-zioni padronali e di quelle sindacali — contro
au-tori ed esecuau-tori di quella politica: in seguito ad
evidenti e gravi difficoltà di giro e di assestamento
delle economie aziendali, del tutto impreparate alla
brusca inversione degli indirizzi e delle abitudini
facili, assunte in un lunghissimo periodo di
espan-sione dei mezzi di pagamento e dei prezzi.
— In terzo tempo (novembre), con lo stabilirsi
di un giudizio obbiettivo nella pubblica opinione
(compresi ceti e gruppi direttamente colpiti) sulla
necessità dei sacrifici particolari per l'interesse
generale della salvezza monetaria, con l'apparire
dei primi frutti in sensibili ribassi di materie
pri-me e anche di generi alipri-mentari, col volonteroso
sforzo di aggiustamento delle economie aziendali,
si è potuto rilevare un primo adeguamento alla
nuova situazione: con molte premesse —
dall'of-ferta delle materie prime agli abbondanti arrivi
di forniture americane — per il passaggio a una
politica di « produzione » .
Da questi primi giorni di dicembre faremmo
de-correre un quarto tempo, che costituisce per noi
la fase critica e delicata: perchè vengono a galla
le manchevolezze organiche ed esecutive di una
manovra di vasta portata, mossa col tocco quasi
magico di un meccanismo — le restrizioni
credi-tizie — di efficacia insospettata ma pur sempre
parziale. Le restrizioni han potuto segnare lo
spun-to della nuova tendenza, ma debbono essere
inte-grate da direttive convergenti nei vari strumenti
e forme dell'attività economica: altrimenti la
ten-denza stessa rischia di esaurirsi e ci ritroveremo
al punto di partenza, con una nuova delusione e
l'aggravante di dispersioni e di sacrifici
inutil-mente sopportati.
Premettiamo che, parlando di manchevolezze,
non si allude agli uomini che l'odierna politica
economica hanno progettato e vanno con
grandis-sima tenacia conducendo, perchè il problema
eco-nomico si risolve, purtroppo, assai meno in sede
tecnica che non in quella politica: è questione
della forza e autorità dello stato nel seguire una
direttiva (per la quale non mancano certo schemi
né consulenti) in confronto alle fortissime
pres-sioni politico-sociali. Non quindi l'intenzione e la
competenza di quegli uomini sono in gioco, ma i
compromessi inevitabili in uno scontro di forze:
con tale avvertenza sono da porre in rilievo le
pe-ricolose carenze dell'azione del governo, nei
con-fronti della politica anti-inflazionistica:
diretta-mente, nel proprio settore monetario-finanziario
(costi pubblici); indirettamente, nel settore
pro-duttivo-sindacale (costi privati).
E' logico pensare che le « restrizioni creditizie » ,
intese a comprimere l'espansione e le disponibilità
dei settori produttivi, ossia la « spesa privata »,
dovevano essere affiancate da una disciplina
al-trettanto energica della « spesa pubblica » : perchè
altrimenti dal cronico disavanzo del bilancio
sta-tale rinasce e dilaga, in tutti i settori
dell'econo-mia, la spinta inflazionistica. E occorre
riconosce-re che tale affiancamento è mancato dall'origine,
fino a farci concludere che la spesa pubblica resta
la nemica prima del risanamento monetario ed
economico.
Che vale, infatti, aumentare la pressione
fisca-le, pompare il risparmio coi buoni ordinari,
assor-bire indirettamente (tesserandolo ai settori
pri-vati) il risparmio bancario, se poi ogni maggior
entrata viene superata in tromba dalle spese e non
ci salva neppure dalla continua emissione (ancora
13 miliardi in ottobre) di biglietti? Si è riusciti,
con la ripresa dell'apparato fiscale e raggiungendo
limiti pesanti di pressione anche straordinaria, a
contenere il deficit nei 300 miliardi previsti, ma
se continua la corsa delle spese, imposta da fattori
politici e sociali, come potrà frenarsi la stampa
di biglietti?
Converge sul bilancio pubblico un enorme
com-plesso di « spese generali » della collettività, dai
prezzi politici alle integrazioni salariali, al blocco
del personale statale, ai lavori pubblici escogitati
all'infuori dei giudizi di economicità, nella luce
illusoria dello slogan tutt'altro che nuovo del « dar
lavoro » . Tutta la nostra vita economica è viziata
da un paternalismo disordinato e spendereccio,
che accolla al bilancio pubblico il peso di ognuno
e di molti senza conto di funzioni nè di
rendi-mento, spegnendo l'iniziativa e la responsabilità
dell'individuo, ogni stimolo a muovere verso gli
impieghi più utili a sè e al prossimo. I blocchi, i
freni ai trasferimenti dai settori in crisi a quelli
attivi e ampliabili, il mantenimento artificioso dei
complessi inguaribilmente antieconomici, sono
sta-ti gli ostacoli primi alla ricostruzione: si sterilizza
la nostra ricchezza di mano d'opera e si
disper-dono dal bilancio statale i nostri scarsi capitali,
prelevati con imposte, con prestiti e,
indiscrimi-natamente a carico dei ricchi e dei poveri, con
stampa di biglietti.
Quando fu istituito il ministero del bilancio, per
forzare il ritomo al pareggio, pensammo che ciò
doveva comportare al Ministro non già il compito
di inseguire l'equilibrio finale tra le due
gigante-sche colonne di entrate e uscite, ma il potere di
operare in senso qualitativo tra queste ultime:
se-lezionare e ridurre le spese veramente pubbliche,
eliminare senza compromessi gli oneri e le
gestio-ni di natura privata. Invece, evidentemente, il
Ministro deve limitarsi a contenere il danno, a
cir-coscrivere le falle che le richieste esterne tendono
a creare ed allargare.
E' urgente che lo stato normalizzi le sue
fun-zioni e i suoi oneri, in modo da poter rompere non
solo metaforicamente il torchio dei biglietti,
sta-bilizzare una pressione fiscale divenuta fattore
gra-voso dei costi, ridurre il ricorso del Tesoro al
mer-cato del risparmio. Ossia cessare l'inflazione
pub-blica a lato della deflazione privata, garantire alle
aziende un sano ambiente monetario e lasciare
loro i mezzi per assumere, produttivamente, i
carichi privati tenuti dallo stato con scusa di « e m e r
-genza ».
• • «
Pure logico appare, passando al campo privato,
che la pressione sui prezzi investa anche i costi e
che, in sostanza, alla imposta riduzione delle
ca-pacità di spendita dei produttori corrisponda
ana-loga riduzione di quella dei consumatori:
altri-menti, mancando — come manca — un vero
in-cremento della produzione di beni e servizi, si
riforma un potente fattore d'inflazione. Vediamo
-X, I 3B 1«. ir
C R I S I D E L P I E M O N T E
La Commissione di studio nominata dal-la Camera di Com-mercio ha avuto ed ha tuttora il compito di mettere in luce gli aspetti più sa-lienti dell'economia piemontese, di r a f -frontarli con quelli delle regioni limitrofe
e di seguirne la mu-tevole vicenda, spe-cialmente in questi ultimi anni di f a t i
-cosa e, per vari indizi, ancora non ben orientata ripresa. Essa ha pertanto un fine strettamente conoscitivo anche quando allarga la sua indagine alle cause, ai motivi, cui è dovuto un certo stato di cose; esclude senz'altro dai suoi lavori la dimo-strazione d'una tesi a priori stabilita e tanto più esclude la giustificazione d'una tesi che le fosse comunque imposta.
Per il fine dianzi chiarito la Commissione è stata composta di tecnici, di professionisti, di studiosi che, per coltura ed attività e con l'aiuto della Ca-mera e di altri enti collaboratori, fossero in grado di ottenere le più ricche e sicure informazioni dai vari settori dell'economia piemontese e di descri-verne la fisionomia con la più-stretta approssima-zione al vero. E, mentre con contorno via via più sicuro si andavano delineando i vari capitoli della sua fatica, non ha mancato d'accogliere altri e-sperti, di rilevare la specifica competenza dei suoi componenti ed ha coordinato le diverse indagini
delle quali il primo frutto è l'opera del prof. Zi-gnoli (1). A questo lavoro, appena pronto, segui-ranno altre pubblicazioni sul credito, sull'agricol-tura, sul sistema fiscale, sui trasporti, ecc. Non è punto detto che l'orientamento e la composizione della Commissione siano definitivi: aperta ad ogni critica e ad ogni collaborazione essa accoglie tutti i suggerimenti che si palesino utili al fine che si è proposto.
La Commissione, come tale, orienta dunque le singole indagini e le coordina; il merito e la re-sponsabilità d'ogni lavoro restano ai singoli rela-tori. La seconda e forse la maggiore difficoltà da superare è la ricerca dei dati: scarsissime sono le statistiche regionali, poche e talora mal sicure sono pure quelle a base nazionale, specie se rife-rite a questi ultimi tre anni. A queste lacune s'è tentato di rimediare con inchieste sistematiche sia pure limitate ad alcune aziende tipiche rappresen-tative d'ogni ramo e, nell'impossibilità di sfruttare questa via, si è proceduto alla raccolta di notizie, di rilievi, fatta da persone serene, competenti, e in grado di meritare l'intera fiducia delle aziende interrogate. M a i risultati, almeno , sinora, sono tutt'altrò che cospicui.
Tutto ciò mostra due cose: in primo luogo la necessità di por mano al più presto ad un ben or-ganizzato servizio statistico a carattere regionale. N o n si può parlare di regione e dei suoi problemi senza conoscerla se non per informazioni sporadi-che ed indirette oppure attraverso ad un coro di lamentele non sempre giustificate. In secondo luo-go, che i lavori che si andranno via via pubbli-cando, in particolare i primi, non sono che la prefazione ad altri lavori più completi e
sistema-ti) V I T T O R I O Z I G N O L I - Aspetti tecnici della crisi del
Piemonte - Quaderni di « Cronache Economiche », I -
Camera di Commercio, Industria e A g r i c o l t u r a d i T o -rino 1947.
tici. Nessun relatore ha la pretesa d'aver esaurito il suo tema:
a parte il naturale futuro aggiornamen-to, egli ha coscienza d'aver appena inizia-to un lavoro che per divenire definitivo
re-sta aperto ad ogni nuovo suggerimento e
ad ogni volenterosa I c o l l a b o r a z i o n e . Se, nonostante q u e s t o stato di cose, si è cominciato subito a pubblicare è perchè l'urgenza di certi problemi consigliavano a farlo.
L'esperienza ha purtroppo dimostrato che se è facile udire le critiche ai vigenti ordinamenti eco-nomici, meno facile è ottenere dagli interessati le prove dei loro lamenti, anche quando le domande, e non furono poche, che ad essi si posero, non er9-no nè indiscrete nè pericolose. Il naturale e per vari aspetti legittimo riserbo in cui si avvolge la attività di ogni azienda, delle organizzazioni sin-dacali e di categoria, dei professionisti, ecc., è so-vente portato agli eccessi forse per giustificare lo scarso interesse o addirittura l'avversione a certe inchieste o per evitare una fatica che si spera possa essere sopportata con gli stessi vantaggi da altri.
Questo spirito individualista così diffuso nel no-stro paese se ha taluni aspetti certamente positivi
(bisogna pur prendere gli uomini come sono e non come, secondo le variabili circostanze, si vorrebbe-ro) ne ha altri negativi, dannosissimi: nessun in-teresse di gruppo, di regione, può essere difeso senza il concorso di tutti i loro componenti. L'occasionale sporadico privilegio di alcuni pochi a lungo andare scompare e nella lotta con gruppi compatti ed agguerriti resta infine il danno di tutti. Bisogna pur vedere, e ciò nel proprio illu-minato interesse, un po' al di là della porta della propria bottega, del proprio ufficio, della propria fabbrica: ogni azienda è una cellula d'un tessuto complesso e vasto formato da tutte le altre azien-de, da tutti gli altri operatori, che costituiscono il suo mercato. L'utile individuale che non tenga conto di codesta interdipendenza tosto o tardi di-legua e lascia il posto a .vere e proprie perdite.
Tutte queste cose si son dette non per recri-minare su di una esperienza passata, il che è inutile, ma per invocare maggiori aiuti per-l'avve-nire: forse gli immancabili consensi e le stesse critiche allo studio dello Zignoli susciteranno ima collaborazione più ricca di quella passata. Così vogliamo sperare.
• • •
Non intendiamo riassumere il lavoro del prof. Zignoli ma mettere in risalto il filo conduttore di un'indagine che al massimo si spinge ai primi mesi di quest'anno.
Per scarsità di nascite e perchè sempre più s'allenta i l suo potere d'attrazione sulle correnti i m -migratorie è il Piemonte una regione a scarso in-cremento demografico; ha una occupazione indu-striale relativa che sta f r a quella della Liguria, la più bassa, e quella della Lombardia ed impiega nell'industria circa un terzo della popolazione in età produttiva. Sotto questi rispetti poco si stacca dalla Lombardia, molto dalla Liguria.
Se l'industria lombarda e la ligure sono caratterizzate da una diffusa composita varietà di a -ziende sicché, specie in Lombardia, pochi sono
E' uscito per la collana dei « Quaderni di Cronache Economiche » il primo volume del prof. Vittorio Zignoli, del Politecnico di Torino, nella serie de-stinata allo studio della crisi del Piemonte. Il pro-fessore Arrigo Bordini, della nostra Università, Presidente della Commissione di studio costituita dalla Camera di Commercio, ha scritto per l'opera del prof. Zignoli la prefazione che riportiamo qui
i rami d'industria che non siano rappresentati,
l'industria piemontese, astrazion fatta del gruppo
biellese che per molti versi gravita più su Milano
che su Torino, in larga parte fa capo e come
ausi-liaria e come tributaria al gruppo Fiat' e a pochi
altri gruppi indipendenti minori. Manica d'altra
parte in Piemonte l'alto grado di attività
mercan-tile, d'intermediazione, del credito, dei trasporti
proprio alle altre due regioni, in particolare alla
lombarda; lungo la congiungente delle due città,
Milano e Genova, corre, infatti, l'arteria principale
dei traffici nazionali e di transito.
Da questi due fatti discende che il settore
indu-striale piemontese che non cada sotto orbita dei
gruppi considerati, e in quanto difetti di
autono-mia, resta tributario delle regioni limitrofe sia per
l'approvvigionamento di manufatti, di materie e di
servizi e sia per lo sbocco dei prodotti; esso
per-tanto si trova in condizioni d'inferiorità rispetto
alle industrie similari delle altre due regioni. In
un'economia di mercato è parziale correttivo a
questa situazione la possibile espansione di talune
aziende dei gruppi autonomi testé ricordati oltre i
limiti strettamente necessari ad alimentare i
grup-pi stessi, sempre che la finalità del massimo utile
dell'intero gruppo cui queste aziende appartengono
lo consenta; tale correttivo viene a mancare in
un'economia regolata, di razionamento, quando le
materie, l'energia, siano disponibili in quantità
in-feriore a quella necessaria ad ogni gruppo. In
se-condo luogo, un'accentuata specializzazione della
industria pone la regione di fronte al rischio di
restare paralizzate quando una crisi gravi sul ramo
cui si è dedicata.
Queste due conseguenzìe della situazione
de-scritta fatalmente pesano sull'industria
piemon-tese e la spingono sempre più verso le
caratteri-stiche che già da lungo tempo la distinguono da
quella delle altre due regioni. E, poiché anche in
una economia di mercato l'ottima dimensione dei
gruppi ricordati non si sviluppa automaticamente
in ragione inversa del volume delle imprese
rima-nenti, alla regione vengono a mancare i compensi
derivanti da un più rigoglioso fiorire di gruppi
au-tonomi. Così il Piemonte dopo un passato glorioso,
corre il rischio di divenire, almeno rispetto
altre due regioni, un'area depressa che non potrà
risollevarsi se non rimovendo o almeno
neutraliz-zando le cause che a tale stato l'avranno portata
oppure ricorrendo agli aiuti di un'economia
supe-riormente regolata.
Sostituisce, infatti, quest'ultima un interesse
ex-tra-economico, diremo politico, all'interesse
privati-stico mancante pro-tempore, e d'imperio inserisce
un'aliquota del reddito di altre regioni in quella
che desidera bonificare. Può darsi che tale
drenag-gio dalle prime alla seconda debba continuare
in-definitivamente come, ml& con minore probabilità,
può darsi che. ammortizzati gli impianti, l'area
bo-nificata viva di vita propria.
Ma per il Piemonte tutto questo fare e disfare
comporterebbe sacrifici, rischi e spese che è meglio
evitare fin che c'è tempo. D'altra parte non si vede
perchè si debbano porre, le ultime speranze in una
economia del tipo descritto quando, pur nella sua
crisi, la nostra regione per vari segni mostra una
congenita vitalità suscettibile del miglior sviluppo.
• • «
Non ci nascondiamo che la situazione industriale
delle tre regioni sia ad un tempo un prodotto
po-litico da un Iato ed economico-geografico
dall'al-tro; un prodotto, per cosi dire, misto, artificiale e
naturale insieme, sul quale hanno in variabilissima
misura pesato interessi locali, nazionali e stranieri,
mentre sono rimasti soffocati interessi che, nella
lotta per sopravvivere, si sono rivelati più deboli.
E' una situazione di fatto, codesta, cui nessuna
collettività politico-sociale può sottrarsi, giacché la
realtà è un tutto composito del quale l'economico,
nonostante le astrazioni e l'importanza, non è
sem-pre l'aspetto sem-preminente e non è mai il solo: la
storia dell'industria, della banca, delle
comunica-zioni italiane dall'unità d'Italia in poi è
sufficien-temente istruttiva a questo proposito.
Non ci nascondiamo, di conseguenza, che certe
incrostazioni dforiginie politica costituisca/no
or-mai una forza concorrenziale di chi ne beneficia
che difficilmente potrà essere abbattuta anche se si
potesse instaurare una pura e semplice economia
di mercato: chi gode d'una ferrovia, d'un impianto,
ormai ammortizzati, sarà sempre in condizioni più
favorevoli di chi questa ferrovia e questo impianto,
dovunque li ponga, debba costruirseli ex-novo.
Tutto ciò concesso, non possiamo peraltro
na-scondere l'impressione — e il lavoro dello Zignoli
è chiara testimonianza — che dal 1920 in poi, e
specie in questi ultimi tre anni, non tanto per il
ricordato naturale processo quanto per l'accentuarsi
del fattore politico la situazione piemontese si sia
andata progressivamente aggravando; e s'è
aggra-vate perchè l'elemento politico ha avuto facile gioco
nella distribuzione arbitrale di beni, di materie,
di servizi, disponibili soltanto in misura inferiore
a quella richiesta dai bisogni già consolidati di una
economia di mercato.
Chi dice intervento, agli effetti pratici, dice f a
-vore concesso a certi gruppi a danno di certi
al-tri; raramente il male dei secondi è confrontabile
con il bene dei primi e, quando lo sia, non sempre
i conti chiudono con un attivo del quale i
sacrifi-cati del resto poco si curano. Nonostante gli sforzi
della classe dirigente per convincere se stessa e le
altre classi del contrario, ancor più raro è
l'inter-vento per il quale i conti si chiudono con un attivo,
0 almeno con un pareggio, per ogni membro della
collettività. Naturalmente, e magari in tutta buona
fede, l'intervento è promosso in omaggio ad un
presunto obbiettivo pubblico interesse e sarebbe
in-genua malizia pensare che questo pubblico
resse sia sempre il velo ben fitto di potenti
inte-ressi privati. Comunque sia di ciò, e sapendo che
di obbiettivo in questa materia c'è ben poco, non
ci curiamo delle intenzioni ma guardiamo ai fatti,
e cioè ai pratici effetti degli interventi che quelle
intenzioni hanno promosso. Questi effetti, non
sem-pre voluti perchè bisogna tenere pur conto delle
evasioni ai controlli, sono stati particolarmente
gravi per l'industria piemontese.
In secondo luogo, con la nuova carta d'Europa
e specialmente della sua parte centrale, con lo
smantellamento dell'industria tedesca, i fattori che
in passato hanno tanto influito sul nostro
orienta-mento industriale e su quello delle correnti di
traf-fico si sono indeboliti e lo saranno forse più in
se-guito; se non c'inganniamo, dette correnti si
pie-gheranno in futuro più verso occidente. Se non
vogliamo che le incrostazioni del passato abbiano
peso decisivo anche per l'avvenire- accampando, a
motivo della loro storia, una vitalità che non sarà
del nuovo ordine naturale delle cose (e però, se
perpetuata, decisamente antieconomica) è
gioco-forza vigilare e far sentire la voce del Piemont». I
ti
un'economia povera come la nostra non si
ricon-verte, non si sostituisce, senza un esame scrupoloso
di quanto si perde e di quanto si acquista. Tutto
ciò è vero, conti ben ponderati adunque; ma' non
si continui a mettere al passivo, perchè ogni
inizia-tiva a priori appaia decisamente antieconomica.
1 rami che stanno intristendo con la speciosa
ra-gione che fino a ieri erano rigogliosi.
per l'energìa è ancora in testa il Piemonte (51 %),
segue la Liguria (45 %), buona ultima la Lombardia
con appena il 30 % ; per i petroli, di minore
im-portanza, s'ebbe un andamento analogo a quello
del carbone. Qualche aggiornamento anche
rile-vante di cifre, in quanto sarà comune a tutte le
regioni, non sposterà i rapporti da una regione
al-l'altra; e sono questi rapporti che contano. La
spe-requazione del '38 si è enormemente aggravata.
Qual è stato il criterio distributivo? A quale
mi-sterioso e, se si vuole, obbiettivo interesse
nazio-nale si è esso inspirato? Il numero degli abitanti,
quello degli addetti all'industria, l'importanza
de-kgli impianti, la qualifica — si noti bene — delle
imprese secondo il genere del prodotto? Nulla di
tutto questo, le cifre dello Zignoli ne fanno fede.
E allora? Si deve di necessità concludere che quel
misterioso interesse nazionale, qualunque faccia
avesse potuto avere, praticamente si risolveva come
se fosse stato un interesse prettamente regionale.
L'energia con prezzi bloccati e validamente
con-trollati, rispetto al carbone con prezzi di borsa nera
e con mercato meno sorvegliato, diventa energia a
basso costo e va consumata sia al posto del secondo
(v. trasformazioni e consumi di forni) e sia in
pro-duzioni che, almeno in certe stagioni, in tempi
nor-mali. non avrebbero mai avuto luogo.
D'altro canto il prezzo d'assegnazione del
car-bone ne facilitava l'impiego nelle centrali
termo-elettriche per essere successivamente trasformato
magari in vapore e in calore! Anche le strade più
complicate, e che tecnicamente girano su se stesse,
possono al privato riuscire le più convenienti. Ma
chi fa le spese?
E' naturale che della nuova artificiosa dinamica
dei mercati di questi fattori concorrenti (carbone
ed energia) più facilmente hanno saputo
appro-fittare le regioni che avevano l'attrezzatura
ade-guata. Ma il Piemonte non è del numero, anzi ne
soffre le conseguenze. Non ultima, fra queste, un
eccesso di maestranza il quale si risolve in
un'im-posta a carico delle imprese che meno sono in
grado (l'eccesso stesso ne è testimonianza) di
sop-portarla: un sistema tributario veramente a
rove-scio giacché è pacifico che il peso della
disoccu-pazione sia un peso non del singolo ma della
col-lettività e pertanto debba far capo alle imposte.
Abbiamo voluto sintetizzare talune conclusioni
del lavoro del prof. Zignoli per invogliare il
let-tore ad un esame attento e diffuso di questa opera
per tanti aspetti pregevole. La morale spiccia del
frettoloso lettore potrebbe essere che i danni del
Piemonte sono dovuti ai non piemontesi e che
ogni intervento politico sull'economia sia da
de-precare. Non è così. Un più attento giudizio sulla
fatica dello Zignoli porta, invece, a concludere:
le cause della depressione piemontese stanno tanto
nelle persone quanto nelle cose e le prime sono
sia in Piemonte e sia al di fuori, anche in regioni
diverse dalle limitrofe. E, per quanto riguarda gli
interventi, sono certamente dannosi quando non
siano nè efficaci (fra l'altro perchè non adeguati
al fine), nè coordinati e non abbiano un fine
con-forme alla più urgente necessità di quest'epoca:
quella di ricostruire, e ricostruire al più presto,
un * reddito che in larga misura è andato perduto.
ARRIGO BORDIN
Deflazione privata e inflazione pubblica?
( C o n t i n u a z i o n e da paj». 4 )
invece che i due settori procedono in brillante
in-dipendenza e che, per bizzarrie della scala mobile,
ai ribassi di molti prezzi, specie alimentari, fa
ri-scontro un aumento della contingenza.
Permane l'opinione che i ribassi dei prezzi
deb-bano consolidarsi e accentuarsi senza toccare le
retribuzioni, mentre già si pattuisce di ridurre
que-ste ultime in modeque-ste quote rispetto a una corsa
in discesa dei prezzi. Non si vende, così facendo,
la pelle di un orso che non sarà più ucciso? Si
dimentica che ogni prezzo, in misura maggiore o
minore, oltre a materiali e imposte e
ammorta-menti, è fatto di salari e stipendi; si mostra di
credere nell'esistenza, anche per i grandi
comples-si a forte carico di maestranze, di sopraprofittì
tali da assorbire, proprio oggi, una riduzione dei
ricavi con icosti quasi invariati.
La realtà è che moltissime aziende, per effetto
di trenta mesi di una politica di pura e irriflessiva
« distribuzione » imposta dall'alto con impegni di
diritto e di fatto (dal blocco dei licenziamenti
al-l'incessante aumento dei carichi previdenziali e
contrattuali), hanno perduto l'equilibrio dei conti
economici e consumato gli ingenti aumenti di
ca-pitale fresco fatti nello scorso semestre, fino a
tro-varsi ora in quella posizione giuridica che
tecnica-mente si definisce « cessazione dei pagamenti ».
Come faranno, ad esempio, a corrispondere la
tre-dicesima mensilità le aziende, per talune delle
qua-li la maggior spesa saqua-lirà in dicembre a qualche
miliardo?
11 problema urgente è di tornare, senza altri
ri-tardi, a una politica di « produzione », strettamente
econòmica, ossia a costi accetti ai mercati e
quin-di tali da non provocare magazzini congelati ma
sviluppo di ricavi. Comunque si giri la questione,
ogni azienda può spendere entro il limite massimo
dei ricavi: deve quindi commisurare ad essi, ossia
alle concrete possibilità del suo ciclo
economica-mente impostato, l'impiego di energie retribuite,
sempre che esse forniscano il loro pieno
rendi-mento potenziale.
Elevare la produzione al livello della massa
del-le retribuzioni, o fatalmente abbassare queste
ul-time, in esse compresi profitto e interesse, al
li-vello della prima. Altrimenti la riduzione dei
prez-zi si circoscrive nei limiti di tempo di una forzata
liquidazione degli « stocks » costituiti, col solo
frut-to di un depauperamenfrut-to dei capitali aziendali, e
la produzione nuova impone al mercato il
ricono-scimento del proprio costo: con l'alternativa di
ar-restarsi oppure di ottenere un'immediata ripresa
di inflazione, per conseguire in ogni scaglione
cre-scente di prezzi la copertura del precedente
sca-glione di costi. GIUSEPPE ALPINO
CRONACHE ECONOMICHE
t Lai tioúltii Italiana, a ecLmttere. ¿eo naif tito -e&mmwciah,
p i ù f t i x f j f t i & a in Qtalia. t ivi tutti i piieiù del
tvióvidó-\ lt I t o tvióvidó-\ A I V I o II 1 tvióvidó-\ tvióvidó-\ « V tvióvidó-\ T i: il vostro a b b o n a m e n t o ( a n n u a l e :
:; L. 2 0 0 0 : semestrale L . I l O O ) utilizzando il bollettino di versamento :
I postale inserito in questo fascicolo. .
vetrocoke
Coke per industria e riscaldamento -
Benzolo ed omologhi Catrame e derivati
-Prodotti azotati per agricoltura e industria
Materie plastiche Vetri e cristalli
-Prodotti isolanti " Vitrosa ,,
Direzione Generale
Stabilimenti . . .
Utfici
T o r i n o - C o r s o V i t t . Eman., 8
P o r t o M a r g h e r a ( V e n e z i a )
Milano - V i a C e s a r e C a n t ù , 3
Venezia - Piscina S. Moisè, 2 0 5 3
R o m a - V i a C a l a b r i a , 4 8
La C A S A E D I T R I C E F R A T E L L I P O Z Z O
annuncia l'uscita d e l II v o l u m e d e l suo
A N N U A R I O GENERALE D'ITALIA
Il III v o l u m e c h e c o m p l e t a la 55
aE d i z i o n e , 1947-48 è in avanzato
c o r s o di stampa e v e r r à p r e s e n t a t o in c o m m e r c i o ai p r i m i d e l
p r o s s i m o G e n n a i o .
La p r e s e n t e e d i z i o n e è la p r i m a uscita n e l d o p o g u e r r a e c o m p r e n d e :
Amministrazioni dello Stato (Ministeri) - Le indicazioni generali di tutti i Comuni ripartiti
per regioni - Per ogni Comune le notizie ad esso inerenti: superficie, popolazione, mezzi
di comunicazione, poste, telegrafi, fiere e mercati, sorgenti minerali, miniere e cave,
pro-dotti e industrie, i nomi degli industriali, commercianti, professionisti, artigiani,
classificati nell'ordine alfabetico dell'attività esercitata.
Stato libero della Città di Trieste - Stato della Città del Vaticano - Repubblica di S. Marino
Indici: delle Provincie, dei Comuni, delle Frazioni di Comune, Generale delle materie o delle Categorie
Elenco degli Importatori ed Esportatori Italiani
Acquistate l'opera completa indispensabile in ogni ufficio presso la
C a s a E d i t r i c e D I T T A F R A T E L L I P O Z Z O
T O R I N O - V i a M a r e s c i a l l o G i a r d i n o , 9 - T e l . 62.691 - C a s e l l a p o s t a l e 505
M O N C A L I E R I - T e l e f o n i 5 5 0 . 2 2 5 - 5 5 0 . 2 9 7
R
O
S
A
D E I
V
E
N
T
I
LA RELAZIONE HARRIMAN
SUL PIANO MARSHALL
II Comitato Harriman per gli
aiuti all'Europa ha dato atto
delle sue conclusioni favorevoli
al piano Marshall in un
circon-stanziato rapporto sottoposto al
Presidente Truman il 9
novem-bre scorso. Il programma
con-cepito dal ministro degli esteri
nordamericano nel mese di
giu-gno ed elaborato sotto la
direzio-ne del signor Claytcm a Parigi
nel mese di settembre ha quindi
superato con successo il primo
difficile esame e, se procederà
nella sua gestazione di questo
passo, c'è da sperare che sia
pron-to per entrare in azione col 1"
aprile dell'anno prossimo,
quan-do appunto quan-dovranno cessare gli
aiuti di emergenza a favore
del-l'Italia, della Francia e
dell'Au-stria recentemente approvati dal
Senato di Washington.
Affermato il principio che gli
aiuti statunitensi debbono
assi-curare ai paesi dell'Europa
occi-dentale non più che la scintilla
necessaria per avviare la loro
macchina produttiva (the spark
whieh cari fire the erigine), la
relazicme Harriman sfronda
con-siderevolmente la richiesta di
19.310 milioni di dollari avanzata
dalla Commissione parigina dei
16 stati, determinando il loro
fab-bisogno per il quadriennio
1948-1951 in misura che potrà variare,
secondo le scorte disponibili e
l'andamento dei prezzi sul
mer-cato mondiale, da 13 a 18,5
mi-liardi di dollari. Tenuto poi
con-to che a) parte del programma
di aiuti potrà essere finanziato
dalla Banca Mondiale e da
ban-che private e
b) che gli Stati
Uniti non dovranno assumersi
l'intero finanziamento del deficit
commerciane dei 16 stati
euro-pei verso gli altri paesi dell'area
del dollaro, la relazione Harriman
conclude valutando l'onere
finan-ziario del piano Marshall per il
governo americarìo nella cifra
sempre rispettabile di 12-17
mi-liardi.
Quanto al finanziamento del
piano di aiuti, il Comitato
Har-riman suggerisce che le
provvi-ste alimentari, i combustibili e i
fertilizzanti, per un importo nel
solo primo anno da 3 a 3,5
mi-liardi di dollari, siano forniti a
titolo gratuito e posti a carico
del bilancio statale. Le forniture
di macchine e attrezzi dovranno
essere invece finanziate dalla
Banca Internazionale, mentre le
rimesse di malterie prime, escluse
quelle fornite gratuitamente,
sa-ranno sussidiale dalla
Export-Import Bank, sotto la direzione
del nuovo organismo creato per
amministrare l'intero programma.
Alla prestazione dei fondi
occor-renti per stabilizzare la
circola-zione monetaria nei paesi
aderen-ti al piano Marshall dovrà infine
provvedere il Fondo Monetano
Internazionale con le somme già
ricevute a tal fine dal governo di
Washington.
I primi commenti della
stam-pa economica internazionale
sul-la resul-lazione Harriman sono
con-cordi nell'ammettere che, per
quanto limitato alla cifra di
12-17 miliardi, il contributo
nord-americano alla rinascita
dell'Eu-ropa occidentale sia sufficiente a
riattivare l'assetto produttivo dei
sedici stati adereìiti al piano di
aiuti. La lettera e lo spirito
del-la redel-lazicme contraddicono poi
apertamente alla profezia del
si-gnor Molotof, secondo la quale
l'adesione al piano Marshall
im-plicherebbe l'accettazione della
schiavitù del dollaro. Il Comitato
Harriman ha naturalmente
pro-posto che l'esecuzione del piano
sia subordinata aUa condizione
che i paesi partecipanti
provve-dano quanto prima a risanare la
loro circolazione e ad assestare
i loro bilanci; inoltre, ha
esplici-tamente richiesto che le
disponi-bilità finanziarie ricavate con la
vendita delle forniture a titolo
gratuito non possano venire
uti-lizzate dagli stati beneficiari per
colmare i loro deficit di bilancio.
Ma siffatte condizioni, ed altre dì
minor conto suggerite nella
rela-zione, non appaiono così
vessa-torie che possa risultarne
minac-ciata la sovranità o
l'indipenden-za degli stati partecipanti;
co-munque, ogni dubbio in proposito
dovrebb'essere fugato dalle
pre-cise dichiarazioni del Comitato
Harriman, che, pur affermando
le sue preferenze per il sistema
economico americano fondato sul
principio della libera iniziativa,
riconosce in termini chiari che
« valersi di un programma di
aiuti per imporre quel sistema ad
altri paesi costituirebbe
un'in-giustificata interferenza nei loro
affari interni ».
C'è piuttosto da chiedersi se
alcuna delle contropartite
im-poste ai sedici stati destinatari
degli aiuti nordamericani non
fi-nisca per ostacolarli nell'intento,
d'altronde in armonia con la
fina-lità del piano Marshall, di
rag-giungere al più presto la loro
au-tosufficienza economica. Ma se è
vero che la considerevole falcidia
apportata dal Comitato
Harri-man alle richieste europee di
ac-ciaio per costruzioni navali
pre-giudica manifestamente i piani
industriali di alcuni paesi, e
l'ob-bligo imposto ai sedici stati
par-tecipanti di finanziare le spese
locali del governo americano col
ricavo delle forniture gratuite è
suscettibile di ridurre
sensibil-mente l'entità degli aiuti
presta-ti, non è meno vero che l'America
non può illudersi di
sovvenziona-re la ripsovvenziona-resa dell'Europa
occi-dentale rifiutandosi di accettarla
come futura rivale nei traffici
co-muni. Dice bene The Economist
avvertendo che l'America può
fa-re degli stati europei altfa-rettanti
competitori solvibili, oppure
al-trettanti non competitori
disse-stati; essa non potrà farne
inve-ce, come forse preferirebbe, dei
non competitori assestati.
IMPIANTI INDUSTRIALI E DEFLAZIONE
Chi osservi l'indice dei prezzi
in Italia rileverà subito che molti
di essi divergono fortemente dalla
curva che ne segna l'andamento
medio generale. Tali deviazioni
ri-flettono, per una parte, durevoli
modificazioni dell'equilibrio
eco-nomico, e sono perciò destinate a
permanere nel tempo; per altra
parte, ovviamente si connettono
al parallelo comportamento dei
prezzi mondiali, anch'essi lontani
dall'aver trovato la loro definitiva
sistemazione; ma in misura assai
più rilevante esse traggono
ori-gine dai vincoli e dalle
sollecita-zioni di ogni specie, in cui si è
venuto concretando l'intervento
statale nello svolgimento della
vita economica.
E' chiaro che la compressione
esercitata dall'alto sui prezzi di
certi beni ne scoraggia la
produ-zione, mentre la protezione
di-retta o indidi-retta accordata ad
tri beni, spingendone i prezzi
al-l'aumento, vale a stimolarne
l'ap-prestamento. E poiché i processi
produttivi moderni richiedono la
formazione di cospicui
investi-menti a carattere duraturo,
que-sti, ovviamente orientati sul
si-stema attuale e prospettico dei
prezzi, si sviluppano in
propor-zioni tanto più artificiosamente
deformati dalla politica
econo-mica dello Stato.
In fase di generale deflazione,
com'è appunto quella avviata
dal-le recenti restrizioni creditizie, dal-le
imprese che, sotto lo stimolo di
fallaci prospettive, hanno
costi-tuito immobilizzazioni in periodi
di costi elevati, mal si adattano
allo sfioramento dei prezzi, di cui
esse per prime sono destinate a
sopportare il peso. Esse, quindi,
reagiscono ai ribassi, reclamano
dal governo la tutela dei loro
im-mobilizzi, si fanno forti del
nu-mero di maestranze occupato.
Oserà lo Stato abbandonarle a un
destino, del quale esse non hanno
tutta la colpa? Oppure si
rasse-gnerà ad aiutarle, addossando alla
collettività l'onere indefinito della
loro sopravvivenza? Tra le due
Rappresentanze Importazioni Vendite
Esportazioni Riunite Torino
S. r . L.
Direzione: T O R I N O - Corso Peschiera 3 • Agence: G E N È V E - Rue Pelitot 6 T e l e f o n o 4 2 . 3 0 8 * T e l e g r a f i c o R U T I T A L I A - T O R I N O
Agenti esclusivi per i'Jtaliaz M E T A L L O A N T I F R I Z I O N E I N G L E S E D U A L L O Y S L E G H E X L ( 9 0 % ) — H P ( 8 7 % ) «• C O N S E G N A I M M E D I A T A
1786 ^ F j g i e ? 1786
VERMUTH
T O R I N O
TORINO - C.so VITTORIO EM. 64
1
J
sues
Società Italiana Lavorazioni e
Specialità Industriali Arsenicali
S O C I E T À A N O N I M Ai f ( D H [ ] [ i ì ( D
Prodotti chimici ed eie/te prepa-rate per la lotta aiitipaUiMitaria in agricoltura e per la dii,inj,euone a
carattere Sanitario. Prodotti arsenicali per pitture Sot-tomarine anlioegetatioe. - dueniali
e duellili per Indubbia.
UFFICIO VENDITA: V I A M O N T E C U C C O L I N. T E L E F O N O 5 1 . 3 8 2
SCOSSR.C
M a c h i n e s d e q u a l i t é ä t r a v a i l l e r l e b o i s F i r s t c l a s s w o o d w o r k i n g m a c h i n e s E r s t k l a s s i g e H o l z b e a r -b e i t u n g s m a s c h i n e n M á q u i n a s d e c a l i d a d p a r a t r a b a j a r l a m a d e r aL E CLÀSSICHE M A R C H E DEI PRODOTTI
C A P R E T T I A L C R O M O C O L O R A T I NERI - VERNICIATI NERI
C R E O L E , ,
SIMIL CAPRETTI COLORATI E NERI
S. p. A. LAVORAZIONE PELLI
AMMINISTRAZIONE:
T O R I N O -
Piazza Solferino, 7 - STABILIMENTO:
R I V A R 0 L 0 CANAVESE (Torino)
Jyl4
€S
COMPAGNIA ITALIANA PER GLI SCAMBI
E RAPPRESENTANZE CON L'ESTERO
S e d e : T O R I N O
Corso Vittorio Emanuele, 96 - Tel. 51-752
Corriipondenli :
NEW YORK, BOSTON, LONDRA, RIO DE JANEIRO, B'JENOS AIRES
T e l e g r a m m i - C a b l e A d d r e s s : C I M E R S - T O R I N O