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DELLA PROSODIA

DELL'ACCENTO E DELLA PRONUNCIA

NELLA LINGUA LATINA

COMPILATO AD USO DELLE SCUOLE CLASSICHE ITALIANE da

A-S . MINOTTO Professore nel R. Ginnasio - Liceo Marco Polo di Venezia .

TUESE

TORINO E FIRENZE

ERMANNO LOESCHER

1870 .

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PROPRIETÀ LETTERARIA

>

Torino - Tipografia BONA Via Carlo Alberto , I.

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La Metrica latina del prof Ferd . Schultz , già publicata in italiano insieme al Trattato della formazione delle pa role del medesimo , non basta agli usi scolastici , ove non si premetta un trattato di Prosodia . A questo bisogno prov vede la presente compilazione , nella quale fu seguito il sistema dello stesso Schultz e di altri reputati grammatici . Quanto poi vi è aggiunto intorno alla buona lettura e alla retta pronuncia della lingua latina , oltre gettare viva luce su molte questioni prosodiache, potrà eziandio spie gare o rettificare la pronuncia e l'accento della lingua ita liana .

Venezia , dicembre 1869.

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PRELIMINARI .

I. Il linguaggio considerato come produzione naturale, oltre essere barriera fra la bestia e l'uomo , strumento il più po tente che unisce gli uomini in civile consorzio, e segnare la caratteristica che li specifica, è anche una musica avente per proprio mezzo la voce , che è il più fecondo, il più vario e il più vago degli strumenti musicali. La natura sola trova le combinazioni , che fanno della voce un agente musicale ; l'arte di poi ne estende , sviluppa e regola li spedienti .

Noi abituati ad ascoltare i suoni della voce , quali stru menti intermedii, atti a manifestare il pensiero , e preoccu pati dal senso che ci rivelano , sogliamo considerare una emissione di voce non altrimenti , che come cosa semplice e di poco conto . Ma per poco che riflettiamo alla varietà dei timbri e alla qualità dei suoni della voce , incaricata di manifestare il pensiero, ci sarà facile l'ammirare il compli cato e razionale ( 1 ) loro meccanismo e apprezzare quanta parte i medesimi abbiano negli effetti dell'umana favella .

Vero è , che le lingue moderne in generale , forse perchè oramai lontane dalla origine del linguaggio e passate at

( 1 ) Le vocali nella espressione articolata delle parole, sono in origine tipi fonetici aventi il loro particolare suono , con vibrazioni diverse cor rispondenti alle concezioni razionali .

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traverso tante vicende , si distinguono meglio per la rapida maniera con cui , senza fermarsi all'orecchio , si aprono la via alla mente : ma alle nostre considerazioni se pure non rispondono , nè tutte nè in tutto le lingue moderne , offrono largo campo le lingue classiche dell'antichità , come quelle che si studiano di produrre sui sensi un effetto conforme al significato del discorso .

Che se noi non abbiamo il delicato senso dei Greci e dei Romani , possiamo tuttavia apprezzare ancora nelle loro lin gue la influenza della natura musicale del linguaggio , solo che riflettiamo come la bella maniera di porgere , pur sem pre cercata , si abbasi su quella natura e come la segreta magia che esercita il verso in quella principalmente riposi : onde gli antichissimi non separavano mai musica e poesia . Imperocchè per poco che si faccia attenzione alla qualità dei suoni della voce, sarà chiaro che il discorso diretto dai moti dell'animo addiviene canto appunto per il rapido av vicendarsi dei suoni alti e bassi .

II . I suoni della voce prodotti con la bocca non percossa dalla lingua , si chiamano vocali ; i suoni prodotti dalla percussione della lingua su certe parti od organi della bocca si chiamano consonanti . I segni destinati a rappre sentare visibilmente questi suoni , si dicono lettere .

Le vocali o sole o modificate dalle consonanti formano le sillabe ; le sillabe riunite a gruppi formano le parole . Quella posa che la voce fa nel pronunziare la sillaba , chiamasi accento ( 1 ) tonico : onde qualunque sillaba ha il suo accento , che consiste in un alzamento o abbas- , samento della voce . Nell'uso però si considera soltanto quella posa , che in ogni parola si fa dalla pronunzia piùsopra una sillaba che sull'altra .

( 1 ) L'etimologia della parola accento conferma quanto abbiamo detto sullanatura musicale della favella . Esso deriva dal latino accentus , che è da ad - cantum , cioè il tuono o la modulazione che si dà alla voce . Egual mente dicevano i Greci con προσωδία ( da πρός ουδή = ad cantum) , νοce che passo , come si vede , in latino .

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dell'intero discorso . Può l'uomo avere buona pronunzia , e in questo senso nessun accento o non buono . Alcuno pud pronunziare schietto ed ele gante , ma non avere l'accento che viene dall'anima : accento oratorio o . patetico , che giova a esprimere e eccitare l'affetto o anco a denotare e imporre in altri la persuasione delle cose , che diconsi . Distinguesi dun que l'accento della voce e l'accento dell'anima .

Perchè dalla mutazione dell'accento nasce assai volte la mutazione del significato, acciocchè e ' non si pigli qualche errore , si sono introdotti alcuni segni i quali sono una pic cola linea sopra quella vocale, sopra la quale va la posa.

Quanto si riferisce alla teoria dell'accento nella lingua latina , troverai nel Capo IX .

III . Se la voce , come è detto sopra , ha timbri i più differenti, e dà ai suoni vocali e consonanti colore e accento diversi , altre modificazioni vengono prodotte dalla diversa durata dei suoni medesimi .

Infatti nel pronunziare una sillaba si mette un certo tempo che nelle lingue classiche si chiama quantità . Il tempo è l'intervallo , la durata o la misura musicale di ciascuna sillaba .

La quantità delle sillabe è di due specie : breve e lunga . Chiamasi breve la sillaba ,' a pronunziare la quale si mette una unità di tempo : lunga quella che ne richiede il dop pio . Onde gli antichi latini , che dalla sola pronunzia distin guevano la quantità , solevano talora scrivere la lunga con due vocali brevi. La pronuncia segnava ( sì nel sanscrito , come nel greco e nel latino ) delle differenze notevoli nella durata delle sillabe . Un calcolo artificiale ne fissa i rapporti colla equivalenza stretta fra una lunga e due brevi ( 1 ) . Però la pronuncia non ha mai considerato questi valori , che liberamente e per approssimazione.

Noi se vogliamo indicare la quantità di una sillaba , po gniamo il segno ( º ) sulla breve e il segno ( - ) sulla lunga .

( 1 ) I comici latini hanno le brevi dette irrazionali, la cui durata non equivale a untempo , mentre la breve ordinaria è presa per unità .

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. Nota . Nelle vocali e nelle sillabe , oltre alla qualità del suono , si considera anche la quantità ( l ) , non per altra ragione , che per l'in dole medesima dei suoni vocali e per l'uso , che ne è fatto nelle parole e nel discorso . Al pari che la diversa qualità dei suoni adoperati nel discorso dà diverso effetto di armonia e d'impressione nell'animo di chi ascolta , anche la diversa quantità dei suoni stessi modifica l'efficacia del discorso medesimo . Cosi le sillabe brevi lo rendono celere e mobile : le lunghe lo fanno grave e solenne ; quelle si adoperano di preferenza dove vi abbia bisogno di una certa scorrevolezza d'idee , queste dove vi ab bia bisogno di peso : con quelle si eleva la voce , con queste si chiude efficacemente un discorso .

Le brevi contemperate alle lunghe rendono il numero vario e potente in mirabile modo , perchè sempre l'alternare l'agilità con la gravità , la grazia colla forza è potente .

I prodigiosi effetti che si raccontano della numerosa eloquenza presso i Romani , e , più , presso i Greci , a noi sembrano favole , perchè a noi è ignota la forza della quantità . Ma si pud intendere quanto la pronunzia , che a questa è intieramente legata , valga a variare il suono della parola e quindi la forza del discorso .

Nella lingua latina , come in altre delle antiche , la quan tità delle sillabe era una condizione intrinseca dei suoni , una norma nella collocazione dell'accento , una guida della pronuncia. E negli antichi anche i non educati la sentivano . Infatti « il popolo Romano nel sentire dalle scene un verso fallato , cioè fatta lunga una breve o abbreviata un lunga, fischiava. Gli antichi serbavano nel canto la misura proso dica di ogni sillaba . »

La quantità era poi il fondamento della versificazione perchè a disporre le sillabe nella composizione del verso , si considerava la loro lunghezza o la loro brevità .

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IV . Ma i moderni , fra' quali gli stessi abitatori d'Italia , per duto l'uso della lingua latina, smarrirono eziandio la retta pronuncia usata dai latini , in guisa che non possiamo de terminare con precisione il suono dato da loro ad alcune lettere, nè distinguere con precisione nelle parole le sillabe lunghe dalle brevi , e quindi non sappiamo spesso collocare . rettamente l'accento , colla guida del quale si ottiene la retta lettura .

( 1 ) Secondo Quintiliano la quantità dipende dalla qualità .

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È uopo adunque , che chi vuole apprendere a pronunciare rettamente le parole della lingua latina , a conoscere da che deriva l'armonia speciale di essa nella prosa e specialmente nella poesia , e infine a scrivere con garbo e prosa e poesia ,.

faccia uno studio speciale di tutte le regole , che si osservano essere state usate nella prosa e specialmente nel verso latino . L'insieme di quelle regole che guidano a pronunciare ret tamente le parole relativamente alla quantità e all'accento , a conoscere la costruzione delle varie specie di versi latini e a farne, chiamasi Prosodia .

V. La combinazione di due , tre o quattro sillabe brevi e lunghe , chiamasi piede , che è la unità di misura del verso ( uétpov ) .

Nota . Veramente i piedi di quattro sillabe non sono che , un doppio piede di due sillabe .

Dunque vi hanno più sorta di piedi secondo la varia com binazione delle sillabe lunghe e brevi che le compongono . Verso è una riga di scrittura , che non riempie tutto il rigo, ma , compiuta una data misura , va a capo o volta ( vertit ) nel rigo seguente , a differenza di prosa ( prorsus), scrit tura che si estende pienamente su quanto è il rigo .

In poesia , verso vale una sentenza o parte di sentenza compresa sotto una certa misura . Il verso latino dunque è una sentenza o parte di sentenza in cui le sillabe lunghe e brevi si avvicendano raggruppate in un certo numero di piedi , secondo una legge determinata . V'hanno quindi più sorta di versi , secondo il numero , la varietà e il diverso ordine dei piedi che compongono il verso . Dalla successione appunto delle brevi e delle lunghe ricorrenti in un deter minato numero di piedi , risulta quella particolare armonia ch'è propria del verso latino .

Nota 14. Leggi metriche di pari natura, ma più semplici , reggono la poesia greca.

Nota 2a . Nella lingua italiana la misura del verso è la sillaba per sè sola . Onde il verso risulta da un certo numero di sillabe , disposte però in guisa che gli accenti di alcune delle parole, onde consta il verso , cadano regolarmente in determinati posti.

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1 VI . Numerare e distinguere i vari piedi onde consta un

verso dicesi scandere ; nella scansione però sono da ricordare alcune modificazioni introdotte dai poeti nella costruzione del verso , le quali si chiamano licenze o figure

poetiche .

Sì queste, come tutto quanto riguarda la costruzione del verso troverai nella Metrica latina di F. Schultz .

Noi intendiamo indicare qui agli studiosi della lingua latina alcune proprietà , che sotto l'aspetto dei suoni essa possede , sperando che non poco giovamento ne derivi alla soluzione di alcuni problemi, che s'incontrano nella retta pronuncia della lingua italiana .

Ricordiamo che le regole prosodiache richiedono uno stu dio paziente perchè alterate qua e là da eccezioni . I fram menti di Nevio , Ennio e Pacuvio palesano l'incertezza della quantità metrica , che durò pur dubbia fino agli scrittori dell'età di Augusto e lasciovvi molte traccie : di qui la causa dell'eccezioni . Per poco adunque che ci addentriamo nella lettura del latino , ritroveremo utile e necessario questo studio anche per la prosa , perchè la quantità diversa delle sillabe in parole di suono eguale muta il loro significato . Delle principali di queste diamo un elenco al § 60 .

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CAPO I.

Quantità delle sillabe.

1. Ciascuna sillaba è o lunga o breve oppure ancipite , cioè or lunga , or breve .

La misura o quantità delle sillabe è determinata ora dalla natura della vocale , ond ' è la sillaba lunga o breve per natura ; ora dalla sua posizione dinanzi ad altre lettere , ond'è lunga o breve per posizione .

CAPO II .

Vocale lunga per natura .

2. Per natura è lungo ciascun dittongo e la vocale, che risulta da contrazione : cogo da coago , malo da mågěvolo, tibicen da tibiicen ( da tibia : al contrario è tubicen da tuba e cano) iūnior da iůvě nior, bigae da biiügae, būbus e bobus da bövibus, nīl da nihil, dis per diis, gratis per gratiës.

3. Eccezione . La sola preposizione prae quando è innanzi a vo cale si fa quasi sempre breve : Ov . Met . VII , 131. Quos ubi viderunt praeacutae cuspidis hastas . Fast . I , 81 , praeeunt. Virg . En . , VII , 534 , sudibusve praeústis. Più raro è l'esempio di Stazio , Teb . VI , 519 , Praemia , quum vacuus domino praeiret Arion .

In parole greche il dittongo ae rimane sempre lungo : Aeta , Aeolides, Māeonia, ecc .; chè l'esempio di Ov . Tr. III , 12 , 2 , Longior antiquis visa Meotis hyems è mal sicuro .

CAPO III .

Vocale breve per natura .

4. Breve è ogni vocale che nell'interno di una parola sta dinanzi ad un'altra vocale : ( vocalis ante

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vocalem brevis :) Děus, filius, pius , růo, corrůo : ed anche se di mezzo vi abbia un h come trého , věho e loro composti . 5. Eccezione 14. e nel gen . e dat . della V decl . è lungo anche se precede ad una vocale : diệi, speciệi: però è breve in quattro nomi : spěi, fidči, plebei, rèi, benchè negli antichissimi poeti si trovino fidei, rēi.

6. Eccezione 2a . a è lunga nella finale del genitivo antiquato della I decl . aï = ae : aurai, pietai in Virgilio.

7. Eccezione 3a. a ed e sono lunghi nella finale del vocativo delle parole in aius , eius : Gāï , Pompēï ( cfr. Gramm . , 8 20 ) .

8. Eccezione 4a . i è lungo in tutti i genitivi in ius : ünius, alius , ipsīus, alterius, ecc . ; perd i poeti lo fanno talvolta breve , specialmente in alterius ; ( notisi che alterīus non può entrare in esametro) . Incerto è solīus, mai breve in alius come contratto di ali - ius .

9. Eccezione 5a . Come particolarità sono da notare : éheu , ohe (di rado õhe), Diana e spesso Diana , dius, fio : l’i in fio è sempre lungo eccetto che in fët e nei tempi ov'è seguito da er : Ov . Tr. I , 8 , 7. Omnia iam fient, fieri quae posse negabam .

10. Eccezione 62. Le parole greche conservano la loro quantità : aër ( āno ), ēos ( nus), ecc . Amphion , Menelāus , ( Thebăis, Oenomăus ), heroa : di qui si vede che nelle parole passate in latino e ed i sono sempre lunghe se procedono da n.o el : Brisëïs , Galatēa , Oréas, Darīus, Ale xandrīa , Iphigenia , Thalia , spondéus, Basilīus, Arīus, nosocomium e i patronomici in eidns : Atrīdēs , ecc .; - sono brevi se procedono da

€ e i come iděa , philosophša , é i patronomici in ions : Acacides , ecc . Irregolari si notano platěa da Telateia , chorea da xopeia e ne ' più tardi tempi anche Academža .( Cic . Div . I , 13 , Academia) . Maléa e Malěa si usano egualmente bene .

Nota . Sotto questa regola si pone ilcaso che una vocale lunga o un dittongo in fine di parola e nella tesi dinanzi ad una vocale, che inco minci la parola seguente, per lo più si faccia breve. È questo il caso dell' iato ( hiatus) , che s'incontra specialmente negli antichi poeti . Cfr . C. XIV e Schultz , Metrica , § 4 , nota 1 .

CAPO IV .

Quantità delle sillabe radicali.

11. La quantità delle, sillabe radicali non può venire fa cilmente determinata per mezzo di regole. Infatti soltanto coll'uso e colla pratica dei lessici si pud apprendere che la prima sillaba è lunga in mater, pater , praous, mano , dico,

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duco, minor , dono, utor, ecc .; e breve in pater, avus, maneo , domus, soror , cado, tego , minor, sono , uterus, ecc . E solo possono esser qui offerte regole , colle quali è dato di de terminare da una voce radicale notoria la quantità di altre .

( Cosi si notino con i lungo : formica , lectica , lorica , vesica, urtica ; hemina , resina , sagīna ; saliva , e inoltre castigo e formido ).

CAPO V.

Quantità delle sillabe nelle parole derivate e composte .

12. Quanto alle parole derivate e composte vale la regola :

tutte le parole derivate e composte manten

gono la quantità della loro radicale : å mor , å moris, clămor, clåmoris : 8 mare , å mavi: clă mare , clémavi ; red - iimo, re - clåmo. In egual modo māter , mäternus , mă tertera : amātum , amāturus : finis, finio , finitimus: mo nitum , admonitio .

13. La quantità della voce radicale può essere modificata nelle parole derivate e composte soltanto dalle consonanti seguenti ( V. Capo VIII ) .

Eccezioni . Da questa regola si eccettuano : a) FLESSIONI .

14. Tutti i perfetti bisillabici , che non hanno raddoppia mento e i tempi , che da essi derivano , hanno lunga la penultima sil laba : lego , lēgi, lēgisse , lēgeram : făcio, feci ; video , vidi : divido, divīsi : mõveo , mõvi.

I perfetti , che hanno raddoppiamento , fanno brevi amendue le prime sillabe : tütúdi, pěssüli, dědi, stěti e alcuni nei quali il raddoppia mento non è comportato dall'eufonia , come túli ( che in Terenzio si trova ancora tětůli) , bibi , fidi , scidi , stiti , per bibibi , fifidi, ecc . Per posizione è lunga la penultima in montordi, pependi , e simili : per natura sol tanto due perfetti: cēcīdi da caedo ( al contrario di cecidi da cado e pepedi da pëdo .

Se un perfetto finisce con due vocali , la penultima di esse è natural mente breve : rùi , statúi , docủi , redii , ecc . , per la regola 4 .

15. Tutti i supini e loro derivati hanno lunga la penultima sil

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laba : moveo , mötum , motus mõturus; rõdeo , rīsum : divědo, divīsum , ecc . Si eccettuano : a ) tutti i supini in itum della 1a , 2a e 3a coniugazione hanno breve la penultima: crèpo , crepitum : aboleo , abolitum : molo , molštum : non però cosi di nove verbi e dei loro composti : cupio , peto , quaero ,' rudo , tero , arcesso , capesso , facesso, lacesso che hanno itum : cupītum , petītum , ecc . — b ) citum , itum , quitum , růtum , datum , rătum , sătum , stătum ( da sisto , chè státum è da sto ) e quindi ancora litum ( liněre) sătum ( siněre ) hanno breve la penultima . Lo stesso si dica dei loro composti .

16. Sono da notarsi i due verbi posui, positum da pono , ponere ; da e dās da dăre , che nelle altre forme ha sempre å .

17. I nomi bos, lár , mās , pār , pēs , sál , vās, vădis (mallevadore di verso da vás, vāsis, vaso) hanno il genitivo bovis, lăris , măris, păris, pēdis, sålis : lo stesso si dica degli altri casi e dei composti .

b ) DERIVAZIONI .

18. La vocale radicale breve diventa lunga in hūmanus ( homo , hmus ): lex , lėgis , legare (legere): litera , litus ( litum : tuttavia si scrive anche littus e meglio littera) : mācero (măcer ): pāx, pācis (dal perduto păcio : păciscor e tuttavia pācare, pācificus ): persõna ( per sono): rēx , rēgis, rēgula ( regere : notisi che i derivati da rex e régula hanno é ; ma i derivati da regere hanno è come règimen ecc . ) sēdes , sēdulus ( sědeo : perd sědile ) sēmen con tutti i derivati , per sè - imen ( sěro ) cfr . § 2 ; stipendium ( stăpăpendium , da stips , stipis) suspicio e meglio suspītio (suspicitio ) ; tēgula (tègere ) ; sēcius ( sécus).

19. La vocale radicale lunga diventa breve in ambitus , ambitio ( ambio , ambītum ), dicas e nei composti di dicus come ma ledicus e parimenti condicio e džcare (dicere ); in dux , důcis : redux , redůcis ; edůcare ( dūcere , edūcere ) ; fides , perfidus ( fido, fidus, in fidus ) ; lăbore ( läbi ) ; lůcerna ( lūceo ) ; molestus ( mõles) ; nătare (náre , nátum ) ; nota , notare ( notus ) ; odium ( ödi ; ma nella forma del pres . derivato odio ) ; sõpor ( sõpire) ; stătão , stăbilis , stăbulum ( stāre , stā tum ; ma sisto , stătum , stătus a cui forse appartiene anche stăbulum ):

võcare ( vox , vocis ).

20. Di altra maniera sono le sillabe derivative, con cui dạ un verbo o da un sostantivo si forma un aggettivo . Fra queste alis e aris , arius e aceus , anus , ivus e osus hanno lunga la vocale derivativa : letālis , vulgāris : gregārius, gallinaceus : montānus , aestivus , vinõsus; — idus, icus , icius l'hanno breve : aridus, bellicus , patricius: si eccettuano : amicus, aprīcus, pudicus, antīcus , postīcus e i sostantivi mendicus e umbilicus; ~ ilis e bilis derivative dai verbi sono brevi ; derivative dai nomi sono lunghe : facilis, docilis , amabilis ; al contrario civilis , hosti lis , puerālis , senilis , ecc . Soltanto humilis da humus e parīlis da par fanno eccezione . inus sillaba derivativa da nomi di uomini , bestie , o luoghi è lunga : anserānus , asinīnus , equānus , lupīnus , Verrānus ,

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Caudinus, Latīnus ed in altri come divīnus, genuinus , clandestinus, intestīnus , marīnus , peregrinus, vicīnus . Al contrario è breve negli ag gettivi di tempo : crastinus, diutinus, pristinus, serotinus, hornotinus , perendinus : inoltre in quelli che esprimono una materia : adamantinus , bombycinus , crystallinus , elephantinus , cedrinus , oleaginus e nei sost . fiscēna, fuscina. Fra gli aggettivi di tempo si eccettuano matu tinus, vespertinus, repentinus. Cfr . Schultz , Trattato della formazione delle parole , Capo II .

c ) COMPOSIZIONE .

con

ne 21. Le parole composte conservano la quantità della vo cale radicale : abăvus (avus ), abněpos (nepos ), deprāvo ( prāvus), pe riūrus ( iūs; iūris), perlăgo ( lego io leggo ) , ablēgo , delēgo, collega (lēgo, io deputo ) .

22. Anche nel mutamento della vocale radicale , si serva la quantità : illīdo ( laedo ), incido (cāedo ), iniquus (aequus ),

soffoco (fauces ), accūso ( causa ) : efficio ( făcio ), incido ( cădo ), irritus ( råtus), erăgo (régo ), elžgo dlego ). Onde dalla quantità della parola com posta si può risalire alla quantità della radicale : p . es . da adõro , ad miror, abūtor si conosce oro , miror, útor ; e da commoror , desuper , sono noti moror e super ; il che si ode facilmente nella usuale pro nuncia in causa dell'accento ; Cfr. § 57.

Nota. Registriamo qui , per esempio , alcuni composti affinchè se inferisca la quantità dellavocale nella parola radicale . Scegliamo verbi che non troveranno posto nelle osservazioni seguenti , e li poniamo nella 3a pers . sing . del presente , perchè meglio si oda la sillaba :

Lunga è in exchálat Breve è in excărat

conclamat comparat

allatrat enatat

delibat irrigat

constipat alligat

evitat perfricat

irritat erudit

deplorat espolit

enodat decorat

compotat comprobat

refutat computat

obdurat recubat

communit suppudet

23. Eccezioni . Si fa lunga la vocale breve della radicale in in becillis (verisimilmente da in - băculus) .

Si fa breve in deiěro e peiero ( iūro ) , e nelle parole composte da dicus (dicere ) : causidicus, fatidicus , maledicus, veridicus ; agnitus, co gnitus (notus ) , pronúba , innůba ( nūbo : trovasi connubium e connè

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-

ܕ

bium ; però in questo ha da leggersi come fosse connubjum ; parimenti in connūbiālis, che più tardi trovasi connubiālis .

24. Nei composti con preposizione è da notare che la pre posizione conserva in generale la propria quantità. Cfr . SS 25 e 26 .

25. Le preposizioni monosillabiche che escono in vocale sono lunghe , quelleche escono in consonante sono brevi : déduco , ăboleo , pěrimo : quindi tra perchè tronco di trans , è lungo : trādo , trāduco ; o da ob è breve in omitto , òperior. Pro nelle parole greche è breve : propheta , ecc .; si eccettuano però prologus , propola , pro pino : - in parole latine è lungo : prodo , promitto , prófcio, ecc . , ma in molte parole , specialmente dinanzi f è breve : profugio , profugus, profi teor , profari, profanus, profectus, profecto , proficiscor , profundus, pro fundo, inoltre in procella , prònepos, prótervus, protenus , proceres, pro pitius , pròpero : talvolta è breve in procuro, prõpello , propago.

26. Nelle preposizioni bisillabiche la finale a è lunga : contrādico ; le altre sono per sè brevi : antefero, pretèreo. Cfr . Capo VIII .

27. Le particelle inseparabili se e di ( per dis) sono lunghe eccetto chein děrimo ( antico dis - imo) e děsertus.

28. La sillaba iniziale re è breve : eccetto che se non sia fatta lunga per posizione , come nell'impersonale rēfert, importa , che è come fosse res - fert, diverso da refert, riporta ; o come in alcune parole, nelle quali avvenne un raddoppiamento della consonante : rēccido , rēdduco , rēl ligio , rēllinquere : ortografia conservata solo nel verso ; però i quattro perfetti rēppuli, rēpperi, rēttuli , rēttudi, sembrano sieno stati non al trimenti pronunciati e scritti anche in prosa .

29. Se la prima parola di un composto non è una preposizione , nè una delle sillabe su indicate , sarà da fissare la quantità della sua sil laba finale in questa guisa :

1 ° a è lunga : quāre , ecc . - si eccettua quăsi.

2° e é per lo più breve : calèfacio, ecc .; perd se ne iniziale è breve in něque, něqueo , nefas, něfastus, něfarius, nefandus, esso è lungo in nēquam , nēquidquam , nēquaquam , nemo (da ne - hemo per homo ) . Inol tre è lungo in sēdecim , veneficus, vidēlicet e nella sillaba iniziale ve : vēcors, vēsanus e nei pronomi mēmet, mēcum, tēcum , sécum .

30 i è breve ; significo, sacržlegus , cornicen , tuběcen , omnipotens , undique ; siquidem nel significato di perchè è divenuta parola a sè .

È lungo nei pronomi composti : quilibet , utrique , ecc . in ibidem , ubique , utrobique , in īlicet e scilicet ; nei composti di dies : biduum , trīduum , merīdies ; finalmente in quei composti nei quali la finale della prima parola anche separatamente sarebbe lunga : lucrifacio , agricol tura , sēquis .

4 ° 0 è breve ; hodie , duodecim , sacrosanctus ; è lungo però nei composti di contro , intro , retro , quando ( eccetto in quandoquidem ) ; inoltre in alioqui , ceteroqui, utroque , e nelle parole greche che hanno w : geometria, ecc .

5º u ey sono brevi: quadrúpes, Polyphemus.

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CAPO VI .

Quantità delle sillabe finali.

A conoscere la quantità delle sillabe finali valgono in molti casi le seguenti regole :

A. VOCALI FINALI .

30. a è breve alla fine dei nomi, eccettuato l ' ablativo singolare della la decl . e ilvocativo dei nomi greci in as della 1a e della IIIa decl . Quindi menså , nom . e vocat., scută , marid, Palladă , ma mensă abl . é Aeneū , Gallā vocat . È lungo alla fine dei verbi e degli indeclinabili: amā, dā , antcā , intereă , posteà ( in quanto non è separato post ea ), frustrā , intrā, quadragintā . Si eccettuano eix, itå , quiči e l'emper.

putå in senso di per esempio : talora anche i numerali in declinabili , nei quali l'a il più delle volte è lungo , di rado breve , come talora in trigintă , sexagintă ( Marz . , 12, 26 ) e nonagintă nei più recenti scrittori .

31. e è breve : patré, currë, nempe , ecc . Però è lungo : lº nell’abl . della Va decl .: diē, faciē, ed anche in famē abl . di fames, is; 2º negli avverbi derivati dagli aggettivi della IIa decl .: rectë, rectissimē, pulchrë, ecc . , eccetto che in beně , malë, interně, infernë, superně. Inoltre in hodie , ferē , fermē, ohë ; 3º nelle parole greche , quando traduce n : crambë, Circē , Helene ( 'EXévny) e i plurali Tempē, cetē ; 4º negli imperativi della II * coniug .: docē, monē , ecc .

NOTA . In alcuni imperativi della IIa decl . usano i poeti , specialmente i comici , abbreviare l'e , purchè la prima sillaba sia essa pure breve : căvě, håbě, iübě, måně, tăcě, vålě, vždě : però si trova anche sālvě.

32. i è lunga : patrī, audi, ecc . Breve è soltanto nei da tivi e vocativi alla greca : dat . Palladi , Tethyi, ecc . : voc . Alexi. Inoltre è breve in nisi, quasi e cui quando però, ed è di rado , sia di due sillabe. Ancipite è in miħă, tibž, sibă , ibă, ubi, ma nei composti si dice sempre ibidem , ubīque , e al

4

MinOTTO , Prosodia Lalina . 2

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contrario ubinam , ubivis, necubi, sicubi . Se utī ha l'i , nei composti è utinam , utique.

33. o è ancipite . Di rado nei buoni tempi della lingua , più spesso nei tardi , esso fu usato come breve nel nom . della IIIa decl . , nella finale del pres . di tutte le coniugazioni nello imperat . (dicitó ), nel gerundio in d8 e negli avverbi porro, postremo, serð, quand8 ( onde quandoquidem ), ergo quando significa dunque ; invece ergo, a cagione. Sempre breve è negli avverbi modo ( dummodo , quomodo, tantum mod8 ) , cild, illico , immò, cedo ( verbo difett. per dic o da ), egð, duð, octo e il derivato ēnd8 ( di in) . Al contrario , di regola è ambo . Nelle parole greche della IIIa decl . in w , gen . ous , l’o è sempre lungo , come Dido, echo , Io ; quelle in wv , gen . ovos, finiscono in latino per lo più in on , ma talora anche in 8, come Agamemnón e Agamemno .

Nota . La finale o nei verbi e nei nomi per sè è sempre lunga e tale fu usata dai più dei poeti del miglior tempo , specialmente da Virgilio , Orazio nelle Odi , Ovidio nelle Metamorfosi, cioè nelle prime loro poesie . I poeti posteriori, ad esempio dei comici, l'usarono anche breve , finchè l'abbreviamento divenne prevalente.

34. u è sempre lunga : diū , vultū, cornū .

35. y è sempre breve e s'incontra soltanto in pochi nomi greci .

B. SILLABE FINALI IN CONSONANTE .

36. Tutte le sillabe finali delle parole polisillabe, che e scono in consonante ( 1 ) , sono per sè brevi : åb , donec, illud, consůl , aměm , carměn , laudër, capůt.

37. Eccezione 14. Liên ( dal più usato liênis ), alēc, illoc , illac, illuc, istoc, istäc, istūc e i composti di păr.

38. Eccezione 2a . Se la sillaba finchè è il prodotto di contrazione, essa è lunga : come nei genet . pl . Coelico lüm per Coelicola ( r ) um , Virg . En . III . 21. O Divom domus per Divūm = Divoru m , Virg . En . II , 21. Ultima

( 1 ) Si osservi che nella lingua latina le parole non ( eccetto ab , ob ) , f, g , h , p , q , V , % .

escono mai in 6

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celest û m per celestiuin , Ov . Met . I , 150. ( Quom per cum nelle Leggi XII Tav . )

39. Le parole greche conservano la loro quantità : cratēr , aër ( che però ha il gen . aëris ), aether , Aenean , ecc . Solo le finali del nom . or e on sono sempre brevi , quantnnque sia ws ed wv : Hector, Castor, Agamemnon .

40. I bisillabi composti di par seguono la sua quantità : così anche i casi da istic e illic, quelli di hic ( Gramm . § 64, 1. ) . 41. Per le sillabe che escono in s si osservano le regole seguenti :

lº as è sempre lunga : mēnsās, erās, laudās, ecc . Breve è soltanto in anås ( anåtis) e nelle parole greche in ås, ådįs che in greco hanno ádos : Iliås, Iliedis, Pallås, Pallådis ; nell'accus . plur . greco della IIIa decl . in as, come heroes, phalangås.

2 ° es è lunga : pyritës, nubes ( nom . sing . ed accusativo plur . ) , docès, amës , sexiès, ecc . Breve è solo nei nominativi della IIIa decl. in es , che nel gen . escono con incremento štis, itis, idis : segës, milès, obsës : – si eccettuano abies, ariēs, pariés , Cerēs e i composti di pēs ( compēs, compëdis ):

inoltre penës prep . , ēs da sum , chè per edes si dice sempre ēs ; e i suoi composti : abës, potës. Cfr. Gramm . $$ 139 .

Le parole greche conservano la loro quantità : dunque nom . plur . Troaděs, ecc . , e . nel neutro Cynosargès.

30 is in generale è breve : ignis, legis, legitis ; ma è lunga in tutti i casi del plurale : avīs, focīs, omnis ( per omnēs, od omneis V., § 67 ) , vobis ; inoltre nella 2a pers. sing . dei verbi . che hanno la 2a pl. in itis : quindi sempre nella IVa coniug . ed anche in sīs, possīs, velis , nolīs, malīs; così pure in ois, tu vuoi. e composti , in quivīs, quamvis, ecc .

È lunga nei nomi proprii della IIIa declin . in is, che incre mentino di una sillaba nel genitivo , e quando abbiano lunga la penultima : Quiris , Quirītis ; Samnīs, Samnītis ; Eleusis, Eleusinis; Salamis, Salamīnis ; Simoīs ( Simoêntis ). È lunga nella 2a persona del futuro esatto : reddideris : di qui anche il plurale talora è reddiderītis ( In Ov . , Am . , I , 4, 31. Et qua tu biberis , hac ego parte bibum, all'allungamento con tribuisce la cesura ) .

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4º os è sempre lunga : vivos, nepos, nos, custos, honos . Breve è solo in compos, impos, os ( ossis ) , (exos, Lucr., III , 721 : al contrario ' os, õris ); e nelle finali greche per os : Delos, Erinnyos: ma è naturale che , se è per ws , sia lungo : heros, ecc .

5 ° us è breve: clarůs, funditůs, ecc . È però lunga nel gen . sing . , nom . ed acc . pl . della IVa decl . e nel nom . sing . della 3 * declin . , quando nel gen . si conservi lunga la u ; quindi nom . sing . senatūs, gen . senatūs ; nom . acc . plurale senatūs ; virtus ( virtutis ), palūs (palūdis ). Al contrario pecus ( pecüdis ), corp's ( corporis ), ecc .

Nelle parole greche us, come finale di genitivo eus , è sempre lunga: Sapphūs: nel nominativo soltanto, il più delle volte , quando sta per ou , come Panthūs, Melampūs ( però breve in Oedipüs); al contrario sempre breve quando sta per o , come Delůs, Añlos .

60ys ( solo in parole greche) è sempre breve : clamys, Ithys, Halys ( si dice Tethys e Tethys): e nei rari con tratti da yis, yes , yas , in ys, come Erinnys per Erinnyes .

Nota . Nel verso l'ultima sillaba è tenuta breve o lunga , come meglio accoinodi al poeta .

CAPO VII .

Quantità dei monosillabi .

42. Tutti i monosillabi , che escono in vocale , seguono le regole delle vocali finali.

Però sono lunghe : le preposizioni à , dē, ē , pro ( eccetto che nei casi notati al § 25 ) ; inoltre mē , tē , sē , dā (quan tunque da dåre) e në congiunzione . Brevi sono soltanto le enclitiche cë ( hicë ), ně (credisnë), quě, të (tute per tu ).

psě, ptě ( reapsė , suoptě ), vě.

Nota . Ne talvolta si accorcia per apocope : Plaut . , Aul . , III , 1 , 35. Cen sen ' vero , adeo parcum et misere vivere? Virg. , En . III , 319. Pyrrin ' connubia servas ? Onde parimenti nella 2a pers . sing . pres . e nell'avv .

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satis per sincope : Pl . , Aul . , I , 1 , 9. At scin ' , quomodo tibi res se ha bet ? invece di scisne ? Ib . , II , 2 , 10. Ain'tu , te valere ? invece di aisne ? Pl . , Trin . , IV , 3 , 64. Satin ' ego oculis plane video ? invece di satisne ? Liv . , 1 , 58. Satin ' salvae ( res sunt) ?

43. Dei monosillabi che escono in consonante sono : 1 ° Lunghi tutti i nomi sostantivi , eccettuati : cór, fël, låc, měl, vir , Ós ( ossis) e verisimilmente anche mas e vas, perchè nel gen . hanno è.

2 ° Brevi le parole che non sono nomi sostantivi , come particelle , pronomi nel nom . sing .: tib, dd, din , åt , ob, pěr, såd, is, id, quis ( non però quīs, che sta per quībus ), quod ,

quot, ecc .

Pure sono lunghi pār e composti , plūs, crās, cūr , ën , non , quin , sīc , sin , e le desinenze pronominali ac, ic, oc, uc : hāc, hic ( avverbio ) , hoc, hūc ; illic, illüc, ecc . I nom . hic ed hoc sono or brevi , or lunghi : se poi sono lunghi , stanno per hicc e hocc, quale compenso dell'antica forma hice, hoce.

44. Un monosillabo che esca con desinenza di qualche caso o di qualche forma verbale, segue le regole date per i polisillabi: his, quos , quäs, dās, flės, sūs ; dål, flet, süt, ecc . Però dic e dūc sono lunghi , come dico e dūco : fic e fër sono brevi , come fåcio e fëro.

CAPO VIII . Quantità di posizione .

45. Una sillaba può essere o divenire lunga per la colloca zione della sua vocale , ossia per posizione , quando cioè sia seguita da due o più consonanti , o da jo da x o da z .

In generale si distinguono tre maniere di posizione : 1 ° Lunga è la sillaba che esca con due o più consonanti o con 3 : mēns, ārs , stirps , ēx , ecc .

2 ° Lunga è la sillaba che esca in consonante e ne pre ceda un'altra , che incominci pure da consonante : ille , àrma , ignis, såltus, oblatus, sūbruo, virümque, in nova .

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Nota 14. In ambedue i casi una sillaba , anche se breve per natura della vocale, è allungata. Fanno eccezione talvolta i comici che trascu rano di frequente la posizione , specialmente della seconda maniera .

Nota 20. In una sillaba lunga per posizione non usiamo propunciare la vocale in sè e per sè breve ; ma la lingua latina vivente distingueva anche in questo caso la vocale breve dalla lunga : p . es . ěst = è , da ést edit . Si diceva pur lunga la vocale di in e con composte con parole che incominciano da fes : infelix , insanus , consul , confecit ( V. Cic . , Orat . , 48 ). Dens , gens , mens , fons, frons e mons , erano udite con vo cale lunga ; cosi ancora pax , les , lux , rex , vox , perchè hanno lunga la vocale anche nel genitivo : egualmente plēbs, plébis ; ma al contrario fax , nes , nisc , nus , erano tenute con vocale in sè breve , perchè breve è la vocale del genitivo : făcis, něcis, ecc . Cfr . Nota finale .

3° Se una sillaba esca con vocale breve , ma la seguente cominci con due consonanti o con doppia , allora avviene in essa una necessaria lunghezza di posizione : d -xis, ā -ptus, fā - ctus, ga -za , re - stāt, rē-spiro, nē - scio.

Che se delle due consonanti seguenti la prima sia muta e l'altra sia lor, avviene una incerta lunghezza di posizione ( positio debilis, cioè or lunga , or breve):på -tris, rē fluo , rě - clino, teně- brae, cerē- brum ,medio -cris, intègri, lugū - bris, volū -cris ( Ov . Met . , XIII , 607 : Et primo similis volucri , mox vera volūcris . Virg . , En . , II , 663 : Na tura natum ante ora poitris, påtrem qui obtruncat ad aras ).

46. Una vocale breve in fine di parola posta in principio e fine di esametro non diventa mai lunga per posizione, cioè se anche la parola seguente cominci da due consonanti : Virg . , Cul . , 193. Horrid å squamosi volventia membrå draconis; e Oraz . , Sat. II , 43 , 3. Quem malë stultitia et quemcumque inscitia veri Caecum agit. Virg ., En . , III, 270.

Nemoroså Zacynthus.

Nota le . Quantunque di rado , pure si trova tale allungamento , il quale però non avviene altrimenti che con la forza dell'arsi ; p . e . Virg . , Bucol ., 4 , 5. Terrasqué , fructusque maris, coelumque profundum . Cfr . Schultz , Metrica , SS 2, 4 .

NotA 24. Nelle parole greche come átlas, Cğcnus, Cytnos , ecc. è mantenuta la quantità greca :

47. Però se la vocale è lunga per natura , essa rimane

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23 lunga, nè può mai abbreviarla una positio debilis : quindi sarà sempre salūbris da salūber, ambulācrum , lavacrum , delubrum , involucrum .

48. La determinazione della quantità di una sillaba posta dinanzi muta e liquida nell'interno di una parola , non è facile : quindi aggiungiamo altri schiarimenti .

Diverso è l'uso che la positio debilis trova presso i di versi poeti : abbiamo veduto Virgilio preferire che un simile allungamento nel verso cada insieme coll’arsi.

In alcune parole la positio debilis si trova stabilmente lunga , lībri , pāgri, nīgri, rūbri, quantunque abbiano breve la vocale nel nom .: liber, piger, ecc .: così si dica di co lūbrae, colūbris da colüber , e migro fatto lungo dai migliori epici . Al contrario in altri è breve : arbitror e più di rado locuples.

La positio debilis, quando è ancipite nella prosa , si tiene sempre per breve : teněbrae, integri.

Si dà eziandio il caso che sillaba seguita da muta e li quida ( le quali anche in greco formano posizione forte ), specialmente dove delle liquide non entra r , ma l , m , n , e delle mute sieno b , g , d ; - sia lunga : pūblicus, āgmen , rē gnum , ignarus, mägnus, Cadmus.

Finalmente se la mutà e la liquida appartengono a diverse sillabe , avviene una posizione forte ; āb - luo, ob -ruo, quam ob - rem , ecc.

49. Qu non vale che per una consonante : quum

50. I ( J ) nell'interno di parola produce sempre una lun ghezza di posizione : mājor maijor ; ējus, Cājus, Troja.

Si eccettuano i composti da jugum : bijugus, quadrijugus.

Non avviene lunghezza di posizione per effetto di j iniziale che si trovi nella parola seguente : quindi , Antě Jovem nulli subigebant aroa coloni, Virg . , Georg . , I , 125 .

cum .

NOTA FINALE . Fra la prosodia greca e latina e le lingue moderne vi hanno fenomeni contraddittori rispetto alla quantità di posizione ; ma ci mancano i fatti diretti per poter risolvere tali antinomie , perchè le lingue , nelle quali la posizione allungava le vocali , sono mortee quindi non possiamo più valutare la loro esatta pronuncia .

Pure a spiegarci il fenomeno della posizione , dobbiamo riflettere che

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quando le consonanti si addossano dopo una vocale , gli organi , in pronunciare la vocale stessa , mettono più di tempo e più di sforzo di quello che se vi seguisse una sola consonante . Siccome questa durata si aggiugne a quella della vocale , cosi si considera la vocale stessa come allungata . Onde si potrebbe stabilire che gli antichi provassero molta difficoltà a pronunciare molte consonanti di seguito : il che facil mente non s'intende da noi , i quali nelle lingue neo-latine e specialmente nelle germaniche abbiamo acquistato un'agilità straordinaria nel pro nunciare facilmente due e tre e quattro consonanti cumulate .

Lo stesso fatto poi che la lunghezza di posizione si attenua ( positio debilis ) quando la seconda delle consonanti sia liquida o semivocale e specialmente quando sia r, che è la più prossima alle vocali , conferma l'ipotesi.

CAPO IX ..

Dell'accento delle parole .

51. L'accento è lo sforzo della voce che si appoggia sovra una delle sillabe, onde si compone la parola .

Nell'insieme della frase le parole secondarie sono prive di accento e per questo fenomeno naturale della favella si distingue l'accento sillabico o della parola isolata , dall'ac cento fraseologico od oratorio .

L'etimologia basta a dirci che l'accento antico non con sisteva , come il nostro , in una semplice insistenza o ap poggiatura della voce , ma era una vera modulazione mu sicale : tovog significa la tensione delle corde della lira , tensione che produce una nota più o meno elevata nella scala del gamma. Questa elevazione della pronuncia è espressa ancora dall'epiteto di acuto, che si dà all'accento , mentre la quantità era la durata della pronuncia .

Il linguaggio sottomesso alla duplice legge della quan tità e dell'accento si avvicinava a una melopea, in cui la quantità dava il valore delle note nella misura , e l'accento segnava la loro tonalità relativa o il loro posto sulla scala . Si può dunque dire che la lingua primitiva era un canto , come le cose, ch'essa esprimeva , erano una poesia .

52. Ogni parola ha di regola sovra una sillaba il tono o

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accento più forte, il quale è di due specie , o circonflesso ( 3 ) o acuto ( ) . Le rimanenti sillabe della parola vengono pro nunciate coll'accento grave ( ), che così chiamano i greci e i latini un accento , il quale significa solamente la man canza di uno di quei due accenti ( Tres soni, in flexus, acutus, gravis. Cic . , Orat . , 17. ) . Questi segnisi scrivono per iscopi affatto speciali . Soltanto alcune particelle monosillabiche mancano nella pronuncia di accento , come l'enclitiche que , ne, de , ce, pte , te , pse, perchè non stanno da sè ; e le pre posizioni , quando stanno dinanzi ai loro casi , .perdono esse pure il loro accento , come per urbem , at ille , ecc .

Nota 14. Gli antichi grammatici insegnano , che quando una enclitica abbia senso proprio , l'accento cade sulla sillaba che la precede imme diatamente : acuto se la vocale della precedente sillaba è breve ; circon flesso , se è lunga : nom . Musăque ; abl. hominéque , Musaque ; abl . e dat . armisque ; rectèque , omniáve , manáve. Che se per l'appiccicamento dell'enclitica ad una parola si forma un vocabolo nuovo , usasi l'accen tuazione regolare ; quindi itáque == e così , avrà l'accento sulla penultima breve ; ítăque = pertanto, ove il que ha perduto il suo proprio significato e ne è venuta una parola nuova ; utique = e affinchè ; útique punto . Per eccezione gli stessi grammatici preferiscono utråque e ple

ráque per analogia di uterque, plerique, quantunque per la regola ge nerale que non significhi qui e , e quindi si dovesse dire útrăque, pleră que . Anche insegnano a dire néquando e síquando , dacche quando non è tenuto come singola parola : e aliquando per differenziarlo da ali quándo .

Nota 2a . Quanto alla ragione dell'accento e alle idee che hanno de terminato la scelta di questa o di quella vocale per posarvi l'accento o farvi pausa , e ' pare in origine esso abbia dovuto cadere o sovra la sil laba radicale o sovra l'affisso che , modificando il senso della radice , acquista pari importanza .

Nel greco e nel latino però il ricordo della radice e dell'affisso deter minante è smarrito : la parola ha cessato di essere un composto di parti e si presenta come un tutto e l'accento ancora alquanto mobile nel greco , diventa fisso nel latino .

53. Le parole monosillabiche si pronunciano col circon flesso , quando abbiano la vocalelunga non per posizione, ma per natura : dós, flos, jūs,lux , môs, spês, dós, ést ( = édit ):

fóns e móns ( Cfr. § 45 , nota 22 ). Al contrario si pronun ciano coll’acuto , quando la vocale sia breve in se od anche sia lunga per posizione : 1s, fax , stát, dúx , ést ( da sum ) .

ap

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Nota . Sic = cosi , avverbio di somiglianza, deve essere pronunciato col circonflesso ; sic desiderativo ( Or . sic te diva potens Cypri) coll'acuto . Priscian . , De XII vers . Aen . , 110 .

54. Le parole bisillabiche hanno l'accento sulla penul tima sillaba : circonflesso, se la vocale della penultima è lunga per sè , e quella dell'ultima sillaba sia breve ; acuto , se amendue o una delle due non sono in questo caso : Rômă, Múså , luce, jüris : ma con acuto homo, in cui amendue le sillabe sono brevi : déos, in cui la prima è breve , la se conda è lunga : árte, in cui la prima è lunga solo per po sizione : dóti, in cui amendue sono lunghe . Se gli antichi grammatici non citano il caso in cui sillabe lunghe per posizione abbiano lunghezza di vocale ( Cfr. § 45 ) , tuttavia è verisimile che appunto come lúce si sia detto anche census, mônte , dênte, ésse ( per edere).

55. Le parole trisillabiche hanno l'accento sulla antipenul tima o sulla penultima sillaba ; sull'antipenultima l'acuto , se la penultima sia breve : caédere , pérgere, homines, non im portando se la sillaba accentata sia lunga o breve ; sulla pe nultima il circonflesso, colla predetta condizione : amâsse, Romanus : ma acuto , se quella condizione difetta , essendo pur lungha la sillaba : Románis, Metellus. Più addietro della antipenultima non va l'accento : Costantinopolis, sollicitudi nibus.

Nota 1a . Come eccezione nota Prisciano : che facere nei composti non formati da preposizione , mantiene sempre lo stesso accento : satis făcit, calefácit , ecc .; e al contrario se composto con preposizione muta l'a in i e perde l'accento : réficit, ecc : cheil genitivo contratto in i per ii ha l'accento sulla penultima , anche se sia breve : ingéni, Va léri. Virgíli; lo stesso va detto anche per il vocativo dei nomi proprii in ius : al contrario altri grammatici ( A. Gell . , N. A. , XIII ,

gliono in questo caso l'accentazione regolare .

Nota 2a . A differenza dell'accento greco , che si moveva entro i limiti delle tre ultime vocali, l'accento latino ha il suo posto obbligato e l'as petto solo della parola basta per fissarvelo . Esso non si posa mai sovra l'ultima , a meno che non ci sia condotto per effetto di apocope : dedúc , illic per dedúce, illice . Anche a differenza del greco , ove l'ultima sil laba per lo più decide del posto , che ha da avere l'accento , in latino esso si regge sulla quantità della penultima .

L'accentazione del latino ebbe gran parte nella formazione delle VO

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-

lingue neo - latine : nelle parolelatine che passarono in queste , la vocale accentata in generale conserva una superiorità sulle altre , nè si mo difica se non per rinforzarsi, mentre le altre stéttero soggette ad essa sopportando ogni specie di indebolimenti : per brevità citiamo un solo esempio : amávit , ital , amo , ecc .

La sincope di una intera sillaba , p . es . in amasti, amarunt , non si può spiegare che per un'antica accentazione ( accento arcaico ) : amá visti , amáverunt in onta alla lunghezza delle due penultime . Parimenti públicus sarebbe sincopato da populicus e cognitus indebolito da co gnótus .

56. Sull'ultima sillaba di parole polisillabe non giace mai l'accento , e pare che gli antichi grammatici ve lo abbiano tuttavia collocato per distinguere parole di suono eguale e senso diverso : quindi insegnano poné = dappresso a diffe renza di pone = poni ; ergo = a causa a differenza di ergo dunque; egualmente gli avverbi circúm , docté, raro, priús, solúm , modó, per distinguerli dai casi dei nomi ana loghi. Quando , qualis, quantus, ubi e simili in senso di in terrogazione deggiono avere l'accento sulla prima : in senso di relazione suonano con l'accento sull'ultima : e se l'acuto per ragione delle seguenti parole non regge , mutasi nel grave .

Le parole in as, che originariamente uscivano in atis : optimas, nostras, Arpinas, mantengono l'accento su quella sillaba , sulla quale lo avevano nella forma completa , cioè adesso sull'ultima. Parimenti i perfetti di rado contratti : audit per audivit. Ma su tutto questo non ci è dato più di determinare quello che fu realmente usato , perchè a tutto si oppone la espressa dichiarazione degli antichi, come Quintiliano , che cioè la lingua latina non accentasse l'ul tima sillaba .

ne fa . Nota . Non si dee scambiare con l'accento il cosi detto apice, segno della lunghezza di una vocale . Esso ha la forma di un accento ( " ) e si trova talora nelle iscrizioni del miglior tempo , però senza regole e senza conseguenza . Quintiliano , I , 7 , 2 , riprova l'uso generale che se ceva , e noi quindi faremo bene à non usarlo .

57. La retta accentazione , nelle parole polisillabiche , ci fa sempre conoscere la quantità delle penultime: refécit, ré ficit: e di tal guisa si distingue in molte parole composte

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le quantità delle singole componenti ; per esempio ( Cfr. § 22 , nota ):

conclamat ( clāmo ) cómparat (påro) relegat ( lēgo , 1 ) repetit ( pěto) evitat ( rīto ) obligat ( ligo ) praedicit ( dico) praedicat ( dịco ) compôtat ( poto ) comprobat ( probo) redůcit ( dūco ) réputat (pŭto)

58. Gli antichi facevano differenza fra accento e quantità assai più rigorosamente che se ne faccia nelle lingue mo derne, nelle quali accento e quantità cadono insieme . La teoria dell'accento , qui esposta , deve dunque servire ad av vezzarci a fare questa differenza. Gli antichi dicevano , e dob biamo dunque anche noi dire , homines non hóminës; vobis, non vobis. Anche facevano differenza, e dobbiam farla anche noi , nella pronuncia di ēdo, io mangio , édo, do fuori, ést da esse, mangiare; ést da esse, essere ; légo, io leggo , lêgo, io spedisco ; fúris, tu rubi , légis, tu leggi, régis, tu reggi , dai genitivi fúris, lêgis, rêgis ; lévis, facile, da lêvis, liscio ; mélus, malvagio, da målus , albero della nave ; pólus, udis, la palude , da pålus, i, il palo ; énus, la vecchia, da ånus, ano ; lútum , fango, da lutum , erba da colorire , guado : e così anche lů'teus, fangoso, da lū'teus , giallo ; populus, il po polo , da populus , il pioppo ; påret e pâret, cómës , co mēs , ecc .

Dobbiamo dunque aspirare ad appropriarci questa pro nunzia sicura ed esatta e specialmente evitare di dir brevi le sillabe finali che sono lunghe .

CAPO X.

habeam - militiae 59. Esercizii sulle principali regole : ( 1 )

Sul & 4. Italia brachia eat Capitolium consului – prehendo trahere mihi .

§ 5. meridiei speciei reipublicae cariei .

§ 7. Mai Caï Vulter.

( 1 ) L'alunno porrà il segno della quantità sulle sillabe .

(30)

§ 12.

§ 8. illius utrius alteriusutrius,

§ 9. fiebam fiunt fierētis .

§ 10. Agesilaus Medea Antiochia Pythagoreus Pelides astrologia Priamides .

saecularis ( saecŭlum ) simulacrum , simulator , simulatio ( sằmůlare ) lucerna ( lūceo) libra ( lībro, as) macula (măcủlo) magisterium (măgīster) navigare ( navis ) — muliebris (můlier ).

§ 14. pluvi ( plèo ) iuvi ( iŭvo ) lavi ( lăvo ) – flevi ( fileo) plevi ( pleo) e composti cecini ( cano ) pepigi ( pango ) ceculi ( cello) e composti credidi (crādo ) rapui - colui .

§ 15. iutum ( iŭvo) deletum ( dēlěo) votum ( võveo) acutum ( icio) exutum ( exŭo ) — sonitum ( sõno) vetitum (věto ) abolitum ( aboleo ) accubitum ( accumbo) - genitum ( gigno ) – desitum ( desĩno )

insitum ( inserere ) .

$ 17. impar , imparis , compar , comparibus compes , compedibus vadibus sale .

. 20. fatale decemviralis consularis statuarius sicarius chartaceus- membranaceus oppidanus primanus festivus tempestivus tenebricosus saltuosus perfidus Africus Tra cius Cilicius fragilis volubilis gentilis - tribulis — arietinus

leporinus annotinus pristinus faginus.

$ 21. compareo ( pāreo ) ēdoceo ( doceo ) – imprudens ( prúdens) - expers , expertis ( pārs ) - impotens ( potens ) consonus ( sõnus ) comperio (părio) aggredior , aggredi (grădior) - aşsideo ( sèdeo ) consumo ( sūmo ) .

§ 25. procido adhortor inimicitia subinde praevaleo abjicio protenus.

§ 26. antesignanus praetereo .

$ 27. secerno secedo segrego seligo - digestus - disiungo .

§ 28. resono resideo retego reboo recolligo.

§ 29. lº quapropter trajicio . 2 ° nefarius archetipus cordia vesania vegrandis memetipsum . 3 ° pridie

gnificus ubinam fructifer duodeviginti introire - retroque . - 4º archytectus — centuplex .

§ 30. scriba Latonia a Diana post ea deserta loca quingenta o Palla .

§ 31. usque fonte - effigie libere pigre epitome gra matice Socrate mele ( melos ) stude pasce fave .

§ 32. legioni telluri Aeneidi Amarylli.

§ 33. templo facito videndo dulcedo Sappho .

§ 34 e 35. noctu astu Erinny .

§ 36. apud viderer tenuit .

§ 39. rhetor Nestor

41. lº necessitas umbras Arcas - Troas Chalchas Phi dias .

2° proles — habes Pierides — dives ( itis) - Anchises Amazones . reseco

ve ma

ab ea -

amo

ab canon .

(31)

30

essemus manus

ut -

portus recreo .

3 ° puppis videbis dominis imis auditis tyrannis accideris .

40 honos flos fluvios - Zacynthos - Nerſtos .

5 ° tempus virtus vetus pectus tri

pus Orpheus .

§ 43. 1 ° Pan pol fas lar . 2 ° sub id ter .

§ 45. l ° e 2 ° rex tormentum exercitus sagitta observans . 3 ° Cantabro celebre

§ 46. clara Zacynthos membra draconis .

60. Voci omonime la cui diversa significazione viene indicata dalla diversa quantità.

Est acer in silvis : equus acer Olympia vincit . De cane , cane decane , canis : non cane decane . De cane : de canis , cane decane , cane .

Fert ancilla colum ; penetrat res humida colum . Si bonus esse comes vis , mores indue comes . Bellandi cupido damno est . sua saepe cupido.

Oblitus decoris violat praecepta decoris .

Vin ' tibi dicamus , cui carmina nostra dicamus ? Solvere diffidit nodum , qui diffidit ense . Claros ecce duces , quos mox in vincula duces . Educat hic catulos , ut mox educat in agros . Ni sit nota fides, ignoto non bene fides.

Decepit me saepe fretum nimis equore fretum . Per quod quis peccat , per idem punitur et idem . Difficilis labor est , cuius sub pondere labor . In silvis lepores, in verbis quaere lepores . Levis adhuc puerest facie ; tu ne levis esto . Deceptura viros pingit mala foemina malas .

Triste malum , navis fractus quum turbine malus . Malo malum quodvis , malum quam turbo refringat.

Mali mala malo faciunt mala maxima mundo . Morio moratur , quocumque sub axe moratur . Nitere cum studio , si vis aliquando nitere . Oblitus es coeno , sed non oblitus honoris . Occidit latro , verum sol occidit almus .

Os , oris , loquitur ; sed os , ossis , redditur ore . Gaudet uterque parens , quum filius est bene parens Uxoris parere et parere , parare mariti est . Pendere vult iustus , non vult pendere malignus . Ludo pila ; pilum petit hostes ; pila columna est . Pro reti et regione plaga est , pro verbere plaga . Planus it in plano ; planus at non plana peragrat .

Populus in silvis , populus reperitur in urbe .

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Si vitare potes , ne plurima pocula potes . Dat propago merum : surgit de patre propago . Raparum rapina satus , raptusque rapina . Pluribus ille refert, quae non cognoscere refert.

Si qua sede sedes et erit tibi commoda sedes . Illa sede sede , nec ab illa sede recede .

Jupiter est Stator ; stator at mihi servus habetur . Si transire velis maris undas , utere velis . Merx nummis venit ; venit huc aliunde profectus.

Venimus hesterna ; ast hodiernahúc venimus . Esercizii di scansione intorno alle sinonimie :

Cantat acanthis avis , sed crescit acanthus in agris . Clava ferit, clavus firmat, clavisque recludit . Consulo te doctum ; tibi consulo , dum tua curo . Est cutis in carne , est detracta e corpore pellis . Fructus arboribus , fruges nascuntur in agris . Ne sit securus , qui non est tutus ab hoste .

Sunt aetate senes ; veteres vixere priores ,

Quae non sunt , simulo ; quae sunt , ea dissimulantur . Hastam dic teretem , sphaeram dic esse rotundam . Torris adhuc ardens , extinctus titio fiet.

Vas caput , at nummos tantum praes prestat amicos . Ungula conculcat ; lacerat , tenet , arripit unguis . Agnati patris , cognati matris habentur .

Dic patruos patris fratres amitasque sorores . Frater avunculus est , soror est matertera matris . Quos generant fratres natos , dices patrueles , Sed consobrinos dic , quos peperere sorores ; Quos soror et frater gignunt , dices amitinos . Vir natae gener est, nurus est pro coniuge nati . Uxoris genitor socer est , socrusque genitrix .

Vitricus haud verus pater est , materque noverca . Ipsi viri frater levir , sed fratria fratris

Uxor ; glos uxor fratris , soror atque mariti.

Asper ab axe ruit Boreas , furit Eurus ab ortu , Auster amat medium solem , Zephyrusque cadentem .

Ver , Aestas , Auctumnus , Hiems dominantur in anno : Aestas a Geminis , Auctumnus Virgine surgit

Bruma Sagittifero , Ver Piscibus incipit esse . Sunt Aries , Taurus, Gemini , Cancer , Leo , Virgo , Libraque , Scorpius , Arcitenens , Caper, Amphora , Pisces . Iuno , Vesta , Ceres , Diana , Minerva , Venus , Mars , Mercurius, Jovi ', Neptunus, Vulcanus , Apollo.

1

(33)

PARTE SECONDA

61. La conoscenza del modo tenuto dai latini nello scri vere e nel pronunciare le lettere combinate in sillabe e in parole , offre una guida speciale nelle questioni prosodiache . È dunque prezzo dell'opera farne qui menzione .

La pronunzia e l'ortografia , oscillanti sempre , sonosi poco a poco fissate, e certo principalmente a mezzo dei grammatici , nel primo secolo di Cristo . Ma ne rimasero molte particolarità nella pronuncia , che entrarono eziandio nella scrittura , e in parte si mantengono ancora nelle edi zioni di alcuni antichi autori. – Noi ci possiamo attenere alla pronuncia e alla ortografia ricevute per mezzo della recente tradizione dei grammatici , i quali nel loro tempo riguardarono non la lingua del popolo , ma quella incorrotta degli uomini colti . L'oscillanza della grafia non deve trarre in errore lo studioso della prosodia ; anzi la storia di alcuni mutamenti o grafici o fonici è una guida per istabilire la originaria e reale quantità di molte sillabe .

62. Nella lingua latina si contano 24 lettere : a , b , c , d , e , f, g , h , i , ( k) , l , m , n , o , p , q , r , s , t , ( u ) , V , x , y , ( 2 ) . Il nome di ciascuna lettera è espresso semplicemente dal suono ch'essa ha: a differenza dal greco in cui i nomi delle lettere formano una speciale parola : alpha , iota , ecc .

Nota la . Il nome delle lettere e l'ordine dell'alfabeto sono pari all'ita liano . Lo z si chiama - Zeta . Secondo Cicerone , Nat . Deor . , II , 37, l'al fabeto propriamente latino aveva 21 lettera . Y e Z sono state intro dotte dai Greci al tempo della Republica Romana : quindi si trovano appunto in quelle parole soltanto che derivano dal greco . Il segno u e v venne usato dai Romani, senza differenza, per la vocale u e per la consonante v ; per quest'ultima fu introdotto , a comando dell'imperatore

(34)

Claudio , un segno speciale A ( F digamma , capovolto ), ma non ebbe lunga durata . Più tardi corse l'uso di u come vocale e v come conso nante .

Gli antichi Romani non usarono mai j , ma si servirono dell'i come vocale e come consonante : solo più tardi venne accettato nella scrittura latina anche j , che viene adoperato , talvolta anche oggi , ora per ii ed ora per la consonante i .

I Romani non distinguevano lettere maiuscole e minuscule . Adesso sono usate quasi sempre lettere maiuscole iniziali e in conformità solo nel principio di un periodo , nei nomi proprii e nelle parole che da essi derivano .

Nota 2a . Lo studio dei suoni , adoperati nell'umano linguaggio , con sidera tre caratteri proprii ai suoni medesimi : il fonetico , l'istorico - eti mologico , il grafico . A questo studio non il grammatico , nè il linguista soltanto bastano , ma vi è chiamato anche il fisiologo, il quale , indicate le relazioni che passano fra i suoni emessi.e gli organi che li produ cono , e dato argomento per classificarli in questo senso , apre la via a studi fisio - psicologici sull'umano linguaggio .

Sogliono dunque dividere i suoni in ragione della loro quantità , ossia del grado o della maniera dell'ostacolo che la corrente d’aria deve vincere per uscire , in vocali , semivocali , consonanti . In ra gione poi dell'organo , ch'è cagione di quest'ostacolo dividonsi in labiali , dentali , gutturali .

Prospetto delle Vocali . а .

è (aperto ) ò . (aperto ) 6. (chiuso ) é ( chiuso )

i

Prospetto delle Semivocali e delle Consonanti .

ESPLOSIVE CONTINUE

Modo

PURE SPIRANTI

dell'articolazione ASPIRATE Nasali risonanti LIQUIDE

sorde sonore semivocais sibilanti aspirate Labiali

Tt,PB, 6 Q , phu, m V

Dentali T , t , d

e , th V , n p, l, r , 2 S , S

Palatine j

Gutturali K , C , qur, 9 X, ch ru ,n , gn h, f

MINOTTO, Prosodia Latina . 3

(35)

34

CAPO XI . Delle vocali .

63. Di queste lettere sono vocali a , e , i , o , u ( v ) , y . Le vocali si pronunciano or brevi e acute , or lunghe e gravi . Però la lunghezza e brevità della vocale latina non si distingue nella scrittura — come, almeno in parte , nel greco - se non ponendo i segni convenzionali ( V. Prelim . , pag . 7 ) .

64. Si dànno inoltre vocali doppie o dittonghi e sono : ae , oe , au , eu , ei , ui .

Eu si trova solo in nomi proprii stranieri: Europa , Euros , e in alcune parole latine ; heus, hen , eheu ; ceu , neu , seu , neuter , neutiquam .

Ei s'incontra solo nelle interiezioni hei , eia , oiei .

Ui in hui . Specialmente dai poeti , dein ( deinde ) , huic, cui , proin ( proinde ) , si fanno monosillabi . ( V. § 92, nota 3a ) .

Nota . Dittonghi nel senso fonetico della parola sono suoni che risul tano da una fusione di due diverse vocali , in un suono solo , cosi che amendue ne sono divenute i fattori. Si distinguono però dittonghi puri e semi - dittonghi , nei quali ultimi accade l'iato che viene solitamente evitato con contrazione , elisione , ecc .

65. Nella pronuncia dei dittonghi gli antichi facevano udire più di quanto lo facciam noi , amendue le vocali , onde il dittongo componesi. Egli è certo che in nëůter il dit tongo si pronunciava legato sì , ma in guisa che amendue le vocali fossero udite . L'asserzione dei grammatici antichi che fosse un barbarismo pronunciare neutrum bisillabo , si riferisce ai poeti , i quali per necessità metrica allungavano il dittongo . Neutiquam nei comici ha abbreviata la prima sil laba : nůtiquam : ond'è a credere che si udisse meno il dit tongo che due vocali brevi . Quindi i dittonghi ae , oe , ve nivano pronunciati distintamente con due vocali : di qui avviene che in più remoto tempo anche ai e oi venissero pronunciati e scritti per sè medesimi , e che i latini espri

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messero con ae ed oe i dittonghi greci ai , 01 : Daiðpos, Phae drus: Ooîvie, Phoenix . — Il dittongo greco ei viene reso in latino con i dinanzi consonante , con io e dinanzi vo cale , e , naturalmente , sempre lungo : Euclides, eclāpsis, Nilus, Clitus, Heraclidae , Polyclitus ( quantungue meno cor rettamente si trovi talora Polyclētus: V. Cic . , Verr . IV , 3 ), Hilotes o Hilotae ( Ilotae ), ma più di rado Hēlotes. Dinanzi a vocale ei e tradotto ora in e , ora in i : Acnēas, Medēa, oppure Iphigenia , elegia : si dice Alexandrea eAlexandria , Thucydidèus e Thucydidīus, Darius e Darīus . Tuttavia in Cicerone troviamo Ariopagus e Ariopagitae ; forme più ac cettabili che Areopagus, Areopagitae, come ora comune mente si usano : e al contrario Darēus è senza dubbio da essere preferito a Darīus.

66. L'u suona sempre i e passa nel latino ora in y , ora in i . Conservano y tutti i nomi proprii e quelle parole che entrarono nella lingua latina scritta , quando era già for mata , e quindi conservarono tuttå la forma greca : Pyrrus, pyramis, syllaba , ecc . Al contrario le parole , la cui greca origine rimonta a tempo più antico , o è oscurata da muta mento di suono , hanno perduto l'u originario : mus ( uus ) , pus ( Túos ) , thus ( lúos ) , silva (ün ), lacrima ( dákpuov ) . Per l'uso anche stylus ( OTûlos ) ; ma è dubbio se clipeus o clypeus.

67. Negli antichi tempi del latino la pronuncia e la scrit tura erano diverse da quelle dei posteriori . Quindi spesso scrivevasi e forse dicevasi ei per i , in segno che l'i era da pronunciare lungo e gruve : heic hic, queis = quis ( per quibus), eidus = īdus, sei = si, quei = qui ( framm . delle leggi regie ) e specialmente nell'accusativo plurale della 3a decl . , in cui scrivevasi aveis, omneis, per aris, omnis che più tardi si dissero aves, omnes ( Vedi Gramm . § 38 e Prosodia , § 41 , 3 ) .

La scrittura e la pronuncia oscillarono lungo tempo fra ei, e , i . Solo nell'età di Augusto andò perduto , almeno nella scrittura, il dittongo .

68. Oscillarono pure scrittura e propuncia fra ae, e : sae culum , seculum ; aidilis per aedilis; - fra de ed oe : caelum,

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36

1

coelum ; fra oe , e : foetus, fetus; e s'incontra obscaenus, obscoenus, obscēnus.

69. Per au sta talora il volgare o : quindi da Claudius si fa Clodius , da plaustrum , plostrum : questo mutamento ingenera talvolta differenza di significato, come fra Clau dius e Clodius, lautus e lotus, caudesc e codes . Tale pro nuncia , certamente scorretta , divenne poscia fissa in alcune parole, come in plostellum , dimin . di plaustrum ,e nei com posti di plaudo, e in quelle , ove cangiavasi anche il signi ficato .

Nota . Nel Carme dei fratelli Arvali troviamo : aedes clusa est . 70. Per u ed e si scrisse e si disse o di frequente nei tempi più antichi , e specialmente fra v e una liquida o s, quando però u od e non erano sillabe finali: volt, volnus, evolsus, avom , per avum o avorum ( cfr. § 38 ) ed anche avós

= avus, vorto , vorter . Nelle Leggi regie e nelle XII Tavole e altrove vedi scritto quoi e coi cui : jousta iusta , quoius = cuius, Loucana = Lucana, abdoucit = abducit, consol = consul, advorsum = adversum ( Iscr.di Scipione).

Per e si scrisse e si pronunciò , in tardi tempi , u nelle finali del participiale endus : vidundus, repetundus : forma che in certi casi si conservò anche in seguito . Si scrisse e si con servò u per į in alcune parole e nella finale imus degli aggettivi superlativi: lubet , existumo, inclute, satura , fi nitumus , optumus, maxumus ( Deo optumo maxumo ) , decumus, ecc . Fu Cesare che pose in uso l'i .

71. I ed U ( V ) in principio di ciascuna sillaba e dinanzi a vocale sono consonanti, eccetto se formano con essa una sillaba sola ; quindi si scrive anche jacio , jejunus, jocus, juro per iacio, ieiunus, ecc .; inoltre valeo, veheo, convinco, devoro : e soltanto i -ens, tenu - i - or , col - u -i. V. § 79 , e cfr. Me trica , § 4, 5 .

72. S'incontra eziandio un mutamento della vocale , p . es . di a che trasformasi di solito in e : iacio , ieci : cano , ce cini ( da ceceni). Ciò tuttavia avviene solamente quando la vocale rimane in fine della sillaba : onde si dice ieci, iactum : cecini, cantum . In fine di sillaba in " luogo di e ed u sta

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