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Analisi delle potenzialita' semiotiche di rappresentazioni dinamiche interattive per mediare aspetti del concetto di funzione

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Academic year: 2021

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FACOLT `A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Matematica

Analisi delle

potenzialita’ semiotiche di

rappresentazioni dinamiche interattive

per mediare aspetti del

concetto di funzione

Laureanda:

Chiara Tafi

Relatore:

Prof.ssa Anna Baccaglini-Frank

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Indice

1 Introduzione e letteratura 1

1 Aspetti della nozione di funzione . . . 2

2 Dicoltà legate al concetto di funzione . . . 4

3 AGD per funzioni . . . 9

2 Quadro teorico di riferimento 13 1 Il contributo di Vygotskij . . . 13

2 Distinzione artefatto-strumento . . . 15

3 Teoria della Mediazione Semiotica . . . 16

3.1 Potenziale semiotico di un artefatto . . . 18

3 Obiettivi e metodologia 20 1 Criteri di Analisi . . . 21

4 Nozioni base legate al concetto di funzione 24 1 File 1 . . . 24

1.1 Consegna . . . 24

1.2 Artefatto . . . 24

1.3 Sapere matematico da mediare . . . 25

1.4 Possibile approccio alla consegna . . . 25

1.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 26

2 File 2 . . . 29

2.1 Consegna . . . 29

2.2 Artefatto . . . 29

2.3 Sapere matematico da mediare . . . 29

2.4 Possibile approccio alla consegna . . . 29

2.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 31

3 File 3 . . . 33

3.1 Consegna . . . 33

3.2 Artefatto . . . 33

3.3 Sapere matematico da mediare . . . 34

3.4 Possibile approccio alla consegna . . . 34

3.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 34

4 File 4 . . . 36 ii

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4.3 Sapere matematico da mediare . . . 37

4.4 Possibile approccio alla consegna . . . 37

4.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 38

5 File 5 . . . 40

5.1 Consegna . . . 40

5.2 Artefatto . . . 40

5.3 Sapere matematico da mediare . . . 41

5.4 Possibile approccio alla consegna . . . 41

5.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 41

5 Equazioni e disequazioni come confronto tra graci di funzioni 43 1 File 1 . . . 43

1.1 Consegna . . . 43

1.2 Artefatto . . . 44

1.3 Sapere matematico da mediare . . . 44

1.4 Possibile approccio alla consegna . . . 44

1.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 45

2 File 2 . . . 47

2.1 Consegna . . . 47

2.2 Artefatto . . . 48

2.3 Sapere matematico da mediare . . . 49

2.4 Possibile approccio alla consegna . . . 49

2.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 50

6 Funzione derivata e funzione integrale 51 1 File 1 . . . 51

1.1 Consegna . . . 51

1.2 Artefatto . . . 51

1.3 Sapere matematico da mediare . . . 52

1.4 Possibile approccio alla consegna . . . 52

1.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 54

2 File 2 . . . 56

2.1 Consegna . . . 56

2.2 Artefatto . . . 56

2.3 Sapere matematico da mediare . . . 58

2.4 Possibile approccio alla consegna . . . 58

2.5 Potenziale semiotico dell'artefatto . . . 60

Conclusioni 63

Bibliograa 65

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Capitolo 1

Introduzione e letteratura

Il concetto di funzione è fondamentale nella matematica moderna e trova larga applicazione in tutte le discipline scientiche. Ne segue l'importanza di acquisire una profonda comprensione dei vari aspetti di tale concetto, che si scontra, tutta-via, con le molte dicoltà che gli studenti sembrano incontrare nell'approcciarvisi. Questi due fattori, l'importanza matematica del concetto e le dicoltà riscontrate nella sua comprensione a livello scolastico, spiegano almeno in parte l'attenzione che la ricerca in didattica della matematica rivolge ormai da molti decenni allo studio del processo di insegnamento-apprendimento del concetto di funzione ed al-la messa a punto di strategie didattiche innovative per il superamento di dicoltà legate ad esso. Nell'ultimo ventennio il lavoro di molti ricercatori si è concentrato, in particolare, sull'uso di software come supporto all'apprendimento del concetto di funzione ed all'introduzione di nozioni base del Calculus nella Scuola Secondaria Superiore.

Questa tesi si colloca all'interno di questo ambito di studi e presenta nove -le dinamici interattivi realizzati nell'ambiente di geometria dinamica GeoGebra e progettati per mediare aspetti importanti del concetto di funzione. Utilizzando gli strumenti di analisi forniti dalla Teoria di Mediazione Semiotica (Bartolini-Bussi e Mariotti, 2008) vogliamo mostrare, attraverso un'analisi a priori approfondita del-le potenzialità semiotiche di ciascuno dei del-le, quanti e quali signicati matematici istituzionali siano riscontrabili nei signicati personali e situati che lo studente può potenzialmente elaborare durante la risoluzione di consegne speciche arontate interagendo con i le.

Questo primo capitolo presenta una rassegna della letteratura nella quale si col-loca il nostro studio. Ripercorreremo brevemente le tappe svolte in studi precedenti riguardanti le dicoltà legate al concetto di funzione e vedremo una panoramica di alcune teorie riguardanti le potenzialità di Ambienti di Geometria Dinamica per l'apprendimento di concetti matematici legati alla nozione di funzione. Nel prossi-mo capitolo (capitolo 2) descriviaprossi-mo il quadro teorico di mediazione semiotica nel quale si colloca il nostro lavoro, per poi passare alla metodologia utilizzata nelle analisi a priori dei le dinamici interattivi che presentiamo (capitolo 3). Nel

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to, quinto e sesto capitolo, riportiamo tali analisi, suddividendo i le nei diversi capitoli, sulla base delle diverse tematiche che ne hanno guidato la realizzazione. I cinque le che presentiamo nel quarto capitolo, si concentrano su nozioni base legate al concetto di funzione, quali dipendenza funzionale tra variabili, dominio ed insieme delle immagini, lettura di un graco di funzione; in particolare, pre-sentiamo e confrontiamo due possibili rappresentazioni grache di funzione: l'una, standard, su assi perpendicolari e l'altra, più innovativa, su assi paralleli. Nel quin-to capiquin-tolo, analizziamo due le incentrati sulla possibilità di una rilettura graca di equazioni e disequazioni algebriche come confronto tra graci di due funzioni. Inne, nel sesto ed ultimo capitolo, presentiamo due funzioni che svolgono un ruo-lo centrale all'interno delruo-lo studio del Calculus: la funzione derivata e la funzione integrale.

1 Aspetti della nozione di funzione

Negli ultimi decenni la ricerca in didattica della matematica ha messo in luce molti punti di vista diversi attraverso i quali analizzare l'insegnamento e l'apprendimento del concetto matematico di funzione, che riettono altrettanti aspetti della nozio-ne stessa di funzionozio-ne. Alcuni di questi aspetti si possono riscontrare nozio-nel lungo percorso che ha portato i matematici, nel corso di due secoli, all'attuale formaliz-zazione del concetto di funzione. La nozione di funzione sviluppata nel XVII secolo come relazione tra due variabili numeriche interconnesse espressa da una regola, enfatizzava, ad esempio, come i cambiamenti in una variabile fossero correlati con i cambiamenti in un'altra variabile; aveva quindi una forte connotazione dinami-ca e temporale. La denizione di funzione più recente, data in termini di coppie ordinate, è molto diversa: nel suo approccio formale e legato alla Teoria degli in-siemi, l'idea di funzione non è più associata unicamente ai numeri e la nozione di dipendenza tra due variabili resta implicita; il fattore temporale e dinamico viene eliminato.

Da una sommaria riessione storica sembrano già emergere, quindi, due diversi approcci alla comprensione del concetto di funzione: funzione come corrispon-denza e funzione come co-variazione (Confrey & Smith, 1994; 1995). Secondo un approccio alle funzioni come corrispondenza, si usa spesso la metafora della macchina "input-output" che associa ad ogni input uno e un solo output. Tale concezione di funzione può favorire la comprensione che, talvolta, la regola che esprime una relazione funzionale può essere formulata in chiave algebrica e ciò consente di spostare e risolvere sul piano algebrico/aritmetico, questioni come la determinazione dell'output associato ad un dato input o viceversa, degli input che restituiscono un dato output, l'individuazione del dominio e molte altre. La fun-zione come corrispondenza e la denifun-zione di funfun-zione in termini di coppie ordinate sono di fatto simili: entrambi si focalizzano in prima lettura su di una percezione puntuale della funzione, dal momento che enfatizzano la relazione tra particolari

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valori o sottoinsiemi discreti delle variabili, che non sono pensati necessariamente come numeri.

L'approccio co-variazionale alle funzioni si concentra, invece, su come un cam-biamento in una variabile si lega ad un camcam-biamento di un'altra variabile o come variano simultaneamente queste variabili. L'approccio co-variazionale è tipico nel modellizzare fenomeni in cui si ha dipendenza sica tra grandezze. Analizzare, manipolare e comprendere le relazioni tra quantità variabili illustra il punto di vista co-variazionale che porta ad una comprensione delle funzioni come relazio-ni fra due insiemi di valori variabili, piuttosto che come aziorelazio-ni su singoli valori e ad una lettura graca dei tassi di variazione istantanei delle variabili (Carlson & Oehrtman, 2005).

Dubinsky e Harel (1992) classicano due ulteriori concezioni di funzione: fun-zione come afun-zione o come processo. La concefun-zione di funfun-zione come "afun-zione", en-fatizza gli aspetti computazionali e procedurali associati alle funzioni; ad esempio, l'inversione di una funzione y = f(x) è vista, in via algebrica, come la procedura che prevede di ricavarsi la variabile x in funzione della variabile y e in via graca, come il graco simmetrico a quello della funzione di partenza rispetto alla bisettri-ce del primo e terzo quadrante. La funzione come "probisettri-cesso" può essere pensata, invece, come "una trasformazione dinamica di oggetti secondo un qualche schema ripetibile che, dato lo stesso oggetto di partenza, attuerà sempre la stessa trasfor-mazione sull'oggetto". Con riferimento all'esempio precedente, l'inversione di una funzione è pensata, in questo caso, come il processo inverso che porta dall'insieme di output all'insieme di input di una funzione data.

Molti ricercatori hanno individuato la concezione di funzione come "processo", con la sua visione dinamica di funzione come trasformazione, come necessaria per la comprensione dell'aspetto co-variazionale di una funzione ed hanno evidenziato i due seguenti tipi di ragionamento dinamici e fondamentali per lo sviluppo del pensiero "co-variazionale":

ˆ vedere la funzione come un processo che trasforma input (sia discreti che continui) in output (sia discreti che continui);

ˆ percepire come varia l'output (variabile dipendente) quando varia l'input (in modo discreto o continuo)

(Tall, 1992; Kaput, 1992; Monk, 1992; Thomson, 1994).

Un'altra utile classicazione distingue tra un approccio puntuale alle funzioni (interpretandole come una collezione di "singoli" punti) ed un approccio globa-le. Leggere valori a partire da un graco dato, generare coordinate e plottare punti, sono esempi di approccio puntuale alle funzioni. L'approccio puntuale è talvolta percepito dagli studenti in contrasto con il riettere sul comportamento di una funzione globalmente, come processo (Even, 1990) e quindi in contrasto con l'approccio co-variazionale.

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Una solida comprensione del concetto di funzione non può precludere dalla comprensione di ciascuno degli aspetti, evidenziati nel concetto di funzione, in questa sezione. Viceversa, una mancata o parziale comprensione di alcuni di que-sti aspetti, può far sì che lo studente riscontri dicoltà di fronte a determinate consegne o che vi risponda in maniera errata.

Nella prossima sezione riportiamo proprio alcuni degli errori più comuni nell'ap-prendimento del concetto di funzione di studenti delle scuole secondarie superiori e del primo anno di università, raggruppandoli secondo il tipo di dicoltà che sembrano riettere: dicoltà nella gestione delle diverse rappresentazioni di una funzione e nel passaggio da una rappresentazione all'altra, identicazione del con-cetto stesso di funzione con una delle sue rappresentazioni (prevalentemente quella graca o algebrica), concezione del graco di funzione come oggetto geometrico, dicoltà a ragionare in termini di co-variazione tra variabili di una funzione.

2 Dicoltà legate al concetto di funzione

Uno degli aspetti più critici, per gli studenti, nell'apprendimento del concetto di funzione risulta la gestione delle diverse rappresentazioni di una funzione ed il passaggio da una rappresentazione all'altra. Le funzioni presentano moltepli-ci, possibili rappresentazioni (da quelle più ricorrenti nella prassi didattica, come la rappresentazione algebrico-simbolica ed il graco cartesiano, alla rappresen-tazione a tabella o tramite diagramma, per citarne alcuni). Ognuna di queste rappresentazioni "cattura" aspetti diversi del concetto di funzione, ma alcuni stu-denti sembrano istu-denticare il concetto stesso di funzione con una sola delle sue rappresentazioni.

Molti studi evidenziano, ad esempio, che alcuni studenti sembrano identicare il concetto di funzione con la sua (eventuale) rappresentazione algebrica; questa criticità risulta accentuata dalla notevole importanza attribuita all'espressione al-gebrica delle funzioni all'interno della prassi didattica e sembra legata a molti errori frequenti. Studenti che identicano la funzione con la sua formulazione al-gebrica tendono a pensare che una funzione non possa essere denita da più di una formula algebrica, ovvero non possa essere descritta da espressioni algebriche diverse su intervalli disgiunti del dominio.

Ad esempio la funzione, espressa in forma algebrica, f(x) =

(

0 se x ≤ 0

e−x21 x>0

è considerata da molti studenti essere due funzioni.

O ancora, molti studenti non riconoscono come funzione una relazione denita (verbalmente), quando non esprimibile attraverso una formula algebrica e non ritengono possibile che una funzione possa essere rappresentata attraverso due diverse formule algebriche.

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Gli studenti che confondono la rappresentazione algebrica con il concetto stesso di funzione presentano, in generale, una concezione della funzione come "azione"; tendono ad arontare prettamente in via algebrica problemi quali l'individuazione del dominio, dell'immagine o controimmagine di un valore assegnato, la compo-sizione di funzioni e la funzione inversa di una data. Presentano inoltre spesso dicoltà ad arontare gli stessi problemi in altre rappresentazioni, come quella graca o a tabella.

Figura 1.1: Rappresentazione graca delle funzioni f e g.

Ad esempio, molti studenti sembrano trovare dicoltà ad interpretare la com-posizione di funzioni in via graca anziché algebrica. Nell'esempio proposto si chiede agli studenti di determinare dal graco in gura 1.1 il valore di g(f(2)): soltanto poco meno della metà degli studenti riesce a calcolarlo correttamente.

La letteratura ha evidenziato, in numerosi studi, molte dicoltà che gli studenti incontrano nella gestione del graco di una funzione, tra le quali, ad esempio, individuare gracamente le controimmagini di un valore assegnato.

Molti studenti identicano la funzione con la sua rappresentazione graca. Gli studi di Sfard e Vinner (1992) riportano che, alla domanda "Che cos'è la derivata di una funzione?", alcuni studenti rispondono "It is a function which is a tangent to another function o anche The derivative is a function whose graphic representation is a tangent, confondendo la derivata di una funzione con la rappresentazione graca del signicato geometrico di derivata in un punto come coeciente angolare della retta tangente al graco della funzione data nel punto corrispondente.

L'identicazione tra funzione e graco, può inoltre portare lo studente a in-terpretare il graco "spezzato" di una funzione (cioè costituito da due o più parti separate, come i due rami che costituiscono il graco di una iperbole), la rappresentazione graco di due o più funzioni, anziché di una stessa funzione.

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In altri casi, gli studenti interiorizzano il graco di una funzione come oggetto geometrico; questa errata concezione di graco può portarli ad accettare, come fun-zioni, anche graci cartesiani di circonferenze o parabole con assi paralleli all'asse x, in quanto oggetti geometrici familiari.

Figura 1.2: Graci cartesiani utilizzati da Barnes nel suo studio.

È quanto sembra emergere dall'esempio riportato da Barnes (1988) nel suo studio: posti davanti ai graci in gura 1.2, molti studenti delle scuole superiori aermano che il primo rappresenta una funzione perché "a forma di U", come la parabola, che il secondo graco non rappresenta invece una funzione, non per la presenza di segmenti verticali, bensì per la "forma strana" che lo caratterizza o perché " troppo dicile" da esprimere algebricamente; gli studenti considerano, in generale, il terzo graco come la rappresentazione di una funzione perché graco di una retta.

Nell'esempio proposto da Barnes, si riconoscono alcune delle "limitazioni" più comuni nei concetti di funzione elaborati dagli studenti, tra cui la convinzione che il graco di una funzione deve essere continuo, senza punti angolosi o cuspidi, e magari avere una "forma" familiare, riconoscibile ed esprimibile algebricamente (Vinner (1992), Dubinsky e Harel (1992)). Tra queste limitazioni, i ricercatori citati individuano anche la convinzione che tutte le funzioni debbano avere numeri in "entrata" ed in "uscita" (ossia che le funzioni debbano sempre essere denite sui reali e a valori reali).

Dallo studio di Barnes (1988) emerge inoltre che se, gracamente, la funzione costante è stata riconosciuta come tale dagli studenti (seppure non sempre addu-cendo le giuste motivazioni), molti tra quegli stessi studenti non l'hanno riconosciu-ta invece come funzione, quando è sriconosciu-tariconosciu-ta loro proposriconosciu-ta attraverso la formulazione algebrica. Molti studenti sembrano in eetti ritenere che, a variazioni della va-riabile indipendente, debbano corrispondere variazioni (non nulle) della vava-riabile indipendente.

Per esempio, alla domanda "Scrivi una funzione che abbia tutti valori in out-put uguali tra loro", solo il 7% fornisce un esempio corretto; il 25% fornisce come esempio la funzione y = x (Sfard, 1992). Oppure (Carlson e Oehrtman, 2004) la maggior parte degli studenti sostiene che f(x, y) = 2x + 1 non denisce una

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funzione in due variabili "perché manca la y a destra dell'uguale".

Anche in caso di variazioni non nulle, la relazione tra le variazioni delle variabili dipendenti ed indipendenti di una funzione, ossia la co-variazione, sembra non essere gestita correttamente da molti studenti.

Queste dicoltà emergono, soprattutto, quando gli studenti sono chiamati ad interpretare il signicato di alcune rappresentazioni grache di funzioni; alcuni sembrano confondere la forma geometrica di un graco con le caratteristiche siche che esso descrive, oppure non riescono a dedurre dal graco informazioni corrette. L'esempio seguente risulta emblematico: Carlson et al. (2002) richiedono a studenti universitari al primo anno di facoltà scientiche, di analizzare il graco in gura 1.3 per capire come aumenta l'altezza dell'acqua in funzione del volume, e riuscire a dedurre la forma del contenitore in cui l'acqua è versata.

Figura 1.3: Rappresentazione graca dell'altezza dell'acqua nella bottiglia in funzione del volume e dei possibili contenitori.

Soltanto il 33% degli studenti riconosce correttamente che l'acqua viene ver-sata in un cono con la punta rivolta verso l'alto. Molti studenti (37%) ritengono che il graco sia associato al cono rivolto verso il basso, perché "quando l'altezza dell'acqua aumenta, il volume aumenta"; scelgono, quindi, il contenitore che ha sezione trasversale maggiore in l'alto. Altri studenti scelgono invece come risposte esatte la sfera o la semisfera, in quanto la loro forma ricorda maggiormente quella del graco: confondono dunque la forma del contenitore con quella del graco.

Dicoltà nella comprensione dell'aspetto co-variazionale emergono anche in al-cuni problemi in cui è richiesta l'abilità inversa rispetto a quella appena discussa,

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ossia costruire formule algebriche o graci di funzioni, che modellizzino situazioni reali descritte verbalmente o attraverso disegni e rappresentazioni grache di vario tipo, come nell'esempio di Carlson, Oehrtman & Engelke (2010): gli autori richie-dono agli studenti di immaginare di riempire la bottiglia, in gura 1.4, di acqua, di disegnare un possibile graco dell'altezza dell'acqua nella bottiglia in funzione della quantità di acqua versata e di spiegare il ragionamento utilizzato per ottenere tale graco.

Figura 1.4: Rappresentazione della bottiglia da riempire.

La risposta più comune fornita da studenti di pre-calcolo è quella di disegnare una funzione lineare crescente, in quanto "più viene versata acqua, più l'altezza aumenta". Molti degli studenti di calcolo del secondo semestre e alcuni studen-ti universitari di algebra, hanno disegnato un graco con concavità rivolta verso l'alto; dall'analisi dei dati delle interviste raccolte, è emerso che questi studenti im-maginano l'acqua che aumenta sempre di più nella bottiglia: "aumentare sempre di più" per loro signica che il graco deve essere sempre più ripido. Sembra quindi che questi studenti non riescano ad immaginare correttamente la co-variazione tra la quantità del volume di acqua e l'altezza dell'acqua nella bottiglia. Gli studenti che forniscono la risposta corretta (un graco che ha inizialmente concavità rivol-ta verso il basso, presenrivol-ta un punto di esso, una concavità rivolrivol-ta verso l'alto e inne una porzione lineare) sono, invece, capaci di spiegare come i cambiamenti nella quantità di acqua si legano ai cambiamenti nell'altezza dell'acqua.

Sempre in riferimento alle dicoltà legate ad un approccio covariazionale, Carl-son, Smith & Persson (2003), mostrano le notevoli dicoltà riscontrate da studenti al primo anno di università, in facoltà scientiche, quando viene loro richiesto un graco approssimato della funzione A(P ) che esprime l'area sottostante al graco di una funzione data, in funzione del punto variabile P (si veda la gura 1.5).

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Figura 1.5: Rappresentazione graca della funzione A(P ) come area sottesa al graco di una funzione.

3 AGD per funzioni

Come accennato all'inizio del capitolo, la conquista di una denizione formale di funzione, espressa in termini insiemistici come insieme di coppie ordinate, risale all'inizio del 1900 e si deve al gruppo di matematici che ha scritto sotto lo pseu-donimo di Nicolas Bourbaki:

Una funzione f è una relazione (un insieme di coppie ordinate di elementi pre-si da due inpre-siemi) con la proprietà che per ogni elemento a ∈ dom(f), epre-siste un unico b ∈ codom(f) tale che (a; b) ∈ f (solitamente indicato come f(a) = b).

Osserviamo che questa denizione risulta totalmente indipendente da ogni og-getto reale da modellizzare e da ogni indicazione temporale; ha perso ogni riferi-mento con la primitiva e dinamica intuizione legata a tempo e moto che si ritrova, per esempio, in Newton. Molti ricercatori hanno quindi ipotizzato che le di-coltà che gli studenti incontrano con la co-variazione di due variabili di cui una dipende dall'altra, possano essere legate alla dicoltà di percepire la variabilità, l'aspetto dinamico-processuale di una funzione. In questo senso né la denizione di Bourbaki, insegnata nelle scuole, né i libri di testo sembrano sucientemente ecaci: le immagini stampate, per ovvie limitazioni, non permettono di percepire la variabilità delle variabili di una funzione, variabilità che possono solo provare a suggerire. Come osserva Ng (2017), il dinamismo di una funzione, suggerito nei libri di testo, è nei fatti un dinamismo discreto, ottenuto attraverso descrizioni ver-bali del graco e/o immagini in sequenza, potendo quindi solo suggerire a parole il movimento continuo che porterebbe da una congurazione all'altra di quelle (in numero nito) rappresentate.

A titolo esemplicativo, consideriamo il seguente estratto dal libro di testo "Bergamini, Trifone, Barozzi: MATEMATICA.VERDE - Volume 4, Zanichelli 2013, pag. 948", con cui si introduce la derivata di una funzione; riportiamo sia

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l'immagine, in gura 1.6, sia la descrizione che la accompagna.

Figura 1.6: Figura ripresa dal libro di testo pe Scuole Secondarie Superiori "Matematica Verde" di Bergamini et al.

"Tracciamo la retta AB, secante il graco, per diversi valori di h. Disegniamo inoltre la retta t tangente al graco in A. Attribuendo a h valori sempre più piccoli, il punto B si avvicina sempre di più al punto A. Quando h → 0, il punto B tende a sovrapporsi al punto A e la retta AB tende a diventare la retta tangente alla curva in A. Il coeciente angolare della secante AB, ossia il rapporto incrementale, tende al coeciente angolare della tangente, che viene chiamato derivata della funzione nel punto c."

Osserviamo che la descrizione verbale intende evocare, attraverso l'uso di verbi che rimandano al movimento (tendere, sovrapporsi, diventare), proprietà dinami-che continue. La percezione della variabilità continua nel tempo della costruzione richiede, perciò, di essere immaginata dal lettore ed è dicilmente comunicabile.

Nell'ultimo ventennio molti ricercatori si sono quindi rivolti al mondo tecnologi-co, per la ricerca di nuovi mezzi di rappresentazione e, più in generale, di supporto all'apprendimento del concetto di funzione e dell'analisi matematica nella scuola secondaria superiore. Alcuni di questi ricercatori hanno individuato, negli ambien-ti di geometria dinamica e nella possibilità di realizzarvi le dinamici interatambien-tivi, interessanti potenzialità (Goldberg et al, 1992; Falcade, Mariotti e Laborde, 2003, 2004; Laborde e Mariotti, 2001).

All'interno degli Ambienti di Geometria Dinamica (AGD) è possibile produrre disegni e costruzioni geometriche, e trasformarli attraverso la modalità di "tra-scinamento". Tale modalità produce una successione di immagini, che permette di percepire un movimento "continuo", un dinamismo. Ciò che caratterizza la funzione trascinamento negli AGD è il rapporto che lega le diverse gure della successione, che determina la presenza di particolari invarianti; gli invarianti sono

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determinati dalle relazioni geometriche denite per eettuare la costruzione e dal rapporto di dipendenza logico-geometrica che sussiste tra le relazioni denite e quelle che ne sono conseguenza all'interno della Geometria Euclidea.

In un AGD si posso attuare due possibili tipologie di movimento: diretto, quando l'utente può muovere direttamente, appunto, l'oggetto, trascinandolo, e indiretto, quando l'oggetto si muove come conseguenza del trascinamento diretto di un altro elemento della costruzione. La distinzione tra il trascinamento diretto e quello indiretto corrisponde quindi ad una relazione di dipendenza funzionale tra gli elementi della costruzione geometrica rappresentata.

Le modalità di trascinamento tipiche di un AGD, fanno quindi sì che lavorare in tali ambienti signichi lavorare in un "prospettiva funzionale": infatti, solo la cor-retta individuazione dei rapporti di dipendenza (funzionali) che intercorrono tra gli elementi variabili di una gura permette l'interpretazione delle immagini costruite e la predizione del loro comportamento durante il trascinamento. La variabilità e la dipendenza funzionale tra elementi variabili della gura, sono le caratteristiche principali di un AGD, in cui molti ricercatori hanno intravisto un possibile contri-buto didattico per la comprensione del concetto di funzione, soprattutto nel suo aspetto processuale e co-variazionale, l'aspetto dinamico appunto.

Laborde et Mariotti (2001), arrivano quindi a formulare la seguente ipotesi di-dattica:

"Un ambiente di geometrica dinamica ore un contesto signicativo per l'e-laborazione dell'idea di funzione come co-variazione: da un lato la possibilità di sperimentare direttamente il movimento fornisce la base per la costruzione di una metafora fondante della variazione, dall'altro la pratica delle costruzioni ore un contesto signicativo all'idea di dipendenza funzionale."

Le due ricercatrici osservano inoltre che il comando Traccia (che permette di disegnare punto per punto le posizioni assunte da un punto in movimento), abbina-to al trascinamenabbina-to, può esprimere il doppio signicaabbina-to di traietabbina-toria, sia percepiabbina-to globalmente, nella sua natura statica di curva, sia nella sua natura dinamica, come "una sequenza ordinata di posizioni di un punto in movimento", e può assumere per questo un ruolo centrale nella concettualizzazione dell'idea di graco di una funzione.

Laborde (1999) ha infatti progettato un esperimento didattico con l'obiettivo di introdurre gli studenti al concetto di graco di funzione come traiettoria percorsa da un punto P (la variabile dipendente) che si muove in conseguenza di un punto variabile M posizionato su l'asse delle ascisse (la variabile indipendente).

Sempre ponendosi come obiettivo l'introduzione al graco cartesiano di fun-zione, Goldberg et al. (1992) hanno utilizzato l'ambiente AGD per proporre agli studenti un'insolita rappresentazione di funzione come due punti mobili (le due variabili) su rette parallele e orizzontali.

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Ancora Laborde, assieme a Mariotti e Falcade (2004) mostra come l'idea di traiettoria sviluppata attraverso una specica sequenza di attività, svolta nell'am-biente AGD Cabri e centrata sui comandi di traccia e trascinamento, possa con-tribuire in modo sostanziale alla costruzione del signicato di funzione come a una corrispondenza punto per punto. Esse mostrano anche le dicoltà concettuali col-legate a una costruzione completa di questo signicato.

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Capitolo 2

Quadro teorico di riferimento

La teoria cui faremo riferimento in questa tesi, è stata sviluppata da Bartolini-Bussi e Mariotti (2008, 2009) elaborando, nell'ambito della ricerca in didattica della matematica, il costrutto di mediazione semiotica introdotto da Vygotskij. Bartolini-Bussi e Mariotti ipotizzano che un artefatto possa svolgere il ruolo di me-diatore semiotico nell'attività di insegnamento-apprendimento della matematica e che sia possibile un processo di costruzione di signicati matematici consistenti che trascendano quelli relativi agli specici compiti risolti dagli studenti avvalendosi di tale artefatto.

1 Il contributo di Vygotskij

La prospettiva Vygotskiana interpreta lo sviluppo cognitivo umano come eet-to dell'interazione sociale e culturale; il processo di interiorizzazione, denieet-to da Vygotskij (1978, p. 56) come la ricostruzione interna di un'operazione esterna, descrive il processo di costruzione della conoscenza individuale come generato da esperienze sociali condivise e quindi suppone una forte dipendenza dei processi interni da quelli esterni. L'aspetto esperienziale riconosciuto nel processo cogni-tivo conduce Vygotskij a postulare il ruolo cruciale dell'uso degli strumenti come veicolo di conoscenza, in quanto permettono al soggetto di agire sul mondo esterno e talvolta, di realizzare obiettivi altrimenti inaccessibili. Come conseguenza della sua natura sociale poi, il processo esterno si fonda sulla comunicazione, cioè sulla produzione ed interpretazione di segni (in primis il linguaggio naturale ma non solo, sono individuati come segni anche i gesti ed il sistema semiotico matema-tico di cui fanno parte il linguaggio algebrico simbolico ed i graci ad esempio). Per Vygotskij, il processo di interiorizzazione è quindi diretto da processi semiotici. In riferimento all'apprendimento scolastico, di nostro interesse in questa tesi, Vygotskij individua in particolare due importanti funzioni cognitive nell'uso dei segni durante la soluzione di un compito: lo studente produce segni da un lato

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proprio per realizzare il compito, dall'altro per comunicare con i compagni che collaborano a tale compito.

Questi segni generati durante il processo di interiorizzazione sono considerati da Vygotskij come costrutti mentali che supportano le attività cognitive: permetto-no di dirigere, controllare, interpretare, ricordare e condividere le azioni compiute magari per mezzo di un artefatto; Vygotskij li assimila a degli strumenti rivolti verso l'interno e per questo li denisce strumenti psicologici. Gli strumenti tecnici (secondo la terminologia Vygotskiana) supportano invece le attività pratiche uma-ne e permettono di agire sul mondo esterno, eventualmente manipolandolo; sono quindi strumenti rivolti verso l'esterno.

La teoria della mediazione semiotica introdotta da Vygotskij, ipotizza uno stret-to legame tra queste due distinte classi di strumenti, in quanstret-to entrambe prodotstret-to della cultura umana e soprattutto per la funzione di mediatori che li accomuna durante la soluzione di un compito pur nel loro diverso orientamento, l'uno ver-so l'esterno, l'altro verver-so l'interno. Per questo, Vygotskij attribuisce a strumenti tecnici e psicologici un ruolo fondamentale all'interno del processo di sviluppo co-gnitivo umano.

L'invenzione e l'utilizzo dei segni come mezzi ausiliari per la risoluzione di un problema dato (ricordare, confrontare qualcosa, scegliere e così via), sono analoghe all'invenzione e all'utilizzo di strumenti sotto il prolo psicologico. I segni hanno funzione di strumento durante l'attività psicologica, analogamente al ruolo di un utensile nel lavoro. (Vygotskij, 1978, p.52)

Si possono citare alcuni esempi di strumenti psicologici e dei loro complessi sistemi, come segue: il linguaggio, vari sistemi di conteggio, tecniche mnemoni-che, sistemi simbolici algebrici, opere d'arte, scrittura, schemi, diagrammi, mappe, disegni meccanici e tutti i tipi di segni convenzionali, ecc. (Vygotskij, 1981, p. 137) I segni prodotti nei processi di interiorizzazione sono quindi dei mezzi per sup-portare e sviluppare le attività mentali, analogamente agli artefatti rispetto alle attività pratiche. Non stupisce allora che Vygotskij annoveri anche i segni ma-tematici tra gli strumenti psicologici: come rappresentazioni esterne di concetti mentali astratti, i segni matematici svolgono la funzione strumentale di rendere più "tangibili" questi stessi concetti.

Il processo di interiorizzazione determina lo sviluppo cognitivo nei limiti di quella che Vygotskij denisce "zona di sviluppo prossimale" (o "area di sviluppo potenziale"), ad indicare la distanza tra il livello di sviluppo attuale ed il livello di sviluppo potenziale del soggetto, che può essere raggiunto attraverso l'intera-zione sociale con individui più "esperti". Il processo di interiorizzal'intera-zione è ritenuto correttamente concluso quando tale distanza risulta colmata rispetto al compito specico, ovvero quando il soggetto diventa capace di eseguire autonomamente il

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compito che prima non sapeva eseguire; in tal caso, la "zona di sviluppo attuale" del soggetto si amplia mentre la sua zona di sviluppo prossimale si sposta più avanti.

Bartolini Bussi & Mariotti (2009) osservano che "l'asimmetria della denizione di zona di sviluppo prossimale ben si adatta, nel contesto scolastico, con l'intrinseca asimmetria che si ritrova nella relazione tra insegnante e alunni relativamente alla conoscenza". L'insegnante si trova infatti a rivestire il ruolo di esperto, portavoce di una specica cultura, e si pone l'obiettivo sistematico di spostare sempre più avanti la zona di sviluppo prossimale dei suoi studenti.

2 Distinzione artefatto-strumento

Fino ad ora, le parole "artefatto" e "strumento" sono state utilizzate come termini generici per indicare un prodotto dell'uomo, sia esso materiale, virtuale, linguistico o di altra natura; la discussione e la coerenza con la letteratura richiedono tuttavia di introdurre una distinzione tra i due termini che ci permetta di utilizzarli da qui in avanti in senso tecnico.

Seguendo Rabardel (1995) usiamo il termine "artefatto" per identicare l'og-getto in sé, un prodotto degli esseri umani; indichiamo invece come "strumento" un'entità mista che tiene conto sia delle caratteristiche dell'artefatto (inteso qui nella nuova accezione tecnica indicante l'oggetto in sé), sia della componente sog-gettiva (schemi d'uso) determinata dall'uso funzionale che il soggetto ne attua in rapporto all'artefatto stesso e alle situazioni. Gli schemi d'uso, cioè le diverse modalità d'utilizzo che il soggetto mette in atto per ottenere un particolare eet-to/prodotto tramite l'artefatto, sono elaborati progressivamente durante l'azione determinata da un compito specico; così lo strumento è la costruzione di un in-dividuo, ha un carattere psicologico ed è strettamente collegata al contesto in cui ha origine e utilizzo (Bartolini Bussi & Mariotti, 2009). In particolare uno stesso artefatto può corrispondere a strumenti diversi a seconda del soggetto che lo usa e può corrispondere ad uno strumento diverso da quello previsto dal progettista; questo aspetto deve essere attentamente considerato ogni qual volta si intenda sfruttare didatticamente un artefatto all'interno di un'azione didattica pianicata, soprattutto in caso di artefatti tecnologici complessi in cui le modalità d'uso "pre-viste" possono non essere immediatamente identicabili dallo studente.

Rabardel teorizza quindi l'impatto che l'uso degli strumenti può avere sull'at-tività cognitiva: l'uso di uno strumento non è mai neutro (Rabardel e Samurçay, 2001), al contrario esso conduce ad una riorganizzazione delle strutture cognitive attraverso la costruzione di schemi d'uso personali.

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L'elaborazione degli schemi d'uso dipende fortemente dalla complessa relazione che lega un artefatto al sapere che ne ha generato la realizzazione e, ovviamente, dalla consapevolezza che l'utente ha di questa relazione. Il rapporto tra artefatto e sapere è complesso, dibattuto e dicilmente schematizzabile.

In molti casi, la progettazione e la costruzione di un artefatto avviene sulla base di un sapere consolidato, che guida la realizzazione dell'artefatto; in questo senso, si può dire che l'artefatto incorpora tale sapere e permette all'utente di usufruirne, anche nel caso in cui l'utente non possiede questo sapere. Quindi un artefatto può incorporare un sapere, una conoscenza, ma questo sapere resta in generale nascosto all'utente che se ne serve soltanto.

In alcuni casi, tuttavia, è possibile realizzare artefatti ben congeniati in modo che, dal loro uso in relazione a compiti specici, possa emergere nell'utilizzato-re parte del sapenell'utilizzato-re incorporato nell'artefatto. Eventualmente, il sapenell'utilizzato-re evocato nell'utente dall'uso dell'artefatto si può anche distaccare dall'oggetto in sé, diven-tandone indipendente.

Quest'ultimo aspetto è quello che maggiormente ci interessa in questa tesi: analizzare come l'utilizzo di artefatti, in relazione a compiti ideati appositamen-te, possa favorire lo sviluppo di un sapere matematico che trascenda il compito specico risolto attraverso l'artefatto; il quadro teorico cui faremo riferimento in tale analisi è quello oerto dalla teoria di mediazione semiotica che andiamo a presentare nella prossima sezione.

3 Teoria della Mediazione Semiotica

Il termine mediazione, molto presente nell'attuale letteratura sull'apprendimento matematico riguardante le nuove tecnologie informatiche, è usato per indicare la potenzialità di incoraggiare la relazione tra studente e matematica, soprattutto in riferimento allo svolgimento di un compito attraverso un dato artefatto. Hasan (2005) aerma che

il sostantivo mediazione deriva dal verbo mediare, che si riferisce ad un pro-cesso con una complessa struttura semantica che include i seguenti partecipanti e circostanze che sono potenzialmente rilevanti in questo processo:

1) qualcuno che media, il mediatore;

2) qualcosa che viene mediato, ad esempio il contenuto rilasciato dalla media-zione;

3) qualcuno/qualcosa soggetto alla mediazione, il ricevente a cui la mediazione apporta qualche dierenza;

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a) i mezzi della mediazione, la modalità;

b) il luogo, il sito in cui la mediazione può avvenire.

Queste complesse relazioni semantiche non sono evidenti in ogni uso gramma-ticale del verbo, ma sommerse sotto la supercie e possono essere riportate alla luce tramite associazioni paradigmatiche, per esempio le loro relazioni sistemiche. (Hasan, 2002)

Il modello di Hasan si inserisce perfettamente nel quadro teorico Vygotskiano di mediazione semiotica per il quale, come abbiamo visto, durante lo svolgimento di un compito attraverso l'uso sociale di un artefatto (la circostanza della mediazione secondo Hasan) da parte di mediatore e ricevente/i, si producono segni condivisi. Bartolini Bussi & Mariotti (2009), riferendosi al campo educativo della mate-matica, osservano che tali segni possono essere da una parte legati allo svolgimen-to del compisvolgimen-to specico per mezzo dell'artefatsvolgimen-to utilizzasvolgimen-to, dall'altra essi possono essere messi in relazione al contenuto matematico che si intende mediare. In parti-colare, le due studiose riscontrano un'eettiva relazione tra determinati artefatti e determinati segni che nascono direttamente dall'utilizzo dei primi; in questo senso, il legame tra artefatti e segni va oltre la comune funzione di mediatori per l'at-tività umana postulata da Vygotskij: l'artefatto diventa piuttosto un mediatore semiotico (Bartolini Bussi & Mariotti, 2009).

Durante l'elaborazione dei propri schemi d'uso per la risoluzione del compito assegnato (secondo la denizione di strumento di Rabardel), si genera un'intensa attività semiotica che porta lo studente alla produzione di segni di vario tipo (gestuali, verbali, graci . . . ); tali segni sono fortemente legati al contesto, in particolare alle operazioni svolte con l'artefatto: Bartolini Bussi & Mariotti (2008) li deniscono per questo "segni situati". I segni situati costituiscono l'espressione della relazione che intercorre tra la consegna specica e l'artefatto con cui si chiede di risolverla.

Allo stesso tempo, come abbiamo visto nella scorsa sezione, un artefatto può essere messo in relazione ad uno specico sapere matematico che tale artefatto incorpora e può far emergere. Questa relazione tra artefatto e sapere può esse-re espesse-ressa attraverso un'altra classe di segni che le studiose denominano "segni matematici" perché determinati, riconosciuti e condivisi dalla cultura matematica. Il doppio legame semiotico tra artefatto, compito e conoscenza che si viene a creare durante lo svolgimento di un'attività, e che porta alla produzione di due sistemi paralleli di segni, è denito da Bartolini Bussi & Mariotti (2008) polisemia dell'artefatto e all'interno del quadro teorico di mediazione semiotica costituisce il potenziale didattico dell'artefatto.

La relazione tra questi due sistemi paralleli di segni correlati ad un artefatto (che le autrici schematizzano come in gura 2.1) non è né spontanea né facilmente riconoscibile se non agli occhi di un esperto, che conosca la cultura matematica e sia

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Figura 2.1: Polisemia dell'artefatto secondo il modello della mediazione semiotica.

perciò in grado di intravedere il legame sussistente tra le operazioni compiute con l'artefatto -e quindi i segni situati da esse sviluppatisi-, e la conoscenza matematica soggiacente. La costruzione di questa relazione, che si traduce nell'evoluzione dei segni che esprimono la relazione tra l'artefatto e i compiti in segni che esprimono la relazione tra artefatto e sapere, diventa quindi un cruciale obiettivo didattico per l'insegnante, da perseguire socialmente attraverso la discussione matematica1.

Così un artefatto viene denito strumento di mediazione semiotica se usato intenzionalmente dall'insegnante per mediare un contenuto matematico attraverso un intervento didattico pianicato; in tal caso, l'insegnante viene ad assumere il ruolo di mediatore culturale (Bartolini Bussi & Mariotti, 2008).

3.1 Potenziale semiotico di un artefatto

Bartolini Bussi & Mariotti (2009) deniscono il potenziale semiotico di un arte-fatto come la duplice relazione che lo lega da una parte con i signicati personali degli studenti, così come emergono nelle attività di classe, e dall'altra parte con i signicati matematici evocati (agli occhi dell'esperto) dall'uso dell'artefatto. Que-sta duplice relazione costituisce il riesso del legame che l'artefatto realizza con la consegna da svolgere e con il sapere matematico, che abbiamo discusso nella precedente sezione.

Per realizzare a pieno il potenziale semiotico di un artefatto occorre quindi con-centrarsi sul complesso sistema di relazioni consegna-artefatto-sapere matematico (che possiamo indicare, con riferimento alla gura 2.2, come il triangolo del

poten-1Il termine discussione matematica è usato qui coerentemente con il signicato col quale è

introdotto da Bartolini Bussi e Boni (1995), cioè come "polifonia di voci articolate su un oggetto matematico che è uno degli scopi dell'attività di insegnamento/apprendimento" (p. 107).

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Figura 2.2: Triangolo del potenziale semiotico.

ziale semiotico) e condurre una attenta analisi a priori di possibili schemi d'uso dell'artefatto stesso rispetto a consegne speciche, in modo da individuare quei signicati situati che emergono dallo svolgimento del compito con l'artefatto che sono passabili di evolversi ed acquisire, anche per gli studenti, lo status di signi-cati matematici (Bartolini Bussi & Mariotti, 2008). Una piena consapevolezza del potenziale semiotico degli artefatti da presentare in classe, fornisce all'insegnante una guida per gestire ecacemente la transizione da signicati situati a signica-ti matemasignica-tici e per selezionare, o eventualmente riadattare, artefatsignica-ti e consegne associate in base al contesto della classe di destinazione.

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Capitolo 3

Obiettivi e metodologia

Sfruttando gli strumenti di analisi fornitici dalla Teoria di Mediazione Semiotica, in questa tesi ci proponiamo di analizzare alcuni le dinamici interattivi realizza-ti con il software Geogebra, evidenziandone il potenziale semiorealizza-tico e mostrando come essi possano mediare negli studenti aspetti legati al concetto di funzione che generalmente risultano più problematici per gli studenti, come ad esempio di-scutere la co-variazione tra le variabili dipendente ed indipendente o riconoscere come funzioni la funzione derivata e quella integrale. In particolare, presenteremo e confronteremo due possibili rappresentazioni grache di funzione, l'una su assi paralleli e l'altra, standard, su assi perpendicolari; mostreremo come la prima rie-sca a mediare più ecacemente l'aspetto co-variazionale di una funzione rispetto alla rappresentazione su assi perpendicolari, per quanto anch'essa dinamica ed in-terattiva.

Molti dei le che andremo a presentare sono stati ripresi dal libro "Risorse BES per l'insegnante MultiMath Secondo Biennio e Quinto Anno"1 ed opportunamente

modicati in modo più o meno consistente a seconda dei casi. Alcune di queste modiche sono state eettuate a fronte dei risultati ottenuti da una prima speri-mentazione che ha riguardato una parte di tali le e che da un lato ha permesso di confermare molte delle potenzialità attese negli artefatti-le, e dall'altro lato ha evidenziato possibili margini di miglioramento che abbiamo cercato di perseguire con le modiche apportate.2 Nuovi margini di miglioramento potranno emergere

da successive sperimentazioni che riguarderanno i le che stiamo per analizzare, in un continuo e necessario processo di rinitura.

1Baccaglini-Frank, A., & Poli, F. (2015). Risorse BES per l'insegnante MultiMath Secondo

Biennio e Quinto Anno. Novara: De Agostini Scuola SpA.

2La sperimentazione si è svolta in una classe terza di una Scuola Secondaria Superiore di

Prato; per i dettagli rimandiamo al lavoro di tesi di C. Rutili disponibile all'indirizzo web: le:///C:/Users/Utente/Downloads/Tesi_Rutili.pdf

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1 Criteri di Analisi

Nell'analisi a priori dei le dinamici interattivi che ci apprestiamo a condurre, seguiremo il quadro teorico di mediazione semiotica introdotto nel capitolo pre-cedente, quindi per ciascun le andremo ad esplicitare separatamente le seguenti voci: consegna, artefatto, sapere matematico di riferimento, possibile approccio alla consegna e potenziale semiotico dell'artefatto.

La consegna, che costituisce uno dei vertici del Triangolo del Potenziale Semio-tico, rappresenta lo scopo/obiettivo con il quale lo studente si approccia all'arte-fatto. Come osservato nello scorso capitolo, la modalità di utilizzo di un artefatto è strettamente legata allo scopo che l'utente intende perseguire attraverso di esso; la consegna inuenza allora l'uso che lo studente attua dell'artefatto, l'elaborazione dei suoi schemi d'uso, la produzione di segni situati associati e quindi, in deni-tiva, il sapere che è possibile evocare attraverso l'artefatto. Consegne dierenti possono condurre a dierenti usi dell'artefatto da parte dello studente, mettendo in luce alcuni aspetti dell'artefatto piuttosto che altri. Questo è tanto più vero per artefatti complessi come i le dinamici generati in ambienti AGD che andremo ad analizzare. In questo senso la consegna rappresenta una parte imprescindibile e fondamentale dell'analisi del Potenziale Semiotico di un artefatto.

Alla voce artefatto descriveremo l'artefatto in esame, che nel nostro caso sarà un le dinamico interattivo costruito con il software Geogebra. Illustreremo le componenti della costruzione geometrica realizzata nel le, esplicitando quali di queste componenti possono essere mosse, selezionandole con il mouse e trascinan-dole lungo lo schermo. In caso di componente mobile descriveremo inoltre il tipo di moto che la caratterizza: moto diretto o subordinato al moto di un altro oggetto della costruzione, moto vincolato o libero. Si richiede qui al lettore di immaginare il dinamismo insito nell'artefatto, che su carta possiamo soltanto tentare di descri-vere a parole, anziché percepirlo visivamente.

All'interno della sezione sapere matematico di riferimento andremo ad esplici-tare il sapere matematico che vogliamo evocare attraverso l'uso dell'artefatto in relazione alla consegna assegnata. Osserviamo che il sapere matematico di rife-rimento non coincide necessariamente con "tutto" il sapere matematico che può essere evocato dall'uso dell'artefatto da parte dello studente: come già osservato, consegne diverse possono mettere in luce aspetti diversi dell'artefatto e quindi far emergere saperi diversi collegati al suo uso. Queste eventuali parti del sapere ma-tematico che possono essere evocate dall'utilizzo dell'artefatto magari in relazione a consegne diverse saranno invece discusse all'interno della sezione del Potenziale Semiotico dell'artefatto, come vedremo.

La voce Possibile Approccio alla Consegna raccoglierà possibili modalità di utilizzo dell'artefatto che lo studente può attuare per risolvere il compito

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assegna-to attraverso di esso. Ovviamente, la componente soggettiva che caratterizza gli schemi d'uso e più in generale il modo in cui uno studente usa un artefatto in relazione ad una consegna specica, rende impossibile prevedere tutti i possibili utilizzi dell'artefatto da parte degli studenti. Questo si traduce in un'inevitabile dose di imprevedibilità dei segni situati che saranno prodotti dagli studenti du-rante lo svolgimento del compito, imprevedibilità che l'insegnante è chiamato a fronteggiare e gestire in loco.

Inne l'ultima voce che considereremo nella nostra analisi a priori e che costi-tuisce il nucleo di questa tesi, sarà quella del Potenziale Semiotico dell'Artefatto. Seguendo la denizione di potenziale semiotico introdotta da Bartolini Bussi & Mariotti (2008, 2009), andremo ad evidenziare quei signicati situati che hanno il potenziale di di evolversi in signicati matematici inerenti al sapere che intendia-mo mediare attraverso l'uso dell'artefatto in relazione alla consegna assegnata (il sapere matematico di riferimento).

Come già anticipato, considereremo in questa sezione anche possibili signicati situati che rimandano a signicati matematici non direttamente legati al sapere matematico di riferimento.

Per chiarezza d'esposizione, possiamo considerare il seguente esempio (che è anche una sorta di anticipazione di quanto vedremo): nel prossimo capitolo intro-durremo la rappresentazione graca di una funzione su assi paralleli per mediare aspetti "base" legati al concetto di funzione come la dipendenza funzionale e la de-terminazione di dominio e codominio. Tuttavia, nel le è possibile osservare che, in corrispondenza di un valore di massimo o minimo, il modulo della velocità del pun-to f(x) diminuisce progressivamente no ad annullarsi mano a mano che il punpun-to f(x)si avvicina a tale valore. Questo signicato situato che può essere percepito visivamente dallo studente, nonostante la consegna non spinga necessariamente in tale direzione, può essere posto in relazione al concetto di punto stazionario per una funzione derivabile che è estraneo al sapere matematico di riferimento (cioè il sapere che si intende mediare attraverso artefatto e consegna).

Anche questi signicati situati non direttamente collegati al sapere di riferi-mento fanno parte del potenziale semiotico dell'artefatto; l'insegnante potrà suc-cessivamente sfruttarli per mediare il sapere ad essi collegato proponendo in classe lo stesso artefatto ma modicando la consegna associata.

Inne, osserviamo che quelli che andremo a presentare non sono le tratti da una sequenza didattica progettata in modo strutturato per la mediazione di un certo sapere bensì singoli artefatti, ognuno dei quali progettato per veicolare potenzialmente lo studente verso determinate conoscenze matematiche. In partico-lare, ciascun le dinamico proposto rappresenta una funzione, quindi dall'utilizzo del le (legato alla consegna specica) potrebbero emergere anche signicati si-tuati legati magari alle particolari caratteristiche della funzione che si è scelto di rappresentare e non validi in generale. Questa criticità è siologica, considerato che conduciamo l'analisi di volta in volta su di un singolo esempio: per quanto

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oculata possa essere la scelta della funzione è un rischio da mettere in conto e che didatticamente si può arontare fornendo molti esempi diversi durante le attivi-tà proposte nel percorso educativo dello studente. Tuttavia, questo aspetto non pregiudica l'ecacia dell'artefatto come mediatore semiotico: al momento del suo uso in classe all'interno di una azione didattica pianicata, il singolo le-artefatto è da pensare come parte di una sequenza didattica; la pluralità di esempi su cui lo studente potrà allora rapportarsi, unitamente ad una appropriata discussione ma-tematica (Bartolini, Bussi & Boni, 1995) in classe, permetteranno il superamento della criticità. Anche questi aspetti degli artefatti saranno discussi all'interno della voce del Potenziale Semiotico.

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Capitolo 4

Nozioni base legate al concetto di

funzione

Dopo aver descritto le modalità con cui saranno svolte le analisi, riportiamo in questo capitolo cinque le dinamici interattivi con relative analisi a priori. I se-guenti le intendono mediare nozioni base legate al concetto di funzione, quali dipendenza tra variabili, dominio, insieme delle immagini, lettura di un graco di funzione. I primi due le forniscono una rappresentazione graca di una funzione su assi paralleli, mentre nei restanti le torniamo alla rappresentazione standard di graci nel piano cartesiano.

1 File 1

1.1 Consegna

Il le fornisce la rappresentazione su assi paralleli di una funzione f(x). Attraverso il le, prova a rispondere alle seguenti domande:

ˆ che cosa puoi muovere nella rappresentazione? In che modo? ˆ Descrivi il comportamento di f(x) al variare di x.

ˆ Quali valori può assumere f(x)?

ˆ Si può ottenere f(x) = 16? In che modo?

1.2 Artefatto

Il le dinamico fornisce una rappresentazione della funzione f(x) = x2− 9su assi

paralleli. Nel le sono rappresentate due rette parallele orizzontali, di cui quella situata più in basso è numerata ed ordinata secondo l'ordinamento standard dei

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numeri reali. Su ciascuna retta è costruito un piccolo triangolo blu; il triangolo sulla retta situata più in basso, etichettato come x, è mobile e può essere trasci-nato liberamente lungo tutta la retta; l'altro triangolo, etichettato come f(x) ed appartenente alla retta situata più in alto, non è mobile ma si sposta al variare di x secondo la legge f(x) = x2− 9.

1.3 Sapere matematico da mediare

L'artefatto, in relazione alla consegna riportata, intende mediare i concetti di varia-bile dipendente ed indipendente di una funzione f(x): la variavaria-bile indipendente, argomento della funzione, può assumere valori arbitrari (purché appartenenti al dominio della funzione); la variabile dipendente rappresenta il valore assunto dalla funzione in corrispondenza di un valore x assegnato alla variabile indipendente ed infatti dipende da tale valore.

1.4 Possibile approccio alla consegna

Dall'interazione con il le GeoGebra, lo studente può notare per esperienza di-retta che l'unico elemento mobile della rappresentazione è il triangolo blu x, che può essere agganciato con il mouse e trascinato liberamente lungo la retta su cui giace. Muovendo x, lo studente può osservare il simultaneo spostamento del trian-golo f(x) lungo la retta cui appartiene. Al contrario di x, non è possibile agire direttamente per trascinamento su f(x), ma solo indirettamente, sfruttando la di-pendenza del suo moto da x. Concentrando la sua attenzione su tale didi-pendenza, quindi sulla variazione di f(x) conseguente al variare di x (come richiesto alla se-conda domanda della consegna), lo studente può notare che i due triangoli non si muovono nello stesso verso né alla stessa velocità lungo tutto il dominio. Nella fattispecie, x e f(x) si muovono concordi in verso ntanto che x si trova a destra di zero, mentre si muovono in verso opposto quando x si trova a sinistra di 0: in corrispondenza di x uguale a 0 infatti il triangolo f(x) inverte il verso di percor-renza. Osserviamo che le considerazioni appena espresse riguardo al verso relativo

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di percorrenza di x ed f(x), prescindono dal verso in cui lo studente trascina x, sia esso il verso convenzionale delle x crescenti o il verso opposto.

Mantenendo costante la velocità di trascinamento del triangolo x, lo studente può inoltre notare che, a mano a mano che il triangolo x si avvicina a 0 (indif-ferentemente da sinistra o da destra), il triangolo f(x) si muove da destra verso sinistra, rallentando progressivamente no a fermarsi in corrispondenza del valo-re −9 (ottenuto per x uguale a 0), quindi torna indietro, invertendo il suo verso di percorrenza, ed acquista progressivamente velocità no a "schizzar fuori" dalla schermata del le.

Dalla percezione visiva del triangolo f(x) che si avvicina da destra al valore −9, quindi torna indietro e se ne allontana sempre più, lo studente può inferire che f(x) non può assumere valori minori di −9 e che l'insieme delle immagini della funzione coincide con l'intervallo [−9; +∞[. È inoltre possibile che lo studente riconosca in −9 il valore minimo di f(x).

Poiché f(x) non può essere trascinato direttamente, per determinare una con-troimmagine di 16, lo studente può agire soltanto sul triangolo x, trascinandolo in modo da determinare una possibile posizione per x (ovvero un possibile valore) che porti f(x) a coincidere con 16.

1.5 Potenziale semiotico dell'artefatto

ˆ La scelta di avere, come unico elemento mobile della costruzione, il triangolo x, permette allo studente di sperimentare visivamente la dipendenza di f(x) dalla variabile x: il moto di f(x) è subordinato e dipendente dal moto di x, che, invece, può essere mosso in modo diretto. Quindi il le sfrutta una dipendenza motoria per mediare una dipendenza funzionale.

ˆ In questo le e nei successivi che andremo ad analizzare, adottiamo la conven-zione di rappresentare variabili e parametri reali attraverso piccoli triangoli, mentre per i punti in R2 seguiamo la rappresentazione standard attraverso

piccoli cerchi. Con questa distinzione intendiamo far emergere la dierenza tra gli elementi della costruzione che rappresentano numeri e gli elementi che rappresentano punti del piano, individuati da due coordinate numeriche, e mediare il signicato di graco di una funzione da R in R nel piano car-tesiano. Il graco di una funzione è qui denito, infatti, come l'insieme dei punti di R2 con coordinate (x, f(x)); le proiezioni sugli assi cartesiani di un

punto del graco, sono a loro volta punti del piano ma identicati invece nella rappresentazione come i valori numerici delle due variabili, dipenden-te e indipendendipenden-te, secondo una corrispondenza biunivoca che rimane spesso nascosta allo studente.

Coerentemente con la convenzione adottata, in questo le abbiamo rappre-sentato le due variabili reali, x ed f(x), come triangoli.

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ˆ La rappresentazione su assi paralleli permette allo studente di mettere a fuo-co diversi aspetti del movimento relativo tra le variabili, o "fuo-co-variazione", che vengono arontati formalmente solo più avanti, con l'introduzione delle prime tematiche del calculus, quali i concetti di limite e derivata. Le relative variazioni delle variabili dipendente ed indipendente, risultano meglio me-diate da una rappresentazione di funzione su assi paralleli piuttosto che su assi perpendicolari, perché, a livello di percezione visiva, risulta più semplice osservare, e di conseguenza mettere in relazione, gli spostamenti di due og-getti che si muovono simultaneamente lungo una stessa direzione (orizzontale in questo caso), anziché tenere contemporaneamente sotto controllo visivo e confrontare tra loro, i moti di due oggetti che viaggiano l'uno in direzione verticale e l'altro in direzione orizzontale. In particolare la rappresentazione su assi paralleli invita lo studente a parlare del movimento relativo delle due variabili sia in termini di velocità (osservando, ad esempio, se in un dato intervallo le due variabili si muovono alla stessa velocità o stabilendo quale si muove più velocemente), sia in termini di verso di percorrenza (osservando in quali intervalli del dominio le due variabili si muovono in verso concorde o discorde).

ˆ Trascinando x a velocità costante, lo studente può osservare che quando x si allontana dall'origine e assume valori in modulo sempre maggiori, il trian-golo f(x) varia più rapidamente di x ed acquista progressivamente velocità, no a "scappar via" dalla schermata del le. La rappresentazione su assi paralleli, favorendo la percezione del movimento relativo delle due variabili, consente quindi di introdurre lo studente ad alcune iniziali considerazioni sul comportamento qualitativo di una funzione, ad esempio in termini di tassi di variazione. A tal proposito, lo studente può essere invitato a confrontare il comportamento appena osservato con il caso di una funzione lineare, in cui f(x) si muove a velocità costante (sempre assumendo un trascinamento a velocità costante per x).

ˆ La rappresentazione di funzione su assi paralleli favorisce lo studio della monotonia della funzione. Infatti, trascinando x lungo il dominio sempre nello stesso verso, i cambiamenti nel verso di percorrenza osservabili per il triangolo f(x), corrispondono ad altrettanti cambiamenti nell'andamento monotono della funzione. Nella rappresentazione su assi paralleli, quindi, l'andamento tono della funzione f(x) è mediato dall'andamento mono-verso del triangolo f(x).

Nell'intervallo di monotonia della funzione, lo studente può notare poi due diversi comportamenti per i triangoli x e f(x): possono muoversi nello stesso verso oppure in verso opposto. Matematicamente, i due casi corrispondono, rispettivamente, ad un andamento monotono crescente e monotono decre-scente per la funzione. Lo studente può essere invitato ad osservare che, quando i triangoli x e f(x) si muovono in verso concorde, si ha che, se il

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valore di x aumenta, anche il valore di f(x) aumenta, e viceversa; invece nel caso di moti opposti in verso, se il valore di x aumenta, il valore di f(x) di-minuisce, e viceversa. Lo studente può quindi leggere nella rappresentazione gli intervalli di monotonia della funzione e distinguerli in intervalli in cui la funzione è crescente ed intervalli in cui è decrescente. Osserviamo, tuttavia, che la terminologia di "funzione crescente" e "funzione decrescente" potreb-be risultare poco intuitiva per lo studente; in eetti tale terminologia, che è stata introdotta, in ambito analitico, in riferimento alla "forma" di graci di funzioni in una variabile rappresentate sul piano cartesiano, sottintende la convenzione di una lettura del graco da destra a sinistra, secondo l'ordina-mento crescente per x, ciò che si adatta peggio alla rappresentazione su assi paralleli del le, in cui, oltretutto, la variabile x può essere arbitrariamente trascinata sia verso destra che verso sinistra. Una terminologia più intuitiva per lo studente ed altrettanto corretta, da un punto di vista matematico, può essere quella utilizzata in ambito di Teoria degli Ordini, dove si parla di funzione che preserva l'ordine (ed il verso di percorrenza) e funzione che inverte l'ordine.

La scelta di proporre nel le che stiamo analizzando una funzione che presen-ta un unico punto di minimo (assoluto) e nessun massimo, permette all'in-segnante di far emergere questi aspetti ed allo studente, di lavorare con un primo esempio esaustivo ma semplice: si hanno infatti soltanto due intervalli di monotonia per la funzione (in cui è crescente e decrescente). Inoltre, la presenza di un minimo assoluto per la funzione favorisce anche la lettura del codominio della funzione.

ˆ Abbiamo osservato che la rappresentazione di funzioni su assi paralleli, invi-ta lo studente a parlare di co-variazione tra le variabili, interpreinvi-tandola nei termini "motori" di velocità e verso di percorrenza relativi di x ed f(x). In questo senso, è possibile che lo studente trovi "interessanti" quei valori di x in corrispondenza dei quali i triangoli x e f(x) si allineano verticalmente, in-terpretandoli come punti in cui una variabile "sorpassa" l'altra, oppure in cui le due variabili si "incrociano" durante il loro moto in versi opposti. Queste due situazioni, che hanno una certa rilevanza nell'esperienza quotidiana dello studente e possono perciò essere riconosciute ed enfatizzate dallo studente, non hanno tuttavia pari rilevanza matematica, trattandosi semplicemente delle soluzioni dell'equazione f(x) = x.

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2 File 2

2.1 Consegna

Il le fornisce una rappresentazione su assi paralleli della funzione f(x). Descrivi il comportamento di f(x) al variare di x.

2.2 Artefatto

La costruzione è del tutto analoga a quella presentata nella scorsa sezione, ma la funzione proposta è ora f(x) = x + 4

x −3.

2.3 Sapere matematico da mediare

L'interazione con il le, in relazione alla consegna assegnata, intende mediare il concetto di dipendenza funzionale tra le variabili dipendente ed indipendente, ed il concetto di dominio, quale insieme dei valori di x per i quali esiste un'immagine secondo la funzione.

2.4 Possibile approccio alla consegna

Durante una prima esplorazione del le, l'attenzione dello studente può essere cat-turata dal comportamento di f(x) in un intorno di x = 3: quando x si avvicina al valore 3 da entrambe le direzioni, infatti, f(x) si allontana sempre più da x, acquistando progressivamente velocità, no a "scappar" fuori dallo schermo, per poi ricomparire dall'altra parte della retta, appena il triangolo x oltrepassa la po-sizione 3. Lo studente può notare che, quando x = 3, il triangolo f(x) sembra non comparire nella rappresentazione, quindi può congetturare che in x = 3, f(x) non esiste. Per cercarne conferma, lo studente può ricorrere allo strumento di zoom al-l'indietro, ampliando la vista graca ed osservando che f(x) non compare neppure

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nel più ampio range di valori ora visualizzati per x e f(x). Lo studente può quindi ipotizzare che il dominio della funzione comprenda tutti i numeri reali eccetto tre. Quando x viene trascinato verso destra a partire da 3, lo studente può osservare che il triangolo f(x) procede dall'estremo destro dello schermo verso x, rallentando progressivamente no a fermarsi in corrispondenza del valore 7 per x = 5, quindi torna indietro. Riteniamo che lo studente possa riconoscere in corrispondenza di x = 5 un punto di minimo per la funzione, nonostante non sia un minimo assoluto; ci aspettiamo comunque che lo studente inferisca dal cambio del verso di percorrenza di f(x), la non monotonia della funzione.

Quando invece x viene trascinato verso sinistra a partire dal valore 3, il trian-golo f(x) si muove dall'estremo sinistro dello schermo verso x, rallentando progres-sivamente no a fermarsi in corrispondenza del valore −1 (raggiunto per x = 1), quindi torna indietro. Anche in questo caso, lo studente può riconoscere in corri-spondenza di x = −1 un punto di massimo per la funzione, nonostante non sia un massimo assoluto.

Quando x si allontana sucientemente da zero, in entrambe le direzioni, lo studente può inoltre osservare che f(x) approssima x (sebbene rimanendo legger-mente più grande in modulo di x) e la velocità di f(x) diventa pressoché costante (assumendo un trascinamento a velocità costante per x).

Figura 4.1: Come appare la schermata dopo l'attivazione del comando traccia per f(x) ed il trascinamento di x lungo il dominio della funzione.

É possibile che, durante il trascinamento di x, lo studente noti che f(x) sembra non poter raggiungere mai certi valori della retta; la determinazione dell'insieme delle immagini "ad occhio" risulta più complessa rispetto all'esempio precedente della parabola: per aiutarsi nella visualizzazione dell'insieme delle immagini della funzione, lo studente può attivare la traccia per f(x) che ne evidenzierà i valori assunti durante il trascinamento di x lungo il dominio (gura 4.1).

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2.5 Potenziale semiotico dell'artefatto

ˆ Nella rappresentazione di funzione su assi paralleli, i massimi e minimi della funzione sono facilmente individuabili a partire dal graco, come punti in cui si inverte il verso di percorrenza di f(x), siano essi massimi e minimi assoluti o relativi. Entrambe le funzioni di cui abbiamo analizzato la rappresentazione graca su assi paralleli, tuttavia, sono derivabili con continuità su tutto il dominio, quindi i loro punti di massimo e minimo sono anche punti stazionari per la funzione. Questa coincidenza si traduce visivamente nell'osservare che f(x) arriva in ogni suo punto di massimo o minimo con velocità nulla. Per evitare che lo studente possa inferire una errata corrispondenza tra questi due comportamenti di f(x) in prossimità di un massimo o minimo -invertire il verso di percorrenza e arrivare nel punto a velocità nulla-, l'insegnante può richiedere allo studente di studiare funzioni che presentano essi orizzontali e funzioni con punti di massimo e minimo che sono anche punti angolosi. Nel primo caso, lo studente può osservare la presenza di punti in cui f(x) arriva con velocità nulla ma in cui non inverte il suo verso di percorrenza; nel secondo caso, lo studente può osservare invece punti in cui si inverte il verso di percorrenza di f(x) ma a cui f(x) arriva con velocità non nulla, anzi, "rimbalza" nel punto di massimo/minimo e torna indietro. Questo potenziale della rappresentazione di funzione su assi paralleli può essere quindi sfruttato anche per introdurre in classe lo studio dei massimi e minimi di una funzione, siano essi punti di derivabilità per la funzione, punti angolosi o cuspidi. ˆ Attraverso la suggestione della sparizione visiva del triangolo f(x), il le

media il concetto di dominio come insieme dei valori di x per i quali esi-ste un'immagine associata: si utilizza, quindi, l'impossibilità di "vedere" f(x) sul graco per suggerire l'impossibilità di poterlo determinare. Questa potenzialità dell'artefatto non emerge pienamente nell'esempio proposto, in quanto, in corrispondenza dell'unico valore per x escluso dal dominio, la fun-zione presenta un asintoto verticale; lo studente osserva quindi la "fuga" di f(x) dallo schermo, già prima che x raggiunga il valore escluso dal dominio. Un maggior impatto visivo per la scomparsa di f(x) quando x è trascinato fuori dal dominio della funzione, può essere ottenuto considerando funzioni che non presentano asintoti verticali e il cui dominio non sia il complementare di un insieme discreto. Un esempio tra i tanti, f(x) = √x: lo studente può osservare, in questo caso, la sparizione di punto in bianco del triangolo f(x), quando x si muove a sinistra di zero, ricavandone una suggestione visiva molto forte.

La scelta della funzione in questo le "penalizza" questo aspetto a favore di altre potenzialità semiotiche della rappresentazione su assi paralleli.

ˆ A dierenza della rappresentazione su assi perpendicolari, in cui eventuali asintoti obliqui sono dicilmente riscontrabili dal graco e si necessita perciò

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