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Crime and Detective Fiction al femminile: componenti di genere e tratti gotici nell’opera di Agatha Christie, Dorothy L. Sayers e P. D. James

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

LETTERATURE E FILOLOGIE EURO-AMERICANE

TESI DI LAUREA

Crime and Detective Fiction al femminile:

componenti di genere e tratti gotici nell’opera di

Agatha Christie, Dorothy L. Sayers e P. D. James

CANDIDATO

RELATORE

Greta Tizian

Chiar.ma Prof.ssa Laura Giovannelli

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SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I: Crime e Detective Fiction ... 7

1.1 Le sfaccettature della narrativa criminale e del ruolo del detective... 7

1.2 Storia del genere ... 10

1.3 Elementi della narrativa gotica nella letteratura criminale ... 34

CAPITOLO II: Agatha Christie: la regina del Golden Age Mystery ... 40

2.1 Biografia e opere... 40

2.2 Dead Man’s Folly ... 50

CAPITOLO III: Dorothy L. Sayers: oltre il confine del Country House Murder ... 68

3.1 Biografia e opere... 68

3.2 Clouds of Witness ... 78

CAPITOLO IV: P. D. James: nuove sfumature del genere ... 93

4.1 Biografia e opere... 93

4.2 The Black Tower ... 106

CONCLUSIONI... 122

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INTRODUZIONE

Fin dalla sua nascita, problematica sotto vari aspetti, il genere, o meglio i generi, della Crime e Detective Fiction sono spesso stati lasciati ai margini dalla critica, quasi non facessero parte o addirittura non fossero “degni” di far parte della letteratura canonica, considerati dunque una sorta di passatempo per i lettori. Solo a distanza di anni, essi hanno iniziato ad acquisire uno status e, pur mantenendo un legame irrinunciabile con l’intento di intrattenimento, ad essere studiati sotto punti di vista filosofici e antropologici, con raccordi alle dinamiche della psiche umana.

È, difatti, grazie a più recenti studi su questa tipologia di opere, sulle sue regole interne e sui motivi della sua grande popolarità tra le masse dei lettori, che oggi si ritiene ci sia molto da dire e da analizzare sulla loro complessità.

Il genere del “giallo” o del “poliziesco” ha assunto, in base ai diversi studi, denominazioni sempre più affinate e differenziate: crime story, detective novel, mystery novel, police novel e così via fino al thriller; ciò dimostra come e quanto si tratti di una categoria di testi assai variegati e complessi, nei quali confluiscono tradizioni letterarie consolidate quali le biografie criminali in voga nel Settecento, il romanzo realistico, ma anche componenti fantastiche e gotiche. Tale complessità si traduce dunque nella diversità dei punti di vista e delle chiavi di lettura che la critica moderna ha adottato per interpretare tali opere.

L’interazione tra lo scrittore di crime fiction e i lettori assume rilevanza maggiore rispetto ad altri tipi di romanzi, allorché il lettore deve virtualmente ricorrere, in maniera parallela alla figura del detective o di chi ne fa le veci all’interno della storia, a un procedimento esegetico e ingegnosamente deduttivo che porta alla scoperta della verità. Tale processo, che condurrà allo smascheramento del colpevole, prende avvio quando il destinatario è indotto a porsi quesiti che nascono dalla sua stessa curiosità, con una sete di conoscenza dinanzi a un mistero che può chiamare in causa i grandi dubbi esistenziali. Già nel 1929, Marjorie Nicolson affermava che la detective story sarebbe stata una via di fuga non dalla realtà della vita, bensì dalle forme canoniche della letteratura del passato1.

La scelta di condurre uno studio su tale genere, per come si concretizzò nel corso del XX secolo, specificamente sul suolo inglese, deriva in parte da un interesse personale per l’analisi della letteratura di questo periodo e, in parte, dal fatto che fu proprio il Novecento il secolo che determinò il cambiamento di rotta nella crime story di cui fu precursore Edgar

1 Marjorie Nicolson, “The Professor and the Detective” (1929), in Howard Haycraft (ed.), The Art of the

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Allan Poe. Tale evoluzione condusse a un più complesso e sfaccettato detective novel dal sapore del tutto British, dapprima popolare solo in Inghilterra e successivamente a livello mondiale. Si tratta di un tipo di romanzo solo apparentemente realistico, che in realtà nasconde una ambivalenza sospesa tra sollecitazioni derivanti dal tardo Romanticismo e dal Modernismo, e specchio di una società divisa tra la ricerca ossessiva dell’affermazione individuale e l’indulgere al conformismo. Evidente, inoltre, è l’eredità che questo genere, come molti altri, accolse riguardo alle tematiche e agli elementi cupi e angoscianti della narrativa gotica inglese, e alla sua ricerca del misterioso, del sublime, del primitivo o dell’esotico.

Questa tesi, quindi, non solo ricostruirà l’evoluzione di questo genere nel tempo e le sue ibride diramazioni in rapporto al romanzo gotico, ma si concentrerà anche sull’analisi di tre opere di tre rispettive “regine del giallo britannico”, per decenni sottovalutate dalla critica e che solo in tempi recenti si è iniziato a inquadrare con più attenzione. Queste tre scrittrici rappresentano, nella loro produzione letteraria, esempi emblematici di come il detective

novel abbia integrato, in diverso modo, elementi esplicitamente gotici: Agatha Christie,

Dorothy L. Sayers e P. D. James.

Christie e Sayers scrivono nel primo Novecento, periodo che Julian Symons chiamò la “Golden Age” di tutto il genere della Crime e Detective Fiction, e si presentano come caposcuola di quello che è stato definito English Country House Murder, un tipo di detective

story con precise forme stilistiche e tipologie tematiche affermatosi tra le due guerre

mondiali, dove i misteri al centro delle trame delineano un puzzle anche per i lettori e non solo per il detective protagonista. Le opere di P. D. James, composte invece negli ultimi anni del secolo, si pongono per certi elementi formali vicino ai romanzi delle due autrici precedenti, ma anche in opposizione ad essi per quanto riguarda i temi e la tecnica letteraria. Dichiarata è, infatti, la volontà di questa scrittrice di rappresentare il crimine e la violenza in un contesto di realismo moderno.

Prima di procedere con l’analisi delle tre opere scelte, rispettivamente Dead Man’s Folly di Christie, Clouds of Witness di Sayers e The Black Tower di James, è parso doveroso ripercorrere, nel primo capitolo, la storia di un genere relativamente nuovo e ancora poco discusso dalla critica mondiale, con una rassegna sugli approcci analitici sino ai nostri giorni. Ivi si tratterà inoltre di come esso sia stato ampiamente influenzato (e talvolta, appunto, contaminato) da correnti letterarie diverse, particolarmente per quanto riguarda la letteratura gotica, considerando quanto questi due generi, e i loro sottogeneri, presentino numerose affinità e quanto il romanzo gotico inglese abbia esercitato una vera e propria attrazione per

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molti autori novecenteschi, spingendo sempre più il detective novel a guardare al macabro e all’uncanny. La Crime e Detective Fiction, nella sua varietà, resta comunque ancora oggi un genere molto fiorente e popolare, sottoposto a continue evoluzioni e influssi, mentre il romanzo gotico, seppur un grande modello di ispirazione in vari ambiti della letteratura mondiale, appare un tipo di narrativa legata fortemente ad un preciso periodo storico e culturale.

I capitoli successivi presentano un excursus biografico e della produzione letteraria delle tre scrittrici, assai differenti nella vita, nel lavoro, per strato sociale e approccio politico. Ciò risulterà utile perché permette in primo luogo di evidenziare i modi in cui Christie, Sayers e P. D. James hanno rivoluzionato la narrativa del genere a loro contemporanea, adottando nuovi approcci alle tematiche e proponendo con nuovi modelli agli autori successivi; in secondo luogo, la sezione introduttiva getterà le basi per una interpretazione delle tre opere connessa anche ai diversi ambienti storico-culturali e all’esplorazione di contesti comuni. Fulcro dei capitoli sarà però l’analisi delle opere delle tre autrici, non solo da un punto di vista del genere della narrativa criminale, ma studiando anche gli elementi gotici in esse contenuti. Tali opere intrecciano un dialogo intenso con il gotico ottocentesco, alimentato da ambienti sinistri o stregati così come da orrori e dubbi “interiori” (quelli della psiche), con tratti potenti e perturbanti acquisiti dai soggetti femminili. Ciò apre la strada anche ad un nuovo tipo di “eroe”, incarnato da un detective chiamato a ristabilire l’ordine sociale minato da un atto criminale.

Il secondo capitolo si concentra su Agatha Christie, per molti aspetti ancora “signora indiscussa” del giallo inglese, la quale fu tra i primi a riconsiderare e riproporre materiale gotico nei suoi romanzi, giocando sulle ambivalenze del carattere femminile già informanti le opere delle sorelle Brontë. Dead Man’s Folly è per l’appunto un esempio di detective

fiction dai toni chiaramente gotici e in cui è indagata questa feminine otherness.

Dorothy Sayers, la cui produzione e conseguente analisi sono invece il perno del terzo capitolo di questa tesi, si è spesso ispirata alla struttura formale del romanzo gotico, seppur il suo Clouds of Witness sia più peculiare rispetto ad altri suoi testi. Qui l’autrice ha cercato infatti di indagare le problematiche legate ai limiti e ai confini della psiche umana, mettendo a nudo gli spettri che attanagliano il suo detective durante la sua missione alla ricerca del colpevole.

Infine, il quarto capitolo affronterà il ruolo di P. D. James, contrassegnata da un distacco diacronico e tematico rispetto alle scrittrici precedenti. La sua opera è caratterizzata nel complesso da un’attrazione per gli effetti del terrore gotico, resi in chiave moderna a

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simboleggiare l’aridità morale e affettiva di una società agnostica. The Black Tower presenta tali peculiarità, poiché il gotico è qui sia legato al setting, da cui prende il nome anche il romanzo, sia interiorizzato, proiettato nella mente del detective; la struttura della narrativa gotica è re-immaginata in chiave di detective novel, con protagonista un investigatore impegnato a scoprire il colpevole, ma anche ad esorcizzare le atmosfere cupe in cui deve orientarsi.

È innegabile, dunque, che le tre scrittrici abbiano fatto leva sulle tracce dell’eredità letteraria gotica, potenziando il senso di ansia legato alla violenza, alla trasgressione, ai problemi inerenti all’identità, alla psiche, alla conoscenza. Si tratta di un patrimonio letterario che, spesso passato in subordine in tempi precedenti, risulta oggi degno di nota e di studio.

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CAPITOLO I

Crime e Detective Fiction

1.1 Le sfaccettature della narrativa criminale e del ruolo del detective

Uno dei primi dubbi che si pone dinanzi a critici, a lettori e persino agli stessi autori di opere di crime fiction riguarda la scelta della terminologia da utilizzare, trattandosi di un genere piuttosto variegato e assai complesso nelle sue forme. I due termini detective fiction e

mystery novel sono generalmente i più comuni e, tuttavia, sono molto spesso usati

impropriamente, poiché, se è sempre vero che la trama ruota attorno ad un crimine, non è ugualmente sempre prevista nel testo l’esistenza di un mistero da svelare o la presenza di un

detective chiamato a risolvere una situazione problematica. È per tale motivo che, nel corso

del tempo, critici quali Stephen Knight e Maurizio Ascari, insieme a molti altri, hanno ritenuto opportuno identificare il genere come crime fiction, individuando le sue successive ramificazioni e stratificazioni in termini di sottogeneri, detective fiction inclusa. Quest’ultima sarebbe infatti uno degli stadi evolutivi della narrativa criminale, dove preponderante diventa la presenza di un investigatore o chi ne fa le veci, sulle orme della produzione letteraria di Sir Arthur Conan Doyle. A questo seguirà una successiva evoluzione: il passaggio dal confronto con crimini minori di varia natura a quello del crimine massimo, l’omicidio1.

Ripercorrendo la storia del genere, si nota come la sua origine, così come la sua trasformazione in detective fiction, abbiano contorni piuttosto sfumati e non sempre segnalati allo stesso modo dai vari gruppi di esperti: alcuni sono convinti che tale origine vada individuata nel primo vero esempio di romanzo di investigazione, The Murders in the Rue

Morgue (1841) di E. A. Poe; altri invece, come il critico Julian Symons, ritengono che si

possa guardare ancora più indietro nel tempo, fino a Caleb Williams (1794) di William Godwin, mentre un ultimo gruppo tende a estrapolare elementi del genere criminale in ambiti letterari svariati e anche molto lontani a livello di epoche, fino a cogliere il primo vero nucleo della violazione di un sacro ordine naturale nel Peccato Originale.

1 Per ulteriori approfondimenti, si veda: Stephen Knight, Crime Fiction since 1800. Detection, Death, Diversity,

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È Knight a porre al centro della narrativa criminale la presenza di un personaggio che funge da agente investigativo2, sia che si tratti di un professionista esperto e particolarmente colto come Sherlock Holmes, sia che subentri una spinster apparentemente alle prime armi, come Miss Marple. Martin Priestman pone invece l’attenzione su come la crime fiction sia stata influenzata dalla trattazione di due tipi diversi di crimine: in primis, quello bieco e violento di cui si macchiano tendenzialmente coloro che appartengono agli ultimi gradini delle classi sociali e all’ambiente dei bassifondi, di cui forniscono traccia articoli di giornale e scritti di diffusione popolare: “Cony-catching pamphlets, broadside ballads, gallows confessions and publications based on them such as The Newgate Calendar establish a continuous line […] from the sixteenth century to contemporary news reportage”3. In secondo luogo, subentra la lunga tradizione di tragedie elisabettiane e giacomiane, che narrano le gesta e gli abusi di potere dei grandi eroi e dei potenti, come il Macbeth shakespeariano. Questi due filoni avrebbero influenzato, nel Settecento, opere quali Moll

Flanders (1722) di Daniel Defoe, The Life and Death of the Late Jonathan Wild, the Great

(1743) di Henry Fielding e il già citato Caleb Williams di Godwin: nato inizialmente come opera di denuncia, come affresco sociale dell’Inghilterra settecentesca percepita attraverso l’ottica di un fervente idealista giacobino, Caleb Williams risultò poi un testo dal potenziale rivoluzionario e dalla trama ricca di quei paradigmi che verranno fatti propri dalla successiva letteratura poliziesca considerata canonica.

È solo un secolo più tardi, però, che l’attenzione verso il crimine e il criminale si sposta radicalmente sulla figura del detective-eroe e sulla sua quest. Sulla base di tali studi, sempre Knight e Ascari sono concordi nell’affermare che la storia della Crime e Detective Fiction può essere articolata in tre diverse fasi: fino al XVIII secolo, sarebbe prevalso il binomio basso/alto dei resoconti giornalistici e delle tragedie; un secondo stadio sarebbe da individuare a partire dal romanzo proto-poliziesco di Godwin in poi, in cui il detective mostra doti di logica e deduzione straordinarie; il terzo momento costituirebbe una sorta di ulteriore evoluzione nel rapporto tra l’investigatore e l’ambiente sociale nel quale egli è chiamato a operare, con l’instaurazione di una collaborazione, o talvolta solo un confronto, con gli agenti di polizia, partendo dai racconti di Poe. A queste fasi sarebbe poi possibile aggiungerne una quarta, che vede la figura del detective-eroe sfumare verso un profilo

2 Per ulteriori informazioni, si veda: Stephen Knight, Form and Ideology in Crime Fiction, London, Macmillan,

1980, pp. 7-10.

3 Cfr. Martin Priestman, Detective Fiction and Literature. The Figure on the Carpet, London, MacMillan,

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sempre più incerto e ambivalente, di natura ambigua per quanto riguarda la sua psiche e il suo stesso rapporto con il crimine e la violazione dell’ordine. Si tratterà sempre più spesso, nella crime fiction del Novecento, e in particolare nelle opere prese in analisi in questa tesi, di un detective antagonista del criminale, ma anche indirettamente suo complice, mosso da una fervida curiosità e dal desiderio di ricerca della conoscenza e della verità. Questo investigatore è come piegato alla volontà di avere sempre nuovi casi da risolvere, allontanandosi quindi dal progetto di una sistematica e risolutiva “cancellazione” del male nel mondo.

È proprio il concetto del male, ingrediente necessariamente presente nel genere poliziesco, ad assumere varie forme ed entità; tuttavia, anche se truce e spaventoso, si tratta pur sempre di un male che tende a dissiparsi nel momento in cui il detective, paladino della legge guidato dal proprio intelletto, riesce a risolvere il caso, ricostruire la vicenda dietro al crimine e assicurare il colpevole alla giustizia. Ciò suggerisce una differenza sostanziale tra

crime e detective fiction, poiché l’elemento portante sembra essere nell’una l’atto criminale

e nell’altra l’investigazione.

Non esente da interpretazioni e rappresentazioni ambigue è pure la figura del criminale stesso. In special modo nel Settecento, tali personaggi riuscivano a suscitare nelle masse una sorta di ammirazione, e proprio alle loro trasgressioni essi dovevano la loro popolarità: sino alla metà del XVIII secolo, infatti, ciò che viene definito in termini tecnici “processo indiziario” non esisteva affatto e i verdetti di colpa o assoluzione si basavano puramente sulle testimonianze raccolte in modo estemporaneo, o sulla confessione dello stesso criminale, non di rado estorta sotto tortura. Ciò portò negli stessi anni alla formazione di movimenti a favore dell’abolizione della tortura e dell’introduzione di procedure in base alle quali le accuse dovevano essere mosse solo alla luce di prove tangibili e non soltanto sulla parola di testimoni, spesso non esenti da colpe o forme di complicità con l’accusato. Fu il Secolo dei Lumi a vedere, non a caso, la pubblicazione di volumi quali l’Esprit des lois (1748) di Charles L. de Montesquieu e Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria.

L’immagine del criminale al patibolo è rievocata da Ascari attraverso le osservazioni di Michel Foucault nel suo noto studio Surveiller et punir: Naissance de la prison (1975). Il condannato avrebbe rappresentato un esempio pubblico di degenerazione da non imitare, ma poteva anche diventare espressione dello scontro tra la popolazione che viveva in miseria nei bassifondi e le file degli alti ranghi, di ricchi possidenti, esattori delle tasse e delle stesse forze dell’ordine, seppur non per come le conosciamo oggi. Questi soggetti erano tutti ugualmente invisi alle folle, che soffrivano la fame e che guardavano al criminale, spesso

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nient’altro che un semplice ladruncolo, come a colui che aveva tentato di rovesciare un assetto sociale iniquo, ribellandosi alle costrizioni e alle gerarchie di classe. In definitiva, egli era al contempo un malfattore agli occhi della legge e un eroe per i concittadini suoi pari, persone indigenti in lotta contro un potere tiranno4.

1.2 Storia del genere

Se già in epoca elisabettiana si possono individuare testi che si confrontano con l’omicidio e le azioni spregiudicate dei potenti, nonché alcuni cony-catching pamphlets, un tipo di “guida di formazione del ladro” in cui venivano descritte le varie tecniche per rubare un portafogli a un passante o per barare a carte, è tuttavia sul finire del Settecento che si nota l’emergere di quello che è considerato da Knight l’archetipo della pre-detective crime story.

Questo modello consiste in un volume contenente i resoconti, sempre sotto forma di

pamphlets, degli ultimi momenti di vita e delle nefandezze compiute dai condannati a morte

nella prigione di Newgate, a Londra, passati alla storia appunto come The Newgate

Calendars. Questi resoconti, scritti dall’allora Cappellano del carcere, non spiccavano per

maestria formale né profondità di contenuto, articolandosi sulla base di uno stesso schema ricorrente: sulla scia del crimine avvenuto, la popolazione locale dava la sua versione dei fatti e formulava un’ipotesi su chi fosse il responsabile; veniva chiamato un conestabile e si procedeva all’arresto della persona coinvolta, che veniva poi giudicata colpevole del reato e condannata a morte. Il finale si traduceva in un messaggio moralistico-religioso, una sorta di avvertimento a non cadere nel peccato e una conferma del fatto che la punizione di Dio è sempre certa e implacabile: metaforicamente, sarà Dio a fare da guida a certi detective negli sviluppi maturi del genere: “Divine guidance lies behind the revealing of guilt. […] Murder will out […] for both moral and religious reasons, and all the stories operate in a world drenched in Christian belief”5.

Il volume completo dei Newgate Calendars venne pubblicato per la prima volta nel 1773, ma vide numerose riedizioni nel corso del tempo, spesso rielaborate e arricchite di particolari in vista di una pubblicazione aggiornata, rivelandosi ancora una lettura interessante durante il secolo successivo. Benché la figura dell’investigatore da noi privilegiata non appaia in questi testi, dove si narra di crimini in modo rudimentale, The Newgate Calendars rappresentano un interessante punto di origine per il genere. Se non altro, essi sono rilevanti

4 Ulteriori informazioni sull’argomento si trovano in: Maurizio Ascari, La leggibilità del male: genealogia del

romanzo poliziesco e del romanzo anarchico inglese, Bologna, Pàtron Editore, 1998, pp. 31-40.

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alla luce di due fattori: il primo è la già accennata popolarità riscossa, evidenziata dalla grande diffusione di questi pamphlets, acquistati dalle folle accalcate attorno al patibolo per assistere allo “spettacolo” di un’esecuzione pubblica. Da questo dato prende avvio anche il secondo fattore, cioè il riconoscimento che il macabro, il turpe, la morte sono elementi di grande richiamo e attenzione da parte del gruppo sociale, alimentando una dinamica che riesce a sedurre e a catturare l’immaginazione, sia essa degli spettatori davanti al patibolo, sia in seguito quella dei lettori di Crime e Detective Fiction.

Per ricostruire gli stadi di sviluppo del genere, occorre fornire alcune informazioni sui procedimenti giudiziari nei confronti dei criminali, su alcune leggi emanate nel tempo e sull’arruolamento delle forze dell’ordine, protagoniste più tarde della detective fiction o ritratte come alleate dell’investigatore, seppur in versione spesso ironico-satirica (esempio ne è l’ispettore di Scotland Yard, Lestrade, nelle storie legate a Sherlock Holmes). La creazione di un vero e proprio corpo di polizia statale era, per le stesse ragioni di insofferenza nei confronti di un potere accentratore, accennate in precedenza, contrastata dal popolo e, talvolta, anche da organismi istituzionali. Nel 1692 lo Highwayman Act stabiliva che, per ogni delinquente catturato e condannato, andava versata una cifra di circa quaranta sterline alla persona che lo aveva catturato; ciò portò alla nascita della figura del cacciatore di taglie, il thief-taker e, in misura più subdola, anche a quella dell’intermediario tra vittime e fuorilegge. Primo “maestro” indiscusso di questo genere di reati fu Jonathan Wild (1683-1725), personaggio ispiratore di molte opere successive, come The Beggar’s Opera (1729) di John Gay e il già citato romanzo di Henry Fielding, The Life and Death of the Late

Jonathan Wild, the Great (1743), che lo trasformò parodicamente in un’incarnazione delle

ambiguità e della corruzione dell’uomo di potere, ovvero dell’esercizio tirannico del potere stesso. È da fondamenta di questo tipo che si sviluppa una tematica trasversale: la corruzione associata alle lotte e all’abuso del potere, come avviene da parte dello squire6 in Caleb

Williams (1794), il romanzo di Godwin che numerosi studiosi del poliziesco vedono come

un inconsapevole precursore, per quanto riguarda il personaggio dell’investigatore.

Anche se i thief-takers divennero, dal 1749 in poi, i Bow Street Runners, con compiti più regolamentati e finalizzati a investigare i crimini e misurarsi giornalmente con la lotta ai fuorilegge, tali figure erano guardate con sospetto, quasi alla stregua di spie. La stessa difficoltà nel configurare i tratti di un individuo con questa specifica mansione, che lo

6 Termine che identificava un esponente del ceto aristocratico-nobiliare, o più semplicemente un possidente

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sottoponeva a dubbi e conflitti, si manifesta per l’appunto in Caleb Williams7. Sin dal primo titolo dato al romanzo dal padre di Mary Shelley, Things as They Are: or the Adventure of

Caleb Williams, si deduceva la presenza di un intento quasi politico, oltre alla descrizione

impietosa di certe crude realtà dell’Inghilterra settecentesca. Godwin aveva del resto assimilato le teorie giacobine esposte nella sua Enquiry Concerning Political Justice (1793), uscita appena un anno prima. Lo stesso sentimento cupo emerge anche nella seconda edizione dell’opera, nel 1831, dove si delineano con maggior chiarezza il profilo del protagonista e lo snodarsi della narrazione. La composizione di Caleb Williams fu piuttosto particolare: Godwin aveva una precisa idea in mente e scrisse l’opera partendo dal terzo libro, l’ultimo, per poi passare al secondo e infine al primo8, pensando prima all’effetto e poi alla causa. Questo metodo permise allo scrittore di tessere una trama incalzante e coesa, capace di mantenere viva l’attenzione dei lettori; in quest’opera è possibile riscontrare con mano come il motore dell’azione siano proprio terrore e suspense, lezione appresa sulle orme di Horace Walpole e del suo Castle of Otranto.

La trama dell’opera ruota attorno all’omicidio di un proprietario terriero, tale Tyrrel, del quale vengono accusati un fattore e il figlio, presumibilmente mossi da un desiderio di vendetta contro l’uomo che li aveva privati delle terre. Caleb Williams, però, un giovane povero e al servizio di un altro squire, Falkland, inizia a sospettare del proprio master, a causa di un litigio avvenuto in pubblico tra lui e la vittima, poco tempo prima. Caleb parte dunque con la sua investigazione. Fin qui la vicenda sembrerebbe in linea con l’incipit canonico del detective novel, se non fosse che il romanzo si svilupperà in modo atipico, se lo si fa rientrare nel genere: in Caleb c’è infatti uno scarto rispetto al ruolo da lui assunto, poiché egli appare ossessionato dal mistero e, allo stesso tempo, dubbioso. La sua indagine, inoltre, manca di metodo e in numerosi punti della vicenda vediamo come il confronto tra lui e Falkland non mostri necessariamente, dal punto di vista del narratore, l’uno superiore all’altro. Caleb verrà perseguitato da Falkland, con l’accusa falsa di furto e si trasformerà in fuggitivo sino all’episodio dell’incontro-scontro tra i due, dove il protagonista riconosce a sua volta le proprie colpe, ovvero l’aver assunto un comportamento ingrato e ossessivo nei confronti di colui che lo aveva favorito, offrendogli un posto di segretario. Si nota insomma qualcosa di strano, se non addirittura di patologico nell’estrema curiosità di Caleb e nel suo

7 Per un’analisi dell’opera in questa precisa ottica, si veda: Stephen Knight, Crime Fiction since 1800.

Detection, Death, Diversity, cit., pp. 9-12.

8 Cfr. William Godwin, Prefazione a Caleb Williams, cit. in Maurizio Ascari, La leggibilità del male:

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desiderio di “incastrare” il master come l’assassino: è questa una direzione che porterà entrambi alla disfatta, poiché Falkland morirà e Caleb verrà perseguitato dal senso di colpa.

Da un punto di vista incentrato sulla figura del detective, Godwin non immagina il suo protagonista come un paladino della verità, ma come un individuo normale, che per giunta sbaglia:

Where the Newgate Calendar showed simply the need for a detective to identify the real facts of a puzzling case, Caleb Williams indicates that the figure of a hero who bears values powerful enough to defeat the threats of the text is not yet possible in crime fiction9.

L’eredità godwiniana sarà raccolta da Poe, che intese valorizzare il “procedimento al contrario”, a suo avviso matrice di un percorso di ragionamento che porta l’investigatore a una geniale intuizione/deduzione finale. Se l’intenzione iniziale di Godwin era scrivere un racconto intriso di valori politici, e quindi un’opera a sfondo ideologico, il risultato è qualcosa di differente, che è possibile far rientrare nella genealogia del poliziesco a tutti gli effetti. L’opera può leggersi come antesignana della narrativa di Poe non solo per la struttura formale, ma anche per lo sviluppo di elementi poi divenuti delle costanti del genere, quali l’omicidio, l’investigazione, l’inseguimento, il processo, il contesto della prigione e così via. Knight porta all’attenzione un altro testo del 1828, Pelham di Edward Bulwer Lytton, autore oggi poco studiato, al quale però il critico riconosce nello specifico il merito di aver ulteriormente delineato la figura dell’investigatore, dopo quella di Caleb Williams. Il suo protagonista è non più un giovane di bassa estrazione sociale, ma una persona di rango elevato che si dedica alla detection; inoltre, la razionalità e i valori “positivi” hanno qui la meglio, in quanto Pelham rimane un gentiluomo benché riesca ad avere contatti in prima persona con la criminalità londinese e sia lui stesso a ritrovare il corpo della vittima. Il protagonista omonimo di Pelham è dunque “the first who can be called a disciplinary detective at the rational level; and that model is going to be, especially through Poe, Gaboriau and Doyle, immensely influential”10.

Prima di parlare dei racconti di Poe, è opportuno aprire una parentesi per soffermarci su un altro testo avvicinabile al genere poliziesco, collocato a cavallo di un percorso che ha visto la pubblicazione di opere come Frankenstein (1818) di Mary Shelley, un cambiamento delle dinamiche sociopolitiche e vari sviluppi delle teorie filosofiche e scientifiche, sempre

9 Stephen Knight, Crime Fiction since 1800. Detection, Death, Diversity, cit., p. 12. 10 Ibidem, p. 15.

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sulla scia della Rivoluzione Francese. A ciò si accompagnò la moda del gotico, del soprannaturale e dell’orrifico. Il testo in questione, trattato anche da Ascari11, è The Private

Memoirs and Confessions of a Justified Sinner (1824) di James Hogg, che, in un capitolo

del suo saggio The Literature of Terror, David Punter associa a Caleb Williams e a Melmoth

the Wanderer (1820) di Charles Robert Maturin, parlando di una dialectic of persecution12. Queste tre opere, secondo Punter, sono mosse dalla volontà di guidare il lettore verso nuovi territori letterari che esplorino la tematica del terrore e, soprattutto, quella della paura per la decadenza dei valori morali; esse, inoltre, identificano alcuni tra i più importanti temi del gotico interiorizzato: “These three books are nightmare books, in the particular sense that moral purpose – often initially present – is in each case eroded by the pressures of psychological obsession”13. Nell’opera di Hogg vi è anche un tema caro a molti romanzi gotici, quello del doppio, così come i motivi legati alla solitudine, alla persecuzione, alla presenza di poteri sovrumani. Si tratta dunque di una narrazione dove la morale della storia si vanifica al confronto con le pressioni psicologiche esercitate dal terrore e da una darkness dalle sfumature maligne. D’altro canto, l’elemento soprannaturale presente nel testo ha fatto sì che numerosi studiosi del poliziesco non lo abbiano incorporato nel genere, sebbene critici come Ascari ritengano che sia piuttosto difficile, o del tutto fuorviante, applicare le regole del poliziesco moderno ad un’opera di primo Ottocento, vista la distanza che la detective

fiction avrebbe poi assunto rispetto al gotico e alla crime fiction. Sempre Ascari suggerisce

che:

A motivare l’inserimento delle Confessions in una genealogia poliziesca non è solo l’effetto di suspense che l’autore persegue nel porgere con una mano al lettore e nel sottrarre con l’altra, né la presenza di un omicidio il cui colpevole è indagato da un

detective al femminile (l’intraprendente Miss Arabella Logan, che in questo testo

all’insegna del doppio è assistita da un’altra Arabella […]); a collocare le Confessions nell’ideale traiettoria che congiunge Caleb Williams ai racconti di Poe contribuisce inoltre il paradigma epistemologico che fa capolino nel testo di Hogg14.

11 Ulteriori informazioni sull’argomento si trovano in: Maurizio Ascari, A Counter-History of Crime Fiction.

Supernatural, Gothic, Sensational, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2007, pp. 48-50.

12 Si veda: David Punter, The Literature of Terror. The Gothic Tradition, Abingdon-New York, Routledge,

2013, p. 117.

13 Cfr. Ivi.

14 Maurizio Ascari, La leggibilità del male: genealogia del romanzo poliziesco e del romanzo anarchico

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Ecco che The Private Memoirs ci proietta, grazie alla componente poliziesca, in una complessità narrativa in cui la presentazione di un mondo ordinato da leggi divine si contrappone a un protagonista che diviene vittima di una distorsione diabolica della realtà, particolare che lo avvicina ad una figura investigativa che diverrà canonica, quella di Dupin, ovvero “il detective delle tenebre”.

Subentra poi un cambiamento di prospettiva che induce a guardare ai criminali non come totali fallimenti sociali, ma come persone dotate di una certa genialità che hanno però scelto di compiere atti pericolosi ed esecrabili. Sul pubblico di lettori opera così una nuova fascinazione romantica rappresentata dalla tragic self-consumption del criminale, tema che rimarrà in voga nel genere anche negli anni a venire.

Parallelamente, quello di esplorare la psiche e i sensational feelings di cupe figure criminali divenne tema centrale in una serie di storie pubblicate sul Blackwood’s Edinburgh

Magazine agli inizi del XIX secolo. Composti da Robert Morrison e Chris Baldick, questi Tales of Terror dal tono marcatamente gotico, a tratti sadico, presentano un punto di vista

distaccato: i lettori, cioè, non sono spinti a immedesimarsi nelle sofferenze dei condannati a morte, ma sono anzi talvolta portati a giudicarli; ciò si traduce in un gusto del truce, che divenne elemento caratterizzante di queste storie. È tuttavia opportuno ricordare anche il provocatorio saggio di Thomas De Quincey, On Murder Considered as One of the Fine Arts, del 1827, dove la componente estetica prevale su quella giudicante. Soggetto dell’opera è John Williams, allora noto come il “Ratcliffe Highway killer”, reo di aver ucciso sette persone in modo efferato, ma “perfetto” nella sua esecuzione: De Quincey era affascinato dallo studio del crimine e dai comportamenti “genialmente” violenti che, in questo testo, lesse in chiave estetica, trasformando un brutale omicidio londinese in un “capolavoro” di esecuzione sanguinosa. L’autore narra dettagliatamente le imprese criminali di Williams, sino al successivo arresto, al suo suicidio e alla sepoltura; tuttavia, grande spazio nel testo è dato anche alla trattazione dell’assassinio nei termini di un atto estetico: perché un omicidio sia “perfetto”, l’ultimo tassello è dato dall’elemento del mistero, cioè dalla condizione secondo cui il colpevole rimane per tutti un’incognita, riuscendo a scampare alla giustizia. Un altro effetto sensazionale a cui i criminali dovrebbero aspirare, secondo De Quincey, è il

pathos, la ricerca di una vittima la cui morte generi grande sofferenza tra i familiari (come

ad esempio, un padre di famiglia). È proprio questa capacità di suscitare forti emozioni e una partecipazione sia estetica, sia emotiva, a fornire una chiave per leggere questo singolare saggio di De Quincey, il cui discorso si snoda però lungo l’asse del paradosso e dell’ironia.

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Mentre l’immagine del detective intelligente, coraggioso e con tratti romantici andava diffondendosi e le storie criminali a sfondo gotico interessavano un grande numero di lettori, nel 1827 uscì Richmond: Scenes from the Life of a Bow Street Runner, ad opera di un autore semplicemente identificato come “Richmond”. Si tratta di un racconto incentrato sulla vita di un giovane che decide di intraprendere la professione di poliziotto e che, occasionalmente, si trova coinvolto nelle indagini. Nonostante le premesse, l’opera non ottenne un grande successo, a differenza di un testo francese composto l’anno successivo, quasi subito tradotto in inglese: le Mémoires di Eugène François Vidocq (1828-9), un uomo condannato e poi reintegrato nel sistema di polizia nell’epoca napoleonica, dove avrebbe ricoperto un ruolo di responsabilità. Ritiratosi dalle scene, Vidocq decise di pubblicare, con l’aiuto di collaboratori anonimi, le sue memorie. Nel testo, Vidocq incarna il ruolo del detective in modo più convincente delle figure precedentemente citate: investiga, insegue i criminali, interroga le persone coinvolte, si mostra attento ai dettagli, fa le sue mosse e attende che qualcosa si riveli. Egli è competitivo nei confronti dei colleghi; talvolta si finge un criminale per estorcere informazioni, e sotto mentite spoglie parla di sé per capire cosa pensino di lui nei bassifondi15.

Un grande passo avanti nello sviluppo del genere, per come lo conosciamo oggi, fu compiuto da Edgar Allan Poe. Come per Holmes, un punto di forza nel protagonista di Poe è da individuare nel livello culturale e nelle sue doti intellettive: il personaggio, infatti, è capace di leggere nelle menti criminali e identificarne il modus operandi. La crime fiction scritta sino a metà Ottocento deve molto sia a Vidocq, sia a Poe.

Nel 1838 la rivista americana Gentleman’s Magazine diede avvio a una serie intitolata “The Diary of a Philadelphia Lawyer”, nella quale un avvocato, di volta in volta, narra come si è trovato ad affrontare diversi casi penali. Benché le storie non avessero un grande valore letterario, testimoniarono il crescente coinvolgimento del pubblico in questo tipo di narrazione. Non a caso, l’anno successivo il redattore del Magazine sarà Edgar Allan Poe, che a pochi anni di distanza, nel 1841, pubblicò la prima delle sue detective and mystery

stories, intrecciando toni gotici e una forte caratterizzazione dell’investigatore.

Numerosissimi studiosi e scrittori del genere vedranno in Poe il padre fondatore della moderna crime fiction, per quanto vari elementi presenti nella sua produzione avessero già fatto il loro ingresso nella letteratura di nostro interesse. Si può dunque affermare che la grandezza di Poe consista nello sviluppare magistralmente temi e motivi che altri avevano

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in precedenza solo parzialmente elaborato, dando vita così ad un genere che, probabilmente, egli non aveva neppure pianificato di creare. La sua influenza su altri scrittori non si manifestò tuttavia negli anni immediatamente successivi, ma sarebbe stata mediata dal contributo di Gaboriau e Doyle.

Il personaggio plasmato da Poe, il Cavaliere C. Auguste Dupin, è ritratto come il rampollo parigino di una antica famiglia nobile decaduta; le sue abitudini non sono però pretenziose, e l’unico lusso che si concede riguarda i libri. Sarà proprio in una biblioteca che egli incontra un giovane straniero (il narratore omodiegetico della storia) il quale resta affascinato dalla grande cultura letteraria di Dupin. Tra i due nasce un sodalizio che diventa una scelta di convivenza in un’antica dimora erosa dal tempo e semi-abbandonata, dove al narratore è imposto uno stile di vita insolito; egli resta cioè relegato nell’oscurità in casa durante le ore diurne, per poi uscire al calare della notte, come a suggerire la peculiarità di una collaborazione con il geniale investigatore. Con Dupin, Poe creò il prototipo del detective, genio eccentrico dalle grandi capacità intellettive, accompagnato nelle sue imprese da un fedele amico e assistente, preciso e zelante sebbene meno intellettualmente dotato. Le storie che vedono Dupin come figura principale, “The Murders in the Rue Morgue” (1841), “The Mystery of Marie Rogêt” (1842), “The Purloined Letter” (1845), e quelle dove egli riveste un ruolo minore, “The Gold Bug” (1843) e “Thou Art the Man” (1844), sono tutte opere varie nei toni e nella struttura. Poe ricorse a modalità e topoi che saranno mutuati da autori successivi, come il mistero della porta chiusa a chiave, il ragionamento deduttivo, il paradossale occultamento tramite l’evidenziazione (cioè l’arte di nascondere qualcosa ponendolo in bella mostra), la decifrazione di messaggi in codice, le false piste, l’analisi delle prove e il colpevole presentato inizialmente come il personaggio meno credibile nel ruolo di criminale.

Dupin è tuttavia un “detective amatoriale”16, come lo definisce Bynion nel suo saggio (la figura del professionista, calato nel sistema strutturato della polizia, giungerà solo con le opere di Gaboriau). Dupin usa primariamente l’ingegno, tant’è che Poe stesso aveva definito le sue prime tre storie come “tales of ratiocination”; a parte in due occasioni, in cui effettivamente visita la scena del crimine, egli lavora quasi esclusivamente facendo ricorso alla sua intelligenza e capacità immaginativa. Comodamente seduto sul sofà, legge il giornale e riflette; vaga anche per la città nelle ore notturne ma non corre mai un vero pericolo, non ha la conoscenza diretta del mondo criminale e delle sue dinamiche interne,

16 Si veda: T. J. Bynion, Murder Will Out. The Detective in Fiction, Oxford, Oxford University Press, 1989, p.

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posseduta invece da Vidocq. È in effetti possibile riconoscere in Dupin, come ha fatto John Rignall17, un archetipo del flâneur18 parigino, privo di una meta precisa e curioso, alienato

dal resto delle persone, come ben osserva Walter Benjamin in relazione ad un’altra opera di Poe, “The Man of the Crowd” (1840)19. Nessuna delle storie di Dupin contiene del resto un crimine nel vero senso del termine: un’uccisione è causata da un animale, un’altra appare come un tentativo di aborto finito in tragedia, il terzo è una sorta di intrigo di corte.

È ormai noto che, per Poe, la narrativa breve deve contraddistinguersi per l’organicità, la compattezza, la ricerca dell’unità di effetto, in vista di un finale che deve essere ancor più rilevante per una mystery story. La terza parte dei racconti inerenti alla figura di Dupin, quella più esplicitamente legata alla crime fiction, parte dal resoconto di un crimine su cui relazionano i giornali, al quale segue una parentesi discorsiva durante la quale Dupin spiega al narratore, e dunque al lettore, il mistero da lui ormai svelato. Il metodo d’indagine adottato da questo “detective amatoriale” si può definire in parte razionale e in parte estemporaneo: egli si configura come una personalità geniale che penetra la coltre di casi che appaiono insolubili e che, grazie alla sua mediazione. possono invece essere compresi da tutti (questa caratteristica sarà ripresa e sviluppata magistralmente da Doyle).

Le storie di Poe, dunque,

condense the idea of Gothic thrill and rational inquiry: where the classic Gothic novel would make a character exhibit some rational courage in the face of overwhelming sensual and sensational excitement, here the order is reversed. These are stories that impose the mastery of a mind on the unusual and the stimulating20.

Poe offre inoltre un’ambientazione “esotica”, Parigi, che agli occhi di un lettore americano appariva come una città lontana, affascinante e piena di vita e possibilità di eccitanti avventure, nonché di confronti con il pericolo. Poe certo non aveva mai visitato Parigi, ma in essa proiettò l’America a lui contemporanea, con i problemi sociali che la affliggevano; questa città non fu del resto scelta a caso, ma probabilmente dopo alcune letture in cui si immerse l’autore, come ipotizzano Knight e Heather Worthington21. I due studiosi si

17 John Rignall, “From City Streets to Country Houses: The Detective as Flâneur”, in H. Gustav Klaus, Stephen

Knight (eds), The Art of Murder, Tübingen, Stauffenburg, 1998, pp. 67-76.

18 Il termine, reso noto da Charles Baudelaire, si riferisce al gentiluomo che vaga oziosamente per le strade

cittadine, privo di uno scopo preciso, sperimentando emozioni mentre osserva il paesaggio. Per ulteriori informazioni, si veda: Walter Benjamin, “The Flâneur” in Charles Baudelaire: A Lyric Poet in the Era of High

Capitalism, trans. by Harry Zohn, London, New Left Books, 1973, pp. 35-66.

19 Cfr. Stephen Knight, Crime Fiction since 1800. Detection, Death, Diversity, cit., p. 29. 20 Ibidem, p. 28.

21 Stephen Knight, Heather Worthington (eds), “Murder and Mystery: Nineteenth-century Short Crime

Stories”, Cardiff Papers in English Literature, 5, 2001, in Maurizio Ascari, A Counter-History of Crime

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riferiscono in particolare ad una storia anonima contenuta in un periodico a Poe familiare, il

Fraser’s Magazine, e intitolata “Murder and Mystery”. Pubblicata poco prima di “The

Murder in the Rue Morgue”, essa vede un solitario protagonista barcamenarsi tra le strade della capitale francese e assistere all’assassinio di un uomo. È Parigi, inoltre, l’ambientazione gotica di un’altra opera che si presume Poe conoscesse, “Das Fräulein von Scuderi” (1818) di E. T. A. Hoffmann, dove il personaggio principale è una donna matura che decide di investigare autonomamente in un caso di furto e assassinio per difendere un innocente22.

L’impatto di Poe sulla produzione letteraria dette i suoi frutti prima in Francia e poi in Inghilterra, grazie, in primis, alle traduzioni di Baudelaire e al contributo, cui si è già accennato, di Gaboriau e Doyle. Tuttavia, nell’intervallo di tempo che precorre questi due passaggi iniziarono ad attivarsi anche autori che modellarono figure investigative via via sempre meno gotiche, in quanto la tradizione gotica si sarebbe aperta una nuova strada attraverso il sensation novel, al suo apice in Gran Bretagna tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento.

Fu soltanto nel 1842 che la polizia britannica istituì un corpo investigativo ufficiale, e questo lungo intervallo può forse spiegare la gradualità con cui sul suolo inglese comparvero le prime opere improntate su quelle di Vidocq e Dupin. Per la figura del detective integrato in polizia, bisogna annoverare la pubblicazione nel 1856 di Recollections of a Detective

Police-Officer, a firma di un certo William Russell. Figura centrale di tali resoconti

semi-fittizi è Thomas Waters, gentiluomo trovatosi ad affrontare tempi difficili e a operare come investigatore per risolvere casi che travolgono la quiete della middle-class life; pur se privo di grandi qualità letterarie, il libro ebbe un tale successo da alimentare l’interesse del pubblico per il genere giallo.

Elementi riconducibili alla Crime e Detective Fiction si rintracciano poi in varia misura, per esempio, in una serie di opere attribuite a Samuel Warren, avvocato con conoscenze mediche, delle quali la più importante è The Experience of a Barrister, apparsa per la prima volta nel marzo 1849 sul Chamber’s Edinburgh Journal (dove la tematica dell’investigazione si intreccia con un interesse verso la legge e il diritto). Interessante è pure il personaggio dell’Ispettore Bucket di Bleak House (1852-3) di Charles Dickens. Dal 1860 in poi le crime stories iniziarono a gravitare intorno alla presenza di un protagonista incarnante un investigatore amatoriale o un funzionario della polizia. Proprio in quell’anno,

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Charles Marte, pseudonimo di Thomas Delf, pubblicò The Detective’s Notebook, con protagonista il sergente Bolter, intento a confrontarsi con casi di furto e questione di debiti; a quest’opera seguì alcuni mesi dopo, a firma dello stesso autore, The Diary of an

Ex-Detective, opera più declinata sul fronte della detection rispetto alla precedente. La prima

metà degli anni Sessanta dell’Ottocento vide inoltre l’uscita di altri testi, stavolta ad opera di Andrew Forrester Jr, ossia Revelations of a Private Detective (1863), Secret Service (1864) e The Female Detective (1864). L’ultimo volume si rivela più innovativo, in quanto l’inquirer è questa volta una donna, Mrs G., collaboratrice della polizia. La scelta di tratteggiare una protagonista investigatrice è sicuramente da sottolineare, tenendo conto che le prime donne a rivestire ruoli di responsabilità in polizia si affermarono soltanto nel corso del Novecento. Tale decisione venne però condivisa poco dopo anche da William Stephens Hayward, con la sua protagonista, Mrs Paschal, in Revelations of a Lady Detective (1865). Queste opere, comunque, presupponevano la presenza di un consistente pubblico di lettrici interessate alla crime fiction. Sempre sul fronte femminile, è interessante tener presente il panorama relativo ad America e Australia. La statunitense Harriett Prescott Spofford, dopo aver pubblicato “In a Cellar”, una storia del mistero alla maniera di Poe, con la presenza di un detective non professionista, compose i due detective novels Mr Furbush (1865) e In the

Maguerriwock (1868), con un protagonista dai tratti realistici, affiliato alla polizia di New

York, nonostante l’ambientazione e molti risvolti dell’intreccio fossero nei due testi ancora prevalentemente gotici. Altra scrittrice americana, dal profilo diverso, è Anna Katharina Green, che debutterà con The Leavenworth Case (1878). Mary Fortune, invece, nel 1866 pubblicherà una serie di crime stories sull’Australian Journal, con lo pseudonimo di W. W.

Sempre negli anni Sessanta fu data alle stampe, in Irlanda, la serie The Irish Police Officer (1861) di Robert Curtis (sul Dublin University Magazine), mentre in Scozia uscì Curiosities

of Crime in Edinburgh (1861) di James M’Levy. Negli USA apparve Leaves from the Note-book of a New York Detective (1865), curato da John Babbington Williams, con un detective

che per tanti elementi risulta ispirato a Dupin23.

Una svolta decisiva verso la corrente sensazionalista è generalmente riconosciuta all’operato di Wilkie Collins e al suo The Woman in White (1860). Genere che attinse alla narrativa melodrammatica, ai temi romantici, ai Newgates Calendars e alla letteratura gotica, il sensation novel mirava a suscitare forti emozioni nel lettore, ma finì pure per individuare aree di convergenza tra due ambiti epistemici tenuti comunemente separati, ovvero

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Romanticismo e Realismo. Questo tipo di narrazione gioca su uno sfondo sociologico così come su una componente allegorica; esso si confronta con alcune questioni nevralgiche dell’età vittoriana, come lo status identitario, la condizione economica e la paura dell’indigenza, tematiche che affiorano appunto nel romanzo di Collins.La sensation fiction è andata poi definendosi sulla scia di altri due testi: East Lynne (1861) di Ellen Wood e Lady

Audley's Secret (1862) di Mary Elizabeth Braddon. Sono però da annoverare anche The Notting Hill Mystery (1862-3) di Charles Felix e The Dead Letter (1867) dell’americana

Metta Fuller. Quest’ultima opera, comunque, è per molti aspetti (tra cui la stessa trama, con un investigatore di polizia alle prese con un assassinio) più simile ad un detective novel che non a un thriller di matrice sensazionalista.

In The Woman in White, Collins introduce la figura di un giovane e onesto insegnante d’arte che si trova ad agire come investigatore non professionista in un caso che gli sta molto a cuore, ossia la presunta morte della sua amata, dopo la richiesta disperata di aiuto da parte della sorella di lei. In precedenza, lo scrittore aveva già attinto ad elementi della detective

fiction in The Diary of Anne Rodway (1856), dove una sarta, investigatrice estemporanea,

cerca di risolvere il mistero circa la morte di una cara amica.

Tra le opere più famose di Collins è però da annoverare The Moonstone (1868), dove il Sergente Cuff è chiamato a indagare sulla scomparsa della preziosa gemma del titolo. Quest’opera è stata definita da T. S. Eliot “the first and greatest of English detective novels”24, dove l’aggettivo “English” è qui usato per differenziarla dalla detective story “prototipica”, la cui origine fu attribuita a Poe, anche dallo stesso Eliot.

Fu poi con Émile Gaboriau (1832-1873) e il suo moderno detective poliziotto, Monsieur Lecoq, che il genere si delineò maggiormente, preparando la strada a Doyle. Lecoq, anche lui francese e ispirato a Vidocq, appare come il primo “investigatore procedurale”, facente parte del corpo di polizia, e, in quanto tale, pronto a adoperarsi nella soluzione di crimini e misteri. Con un ruolo minore, poiché assistente di un altro detective amatoriale, fa anche la sua comparsa Père Tabernet, introdotto per la prima volta nel 1863 in L’Affaire Lerouge, uscito sul quotidiano francese Pays, che pubblicò a puntate gli scritti di Gaboriau. Da semplice comparsa, però, Tabernet divenne il protagonista più amato dallo scrittore, che lo trasformò in figura centrale di un racconto, di alcune rivisitazioni e ben quattro romanzi. Tra le opere significative di Gaboriau si ricordano Le Crime d’Orcival (1867), Le Dossier No.

113 (1867) e Monsieur Lecoq (1869). Tra questi novels, di maggior statura è senza dubbio

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l’ultimo, che vede il detective, assistito da un collega spesso ubriaco e non sempre affidabile, impegnato in un caso di triplice omicidio e identità nascosta. Lecoq usa la scienza per esaminare le tracce e analizzare la scena del crimine e ha a sua disposizione i macchinari e l’organizzazione delle forze della polizia francese.

I romanzi, tutti di struttura bipartita, con una prima sezione dedicata alla scoperta del crimine e un’altra alle indagini di Lecoq (seguite dallo svelamento del mistero e dalla ricostruzione degli eventi che hanno portato all’atto di violenza), mostrano tuttavia pecche stilistiche e una mancanza di coerenza nella caratterizzazione del protagonista, che nei quattro romanzi sembra avere quattro rispettive personalità distinte, più che conoscere un’evoluzione progressiva.

Ciò nonostante, Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930) decise di mantenere la stessa struttura narrativa bipartita gaboriauna per tre dei quattro romanzi legati a Sherlock Holmes. Ovviamente, i suoi scritti dialogano molto con le opere del genere precedente, come è avvenuto per Poe; tuttavia, la novità di Holmes sta in primo luogo nel suo presentarsi non più come un investigatore amatoriale e nemmeno un capo poliziotto, trovandosi invece a metà strada, in qualità di consulting detective, ruolo che non rientra nelle forze di Scotland Yard, ma che vede clienti rivolgersi all’investigatore per vari motivi, legati sia al suo genio, sia al fatto di sentirsi bistrattati e ignorati dalla polizia stessa.

Doyle, scozzese di origini irlandesi e cattolico, con una formazione professionale da medico, si era già cimentato come scrittore, per lo più di storie di avventura, quando decise di dedicarsi al genere delle detective stories. Il suo primo romanzo, A Study in Scarlet, non fu un vero e proprio successo e solo nel 1887 Doyle riuscì a farlo pubblicare sul Beeton’s

Christmas Annual. Un editore fu però colpito dalla storia e commissionò all’autore un

secondo lavoro, il celebre The Sign of Four (1890), dove Doyle riuscì a integrare meglio i vari elementi storici, di mistero e azione, anche se ancora non aveva raggiunto l’equilibrio più maturo; qui prevalgono, infatti, toni avventurosi e non compariva il finale “esorcistico” con la rivelazione del colpevole. Fu però grazie a questa seconda pubblicazione che Doyle attirò l’attenzione del canadese George Newnes, proprietario di The Strand Magazine, che gli commissionò sei short stories.

Il “canone” di Sherlock Holmes si compone, inclusi quattro romanzi, di sessanta storie in tutto, che Martin Priestman ha recentemente accorpato in quattro macro-gruppi, associati rispettivamente alla tematica della cospirazione, a un crimine che fa capo a una organizzazione (o una banda criminale, che molto spesso ha rapporti con l’America o è di provenienza americana), alla presenza di un unico soggetto malvagio, e infine a una

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fenomenologia più ibrida, non coincidente con un vero crimine. Inoltre, in questi ultimi casi non sempre si arriva all’arresto o alla punizione del colpevole; in undici circostanze Holmes sceglie deliberatamente di non consegnare il criminale all’istituzione25.

Il contributo innovativo di Doyle al genere deve anche rintracciarsi nella continuità seriale, ovvero nella scelta di un protagonista ben tratteggiato e geniale, che il pubblico ebbe modo di apprezzare progressivamente e sotto varie prospettive. Sherlock Holmes, le circostanze in cui egli è calato e le interazioni con gli altri personaggi, come Watson o Lestrade, non sono estranei al modello di Dupin di Poe, ma ci sono anche

numerous passages where Holmes imitates the behaviour of Tabaret or Lecoq very closely: one such is in “The Boscombe Valley Mistery”, where his almost physical transformation into “a dog who is picking up a scent” (p. 211) follows a similar description of Lecoq almost point by point (Gaboriau, Lecoq, p. 37); another is in A

Study in Scarlet, where his “little cries suggestive of encouragement and of hope”

(Doyle, Complete Adventures, p. 31), are identical to Tabaret’s “little cries of triumph or self-encouragement”, as he makes virtually the same deductions about the criminal’s height from the spacing of his footprints (Gaboriau, Lerouge, p. 26)26.

È interessante ricordare come in A Study in Scarlet siano esplicitamente nominati tutti i predecessori virtuali a cui Doyle si sarebbe ispirato per modellare il suo personaggio (Dupin, Vidocq e Lecoq) e siano riecheggiati alcuni passi delle opere che hanno immortalato questi

detective leggendari. Questo primo romanzo di Doyle, oltre a presentare il detective ormai

più famoso del mondo, introdusse nel genere il termine abduction (dal latino ab ducere), una forma particolare di deduzione logica per noi oggi piuttosto noto nel genere, ma fino ad allora non espressa pienamente. In filosofia, l’abduzione è un sillogismo la cui premessa maggiore è certa, mentre quella minore è probabile, e dunque anche la conclusione risulterà poco più che probabile. Tuttavia, questo concetto è stato sviluppato anche dal filosofo statunitense Charles Sanders Pearce nei suoi studi sulla concezione della logica, dove l’abduzione è considerata come primo passo del ragionamento scientifico, in cui si stabilisce un’ipotesi per spiegare alcuni fatti empirici. Il filosofo teorizzò che il pensiero umano ha tre modi diversi di ragionare: per deduzione, per induzione e per abduzione. Nel ragionamento deduttivo, la conclusione scaturisce automaticamente dalle premesse, poiché, date certe regole e situazioni, il risultato non può divergere molto; in quello induttivo, invece, si osservano caso e risultato per risalire alla regola, basandosi sul fatto che delle regolarità registrate in un determinato fenomeno continueranno a ricorrere uguali anche in futuro;

25 Cfr. Martin Priestman, op. cit., pp. 75-79. 26 Ibidem, p. 83.

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infine, nel ragionamento abduttivo, dal risultato e dalla regola si ipotizza un caso. Secondo Peirce, l’abduzione è l'unica forma di ragionamento atta ad accrescere il nostro sapere, in quanto permette di formulare nuovi concetti, di indovinare e prevedere. Proprio durante il primo incontro tra Holmes e Watson, il detective dà una dimostrazione pratica di questo meccanismo: nello stringere la mano dell’uomo, Holmes afferma che l’altro è tornato dalla guerra in Afghanistan. A tale conclusione egli è arrivato notando una serie di elementi nell’aspetto di Watson, come l’aria da militare, il volto abbronzato ma i polsi chiari, l’aria un po' emaciata di chi ha sofferto la fame, e un braccio che è stato ferito, perché risulta molto rigido. L’investigatore argomenta dunque che un gentiluomo inglese abbronzato, che aveva patito stenti ed era stato ferito, poteva all’epoca aver vissuto solo in una situazione come quella della guerra in Afghanistan27.

Le ambientazioni dei testi in cui è protagonista Holmes non sono né spiccatamente gotiche, né esotiche, ma, a parte tre storie, si dividono tra un tranquillo appartamento arredato in stile post-vittoriano e le strade di una movimentata e caotica Londra. La figura che si staglia in questo setting è quella di un uomo alto, magro, con la vista di falco, in mantellina e deerstalker (tipico berretto britannico da caccia), indumento che, insieme alla pipa e alla lente di ingrandimento, è divenuto simbolo identificativo di Sherlock Holmes stesso. Holmes sembra a prima vista affine alle figure della tradizione letteraria romantica, apparendo un eroe fiero, ma alienato e isolato, forse anche perché superiore rispetto al resto delle persone. Egli è però reso unico dalle sue eccentricità e dalle abitudini bizzarre; a ciò si aggiungono l’intelligenza e la cultura, nonché le tendenze eversive, come le iniezioni di cocaina e morfina. Holmes è inoltre un esteta, un appassionato di musica, nonché musicista lui stesso (per la precisione, è un violinista); ha grandi doti e abilità anche nelle metodologie scientifiche e, nonostante sia diverso da tutti, è capace di comprendere il modo di vivere e i pensieri della gente comune e i loro errori.

Dal punto di vista strettamente investigativo, pur riuscendo a interpretare e dedurre la dinamica dei fatti tramite l’attenta osservazione anche di semplici oggetti di uso comune, egli ricorre a un metodo di indagine che fa leva anche sull’intuizione e su collegamenti logici strabilianti, inattesi, frutto di percorsi mentali di impianto singolare. Le rivelazioni conclusive su crimini e criminali28 appaiono invece simili a quelle dei predecessori letterari,

27 Cfr. Arthur Conan Doyle, “A Study in Scarlet”, in The Complete Sherlock Holmes, New York, Doubleday

& Company, 1970, p. 24.

28 L’espediente del finale rivelatore sarebbe stato introdotto a partire da “A Case of Identity”, il secondo

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e pienamente comprensibili anche da parte di lettori poco esperti di Crime e Detective

Fiction. Le prime dodici storie vennero successivamente raccolte nel volume The Adventures of Sherlock Holmes (1892); esse non descrivono assassinii o atti di grande

violenza, ma piuttosto oscuri crimini perpetrati da personaggi ambigui, o errori legati alla sete di denaro o motivi passionali. Alla prima serie seguirono The Memoirs of Sherlock

Holmes (1894), The Return of Sherlock Holmes (1905), His Last Bow (1917) e infine The Case-Book of Sherlock Holmes (1927), mentre ai romanzi si aggiunsero The Hound of the Baskervilles (1902) e The Valley of Fear (1915).

Nelle storie holmesiane raramente troviamo un sub-plot; il racconto risulta lineare, mentre spicca la caratterizzazione dei personaggi, in primo luogo Holmes e l’assistente e io-narrante Watson. Proprio la presenza di quest’ultimo e il suo primo incontro con Holmes, insieme alla decisione dei due di vivere nello stesso appartamento, all’indirizzo oramai celeberrimo di 221B Baker Street, richiamano alla memoria l’assistente/narratore che Dupin incontra in libreria e che convince a trasferirsi con lui nella grande villa. I toni sono comunque differenti, e anche John H. Watson acquisisce un profilo più innovativo: egli è un chirurgo militare dell’esercito coloniale britannico, che torna in patria con una gamba compromessa a seguito di una ferita riportata durante la seconda guerra anglo-afghana. Si ritrova instancabile collaboratore di Holmes per i due decenni successivi e diviene il narratore delle sue gesta per cinquantasette delle sessanta storie di cui Holmes è protagonista; delle restanti, una contiene una narrazione in terza persona e in due è il detective a raccontare la vicenda, ma si tratta di storie contenute tutte nell’ultima raccolta del 1927, riconosciuta universalmente come la meno riuscita. Per alcuni aspetti, Watson è stato spesso interpretato nell’ottica di un alter-ego finzionale di Doyle, un medico non più giovane, acculturato, che vive, si presume, in parte della propria attività di scrittore.

Nonostante il grande successo legato alla figura di Sherlock Holmes, il genio creativo di Doyle relativamente alla detective fiction andò esaurendosi negli anni, tanto da indurlo ad affermarsi in altri generi, come quello storico. Di qui la decisone di decretare la “morte” del proprio personaggio in “The Final Problem”29, con un decesso che avviene durante la lotta contro la sua nemesi criminale, il Professor James Moriarty, trasformatosi in archetipo del genio del male. Grazie a un contratto allettante stipulato con Newnes, Doyle continuò tuttavia a scrivere testi su Holmes, per esempio ambientando The Hound of the Baskervilles in un’epoca retrospettiva e avvalendosi del sostegno dell’amico Bertram Fletcher Robinson,

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che, in una nota su The Strand, lo scrittore ringraziò per averlo ispirato sia per la trama che per l’ambientazione.

The Hound of the Baskervilles va comunque tenuto presente in quanto qui Doyle espresse

in modo straordinariamente maturo le sue doti di autore di detective fiction30. La scena si sposta nelle campagne inglesi del Dartmoor, che si dice siano infestate da un cane infernale, una creatura legata a una antica maledizione che grava sulla nobile famiglia dei Baskervilles. L’investigatore è chiamato ad affrontare un caso che sembra avere una qualità soprannaturale, con cui viene all’inizio a confrontarsi Watson, costantemente in contatto con Holmes al fine di aggiornarlo sulle ricerche compiute, almeno fino all’apparizione, a sfondo melodrammatico e di immediato richiamo gotico, dell’amico, in realtà sempre presente sul campo, nascosto tra le ombre notturne della brughiera. Il finale e la rivelazione del colpevole, tuttavia, porranno decisamente in secondo piano ogni possibile traccia gotica, conferendo alla vicenda l’impianto del “soprannaturale spiegato”: dietro la morte di Sir Charles Baskerville, infatti, non si nasconde nessun evento magico, ma, come in genere si riscontra in Doyle, si tratta di un inganno architettato da persone apparentemente rispettabili e tuttavia mosse dalla sete di denaro e prestigio. Holmes svela l’identità dell’assassino, appartenente alla stessa famiglia Baskerville e, anche se il colpevole non viene fisicamente catturato, si presume che l’uomo trovi la morte durante la fuga nelle paludi.

Sull’opera di Doyle e sui crimini descritti nelle storie holmesiane si potrebbe dire ancora molto, ma, ai nostri fini, è utile citare un estratto dell’analisi di Stephen Knight nel suo saggio del 2004:

Sherlock Holmes and the crimes he encounters are fictions: but the imaginative and ideological forces realized in the stories are real; in that respect Holmes is an archetype of the whole century’s crime fiction. It is through the techniques of fiction and writing that this massive body of literature has been assembled to speculate about social disorder, threats to property and body, and to imagine responses to them. Detectives were a realistic enough need, though in factual terms they only slowly came into being and then initially in small numbers: fiction created them more liberally and, as in the case of women detectives and scientific analysis, sometimes far ahead of the reality. But, as Foucalt indicates, the key move was to understand and reimagine the disciplinary nature of the modern world, in law and education, railway trains and prison buildings. The authors created models of such discipline in various ways, ranging from limited plodding police who were only just separated from the sovereign model of their servile helmet-wearing colleagues, […] to the highly intelligent analyst who, remarkably anticipated by Poe with Dupin, offers various forms of intellectual activity as a shield against criminal disruption – yet, as is so clear with Lecoq and Holmes, also keeps in

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