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Analisi delle recidive in pazienti sottoposte a chirurgia primaria per carcinoma endometriale

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Academic year: 2021

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INDICE

1. Riassunto pag. 2

2. Introduzione pag. 5

2.1. Epidemiologia pag. 5

2.2. Anatomia patologica pag. 7

2.3. Vie di diffusione pag. 9

2.4. Diagnosi precoce pag. 10

2.5. Diagnosi clinica e sintomatologia pag. 12

2.6. Stadiazione e prognosi pag. 12

2.7. Terapia pag. 20

2.8. Linee guida pag. 34

2.9. Obiettivo della tesi pag. 39

3. Materiali e metodi pag. 40

4. Risultati pag. 43

5. Discussione e conclusioni pag. 46

6. Bibliografia pag. 50

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1. Riassunto

Il carcinoma endometriale è il quarto tumore per incidenza nella popolazione femminile in Europa, dopo il carcinoma della mammella, del colon-retto e del polmone. Sono state descritte due varianti anatomo-cliniche: carcinoma endometrioide di tipo I, estrogeno-dipendente, insorge frequentemente su un’iperplasia endometriale ed ha una prognosi generalmente favorevole, ed il carcinoma non endometrioide di tipo II, comprendente gli istotipi sieroso-papillifero e a cellule chiare, non estrogeno-dipendente, insorge su un endometrio atrofico, può spesso associarsi ad una lesione superficiale dell’endometrio detta carcinoma endometriale intraepiteliale ed ha una prognosi sfavorevole. La sopravvivenza a 5 anni secondo i dati dell’Annual Report n. 26, è del 90.8% per le pazienti in stadio Ia, 91.1% per lo stadio Ib, 85.4% nello stadio Ic, 83.3% per lo stadio IIa, 74.2% per lo stadio IIb, 66.2% per lo stadio IIIa, 49.9% per lo stadio IIIb, 57.2% per lo stadio IIIc, 25.5% per lo stadio IVa, e 20.1% per il IVb. Lo stadio FIGO, il tipo istologico, il grado tumorale, l’entità di invasione miometriale e lo stato degli spazi vascolari sono le più importanti variabili prognostiche per questa neoplasia. Il trattamento standard consiste nella chirurgia rappresentata dall’isterectomia totale con annessiectomia bilaterale +/- linfadenectomia, mentre la terapia adiuvante, essenzialmente rappresentata dalla radioterapia, è usualmente somministrata alle pazienti a medio e alto rischio. Il maggiore rischio di recidiva per il carcinoma endometriale è presente entro i primi 36 mesi dalla diagnosi con percentuali variabili dall’11 al 19% ed il 41-90% di esse coinvolge sedi a distanza.

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Lo scopo di questa tesi è stato l’ analisi delle recidive in pazienti sottoposte a chirurgia primaria con o senza trattamento adiuvante per carcinoma di tipo endometrioide dell’endometrio. In dettaglio sono stati esaminati i fattori di rischio per le recidive a distanza in pazienti in fase iniziale al fine di identificare sottogruppi di pazienti nelle quali fosse indicato un trattamento adiuvante comprendente la chemioterapia con modalità sequenziale o concomitante rispetto alla radioterapia. Tra l’Agosto 1990 e l’Aprile 2005, 259 pazienti con carcinoma di tipo endometrioide dell’endometrio sono state sottoposte presso il nostro Istituto a laparotomia, washing peritoneale, laparoisterectomia totale e salpingo-ovariectomia bilaterale con (n.158) o senza (n.101) linfadenectomia pelvica +/- lombo-aortica. Trentasei di loro hanno sviluppato recidiva di malattia dopo un tempo mediano di 17 mesi (range, 2-128 mesi). La recidiva era regionale in 9 pazienti, a distanza in 21 e sia loco-regionale che a distanza in 6. Sono state esaminate in dettaglio, 12 pazienti con malattia in stadio Ib-II che hanno sviluppato recidive a distanza e 20 pazienti di controllo con malattia in stadio Ib-II che sono invece rimaste libere da recidiva dopo un follow-up mediano di 52 mesi (37-66 mesi). Per quanto riguarda il primo gruppo, 2 pazienti non hanno ricevuto alcun trattamento postoperatorio, 9 sono state sottoposte a radioterapia esterna pelvica adiuvante (seguita da brachiterapia in due casi) ed una paziente ha ricevuto chemioterapia adiuvante a base di platino seguita da radioterapia esterna pelvica. L’intervallo mediano di tempo tra la chirurgia e lo sviluppo della recidiva a distanza è stato di 16.5 mesi (range, 5-13 mesi). La recidiva a distanza è stata il polmone in 9 pazienti, il fegato in 2 pazienti e il polmone più il

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fegato in una paziente Nelle 20 pazienti libere da recidiva, 13 non hanno ricevuto alcuna terapia adiuvante postoperatoria, mentre 7 pazienti sono state trattate invece con radioterapia adiuvante esterna pelvica.

All’analisi univariata, il grado FIGO 3 (p= 0.0114), l’invasione del terzo esterno del miometrio (p= 0.0051) e l’interessamento degli spazi linfo-vascolari (p= 0.0022) sono risultate tutte variabili significativamente predittive delle recidive ematogene a distanza all’analisi univariata. Questi fattori sono strettamente correlati tra di loro, poichè i tumori G1 e G2 tendono ad essere meno invasivi e ad avere un minore interessamento linfo-vascolare, mentre i tumori G3 sono spesso profondamente invasivi ed hanno una maggiore frequenza di interessamento degli spazi linfo-vascolari. Infatti alla regressione logistica multipla abbiamo ottenuto che soltanto la profondità di invasione miometriale (p= 0.0345) e l’interessamento degli spazi linfo-vascolari (p= 0.0264) sono variabili predittive indipendenti per recidiva ematogena a distanza. Tuttavia i nostri dati sembrano consigliare di classificare l’invasione miometriale come terzo interno, terzo medio e terzo esterno. Pertanto le pazienti con tumore dell’endometrio di tipo endometrioide in fase iniziale con invasione del terzo esterno del miometrio e/o interessamento degli spazi linfo-vascolari dovrebbero essere incluse in studi randomizzati disegnati per di valutare il ruolo della chemioterapia adiuvante sola o in combinazione con la radioterapia esterna pelvica sequenziale e/ o concomitante

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2. Introduzione 2.1. Epidemiologia

Il carcinoma dell’endometrio è il più comune tumore della sfera ginecologica nel mondo occidentale essendo responsabile del 6% dei tumori nel sesso femminile e di una mortalità dello 0.8% per patologia neoplastica nel sesso femminile. Ogni anno i casi di carcinoma endometriale ed i decessi per questa neoplasia sono, rispettivamente, 142000 e 42000 nel mondo e 5000 e 1700 in Italia. Secondo i dati dell’Annual Report n. 26 della Federazione Internazionale dei Ginecologi ed Ostetrici, la sopravvivenza globale a 5 anni è dell’80% (1).

Tuttavia è stata osservata una differenza di tipo razziale in sopravvivenza a 5 anni che è dell’80.8% per le donne over 65 di razza bianca e solo del 53.3% per le donne di razza nera appartenenti allo stesso gruppo d’età. Non è chiaro se l’alta mortalità nelle donne di razza nera sia legata ad un ritardo diagnostico, alla mancanza di accesso alle cure o alla presenza di una malattia biologicamente più aggressiva. Infatti solo il 52% delle donne di razza nera sopra i 50 anni presenta una malattia in I stadio rispetto al 73% di quelle di razza bianca della stessa età.

L’incidenza globale del carcinoma dell’endometrio verosimilmente aumenterà in futuro secondariamente all’aumento dell’obesità e all’invecchiamento della popolazione (2).

Sono state descritte due varianti anatomo-patologiche: il carcinoma endometrioide di tipo 1 è estrogeno dipendente, insorge frequentemente su un’iperplasia ed ha prognosi generalmente favorevole; il carcinoma non endometrioide di tipo 2,

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comprendente gli istotipi sieroso-papillifero e a cellule chiare, non è estrogeno dipendente, insorge su un endometrio atrofico, ha aggressività biologica molto elevata e prognosi sfavorevole.

I fattori di rischio (tabella 1) comprendono menarca precoce, menopausa tardiva, nulliparità, disfunzioni ovariche quali la sindrome dell’ovaio policistico, diabete, ipertensione, obesità, terapia estrogenica non bilanciata e uso del Tamoxifene.

Gli estrogeni giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi dei tumori di tipo 1 che rappresentano oltre l’80% dei casi di carcinoma endometriale. Pertanto la produzione endogena di questi ormoni non controbilanciata dalla ciclica produzione di progesterone (stati di iperestrogenismo abituali con cicli anovulatori come la sindrome dell’ovaio policistico), sia la somministrazione esogena per lungo tempo di soli estrogeni (come ad esempio accade nei soggetti che dalla pubertà in poi vengono trattate per disgenesia gonadica) possono favorire la formazione dell’adenocarcinoma endometriale attraverso lo stimolo proliferativo sulla mucosa uterina che determina uno stato di iperplasia. Continuando lo stimolo, l’iperplasia diventa adenomatosa o complessa poi atipica fino ad arrivare all’adenocarcinoma vero e proprio (3).

Nella donna in menopausa l’obesità comporta un aumento delle aromatasi periferiche con conseguente incremento della conversione dell’androstenedione (di prevalente origine surrenalica) in estrone. Inoltre le pazienti obese hanno livelli più bassi di SHBG con conseguente aumento della quota di estrogeni liberi biologicamente attivi non controbilanciati dal progesterone.

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2.2 Anatomia patologica

Come già detto esistono due tipi di carcinoma endometriale (4-6). Il carcinoma endometrioide di tipo 1 ed il carcinoma non endometrioide di tipo 2 (sieroso papillifero e a cellule chiare). Anche la patogenesi molecolare è diversa tra i due tipi: nel carcinoma endometrioide sono state identificate anomalie genetiche quali instabilità dei microsatelliti, mutazioni dei geni PTEN, k-RAS e della _-catenina, mentre il carcinoma sieroso-papillifero presenta mutazioni a carico del gene p53 e perdita di eterozigosi di alcuni cromosomi. Inoltre il carcinoma non endometrioide può svilupparsi dalla dedifferenziazione di un precedente carcinoma endometrioide. In alcuni casi il tumore presenta sovrapposizioni cliniche, morfologiche, immunoistochimiche e molecolari dei due tipi (5, 7).

L’adenocarcinoma endometrioide è il più comune tipo istologico di carcinoma dell’endometrio. Focolai di differenziazione squamosa benigna o maligna possono coesistere con l’adenocarcinoma ma il grado e la prognosi vengono comunque determinati sulla base della componente ghiandolare (2).

Si parla di adenoacantoma quando la componente squamosa non presenta atipie mentre la componente ghiandolare ha caratteri di malignità nel 10% dei casi con tuttavia una buona prognosi; si definisce invece carcinoma a cellule squamose (2% dei casi) la lesione, più caratteristica dell’età senile, derivante con ogni probabilità dalla metaplasia squamosa tipica dell’epitelio cilindrico endometriale con una sopravvivenza a 5 anni del 20% allo stadio III (3). Si definisce infine carcinoma squamoadenomatoso o adenosquamoso la lesione in cui sia la componente

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ghiandolare che quella squamosa mostrano segni di atipia; questo tumore sorge spesso su un terreno infiammatorio (piometra, endometrite) o di metaplasia squamosa endometriale con una prognosi piuttosto sfavorevole.

Altre varietà sono l’adenocarcinoma secernente mucina (simile all’adenocacrinoma cervicale) e il carcinoma a cellule argirofile, rarissimo, formato da cellule contenenti dopamina.

La lesione precancerosa dell’adenocarcinoma endometrioide è l’iperplasia endometriale che produce un continuum di lesioni difficili da differenziare dalla normale istologia.

Nella tabella 2 si riporta la classificazione della iperplasia endometriale secondo l’Organizzzione Mondiale della Sanità (8).

Frequentemente, in presenza di una iperplasia endometriale atipica, si trova un’area di adenocarcinoma non ancora diagnosticato (2).

Da un punto di vista macroscopico il carcinoma dell’endometrio può accrescersi, in qualunque parte della cavità uterina, in due forme: circoscritta o diffusa. Nella prima la formazione neoplastica si presenta sotto forma di polipo (con aspetti più irregolari, friabile e con presenza di aree necrotiche ed emorragiche rispetto ai comuni polipi benigni) o, più raramente, come una ulcerazione o un rilievo nodulare limitato ad una precisa zona dell’endometrio (3). Nella forma diffusa invece la lesione occupa gran parte della cavità endometriale e può derivare dall’estensione di una forma circoscritta che origina per lo più al terzo superiore della cavità uterina oppure può essere dovuta all’origine multicentrica del tumore. L’infiltrazione miometriale è

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comune nelle forme circoscritte ulcerative (dove si può verificare un’erosione progressiva dello spessore muscolare fino alla superficie peritoneale) mentre è meno frequente nelle forme diffuse e proliferative.

Nell’ambito dell’adenocarcinoma endometriale esistono diversi gradi di differenziazione che vengono anche indicati per consuetudine nella stadiazione dato che rappresentano un importante fattore prognostico assieme al grado nucleare. Secondo la classificazione FIGO i gradi sono tre (G1, G2, G3). I tumori G1 hanno prognosi migliore (3).

Il grading viene valutato sulla base dell’interessamento della componente ghiandolare da parte della crescita solida non squamosa o non morulare: <5%, 6-50%, >50% (1). Una significativa atipia nucleare aumenta di un punto il grado istologico. Nel tumore sieroso papillifero, carcinoma a cellule chiare e adenosquamoso, il grado nucleare ha la precedenza. L’adenocarcinoma con differenziazione squamosa è graduato secondo il grado nucleare della componente ghiandolare.

2.3. Vie di diffusione

Il carcinoma dell’endometrio diffonde per via diretta (miometrio, cervice, annessi, vagina e, più raramente, vescica e retto), per via linfatica e per via ematogena (3, 7). I tronchi linfatici drenano per la maggior parte ai linfonodi pelvici e lombo-aortici attraverso i legamenti larghi, i parametri e i legamenti infundibolo pelvici e, meno frequentemente, ai linfonodi inguinali attraverso i linfatici del legamento rotondo (3,

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9-11). La diffusione per via linfatica può inoltre arrivare a coinvolgere il fondo vaginale o il terzo inferiore della parete vaginale anteriore nella zona sottouretrale (1).

Le metastasi per via ematogena avvengono piuttosto tardivamente e coinvolgono il polmone (2-3% dei casi), il fegato, le ossa, la vagina per via venosa retrograda e altri organi e, assieme a quelle per via linfatica, sono tanto più frequenti quanto meno è differenziato il tumore e quanto più invade in profondità il miometrio. Rare invece le metastasi cerebrali (3).

2.4. Diagnosi precoce

Il prelievo vaginale esocervicale ed endocervicale, utile nella diagnosi precoce del carcinoma cervicale, non ha valore predittivo della situazione endometriale in quanto le cellule endometriali esfoliate, subite le influenze dell’ambiente vaginale e/o avendo impiegato alcuni giorni per giungere a livello cervicale, presentano alterazioni per cui perdono quelle caratteristiche che permettono di differenziare la cellula normale dalla neoplastica (3). È quindi necessario prelevare cellule (esame citologico) o tessuti (esame istologico) direttamente dentro la cavità uterina e, negli ultimi anni, sono stati sviluppati a tale scopo vari dispositivi monouso che il più delle volte non richiedono neppure la dilatazione della cervice.

La mucosa endometriale può essere ottenuta per aspirazione con dispositivo tipo Vabra (cannula metallica o di plastica che abrade ed aspira con l’estremità distale aperta e ricurva mentre il materiale viene poi condotto in un contenitore attraverso un filtro in collegamento con l’estremità distale) o per abrasione (scraping) per mezzo di

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un apparecchio dotato di fibre di nylon o di alette di polietilene. In presenza di aspetti citologici o di quadri istologici atipici dopo prelievo per scraping o per aspirazione, vi è indicazione all’isteroscopia. In questo modo sarà anche possibile l’asportazione di eventuali polipi; sarà ovviamente poi l’esame istologico sull’endometrio asportato a precisare la natura della alterazione. La metodica migliore per il controllo periodico dell’endometrio e dell’endocervice è quella che si avvale dell’isteroscopio e del microisteroscopio di Hamou con cui si riesce ad avere una visione panoramica della mucosa del corpo uterino e del canale cervicale e si possono individuare aree carcinomatose anche molto piccole e guidare il prelievo bioptico in modo mirato. Per quanto riguarda l’utilizzo dell’ecografia transvaginale questa può mettere in evidenza l’iperplasia indotta dagli estrogeni nelle donne in postmenopausa (spessore >5-6 mm) le quali dovrebbero invece avere un endometrio atrofico (spessore <5 mm) e l’utilizzo in associazione della flussimetria con il color Doppler potrebbe inoltre migliorare l’accuratezza dell’indagine e ridurre i falsi positivi. Nelle pazienti sintomatiche (perdite ematiche atipiche) con spessore endometriale < 8 mm, l’ atrofia era presente nel 70% dei casi, l’ iperplasia complessa nel 30% e il carcinoma nello 0%; in quelle asintomatiche invece l’ atrofia nell’88%, l’ iperplasia complessa nel 12% e il carcinoma nello 0%. Si dimostrava in questo modo come la diagnosi istologica non fosse sempre correlata ai sintomi clinici. In assenza di carcinoma inoltre il color Doppler transvaginale evidenzia l’assenza di flusso intorno e dentro l’endometrio mentre in presenza di neoplasia si vede l’arteria che alimenta il tessuto e la presenza

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di flusso di sangue nell’endometrio. Con l’ecografia transvaginale si può inoltre valutare la profondità di invasione miometriale con un’accuratezza dell’84%.

2.5. Diagnosi clinica e sintomatologia

Il 90% delle pazienti con carcinoma dell’endometrio presenta un anomalo sanguinamento vaginale, ma in casi con stenosi cervicale la neoplasia può presentarsi con ematometra o piometra. Nelle donne in premenopausa un anomalo sanguinamento uterino spesso significa menorragia.

Un’altra manifestazione possibile della neoplasia è la leucoxantorrea dovuta a fenomeni di congestione che si associano al tumore e talora a fatti di necrosi e colliquativi che si verificano nelle vegetazioni neoplastiche. A volte si tratta di perdite bianco giallastre maleodoranti. Il dolore compare tardivamente e quando la neoplasia coinvolge organi pelvici addominali (sigma, intestino tenue, vescica e retto). In fase precoce il dolore può essere legato alla sovradistensione uterina da parte delle vegetazioni tumorali e alle contrazioni uterine che tale sovradistensione risveglia.

2.6. Stadiazione e prognosi

Nel 1988 la Federation International of Gynecology and Ostetrics [FIGO] Committee on Gynecologic Oncology ha cambiato la stadiazione del carcinoma dell’endometrio da una stadiazione clinica ad una chirurgica-patologica richiedente un accurato esame istopatologico del pezzo chirurgico per valutare la reale estensione della malattia e per definire una serie di variabili prognostiche (7). Un’accurata stadiazione

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chirurgica mostra che il 15-20% delle pazienti con tumore apparentemente confinato al corpo dell’utero ha in realtà un’estensione subclinica della malattia alla cervice, annessi, linfonodi o peritoneo (7, 12). Per quanto riguarda il work-up preoperatorio, la paziente deve eseguire:

• Rx torace

• Eco addome/pelvi per escludere i rari casi di pazienti con evidenza clinica di diffusione a distanza.

• TC e/o RM per poter valutare infiltrazione del miometrio, stato dei linfonodi, eventuale presenza di malattia peritoneale e/o epatica. Il ricorso a queste indagini è comunque opzionale.

Ulteriori indagini (cistoscopia, colonscopia, PET) possono essere eseguite su precisa indicazione clinica.

Quando il collo dell’utero presenta un aumento di volume si deve porre diagnosi differenziale con l’adenocarcinoma della cervice uterina.

Il sistema di stadiazione FIGO (1988) prevede un’accurata valutazione chirurgica, pertanto le pazienti con carcinoma endometriale devono essere sottoposte a terapia chirurgica primaria ad eccezione dei rari casi che presentano, alla valutazione iniziale, una diffusione istologica confermata alla vescica e/o al retto o metastasi a distanza.

La chirurgia deve rappresentare il momento terapeutico principale in ogni paziente in cui la neoplasia sia aggredibile chirurgicamente. Al momento dell’apertura dell’addome occorre praticare l’aspirazione del fluido peritoneale libero e/o, in sua

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assenza, fare il lavaggio peritoneale della pelvi su cui effettuare l’esame citologico; l’ispezione dell’omento e dei visceri addominali e la biopsia di ogni lesione sospetta a questo livello; la biopsia dei linfonodi pelvici e/o lombo-aortici se esiste alla diagnostica per immagini preoperatoria o alla palpazione intraoperatoria il sospetto di metastasi linfonodali (3).

Nella tabella 3 si riporta la stadiazione chirurgica del carcinoma dell’endometrio secondo la FIGO.

La sopravvivenza a 5 anni secondo i dati dell’Annual Report n. 26, è del 90.8% per le pazienti in stadio Ia, 91.1% per lo stadio Ib, 85.4% nello stadio Ic, 83.3% per lo stadio IIa, 74.2% per lo stadio IIb, 66.2% per lo stadio IIIa, 49.9% per lo stadio IIIb, 57.2% per lo stadio IIIc, 25.5% per lo stadio IVa, e 20.1% per il IVb (1).

La sopravvivenza, per ogni stadio, correla col grado di differenziazione e con l’istotipo. Per esempio la sopravvivenza a 5 anni è del 92.9% per il G1, 89.9% per il G2 e 78.9% per il G3. Inoltre la sopravvivenza a 5 anni risultava essere dell’83.2% per il carcinoma endometrioide, 80.6% per l’adenosquamoso, 52.6% per il carcinoma sieroso papillifero e 62.5% per il carcinoma a cellule chiare. La scarsa sopravvivenza a questi ultimi due tipi istologici dipende dal loro comportamento biologico aggressivo e, in particolare, dall’alta frequenza di diffusione extra-uterina (13, 14). Rispetto all’adenocarcinoma endometrioide, il carcinoma sieroso papillifero è associato a più frequente invasione linfatica, invasione profonda del miometrio, metastasi ai linfonodi e peggiore sopravvivenza. La neoplasia è considerata avere una cattiva prognosi anche in assenza di invasione profonda del miometrio o di metastasi linfonodali (7).

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Questi dati sono stati confermati da Cirisano e coll. (14) che hanno confrontato la sopravvivenza e le recidive nello stadio I-II dei carcinomi sieroso papillifero, cellule chiare ed endometrioide.

Nel tumore endometrioide la sopravvivenza è risultata essere direttamente correlata all’invasione del miometrio mentre negli istotipi sieroso papillifero e a cellule chiare si è dimostrata infausta indipendentemente dalla profondità di invasione. Un biologia più aggressiva nel sieroso papillifero (36%) e nel tumore a cellule chiare (44%) rispetto al tumore endometrioide di alto grado (19%) sembra correlare con una più alta frequenza di diffusione intra-addominale disseminata. Tutte queste caratteristiche riflettono l’alto tasso di recidive nel tumore sieroso papillifero (38%) e in quello a cellule chiare (22%) rispetto all’endometrioide (9%) con una sopravvivenza del 56% per i primi due istotipi allo stadio chirurgico I-II rispetto all’ 80% dell’endometrioide. L’interessamento linfonodale è correlato ad alcune variabili patologiche quali il grado istologico, l’invasione miometriale, il tipo istologico, l’interessamento degli spazi linfo-vascolari, le dimensioni del tumore, l’estensione cervicale, la citologia peritoneale, le metastasi agli annessi (15-18).

In uno studio del Gynecologic Oncology Group [GOG] includente 621 pazienti con carcinoma dell’endometrio in stadio I la positività dei linfonodi pelvici e lombo- aortici decorreva tra il 3% e il 2% per il grado 1 e tra il 18% e l’11% per il grado 3 e tra l’1% e l’1% per i tumori confinati all’endometrio e tra il 25% e il 17% per quelli invadenti il miometrio in profondità (15).

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La rilevanza prognostica della citologia peritoneale in pazienti con carcinoma dell’endometrio apparentemente confinato al corpo dell’utero ma classificato in stadio IIIa solo per la presenza di cellule neoplastiche nel fluido peritoneale o nel liquido ottenuto per washing peritoneale è ancora dibattuta (19-23). Al contrario la citologia peritoneale positiva è un fattore prognostico sfavorevole nelle pazienti con malattia extra-uterina (19-21, 24).

Ad esempio secondo Kadar e coll (19) se il tumore ha disseminato agli annessi, linfonodi o peritoneo, la presenza di positività della citologia peritoneale fa scendere la sopravvivenza a 5 anni dal 73% al 13%. Analogamente Ebina e coll. (20) hanno riportato che negli stadi IIIc e IV la prognosi è significativamente peggiore per le pazienti con citologia peritoneale positiva. Molti autori, comunque, sono concordi sul fatto che la positività della citologia peritoneale abbia un impatto prognostico significativo solo in presenza di altri fattori prognostici negativi (21, 25).

Nella tabella 4 si riportano i fattori di rischio per la recidiva del carcinoma dell’endometrio (7).

Anche l’età è un fattore prognostico indipendente come provato da uno studio GOG nel quale la percentuale di sopravvivenza a 5 anni per le pazienti con meno di 40 anni era del 96.3%, comparato al 53.6% delle pazienti con più di 80 anni (26).

Si è dunque visto come l’invasione miometriale e il grado istologico abbiano un grande impatto sulla prognosi: una maggior invasione miometriale ed un più alto grado istologico correlano con un maggior rischio di diffusione linfonodale,

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annessiale, intra-peritoneale, nonchè di recidive a livello della vagina e di metastasi ematogene (15).

Un altro fattore patologico di rischio che sembra influenzare le recidive e la mortalità è l’invasione degli spazi vascolari; Aalders e coll. (27) hanno descritto recidive e morti nel 26.7% dei pazienti con invasione degli spazi vascolari e nel 9.1% dei pazienti che non avevano questo reperto; l’incidenza complessiva di invasione degli spazi linfo-vascolari nello stadio I è del 15% ed è stato visto essere correlata con l’invasione miometriale e con la differenziazione tumorale.

Bell e coll (18) hanno revisionato i dati di 31 casi di carcinoma dell’endometrio in stadio I per la determinazione di indicatori prognostici indipendenti delle metastasi linfonodali e delle recidive dimostrando che l’unico fattore di rischio associato ad entrambi era proprio l’invasione degli spazi vascolari (p<0.05).

Watari e coll. (28) hanno comparato la sopravvivenza in 55 pazienti con linfonodi positivi, trattati con chirurgia e chemioterapia adiuvante, per determinare la variabile patologica determinante l’esito finale della malattia e la conclusione dello studio è stata che l’invasione degli spazi vascolari e il numero di linfonodi lombo-aortici positivi erano fattori prognostici indipendenti per la sopravvivenza. È stato stimato un tasso di sopravvivenza a 5 anni dell’86.4% per le pazienti senza linfonodi lombo-aortici positivi, 60.4% per quelle con un linfonodo positivo e 20% per le pazienti con più di due linfonodi positivi e la differenza era statisticamente significativa in casi con più di due linfonodi positivi. L’analisi univariata ha rivelato che l’invasione degli spazi

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vascolari (p= 0.0173) e la positività dei linfonodi lombo-aortici (p= 0.0016) erano correlati con una bassa sopravvivenza.

L’espressione dei recettori per estrogeni e progesterone nel tessuto maligno è inversamente proporzionale al grado istologico e correla con una migliore sopravvivenza rispetto ai casi in cui il tumore non esprime i medesimi (29).

Prima del 1988 l’estensione uterina è stata usata come indice prognostico anche se con una rilevanza in realtà limitata. Gli autori hanno inziato ad assumere che, così come per il carcinoma della cervice e della mammella, anche nel tumore dell’endometrio le dimensioni della massa potessero rappresentare un fattore prognostico. Nello studio di Schink e coll. (30) la dimensione della neoplasia è stata determinata in 142 pazienti con carcinoma dell’endometrio in stadio clinico I, trattate primariamente con laparoisterectomia totale, salpingo-ovariectomia bilaterale, e biopsie linfonodali per valutare se il rischio di interessamento linfonodale fosse correlato alla dimensione del tumore e se questa caratteristica influenzasse chiaramente la sopravvivenza. Gli autori hanno mostrato che le piccole neoplasie di diametro uguale o inferiore ai 2 cm, avevano solo un 4% di rischio di metastasi linfonodali e un 98% di sopravvivenza a 5 anni. Viceversa quando il carcinoma dell’endometrio in stadio clinico I interessa l’intera cavità uterina, il 35% delle pazienti presentano metastasi linfonodali con una sopravvivenza a 5 anni di solo il 64%. Altri autori hanno tentato di identificare fattori prognostici per stratificare le donne con carcinoma dell’endometrio in gruppi di rischio così che il trattamento potesse essere adeguato al rischio di recidive. Secondo Mariani e coll. (31) l’analisi intra-operatoria

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del diametro del tumore dovrebbe permettere in precedenza la linfadenectomia in circa un quinto delle pazienti con carcinoma dell’endometrio. Egli ha arruolato 328 pazienti con carcinoma endometrioide del corpo dell’utero in stadio I, grado 1 o 2, confinato all’utero analizzando la sopravvivenza ed il rischio di metastasi linfonodali. Gli autori hanno concluso che le pazienti affette da carcinoma del corpo dell’utero di dimensioni uguali a 2 cm potevano essere ottimamente trattate con la sola isterectomia.

I linfonodi rappresentano il più comune sito di malattia extra-uterina nel carcinoma dell’endometrio, così l’identificazione di pazienti con metastasi linfonodali è importante per fornire una indicazione sulla prognosi e sulla terapia adiuvante.

Secondo i dati del GOG la sopravvivenza a 5 anni per le pazienti con malattia in stadio I e II decorre tra l’80% e il 91% e le pazienti con metastasi linfonodali hanno una sopravvivenza di solo il 44%-52% (1).

Una revisione sul carcinoma dell’endometrio in stadio clinico I e II ha mostrato che le metastasi linfonodali erano presenti nell’11% delle pazienti mentre il coinvolgimento degli annessi e la diffusione al peritoneo veniva osservata solo nel 5% e nel 4% delle pazienti rispettivamente (11).

Il pattern di diffusione linfatica è stato valutato in 112 pazienti con positività dei linfonodi pelvici o lombo-aortici trattate alla Mayo Clinic (32).

Lo studio ha mostrato che i linfonodi pelvici più comunemente coinvolti erano gli iliaci esterni e gli otturatori quando la neoplasia era confinata all’utero ma quando era interessata la cervice risultavano più spesso metastatici gli iliaci esterni e gli iliaci

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comuni mentre metastasi ai linfonodi lombo-aortici senza il coinvolgimento dei pelvici erano veramente rare. La presenza di metastasi ai linfonodi otturatori era significativamente associata alla positività dei linfonodi lombo-aortici

La diagnosi di metastasi linfonodali e la presenza di altri siti di malattia a livello extra-uterino può cambiare gli approcci terapeutici. Per quanto riguarda la terapia adiuvante se essa influenzi o meno la sopravvivenza in modo significativo rimane ancora da stabilirsi (33).

2.7. Terapia 2.7.1. Chirurgia

La chirurgia è il primo trattamento per il carcinoma dell’endometrio ed ha un doppio valore: terapeutico e stadiante. La procedura comprende la citologia peritoneale, l’isterectomia totale extra fasciale, la salpingo-ovariectomia bilaterale. La linfadenectomia è obbligatoria secondo la FIGO per una stadiazione completa.

Diverse procedure chirurgiche possono essere utilizzate per valutare il retroperitoneo, andando da biopsie dei soli linfonodi aumentati di volume al campionamento linfonodale selettivo di siti multipli alla linfadenectomia sistematica pelvica e lombo-aortica (7, 34). Secondo l’esperienza di Kilgore e coll. (34) la possibilità di scoprire metastasi microscopiche dipendeva dal numero di siti pelvici campionati e dal quello dei linfonodi rimossi.

Nei casi avanzati è richiesta una chirurgia di debulking ovvero una massima citoriduzione chirurgica raccomandata in tutte quelle pazienti con carcinoma

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dell’endometrio in fase avanzata, poichè il conseguimento di una malattia residua < 1 cm sembra essere una variabile prognostica indipendente per la sopravvivenza (7, 10, 35, 36): le pazienti con residuo microscopico hanno una sopravvivenza significativamente migliore rispetto a quelle con residuo macroscopico.

Una stadiazione chirurgica intensiva (richiedente anche l’omentectomia e le biopsie peritoneali) similmente a quella richiesta per il carcinoma ovarico, è raccomandata nei tumori dell’endometrio sieroso papillifero e a cellule chiare (14, 37, 38).

È stata pubblicata la comparazione tra laapproccio laparoscopico e laparotomico e non sono state riscontrate differenze in termini di sopravvivenza tra i due gruppi. In particolare l’isterectomia vaginale laparo-assistita è stata recentemente considerata come una procedura chirurgica tecnicamente accettabile e sicura per il trattamento del carcinoma dell’endometrio in fase precoce nelle mani di operatori esperti; essa è associata ad un più lungo tempo operatorio ma ad una minore perdita di sangue e ad una più breve degenza in ospedale a fronte di equivalenti risultati clinici quando comparata alla isterectomia per via addominale (39-44).

È ancora incerto se la dissezione linfonodale garantisca o meno un beneficio clinico (45-48).

Dati cumulativi dalla letteratura hanno mostrato lo sviluppo di malattia recidivante in 20 (6.6%) delle 305 pazienti sottoposte a linfadenectomia sistematica per carcinoma dell’endometrio di rischio medio, con linfonodi negativi e non sottoposte ad irradiazione pelvica postoperatoria (7). Solo cinque di queste recidive erano loco-regionali. Seguenti studi hanno confermato che l’irradiazione pelvica totale poteva

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essere con sicurezza evitata nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio in stadio Ic o con stadio I grado 3 se lo stato dei linfonodi era conosciuto (7, 48).

Per quanto riguarda l’utilizzo della isterectomia radicale Piver II-III essa è a volte praticata nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio e, in particolar modo, in coloro che hanno un macroscopico interessamento della cervice uterina (47, 49, 50).

Il razionale di questo intervento è la rimozione dei parametri che fornisce margini chirurgici liberi più adeguati quando il carcinoma dell’endometrio si è già diffuso alla cervice (50).

L’isterectomia vaginale può essere considerata una ragionevole alternativa all’approccio addominale in specifiche condizioni cliniche come l’obesità, l’età avanzata, il prolasso uterino, le cattive condizioni generali e l’alto rischio anestesiologico (51-53).

2.7.2 Radioterapia

La radioterapia esclusiva che consiste nell’irradiazione esterna e nella brachiterapia utero-vaginale si intraprende solo in casi selezionati (<3.5%) non suscettibili di trattamento chirurgico a causa delle controindicazioni mediche o dell’età avanzata (2, 7, 54, 55).

Nelle pazienti con neoplasia in fase precoce questa modalità di trattamento può ottenere un controllo locale in circa l’80%-90% (55) dei casi.

Fishman e coll. (54) hanno operato un confronto tra 54 pazienti con carcinoma endometrioide in stadio I e II giudicati inoperabili dal punto di vista medico e trattati

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pertanto esclusivamente con terapia radiante, ed un gruppo di controllo rappresentato da una coorte di 108 pazienti operabili rese omogenee per età e stadio clinico. La sopravvivenza attuariale carcinoma-specifica a 5 anni per le pazienti in stadio II inoperabile, stadio I inoperabile, stadio I operabile e stadio II operabile è risultata, rispettivamente, dell’80%, 85%, 98% e100%.

L’irradiazione esterna pelvica è il più comune trattamento adiuvante nel carcinoma dell’endometrio, capace di ridurre le recidive loco-regionali senza aumentare però la sopravvivenza (27, 56-58). Nello studio randomizzato di Aalders e coll. (27) che arruolava 540 pazienti in stadio I, il tasso di recidive vaginali e pelviche era dell’1.9% nelle pazienti trattate con radioterapia adiuvante intravaginale accompagnata da irradiazione pelvica esterna rispetto al 6.9% (p< 0.1) in coloro che avevano ricevuto soltanto radioterapia adiuvante intravaginale, mentre metastasi a distanza si erano sviluppate nel 9.9% delle prime e nel 5.4% delle seconde. La sopravvivenza a 5 anni non era incrementata dalla radioterapia esterna. Un’analisi più dettagliata ha portato alla conclusione che solo le pazienti con neoplasie scarsamente differenziate infiltranti più della metà del miometrio potevano trarre beneficio dalla radioterapia adiuvante esterna la quale non era invece indicata nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio in stadio I e con meno di 60 anni e nelle pazienti con neoplasia di grado 2 e con invasione superficiale (56). Nello studio del GOG del che comparava la chirurgia alla chirurgia più radioterapia esterna nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio in stadio iniziale, il tasso di recidiva loco-regionale era dell’1.6% nelle

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pazienti sottoposte a radioterapia contro l’8.5% delle donne non sottoposte ad ulteriori trattamenti, mentre la sopravvivenza non era significativamente diversa (59). Nello studio randomizzato multicentrico PORTEC (Radioterapia Post Operatoria nel Carcinoma dell’Endometrio) che arruolava 715 pazienti con malattia a rischio intermedio in stadio I, la radioterapia esterna adiuvante riduceva il tasso di recidive loco-regionali (4% verso il 14%, p< 0.01) ed aumentava il tasso di complicanze legate al trattamento (25% verso il 6%, p<0.0001) rispetto alla chirurgia da sola mentre le morti per carcinoma (9% verso 6%), la sopravvivenza a 5 anni (81% verso 85%) e le sopravvivenze attuariali (71% verso 77%) non risultavano modificate (56, 57). Poichè la radioterapia pelvica sembra aumentare il controllo loco-regionale senza un beneficio in termini di sopravvivenza, il suo impiego dovrebbe essere limitato alle pazienti a rischio sufficientemente alto (15% o più) di recidive per aumentare il controllo locale e la sopravvivenza libera da ricaduta (57).

La recente meta-analisi del Cochrane di 4 studi randomizzati su questo argomento che hanno arruolato complessivamente 1770 pazienti ha dimostrato che l’aggiunta della radioterapia esterna pelvica alla chirurgia riduce del 72% il rischio di recidiva pelvica senza ridurre il rischio di recidiva a distanza o il rischio di morte (60). L’analisi dei sottogruppi ha evidenziato che questo trattamento si associa ad un trend per la riduzione del rischio di morte nelle pazienti con fattori di rischio multipli, quali il grado G3 e lo stadio Ic. I dati disponibili non consentono di trarre conclusioni definitive per le pazienti con un singolo fattore di rischio (grado G3, e stadio Ic), mentre

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sconsigliano l’uso della radioterapia esterna nelle pazienti senza alcun fattore di rischio.

La sola brachiterapia è stata usata come trattamento post operatorio nelle pazienti a basso rischio (stadio Ib G1, G2) (61) o nelle pazienti con rischio intermedio (stadio I G3 o stadio Ic) con linfonodi istologicamente negativi (48) ma il beneficio clinico di tale terapia adiuvante rispetto alla sola chirurgia non è stato ancora ben definito. In più non c’è un definitivo convincimento che l’aggiunta di un boost di brachiterapia vaginale alla radioterapia esterna dia un beneficio nei termini di controllo pelvico della malattia o di sopravvivenza libera da malattia negli stadi I e II del carcinoma dell’endometrio e studi prospettici randomizzati atti a studiare l’irradiazione esterna da sola rispetto alla radioterapia più brachiterapia paiono mostrare risultati positivi (62).

Pochi dati sono attualmente disponibili circa la radioterapia a campi estesi (includente la regione pelvica e aortica) nelle pazienti con linfonodi lombo-aortici positivi (12, 16, 63, 65).

Nello studio di Feuer e Calong (16) questo trattamento ha ottenuto una sopravvivenza a 5 anni del 66.7% nelle pazienti con microscopiche metastasi aortiche. Rose e coll. (64) hanno fornito una irradiazione a campo esteso a 17 delle 26 pazienti con interessamento dei linfonodi lombo-aortici ed hanno trovato che 9 (53%) di esse erano ancora vive senza evidenza di malattia con una sopravvivenza mediana di 27 mesi, mentre l’87.5% delle 8 pazienti trattate con chemioterapia o progestinici erano decedute dopo un tempo medio di 13 mesi. Dalla valutazione di 19

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pazienti con linfonodi lombo-aortici positivi, Hicks e coll. (65) hanno scoperto una sopravvivenza libera da malattia del 27% nelle pazienti trattate con irradiazione pelvica più lombo-aortica rispetto allo 0% in coloro che avevano ricevuto irradiazione pelvica più ormonoterapia.

L’irradiazione lombo-aortica potrebbe essere particolarmente efficace nel controllo della malattia microscopica anche dopo il debulking chirurgico; comunque questa procedura è usata sporadicamente nella pratica clinica per il rischio di severe complicanze intestinali e per la convinzione che l’interessamento dei linfonodi lombo-aortici sia associato alla diffusione sistemica della malattia (7, 63).

2.7.3. Chemioterapia

Nel carcinoma endometriale in stadio avanzato o recidivante sono impiegati sia ormoni che farmaci chemioterapici.

I farmaci chemioterapici più comunemente usati sono la doxorubicina [DOX] e il cisplatino [CDDP] (66, 67). Nella tabella 5 si riportano i principali farmaci in uso per il trattamento del carcinoma dell’endometrio.

I dati provenienti da serie cumulative mostrano una risposta oggettiva nel 26% delle 161 pazienti trattate con DOX e nel 24% delle 124 pazienti trattate con CDDP (7, 66, 67). L’ epidoxorubicina [EPIDOX] è sembrata avere la stessa attività della DOX (7, 66, 67) ed il carboplatino [CBCDA] ha prodotto una percentuale di risposte del 17-30% (7, 68). Per esempio nello studio di van Wijk e coll. (68), il CBCDA ha ottenuto una risposta obiettiva nel 17% delle 47 pazienti valutabili e, nel dettaglio, nel 24%

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delle 33 pazienti che avevano ricevuto il CBCDA come prima linea di chemioterapia. Altri farmaci con un tasso di risposte obiettive > 20% sono il 5-fluoruracile (69), ciclofosfamide [CTX] (70), ifosfamide (71) e paclitaxel [TAX] (72, 73). La maggior parte delle risposte ai singoli farmaci sono parziali e brevi, con una durata di risposta che decorre tra i 3 e i 6 mesi (7). Dati cumulativi da alcuni studi clinici hanno evidenziato un tasso di risposte complessive del 34% per la combinazione DOX + CTX (74, 75). Uno studio randomizzato del GOG ha mostrato che il tasso di risposte era del 30% per DOX + CTX e del 22% per la singola DOX (p=0.06) (74). Trope e coll (76) hanno scoperto che la chemioterapia con DOX 50 mg/m_ + CDDP 50 mg/m_ produceva un 60% di risposte obiettive in 20 pazienti con carcinoma dell’endometrio recidivante. Un altro studio randomizzato del GOG su 297 pazienti ha rivelato che CDDP + DOX forniva un tasso di risposte più alto (45% verso 27%) ma una simile sopravvivenza (con una mediana di circa 9 mesi) (77). Uno studio dell’Organization for Research e and Treatment of Cancer [EORTC] su 154 pazienti ha evidenziato un incremento medio di sopravvivenza per il braccio CDDP + DOX (13 mesi verso 8 mesi, p=0.036) (78).

La combinazione di CDDP + DOX o di EPIDOX + CTX, con o senza progestinici, è stata largamente utilizzata nel carcinoma dell’endometrio recidivante o avanzato, con un tasso di risposte obiettive compreso tra il 31% ed il 60%, una durata mediana di risposta di 4-10 mesi ed una sopravvivenza mediana di 7-15 mesi (7). L’analisi della relazione tra l’intensità di dose della chemioterapia e le risposte nel tumore dell’endometrio in fase avanzata ha mostrato che CTX è relativamente inattiva

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quando usata in regimi di combinazione (79). Quindi CTX potrebbe essere evitata nei regimi chemioterapici per il trattamento del carcinoma dell’endometrio e la combinazione CDDP + DOX potrebbe essere considerata lo standard nella cura dei tumori avanzati o recidivanti (66, 80).

Un recente studio randomizzato del GOG includente 342 pazienti con carcinoma dell’endometrio in stadio III, IV o recidivante non è stato osservato un beneficio significativo in termini di tasso di risposte, sopravvivenza libera da progressione, sopravvivenza totale o profilo di tossicità dopo trattamento con chemioterapia circadiana consistente in DOX 60 mg/m_ alle 6:00 am + CDDP 60 mg/m_ alle 6:00 pm rispetto allo standard DOX 60 mg/m_ + CDDP 60 mg/m_ (81).

Per quanto riguarda il TAX nella fase II dello studio del GOG, questo agente alla dose di 250 mg/m_ (infusione per 24 ore) ha ottenuto un tasso di risposte obiettive del 36% (con un tasso di risposte complete del 14%) in 28 pazienti con carcinoma dell’endometrio avanzato e recidivante (82).

Somministrando TAX a pazienti con carcinoma dell’endometrio persistente o recidivante dopo una prima linea di chemioterapia, Lincoln e coll. (73) hanno trovato che 3 (6.8%) delle 44 pazienti valutabili avevano ottenuto risposte complete e 9 (20.5%) una risposta parziale per un tasso complessivo di risposte del 27.3%. Il tempo mediano di sopravvivenza complessivo era di 10.3 mesi. La combinazione di TAX con un composto del platino sembra raggiungere risultati promettenti anche nell’istotipo sieroso papillifero (83-86). Uno studio randomizzato di fase III del GOG includente 266 pazienti con carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante la

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combinazione di DOX 45 mg/m_ + CDDP 50 mg/m_ + TAX 160 mg/m_ (infusione in 3 ore) otteneva un miglioramento delle percentuali di risposta (57% verso il 33% p<0.001), un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (mediana, 8.3 vs 5.3 mesi; p> 0.01) e della sopravvivenza globale (mediana, 15.3 verso 12.3, p= 0.037) (83). Tuttavia la neurotossicità periferica di grado 2 e 3 era 12.27% rispettivamente verso 1.4% e cioè nettamente più frequente nelle pazienti trattate con questa combinazione di farmaci rispetto alla combinazione di DOX 60 mg/m_ + CDDP 50 mg/m_. Sulla base del profilo di tossicità favorevole molti autori hanno iniziato ad usare TAX + CBDCA nel carcinoma avanzato o recidivante ed il GOG sta attualmente conducendo uno studio randomizzato di fase III che confronta questa combinazione con il regime DOX + CDDP + TAX.

L’inibitore della topoisomerasi I, il topotecan, è stato studiato per il trattamento del carcinoma dell’endometrio (87-89). Il topotecan in monochemioterapia ha ottenuto una risposta obiettiva nel 9% di 22 pazienti precedentemente trattate (89) e nel 20% di 40 pazienti nuove alla chemioterapia (5, 87).

2.7.4. Terapia ormonale

I progestinici sono stati usati a lungo nel trattamento del carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante. Kauppila (90) ha revisionato 1068 pazienti trattate con medrossiprogesterone acetato (MPA), megestrolo acetato, idrossiprogesterone caproato in diversi studi ed ha trovato una percentuale di risposta totale del 34%, con una durata media di risposta compresa tra i 16 ed i 28 mesi ed una sopravvivenza

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media tra i 18 e i 33 mesi. Seguenti studi clinici basati su criteri più restrittivi per la valutazione delle risposte, hanno riportato tassi di risposta in realtà inferiori e compresi tra l’11.2% e il 15.8% senza differenza riguardo al tipo di progestinico (91, 92). Nel trial randomizzato del GOG, 299 donne con carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante sono state trattate con MPA alla dose di 200 mg/die o di 1000 mg/die in maniera casuale (93). Nelle 145 donne che avevano ricevuto progestinici a basse dosi sono state contate 25 risposte complete e 11 parziali per un tasso di risposta totale del 25% mentre tra le pazienti trattate con progestinici ad alte dosi le risposte complete sono state 14 e le parziali 10, con un tasso di risposta totale pari al 15%. La sopravvivenza libera da progressione mediana e la sopravvivenza mediana sono risultate, rispettivamente, di 3.2 e 11 mesi per il primo gruppo e 2.5 e 7 mesi per il secondo. In accordo con questo studio 200 mg/die di MPA è un ragionevole iniziale approccio terapeutico per il trattamento del carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante, particolarmente per quelle lesioni che sono ben differenziate e/o hanno un alto contenuto di recettori per il progesterone. (>50 fmol/mg di proteine del cytosol).

La maggior parte delle neoplasie sensibili ai progestinici sono carcinomi ben differenziati. Per esempio nelle serie di Podratz e coll. (91) una risposta obiettiva si è ottenuta nel 40% delle pazienti con tumore di grado 1 secondo Broders, rispetto al 17.5% delle pazienti con tumore di grado 2, 2.4% con grado 3 e 0% di quelle con grado 4.

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Lo stato dei recettori ormonali (5, 90, 93), l’intervallo tra il trattamento primario e la terapia ormonale e la massa tumorale (91) sono predittivi della risposta ai progestinici il cui ruolo come trattamento adiuvante nella terapia del carcinoma dell’endometrio in fase iniziale è stato lungamente dibattuto (12, 94).

Per quanto riguarda il tamoxifene in un recente studio del GOG in cui erano incluse 68 pazienti con malattia avanzata o recidivante questo farmaco ha ottenuto 3 risposte complete e 4 parziali, con una percentuale di risposta complessiva del 10%, una sopravvivenza mediana libera da progressione di 1.9 mesi e una sopravvivenza mediana totale di 8.8 mesi (95).

Il tamoxifene ha dunque una debole attività contro il carcinoma dell’endometrio tale da non autorizzare ulteriori indagini come agente singolo per il trattamento di tale patologia.

È ben noto che il tamoxifene possa aumentare i recettori per il progesterone contenuti nel carcinoma dell’endometrio (96) e studi sperimentali sul carcinoma dell’endometrio umano trasferito in topi nudi hanno rivelato che la somministrazione in sequenza di tamoxifene e MPA induce una maggiore regressione della neoplasia rispetto al tamoxifene da solo (97).

Ad ogni modo studi clinici sul trattamento alternato con MPA e tamoxifene hanno dato risultati insoddisfacenti nel carcinoma dell’endometrio avanzato e recidivante (98, 99).

Dopo la scoperta dei recettori dell’ormone rilasciante le gonadotropine (GnRh) nel carcinoma dell’endometrio, alcuni autori hanno cercato di capire se gli agonisti del

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GnRh fossero in grado di esercitare un’azione anti tumorale nelle pazienti con tale neoplasia trovando tassi di risposte obiettive compresi tra lo 0% ed il 28% (100). Per esempio uno studio del GOG che testava il goserelin acetato su 40 pazienti valutabili con recidiva di malattia ha evidenziato due risposte complete e tre parziali per un tasso complessivo di risposta dell’11%, una sopravvivenza mediana libera da progressione di 1.9 mesi ed una sopravvivenza mediana totale di 7.3 mesi (100). L’attività del goserelin acetato nel carcinoma dell’endometrio è comunque insufficiente da giustificare ulteriori studi sul singolo farmaco ma delucidazioni sul suo meccanismo d’azione ne potranno permettere in futuro un maggiore uso in combinazione con altri farmaci.

Pochi dati sono attualmente disponibili sugli inibitori dell’aromatasi e sui modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERM)s nel carcinoma dell’endometrio (101-105). Nello studio di Rose e coll. (101) l’anastrozolo ha raggiunto una risposta obiettiva nel 9% delle 23 pazienti con malattia avanzata o recidivante che avevano ricevuto non più di un precedente regime di ormonoterapia. La sopravvivenza mediana libera da progressione e la sopravvivenza mediana totale sono state rispettivamente di 1 e 6 mesi.

Il letrozolo è attualmente sotto valutazione (102, 103).

Il SERM di terza generazione arzoxifene, che si oppone all’azione degli estrogeni sulla mammella e sull’endometrio ma che ha un effetto estrogeno-agonista sull’osso e sul profilo lipidico, ha ottenuto, in 29 pazienti valutabili, una risposta completa e 8

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risposte parziali con una percentuale complessiva di risposta del 31% ed una durata mediana della risposta di 13.9 mesi (104, 105).

Tutte e 9 le risposte si sono realizzate in pazienti sensibili ai progestinici con una tossicità minima, senza raggiungere il grado 3-4. Proprio l’alto tasso di risposta e il profilo di tossicità estremamente favorevole rende questo farmaco suscettibile di ulteriori valutazioni.

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2.8. Linee guida

a. Pazienti suscettibili di trattamento chirurgico - Chirurgia

Ogni qual volta possibile la chirurgia rappresenta il primo trattamento nel carcinoma dell’endometrio sia iniziale che avanzato. La chirurgia per le pazienti con la malattia clinicamente in fase precoce consiste nella laparotomia, washing peritoneale, isterectomia totale extrafasciale e salpingo-ovariectomia bilaterale. La linfadenectomia pelvica e lombo-aortica è richiesta per le pazienti con linfonodi sospetti all’esplorazione chirurgica ed è raccomandata nei casi ad alto rischio di metastasi linfonodali, come quando si è in presenza di malattia macroscopica extra-uterina o di malattia apparentemente confinata all’utero ma grado 3 (valutato su biopsia preoperatoria) o di profonda invasione del miometrio (valutata con ecografia preperatoria trans-vaginale e/o risonanza magnetica o esame estemporaneo intraoperatorio). Quando si è in presenza di un macroscopico interessamento cervicale si utilizza l’isterectomia radicale modificata, mentre l’isterectomia vaginale è presa in considerazione in specifiche condizioni cliniche (obesità, età avanzata, prolasso uterino importante, cattive condizioni generali ed alto rischio anestesiologico).

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Trattamento postoperatorio dei tumori endometrioidi

Il piano di trattamento postoperatorio dovrebbe essere diverso per le pazienti con tumore endometrioide e non endometrioide. Nel primo caso le opzioni terapeutiche possono essere schematizzate come segue:

Nessun ulteriore trattamento è richiesto nelle pazienti con: • Malattia stadio Ia, ogni grado;

• Malattia stadio Ib, grado 1-2;

• Malattia stadio IIa, grado 1-2 con o senza invasione miometriale superficiale; Al contrario la radioterapia adiuvante esterna pelvica è raccomandata nelle pazienti:

• Malattia stadio Ib grado 3; • Malattia stadio Ic, ogni grado;

• Malattia stadio IIa, grado 3 o profonda invasione miometriale non sottoposta ad adeguata linfadenectomia;

• Malattia stadio IIb.

Lo stadio III include pazienti con condizioni cliniche molto differenti. Le pazienti in stadio IIIa per interessamento della sierosa del corpo uterino o degli annessi dovrebbero essere trattate con radioterapia esterna pelvica o con chemioterapia a base di platino seguita poi da radioterapia esterna pelvica.

Le pazienti con malattia in stadio IIIc dovrebbero ricevere irradiazione pelvica +/-lombo-aortica secondo la localizzazione dei linfonodi positivi o chemioterapia a base di platino seguita da radioterapia esterna. Trials clinici controllati sono tesi a testare il beneficio clinico della radioterapia in aggiunta alla chemioterapia in queste pazienti.

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Le pazienti con malattia in stadio IIIb dovrebbero invece essere trattate con radioterapia esterna pelvica seguita da brachiterapia vaginale.

Non ben definita rimane invece la terapia postoperatoria per le pazienti appartenenti allo stadio IIIa solo per via della positività della citologia peritonale per cui la necessità di un trattamento adiuvante dovrebbe essere basata sui reperti patologici trovati sul pezzo operatorio (grado tumorale, invasione miometriale, interessamento cervicale) così come sull’età della paziente e sul suo stato generale e qualora il trattamento adiuvante venisse preso in considerazione dovrebbe consistere nella chemioterapia a base di platino per ridurre il rischio di recidive peritoneali e a distanza.

Le pazienti con malattia in stadio IVb o con metastasi ai linfonodi inguinali dovrebbero essere sottoposte a chemioterapia a base di platino.

La chemioterapia a base di platino dovrebbe consistere in DOX (o EPIDOX) + CDDP +/- TAX (infusione in 3 ore) o il CBCDA da solo secondo l’età della paziente e le sue condizioni generali.

Trattamento postoperatorio del tumore non endometrioide

Mentre le pazienti con neoplasia in stadio Ia non necessitano di ulteriori trattamenti, le pazienti con neoplasia in stadio Ib-IIb così come quelle con malattia in stadio IIIa per citologia peritoneale positiva dovrebbero ricevere regimi terapeutici a base di platino. L’uso del TAX in combinazione con chemioterapia a base di platino è

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particolarmente raccomandato in questi tumori che spesso esprimono mutazioni del p53.

Le pazienti con malattia in stadio IIIa per interessamento della sierosa del corpo dell’utero e degli annessi e quelle in stadio IIIb dovrebbero essere sottoposte a chemioterapia a base di platino seguita da radioterapia esterna pelvica.

Le pazienti con malattia in stadio IIIc dovrebbero ricevere chemioterapia a base di platino seguita da radioterapia pelvica +/- lombo-aortica.

Le pazienti in stadio IVb dovrebbero essere trattate con chemioterapia a base di platino.

B. Pazienti non suscettibili di trattamento chirurgico

Per le pazienti con carcinoma dell’endometrio clinicamente avanzato non suscettibili di chirurgia primaria al momento della presentazione non vi è ancora un definito approccio terapeutico standardizzato.

Le pazienti con malattia in stadio clinico IIIb con importante diffusione alle pareti della vagina dovrebbero essere trattate con radioterapia esterna pelvica più brachiterapia o, alternativamente, con chemioterapia adiuvante a base di platino seguita da chirurgia individualizzata o da radioterapia esterna più brachiterapia.

Le pazienti con malattia in stadio clinico IVa dovrebbero essere sottoposte a chemioterapia adiuvante a base di platino seguita da eviscerazione pelvica o da radioterapia esterna pelvica.

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Le pazienti con malattia in stadio clinico IVb dovrebbero essere trattate con chemioterapia a base di platino, seguita, nei casi che rispondono, da chirurgia individualizzata o da radioterapia sul tumore primario.

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3. Obiettivo della tesi

Lo scopo di questa tesi è stato l’analisi delle recidive in pazienti sottoposte a chirurgia primaria con o senza trattamento adiuvante per carcinoma di tipo endometrioide dell’endometrio. In dettaglio sono stati esaminati i fattori di rischio per le recidive a distanza in pazienti in fase iniziale al fine di identificare sottogruppi di pazienti nelle quali fosse indicato un trattamento adiuvante comprendente la chemioterapia con modalità sequenziale o concomitante rispetto alla radioterapia.

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4. Materiali e metodi

Tra l’Agosto 1990 e l’Aprile 2005, 259 pazienti con carcinoma di tipo endometrioide. dell’endometrio sono state sottoposte presso il nostro Istituto a laparotomia, washing peritoneale, isterectomia totale per via addominale e salpingo-ovariectomia bilaterale con (n.158) o senza (n.101) linfadenectomia pelvica +/- lombo-aortica. Durante la laparotomia è stata praticata un’accurata esplorazione di tutta la cavità addominale e pelvica effettuando biopsie su ogni lesione sospetta. Trentasei di loro hanno sviluppato recidiva di malattia dopo un tempo mediano di 17 mesi (range, 2-128 mesi).

Sono state esaminate in dettaglio 12 pazienti con malattia in stadio Ib-II che hanno sviluppato recidive a distanza e 20 pazienti di controllo con malattia in stadio Ib-II che sono invece rimaste libere da recidiva dopo un follow-up mediano di 52 mesi (37-66 mesi). Abbiamo voluto assumere che il sottogruppo delle 20 pazienti libere da recidive scelto a caso fosse rappresentativo di tutta la popolazione di pazienti in stadio Ib-II libere da recidiva.

Queste 32 pazienti soddisfacevano i seguenti criteri di inclusione: 1) erano in menopausa; 2) avevano linfonodi pelvici +/- lombo-aortici istologicamente negativi o, se non sottoposte a linfadenectomia, avevano comunque TC negativa per la ricerca dell’interessamento linfonodale; 3) avevano washing peritoneale negativo così come assenza di diffusione extra-uterina; 4) avevano RX o TC torace negativa; 5) non avevano avuto altre neoplasie né prima né dopo la diagnosi di carcinoma dell’endometrio.

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Tutti i vetrini del tumore primitivo colorati con ematossilina-eosina sono stati rivisti dallo stesso anatomopatologo per la conferma dell’originaria diagnosi di adenocarcinoma dell’endometrio di tipo endometrioide e per la valutazione del grado architetturale, del grado nucleare, del grado FIGO, dell’invasione miometriale, dell’interessamento degli spazi linfo-vascolari, delle caratteristiche di invasione dei margini, della presenza o meno di infiltrato flogistico peri-tumorale, dell’attività mitotica (mitosi per 10 campi ad alto ingrandimento [10 HPF]) e dell’interessamento cervicale. La classificazione istologica è stata fatta seguendo quella della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il grado architetturale è stato definito come segue: I) grado 1: crescita solida non-squamosa e non-morulare ≤ 5%; II) grado 2: crescita solida non-squamosa e non-morulare tra il 6% e il 50%; III) grado 3: crescita solida non-squamosa e non-morulare > 50%. La presenza di una atipia nucleare notevole, inappropriata per il grado architetturale elevava di uno il grado (G1 o G2) del tumore. Per quanto riguarda l’invasione miometriale è stata riportata come interessamento del terzo interno, terzo medio o terzo esterno del miometrio. L’interessamento degli spazi linfo-vascolari è stato invece inteso come la presenza di cellule tumorali dentro o a ridosso della parete dei vasi sanguigni o linfatici. Lo sviluppo di recidive ematogene a distanza è stato messo in correlazione con l’età della paziente, le dimensioni del tumore, il grado FIGO, l’invasione miometriale, l’interessamento degli spazi linfo-vascolari, l’invasione dei margini, l’infiltrato flogistico peri tumorale e l’attività mitotica.

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Metodi statistici

Le percentuali di recidiva ematogena a distanza sono state correlate alle variabili anatomo-cliniche mediante il test χ2

di Pearson (o il test di Fisher quando necessario). La regressione logistica è stata effettuata per indagare la relazione tra la probabilità di sviluppare recidive ematogene a distanza e le variabili considerate.

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5. Risultati

La stadiazione FIGO ed il trattamento adiuvante delle 259 pazienti sottoposte a chirurgia primaria sono riportati nella Tabella 6. Si può osservare che 136 pazienti non hanno ricevuto alcun trattamento postoperatorio, mentre la radioterapia esterna pelvica è stata la terapia precauzionale più frequentemente utilizzata. Le pazienti sono state successivamente seguite fino al Maggio 2008 o fino ad un eventuale decesso. Trentasei di loro hanno sviluppato recidiva di malattia dopo un tempo mediano di 17 mesi (range, 2-128 mesi). La recidiva è stata loco-regionale in 9 casi (25%), a distanza in 21 casi (58.3%), sia loco-regionale che a distanza in 6 casi (16.7%).

Le caratteristiche delle 32 pazienti in stadio iniziale comprese nello studio caso-controllo per analizzare i fattori di rischio delle recidive a distanza sono riportate nelle tabelle 7 e 8.

L’età mediana delle 32 pazienti era di 63 anni (range, 46-81 anni). L’attività mitotica mediana del carcinoma dell’endometrio era di 5 mitosi per 10 HPF (range, 1-28/10 HPF). Per quanto riguarda le 12 pazienti che hanno sviluppato recidive ematogene, 5 sono state sottoposte a linfadenectomia pelvica e/o lombo-aortica con una mediana di 31 linfonodi rimossi (range, 5-38) di cui era stata istologicamente provata la negatività, mentre le restanti 7 con reperti TC negativi per interessamento linfonodale.

Due pazienti non hanno ricevuto alcun trattamento postoperatorio, 9 sono state sottoposte a radioterapia esterna pelvica adiuvante (seguita da brachiterapia in due

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casi) ed una paziente ha ricevuto chemioterapia adiuvante a base di platino seguita da radioterapia esterna pelvica.

Le sedi della recidiva a distanza sono state il polmone in 9 casi, il fegato in 2 ed il polmone più il fegato in 1 paziente. In 3 pazienti si è poi verificata una concomitante ripresa loco-regionale (vagina o linfonodi) di malattia. L’intervallo mediano di tempo tra la chirurgia e lo sviluppo della recidiva a distanza è stato di 16.5 mesi (range, 5-13 mesi).

Per quanto riguarda le 20 pazienti libere da recidiva, 14 sono state sottoposte a linfadenectomia pelvica e/o lombo-aortica, con un numero mediano di 19 linfonodi rimossi (range, 8-52) risultati istologicamente negativi mentre le altre 6 avevano reperti TC negativi per interessamento linfonodale.

Tredici pazienti non hanno ricevuto alcuna terapia adiuvante postoperatoria, mentre 7 pazienti sono state trattate invece con radioterapia adiuvante esterna pelvica. All’analisi univariata il grado FIGO 3 (p= 0.0114), l’invasione del terzo esterno del miometrio (p= 0.0051) e l’interessamento degli spazi linfo-vascolari (p= 0.0022) correlavano significativamente con il rischio di metastasi ematogene a distanza (Tabella 9). L’ invasione del terzo esterno del miometrio (p= 0.0345) e il coinvolgimento degli spazi linfo-vascolari (p=0.0264) sono risultati fattori predittivi indipendenti per il rischio di sviluppare recidive a distanza all’analisi multivariata (tabella 10).

Il tempo medio di follow-up delle 7 pazienti libere da recidiva con invasione profonda del miometrio era di 60 mesi (range, 37-66 mesi), mentre quello delle 4 donne libere

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da recidiva con interessamento degli spazi linfo-vascolari era di 45 mesi (range, 38-52).

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6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Nella casistica complessiva delle 259 pazienti con carcinoma endometrioide dell’endometrio, la percentuale di ricaduta è stata del 13.9% e la maggior parte di esse erano a distanza. Questi dati sono in accordo con la letteratura (Tabella 11, 106-112). In uno studio multicentrico retrospettivo italiano comprendente 1616 casi di carcinoma dell’endometrio trattati presso i dipartimenti di Ginecologia e Ostetricia delle Università di Brescia, Pisa, Torino, Padova e Milano Bicocca, 209 (13%) sono andate incontro a recidiva della neoplasia (113). La sede di recidiva era la vagina in 35 casi (16.7%), la pelvi in 67 (32.1%), e a distanza in 107 (51.2%). La maggior parte delle pazienti recidivavano entro 24 mesi. Novantaquattro (45%) hanno recidivato entro un anno e quarantatre (20.6%) tra 1 e 2 anni.

I dati della letteratura hanno mostrato come il rischio di recidiva a distanza sia tra il 4% (7, 27, 107-109, 113-116) ed il rischio di ricaduta isolata a distanza si attesti tra il 4% ed il 6% (115). Tuttavia Corn e coll. hanno suggerito che il controllo loco-regionale potrebbe prevenire le recidive a distanza (116).

Una recente meta-analisi di quattro studi randomizzati (60) ha mostrato che l’aggiunta di radioterapia esterna pelvica alla chirurgia riduceva il tasso di recidive loco-regionali ma non quello di recidive a distanza o di morte per carcinoma dell’endometrio o da tutte le cause. Una meta-analisi simile di cinque studi (27, 56, 117-119) ha mostrato, in particolare, che l’aggiunta della radioterapia adiuvante esterna è dannosa nelle pazienti a basso rischio (malattia in stadio Ia-Ib e grado 1) poichè associata ad una riduzione dell’Odds ratio [OR] per la sopravvivenza totale

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(0.71; 95% CI 0.52-0.96) mentre non altera la sopravvivenza per le pazienti a rischio intermedio (malattia in stadio Ic e grado 1-2 o in stadio Ib e grado 3) (OR 0.97; 95% CI, 0.69-1.35), ed offre invece, come già visto, un vantaggio in termini di sopravvivenza per le pazienti ad alto rischio (malattia in stadio Ic e grado 3) (OR 1.76; 95% CI 1.07-2.89) (120). Con questo studio si confermava che la radioterapia adiuvante esterna non riduce il rischio di metastasi a distanza (OR, 1.58; 95% CI 1.07-2.35). Per quanto riguarda il ruolo della chemioterapia adiuvante (121, 122) così come quello della chemio-radioterapia adiuvante sequenziale e concomitante nel carcinoma dell’endometrio ad alto rischio è ancora controverso (123, 124).

Di estrema importanza l’identificazione alla chirurgia di variabili patologiche predittive di un alto rischio di recidive a distanza con lo scopo di selezionare un gruppo di pazienti adatte per una chemioterapia adiuvante seguita o meno da irradiazione esterna.

A tale proposito alcuni autori hanno riportato che la profondità di invasione del miometrio è fortemente predittiva della recidiva a distanza (17, 114, 125, 126).

Mariani e coll. (126) hanno revisionato le cartelle cliniche di 229 pazienti con carcinoma endometriale in stadio I chirurgico trattato con laparoisterectomia totale, salpingo-ovariectomia bilaterale e linfadenectomia pelvica lombo-aortica con negatività istologica dei linfonodi. Dopo un follow-up mediano di 83 mesi, sono andate incontro a recidiva 22 pazienti (10% dei casi). La recidiva era vaginale in 7 pazienti, distanza in 14 casi, sia pelvica che a distanza in una paziente. Una recidiva ematogena è stata osservata in 12 pazienti e, in particolare, risultava interessato il

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polmone in 7 casi, fegato in un caso, polmone, fegato e addome insieme in una paziente, polmone e linfonodi lombo-aortici in un caso, polmone, cute, encefalo e linfonodi lombo-aortici in una paziente e infine surreni più linfonodi lombo-aortici in un caso. È degno di nota che nessuna delle dieci pazienti negative per recidiva ematogena a distanza avessero avuto un’invasione miometriale ≥ 66%, rispetto alle 10 (83%) delle 12 pazienti che avevano sviluppato tale tipo di recidiva (p< 0.001). All’analisi univariata la percentuale di recidiva a 5 anni è risultato essere correlata all’invasione miometriale (≥ 66% contro < 66%, 29% contro 2%, p<0.001), lo stato degli spazi linfo-vascolari (positivo contro negativo, 16% contro 6%, p= 0.02), e il diametro del tumore primitivo (>2 cm contro ≤ 2 cm, 8% contro lo 0%, p= 0.008) ma l’analisi multivariata ha mostrato che l’invasione miometriale ≥ 66% era l’unico fattore predittivo indipendente per le recidive a distanza (RR, 24.89; 95% CI 6.52-94.99, p<0.001).

Per quanto riguarda la frequenza di positività degli spazi linfo-vascolari nel carcinoma endometriale, varia dal 4% al 36% (28, 125-136) e pochi dati sono attualmente disponibili in letteratura circa la relazione tra l’interessamento degli spazi linfo-vascolari e le recidive a distanza per via ematogena (125).

Questo reperto è associato ad un aumentato rischio di metastasi linfonodali e ad uno sfavorevole esito clinico (28, 125, 127-130, 132-135, 137).

Nel nostro studio il grado FIGO 3, l’interessamento del terzo esterno del miometrio e l’interessamento degli spazi linfo-vascolari sono risultate tutte variabili significativamente predittive delle recidive ematogene a distanza all’analisi univariata.

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Questi fattori sono strettamente correlati tra di loro, poichè i tumori G1 e G2 tendono ad essere meno invasivi e ad avere un minore interessamento linfo-vascolare, mentre i tumori G3 sono spesso profondamente invasivi ed hanno una maggiore frequenza di interessamento degli spazi linfo-vascolari (132). Infatti alla regressione logistica multipla abbiamo ottenuto che soltanto la profondità di invasione miometriale e l’interessamento degli spazi linfo-vascolari sono variabili predittive indipendenti per recidiva ematogena a distanza.

Nella maggior parte degli studi la profondità di invasione del miometrio è riportata, in accordo con la classificazione FIGO, come < o ≥ 50% (1, 56, 106, 112, 113, 114, 118. 122, 123, 130, 131, 135, 138).

Tuttavia i nostri dati, in accordo con quelli di Mariani e coll. (126), sembrano consigliare di classificare l’invasione miometriale come terzo interno, terzo medio e terzo esterno. Per concludere le pazienti con tumore dell’endometrio di tipo endometrioide in fase iniziale con invasione del terzo esterno del miometrio e/o interessamento degli spazi linfo-vascolari dovrebbero essere incluse in studi randomizzati disegnati per di valutare il ruolo della chemioterapia adiuvante sola o in combinazione con la radioterapia esterna pelvica sequenziale e/ o concomitante.

Figura

Tabella 1 Fattori di rischio per il carcinoma dell’endometrio
Tabella 3. Stadiazione chirurgica del carcinoma dell’endometrio
Tabella 5. Farmaci usati nell terapia del cancro dell’endometrio.
Tabella 6.  Stadiazione e trattamento adiuvante delle 259 pazienti sottoposte a chirurgia per carcinoma endometrioide dell’endometrio
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