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Figure dell'arrivista nell'Ottocento: Rastignac, Sorel, Duroy.

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Academic year: 2021

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A mio padre,

Per avermi dato

la forza per affrontare tutto

questo…

A mia madre,

per avermi incoraggiato

quando sembrava

impossibile…

A mio fratello,

per avere percorso la

strada con me…

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INDICE

Capitolo 1. Introduzione. pag. 1

Capitolo 2. La Francia della Restaurazione e della Terza Repubblica. pag. 4

2.1. La Restaurazione sotto Re Luigi XVIII. pag. 4

2.1.1 L’aristocrazia in cambiamento. pag. 7

2.1.2 L’ascesa della Chiesa. pag. 8

2.1.3 L’esercito. pag. 9

2.2 Dai 100 Giorni alla Seconda Repubblica. pag. 9

2.3 La rinascita sotto la Terza Repubblica. pag. 10

2.3 La nuova classe sociale: la borghesia. pag. 16

Capitolo 3. Tre uomini e il loro destino. pag. 19

3.1 Sfida alla città: Rastignac e la nobiltà. pag. 20

3.1.2 L’innocenza perduta. pag. 22

3.1.3 Fine di un’epoca. pag. 33

3.2 Julien Sorel o il miraggio napoleonico. pag. 39

3.2.1 Julien Sorel e il mondo circostante. pag. 46

3.2.2 La nascita dell’idealismo. pag. 59

3.3 Memorie e presente di un soldato. pag. 61

3.3.1 Ascesa di una nullità. pag. 66

3.3.2 L’altra metà del cielo: Georges Duroy e le donne. pag. 78

Capitolo 4. Rastignac, Sorel, Duroy: successi, fallimenti, punti di contatto. pag. 88

Bibliografia. pag. I

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1. Introduzione.

Il Dizionario della Lingua Italiana Devoto-Oli, dà questa definizione della parola “arrivismo”:

Arrivismo s. m.

Bisogno incontenibile di acquistare in breve tempo e senza tanti scrupoli una posizione socialmente autorevole o privilegiata.1

Altresì, dà del termine “arrivista” la seguente definizione:

Arrivista s. m. e f. (pl. M. –i).

Chi cerca con ogni mezzo, anche poco lecito, di procurarsi una posizione di preminenza sociale. 2

Il desiderio di acquisire una posizione socialmente preminente è qualcosa di radicato profondamente nell’animo umano. Se la definizione di “socialmente autorevole” può essere soggettiva (per qualcuno potrebbe essere il diventare un importante politico, mentre per qualcun altro anche soltanto diventare padre o madre di famiglia), difficilmente si potrà obiettare all’affermazione che l’uomo è spinto a cercare sempre un miglioramento, sia esso personale, sia esso sociale.

Ciò che differenzia le persone l’una dall’altra, a parte l’obiettivo che intendono raggiungere, è ciò che sono disposte a fare per ottenere un risultato. Se, comprensibilmente un duro lavoro, una costante applicazione e un’innegabile dose di talento dovrebbero essere gli elementi fondamentali per affrontare qualsiasi impresa; talune persone sono disposte a perseguire altre vie, al fine di giungere ugualmente a un risultato soddisfacente. Il perché di questa scelta può essere motivato in un’infinità di modi: mancanza di carattere o del talento richiesto; una condizione sfortunata che non concede, a chi vuole fare un tentativo, di partire da basi paritarie, rispetto a

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coloro che lo circondano; il semplice desiderio di ottenere un risultato prestigioso prima di altri, sfruttando vie più comode e meno ardue, rispetto a quelle classiche.

La parola arrivista viene utilizzata al giorno d’oggi con spregio, come marchio di infamia su chi cerca in ogni modo di raggiungere i propri obiettivi. Il termine francese parvenu, è un aggettivo peggiorativo:

Parvenu, e adj. et n. (voir 1700). Péjor.

Personne qui s’est enrichie, mais dont les manières, les moeurs manquent de distinction. 3

Questo stesso termine, per un lungo periodo, ha indicato una tipologia ben precisa di persona; quasi una classe sociale a parte, composta da uomini e donne privi delle origini nobili necessarie per assurgere ai massimi livelli della vita sociale. Queste persone, tuttavia, riuscivano a far parte dell’alta borghesia, ad acquistare titoli nobiliari, grazie a una situazione economica personale particolarmente ricca (spesso ereditata da un genitore mercante) o diventando amanti di giovani nobildonne annoiate, trovando il modo per farsi considerare persone importanti solo per il fatto di apparire tali o di accompagnarsi a esse.

La figura del parvenu è un archetipo classico della letteratura francese, sia esso rappresentato in modo realista, drammatico o buffonesco. Tartuffe, Mauperin, Rubempré, Moreau e Deslauriers, sono tutti arrivisti o ambiziosi; personaggi che cercano di elevarsi, sfruttando le occasioni che la vita concede loro e i propri punti di forza.

Tartuffe, nella commedia omonima, è l’esempio classico dell’arrivista senza scrupoli, che arriva a usare la fede e il rapporto con Dio come mezzo per arricchirsi. Giocando sul filo della religiosità e dei rapporti sentimentali, tenta di entrare in possesso delle ricchezze della famiglia presso la quale si è stabilito. La giusta punizione arriverà alla fine di una vicenda farsesca, con l’imprigionamento del protagonista e con la verità svelata.

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Lucien de Rubempré, protagonista de Les illusions perdues è un personaggio intelligente e fine, che non riesce a godere a lungo del successo che è riuscito a ottenere e ad assaporare a pieno la gioia di essere arrivato. Non saprà sfruttare la carriera promettente che gli viene offerta, essendo eccessivamente volubile e non abbastanza forte per il mondo corrotto nel quale vive.

Flaubert tratteggia altri due ambiziosi come Frédéric Moreau e Deslaurier, ne

L’éducation sentimentale. Amibiziosi, non arrivisti, quindi non capaci di sfruttare le

debolezze altrui per i propri fini personali. Ma comunque decisi ad arrivare, a sollevarsi dalla vita ai quali sono destinati. Frédéric Moreau è un debole, un debole che mira molto in alto, ma che non riesce ad affrancarsi dalla sua situazione. Fallisce nel suo tentativo di realizzare la sua vita, perché non coglie l’occasione quando gli si presenta. Deslauriers, pur essendo più realista e volenteroso, fallisce a sua volta nella sua impresa, rovinando in modo maldestro le occasioni che gli vengono offerte.

E’ Goncourt, per voce di Henri Mauperin, uno dei protagonisti di Renée

Mauperin, a dare una definizione dell’arrivismo che più si adatta a Georges Duroy,

uno dei protagonisti che saranno analizzati successivamente:

Ce qu’il y a de plus difficile à gagner dans ce monde, ce qui se paye le plus cher, ce qu’on s’arrache et ce qui se conquiert, ce qu’on n’obtient qu’à force de génie, de chance, de bassesses, de privations, d’efforts enragés, de persévérance, de résolution, d’énergie, d’audace, de travail, c’est l’argent, n’est-ce pas, c’est le bonheur et l’honneur d’être riche, c’est la jouissance et la considération du million. Eh bien, j’ai vu qu’il y avait un moyen d’arriver à cela, à l’argent, tout droit et tout de suite, sans fatigue, sans peine, sans génie, naturellement, immédiatement et honorablement, ce moyen, c’est le mariage…4

Rastignac, Julien Sorel e Georges Duroy sono figli della borghesia più povera. Il solo Rastignac è figlio di nobili (il padre è un barone), ma la famiglia non possiede grandi ricchezze. Tutti e tre decidono di provare a farsi un nome e a ritagliarsi uno spazio nell’alta società, cercando di sfruttare ciò che la natura ha loro

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concesso e messo a disposizione: fascino e intelligenza. I loro percorsi personali seguiranno strade simili: tutti e tre cercheranno di farsi accettare, e tutti e tre tenteranno in maniera differente di trovare un posto nel mondo.

I risultati finali della loro crescita personale e sociale saranno differenti e vari, partendo dal trionfo assoluto e passando attraverso il fallimento e la morte.

Non si intende dare giudizi morali di nessun tipo, sulla condotta dei tre personaggi. Questo perché, per quanto possano essere deplorevoli alcuni dei loro atteggiamenti (l’ipocrisia di Julien, lo sfruttamento delle sorelle e della madre da parte di Rastignac, fino al brutale pestaggio che Duroy esegue su madame de Marelle), sono figli di un periodo e di una situazione sociale nel quale erano considerati la norma e persino incoraggiati. Il fatto che Georges Duroy sia un personaggio negativo, malvagio a tratti, è innegabile e verrà sottolineato, ma dobbiamo ricordare che sarà lo stesso Maupassant a rispondere ai suoi critici che intendeva sì, dare vita a un malvagio, ma che per farlo si è ispirato a uno dei tanti

parvenu che ogni giorno incontrava per strada.

Non è quindi interessante decidere chi sia nel giusto e chi nello sbagliato, chi sia stato spinto da motivi validi e chi no. Quello che interessa è mostrare come tre persone di estrazione sociale simile, affrontino un cammino uguale, cercando di raggiungere lo stesso obiettivo (seppur sotto forme differenti), arrivando a tre conclusioni differenti. In parte per motivazioni personali, caratteriali ed emotive; in parte perché il fato ha giocato contro di loro, ponendoli davanti a difficoltà differenti; in parte perché durante questo tentativo di elevarsi, i tre protagonisti vanno incontro a una maturazione personale che li cambierà nel profondo.

Questo cambiamento sarà il punto di svolta delle loro vite, il momento in cui dovranno decidere se continuare a essere arrivisti o rinunciare in nome di un valore, di un ideale più alto.

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Giunti al termine del loro percorso, saranno tre persone differenti, rispetto all’inizio; e questo è il nodo centrale dell’analisi: come ciò che ci circonda, dalle persone sconosciute a quelle amate, passando per il denaro e la povertà, ci rende differenti, a volte in meglio e a volte in peggio. E quanto noi possiamo fare per non restare influenzati da ciò che ci accade, quanto possiamo decidere realmente, rispetto agli avvenimenti che caratterizzano le nostre esistenze.

Julien, Eugène e Georges hanno deciso e le loro vite di arrivisti giungono a tre conclusioni differenti. Sono, dopo tutto, lo specchio sincero e reale del loro tempo, con le sue promesse, le sue menzogne e le sue meschinità.

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Capitolo 2. La Francia della Restaurazione e della Terza Repubblica.

2.1. La Restaurazione sotto Re Luigi XVIII.

Nel 1814 la Francia si ritrovò davanti all'ennesimo cambiamento. Dopo anni di dittatura, il regno di Napoleone si concluse e cadde, lasciando i cittadini francesi in uno stato di prostrazione, di sfiducia e di totale negazione nei confronti dell'Impero, così come l'Imperatore lo aveva immaginato.

Il Re fece il suo ritorno e trovò un popolo pronto a credere in lui. Anzi, un popolo convinto che il ritorno della monarchia fosse la soluzione a tutti i mali che affliggevano il paese. Videro il nuovo sovrano come colui che avrebbe riportato forza, equilibrio, stabilità e pace in un regno ancora lacerato da guerre interne ed esterne. La politica espansionistica che aveva portato alla guerra, non era l'unica cosa per cui veniva biasimato Napoleone. Al popolo, ai piccoli uomini, pesavano tutta una serie di iniziative che lo avevano colpito a livello monetario, impoverendolo, rendendogli più difficile guadagnare ciò per il quale aveva sempre lavorato, come, per esempio, il monopolio sul tabacco, imposto nel 1810.

Il ritorno della monarchia poteva risolvere le cose? Se ipoteticamente poteva essere la soluzione ideale, Luigi XVIII dovette rendersi conto che il Terzo Stato, nonostante tutto, non era pronto a rinunciare a quello che la Rivoluzione gli aveva dato; e che il ritorno dell'Ancien Régime, laddove avesse riportato in auge i diritti feudali, la restituzione dei beni nazionali e un sistema fiscale ingiusto e squilibrato, non avrebbe mai attecchito, né riportato la pace tanto desiderata.

Luigi XVIII riprese il suo ruolo di sovrano con lo spirito di chi lo era stato fino al giorno prima. Si narra che quando il marchese di Maisonfort andò ad annunciare al sovrano che era il re di Francia, si sia sentito rispondere “Ho forse mai cessato di esserlo?”. La risposta spiegava chiaramente lo spirito di Luigi XVIII al momento del suo ritorno sul trono: non si trattava dell'incoronazione di un nuovo sovrano, ma della restaurazione dell'antico, ingiustamente allontanato.

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Il 2 Maggio il Senato si recò a Saint-Ouen e sottopose al Re il progetto di una nuova costituzione: tutte le vittorie riportate con la Rivoluzione dovevano venire preservate; i senatori sarebbero rimasti al loro posto. Il Re respinse questo progetto, considerandolo troppo legato a quelle concessioni che avevano portato al suo allontanamento lungo vent'anni, affermando che il progetto costituzionale “porta il segno della caduta”. Ma il Re aveva comunque ben presente la necessità di una costituzione “liberale” e ne garantì lo studio e la messa in atto. Per Luigi XVIII° il diritto divino non era negabile, anzi, doveva essere riconosciuto e salvaguardato, ma era anche sufficientemente lungimirante da comprendere che i cambiamenti incontro ai quali era andata la Francia non erano più cancellabili con un colpo di spugna e che si doveva tenerne conto. E' così che l'unificazione delle due France (quella monarchica e quella liberale) pareva essere possibile.

La dichiarazione del Re sui suoi progetti e intenti fu molto chiara:

Le gouvernement représentatif sera maintenu tel qu’il existe aujourd’hui, divisé en deux corps… L’impôt sera librement consenti; la liberté publique et individuelle assurée, la liberté de la presse respectée, la liberté des cultes garantie. Les propriétés seront inviolables et sacrées; la vente des biens nationaux sera irrévocable. Les juges seront inamovibles et le pouvoir judiciaire indépendant. La dette publique sera garantie; les pensions, grades, honneurs militaires seront conservés ainsi que l’ancienne et la nouvelle noblesse. La Légion d’honneur sera maintenue. Tout Français sera admissible aux emplois civils et militaires. Enfin nul individu ne pourra être inquieté pour ses opinions et ses votes.5.

L'accoglienza del popolo al ritorno del nuovo Re, durante la cerimonia di insediamento a Notre-Dame, fu calorosa. I lavori per la restaurazione cominciarono immediatamente.

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Il Congresso di Vienna era alle porte e il Re affidò i nuovi incarichi: nove senatori, nove deputati e tre commissari incaricati di rappresentarli vennero subito messi al lavoro su una nuova Costituzione. Intanto Luigi XVIII nominò una serie di ministri: per la giustizia, per l'interno, per la finanza, per la Polizia, per la guerra e per gli affari esteri.

La nuova costituzione venne studiata immediatamente, seguendo quelle linee guida date dal sovrano e nel tentativo di conciliare i due volti della Francia. Le discussioni più aspre si ebbero su due punti in particolare: la vendita dei beni nazionali e la libertà di culto. Il 4 Giugno quella che venne definita la Carta Costituzionale era nata. Già nel suo primo punto, il “Diritto pubblico dei francesi”, si potevano trovare quelle linee guida di mediazione che erano state promesse. I diritti fondamentali erano quelli che il popolo aveva ottenuto duramente con la rivoluzione francese: libertà e uguaglianza. Inoltre vennero concesse la vendita dei beni nazionali e anche l'amnistia per i voti espressi prima della Restaurazione (punto, questo, nato per tranquillizzare coloro che si ritrovavano l'accusa di regicidio pendente sul capo).

Il Re aveva ancora un forte potere su tutto l'assetto governativo: il potere esecutivo era in mano sua, così come il diritto di sciogliere la Camera dei deputati e di nominare un numero illimitato di Pari della Camera omonima. Il potere legislativo, invece, veniva concesso alla camera dei Pari e alla camera dei Deputati. I primi erano ereditari o a vita e venivano designati dal Re. I secondi erano eletti per 5 anni e potevano votarli solo i cittadini abbastanza ricchi da pagare 500 franchi di contributi diretti. Condizione necessaria per potersi candidare al ruolo di deputato, quella di avere almeno 40 anni e di versare 1000 franchi di contributi diretti allo Stato.

La nuova organizzazione fu anche, ovviamente, motivo di allontanamento di quelle persone che si erano dimostrate anti monarchiche (come Jean de Bry, prefetto di Doubs, colui che aveva votato la morte del fratello del Re) e per modificare l'assetto di alcuni ministeri (come quelli della Polizia generale e della Prefettura di polizia, rimpiazzati da una Direzione generale della polizia).

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Ma il passaggio alla Restaurazione non fu gestito alla perfezione e diversi errori, spesso grossolani, avevano dapprima risvegliato il dubbio, per trasformarlo poi in malcontento vero e proprio. I confini della Francia, tanto per cominciare, vennero riportati a quelli del 1792: furono perdute così Savoia, Avignon e Montbéliard; analogamente accadde con le Antille, il Senegal e parte dell'India. Il governo abbandonò tutti i materiali conservati in 5 forti sparsi tra la Germania, l'Italia e il Belgio, lasciando, in questo modo, al nemico 43 vascelli attraccati ad Anversa. I malumori cominciarono a farsi sentire e crebbero fino ad accusare il Re di essere stato messo al suo posto dalle potenze straniere, dal nemico. Malumori destinati inevitabilmente a crescere ancora, con la messa a riposo di 22.000 ufficiali, ormai diventati inutili. Mossa, questa, che stonava con la promozione a generale di 600 fedelissimi alla corona, come premio per l'appoggio nella lotta a Napoleone.

Anche lo spirito anti clericale ebbe nuova vita: vennero annunciate misure contro coloro che intendevano chiudere le proprie attività la domenica, mentre si moltiplicavano le cerimonie di espiazione. Giunti a questo punto non stupiscono particolarmente i continui scontri tra cattolici e protestanti, che avvenivano per tutto il paese.

Napoleone, intanto, vegliava sulla situazione francese dal suo esilio sull'isola d'Elba. Apparentemente frenato dalla distanza, tenuto calmo dal controllo su un piccolo numero di uomini (500 soldati, divisi tra fanteria e cavalleria, e due battaglioni, uno italiano e uno corso), l'Imperatore decaduto pareva non essere più un pericolo per il paese. La polizia francese riempì Livorno di spie perché entrassero in contatto con chi arrivava dall'isola d'Elba (soprattutto i servitori) e si informassero sulle condizioni di Napoleone. In realtà lo studio della situazione francese era costante e l'Imperatore mordeva il freno, desideroso di fare ritorno nelle sue terre, per strappare di nuovo il trono al Re. I contatti con la Francia venivano assicurati dai partigiani di Napoleone, i quali inviavano notizie tramite i carichi commerciali o i visitatori dell'isola. Quelli rimasti fedeli non mancavano di far avere ogni possibile notizia, così che si potesse creare un quadro quanto più preciso dello Stato, nei suoi

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punti forti e nelle sue debolezze. Nel 1815, Napoleone aveva preso la sua decisione: lasciò l'isola d'Elba e fece rotta verso il Golfo di Juan, dove sbarcò il 25 Febbraio, alla guida di 900 granatieri. Una nuova guerra si affacciava alle porte della Francia.

Il paese, intanto, era andato incontro a una nuova, pesantissima, crisi economica. Ancora reduce dalla lotta contro Napoleone, l'economia francese attraversava un periodo di debolezza e necessitava di essere seguita con attenzione. Non fu questa la premura principale del nuovo governo. Tutta una serie di decisioni economiche fiaccarono ulteriormente il popolo, già in evidente difficoltà: il commercio con l'Inghilterra colpì e affondò un'industria ancora fragile; la chiusura di arsenali e armerie, dopo la fine della guerra, aveva rallentato il flusso monetario e tagliato i posti di lavoro; il rilancio del caffè aveva danneggiato la cicoria; la produzione e la vendita del cotone subiva un tracollo, a causa della concorrenza degli inglesi. Nell'autunno e l'inverno di quell'anno, i fallimenti si moltiplicarono e tanto gli industriali, quanto (e soprattutto) i proprietari terrieri si ritrovarono sul lastrico. Il terreno era fertile a sufficienza per il ritorno dell'Imperatore.

2.1.1 L’aristocrazia in cambiamento.

La figura aristocratica viveva un periodo di profondo disagio e cambiamento. Il passaggio di Napoleone e il ritorno del Re avevano cambiato i tratti distintivi della nobiltà, dapprima denudandola e poi restituendole quella “dignità” e aura di superiorità della quale era sempre stata investita.

Parigi capitale rimaneva sempre la cornice ideale per i nobili, ma anche qui molto si era perso in quei luoghi una volta riconosciuti come sedi “naturali” degli incontri tra nobili. Saint-Germain era il luogo dove la vecchia nobiltà si incontrava in inverno, con feste, serate e cene, dove ancora l’aristocrazia si confrontava, cercando di mantenere quell’identità che si rifiutava di perdere. D’estate, invece, Parigi veniva lasciata per i castelli e i manieri di provincia. In città, comunque, era Chaussée d’Antin uno dei punti di ritrovo principali della classe nobiliare. Il quartiere della

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finanza e della borghesia affaristica era cornice di incontri, speculazioni economiche e nascite e morti di nuove stelle dell’alta società.

Durante la Restaurazione la nobiltà poteva essere classificata in tre tipologie principali:

1) La nobiltà antica; sopravvissuta al dominio napoleonico e i cui titoli erano

stati resuscitati dal Re al suo ritorno. Apparteneva a essa l’immagine del monarca in disuso, che vive ancora nel ricordo dei tempi che furono;

2) La nobiltà d’Impero; anch’essa sopravvissuta alla fine del dominio di

Napoleone. I pochi nobili riconosciuti dall’Imperatore erano rimasti ancora legati ai propri titoli e alle proprie agevolazioni. Tra di loro e i membri della nobiltà antica vi era assoluta diffidenza, tanto da spingere le due categorie a ignorarsi reciprocamente;

3) La nobiltà creata dal Re. Come scritto sulla carta, al monarca il compito e il

diritto di creare nuovi titoli e di investire chi ne ritenesse degno. Possibilità, questa, nella quale il Re non si risparmiò, investendo di cariche nobiliari 17 Duchi, 80 Marchesi, 83 Conti, 62 Visconti e 215 Baroni.6

Come evidenziano le cifre descritte qui sopra, la nobiltà occupava buona parte della Camera dei Pari. La nobiltà antica e i senatori dell’Impero erano presenti in gran numero, entrando in contatto giornalmente e tenendo banco nelle discussioni. Altresì, anche la camera dei Deputati era composta per la maggior parte dall’aristocrazia, con il 60% (e oltre) dei posti occupati da membri di questa classe sociale.

Nel proliferare di aristocratici che invadevano le posizioni socialmente elevate, non va dimenticato che tutti gli ambasciatori del regno erano nobili e che il 50% di ogni annata che fuoriusciva dalla Scuola Speciale Militare era composta da membri dell’aristocrazia.

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Ma la classe nobiliare andava a scontrarsi duramente con il nuovo sistema di suddivisione delle eredità, decretato dalla Carta. Il diritto di anzianità veniva respinto, e veniva adottato il maggiorascato, creato precedentemente da Napoleone stesso. Il sistema prevedeva il passaggio dei beni ereditari o del titolo nobiliare al parente maschio più prossimo di grado. Per poter usufruire di questo genere di eredità, evitando così la suddivisione dei beni alla pari, il Re richiedeva il versamento di un certo ammontare di franchi, per le casate nel quale vi era un passaggio di titolo. Un’ordinanza del 25 Aprile 1817 chiarì i costi della scelta: una trattenuta di 30.000 franchi per un Duca e di 10.000 franchi per un Barone. Il costo era eccessivo e nessuno sembrava intenzionato a seguire quella strada, costringendo così, successivamente, Carlo X a imporre il maggiorascato alle casate nelle quali vi era un passaggio di titolo nobiliare.

2.1.2 L’ascesa della Chiesa.

Nel 1815 ci fu un rinnovamento della Chiesa, del suo ruolo e della sua importanza nel paese. Un rinnovamento che non passava esclusivamente attraverso un aumento dei fedeli (anzi, si vedrà poi come il fenomeno sarà proprio il contrario), ma anche attraverso la spinta data da chi governava.

Il budget legato alla Chiesa e al suo sviluppo subì un notevole incremento, passando da 1,2 milioni di franchi a ben 3,3 milioni, triplicando quasi il suo ammontare. Si moltiplicarono altresì le donazioni fatte da privati alle Chiese, con lo scopo di ottenere una benedizione particolare e di essere indicati come persone leali e affidabili.

In seguito alla crescita dell’importanza della Chiesa e di chi ne faceva parte, ci fu un aumento vistoso delle investiture. Nel 1814 erano 715, mentre nel 1829 furono 2350. I nuovi preti dovevano avere seguito i discorsi di Julien Sorel e averli fatti propri. Il protagonista de “Le rouge et le noir” diceva, infatti:

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Quand Bonaparte fit parler de lui, la France avait peur d’être envahie; le mérite militaire était nécessaire et à la mode. Aujourd’hui on voit des prêtres de quarante ans avoir cent mille francs d’appointement, c’est-à-dire trois fois autant que le fameux généraux de division de Napoléon…Il faut être prêtre.7

Oltre all’evidente aumento delle risorse economiche, la Chiesa occupava anche una posizione politica di un certo rilievo, ottenendo così anche un potere reale.

Nella Camera dei Deputati sedevano ora i “Chevaliers de la Foi”. Mentre la Chiesa, avendo anche voce in capitolo sulla scelta delle tematiche da affrontare nei programmi di studio, dominava ampiamente anche nell’università, dove il corpo docente era composto da diversi preti. Cresceva, inoltre, l’influenza della Chiesa nella campagna, dove piccole chiesette sorgevano ovunque, nei villaggi più o meno grandi, diventando il fulcro della vita economica e sociale degli abitanti.

Il ritratto appena fatto, comunque, va affiancato allo spegnersi progressivo e inarrestabile della pratica religiosa. Nella campagna stessa, solo l’8% dei fedeli rispettavano i dettami religiosi dei credenti. La Chiesa diventava un luogo di ritrovo e di affari come altri, dove le persone si incontravano per risolvere questioni in sospeso, debiti, decisioni e, spesso, abbandonavano il luogo ancora prima che la funzione fosse cominciata, senza prendervi parte.

La Chiesa cercava un modo per evitare questa tendenza e accanto alla pietà religiosa, fece la sua comparsa l’intolleranza verso il laicismo. Il ballo, per esempio, venne considerato causa della perdizione dei giovani e, quindi, proibito. Le mancanze di rispetto verso i preti divennero un reato punibile, punizione che in alcune occasioni eseguita con discreta severità. Questa presa di posizione diventò un’arma a doppio taglio, poiché tra la gente nacque e crebbe un sentimento di odio nei confronti della Chiesa. Il secondo errore della stessa, durante la Restaurazione, fu quello di allearsi ai Borboni, dando loro il proprio sostegno. Un errore così grave che nel 1830 la Rivoluzione assumerà aspetti anche anticlericali.

2.1.3 L’esercito.

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L’esercito era ormai un mondo a parte. Perso il suo lustro dacché la pace era tornata nel regno, il valore militare era diventato un ricordo lontano e non più un merito al quale ambire. Le paghe erano basse, le possibilità di fare carriera erano pochissime e, di conseguenza, la scalata era lenta. Il prestigio venne meno e la carriera ecclesiastica diventò la principale rivale di quella nell’esercito.

Unico territorio che offriva la speranza di potersi fare notare in questo campo e di potere raggiungere i massimi gradi militari era l’Algeria, dove la Francia portò avanti una sua guerra feroce. E’ lì che riemersero dal passato, quasi resuscitando ad antichi fasti, nomi legati all’esercito: Rovigo, Clauzel, Bugeaud. Militari sopravvissuti all’epoca imperiale che riuscirono ancora a fare parlare di sé.

La Francia cercava la supremazia militare, anche se era difficile instillare nelle persone l’amore per l’esercito. Presso la borghesia l’esercito non aveva fascino e i borghesi non sentivano la vocazione militare, giudicando il soldato come “improduttivo”.

Nel 1832 la legge Soult impose la coscrizione come principale metodo di reclutamento dei soldati. Questo portò il contingente armato a 80.000 uomini, tutti pronti all’azione. La durata della leva fu fissata a 7 anni, ma per chi aveva già prestato servizio sotto le armi c’era la possibilità di sottoscrivere per altri 2 o 5 anni, avendo in cambio una paga. Grazie ai rifugiati in Francia, veniva creata, nel 1831, la Legione Straniera, che successivamente partì per l’Algeria, per combattere.

Effettivamente oltre a quest’ultimo obiettivo, a poco serviva un esercito che avesse raggiunto le 500.000 unità, ma fu proprio grazie alla sua grandezza che la Francia rimase ancora una delle principali potenze militari dell’Europa.

2.2 Dai 100 Giorni alla Seconda Repubblica

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presi in esame ai fini di questa discussione.

Napoleone fece il suo ritorno e guidò un esercito per riconquistare il potere; molti dei generali che gli avevano girato le spalle una volta decaduto, tornano sui propri passi dichiarandosi a lui fedeli. Il Congresso di Vienna lo dichiarò fuorilegge e perturbatore della pace. Dopo 100 giorni, l’Imperatore venne sconfitto a Waterloo ed esiliato a Sant’Elena, dove morirà.

Carlo X salì al trono e mise in atto una politica reazionaria, indirizzata maggiormente verso la Chiesa e l’aristocrazia. La sua gestione del paese lo portò allo scontro con il parlamento, ed egli, allora, emise le famose “Quattro ordinanze”: restrizione del diritto di voto, annullamento della libertà di stampa, il Parlamento venne sciolto e nuove elezioni, gestite dal suo sistema, vennero indette. Questo atteggiamento portò il popolo a ribellarsi e Carlo X scappò nel Luglio 1830, costretto all’esilio.

Luigi Filippo di Orleans fu incaricato di formare un nuovo governo, che assunse una proprio fisionomia parlamentare, offrendo un’adeguata rappresentanza all’alta borghesia finanziaria, ma rivelandosi anche estremamente censorio. La cosiddetta “Monarchia di Luglio” durò per 18 anni, dal 1830 al 1848, quando una crisi politica, innescata dal desiderio della base operaia di vedere allargata la propria rappresentanza nel regime, portò alla rivoluzione di Febbraio. Luigi Filippo cadde e il governo provvisorio, il 24 Febbraio, dichiarò la nascita della Seconda Repubblica.

Nacque la nuova Costituzione francese e vennero decretati il suffragio universale, il diritto al lavoro, la libertà di stampa e di riunione. Il 10 Dicembre si tennero le elezioni del Presidente della Repubblica e con larga maggioranza vinse Luigi Napoleone, nipote di Bonaparte.

La sua gestione fu ambigua e populista, condotta con il duplice scopo di guadagnare consensi presso il popolo e di gettare discredito sul Parlamento, così da preparare il terreno per un colpo di stato. Il 28 Aprile 1850 ci furono delle elezioni nelle quali la sinistra ebbe un discreto successo. Ciò allarmò la Camera, composta da

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una maggioranza moderata, tanto da spingerla a promulgare una legge che limitava il suffragio universale, limitando il voto a coloro che avessero un domicilio di tre anni nel cantone, comprovato dal registro delle tasse. In questo modo venne levato il voto alla popolazione industriale, che di norma non era stazionaria.

Luigi Napoleone approfittò di ciò: sciolse la Camera e ristabilì il suffragio universale. Per combattere i disordini che nacquero dopo questa decisione, sciolse i partiti, chiuse le società segrete e gli aderenti a queste ultime vennero deportati. Il colpo di stato fu un successo e un plebiscito, il 20 Dicembre, gli venne riconosciuto il potere legislativo e costituente. Nacque così il Secondo Impero.

Nonostante il populismo del nuovo imperatore (ribattezzato Napoleone III), il Secondo Impero era autoritario e censorio. La guida del sovrano sul paese durò per 18 anni, per cadere nel 4 Settembre 1870.

2.3 La rinascita sotto la Terza Repubblica.

Dopo la grande frattura storica della Rivoluzione francese, la Francia aveva avuto serie difficoltà a trovare un regime politico stabile e duraturo. E’ con la Terza Repubblica che il paese raggiunse di nuovo una certa pace e stabilità.

Durata settant’anni, dal 4 Settembre 1870 al 10 Luglio 1940, la nuova Repubblica cominciò tra le difficoltà, in una situazione di fragilità estrema, ma riuscì rapidamente a imporsi grazie a nuove riforme destinate a durare e a supportare il nuovo regime. Il paese si trovò in una sorta di rinascimento, ma anche di fronte a gravi crisi come l’affaire Dreyfus o ancora l’affaire Panama.

Dopo la nascita della Repubblica, nel Settembre 1870, nacque un governo della difesa nazionale con a capo il generale Trochu. Lo scopo era quello di opporre resistenza alle forze esterne che assediavano il paese e di mantenere intatta l’unità nazionale. Ma la Francia, ancora indebolita, non riuscì a risanare una situazione

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militare ormai compromessa e dal 19 Settembre la capitale subì un lungo assedio. Non avendo il paese nessuna alleanza con nessun’altra forza europea, si trovò costretta a capitolare il 28 Gennaio 1871 nei confronti della Prussia. Il Febbraio dello stesso anno venne eletta un’assemblea nazionale grazie ai monarchisti, favorevoli alla pace. A capo di questa assemblea sale Adolphe Thiers, che venne proclamato capo del potere esecutivo della Repubblica Francese. Questi negoziò un trattato di pace con la Germania, che si chiuse in modo positivo, dietro la cessione dell’Alsace-Lorraine ai tedeschi.

La decisione dell’Assemblea di sistemarsi a Versailles causò dei tumulti presso la Comune Parigina, che si scontrò ben presto con le forze militari messe a difesa della reggia. Gli scontri furono violenti e si contarono numerose perdite: quei giorni furono battezzati la settimana di sangue.

Thiers si ritrovò minacciato da un ritorno della monarchia e fu costretto a dare le dimissioni, lasciando il suo posto al maresciallo MacMahon, il quale costituì un governo di monarchici legittimisti e orleanisti. Inoltre favorì la Chiesa, dando il via alla costruzione della Basilica del Sacro Cuore a Parigi. Nonostante ciò e contrariamente alle speranza dei fedeli monarchici, il cammino della Repubblica continuò, tramite le leggi costituzionali che vennero approvate. MacMahon si ritrovò costretto ad accettare una limitazione dei poteri del presidente e un governo di centro-sinistra.

Furono le elezioni seguenti, municipali e senatoriali, a confermare l’ondata repubblicana: i conservatori monarchici erano in minoranza alla Camera e al Senato. MacMahon si dimise e lasciò il posto al secondo presidente: Jules Grévy.

Per dimostrare e festeggiare l’importanza del momento, Charles de Freycinet, repubblicano, organizzò l’Exposition Universelle, nel 1878.

Con la vittoria alle elezioni del 1881, i repubblicani moderati furono al governo e cominciarono a garantire tutta una serie di libertà prima negate: nello stesso anno

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concedettero la libertà di riunirsi, nel 1884 venne approvata la legge che autorizzava la formazione dei sindacati e a seguire la legge che permetteva il divorzio.

Nel 1880, grazie a Jules Ferry, vennero approvate alcune tra le leggi più importanti per il paese, su tutte la riforma scolastica. Ferry istituì le scuole in tutti i dipartimenti e, il 27 Febbraio dello stesso anno, i religiosi vennero esclusi dal consiglio superiore universitario. Nel dicembre 1880 nacquero gli istituti scolastici per le ragazze, ivi comprese le scuole superiori. Il 16 Giugno 1881 venne approvata la legge che instaurava la gratuità dell’insegnamento primario e nel 28 Marzo 1882 nacque la legge sulla laicità dello stesso. Questa riforma venne creata per ottenere determinati effetti: completare l’alfabetizzazione del paese, inculcare nelle persone una morale repubblicana e far sì che il patriottismo della popolazione si poggiasse su basi comuni.

Durante questa rinascita il paese, però, si trovò comunque ad affrontare alcune crisi di un certo spessore, che affrontiamo brevemente.

La crisi boulangiste nacque con l’elezione del generale George Boulanger che grazie alle sue dure posizioni anti-germaniche, il suo passato militare e il suo patriottismo, si ritrovò alla guida di un forte movimento di opinione pubblica nazionalista e militarista. L’appoggio gli arrivò da diverse parti: da repubblicani come George Clemenceau, dai nazionalisti della Lega Patrioti, dai monarchici e dai bonapartisti. Nel 1889 venne posto a riposo dal governo, ma venne eletto come deputato in diversi dipartimenti, acquistando una grossa fetta di potere e apparentemente pronto a guadagnarne ancora dell’altro. Il governo, per correre ai ripari, lo dichiarò nemico della Repubblica e Boulanger scappò dal paese, auto-esiliandosi. Questa azione lo fece sembrare realmente colpevole e quindi fu condannato alla detenzione a vita. Il boulangismo, privato del suo capo, si spense rapidamente e Boulanger, due anni dopo, si suicidò.

L’affaire Panama è legato al tentativo di costruire un canale artificiale che attraversasse l’istmo di Panama, unendo, così, l’Oceano Atlantico con quello

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Pacifico. Nel 1879 l’idea della costruzione fu caldeggiata dal Congresso Internazionale di Parigi, avendo tra i promotori anche Ferdinand Marie de Lesseps, che già aveva costruito il canale di Suez. Nel 1881 venne fondata una società che doveva occuparsi della progettazione e della costruzione della nuova opera; detta società cominciò a raccogliere i fondi per finanziare il complesso lavoro. Il progetto era estremamente complicato e non prevedeva l’utilizzo di chiuse (una chiusa è uno sbarramento artificiale che separa due specchi d'acqua con differente livello. La funzione principale è consentire il passaggio di navi e imbarcazioni tra due specchi d'acqua a quote diverse. L'utilizzo della chiusa è indispensabile ovunque l'escursione di marea interessi in modo significativo l'accessibilità di un corso acquatico o dove si debba mettere in comunicazione un canale artificiale scavato ad una quota superiore al livello del mare); inoltre il livello tecnico di cui disponeva la Francia in quel periodo non era adatto a un’impresa di quel tipo. Il progetto fallì per gli ovvi ostacoli di natura tecnologica e finanziaria. La società fallì nel 1889, mandando sul lastrico tutti i piccoli risparmiatori che avevano investito sul progetto. Per la costruzione del canale ci fu un secondo tentativo nel 1902, che fallì anch’esso, spingendo la Francia a fare entrare l’America nel progetto.

L’affaire Dreyfus è uno dei casi più noti e discussi della storia francese. Nel 1894 fu trovato un biglietto anonimo e non datato (bordereau) in cui un ufficiale di stato maggiore francese comunicava a M. von Schwartzkoppen, addetto militare dell'ambasciata tedesca di Parigi, un elenco di documenti da inviare, relativi all'organizzazione militare francese. L'elenco era stato trovato, in mille pezzi, dentro il cestino della carta straccia da Marie Bastian, una donna delle pulizie in servizio presso l'ambasciata tedesca (in realtà agente del controspionaggio francese). La donna fece pervenire il biglietto al maggiore H.J. Henry. Il 13 ottobre 1894 fu arrestato il trentacinquenne capitano d'artiglieria dell'esercito francese, Alfred Dreyfus. Sembrava una comune vicenda di spionaggio. In realtà la vicenda sarebbe durata ben 12 anni. La scoperta del biglietto non giunge inaspettata, poiché nei ranghi dell’esercito francese da tempo si parlava di tradimento, mentre si cercava una

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giustificazione per la sconfitta subita a Sédan nella guerra contro la Prussia e per la crisi boulangista. Ovviamente non si poteva pensare di trovare un "traditore" tra gli ufficiali dello stato maggiore, poiché si trattava una casta rigidamente selezionata (di origine prevalentemente nobiliare). Si pensò quindi che il "colpevole" potesse annidarsi fra i giovani ufficiali che svolgevano il loro tirocinio presso lo stato maggiore e fra questi spiccò subito un nome che nobile non era, ma suonava piuttosto come ebreo e come tedesco: Alfred Dreyfus, in effetti ebreo di origine alsaziana. In Francia, in quegli anni, era nato un forte sentimento razzista e anti-ebraico, i cui primi segnali erano il successo del libro La France juive di Drumont, dove l’equazione “ebreo = traditore per definizione” era il perno centrale del testo.

Furono consultati cinque periti di calligrafia e solo tre si dichiararono disposti ad accusare Dreyfus di essere l’autore del biglietto incriminato. Nonostante questo la commissione incaricata di indagare si sentì autorizzata a far arrestare Dreyfus e ad accusarlo di tradimento, portandolo davanti alla Corte Marziale. Le alte cariche, compreso il Presidente della Repubblica, e una nazione infettata da sentimenti xenofobi, fremevano all’idea di poter dare la colpa a Dreyfus.

Il processo si svolse a porte chiuse, tra il 19 e il 22 Dicembre, con la motivazione di non voler rendere pubbliche le accuse e il materiale inquisito. In realtà le prove a carico di Dreyfus furono solo due: il biglietto e un misterioso dossier di cui né lui, né la sua difesa conoscevano l’esistenza. Parecchie furono le notizie false e tendenziose che vennero riportate dai giornali, per dare dell’ufficiale un’immagine falsa (debiti di gioco, amanti, problemi finanziari); nessuno sembrò fare caso al fatto che all’accusato mancavano i moventi per tradire la nazione: figlio di un industriale alsaziano che aveva optato per la nazionalità francese nel 1871, Dreyfus era ricco (apparteneva alla borghesia ebraica di recente crescita sociale), patriota (aveva scelto la carriera militare proprio per riscattare l'Alsazia allora occupata dai tedeschi) e benpensante (credeva nei valori della giovane repubblica, tra cui quello del laicismo. Inoltre si era laureato al Politecnico).

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Nuova Caledonia (Guyana); congedato con disonore dall’esercito gli vennero strappati i gradi e spezzata la spada d’ordinanza. All’uscita dall’Accademia Militare, una folla riunitasi per vederlo passare, comincio ad attaccarlo e fu salvato dal linciaggio. Arrivato in esilio, affermò che avrebbe preferito suicidarsi, se entro tre anni non fosse stato scagionato.

Intanto nel luglio 1895 il tenente colonnello Georges Picquart subentrò al colonnello Sandherr a capo dei Servizio Informazioni dello Stato maggiore e scoprì nel marzo del '96 che l'ambasciata tedesca era da tempo in contatto col maggiore M.Ch. Walsin-Esterhazy, un nobile di origine ungherese, giocatore pieno di debiti e spesso invischiato in affari loschi. Il rapporto di un agente francese a Berlino asseriva che i servizi segreti tedeschi non sapevano nulla circa il capitano Dreyfus e che il loro informatore era un maggiore dell'esercito, nobile e decorato. Il servizio intercettò frammenti di un telegramma che, ricostruito, diventava una comunicazione riservata dell'addetto militare tedesco Schwartzkoppen al maggiore Esterhazy. Picquart riuscì anche ad avere la certezza che la calligrafia del bordereau era la stessa di Esterhazy. Decise dunque, nonostante le resistenze dei vertici militari (soprattutto del colonnello Henry, che produsse anche dei documenti falsi pur di impedire la riapertura del processo) e del ministro della guerra Billot, di riaprire il dossier Dreyfus. Il Parlamento, con soli cinque voti contrari, respinse la domanda di revisione del processo avanzata dalla moglie Lucie e dal fratello di Dreyfus. Il ministro della Giustizia dispose che di notte il prigioniero fosse legato a un letto di contenzione. L'unico a non arrendersi fu l'anziano vicepresidente del Senato A. Scheurer-Kestner, che conosceva le scoperte di Picquart. Dal canto suo Esterhazy chiese di essere giudicato da un tribunale militare per fugare ogni sospetto su di lui.

Il caso Dreyfus divenne un caso nazionale, se ne discuteva sui giornali e da un lato c’era chi cercava di infangare il nome dell’ufficiale e, con esso, l’intera comunità ebraica, mentre dall’altro cominciava a formarsi uno schieramento a difesa del condannato. Molti intellettuali presero le sue parti, tra di essi il filosofo Lucien Herr, gli storici Albert Mathiez, Paul Mantoux e Leon Blum, i sociologi Lévy-Bruhl e

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Durkheim, il politologo Sorel, l'economista Simiand, letterati quali Charles Peguy, Marcel Proust, Anatole France, Sarah Bernhardt, A. Gide, pittori come Monet, Pissarro, Toulouse-Lautrec, Signac. La violenta campagna anti-ebrea portata avanti da alcuni giornali anche in campo militare causò molti duelli tra ufficiali. L’11 Gennaio 1898, Esterhazy venne prosciolto, diventando così l’eroe del momento.

Ironicamente, fu quest’ultimo fatto che diede una svolta al processo. Emile Zola disgustato dalla sfrontatezza del processo e dalla campagna anti-ebraica tenuta da alcuni giornali francesi, il 13 Gennaio 1898 inviò a L’Aurore una lettera aperta al Presidente della Repubblica, al fine di dimostrare l’innocenza di Dreyfus, il suo celebre J’accuse. Il coraggio per scrivere una lettera del genere è tanto e la lettera stessa diventa un esempio unico in tutta la letteratura polemica.

Il potere politico-militare non voleva dare la sensazione di debolezza evitando di perseguire Zola, però temeva di offrire una tribuna ai dreyfusardi. Dal 7 al 23 febbraio si svolse il processo a carico dello scrittore, che fu condannato (insieme al direttore dell'Aurore) per vilipendio delle forze armate al massimo della pena: un anno di carcere e a una multa di 3.000 franchi. La sentenza fece scalpore all'estero, ma venne applaudita dai parigini e dal Parlamento.

Il 2 aprile 1898 venne annullato, per vizi procedurali, il verdetto del processo a carico di Zola, il quale ritornò in tribunale il 18 luglio, e, dopo aver annunciato la propria contumacia, abbandonò l'udienza. Gli viene inflitta la stessa pena e lo scrittore ando in esilio a Londra. Dieci giorni prima il ministro della Guerra, Cavaignac, aveva ribadito alle Camere la colpevolezza di Dreyfus, confermando la presenza di un dossier segreto. In risposta a un'interpellanza parlamentare, fu costretto a dare lettura integrale dei documenti del dossier. L'evidenza del falso fabbricato dal colonnello Henry non tardò a rivelarsi. Il 12 luglio era già stato arrestato Esterhazy per truffa e radiato dall'esercito. Anche Picquart viene arrestato per aver divulgato dei documenti riservati e per aver fabbricato documenti per accusare Esterhazy. Scheurer-Kestner, invece, venne privato della sua carica parlamentare. Alla fine dell'agosto Cavaignac fu costretto ad arrestare il colonnello

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Henry, successore di Picquart nei Servizi d'Informazione: egli confessò le sue responsabilità e il giorno dopo si uccise in carcere. Esterhazy fuggì in Inghilterra. Venne arrestato Du Paty de Clam che aveva collaborato con Henry a produrre il falso dossier e a incriminare Dreyfus. Cavaignac decise di dimettersi. Alla fine d'Ottobre la Corte di Cassazione accolse la richiesta di revisione del processo a carico di Dreyfus. Nell'agosto Jaurès pubblicò sulla "Petite république" una serie di articoli intitolati “La prova dell'innocenza di Dreyfus”.

I nazionalisti Déroulède e Guérin approfittarono dell'improvvisa morte del presidente della Repubblica, Faure (16 febbraio 1899), sostituito il 18 da Loubet, per tentare un colpo di stato, incitando le truppe del generale Roget a marciare sull'Eliseo, ma il generale rifiutò. Il 3 giugno in un'intervista a "Le Matin" Esterhazy confessò di essere l'autore del bordereau, aggiungendo però che si trattava di un'esca predisposta dai servizi segreti francesi per scoprire la centrale dello spionaggio tedesco. Nel luglio del '99 Dreyfus venne rimpatriato, ma la situazione era ancora critica. Il presidente Loubet aveva subìto il 4 giugno un attentato monarchico (fu colpito con un bastone); il fronte antidreyfusardo aveva intenzione di linciare lo stesso Dreyfus, che per questa ragione venne nuovamente rinchiuso in carcere. Finalmente gli operai scesero in piazza e il Parlamento si spostò progressivamente a sinistra. Zola, intanto, era tornato in Francia. Nacque assai presto il governo di "difesa repubblicana" guidato da Waldeck-Rousseau: è la prima volta che si forma un governo di sinistra (gambettiani, moderati radicali e socialisti). Quel governo sottrasse allo stato maggiore la nomina dei generali.

Il 7 agosto 1899 iniziò il secondo processo a Dreyfus. Rennes, la cittadina bretone, fu invasa dai giornalisti di tutto il mondo: all'estero l'innocenza dell'imputato era un fatto scontato. La scelta di essere nuovamente giudicato dalla giustizia militare venne sostenuta dalla stessa famiglia Dreyfus, che voleva la piena riabilitazione nell'esercito. Tuttavia i generali sostennero che c'erano prove così segrete che non si potevano esibire, poiché contenevano un'annotazione dell'imperatore Guglielmo II. Ora, accusare il Kaiser di aver personalmente commissionato azioni di spionaggio,

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equivaleva a una dichiarazione di guerra. Ecco perché il tribunale (5 giudici contro 2) dichiarò nuovamente colpevole Dreyfus di tradimento, anche se gli riconobbe le circostanze attenuanti e lo condannò a 10 anni di lavori forzati. L'indignazione scoppiò in tutto il mondo con manifestazioni davanti alle ambasciate francesi. Il 19 settembre il presidente Loubet concesse la grazia all’ex-ufficiale, che però gli venne concessa solo per gli anni che gli restavano da scontare dopo la doppia condanna e che era vincolata alla rinuncia, da parte sua, a fare ricorso contro la seconda sentenza. Nel dicembre del 1900 venne approvata una legge di amnistia per tutti i reati commessi in relazione all'Affaire. Zola e Picquart furono dunque amnistiati, ma assieme a loro anche tutti i militari coinvolti nella cospirazione.

Un altro fronte sul quale la Francia si trovò coinvolta era quello della colonizzazione dell’Algeria. La spedizione francese del 1830, cominciata con l'occupazione di Algeri, sostenne una lunga e tenace guerriglia durata circa un trentennio per il totale dominio del paese. Piegata la valorosa resistenza di Abd el-Kader e conquistata nel 1857 anche l'ultima regione indipendente, la Cabilia, non vi furono più che sporadici focolai di rivolta, domati uno dopo l'altro (l'ultimo nel 1871). Dopo di allora, la penetrazione politica, culturale e demografica della Francia nella regione fu così profonda, che l'Algeria dal 1947 venne parificata al territorio metropolitano francese.

Il governo francese sembrò disinteressarsi della Tunisia, sulla quale quello italiano, al contrario, sembrava avere puntato la sua attenzione. In questo modo i prezzi dei possedimenti nel paese (grazie anche a una forte pubblicità fatta dai giornali in tal senso) caddero a picco, convincendo i possidenti a venderli a poco prezzo.

Ma, contrariamente a quanto era sembrato fino a quel momento, la Francia mandò le proprie truppe in Tunisia, per respingere la rivolta dei Krumiri. Questo permise al paese di stringere un accordo: il trattato di Bardo. Questo trattato portò diversi conseguenze: intanto l’instaurazione di un protettorato francese;

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secondariamente la crescita vertiginosa delle azioni legate alla Tunisia e il valore dei terreni posseduti dai francesi. Infine un deterioramento dei rapporti con l’Italia. Questa, infatti, aveva ormai pensato di essere in procinto di diventare sovrana della Tunisia e vedendo fallire il progetto, i rapporti con la Francia si tesero sempre maggiormente. La presenza del governo francese venne malvista e sfociò, nell’estate del 1881, in una guerra proprio in quei territori.

2.4 La nuova classe sociale: la borghesia.

La grande beneficiaria della Rivoluzione Francese fu la borghesia. Oltre a un potere prettamente economico, essa guadagnò un discreto peso politico e sociale. Si creò così un forte antagonismo con l’aristocrazia, ormai appannata e in via di decadenza. Antagonismo che andò rafforzandosi lungo gli anni, per attenuarsi solo nel 1830.

La borghesia non era un’unica massa uniforme, dove tutti avevano pari livello e pari dignità. Curiosamente (ma neanche tanto, basta dare un’occhiata alla moderna società) si crearono diversi livelli, diverse sottoclassi: c’era la piccola, la media e la grande borghesia. La nascita della classe, il cambiamento della società, fu totalmente basato sull’economia. Nel 1817 la finanza aveva la sua importanza, ma ancora la speculazione non era pratica comune. Si investiva solo negli immobili, spesso costruiti in città, a Parigi, sempre sulla riva destra della Senna. Le vere trasformazioni si ebbero nel campo del finanziamento pubblico: nel 1819 venne creato e votato un budget delle entrate e uno per le uscite annuali. Nel 1827 questo stesso budget venne diviso in sezioni diverse, per ministeri, e per sforare dalle cifre concesse serviva un voto di credito supplementare.

Fu la rivoluzione del 1830 che aprì alle banche le vie del potere. Assieme ad esse diventavano sempre più importanti i manufatturieri, i fabbri e i vari fabbricanti.

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Contemporaneamente cambiava la faccia delle imprese e la geografia delle stesse: a ovest del paese si registrava una crisi del mercato delle tegole e una del tessile nel Languedocien. Per contro c’era una forte ascesa dei centri di produzione di Roubaix e Mulhouse.

Si assisteva anche alla nascita di una nuova figura: quella dell’ingegnere. Questi provieneva dalla Scuola Politecnica, dalla Scuola centrale delle Arti e dei Manufatti o dalla Scuola delle Arti e dei Mestieri. Fu grazie a questa figura che cominciarono ad apparire tutta una serie di invenzioni che andarono a interessare le fabbriche e la produzione in generale: la caldaia tubulare per le locomotive, i primi contatti elettrici che diedero origine al telegrafo elettrico, Niepce e Daguerre misero a punto la fotografia; la biologia e la geologia cominciarono a muovere i primi passi verso territori inesplorati.

Un’altra figura venne resuscitata dalla monarchia industriale e sotto di essa ritrovò la sua agiatezza: il possidente. Il plusvalore degli immobili toccò tutta Parigi, arrivando in certi casi a un aumento degli affitti pari al 100%. Con un rapido calcolo si venne a scoprire che erano molti coloro che potevano vivere del solo guadagno derivante dagli affitti.

Lo stato aveva un grande rispetto per i possidenti e gli affittuari, definiti ormai “i nuovi Re della Francia”. La borghesia viveva in appartamenti vasti e ben arredati, in una via di mezzo tra il lusso e l’austerità. Spesso c’era un pianoforte nel salone, dove dare vita a momenti musicali per le serate di società, ma era uno dei pochi lussi che erano concessi. Questo perché si cercava di evitare inutili sprechi e perché l’esibizione di ricchezza era considerata di cattivo gusto e bandita. Per contro non si rinunciava ad avere una cameriera al proprio servizio, che si occupasse degli incarichi domestici e che facesse anche da tramite con le altre famiglie.

E’ in questo periodo che l’architetto Haussmann rade al suolo addirittura interi quartieri del centro parigino, per tracciare un nuovo assetto urbano: vengono creati così grandi boulevard, nascono anche enormi immobili con appartamenti lussuosi, che diventeranno la casa della nuova borghesia. Si assiste così al crearsi di un

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fenomeno di speculazione edilizia che favorisce lo sviluppo della città, ma ne mina, contemporaneamente, il sistema e la solidarietà sociale.

Alla base della società borghese si trovava il matrimonio, che diventò un passaggio obbligatorio in ogni famiglia. Nella duplice funzione di portare avanti il nome e di poter dare agli affari di famiglia un futuro, le nozze diventarono una mera questione di affari. Famiglie di ricchi mercanti o possidenti organizzarono i matrimoni tra i figli per unire ricchezza e nomi, così da garantire l’aumento della prima e la prosecuzione dei secondi. Non deve sorprendere, quindi, se il celibe non era visto di buon occhio, presso la borghesia, e se il matrimonio borghese era fondato sulla ragione, più che sul sentimento, sull’accordo tra due famiglie, più che sull’amore dei due sposi.

Due erano i principali obiettivi a lungo termine della borghesia: portare avanti gli affari e perpetuare il nome di famiglia; il secondo punto faceva così nascere il problema dei figli. Si preferiva avere un figlio unico, così da introdurlo e lasciargli in eredità le imprese familiari; ma, tuttavia, non si disdegnava spesso un secondo figlio, a fungere da sostituto del primo, in caso di scomparsa prematura. Il problema maggiore si rivelò essere quello della discendenza femminile: al momento delle nozze, le figlie dovevano essere accompagnate da una grossa dote e, soprattutto, non venivano considerate capaci di portare avanti gli affari. I matrimoni di interesse aumenteranno sempre di più, rivelandosi la soluzione migliore al problema.

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Capitolo 3. Tre uomini e il loro destino.

Georges Duroy, Rastignac e Julien Sorel hanno tutti almeno una cosa in comune: stanno cercando di emergere e di staccarsi dalla loro vecchia vita, alla ricerca di una posizione sociale superiore. Figli della bassa borghesia o della piccola nobiltà, di povera gente che lavora per mantenerli (Rastignac), di manovali che li hanno mantenuti e che ora cercano di liberarsene, in quanto un peso per le finanze di famiglia (Sorel) o reduci dalla guerra e alla ricerca di un posto nel mondo (Duroy), tutti e tre mirano a qualcosa di più. Mirano alla ricchezza, al riconoscimento delle loro doti superiori (reali o presunte) o, in mancanza di ciò, al riconoscimento come membri di una classe sociale elevata, lontana anni luce da quella da cui provengono.

Il modo in cui i tre protagonisti cercano di arrivare a questo risultato è lo stesso: visto che la nobiltà è un circolo chiuso, impegnata a piangere sugli splendori passati e refrattaria a qualsiasi novità che la possa privare dello splendore ormai passato, l’alta borghesia è la cerchia nella quale farsi accettare. Alla base di questa società di arricchiti c’è, ovviamente, la sete per il denaro. Il denaro si rivela il valore principale sul quale si basano rapporti, legami (a volte anche familiari) e colui che non possiede i capitali necessari non potrà mai essere considerato degno di far parte della società che conta. Ma avere i soldi o dimostrare di averne risulta essere quasi la stessa cosa. Chi non ha soldi può cercare di atteggiarsi a un ricco possidente, ugualmente, magari con l’aiuto di familiari e amici (come Rastignac) o grazie alle amanti (come Duroy) e ai loro ingenti prestiti. Strada diversa cerca di seguire il giovane Julien Sorel: abbagliato da Napoleone sogna la carriera militare, ma è anche abbastanza razionale da accorgersi che ormai è nella Chiesa che si sviluppa la vera ricchezza e che un prete di campagna può guadagnare quanto un comandante dell’esercito napoleonico.

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cui i tre partono. Rastignac, Sorel e Duroy sono personaggi complessi e sfaccettati che, pur mirando allo stesso obiettivo, sono spinti da un animo diverso.

Rastignac ci viene presentato come un giovane idealista, desideroso di diventare magistrato, ma contemporaneamente di dimostrare di meritare più di quanto il diritto di nascita gli abbia concesso. Ha dei sogni e li segue, mantenendo intatta, almeno inizialmente, una purezza di fondo che lo fa accostare al mondo in maniera disincantata e innocente. Al contrario Julien Sorel si accosta al mondo con occhi freddi e calcolatori, cercando di seppellire i sentimenti, di non darli a vedere e di seguire sempre il suo raziocinio. E’ un giovane che viene da una situazione familiare difficile, dove l’amore non è mai stato manifestato, e porta con sé i segni di una crescita così brutale nel mondo che si appresta ad affrontare. Infine George Duroy, che come unico sentimento ha l’orgoglio e l’arroganza e li dimostra a ogni occasione: piccandosi di non avere ciò che pensa di meritare, volendo sempre più di quanto riesce a ottenere e invidiando chi ha più di lui.

Tutti e tre mirano a uno scopo. Ma prima della fine dei rispettivi romanzi, ci saranno cambiamenti, sogni infranti e traguardi raggiunti.

3.1 Sfida alla città: Rastignac e la nobiltà.

Il giovane Eugène de Rastignac arriva a Parigi per studiare diritto. La famiglia fa dei sacrifici per mantenerlo e il giovane subisce il fascino della città, come chiunque arrivi da un paese di piccole dimensioni e si scontri con modi, luci e usanze della grande città. E nel rimanere affascinato da tutto questo, Eugène desidera emergere, diventare qualcuno, migliorare il proprio stato sociale; ma piuttosto che seguire la strada dello studio, il giovane decide di tentare una scalata sociale nel campo nobiliare, forte dell’appoggio di una zia che ebbe dei contatti con l’alta società.

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noirs, des yeux bleus. Sa tournure, ses manières, sa pose habituelle dénotaient les fils d’une famille noble, où l’éducation première n’avait comporté que des traditions de bon goût. S’il était ménager de ses habits, si les jours ordinaires il achevait d’user les vêtements de l’an passé, néanmoins il pouvait sortir quelquefois mis comme l’est un jeune homme élégant. (PG, p. 36)8

Rastignac arriva a Parigi e si innamora della città, rimanendo affascinato dalla struttura sociale che la domina; cominciando a desiderare di farne parte e di poter raggiungere i livelli più alti. Ma Eugène è un giovane ragazzo sognatore e idealista: quello che non comprende è non solo la difficoltà di un’impresa come quella, ma anche come muoversi per avere successo:

Un étudiant se passionne alors pour des niaiseries qui lui paraissent grandioses. […] Ses illusions d’enfance, ses idées de province avaient disparu. Son intelligence modifiée, son ambition exaltée lui firent voir juste au milieu du manoir paternel , au sein de la famille. (PG, p. 56-57)

Félicien Marceau da una giusta definizione della società del periodo: è una società scellerata e come tale l’unica soluzione è quella di vincerla. Oppure, continua Marceau, si potrebbe fuggirla, evitare di finire incastrato neille maglie di quel meccanismo perverso; ma Rastignac non ha affatto la stoffa dell’eremita o del rivoluzionario e quindi sceglie la prima soluzione.

A dire il vero Rastignac è anche ingenuo; il suo spirito puro e disincantato si vede in piccole cose e piccoli gesti. Come già detto, la sua poca conoscenza del bel mondo parigino lo porta a rimanere affascinato da cose da nulla, di poco conto, che la vera alta società ignora o reputa poco interessante. Inoltre il giovane è ancora capace di preoccuparsi per gli altri (quando una notte sente il papà Goriot sospirare dolentemente, va a controllare che non stia male) e ha una visione dell’amore ancora teorica e ideale. Per lui l’amore non è una questione di sentimenti, né di desiderio.

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Rastignac cerca una donna, perché vi incarna il suo ingresso nella società, poiché sarà corteggiandola che potrà farsi un nome:

Il remarqua combient de femmes ont d’influence sur la vie sociale, et avisa soudain à se lancer dans le monde, afin d’y conquérir des protectrices. (PG, p. 58)

Come dice Barbéris:

Il n’est pour lui de conquêtes éventuelles que d’intérêt social. Là est, dès le début, l’essentiel de son personnage. 9

Le cose cambiano nel momento in cui

Oh! Oui, elle était furieusement belle, reprit Eugène, que le père Goriot regardait avidement. Si madame de Beauséant n’avait pas été là, ma divine comtesse eût été la reine du bal, les jeunes gens n’avaient d’yeux que pur elle, j’étais le douzième inscrit sur la liste, elle dansait toutes les contredanses. Les autres femmes enrageaient. Si une créature a été heureuse hier, c’était bien elle. On a bien raison de dire qu’il n’y a rien de plus beau que frégate à la voile, cheval au galop et femme qui danse. (PG, p.

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A fare da contraltare a questa visione poetica della vita e della società parigina, pensa Vautrin, uno degli abitanti della pensione nella quale alloggia Rastignac. Tanto è innocente e sognatore il primo, tanto è crudo e disilluso il secondo. Ed è proprio lui a dare le prime lezioni sulla vita reale al giovane, andando così a incrinare le sue convinzioni su come vadano le cose.

Vautrin è, per certi versi, lo specchio di ciò che Rastignac potrebbe diventare, se cedesse allo spirito più nero di Parigi; laddove, invece, il père Goriot è lo specchio di ciò che il giovane potrebbe diventare se continuasse sulla strada della scalata sociale, ma senza perdere quella purezza e quella bontà d’animo che gli è propria.

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Vautrin è realista, duro, al limite della cattiveria nel suo modo di analizzare la società che lo circonda e nel dare giudizi sugli altri abitanti della pensione Vauquer. Al suo occhio non si salva quasi nulla, tutto è marcio e sporco; tutto è decadente e ambiguo. Soprattutto non si fa problemi nell’esporre la sua personale visione di ogni cosa, con la sicurezza di chi ha visto ogni lato dell’argomento in discussione e ha deciso che a prevalere è quello peggiore, il più indegno. Tanto da far dire a Rastignac una frase che è al contempo una amara constatazione, ma anche un inizio di presa di coscienza della realtà che lo circonda:

- Mais, dit Eugène avec un air de dégoût, votre Paris est donc un bourbier.

- Un drôle de bourbier, reprit Vautrin. Ceux qui s’y crottent en voiture sont d’honnêtes gens, ceux qui s’y crottent à pied sont des fripons. (PG, p. 77)

Due parole sul pensionato Vauquer: la varia umanità che lo compone è per la maggior parte spinta dagli stessi sentimenti di emergere di Rastignac. Vautrin, Marsay, politico ambizioso e Rubempré, scrittore di talento, cercando tutti un modo per avere successo, gloria e fare fortuna. Entro la fine della vicenda avranno tutti, chi più, chi meno, capito che cosa serve per poter riuscire nell’impresa e cosa fare per arrivare dove mirano. L’unico elemento realmente disinteressato, spinto solo da amore paterno e desiderio di rendere felice qualcun altro, è il papà Goriot e con lui, fuori dal pensionato, la signore Beauséant, altra guida del giovane studente.

3.1.2 L’innocenza perduta.

Il cambiamento al quale va incontro Rastignac è dovuto, com’è ovvio, allo scontro con la dura realtà dell’alta società. Convinto di poter emergere, di potersi creare una migliore posizione sociale solo grazie alle sue forze (“Comme il arrive aux âmes grandes, il voulut ne rien devoir qu’à son mérite.”), Rastignac viene ridimensionato una volta che scopre come la società non si basi sui meriti di una persona, ma come in realtà sia basata sui titoli nobiliari.

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La prima scoperta di ciò nasce dalla sua visita alla figlia di Goriot, la contessa de Restaud. Arrivato lì dopo averla incontrata quella mattina, nei paraggi della pensione Vauquer, il giovane va a casa sua per scoprire quali rapporti la leghino con il papà Goriot, accusato da Vautrin di esserne l’amante. La visita di Eugène è basata sulla presa di coscienza della sua inadeguatezza all’ambiente di classe nel quale si trova. Presa di coscienza che nasce già dal momento del suo arrivo:

Avec la rage froide d’un homme sûr de triompher un jour, il reçut le coup d’oeil méprisant des gens qui l’avaient vu traversant la cour à pied, sans avoir entendu le bruit d’une voiture à la porte. Ce coup d’oeil lui fut d’autant plus sensible qu’il avait déjà compris son infériorité en entrant dans cette cour, où piaffait un beau cheval richement attelé à l’un de ces cabriolets pimpants qui affichent le luxe d’une existence dissipatrice, et sous-entendent l’habitude de toutes les félicités parisiennes. (PG, p. 85)

Se già questo primo momento fa rendere conto a Rastignac di essersi presentato con atteggiamento spavaldo, ma senza l’adeguato supporto di una carrozza a sostenere questa sua immagine; il resto della visita si gioca su due piani: da un lato il modo di agire impulsivo e scortese (per i canoni nobiliari dell’epoca) del giovane, intenzionato a parlare a tutti i costi con la contessa. Dall’altro, sul piano nominale; dove un titolo nobiliare cambia la considerazione verso il giovane e il nome di Goriot, cambia totalmente l’atmosfera del luogo dove si trova. Questo duplice piano di gioco (nobiltà contro popolo; nomi rispettabili contro nomi umili) è più grande del ragazzo che infatti compie tutte le mosse sbagliate e si fa, in questo modo, bandire dalla casa nella quale è entrato approfittando della presentazione di una parente che ha accettato di introdurlo nel bel mondo parigino.

Questo doppio gioco comincia con l’uso di un nome di prestigio dopo la presentazione del proprio. Eugène de Rastignac non è nessuno, ma chi lo presenta sì:

Parent de madame la vicomtesse de Beauséant par les Marcillac! ces mots, que la

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qu’éprouve une maîtresse de maison à prouver qu’elle n’a chez elle que des gens de distinction, furent d’un effet magique, le comte quitta son air froidement cérémonieux et salua l’étudiant. (PG, p. 91)

E’ il primo esempio al quale assiste Eugène di come l’apparire conti più dell’essere; di come tutti i suoi lati positivi e i suoi indubbi meriti spariscano davanti a un titolo nobiliare. L’apparenza di un titolo nobiliare porta dei benefici a tutta la casa, che si reputa più rispettata e ammirata, se visitata solo (o soprattutto) da persone di alto livello sociale. Come se un titolo emettesse un’aura di lustro che si espande, influenzando tutti coloro che ne vengono a contatto.

Altresì, come un titolo di prestigio rende l’incontro più di classe, un nome sgradito, appartenente a un passato che si vuole dimenticare e a una classe sociale dalla quale si è fuggiti, rovina l’atmosfera gaia e ipocrita, facendo piombare i padroni di casa in una situazione di tensione:

La comtesse pâlit d’abord en voyant l’impatience de son mari, puis elle rougit, et fut évidemment embarrassée; elle répondit d’une voix qu’elle voulut rendre naturelle, et d’un air faussement dégagé : “Il est impossible de connaitre quelqu’un que nous amions mieux…” Elle s’interrompit, regarda son piano, comme s’il se réveillait en elle quelque fantaisie, et dit: - Aimez-vous la musique, monsieur? (PG, p. 95)

Il nome di Goriot inverte totalmente la situazione di potere che vigeva fino a quel momento: se inizialmente Rastignac era un intruso, ai quali i padroni di casa facevano l’onore di concedere tempo e attenzione; successivamente, appena saputo della sua parentela, il giovane diventa quasi un pari dei due. Infine, con il nome di Goriot, la contessa e il marito sembrano denudati del loro titolo e della loro apparente superiorità. Il Re è nudo. Si imbarazzano, cercano di mascherare questo imbarazzo con dell’affetto verso una persona di cui, chiaramente, non vogliono sapere assolutamente nulla; fino ad arrivare al goffo gesto di mitigare la situazione di tensione con la patetica scena al pianoforte, in cui la contessa invita Rastignac a cantare e, una volta che questo ammette la sua incapacità nel campo, si mette a

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cantare lei stessa, a voce altissima, quasi come se tentasse di zittire la vergogna che prova:

En prononçant le nom du père Goriot, Eugène avait donné un coup de baguette magique, mais don l’effet était inverse de celui qu’avaient frappé ces mots: parent de madame de Beauséant. Il se trouvait dans la situasion d’un homme introduit par faveur chez un amateur de curiosités, et qui, touchant par mégarde une armoire pleine de figures sculptées, fait tomber trois ou quatre têtes, mal collées. (PG, p.- 95)

L’accaduto fa bandire il giovane dalla casa della contessa, nonché figlia di Goriot, ma, soprattutto, gli fa capire come in realtà lui sia inadeguato alla società parigina e ai suoi usi e costumi. La prima reazione a tutto ciò è il rifiuto di condurre una vita basata su falsità, egoismo ed esibizione del lusso:

Je devrais rester dans un coin à piocher le Droit, ne penser qu’à devenir un rude magistrat. Puis-je aller dans le monde quand, pour y manoeuvrer convenablement, il faut un tas de cabriolets, de bottes cirées, d’agrès indispensable, de chaînes d’or, dès le matin des gants de daim blanc qui coûtent six francs, et toujours des gants jaunes le soir? (PG, p. 96)

Ma, successivamente, abbiamo la dimostrazione di come ormai l’animo di Eugène sia roso dal desiderio di emergere, di essere considerato un membro della bella società. A questo cambiamento, collaborano diversi fattori: da un lato l’aver visto lo sfarzo e il lusso del quale si circondano i nobili. Per quanto disgustoso e riprovevole, agli occhi del giovane, è anche desiderabile. Secondariamente entra in gioco l’orgoglio di Rastignac, che cresce a dismisura dopo l’umiliazione subita. Non ritenendo di meritarlo, ma, anzi, di essere destinato a qualcosa di meglio, rispetto alla sua condizione di nascita, il giovane non rifugge un ambiente tanto falso, ma lo sfida apertamente:

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