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RIASSUNTO
Tolvaptan è un antagonista dell'ADH approvato dall'EMA per il trattamento di pazienti
adulti affetti da iponatriemia secondaria a SIADH; esso agisce in modo selettivo sui
recettori V2 delle cellule principali del dotto collettore renale bloccando il legame
dell'ADH e determinando un incremento dell'escrezione renale di acqua libera con
conseguente aumento della natriemia.
I pazienti affetti da iponatriemia presentano generalmente elevati livelli di ADH; lo stato
emodinamico infatti prevale sui meccanismi di mantenimento dell'osmolalità e, quando
attivato, impedisce agli stimoli osmotici di sopprimere l'increzione di ADH. Questo
processo sta alla base della genesi dell’iponatriemia in vari stati patologici, quali la cirrosi
e lo scompenso cardiaco.
Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare l'efficacia di tolvaptan nel
trattamento dei pazienti con grave iponatriemia associata ad espansione del volume
extracellulare.
Pazienti affetti da iponatriemia conseguente alla compromissione dell'escrezione renale
di acqua libera sono stati trattati con tolvaptan per 1, 2 o 3 giorni.
Tolvaptan ha determinato, indipendentemente dal grado iniziale di iponatriemia, un
incremento dell'escrezione renale di acqua libera da elettroliti, efficace nel ristabilire la
natriemia; non agendo sulla causa sottostante, è probabile che l’iponatriemia si ripresenti
alla sospensione della terapia. La progressiva riduzione dell’escrezione frazionale del
sodio, indicativa di una riduzione del volume effettivo circolante, ha coinciso con la
riduzione dell'efficacia di tolvaptan nell'eliminare acqua libera; questo dato conferma il
prevalere dello stato emodinamico sul sistema osmotico nel determinare la secrezione di
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INDICE
INTRODUZIONE ... 3
SCOPO DELLA TESI ... 25
MATERIALI E METODI ... 26
RISULTATI ... 28
DISCUSSIONE ... 46
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INTRODUZIONE
I liquidi corporei costituiscono circa il 60% del peso corporeo e si distribuiscono in due
compartimenti principali: il 60% nel compartimento intracellulare ed il 40% in quello
extracellulare (di quest’ultimo un quinto nel compartimento intravascolare, i restanti
quattro quinti nell’interstizio). Il mantenimento del volume intracellulare è ottenuto
tramite variazioni del bilancio idrico ed è essenziale per il funzionamento cellulare; la
regolazione del volume plasmatico dipende dal bilancio del sodio.
I liquidi corporei sono in equilibrio osmotico, questo significa che le forze osmotiche
sono i principali determinanti nella regolazione della distribuzione dell’acqua. Si
definisce osmosi il passaggio dell’acqua, attraverso una membrana semipermeabile, da
una soluzione meno concentrata ad una più concentrata; la pressione osmotica è la
pressione idrostatica necessaria ad impedire il fenomeno dell’osmosi, ossia quella
pressione che si oppone al movimento osmotico dell’acqua. L’attività osmotica di una
soluzione è legata alla capacità di un soluto, in essa disciolto, di stimolare il movimento
del solvente attraverso una membrana semipermeabile; tale capacità è proporzionale al
numero di particelle di soluto disciolte per unità di volume di solvente. In ognuno dei
due compartimenti di distribuzione dei liquidi corporei è possibile determinare un soluto
principale osmoticamente attivo, in quanto confinato in modo specifico nel
compartimento extracellulare o intracellulare; i sali di sodio costituiscono il soluto
principale del compartimento extracellulare mentre i sali di potassio il soluto principale
di quello intracellulare. Queste due molecole sono confinate nei loro compartimenti dalla
pompa Na+-K+-ATPasi quindi il volume del liquido extracellulare e quello del liquido
intracellulare dipendono non solo dalla quantità di acqua ma anche dal rapporto tra Na+
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diffondere liberamente attraverso le membrane e vengono quindi considerate
osmoticamente inattive, ossia incapaci di partecipare allo sviluppo della pressione
osmotica.
L’osmolalità plasmatica (Posm) può essere calcolata con la seguente formula:
𝑃 𝑜𝑠𝑚 = 2 𝑥 [𝑁𝑎+]𝑝𝑙+
[𝑔𝑙𝑢𝑐𝑜𝑠𝑖𝑜]𝑝𝑙
18 +
[𝑎𝑧𝑜𝑡𝑜]𝑝𝑙
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dove i valori entro parentesi rappresentano rispettivamente le concentrazioni plasmatiche
del sodio, del glucosio e dell’azoto.
Poiché l’osmolalità dipende dalle molecole osmoticamente attive ed essendo l’urea una
molecola osmoticamente inattiva, l’osmolalità effettiva del plasma può essere calcolata
come segue:
𝑃 𝑜𝑠𝑚𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 ≅ 2 𝑥 [𝑁𝑎+]𝑝𝑙+ [𝑔𝑙𝑢𝑐𝑜𝑠𝑖𝑜]𝑝𝑙 18
Infine, poiché il glucosio in condizioni normali fornisce solo 5 mOsm/Kg, la formula può
essere così semplificata:
𝑃 𝑜𝑠𝑚𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 ≅ 2 𝑥 [𝑁𝑎+]𝑝𝑙
Come abbiamo detto i liquidi corporei si trovano in equilibrio osmotico; questo significa
che l’osmolalità plasmatica è uguale all’osmolalità effettiva dell’acqua corporea totale,
a sua volta determinata dal rapporto tra i soluti scambiabili (Na+
e e K+e) e l’acqua totale
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𝑃 𝑜𝑠𝑚𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 ≅
2 𝑥 𝑁𝑎𝑒++ 2 𝑥 𝐾𝑒+ 𝑇𝐵𝑊
In definitiva, dalle due equazioni otteniamo che la concentrazione plasmatica del sodio
può essere così determinata:
[𝑁𝑎+] 𝑝𝑙 ≅
𝑁𝑎𝑒++ 𝐾𝑒+ 𝑇𝐵𝑊
Questa equazione spiega come la concentrazione plasmatica del sodio dipenda dal
bilancio del sodio, dal bilancio del potassio e dall’acqua totale corporea e come le
modificazioni di questi tre fattori siano la causa dello sviluppo degli stati di iponatriemia
ed ipernatriemia. Data la tossicità dell’ipokaliemia e dell’iperkaliemia, raramente le
modificazioni della concentrazione di questo ione sono in grado di determinare una
variazione della concentrazione plasmatica del sodio. Le perdite di soluti, con vomito o
diarrea, si verificano generalmente in soluzioni isoosmotiche al plasma e non sono quindi
in grado di modificare le concentrazioni plasmatiche di sodio. Il meccanismo della sete
costituisce un efficiente sistema di difesa contro l’ipernatriemia; il rene, a sua volta, in
condizioni normali è in grado di modificare l’escrezione di acqua in modo altamente
efficace. In definitiva nella pratica clinica gli stati di iponatriemia o ipernatriemia
derivano quasi sempre da modificazioni del bilancio dell’acqua, causate da un difetto
nell’escrezione renale di urina o da una perdita di acqua non efficacemente compensata
tramite il meccanismo della sete.
Si definisce volume effettivo circolante (VLCA) la pressione di perfusione dei
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corrisponde a quella parte del liquido extracellulare che effettivamente perfonde i tessuti
ed il suo mantenimento entro valori costanti è strettamente correlato alla regolazione del
bilancio del sodio. Nel mantenimento del VLCA sono implicati i recettori di volume del
circolo cardiopolmonare, dei seni carotidei, dell’arco aortico e dell’arteriola afferente del
glomerulo renale; nonostante i meccanismi regolatori agiscano sul volume, ciò che
realmente percepiscono tali recettori sono le variazioni di pressione, ossia le variazioni
di distensione della parete dei vasi. I meccanismi effettori implicati nella regolazione del
VLCA comprendono sia fattori emodinamici sistemici (quali il sistema nervoso
simpatico e l’angiotensina II) sia l’escrezione renale del sodio, che varia in misura
direttamente proporzionale al VLCA; quest’ultimo meccanismo è mediato
principalmente dal sistema renina-angiotensina-aldosterone e dal peptide natriuretico
atriale. La concentrazione urinaria di sodio può essere utilizzata come stima della
volemia: un valore inferiore a 20 mEq/l è in genere indicativo di ipovolemia e permette
la diagnosi differenziale tra le due principali cause di iponatriemia ossia la deplezione di
VLCA, dove la concentrazione è inferiore a 20 mEq/l, e la sindrome da inappropriata
secrezione di ADH (SIADH), dove la concentrazione è superiore a 40 mEq/l.
L’utilizzazione della concentrazione urinaria di sodio nella stima della volemia presenta
però alcune limitazioni in quanto è influenzata dall’entità del filtrato glomerulare e dalla
velocità del riassorbimento tubulare del sodio e del riassorbimento dell’acqua. Allo scopo
di eliminare l’influenza del riassorbimento dell’acqua è più utile stimare l’escrezione
renale del sodio tramite il calcolo dell’escrezione frazionale del sodio (EFNa+%), definita
come:
𝐸𝐹𝑁𝑎+% =
𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑁𝑎+𝑒𝑠𝑐𝑟𝑒𝑡𝑎
7 e quindi calcolabile con la seguente formula:
𝐸𝐹𝑁𝑎+% = 𝑈𝑁𝑎+ 𝑥 𝑉 𝑃𝑁𝑎+ 𝑥 (𝑈𝑐𝑟 𝑥 𝑉 𝑃 𝑐𝑟 ⁄ ) 𝑥 100 = 𝑈𝑁𝑎+ 𝑥 𝑃𝑐𝑟 𝑃𝑁𝑎+ 𝑥 𝑈𝑐𝑟 𝑥 100
dove Pcr e Ucr rappresentano rispettivamente la concentrazione plasmatica e urinaria della
creatinina, PNa+ e UNa+ rappresentano la concentrazione plasmatica ed urinaria di sodio,
e V rappresenta il volume urinario. La EFNa+% permette la diagnosi differenziale nei
pazienti con insufficienza renale acuta: in caso di insufficienza funzionale il suo valore
è inferiore a 1%, a causa del riassorbimento del sodio, mentre in caso di necrosi tubulare
acuta il suo valore è superiore a 1%. Mentre la regolazione del volume extracellulare,
percepito come VLCA, è ottenuta tramite modificazioni dell’escrezione urinaria di sodio,
la regolazione osmotica, percepita come osmolalità plasmatica, dipende dalle
modificazioni del bilancio idrico.
L’ormone antidiuretico (ADH) è un polipeptide prodotto nei nuclei sopraottici e
paraventricolari dell’ipotalamo. Il suo effetto principale si esplica a livello renale dove,
tramite i recettori V2, aumenta la permeabilità all’acqua della membrana luminale delle
cellule principali dei tubuli collettori della corticale e della midollare. A livello del tubulo
collettore corticale l’ADH inoltre stimola il riassorbimento di sodio e la secrezione di
potassio ed idrogenioni mentre, nel dotto collettore midollare, aumenta la permeabilità
all’urea (meccanismo quest’ultimo che contribuisce a generare, nella midollare renale, il
gradiente osmotico essenziale per il riassorbimento di acqua). Tramite i recettori V1
l’ADH contribuisce al mantenimento della pressione arteriosa sistemica, aumentando le
resistenze vascolari, e induce l’aggregazione piastrinica. E’ importante notare che a
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riducono sia le sue azioni antidiuretiche sia quelle vascolari, tuttavia la stimolazione di
questi recettori renali sembra verificarsi solo per concentrazioni di ADH al di sopra dei
valori fisiologici. Il legame dell’ADH col recettore V2, posto sul versante basolaterale
della membrana delle cellule principali dei tubuli collettori renali, tramite l’attivazione
di una proteina Gs determina un aumento dei livelli di AMP ciclico a cui segue la sintesi
e la fosforilazione di specifici canali per il riassorbimento dell’acqua, denominati
acquaporine-2; la fosforilazione di tali canali ne permette il trasporto e l’esposizione sul
versante luminale della membrana delle cellule, con successivo riassorbimento di acqua.
L’emivita dell’ADH è di 15-20 minuti; gli stimoli principali alla sua secrezione sono
l’iperosmolalità plasmatica e la deplezione del VLCA. L’aumento dell’osmolalità
plasmatica viene percepito dagli osmorecettori delle cellule dell’ipotalamo promuovendo
la sintesi e la secrezione di ADH. Gli osmorecettori hanno una soglia osmotica per il
rilascio dell’ADH di 280-290 mOsm/Kg; al contrario, la secrezione cessa completamente
per valori di osmolalità inferiori a 275 mOsm/Kg. Questo sistema, altamente sensibile,
impedisce variazioni dell’osmolalità plasmatica superiori all’1-2%, nonostante grandi
modificazioni dell’apporto idrico. La concentrazione plasmatica di sodio è il principale
fattore osmotico implicato nella secrezione di ADH; l’urea, osmole inefficace, così come
il glucosio (tranne in condizioni di iperglicemia non controllata), non sono in grado di
stimolare gli osmorecettori. I barocettori del seno carotideo sono recettori di pressione
che agiscono come recettori di volume; la riduzione del VLCA, tramite la loro
attivazione, stimola la secrezione di ADH da parte delle cellule dei nuclei
paraventricolari dell’ipotalamo. I recettori di volume hanno una sensibilità minore
rispetto agli osmorecettori, venendo attivati solo da riduzioni del VLCA tali da produrre
una riduzione della pressione arteriosa sistemica; la loro stimolazione tuttavia è in grado
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dall’iperosmolalità; inoltre lo stato emodinamico è in grado di modificare sia la soglia
osmotica per la secrezione di ADH, sia l’entità della secrezione di ADH in risposta
all’iperosmolalità.
Come abbiamo detto, la regolazione osmotica dipende dalle modificazioni del bilancio
idrico; il mantenimento dell’osmolalità plasmatica entro valori compresi tra 275 e 290
mOsm/Kg avviene tramite modificazioni della sete e della secrezione di ADH. Il rene è
capace di eliminare fino a 20 litri di acqua al giorno quindi una ritenzione di acqua tale
da provocare una condizione di ipoosmolalità si verifica generalmente a causa di una
riduzione dell’eliminazione renale di acqua. Il rene partecipa al riassorbimento di acqua
tramite due meccanismi: un riassorbimento passivo, legato al gradiente osmotico di NaCl
a livello del tubulo prossimale e del tratto discendente dell’ansa di Henle, e un
riassorbimento di acqua libera di soluti, indotto dall’azione dell’ADH. Nei soggetti
normali il volume urinario è determinato dall’apporto idrico tramite modificazioni nella
secrezione di ADH; nelle patologie in cui la secrezione di ADH, o la risposta a questo,
sono relativamente costanti, il volume urinario è determinato dall’apporto netto di soluti
e dalla loro velocità di escrezione. Un esempio di questa condizione è rappresentato dal
caso del diabete insipido centrale: in questa patologia la concentrazione di ADH, bassa e
non variabile, non permette di modificare l’osmolalità urinaria (Uosm) per cui
quest’ultima risulterà costante, nonostante il volume urinario vari a seconda della
necessità del carico di soluti da eliminare. Questo esempio spiega il motivo per cui
l’osmolalità urinaria non costituisce una stima affidabile, in termini quantitativi, per
valutare la capacità renale di eliminare o trattenere acqua. Per avere una stima più precisa
di questa capacità renale è indispensabile introdurre il concetto di clearance dell’acqua
libera. In caso di urine ipoosmotiche, possiamo assumere che il volume urinario (V) sia
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soluzione isoosmotica al plasma, definito clearance osmolale (Cosm), e un volume teorico
di acqua priva di soluti, definito clearance dell’acqua libera (CH2O), che rappresenta il
volume di acqua che andrebbe aggiunta alle urine per renderle ipoosmotiche al plasma.
𝑉 = 𝐶𝑜𝑠𝑚+ 𝐶𝐻2𝑂
Visto che la Cosm può essere calcolata dalla formula generale della clearance
𝐶𝑜𝑠𝑚 =
𝑈𝑜𝑠𝑚 𝑥 𝑉 𝑃𝑜𝑠𝑚
possiamo risolvere l’equazione per la CH2O come di seguito:
𝐶𝐻2𝑂 = 𝑉 − 𝐶𝑜𝑠𝑚= 𝑉 𝑥 (1 − 𝑈𝑜𝑠𝑚 𝑃𝑜𝑠𝑚)
Essendo il rene capace di produrre sia urine ipoosmotiche che iperosmotiche, la CH2O
può in realtà assumere anche valore negativo, corrispondendo in questo caso al volume
di acqua libera riassorbito per unità di tempo per rendere le urine iperosmotiche rispetto
al plasma; si parlerà allora di riassorbimento di acqua libera (Tc
H2O), calcolabile come
segue:
𝑉 = 𝐶𝑜𝑠𝑚− 𝑇𝐻2𝑂𝑐
𝑇𝐻2𝑂𝑐 = 𝐶𝑜𝑠𝑚− 𝑉 = 𝑉 𝑥 ( 𝑈𝑜𝑠𝑚 𝑃𝑜𝑠𝑚 − 1)
11 Da queste formule si deduce che:
_se la Uosm è uguale alla Posm, allora CH2O = 0 ml/min
_ se la Uosm è maggiore della Posm, allora CH2O < 0 ml/min (si parla di TcH2O)
_ se la Uosm è minore della Posm, allora CH2O > 0 ml/min
Come abbiamo precedentemente detto, la Uosm è un’espressione della capacità renale di
concentrare o diluire le urine, ma non rappresenta una stima affidabile per quantificare
la capacità renale di trattenere o eliminare acqua. L’urea è uno dei soluti che contribuisce
maggiormente alla determinazione della Uosm tuttavia essa è una osmole inefficace a
livello plasmatico, ossia non è in grado di influire sulla Posm. L’osmolalità plasmatica è
infatti determinata dalla relazione tra i soluti totali scambiabili extracellulari
(principalmente il sodio), i soluti scambiabili intracellulari (principalmente il potassio) e
l’acqua corporea totale; questo significa che una perdita di urea nelle urine è in grado di
determinare un aumento della Uosm senza modificare la Posm. La clearance, o il
riassorbimento, dell’acqua libera da elettroliti (CH2O Free, o TcH2O Free) permettono di
valutare con maggior precisione l’effetto della diuresi sui meccanismi di
osmoregolazione; essi rappresentano la quota di acqua libera escreta o riassorbita
nell’unità di tempo dal rene in relazione ai soli sodio e potassio urinari e possono essere
calcolati tramite le seguenti formule:
𝐶𝐻2𝑂 𝐹𝑟𝑒𝑒 = 𝑉 𝑥 (1 − 𝑈𝑁𝑎++ 𝑈𝐾+ 𝑃𝑁𝑎+ ) 𝑇𝐻2𝑂 𝐹𝑟𝑒𝑒𝑐 = 𝑉 𝑥 ( 𝑈𝑁𝑎++ 𝑈𝐾+ 𝑃𝑁𝑎+ − 1)
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L’escrezione renale di acqua libera avviene tramite due meccanismi: il riassorbimento di
solo NaCl nel tratto ascendente dell’ansa di Henle e nel tubulo distale, e
l’impermeabilizzazione all’acqua dei dotti collettori, in assenza di ADH. In seguito ad
una caduta dell’osmolalità plasmatica si verifica una riduzione della sintesi e della
secrezione di ADH con conseguente formazione di urine diluite; la secrezione di ADH
cessa completamente a valori di osmolalità plasmatica inferiori a 275 mOsm/Kg, ossia
per concentrazioni plasmatiche di sodio inferiori a 135 mEq/l. Come abbiamo
precedentemente detto il rene possiede una capacità molto elevata di eliminare l’acqua;
a loro volta le perdite di soluti si verificano generalmente in soluzioni isoosmotiche al
plasma. In definitiva una condizione di iponatriemia solitamente deriva da un difetto
dell’escrezione renale di acqua tale da provocare un aumento dell’acqua corporea totale.
Tabella 1. Fisiopatologia delle iponatriemie
Il deficit dell’escrezione renale di acqua libera può verificarsi in seguito a una riduzione
della velocità di scorrimento del liquido urinario nell’ansa di Henle (ad esempio per
riduzione del VLCA o per riduzione del filtrato in corso di insufficienza renale con
oliguria), o in seguito ad un aumento del riassorbimento di acqua, mediato dall’ADH, a
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Tabella 2. Fisiopatologia della ridotta escrezione renale di acqua libera
Nelle condizioni di ridotta escrezione renale di acqua libera, ossia in quasi tutti i pazienti
iponatriemici, è riscontrabile un eccesso di ADH; valori di Uosm inappropriatamente
elevati (maggiori di 100 mOsm/Kg) sono indicativi di tale eccesso di ADH.
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Nella polidipsia primaria l’eccesso di acqua può essere facilmente eliminato dal rene
quindi l’iponatriemia si sviluppa solo quando l’assunzione di acqua è tale da saturare la
capacità escretrice renale.
Nelle condizioni di resetting dell’equilibrio osmotico gli osmorecettori rispondono in
modo normale alle modificazioni dell’osmolalità plasmatica tuttavia la soglia per la
secrezione di ADH è ridotta; in questi casi la concentrazione plasmatica di sodio si
mantiene entro valori inferiori rispetto a quelli normali ma generalmente rimane stabile
nel tempo, con valori compresi tra 125 e 130 mEq/l.
Durante la terapia diuretica si può sviluppare un’iponatriemia tramite tre meccanismi: la
deplezione di volume, la deplezione di potassio ed il ridotto riassorbimento di NaCl
nell’ansa di Henle e nel tubulo distale. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, la
maggior parte dei casi di iponatriemia si verifica durante terapia con diuretici tiazidici. I
diuretici dell’ansa, agendo a livello della midollare renale, ne diminuiscono l’osmolalità
interstiziale; la tendenza all’iponatriemia è in questo modo limitata dalla ridotta
ipertonicità della midollare. Al contrario, i diuretici tiazidici agiscono a livello della
corticale dunque, non modificando l’osmolalità della midollare, non interferiscono con i
meccanismi di concentrazione urinaria; questi diuretici inoltre sono in grado di indurre
un’iponatriemia da perdita di soluti effettivi in eccesso di acqua.
In caso di insufficienza renale si verifica un aumento dell’attività secretoria nei nefroni
funzionanti per cui la concentrazione plasmatica di sodio si mantiene normale, fintanto
che l’apporto idrico non diventa eccessivo; nei casi di insufficienza di grado severo
tuttavia la ritenzione di acqua frequentemente determina lo sviluppo di iponatriemia.
Nell’ipotiroidismo, così come in corso di carenza di cortisolo, la gittata cardiaca ed il
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cortisolo controlli la secrezione di ADH tramite un meccanismo a feed-back negativo,
che risulta meno attivo nell’insufficienza surrenalica.
La sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH) è caratterizzata da una
secrezione non fisiologica di ADH con conseguente ritenzione idrica ed iponatriemia da
diluizione. In tale patologia l’escrezione di acqua è compromessa determinando
un’espansione dei liquidi corporei, tuttavia il paziente si mantiene euvolemico in quanto
si attivano meccanismi regolatori (tra cui la liberazione del peptide natriuretico atriale)
che riducono la quota di soluti nel liquido intracellulare ed extracellulare. Se i livelli di
secrezione di ADH e l’assunzione di acqua e sodio si mantengono relativamente costanti,
si raggiunge nel tempo una condizione di equilibrio in cui l’escrezione di sodio è uguale
alla sua entrata (con una UNa+ che si mantiene al di sopra di 40 mEq/l), la concentrazione
plasmatica di sodio si riduce e l’iponatriemia si stabilizza; una volta raggiunto tale
equilibrio persisterà solo una modesta espansione dei volumi, clinicamente non evidente.
La cronica esposizione dei recettori tubulari all’ADH determina inoltre una progressiva
resistenza all’azione di tale ormone con riduzione della Uosm e mascheramento
dell’effetto antidiuretico dell’ADH. Sono stati dimostrati quattro distinti modelli di
secrezione di ADH in corso di SIADH: un modello a secrezione irregolare, indipendente
dall’osmolalità plasmatica (20%), un modello in cui la secrezione varia regolarmente al
variare dell’osmolalità plasmatica, ma in cui la curva di secrezione è spostata a sinistra
(resetting dell’equilibrio osmotico, 35%), un modello caratterizzato dalla perdita
selettiva della capacità di inibire la secrezione di ADH in presenza di ipoosmolalità
(35%), ed infine un modello in cui il rilascio di ADH è normale ma è presente una
maggiore sensibilità a tale ormone (10%). In corso di SIADH l’equilibrio acido-base
viene mantenuto grazie ad una maggiore escrezione renale di idrogenioni e grazie ad uno
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l’ipokaliemia da diluizione. Infine, a differenza delle condizioni di iponatriemia da
deplezione del VLCA, nella SIADH è frequentemente riscontrabile un’ipouricemia, per
riduzione del riassorbimento prossimale di sodio ed urati durante l’iniziale espansione di
volume. La diagnosi di SIADH viene posta in seguito al riscontro di:
iponatriemia (PNa+ inferiore a 125 mEq/l)
ipoosmolalità plasmatica (Posm inferiore a 275 mOsm/Kg)
osmolalità urinaria inappropriatamente elevata (Uosm superiore a 100 mOsm/Kg)
concentrazione urinaria di sodio elevata (UNa+ superiore a 40 mEq/l)
normovolemia
funzionalità renale, tiroidea e surrenalica normali
equilibrio acido-base ed omeostasi del potassio nella norma possibile riscontro di ipouricemia
L’insorgenza della SIADH è riconducibile a quattro principali cause: aumento della
secrezione ipotalamica, produzione ectopica dell’ormone, potenziamento dell’effetto
dell’ADH e somministrazione di ADH esogeno o di ossitocina. Nonostante i farmaci
rappresentino una causa importante di SIADH, essi tuttavia raramente sono associati
all’instaurarsi di un’iponatriemia. Particolare attenzione deve essere posta in corso di
trattamento con la ciclofosfamide, farmaco capace di modificare la liberazione e la
sensibilità all’ADH, inducendo iponatriemie talvolta fatali. La clorpropamide
rappresenta la causa più comune di SIADH indotta da farmaci; essa è in grado di
potenziare gli effetti dell’ADH ma, a differenza della ciclofosfamide, non è in grado di
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Tabella 4. Eziologia della SIADH
Le condizioni caratterizzate da riduzione del volume effettivo circolante predispongono
allo sviluppo di iponatriemia attraverso modificazioni dell’escrezione renale di acqua,
modificazioni della sete e modificazioni del bilancio del potassio. L’ipovolemia infatti
da una parte è un potente stimolo per la secrezione di ADH, dall’altra, tramite la riduzione
del GFR e l’aumento del riassorbimento di NaCl e acqua, riduce la disponibilità dei
liquidi ai segmenti diluenti del nefrone con conseguente riduzione della produzione di
acqua libera; lo stato emodinamico inoltre prevale sui meccanismi di mantenimento
dell’osmolalità e, quando attivato, impedisce agli stimoli osmotici di sopprimere
l’increzione di ADH. La deplezione del VLCA può essere associata a una condizione di
riduzione o di espansione del volume extracellulare. Nei soggetti affetti da nefropatia,
come la sindrome nefrosica o la glomerulonefrite, la ritenzione di liquidi è dovuta
all’incapacità renale di eliminare sodio ed acqua e l’edema si sviluppa quando la quota
di sale introdotta supera la quota escreta dal rene; in questi pazienti è infatti riscontrabile
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di mantenere il bilancio del sodio nonostante il ridotto numero di nefroni funzionanti.
Più spesso negli stati edematosi la ritenzione di liquidi è una risposta compensatoria
appropriata alla deplezione del VLCA; sono questi i casi della cirrosi epatica e dello
scompenso cardiaco. Mentre nello scompenso cardiaco cronico l’evento primario è
rappresentato dalla riduzione della gittata cardiaca, nella cirrosi epatica la riduzione della
pressione arteriosa sistemica è causata dalla vasodilatazione splancnica e dalla creazione
di numerose fistole artero-venose, con conseguente riduzione della resistenza vascolare
sistemica. In entrambe le patologie la progressiva riduzione della perfusione renale porta
all’attivazione dei sistemi neuroumorali quali la noradrenalina, il sistema
renina-angiotensina-aldosterone ed il rilascio non osmotico di ADH, con aumento del
riassorbimento tubulare.
La disfunzione neurologica che si sviluppa in corso di iponatriemia è espressione del
passaggio di acqua all’interno delle cellule cerebrali, passaggio dovuto all’elevato
gradiente osmotico che si determina a livello della barriera ematoencefalica in seguito
all’ipoosmolalità plasmatica. La gravità dei sintomi dipende non solo dalla
concentrazione plasmatica del sodio ma anche dalla velocità con cui essa diminuisce.
Quando l’insorgenza dell’iponatriemia è graduale si verifica un adattamento cellulare
con fuoriuscita di sodio, potassio e, successivamente, di soluti organici (osmoliti). In
questi casi la minor osmolalità cellulare promuove una fuoriuscita di acqua dalle cellule,
che si oppone al rigonfiamento cellulare e che spiega la natura relativamente asintomatica
dell’iponatriemia. Proprio per l’esistenza di questi meccanismi cellulari di adattamento,
una rapida correzione dell’iponatriemia può portare alla disidratazione cellulare con
comparsa di una sindrome potenzialmente fatale denominata mielinolisi centrale pontina.
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sintomi possono includere confusione, ottundimento, letargia, crisi convulsive, coma,
danni neurologici permanenti e morte per arresto respiratorio.
Nel trattamento dell’iponatriemia è fondamentale sia aumentare la concentrazione
plasmatica del sodio, rispettando una velocità massima di sicurezza, sia trattarne la causa.
Normalmente l’iponatriemia viene corretta somministrando NaCl ai pazienti depleti di
volume e diminuendo l’assunzione di acqua in quelli normovolemici o edematosi; il
ricorso alla soluzione ipertonica è richiesto in caso di iponatriemia sintomatica o quando
la concentrazione di sodio è inferiore a 110 mEq/l, per il rischio di un danno neurologico
irreversibile. La quantità di sodio necessaria per riportare la natriemia ad un valore
desiderato può essere stimata dalla seguente formula:
𝐷𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡 𝑑𝑖 𝑁𝑎+ = 𝑣𝑜𝑙. 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑧. 𝑑𝑖 [𝑁𝑎+]𝑝𝑙 𝑥 𝑑𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡 𝑑𝑖 𝑁𝑎+ 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑖𝑡𝑟𝑜
Poiché i liquidi corporei totali rappresentano circa il 60% del peso corporeo negli uomini
e circa il 50% nelle donne, ne deriva che:
𝐷𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡 𝑑𝑖 𝑁𝑎+ = 0.6 𝑥 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑝𝑜𝑟𝑒𝑜 (𝐾𝑔) 𝑥 𝑑𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡 𝑑𝑖 𝑁𝑎+ 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑖𝑡𝑟𝑜
dove 0.6 va sostituito con 0.5 in caso di sesso femminile. Se poniamo come valore di
sicurezza una natriemia pari a 120 mEq/l, dalla precedente formula otterremo che:
𝐷𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡 𝑑𝑖 𝑁𝑎+ = 0.6 𝑥 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑝𝑜𝑟𝑒𝑜 (𝐾𝑔)𝑥 (120 − 𝑃𝑁𝑎+)
Nei pazienti asintomatici la velocità di correzione non deve superare 0.5 mEq/l/h, ossia
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dell’iponatriemia deve avvenire ad una velocità maggiore (1.5-2 mEq/l/h fino alla
risoluzione dei sintomi) e per tale motivo può essere utile il ricorso alla somministrazione
di una soluzione salina ipertonica. La terapia dell’iponatriemia associata a deplezione
vera del volume, a terapia diuretica o a insufficienza surrenalica si basa sulla
somministrazione di soluzioni saline; nei casi di SIADH, negli stati edematosi,
nell’insufficienza renale e nella polidipsia primaria il primo approccio terapeutico si basa
sulla restrizione idrica. L’eccesso di acqua può essere calcolato tramite la seguente
formula:
𝐸𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝐻2𝑂 = 0.6 𝑥 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑝𝑜𝑟𝑒𝑜 (𝐾𝑔)𝑥 (
[𝑁𝑎𝑚𝑖𝑠𝑢𝑟𝑎𝑡𝑜+ ]
[𝑁𝑎𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜+ ]− 1)
dove, anche qui, 0.6 va sostituito con 0.5 in caso di sesso femminile. Nella SIADH acuta
la terapia più semplice è costituita dalla riduzione dell’assunzione di acqua; se questa
non fosse efficace è possibile ricorrere all’associazione di una soluzione salina ipertonica
con un diuretico dell’ansa. Per ottenere la correzione dell’iponatriemia è tuttavia
necessario che l’osmolalità effettiva dei liquidi somministrati sia maggiore di quella
urinaria; se l’osmolalità urinaria è molto elevata è infatti possibile che anche una
soluzione ipertonica sia inefficace ed in tali casi si può ricorrere all’utilizzo di un
diuretico dell’ansa con lo scopo di ridurre l’osmolalità delle urine.
21
Per il trattamento della SIADH cronica spesso è sufficiente la sospensione del farmaco
che l’ha indotta o attendere la guarigione dalla patologia sottostante. La normalizzazione
della concentrazione plasmatica del sodio tuttavia non necessariamente è indicativa di
una guarigione dalla malattia; nei pazienti con SIADH persistente, generalmente causata
da una produzione ectopica di ADH, l’elemento fondamentale della terapia consiste nella
restrizione idrica e, se questa non fosse sufficiente, in un trattamento che incrementi
l’escrezione di acqua. Come abbiamo visto, in questa patologia, caratterizzata da una
secrezione di ADH e da una osmolalità urinaria relativamente costanti, il volume urinario
è determinato dalla velocità di escrezione dei soluti; per ottenere un aumento
dell’escrezione idrica giornaliera sarà quindi necessario imporre al paziente una dieta con
alto contenuto di sale e proteine o somministrare urea. In alternativa, se l’osmolalità
urinaria supera le 600-700 mOsm/Kg, si può tentare l’utilizzo di diuretici dell’ansa,
demeclociclina o litio, essendo questi ultimi capaci di indurre una resistenza all’ADH.
Negli stati edematosi la terapia è rivolta all’eliminazione dell’acqua in eccesso;
nonostante la restrizione idrica rappresenti inizialmente il trattamento di scelta, essa non
è attuabile nei pazienti con insufficienza cardiaca avanzata dove la ridotta gittata cardiaca
e gli elevati livelli di angiotensina promuovono lo stimolo della sete. In questi pazienti
si preferisce trattare l’iponatriemia solo quando questa diviene sintomatica e la terapia si
avvale dell’associazione di un diuretico dell’ansa con una soluzione salina ipertonica; si
ottiene in questo modo un bilancio negativo dell’acqua e un aumento della
concentrazione plasmatica del sodio. Alcuni pazienti possono essere trattati
somministrando un diuretico dell’ansa e un ACE-inibitore; l’associazione di questi due
farmaci sembra infatti avere effetto sinergico e riduce il riassorbimento di acqua nei
tubuli collettori sia bloccando l’eccessivo rilascio di ADH sia antagonizzando l’azione
22
demeclociclina, tuttavia il suo uso è limitato poiché sia nell’insufficienza cardiaca che
nella cirrosi epatica tale farmaco viene scarsamente metabolizzato. Una terapia più
mirata potrebbe essere costituita dalla somministrazione di un antagonista dei recettori
V2, che mediano l’effetto antidiuretico dell’ADH.
Tolvaptan è un antagonista della vasopressina approvato dall’EMA (European Medicine
Agency) per il trattamento di pazienti adulti con iponatriemia secondaria a SIADH. Esso
agisce in modo selettivo sui recettori V2 della membrana basolaterale delle cellule
principali dei tubuli collettori renali, impedendo il legame tra la vasopressina e tali
recettori. Bloccando la serie di eventi intracellulari che portano, tramite un aumento
dell’AMP ciclico, all’espressione delle acquaporine-2 da parte delle cellule principali,
tolvaptan determina una riduzione del riassorbimento di acqua, un aumento
dell’escrezione di acqua libera e del volume urinario, una riduzione dell’osmolalità
urinaria ed un aumento della concentrazione sierica di sodio. Tolvaptan è un potente
antagonista del recettore V2 umano con un’affinità per tale recettore 1.8 volte superiore
a quella della vasopressina; esso è 29 volte più selettivo per i recettori V2 umani che non
per i recettori V1a e mostra praticamente un’assenza di legame con i recettori V1b. Dopo
somministrazione orale tolvaptan viene assorbito in modo rapido, le concentrazioni
plasmatiche di picco vengono raggiunte in circa 2 ore e l’emivita di eliminazione è pari
a circa 8 ore; tolvaptan si lega in modo reversibile alle proteine plasmatiche, ha una
biodisponibilità assoluta del 56% circa ed è metabolizzato ampiamente dal fegato. I dati
clinici a supporto della registrazione del farmaco per il trattamento dell’iponatriemia
secondaria a SIADH provengono da due studi randomizzati, in doppio cieco, controllati
verso placebo; tali studi (SALT-1 e SALT-2), analizzati e presentati in modo congiunto,
hanno coinvolto pazienti affetti da iponatriemia normovolemica o ipervolemica non
23
questi studi i pazienti sono stati randomizzati a placebo o tolvaptan (da 15 a 60 mg al
giorno in funzione della natriemia) per 30 giorni; il principale criterio di valutazione di
efficacia è stato la variazione della concentrazione plasmatica di sodio dal basale (media
di 129 mEq/l) al termine del trattamento. I risultati di questi due studi hanno permesso di
concludere che tolvaptan produce un innalzamento significativo e prevedibile delle
concentrazioni plasmatiche di sodio in pazienti con iponatriemia secondaria a SIADH,
indipendentemente dal grado iniziale di iponatriemia; tale aumento delle concentrazioni
plasmatiche di sodio, mantenuto durante tutta la durata del trattamento, è risultato
associato ad un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante delle
funzioni mentali. In questi studi inoltre l’iponatriemia si è manifestata nuovamente al
termine del trattamento; questo risultato ha portato alla conclusione che, poiché tolvaptan
non agisce sulla causa alla base dell’iponatriemia, se tale causa non viene eliminata è
probabile che l’iponatriemia si ripresenti una volta interrotto il trattamento. I dati sulla
sicurezza e l’efficacia a lungo termine di tolvaptan sono stati valutati per un massimo di
106 settimane all’interno dello studio SALTWATER, estensione a lungo termine, in
aperto, di fase III, degli studi SALT. Un totale di 111 pazienti, presi tra quelli che
precedentemente avevano completato uno degli studi pivotal sull’iponatriemia, ha
reintrapreso il trattamento con tolvaptan dopo almeno 7 giorni dal rientro alla terapia
standard. Da questo studio è emerso che il trattamento a lungo termine con tolvaptan è
ben tollerato e permette di mantenere valori normali delle concentrazioni plasmatiche di
sodio. Lo studio EVEREST ha valutato l’efficacia a lungo termine di tolvaptan, in
aggiunta alla terapia medica ottimale, in pazienti ricoverati per aggravamento
dell’insufficienza cardiaca. In questo studio, randomizzato, in doppio cieco, controllato
con placebo, 4.133 pazienti ospedalizzati per aggravamento dello scompenso cardiaco,
24
mg/die) o placebo, in aggiunta alla terapia medica standard, per un minimo di 60 giorni.
Dopo un follow-up mediano di 10 mesi non sono state rilevate differenze statisticamente
significative tra tolvaptan e placebo sia in termini di mortalità per tutte le cause (endpoint
primario), sia in termini di mortalità cardiovascolare o ricovero per aggravamento
25
SCOPO DELLA TESI
Il lavoro sperimentale di questa tesi si colloca nel contesto di un progetto più ampio,
volto a valutare la possibilità di espandere l’utilizzo di tolvaptan ad altre condizioni di
iponatriemia ipervolemica o normovolemica, oltre alle condizioni di iponatriemia
secondaria a SIADH, per la quale il suo utilizzo è già stato approvato.
Lo scopo specifico della tesi è stato quello di valutare l’efficacia di tolvaptan nel
trattamento di pazienti affetti da grave iponatriemia associata ad espansione del volume
extracellulare, condizione in cui la terapia diuretica standard non è accessibile a causa
dell’iponatriemia stessa.
Abbiamo inoltre cercato di individuare dei parametri predittivi per la titolazione della
terapia con tolvaptan, utili a segnalare l’insorgenza di uno stato ipovolemico e quindi
26
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto presso il reparto di Medicina d’Urgenza Universitaria
dell’Ospedale Cisanello di Pisa.
Sono stati analizzati 14 soggetti consenzienti, di entrambi i sessi (nello specifico 8
femmine e 6 maschi), di età compresa tra i 65 e i 90 anni, affetti da iponatriemia
conseguente alla compromissione dell’escrezione renale di acqua libera per deplezione
del volume effettivo circolante, per terapia diuretica, per insufficienza renale cronica o
altre patologie. Sono stati esclusi i pazienti con iponatriemia acuta e transitoria associata
a trauma cranico o a stato postoperatorio ed i pazienti con iponatriemia dovuta a
polidipsia primaria, insufficienza surrenalica non controllata o ipotiroidismo non
controllato.
I pazienti, previo loro consenso informato, sono stati trattati con tolvaptan per via orale
(7.5 o 15 mg al giorno) per uno, due o tre giorni in base ai valori della natriemia. Nel
caso in cui i pazienti assumessero terapia diuretica a domicilio, dove possibile, questa è
stata interrotta. Nello specifico 13 pazienti assumevano diuretici dell’ansa, diuretici
risparmiatori di potassio o entrambi; a 5 pazienti di questo sottogruppo è stato possibile
interrompere la terapia diuretica standard mentre nei restanti 8 pazienti tale terapia è stata
mantenuta.
A tutti i pazienti sono stati eseguiti giornalmente prelievi venosi per gli esami di
laboratorio, una emogasanalisi e sono state raccolte le urine delle 24 ore, previo
posizionamento di catetere vescicale.
I parametri presi in esame, monitorati dall’ingresso fino a 4 giorni dopo l’interruzione
della somministrazione di tolvaptan, sono stati le concentrazioni plasmatiche del sodio
27
plasmatica (Posm) ed urinaria (Uosm), la sodiuria (UNa+), l’escrezione frazionale del sodio
(EFNa+%), il volume urinario (Vu), la clearance dell’acqua libera (CH2O) e la clearance
dell’acqua libera da elettroliti (CH2O free). Il valore medio della natriemia all’ingresso era
pari a 125 mEq/l.
Di ogni parametro preso in esame è stata ricavata la media delle variazioni tra lo stato
basale ed il primo giorno di trattamento, lo stato basale ed il secondo giorno di
trattamento, tra il primo ed il secondo giorno di trattamento e tra il secondo giorno di
trattamento ed il secondo giorno dall’interruzione della terapia; tali medie delle
variazioni sono state analizzate per intervalli di fiducia con livello di significatività al
28
RISULTATI
Nella tabella 6 sono riportati i valori delle medie, all’ingresso, di tutti i parametri presi
in esame, per l’insieme totale dei pazienti.
Valori all’ingresso PNa+(mEq/l) 125 ± 6 Posm(mOsm/Kg) 253 ± 14 Uosm(mOsm/Kg) 421 ± 137 Vu(ml/die) 1615 ± 1102 CH2O(ml/die) -796 ± 669
CH2O free(ml/die) 360 ± 469
UNa+(mEq/l) 52 ± 43 EFNa+% 0.82 ± 0.76 Pcr.(mg/dl) 0.78 ± 0.21 Pazot.(mg/dl) 36 ± 14 Pbicarb.(mmol/l) 22 ± 4
29
Dall’analisi della media delle variazioni è stato riscontrato che tolvaptan ha prodotto un
innalzamento a breve termine delle concentrazioni sieriche di sodio e dell’osmolalità
plasmatica, con una fiducia del 95% al primo giorno di trattamento. Seppure i valori della
natriemia e dell’osmolalità plasmatica siano incrementati anche al secondo giorno di
terapia, l’analisi statistica di tale aumento tra il primo ed il secondo giorno di trattamento
non ha mostrato il raggiungimento di un livello di fiducia del 95%. Dopo sospensione
della terapia tali innalzamenti si sono arrestati e si è assistito all’iniziale decremento delle
suddette concentrazioni. Valori all’ingresso Primo g. di terapia Secondo g. di terapia Primo g. dalla sospensione della terapia Secondo g. dalla sospensione della terapia PNa+(mEq/l) 125 ± 6 129 ± 5 132 ± 4 133 ± 3 132 ± 4 Posm (mOsm/Kg) 253 ± 14 260 ± 12 269 ± 13 269 ± 12 269 ± 11
30
Grafico 1. Valori della natriemia e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
115 120 125 130 135 140 145 0 1 2 3 4 5 6 m Eq /l giorni
Natriemia
31
Grafico 2. Valori dell’osmolalità plasmatica e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
240 245 250 255 260 265 270 275 280 285 290 0 1 2 3 4 5 6 m Os m /Kg giorni
Osmolalità plasmatica
32
L’analisi della media delle variazioni del volume urinario ha dimostrato che tolvaptan ha
determinato, con una fiducia al 95%, un aumento di quest’ultimo al primo giorno di
trattamento; già al secondo giorno di terapia si è verificata una riduzione di tale volume,
diminuzione che è poi proseguita progressivamente dopo sospensione del trattamento.
L’analisi ha rilevato che tolvaptan ha determinato, con una fiducia al 95%, una riduzione
dell’osmolalità urinaria ed un aumento della clearance dell’acqua libera e della clearance
dell’acqua libera da elettroliti al primo giorno di trattamento. Una riduzione
dell’osmolalità urinaria si è verificata anche tra il primo ed il secondo giorno di
trattamento, seppure la fiducia sia risultata inferiore al 95%; al contrario, la clearance
dell’acqua libera e la clearance dell’acqua libera da elettroliti hanno iniziato a ridursi già
a partire dal secondo giorno di trattamento. Alla sospensione della terapia si è assistito,
con una fiducia al 95%, all’aumento dell’osmolalità urinaria ed alla ulteriore e
progressiva riduzione della clearance dell’acqua libera e della clearance dell’acqua libera
da elettroliti.
L’analisi della clearance dell’acqua libera ha mostrato, durante il trattamento con
tolvaptan, una riduzione della quota di acqua libera riassorbita ma solo in pochi pazienti
(nello specifico 5) si sono osservati valori positivi, indicativi di escrezione di acqua
libera; la clearance dell’acqua libera da elettroliti ha mostrato invece, durante la
somministrazione di tolvaptan, non solo una riduzione del riassorbimento ma anche
33 Valori all’ingresso Primo g. di terapia Secondo g. di terapia Primo g. dalla sospensione della terapia Secondo g. dalla sospensione della terapia Vu(ml/die) 1615 ± 1102 3100 ± 1957 2596 ± 1287 2061 ± 1039 2270 ± 1214 Uosm (mOsm/Kg) 421 ± 137 287 ± 125 283 ± 98 429 ± 167 437 ± 133 CH2O (ml/die) -796 ± 669 301 ± 1898 83 ± 949 -773 ± 1062 -933 ± 601 CH2O free (ml/die) 360 ± 469 2153 ± 1787 1344 ± 816 918 ± 1117 385 ± 629
Tabella 8. Medie dei valori del volume urinario, dell’osmolalità urinaria, della clearance dell’acqua libera e della clearance dell’acqua libera da elettroliti
34
Grafico 3. Valori del volume urinario e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 0 1 2 3 4 5 6 m l/d ie giorni
Volume urinario
35
Grafico 4. Valori dell’osmolalità urinaria e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
50 150 250 350 450 550 650 0 1 2 3 4 5 6 m Os m /Kg giorni
Osmolalità urinaria
36
Grafico 5. Valori della clearance dell’acqua libera e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
-2000 -1000 0 1000 2000 3000 4000 0 1 2 3 4 5 6 m l/d ie giorni
C
H2Olibera
37
Grafico 6. Valori della clearance dell’acqua libera da elettroliti e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
-500 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 0 1 2 3 4 5 6 m l/d ie giorni
38
L’analisi della media delle variazioni ha evidenziato che tolvaptan ha prodotto, con una
fiducia al 95%, una riduzione dei valori della sodiuria e dell’escrezione frazionale del
sodio tra il basale ed il primo giorno di trattamento. Un’ulteriore riduzione
dell’escrezione frazionale del sodio si è verificata anche tra il primo ed il secondo giorno
di terapia, seppure questa variazione non abbia raggiunto una fiducia del 95%; il valore
della sodiuria è invece aumentato già a partire dal secondo giorno di trattamento, seppure
con una fiducia inferiore al 95%, ed il suo valore medio è comunque risultato inferiore
rispetto al basale. Alla sospensione del trattamento si è assistito, con un livello di fiducia
del 95%, ad un aumento sia della sodiuria che dell’escrezione frazionale del sodio.
L’analisi della media delle variazioni dei valori dei bicarbonati plasmatici ha rilevato un
loro aumento, con una fiducia del 95 %, al primo giorno di trattamento; tra il primo ed il
secondo giorno di trattamento si è verificata una riduzione di tali valori, seppure questa
variazione non abbia raggiunto una fiducia del 95% e la media delle concentrazioni
plasmatiche sia comunque risultata superiore rispetto al basale. Alla sospensione del
trattamento si è verificata un’ulteriore progressiva riduzione dei valori dei bicarbonati
plasmatici ma tale variazione non ha raggiunto una fiducia pari al 95%.
Al primo giorno di trattamento tolvaptan ha inoltre determinato, con una fiducia al 95%,
un aumento dei valori della creatininemia; già a partire dal secondo giorno di terapia tali
valori si sono ridotti e la riduzione è proseguita dopo sospensione del trattamento.
Considerando l’insieme totale dei pazienti, la media dei valori dell’azotemia si è ridotta
al primo giorno di trattamento ed è aumentata tra il primo ed il secondo giorno di terapia,
seppure in entrambi i casi queste variazioni non abbiano raggiunto un livello di fiducia
del 95%. Dall’analisi della media delle variazioni dell’azotemia nel sottogruppo di
pazienti a cui è stata interrotta la terapia diuretica standard è risultato invece che tolvaptan
39
proseguito, con una fiducia del 95%, tra il primo ed il secondo giorno di trattamento. Alla
sospensione del trattamento i valori dell’azotemia hanno mostrato una progressiva
riduzione, sia considerando la totalità dei pazienti analizzati sia nel sottogruppo a cui è
stata sospesa la terapia diuretica standard.
Valori all’ingresso Primo g. di terapia Secondo g. di terapia Primo g. dalla sospensione della terapia Secondo g. dalla sospensione della terapia UNa+(mEq/l) 52 ± 43 27 ± 29 33 ± 28 52 ± 30 73 ± 30 EFNa+% 0.82 ± 0.76 0.48 ± 0.50 0.46 ± 0.51 0.81 ± 0.83 0.80 ± 0.34 Pbicarb. (mmol/l) 22 ± 4 25 ± 3 24 ± 4 24 ± 6 23 ± 1 Pcr.(mg/dl) 0.78 ± 0.21 0.82 ± 0.22 0.79 ± 0.21 0.72 ± 0.17 0.71 ± 0.24 Pazot.(mg/dl) Totalità dei pazienti 36 ± 14 35 ± 15 36 ± 14 34 ± 11 34 ± 10 Pazot.(mg/dl) Pazienti senza diuretici 37 ± 17 38 ± 18 40 ± 16 36 ± 10 35 ± 3
Tabella 9. Medie della sodiuria, dell’escrezione frazionale del sodio, della creatininemia, delle concentrazioni plasmatiche dei bicarbonati e dell’azotemia (quest’ultima nella totalità dei pazienti e nel sottogruppo a cui è stata interrotta la terapia diuretica standard)
40
Grafico 7. Valori della sodiuria e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
0 20 40 60 80 100 120 140 160 0 1 2 3 4 5 6 m Eq /l giorni
Sodiuria
41
Grafico 8. Valori dell’escrezione frazionale del sodio e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 0 1 2 3 4 5 6 % giorni
42
Grafico 9. Valori dei bicarbonati plasmatici e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 0 1 2 3 4 5 6 m Eq /l giorni
Bicarbonati plasmatici
43
Grafico 10. Valori della creatininemia e loro media, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 1,1 1,2 0 1 2 3 4 5 6 m g/d l giorni
Creatininemia
44
Grafico 11. Valori dell’azotemia e loro media nella totalità dei pazienti, dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento (nell’ovale i 2 giorni di terapia con tolvaptan)
15 20 25 30 35 40 45 0 1 2 3 4 5 6 m g/d l giorni
Azotemia
45
Grafico 12. Medie dei valori dell’azotemia dallo stato basale fino a 2 giorni dopo la sospensione del trattamento suddivise per sottogruppi: in rosso i pazienti a cui è stata sospesa la terapia diuretica standard, in nero quelli a cui è stata mantenuta, in azzurro la totalità dei pazienti analizzati (nell’ovale i 2
giorni di terapia con tolvaptan) 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43 45 0 1 2 3 4 5 6 m g/d l giorni
Medie dell'azotemia
46
DISCUSSIONE
Tolvaptan ha prodotto un innalzamento a breve termine delle concentrazioni sieriche di
sodio e dell’osmolalità plasmatica, indipendentemente dal grado iniziale di iponatriemia,
in pazienti affetti da iponatriemia associata ad espansione del volume extracellulare; tali
innalzamenti si sono mantenuti durante tutta la durata del trattamento. Non agendo sulla
causa alla base dell’iponatriemia è probabile che quest’ultima si ripresenti una volta
interrotta la somministrazione di tolvaptan.
Tolvaptan, inibendo il recettore dell’ADH, ha determinato un aumento del volume
urinario e della clearance dell’acqua libera da elettroliti ed una riduzione dell’osmolalità
urinaria; tali variazioni sono espressione della riduzione del riassorbimento di acqua e
dell’aumento dell’escrezione di acqua libera.
La clearance dell’acqua libera non fornisce informazioni precise sulla quota di acqua che
mira a ristabilire il bilancio del sodio; la clearance dell’acqua libera da elettroliti si presta
meglio a questo scopo, indicando la quota di acqua escreta efficace nel ristabilire la
natriemia.
In seguito alla riduzione del volume effettivo circolante e quindi all’attivazione del
sistema renina-angiotensina-aldosterone, tolvaptan ha determinato una riduzione dei
valori della sodiuria e dell’escrezione frazionale del sodio ed un aumento dei valori della
creatininemia, dell’azotemia e dei bicarbonati plasmatici. Tali modificazioni, indicative
di un iniziale stato ipovolemico, hanno coinciso con la riduzione dell’efficacia di
tolvaptan (valutata tramite la clearance dell’acqua libera da elettroliti) e confermano
pertanto il prevalere dello stato emodinamico sul sistema osmotico nel determinare la
47
L’escrezione frazionale del sodio, l’azotemia ed i bicarbonati plasmatici potrebbero
risultare dei parametri utili per la titolazione della terapia con tolvaptan, segnalando
l’eventuale insorgenza di uno stato di ipoperfusione renale.
Tolvaptan è stato in grado di indurre, quando necessario, un bilancio idrico negativo e
potrebbe risultare utile nei casi in cui la terapia diuretica non sia accessibile a causa
dell’iponatriemia.
Tolvaptan è risultato un farmaco ben tollerato; gli effetti collaterali più comunemente
riscontrati durante il nostro studio sono stati un aumento dalla sete e la secchezza delle
48
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