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Ottimizzazione del trattamento termico di rinvenimento per un acciaio inossidabile supermartensico 16Cr5Ni(Mo) per compressori centrifughi operanti in ambienti sour.

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Academic year: 2021

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(1)  . Indice    . Sommario  .........................................................................................................................................  2   Introduzione  ......................................................................................................................................  5   1.Materiale  impiegato  e  tecniche  sperimentali  .................................................................................  8   1.1  Acciaio  inossidabile  martensitico  16Cr5Ni(Mo)  .......................................................................  8   1.2  Tecniche  sperimentali  ............................................................................................................  10   1.2.1    Caratterizzazione  microstrutturale  mediante  TEM  ........................................................  11   1.2.1.1    Interazione  elettrone-­‐materia  ....................................................................................  11   1.2.1.2    Lo  strumento  ...............................................................................................................  12   1.2.1.3    Formazione  dell’immagine  ..........................................................................................  14   1.2.1.4    Analisi  di  reticoli  in  diffrazione  di  elettroni  .................................................................  17   1.2.1.5  Indicizzazione  ed  informazioni  ottenibili  dalle  linee  di  Kikuchi  ....................................  22   1.2.1.6    Determinazione  del  sistema  cristallino  a  partire  da  un  reticolo  in  diffrazione  di   elettroni  ...................................................................................................................................  24   1.2.1.7    Analisi  semiquantitativa  tramite  EDS  ..........................................................................  27   1.2.1.8    Preparazione  dei  campioni  per  il  TEM  ........................................................................  27   1.2.2  Determinazione  Ms  e  simulazione  trattamenti  di  rinvenimento  ....................................  29   2.Risultati  sperimentali  colata  A  e  discussione  ................................................................................  32   2.1  Analisi  TEM  del  materiale  allo  stato  temprato  ......................................................................  35   2.2  Analisi  TEM  dopo  trattamenti  termici  di  rinvenimento  .........................................................  38   2.3  Confronto  dei  risultati  ottenuti  con  la  colata  B  .....................................................................  50   Conclusioni  .......................................................................................................................................  60   Bibliografia  .......................................................................................................................................  61  .      . Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            1  .  .

(2)  .    . Sommario Il presente lavoro di tesi propone l’ottimizzazione dei trattamenti termici di rinvenimento per un acciaio inossidabile supermartensitico 16Cr5Ni(Mo), in questo caso impiegato per la realizzazione di giranti di compressori di grandi dimensioni che lavorano in ambienti caratterizzati dalla presenza di acido solfidrico (ambienti sour), ambienti conducibili per acciai alto resistenziali martensitici a fenomeni di infragilimento da idrogeno e corrosione sotto sforzo (Sulphide Stress Corrosion Cracking). Al fine di mitigare il rischio di rotture, le Norme NACE americane prevedono l’esecuzione di trattamenti termici di rinvenimento doppi che limitino le durezze. finali. dei. componenti,. condizioni. da. rispettare. per. poter. poi. commercializzare i prodotti industriali. Tuttavia, malgrado uno stretto controllo delle composizioni chimiche dei prodotti siderurgici in ingresso e l’esecuzione controllata in termini di temperature di rinvenimento e tempi di permanenza, si riscontrano notevoli difficoltà a garantire consistenza dei risultati finali in termini di caratteristiche finali, con notevoli rischi di scarto di costosi componenti finiti. Appare quindi evidente la necessità di comprendere maggiormente l’evoluzione microstrutturale di questa classe di acciai nel corso del rinvenimento dallo stato temprato, al fine di valutare l’influenza delle diverse variabili che possono influenzare la risposta del materiale in temperatura e, di conseguenza, nel corso del raffreddamento finale. Si è quindi condotta una campagna di prove sperimentali partendo da diversi stati di quenching iniziale (tempra in olio e tempra sub-zero a -30 °C) valutando l’evoluzione strutturale a diverse temperature di rinvenimento variabili nell’intervallo 600-700 °C. Lo studio è stato condotto impiegando un simulatore termo meccanico GLEEBLE 3800, in modo da evidenziare dapprima la temperatura di trasformazione martensitica Ms mediante prove dilatometriche, per poi rinvenire l’acciaio considerato e valutare sugli stessi provini la variazione delle caratteristiche meccaniche. A tali prove si sono associati studi strutturali condotti prevalentemente mediante Microscopia Elettronica in Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            2  .  .

(3)  . Trasmissione (TEM) e rilievi di composizione chimica semiquantitativa su aree ristrette mediante spettroscopia EDS. Da una prima campagna di prove sperimentali è emersa una notevole complessità dell’evoluzione microstrutturale in rinvenimento, in buona parte conseguente alla compresenza di fenomeni quali la distensione della matrice martensitica e parziale formazione di austenite di reversione. Proprio quest’ultima rende assai variabile il risultato finale del rinvenimento, poiché la sua potenziale instabilità in raffreddamento comporta il rischio di formazione di martensite vergine con incremento della durezza dell’acciaio. L’austenite di reversione formata in temperatura durante il rinvenimento, aumenta eseguendo il trattamento termico a temperature maggiori ottenendo in raffreddamento maggiore quantità di austenite residua ed un conseguente decremento della durezza. Per frazioni volumetriche contenute di austenite di reversione, si verifica una diffusione in tale fase di elementi gammageni quali Ni, C e Mn, in virtù della maggior solubilità di tali elementi in fase fcc. Questo arricchimento comporta uno shift delle Ms verso temperature più basse, in altre parole una stabilizzazione in raffreddamento della fase austenitica formata in temperatura. Tale effetto tuttavia decrementa all’aumentare delle frazioni volumetriche formate progressivamente a temperature di rinvenimento crescenti. Il contenuto finale di austenite residua a temperatura ambiente esibisce pertanto un massimo, oltre il quale si verifica progressivamente ritrasformazione in martensite vergine con conseguente aumento delle durezze. I risultati delle analisi e prove condotte hanno permesso di individuare come causa originaria della variabilità dei risultati finali la presenza o meno di austenite residua nell’acciaio allo stato temprato prima del rinvenimento. Questo perché in acciai già contenenti austenite residua allo stato come temprato il massimo di austenite residua e, pertanto, il minimo di durezza post-rinvenimento, si presenta a temperature progressivamente minori. Per poter confermare tale indicazione, si è quindi effettuato un confronto con campioni provenienti da una seconda colata industriale avente composizione chimica assai simile alla precedente, ma capace di esibire al termine degli stessi trattamenti termici caratteristiche meccaniche sensibilmente diverse, maggiori. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            3  .  .

(4)  . della colata precedente e fuori specifica NACE. Dai risultati ottenuti si è avuta conferma che la diversa risposta ai trattamenti termici poteva, di fatto, essere spiegata dalla totale assenza di austenite residua nel come temprato, fase invece presente nella colata precedente. Si ottenevano, infatti, le stesse durezze in specifica del precedente acciaio innalzando di 20 °C la temperatura di rinvenimento. La possibilità che colate industriali aventi composizioni chimiche del tutto analoghe potessero poi avere allo stato come temprato presenza o meno di austenite residua è stata tentativamente attribuita a problemi di segregazione di soluto durante processo di solidificazione. Per verifica, si è quindi condotto un trattamento termico molto prolungato a 1200°C per 24 ore per ottenere massima omogeneizzazione strutturale. Di fatto, dopo tale trattamento le due colate esibivano strutture e caratteristiche meccaniche allo stato temprato del tutto sovrapponibili, presupposto per esibire nei trattamenti termici di rinvenimento la stessa evoluzione strutturale e, di conseguenza, le stesse caratteristiche meccaniche finali.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            4  .  .

(5)  . Introduzione Gli acciai inossidabili martensitici a basso tenore di carbonio presentano caratteristiche meccaniche, saldabilità e resistenza a corrosione non raggiungibili con altre classi di acciai. Sono, infatti, specifici per strutture e componenti critici quali turbine, condutture, eliche navali e parti di aerei. L’acciaio 16Cr-5Ni(Mo) è un acciaio inox martensitico a basso tenore di carbonio (0.03%C), ed è una variante del tradizionale 13Cr-4Ni, noto anche come CA6NM. Grazie alla combinazione di bassi tenori di carbonio e addizione di nichel si ottengono migliori resistenze a corrosione e duttilità a parità di proprietà meccaniche, dovute alla formazione di strutture martensitiche a basso carbonio e forma di lath. Queste ultime, dopo opportuno trattamento termico di rinvenimento esibiscono proprietà meccaniche superiori che permettono di impiegare questo acciaio in presenza di fluidi di processo contenti elevati tenori di Cl-, CO2 e H2S. Questa classe di acciai, a temperatura ambiente e dopo aver subito tempra, presenta una struttura mista formata da martensite α’, austenite residua γr e ferrite δ. Tale struttura possiede migliore tenacità rispetto ai precedenti CA6NM a causa della presenza di austenite residua γr.[1,2] L’austenite si forma durante il trattamento termico di invecchiamento ad alta temperatura e prende il nome di austenite di reversione γrev, durante il raffreddamento fino a temperatura ambiente, se stabile, non muta la sua struttura e prende il nome di austenite residua γr. La sua formazione è legata agli elementi di lega γ-geni presenti quali Ni e Mo. La ferrite δ è una fase soffice che ha effetti deleteri sulla resistenza e lavorabilità a caldo; la presenza di alti tenori di ferrite δ promuove la formazione di carburi, potenziali siti di innesco di fenomeni corrosivi.[3] Trattamenti termici inappropriati possono provocare importanti cambiamenti alla microstruttura Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            5  .  .

(6)  . causando il crollo delle proprietà meccaniche.[4,5] Essendo queste ultime strettamente connesse ai trattamenti termici di tempra e rinvenimento, nonché ad un accurato bilanciamento della composizione chimica, si sono indagate le caratteristiche resistenziali a diverse temperature, step necessario al fine di definire una tipologia di microstruttura che renda il materiale in grado di soddisfare le specifiche richieste dalle industrie del settore petrolchimico. L’acciaio inox martensitico 16Cr5Ni(Mo) è infatti impiegato per la realizzazione di giranti di compressori centrifughi che operano in ambienti caratterizzati dalla presenza di acido solfidrico e fase acquosa, noti anche come ambienti sour. Queste condizioni di servizio possono essere estremamente dannose in quanto la presenza di solfuri può dar luogo a Sulfide Stress Cracking oppure catalizzare la penetrazione dell’idrogeno nella matrice metallica. Tutto ciò può comportare l’alterazione delle proprietà meccaniche del materiale e l’instaurarsi di una serie di meccanismi di danneggiamento. che. possono. condurre. al. cedimento. strutturale. dell’apparecchiatura. Generalmente la sensibilità alla tensocorrosione da solfuri aumenta al crescere della durezza dell’acciaio e gli standard NACE MR0175 impongono per gli acciai 13Cr-4Ni da impiegare in ambienti sour una durezza massima pari a 23 HRC. Per quanto riguarda gli acciai della classe 16Cr-5Ni, le attuali normative interne alle aziende che operano all’interno del settore petrolchimico impongono un limite di 28 HRC. Nonostante uno stretto controllo sulla composizione chimica dei prodotti siderurgici in ingresso, al termine del ciclo di lavorazione delle giranti si verificano evidenti variazioni delle caratteristiche meccaniche dei componenti, tali da renderli non conformi rispetto alle attuali normative. I requisiti per le giranti sono i seguenti: - durezza massima 28 HRC; - carico unitario di snervamento 0.2% minimo 620 MPa; - carico unitario di snervamento 0.02% minimo 480 MPa; - carico unitario di rottura massimo 880 MPa.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            6  .  .

(7)  . Le problematiche riscontrate riguardano alcune giranti che, pur avendo composizione chimica in specifica e avendo subito medesimi trattamenti termici, presentano carico di rottura e durezza fuori specifica (σR>880 MPa, durezza >28 HRC) oppure carico unitario di rottura e durezza conformi ma carico di snervamento non conforme (σs 0.2<620 MPa). Al fine di controllare la durezza finale di questi acciai si richiede una scelta accurata delle procedure di rinvenimento. Questo perché l’aggiunta di nichel deprime la temperatura Ac1 di austenitizzazione durante riscaldamento e ciò impone rinvenimenti a temperature relativamente basse per non incorrere nel pericolo di eccessive quantità di austenite. Quest’ultima, se instabile in raffreddamento, si trasforma in martensite vergine e determina così un nuovo incremento di durezza. Il presente lavoro di tesi si propone di chiarire l’evoluzione microstrutturale dell’acciaio supermartensitico a basso tenore di carbonio 16Cr5Ni(Mo) durante il trattamento termico di rinvenimento. A tale fine, si è condotta una serie di trattamenti termici a diverse temperature per indagare la corrispondente variazione della struttura.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            7  .  .

(8)  . Capitolo 1 Materiale impiegato e tecniche sperimentali 1.1 Acciaio inossidabile martensitico 16Cr5Ni(Mo) L’acciaio 16Cr-5Ni(Mo) a basso tenore di carbonio è un acciaio inox martensitico contenente circa 16%Cr, 5%Ni, 0.1%Mo e 0.03%C. La presenza di bassi tenori di carbonio e di 3.5 ÷ 4.5 %Ni permettono di raggiungere caratteristiche resistenziali superiori alle altre classi di acciai a parità di proprietà meccaniche. Ciò si deve all’evoluzione cui è soggetta la microstruttura durante i trattamenti termici, che vede la formazione di precipitati di diversa natura a partire da strutture martensitiche a basso carbonio e forma di lath. I limiti composizionali per la classe di acciai in esame sono riportati nella seguente tabella, dove le composizioni sono espresse in percentuale in peso.. Limiti. Fe. C. S. Al. B. Cr. P. Mn. Mo. Ni. Nb. --. 0.03-0.045. Max 0.005. Max 0.08. --. 15.0-17.0. Max 0.02. Max 0.8. Max 0.15. 4.0-5.0. --. Tabella 1 - Limiti di composizione richiesti per la classe di acciai 16Cr5Ni(Mo); composizioni espresse in %wt.. Il controllo della microstruttura risultante dal trattamento termico di rinvenimento non è affatto facile in quanto la presenza di elevati tenori di nichel, come in questo caso, non permette temperature di rinvenimento molto superiori a 600°C. Ciò si deve all’effetto di depressione della temperatura Ac1 di trasformazione austenitica provocata dal nichel, che causa un eccessivo aumento della frazione austenitica nella struttura del metallo in caso di trattamenti di rinvenimento a temperature troppo elevate. Un tenore di austenite elevato, infatti, può non essere stabile nel corso del raffreddamento provocando la formazione di martensite vergine con il conseguente aumento della durezza che rende il componente fuori dalle specifiche richieste.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            8  .  .

(9)  . Nel presente studio, si è focalizzata l’attenzione su una girante realizzata con la colata industriale A, avente la seguente composizione chimica. C    . Si    . Mn    . P    . S    . Cr    . Ni    . Mo    . Cu  . V    . 0.048  . 0.38  . 0.75  . 0.018  . 0.004  . 15.55  . 4.45  . 0.14  . 0.11  . 0.03  . Tabella 2 - Composizione chimica dell’acciaio 16Cr5Ni(Mo) in %wt – colata A.. I trattamenti termici industriali prevedono che l’acciaio venga sottoposto a forgiatura a 1200 °C e ad un trattamento di distensione a 700 °C. Dopo la lavorazione meccanica, le giranti sono soggette ad un trattamento di austenitizzazione a 1020 °C seguito da un trattamento di tempra che prevede raffreddamento fino a temperatura ambiente in olio, ed un raffreddamento subzero in flusso di azoto fino alla temperatura di -30 °C. Alla tempra fa seguito un trattamento di rinvenimento in due stadi, un primo stadio a 620 °C ed un secondo stadio a temperatura inferiore, 600 °C. Sul prodotto approvvigionato si richiede uno stretto controllo della composizione chimica e frazioni volumetriche di ferrite δ non troppo elevate per evitare decrementi della tenacità del prodotto finale. È da precisare che l’austenitizzazione a 1020 °C ed il successivo mezzo di tempra sono stati adottati da poco, prima si effettuava austenitizzazione a 980 °C ed il mezzo temprante era costituito da olio. Il risultato che si vuole ottenere con tali trattamenti termici è un decremento della durezza rispetto al come temprato e la presenza di una certa frazione di austenite residua γr a temperatura ambiente con lo scopo di aumentare le caratteristiche resistenziali del componente e renderle idonee agli ambienti sour cui è destinato. Al termine dei trattamenti termici descritti, la girante realizzata con la colata in esame presenta caratteristiche meccaniche conformi alle specifiche elencate in precedenza. In particolare, presenta durezza pari a 26.1 HRC, carico di rottura σR pari a 840 MPa e carico di snervamento σs0.2 di 680 MPa. Per verifica delle problematiche di non conformità riscontrate al termine dei trattamenti di rinvenimento, si è considerata una girante realizzata con una. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            9  .  .

(10)  . seconda colata industriale, la colata B. Dalla tabella 3 è possibile riscontrare che la composizione chimica in ingresso è conforme ai limiti previsti per questa categoria di acciai.. C    . Si    . Mn    . P    . S    . Cr    . Ni    . Mo    . Cu  . V    . 0.045  . 0.39  . 0.70  . 0.017  . 0.003  . 15.41  . 4.44  . 0.14  . 0.11  . 0.05  . Tabella 3 - Composizione chimica dell’acciaio 16Cr5Ni(Mo) - colata B.. I trattamenti termici cui il pezzo viene sottoposto sono gli stessi descritti in precedenza, ossia forgiatura a 1200 °C e ad un trattamento di distensione a 700 °C. Dopo la lavorazione meccanica, viene realizzato un trattamento di austenitizzazione a 1020 °C seguito da un trattamento di tempra che prevede raffreddamento fino a temperatura ambiente in olio, ed un raffreddamento subzero in flusso di azoto fino alla temperatura di -30 °C. In seguito alla tempra, si ha un trattamento di rinvenimento doppio con un primo stadio a 620 °C ed un secondo stadio a 600 °C. Nonostante la conformità della composizione chimica di partenza ed il medesimo ciclo di lavorazione e trattamenti termici subiti, la girante realizzata con la colata B ha presentato alcune caratteristiche resistenziali non idonee. Essa presenta carico di snervamento pari a 775 MPa conforme alle specifiche, ma una durezza pari a 29 HRC ed un carico di rottura di 890 MPa entrambi non conformi. L’analisi condotta da un laboratorio esterno ha evidenziato un tenore di austenite residua γr pari al 16%.. 1.2 Tecniche sperimentali Nel presente lavoro di tesi si è fatto uso di tecniche di microscopia elettronica in trasmissione (TEM) per la caratterizzazione microstrutturale e di analisi semiquantitative con microanalisi a raggi X (EDS). Con l’ausilio del simulatore termomeccanico Gleeble 3800 si sono condotte prove dilatometriche per determinare sperimentalmente la temperatura di trasformazione austenitica Ac1. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            10  .  .

(11)  . nella fase di riscaldamento e la temperatura di inizio trasformazione martensitica Ms in fase di raffreddamento. Con lo stesso strumento, inoltre, è stato possibile riprodurre l’effetto del trattamento termico di rinvenimento a diverse temperature nel range 600÷700 °C.. 1.2.1 Caratterizzazione microstrutturale mediante TEM La caratterizzazione microstrutturale è stata condotta impiegando la microscopia elettronica, una tecnica che non sfrutta la luce come sorgente di radiazione bensì un fascio di elettroni. Questi ultimi posseggono una lunghezza d’onda molto minore rispetto ai fotoni che compongono un raggio di luce e, dato che il potere risolutivo di un microscopio è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda della radiazione che utilizza, usando gli elettroni si raggiunge una risoluzione maggiore (~4Å). 1.2.1.1 Interazione elettrone-materia La radiazione elettromagnetica interagisce con la materia che costituisce il campione e si ha l’emissione di elettroni (Fig.1.2.1)..   Figura 1.2.1: Possibili interazioni elettrone-materia.. Gli elettroni retrodiffusi (back scattered) sono emessi a grandi angoli e in microscopia elettronica in trasmissione non sono molti a causa dell’esiguo volume d’interazione. Gli elettroni secondari vengono generati dagli elettroni retrodiffusi Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            11  .  .

(12)  . prima che emergano dal campione, nell’analisi tramite TEM non vengono analizzati mentre sono fondamentali nella microscopia ottica in scansione (SEM). Gli. elettroni. Auger. vengono. emessi. come. meccanismo. concorrenziale. all’emissione dei raggi X. Derivano dalle orbite esterne, presentano energia caratteristica del livello atomico corrispondente al salto energetico e dunque permettono di identificare l’atomo ed il legame chimico. In genere non vengono usati nella microscopia elettronica ma in strumenti atti a studiare la chimico-fisica delle strutture superficiali dei campioni. I raggi X caratteristici vengono impiegati per la microanalisi (EDS) e sono generati quando un elettrone viene espulso da un atomo. Se tale elettrone proviene dalle orbite interne, gli elettroni delle orbite più esterne verranno richiamati provocando l’emissione di altri raggi X. Gli elettroni trasmessi creano l’immagine o il reticolo di diffrazione se sono coerenti, se invece sono incoerenti si ottengono informazioni sui legami chimici sfruttando la quantità di energia persa tra elettrone e campione. La tecnica che sfrutta tale principio si chiama “Energy Loss” (EELS). Gli elettroni diffusi vengono emessi ad alto angolo a causa di urti elastici e permettono di applicare una tecnica di immagine in cui il contrasto è dovuto al peso atomico (Z). L’elettrone può interagire, non solo con gli elettroni degli orbitali, ma anche con i nuclei degli atomi costituenti il materiale e tale interazione prende il nome di bremsstrahlung. 1.2.1.2 Lo strumento Le analisi microstrutturali sono state condotte tramite Microscopio Elettronico in Trasmissione (TEM) Philips CM12 operante a 120kV interfacciato con microsonda a raggi X (EDS) della Tracor. Tale strumento permette lo studio microstrutturale dei materiali sfruttando l’interazione che intercorre tra il fascio elettronico ed il campione. Il microscopio elettronico in trasmissione è costituito essenzialmente da una colonna tenuta in condizioni di alto vuoto (P~10-5Pa) in modo da evitare problemi di deposizione indotta dal fascio elettronico sul campione (Fig.1.2.2).. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            12  .  .

(13)  .   Figura 1.2.2: Struttura del microscopio elettronico a trasmissione.. Al suo interno sono presenti un sistema di illuminazione, componenti ottici elettromagnetici, un ingresso per il campione ed un sistema di registrazione. Il sistema di illuminazione è costituito da un cannone elettronico e dalle lenti condensatore. La sorgente del fascio è un filamento di tungsteno o LaB6 sottoposto a differenza di potenziale, si forma così un fascio regolabile in dimensioni, intensità e angolo di convergenza sul campione. Il campione è montato su un portacampione che può contenere dischetti di 3.05 mm di diametro e spessore dell’ordine del nanometro. La loro preparazione verrà discussa in seguito. Il campione inserito nel TEM va orientato per trovare la zona di interesse da analizzare. Il movimento del campione è regolato da un meccanismo che permette la traslazione sul piano xy e lungo l’asse z regolandone l’altezza. Il meccanismo. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            13  .  .

(14)  . del tilt permette la rotazione del campione attorno a due assi tra loro ortogonali. Tale tipologia di portacampione è chiamato a doppio tilt (Fig.1.2.3).. Figura 1.2.3: Struttura del portacampione a doppio tilt.. Al di sotto del campione si ha la lente obiettivo, elemento a cui si deve la formazione della prima immagine e gran parte del potere risolutivo dello strumento. L’ultimo sistema di lenti presente è quello di proiezione ed ha il compito di ingrandire l’immagine precedentemente formata. Le immagini sono visualizzate su uno schermo fluorescente che ha lo scopo di riportare la variazione di luminosità dovuta alla variazione di intensità del fascio trasmesso. Al di sotto dello schermo si ha un sistema di registrazione che permette di fotografare le immagini.[8] 1.2.1.3 Formazione dell’immagine Il TEM può funzionare in due modi: in trasmissione e in diffrazione. Il passaggio dall’una all’altra tecnica permette di associare rapidamente le caratteristiche di diffrazione agli elementi microstrutturali dalle quali dipendono. Funzionando in trasmissione può formare immagini in campo chiaro (bright-field) o in campo scuro (dark-field) a seconda che siano formate esclusivamente dal fascio trasmesso o dal fascio diffratto rispettivamente (Fig.1.2.4).. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            14  .  .

(15)  .   Figura 1.2.4: Posizione dell'apertura dell'obiettivo sul reticolo in diffrazione elettronica per ottenere le due diverse tipologie di immagini in trasmissione. (a) bright-field; (b) dark-field.  . Nel caso del campo chiaro, il contrasto visibile nelle immagini è dovuto all’assorbimento degli elettroni nel campione, dunque appariranno scure le zone più spesse e chiare le zone che presentano poco materiale lungo il cammino del fascio. Con l’inserimento di un diaframma al di sotto del campione (il diaframma dell’obiettivo), capace di intercettare i fasci elettronici diffratti, si ottiene un’immagine formata soltanto dal fascio trasmesso (BF) (Fig.1.2.5).. Figura 1.2.5: Formazione dell'immagine in campo chiaro (Bright-Field).. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            15  .  .

(16)  . La presenza di deflettori permette di tiltare il fascio precedentemente diffratto e di orientarlo come quello trasmesso in campo chiaro, il diaframma intercetta il fascio elettronico trasmesso e si ottiene così un’immagine prevalentemente scura in cui appariranno chiari i precipitati (DF) (Fig.1.2.6).. Figura 1.2.6: Formazione dell'immagine in campo scuro (Dark-Field).. Quando il microscopio funziona in diffrazione è necessario che il fascio sia focalizzato in una stretta regione del campione. Occorre dunque selezionarne una determinata area mediante il metodo SAD (Selected Area Diffraction) (Fig.1.2.7). L’immagine del reticolo è formata dall’interferenza di almeno due raggi nel piano retrofocale della lente obiettivo.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            16  .  .

(17)  . Figura 1.2.7: Selezione di un'area di diffrazione (SAD).. Per osservare e registrare il reticolo di diffrazione è necessario rimuovere il diaframma dell’obiettivo e mettere a fuoco la lente di diffrazione sul piano retrofocale della lente obiettivo invece che sul piano immagine. Il fascio incidente illumina il campione e, sia il fascio trasmesso che quelli diffratti, contribuiscono a formare l’immagine in diffrazione sul piano retrofocale. Si inserisce un’apertura che seleziona una determinata area nel piano immagine e, anche se tutti gli elettroni provenienti dal campione contribuiscono a formare il reticolo, solo quelli provenienti dalla zona AB contribuiscono a formare il reticolo visibile sullo schermo dello strumento. 1.2.1.4 Analisi di reticoli in diffrazione di elettroni Un reticolo in diffrazione di elettroni ha origine dalla variazione angolare degli elettroni scatterati elasticamente ed anelasticamente a distanza infinita dal cristallo.[9] Cristalli perfetti formano raggi diffratti in alcune direzioni definite e, se. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            17  .  .

(18)  . un raggio di elettroni ad esse parallelo viene usato come raggio incidente, danno origine a spot di diffrazione (Fig.1.2.8).. Figura 1.2.8: Da sinistra,diagramma del fascio elettronico per la formazione di: un’immagine BF; un’immagine DF; un'immagine DF da raggi fortemente diffratti; un'immagine del reticolo.. L’informazione disponibile nei reticoli in diffrazione può essere usata per determinare il sistema cristallino e la tipologia di reticolo cui il campione appartiene; può essere usata per ottenere informazioni cristallografiche essenziali ai fini dell’interpretazione dei difetti dell’immagine, come ad esempio la direzione del fascio elettronico, gli indici di ogni riflessione presente e la rispettiva deviazione dalle perfette condizioni di diffrazione. L’informazione inoltre può essere usata per determinare le relazioni che descrivono l’orientazione tra le diverse fasi e definire così il grado di ordine di una lega. È possibile valutare i reticoli di diffrazione in modo da ottenere il grado di ordine misurando le intensità degli spot e delle riflessioni principali quando è nota la direzione del fascio elettronico B. E’ possibile fissare la direzione del fascio usando fasci convergenti o le kikuchi lines. Il reticolo in diffrazione consiste in una serie di spot, il raggio più intenso è quello trasmesso, ossia che viaggia nella stessa direzione del raggio incidente, mentre gli altri spot definiscono le direzioni nelle quali i raggi di. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            18  .  .

(19)  . diffrazione lasciano il cristallo. Le condizioni che danno luogo a diffrazione sono definite dalla legge di Bragg: 𝜆 = 2𝑑   ∙ 𝑠𝑒𝑛  𝜃 dove λ è la lunghezza d’onda degli elettroni, d è lo spazio interplanare dei piani che hanno subito diffrazione e θ è l’angolo di incidenza degli elettroni su tali piani (Fig.1.2.9).. Figura 1.2.9: Scattering di un fascio elettronico incidente su un reticolo cristallino.. Gli elettroni componenti il raggio incidente (I) sono coerenti, ossia tutte le singole onde da loro emesse sono in fase. Ogni onda che subisce scattering e che si trova in fase con le altre contribuirà alla formazione di un raggio diffratto (D), le onde che invece non si trovano in fase con le precedenti non daranno luogo a diffrazione (N). Consideriamo due onde, esse devono avere la stessa lunghezza di cammino, ossia la distanza che intercorre tra I e D deve essere la medesima per entrambe, o differire di un numero intero di lunghezze d’onda (nλ) affinché risultino in fase:. 𝐶𝐵 + 𝐵𝐸 = 𝑛𝜆.. Dalla figura 1.2.9 si evince che 𝐵𝐸 = 𝐶𝐵 = 𝑑 ∙ 𝑠𝑒𝑛  𝜃. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            19  .  .

(20)  . e dunque la condizione di rafforzamento del raggio diffratto sarà data dalla legge 𝜆 = 2𝑑   ∙ 𝑠𝑒𝑛  𝜃. di Bragg:. [10]. .. I piani che causano diffrazione sono approssimativamente paralleli alla direzione del fascio elettronico e quando quest’ultimo è parallelo ad un importante polo cristallografico, si avrà un gran numero di piani soddisfacenti le condizioni di Bragg e quindi un gran numero di fasci diffratti (Fig.1.2.10).. Figura 1.2.10: Raggi diffratti da piani a differente profondità nel cristallo.. Tramite l’angolo per cui gli elettroni subiscono scattering si definisce la distanza interplanare dhkl e di conseguenza si definisco gli indici dei piani. L’indicizzazione dei reticoli di diffrazione può essere eseguita mediante due metodi. Il primo metodo è effettuato a partire dalla lunghezza di camera L e misurando la distanza degli spot da quello generato dal fascio trasmesso direttamente. sul. piatto. (Fig.1.2.11).. Quest’ultimo. costituisce. la. distanza. interplanare dei piani considerati. I relativi indici si ottengono andando a considerare gli angoli che essi formano. È da specificare che L non è la distanza fisica che intercorre tra il campione e lo schermo ma una grandezza.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            20  .  .

(21)  . Figura 1.2.11: Geometria della formazione dei reticoli di diffrazione per l'indicizzazione mediante costante di camera.. Effettuando semplici considerazioni geometriche (Fig.1.2.11) si ha che: 𝑟 =2∙𝜃 𝐿 la legge di Bragg per piccoli angoli di diffrazione diviene: 𝜆 = 2𝑑 ∙ 𝜃 e dunque. ! !. !. =! .. Il secondo metodo utilizza il rapporto tra le distanze misurate tra gli spot invece che le distanze assolute: le distanze degli spot dal raggio incidente, sono proporzionali ai reciproci degli spazi dei corrispondenti piani {hkl} nello spazio reale. Quindi il rapporto di tali distanze, ciascuna elevata al quadrato, dà il rapporto dei quadrati delle distanze interplanari. Tale rapporto insieme all’angolo misurato tra gli spot, permette di stabilire la direzione del fascio incidente B. Il polo cristallografico, ossia la direzione del fascio elettronico riferita all’asse del cristallo,. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            21  .  .

(22)  . può quindi essere ottenuta semplicemente determinando l’angolo per cui gli elettroni subiscono scattering per ogni coppia di punti del reticolo. La direzione del fascio elettronico B può essere calcolata tramite il prodotto vettoriale tra gli indici che definiscono i due piani considerati. La soluzione ottenuta considerando gli spot è imprecisa in quanto essi non sono punti infinitamente piccoli ma si estendono in direzione parallela allo spessore del cristallo e, se il cristallo è spesso, si possono avere scattering anelastici che generano errori nella definizione di B. Dunque si fa uso delle linee di Kikuchi generate dagli elettroni che hanno subito scattering anelastico con il fine di determinare accuratamente B. 1.2.1.5 Indicizzazione ed informazioni ottenibili dalle linee di Kikuchi Le linee di Kikuchi sono un set di linee formate dalla diffrazione secondo Bragg di elettroni che hanno precedentemente subito scattering anelastico e sono caratterizzate dall’avere distanza uguale a quella che separa gli spot dal raggio diretto.[11] All’aumentare dello spessore del cristallo diminuiscono in numero gli spot di diffrazione visibili nei reticoli, e ciò accade a causa dello scattering anelastico subito dagli elettroni. Alcuni di questi elettroni possono poi subire scattering elastico, e da tale interazione hanno origine le linee di Kikuchi. In figura 1.2.12(a). si considerano gli elettroni che hanno subito scattering. anelastico nel punto P del campione. Alcuni di tali elettroni si troveranno ad incontrare i piani Q ed R con un angolo di Bragg (θ) e saranno diffratti elasticamente. Dunque i fasci di intensità IS ed IT, che avrebbero dovuto incontrare lo schermo nel punto S e nel punto T rispettivamente, lo incontrano nel punto T e nel punto S. Si hanno dei cambiamenti nell’intensità dello scattering anelastico, nel punto S l’intensità subisce un aumento pari a. IT - IS, mentre nel punto T. subisce un aumento pari a IS - IT. Il segmento OS è inferiore al segmento OT, dunque si ha una netta diminuzione dell’intensità dello scattering anelastico nel punto S ed un aumento nel punto T come è visibile in figura 1.2.12(b).. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            22  .  .

(23)  . Figura 1.2.12: (a) Diagramma di origine delle linee di kikuchi; (b) Intensità dello scattering anelastico una volta formate le linee di kikuchi.. Nei reticoli di diffrazione bidimensionali questo effetto appare come un paio di linee parallele, una scura in corrispondenza di S ed una chiara in corrispondenza di T. L’angolo che separa le linee di Kikuchi è pari a 2θ così come l’angolo che separa gli spot di diffrazione dal medesimo piano. Linee di Kikuchi e spot di diffrazione appaiono nella stessa immagine anche se l’intensità delle prime aumenta all’aumentare dello spessore del campione mentre l’intensità dei secondi diminuisce. Esse permettono di determinare B con precisione, di definire l’esatta deviazione dalle condizioni di Bragg e di eseguire tilt controllati su un dato asse in modo da selezionare una predefinita direzione del fascio. La posizione delle linee di Kikuchi sul reticolo in diffrazione è controllata dall’angolo formato dai piani che subiscono diffrazione con il raggio incidente e varia nel momento in cui il cristallo subisce tilt. Dato che tutti i piani danno luogo alle linee di Kikuchi, lo schermo Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            23  .  .

(24)  . risulta attraversato da differenti set di linee. Esistono delle mappe (mappe di Kikuchi) che riportano schematicamente le linee di Kikuchi e che sono di grande aiuto nello scegliere l’asse su cui effettuare il tilt del campione quando è richiesta una determinata direzione del fascio (Fig.1.2.13).. Figura 1.2.13: Mappa di Kikuchi per un cristallo bcc incentrato sul polo cristallografico [011].. Quest’ultima è facilmente ottenibile andando a misurare sul reticolo la distanza da un noto polo [hkl] e quindi l’angolo, dato che l’angolo di Bragg permette di convertire le distanze in angoli. Ad esempio, la direzione del fascio [h1k1l1] può quindi essere definita come un angolo noto a partire da [hkl] attorno ad un determinato asse di tilt. 1.2.1.6 Determinazione del sistema cristallino a partire da un reticolo in diffrazione di elettroni Tiltare in modo controllato su ogni asse rende possibile determinare il sistema cristallino e le dimensioni della cella unitaria da un reticolo in diffrazione ad elettroni. Seguendo le linee di Kikuchi si può passare da un polo cristallografico ad un altro e l’angolo, da esse formato, può essere stimato analizzando i reticoli di. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            24  .  .

(25)  . diffrazione di ogni polo considerato. Gli angoli individuati dai vettori di direzione del fascio B corrispondono agli angoli tra le direzioni nel cristallo reale, gli spazi che separano gli spot corrispondono all’inverso della distanza interplanare del cristallo reale. Tramite l’analisi di un reticolo di diffrazione si possono ottenere anche le relazioni di orientazione cristallografica tra le diverse fasi presenti. Ciò si effettua confrontando le immagini della diffrazione dei precipitati con quelle della matrice, entrambe registrate senza variare l’angolazione del tilt. Usando le linee di Kikuchi, in modo da definire precisamente B per entrambi i reticoli, si stabilisce che le due direzioni individuate sono tra loro parallele nello spazio reale. Tale relazione viene poi applicata ad una proiezione stereografica in modo da assicurarsi che sia la più semplice possibile. Una proiezione stereografica rappresenta su un piano le relazioni che legano un set di direzioni nello spazio tridimensionale. È una proiezione di punti dalla superficie di una sfera sul suo piano equatoriale. Essa si definisce come mostrato in figura 1.2.14: per ogni punto P sulla superficie della sfera si traccia una linea che lo unisce con il polo sud S; il segmento PS attraversa il piano equatoriale nel punto p e quest’ultimo, dunque, è la proiezione stereografica del punto P. Tale rappresentazione costituisce un elemento importante in cristallografia in quanto un set di punti sulla superficie della sfera definisce completamente un set di direzioni nello spazio come i segmenti che dal centro si congiungono ai punti considerati.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            25  .  .

(26)  . Figura 1.2.14: Proiezione stereografica di un generico punto P della sfera.. Se si immagina il cristallo come centro della sfera, le normali uscenti dalle facce ed intersecanti la sfera, formano un set di punti. Le loro proiezioni stereografiche rappresentano le facce del cristallo in termini di direzioni (Fig.1.2.15).. Figura 1.2.15: Proiezione sferica di un cristallo.. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            26  .  .

(27)  . 1.2.1.7 Analisi semiquantitativa tramite EDS La tecnica Energy Dispersive X-Ray Spectroscopy (EDS) è una tecnica di microanalisi quantitativa e qualitativa non distruttiva in grado di fornire informazioni riguardo la composizione chimica di un campione per elementi con numero atomico maggiore di 3. Il sistema TEM-EDS combina le informazioni morfologiche offerte dal microscopio elettronico in trasmissione con le informazioni quantitative e qualitative offerte dai raggi X. Un raggio elettronico incidente sul campione provoca l’espulsione di alcuni elettroni che danno luogo ai raggi X caratteristici. Questi ultimi vengono rilevati da un detector di energia dispersa che permette di visualizzare il segnale come uno spettro che riporta l’intensità del raggio X in funzione dell’energia. L’energia associata al raggio X caratteristico permette di identificare l’elemento che costituisce il campione analizzato, mentre l’intensità del picco consente di conoscere la concentrazione dell’elemento stesso. Dall’analisi quantitativa si ottiene una tabella in cui vengono riportate le concentrazioni degli elementi presenti in diverse fasi del campione in percentuale in peso, calcolate dal confronto con materiali di riferimento standard. La risoluzione spaziale della tecnica EDS nella microscopia elettronica in trasmissione è dell’ordine del nanometro ed è migliore ad elevati voltaggi dello strumento in quanto il campione è una sottile lamina metallica e si ha bassa propagazione del fascio elettronico. La risoluzione in profondità è invece governata dallo spessore del campione stesso ed i limiti di rilevabilità raggiunti sono di 0.01÷0.1 % in peso.[15] 1.2.1.8 Preparazione dei campioni per il TEM I campioni adatti al TEM hanno spessori di qualche centinaio di nanometri. La preparazione può essere divisa in preparazione iniziale ed assottigliamento finale. Per quanto riguarda la preparazione iniziale, si effettua la lucidatura meccanica su entrambe le superfici di un pezzo di materiale. Si raggiungono spessori di circa 100µm con carte abrasive al carburo di silicio (SiC) aventi granulometria sempre più fine (120µm, 240µm, 400µm, 800µm, 1200µm) e si conclude con il panno con pasta diamantata. I dischi necessari per l'analisi al TEM, aventi diametro di 3.05mm, si ottengono mediante punzonatura o mediante taglio con ultrasuoni. Per quanto riguarda l’assottigliamento finale, si utilizza l’electropolishing ossia. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            27  .  .

(28)  . l’assottigliamento elettrochimico. Esso consta di una cella elettrolitica in cui il campione svolge il ruolo di anodo e si dissolve tramite l’applicazione di un appropriato potenziale. Il processo include la rimozione di piccole e grandi irregolarità superficiali. Tramite la rimozione delle prime si mantiene la superficie lucida come precedentemente ottenuta, tramite la rimozione delle seconde si ha un’azione livellante a cui corrisponde l’assottigliamento. Inoltre dal contatto elettrolita metallo si forma, in superficie, un film liquido viscoso (polishing film) che controlla la dissoluzione dell'anodo. Si è utilizzata una soluzione di etilenglicol monobutiletere al 10% di acido perclorico (HClO4). Il voltaggio della cella è descritto come funzione della densità di corrente dell’anodo (Fig.1.2.16).. Figura 1.2.16: Potenziale vs logaritmo della densità di corrente anodica.. Nella curva rappresentante il voltaggio della cella possono essere distinte quattro regioni: nella regione A-B la densità di corrente aumenta con il potenziale ed il metallo si dissolve. La regione B-C esprime una condizione di instabilità, mentre la regione C-D indica un plateau stabile in cui si ha polishing. È un tratto di curva in cui la densità di corrente resta costante al variare del voltaggio e le migliori condizioni di polishing si hanno nel tratto più vicino a D. Nella regione D-E si ha la lenta evoluzione di bolle di gas che rompono il film di polishing e causano pitting. L’electropolishing procede fino alla perforazione del campione in quanto la regione trasparente agli elettroni è costituita dalla stretta banda di materiale che circonda il. Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            28  .  .

(29)  . foro. Viene a contatto con l’elettrolita solo la porzione di campione che deve subire assottigliamento elettrochimico. La cella elettrolitica è costituita da un contenitore per l’elettrolita, un becher di vetro in cui sono sospesi anodo e catodo. Il campione svolge il ruolo di anodo mentre un filo di platino, posto all’interno del portacampione, svolge il ruolo di catodo. La cella è poi inserita in un bagno di etanolo raffreddato a temperature di circa -30°C con azoto liquido in modo da far agire meglio l’elettrolita. Uno schema dell’electropolisher utilizzato è riportato di seguito:. Figura 1.2.17: Schema di funzionamento dell’electropolisher.. [12]. Lo strumento è un jet polisher automatico che opera con due continui getti di elettrolita indirizzati al centro del campione con lo scopo di accelerare l’attacco. Una pompa all’interno della cella fa circolare l’elettrolita attraverso i due jet mentre il campione è montato su un supporto removibile che va estratto non appena si ha la perforazione. Quest’ultima è individuata mediante una sorgente di luce ed un fotodiodo posti dall’una e dall’altra parte del campione.. 1.2.2 Determinazione Ms e simulazione trattamenti di rinvenimento Per determinare la temperatura a cui ha luogo una trasformazione di fase in un acciaio si fa uso di tecniche dilatometriche, in cui si registra la misura della Andrea  Imondi  -­‐  Università  di  Pisa                                                                                                                                                                                                                                                            29  .  .

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