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Contaminazione da Ocratossina A nei mangimi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

Scuola di Specializzazione in

Sanità Animale, Allevamento e Produzioni zootecniche

Direttore: Prof. Domenico Cerri

Contaminazione da Ocratossina A nei mangimi

Candidata

Relatore

Dott.ssa Angela Taibi

Dott.ssa Valentina Meucci

Correlatore

Prof. Luigi Intorre

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SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 3

ABSTRACT ... 4

1. LE MICOTOSSINE ... 7

1.1. Effetti delle micotossine sugli animali ... 11

1.2. Effetti delle micotossine sull’uomo ... 15

2. OCRATOSSINA A ... 17

2.1. Generalità ... 17

2.2. Fattori influenzanti lo sviluppo di OTA e matrici contaminate ... 18

2.3. Caratteristiche chimico-fisiche delle ocratossine ... 20

2.4. Tossicità dell’OTA ... 22

2.5. Tossicocinetica dell’OTA ... 25

2.6. Meccanismo d’azione dell’OTA ... 29

2.7. Effetti dell’ OTA sulle specie da esperimento ... 31

2.8. Effetti dell’OTA sulle diverse specie animali ... 32

2.9. Carry over, esposizione umana ad OTA e suoi effetti sull’uomo ... 41

2.10. Riferimenti Legislativi ... 47

2.11. Campionamento e determinazione ... 52

2.12. Prevenzione e trattamento degli alimenti contaminati ... 54

3. CONTAMINAZIONE DA OTA NEI MANGIMI ... 58

3.1. Contaminazione da OTA in materie prime destinate alla formulazione di mangimi e in mangimi composti per suini e avicoli ... 59

3.2. Contaminazione da OTA nella dieta per ruminanti ... 64

3.3. Contaminazione da OTA in mangimi per animali da compagnia ... 65

3.4. Contaminazione da OTA in mangimi per acquacoltura ... 67

4. CONCLUSIONI ... 69

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INTRODUZIONE

Il problema dei residui di contaminanti tossici nei prodotti alimentari ha assunto notevole rilievo in tema di sicurezza alimentare. In particolare, il monitoraggio di contaminanti di derivazione naturale, quali le micotossine, è diventato di routine per l’industria agro-alimentare. Le conseguenze della presenza di micotossine nelle derrate alimentari sono evidenti negli allevamenti zootecnici dove sono osservabili sia effetti sub-acuti che cronici sulla salute degli animali e possono avere un impatto non trascurabile sulla salute umana. Considerate le problematiche di esposizione alle micotossine l’Autorità per la sicurezza alimentare Europea (EFSA) valuta continuamente quelli che possono essere i rischi da micotossine e propone le misure di regolamentazione per la sicurezza degli alimenti ad uso umano e dei mangimi.

La produzione di ocratossina A (OTA), quale metabolita secondario di miceti in grado di contaminare grano, legumi, caffé, frutta, birra, vino e carni, prodotto da miceti del genere

Aspergillus e Penicillium, è nota da tempo. La presenza di OTA in cibi e mangimi è

potenzialmente pericolosa per la salute sia umana che animale dal momento che si ritrova in numerosi prodotti alimentari quali orzo, avena, segale, frumento, chicchi di caffè, cacao, spezie, liquirizia, vino, birra, frutta e frutta secca. La sua presenza nei mangimi, inoltre, può condurre alla contaminazione di prodotti di origine animale, specialmente carne suina e pollame. Diversi studi indicano che l'OTA induce numerosi effetti tossici tra cui effetti nefrotossici in tutte le specie studiate, in particolare nell'uomo e nel maiale, dove l'emivita è maggiore.

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Per quanto riguarda i mangimi zootecnici la Commissione Europea, nel determinare i limiti di OTA ha modificato la Raccomandazione 2006/576, con la Raccomandazione 2016/1319. La modifica tiene conto del parere EFSA sull’OTA nei mangimi e della tossicità di questa micotossina nei mangimi anche per cani e gatti.

Lo scopo della presente tesi è quello di valutare lo stato attuale della contaminazione da OTA delle materie prime per i mangimi destinati prevalentemente ai suini e al pollame, specie più sensibili, sulla base degli studi più recenti effettuati al riguardo.

Dall’analisi della letteratura scientifica emerge che: il rischio di contaminazione da OTA rimane elevato nei cereali, mentre sembra più limitato nei foraggi; sempre più frequente è il riscontro di co-contaminazioni (più micotossine nella stessa matrice), ma poco si sa ancora sugli effetti dell’interazione delle varie micotossine; una dieta contaminata da OTA si ripercuote negativamente sulle prestazioni produttive e riproduttive soprattutto delle specie monogastriche; la contaminazione da OTA sta sempre più interessando nuovi settori mangimistici, come quello dei pet-food e quello relativo acquacoltura; i metodi di prevenzione sia nella fase di pre-raccolto che nel post-raccolto non sono sufficienti a limitare la contaminazione da OTA ma allo stesso tempo non sono ancora state messe a punto tecniche di riduzione sicure; infine le analisi per quantificare le contaminazioni sono costose e la distribuzione puntiforme dei miceti rende difficoltoso il campionamento.

ABSTRACT

The problem of residues of toxic contaminants in foodstuffs has taken on considerable importance in the field of food safety. In particular, monitoring of natural derivative

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contaminants, such as mycotoxins, has become routine for the agro-food industry. The consequences of the presence of mycotoxins in foodstuffs are evident in livestock farms where both sub-acute and chronic effects on animal health can be observed and may have a non-negligible impact on human health. Considering the problems of exposure to mycotoxins, the European Food Safety Authority (EFSA) continually assesses those that may be the risk of mycotoxins and proposes regulatory measures for the safety of food for human use and animal feed.

The production of Ochratoxin A (OTA), as secondary metabolite of fungi able to contaminate grain, legumes, coffee, fruit, beer, wine and meat, produced by fungi of the genera Aspergillus and Penicillium, has been known for a long time. The presence of OTA in food and feed is potentially hazardous to both human and animal health since it is found in many foodstuffs such as barley, oats, rye, wheat, coffee beans, cocoa, spices, liquorice, wine, beer, fruit and dried fruit. In addition, its presence in feedingstuffs can lead to the contamination of products of animal origin, especially pork and poultry. Several studies indicate that OTA induces numerous toxic effects including nephrotoxic effects in all species that have been studied, particularly in humans and pigs, where the half-life is greater. As regards livestock feed, the European Commission, in determining the Limits of OTA, amended recommendation 2006/576, with recommendation 2016/1319. The amendment takes into account EFSA's opinion on OTA in feedingstuffs and the toxicity of this mycotoxin in feedingstuffs also for dogs and cats.

The aim of this thesis is to assess the current state of OTA contamination of raw materials for feedingstuffs mainly intended for pigs and poultry, which are more susceptible species, on the basis of the most recent studies carried out in this regard.

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Basing on the analysis of the scientific literature, it emerges that the OTA contamination risk remains high in cereals, whereas it seems to be more limited in fodders. Contaminations are increasily frequent (more mycotoxins in the same matrix), but we hardly know about the interactions of various mycotoxins effects. A contaminated diet effects negatively the productive and reproductive interactions mainly of the monogastric species. The OTA contamination is more and more affecting new animal feed sectors as those of pet-food and aquaculture. The prevention methods both in the pre-harvest and post-harvest stages are not sufficient to limit the OTA contamination but at the same time techniques of safe reduction have not yet been developed. In conclusion, the Analysis to quantify contaminations are expensive and the point distribution of mould makes the samples difficult.

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1. LE MICOTOSSINE

Il termine micotossine comprende numerosi metaboliti secondari ad elevata tossicità, prodotti in opportune condizioni ambientali (in particolare temperatura ed umidità), da funghi microscopici e filamentosi, noti anche con il termine di “muffe”, che colonizzano le piante durante il loro accrescimento e/o le derrate alimentari (Ominski et al., 1994). Un metabolita secondario è, infatti, il prodotto finale di una via metabolica che non riveste almeno apparentemente alcun significato biochimico nella crescita e nello sviluppo dei funghi (Miraglia-Brera, 1999). Numerosi sono i generi fungini responsabili della produzione di tali sostanze e appartengono generalmente alla categoria dei Deuteromiceti la quale raggruppa tutti gli anamorfi e tutti i miceti nei quali la riproduzione è di tipo agamico (Matta, 1996). I generi di funghi che rivestono maggiore importanza nella produzione di micotossine considerando la loro diffusione e l’elevata tossicità sono:

- Asperigillus

- Pennicillium

- Fusarium

- Alternaria

- Claviceps.

Si tratta di muffe che si sviluppano con formazioni pulverulente bianche, verdastre o nere sugli alimenti, in particolare sulle derrate alimentari, come cereali e frutta secca, e sugli alimenti per il bestiame, come foraggi, insilati, farine di estrazione. La presenza di micotossine negli alimenti destinati al consumo umano o nei mangimi per animali

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rappresenta un rischio per la salute dell’uomo e degli animali in quanto possiedono caratteristiche di genotossicità, cancerogenicità, immunotossicità, mutagenicità, nefrotossicità e teratogenicità (Pfohl-Leszkowicz e Castegnaro, 1998).

Attualmente sono note più di 300 micotossine, per circa 60 delle quali è stata individuata una potenziale tossicità: le aflatossine, le ocratossine, le fumonisine, la patulina, i tricoteceni, il deossinivalenolo e lo zearalenone (Bottalico, 2002

Tab.1 Funghi tossigeni e relative micotossine.

I principali fattori predisponenti la produzione di micotossine possono essere estrinseci, cioè l’insieme delle condizioni (ambientali) che favoriscono lo sviluppo fungino, ed intrinseci, legati invece alla capacità del ceppo fungino di produrre micotossine (Huwig et al., 2001).

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FATTORI FISICI

Tensione di O2, temperatura, umidità e/o acqua libera, pH Natura del substrato

Danni meccanici alle cariossidi Condizioni atmosferiche FATTORI BIOLOGICI

Presenza di altre specie fungine (azione competitiva) Presenza di insetti (come infestanti o vettori di spore)

Stress della pianta FATTORI CHIMICI

Utilizzo di fungicidi

Tab.2 Fattori predisponenti lo sviluppo di specie fungine tossigene.

Tra i fattori estrinseci, quelli fisici come temperatura e umidità influenzano maggiormente lo sviluppo fungino determinando la contaminazione da parte di una o più micotossine, sia in campo sia durante lo stoccaggio (D’Mello et al., 1997). Ciò è stato ampiamente dimostrato per i cereali ed è dovuto al fatto che molti funghi sono in grado di produrre contemporaneamente diverse micotossine e le materie prime, a loro volta, possono essere contaminate da più funghi tossigeni (Rodrigues, 2012). I mangimi, inoltre, sono costituiti da diverse materie prime ognuna delle quali potrebbe essere contaminata da specie fungine diverse (Streit et al., 2012).

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In generale la temperatura e la disponibilità di acqua (aw) rappresentano i fattori promotori della crescita per qualsiasi specie fungina. La maggior parte dei funghi tossigeni è costituita da microrganismi aerobi in grado di moltiplicarsi a valori di aw compresi tra 0,80 e 1 (Ominski et al., 1994).

I fattori biologici sono rappresentati dal ciclo di riproduzione e di sviluppo che lega la specie fungina alla pianta, o meglio dall’interazione fungo-pianta ospite (Miller, 1995).

Per quanto riguarda i danni alle cariossidi, ogni lesione presente sulla granella costituisce una via d’ingresso preferenziale per i funghi (Aibinio et al., 1999).

In generale substrati ricchi in carboidrati e lipidi sono i più esposti a questo tipo di contaminazione; di conseguenza gli alimenti che risultano più suscettibili ad essere contaminati da micotossine sono i cereali come mais, frumento, riso, orzo, segale; i semi oleaginosi come arachidi, semi di girasole e semi di cotone; la frutta secca, legumi, spezie, caffè, cacao. E’ possibile lo sviluppo fungino e la formazione di micotossine anche nei prodotti di origine animale, quali formaggi e insaccati (sia durante le fasi di maturazione che durante quelle di conservazione) (Bryden et al., 2012; Marin et al., 2013)

Si possono sviluppare muffe tossigene in qualsiasi fase della filiera produttiva degli alimenti: in pre-raccolta, quando la coltura è ancora in campo; nelle fasi di raccolta; in post-raccolta, quando le derrate alimentari sono immagazzinate o durante la preparazione dei cibi. E' importante sottolineare che le operazioni tecnologiche di lavorazione degli alimenti e le procedure domestiche di cottura non esercitano generalmente alcuna azione significativa di abbattimento sulle tossine inizialmente presenti nella materia prima o nell'alimento (Monaci et al., 2005). Molte tossine sono infatti termostabili fino a 150 °C e trattamenti quali l’essiccazione (Ceruti et al., 1993), la cernita, la molitura, la radiazione, l’estrazione, la

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fermentazione, pur diminuendone notevolmente il contenuto, non sono in grado di distruggerle completamente (Argentiere, 2002).

Le micotossine, inoltre, sono sostanze chimiche che residuano nelle derrate alimentari anche laddove la muffa abbia cessato il suo ciclo vitale o sia stata rimossa dalle operazioni tecnologiche di lavorazione dell'alimento o del mangime.

L’assenza del fungo micotossigeno non è quindi sufficiente a comprovare l’assenza delle tossine così come un substrato ammuffito non indica necessariamente la presenza di micotossine (Ceruti et al., 1993).

Qualora mangimi contaminati vengano usati nell'alimentazione di animali da allevamento, anche i prodotti da questi derivati (latte, carne e uova) possono risultare contaminati da micotossine a causa di un fenomeno denominato “carry-over”(Miraglia et al., 1999). I residui possono essere costituiti sia dalle micotossine inalterate, originariamente presenti nel mangime, sia da nuove molecole prodotte dal metabolismo dell’animale. Questo tipo di contaminazione "indiretta" può assumere una rilevanza considerevole a causa degli elevati livelli di micotossine potenzialmente presenti nei cereali e soprattutto nelle loro parti più esterne, che costituiscono gli ingredienti di base delle formulazioni mangimistiche.

1.1. Effetti delle micotossine sugli animali

Generalmente il termine micotossicosi si riferisce a sindromi che conseguono all’ingestione, al contatto cutaneo o all’inalazione di micotossine (Zain, 2011; Bryden, 2012).

Le manifestazioni acute sono rare negli animali d’allevamento; più frequenti sono gli effetti cronici che si manifestano con sintomi subdoli come riduzione dell’ingestione di cibo o

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rifiuto dello stesso, diminuzione delle performance produttive, conseguente anche alla riduzione dell’assorbimento intestinale e del metabolismo, e riproduttive (Baker, 1999; Fink-Gremmels, 2005; Fink-Gremmels et al., 2007).

In generale i ruminanti mostrano una minore suscettibilità alle tossicosi rispetto ai monogastrici, grazie alle condizioni particolari dell’ambiente ruminale e al ruolo “detossificante” di alcuni microrganismi presenti nel rumine. Alcuni ceppi batterici utilizzano le micotossine per il loro metabolismo come fonte di energia, altri le trasformano in metaboliti meno tossici per l’animale (Özpinar et al, 1999). Il grado di detossificazione differisce però tra le diverse micotossine e dipende dalla velocità di transito del cibo. Ciononostante la razione alimentare dei ruminanti è molto varia (concentrati, foraggi, insilati) contribuendo ad aumentare il rischio di esposizione alle micotossine per questa specie a differenza di altre specie che presentano una dieta meno varia (pollame, suini) (Gallo et al., 2015). Recenti studi ipotizzano che la maggiore via d’esposizione alle micotossine potrebbe essere l’ingestione di foraggi contaminati, ma questo aspetto rimane ancora poco approfondito (Driehuis et al., 2008; Driehuis et al., 2013) .

Gli effetti che le micotossine esercitano sui bovini variano da immodepressione, rifiuto del cibo e diarrea a disordini riproduttivi (effetti estrogeno- simili, aumento della vulva, prolasso vaginale o rettale) e danno epatico. Le micotossine provocano perdite delle performance produttive (del 5-10%) anche quando il fungo non è visibile e possono provocare anche aborti micotici e patologie respiratorie. Chetosi e dislocazione dell’abomaso possono incrementare significativamente con il consumo di micotossine. Gli effetti possono essere amplificati da stress: bovine da latte ad alta produzione o bovini all’ingrasso sono, infatti, più suscettibili.

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La specie suina invece è probabilmente quella che presenta una sensibilità media o alta praticamente a tutte le micotossine (Carlton et al., 1979). I suinetti sono fortemente suscettibili agli effetti delle aflatossine con conseguente danno a carico dei linfociti e dei macrofagi che indica una perdita dell’immunocompetenza; i suinetti svezzati, invece, sono molto sensibili ai tricoteceni (DON) e manifestazioni comuni sono rifiuto del cibo, diminuzione dell’incremento ponderale e maggior vulnerabilità alle infezioni; lo zearalenone è probabilmente la micotossina più deleteria per le scrofe alle quali determina effetti estrogeno simili (edema vulvare, sviluppo sessuale precoce, ipertrofia mammaria, irregolarità dei ritmi dei calori) causando gravi problemi e perdite economiche in allevamento; l’ocratossina A è responsabile di danni a carico dei reni con perdita della funzionalità e necrosi dei linfonodi.

Nel pollame l’alta percentuale di mais nella dieta e l’eventuale utilizzo di cruscami può rendere il problema micotossine più importante che in altre specie zootecniche (Huff et al., 1974). Le micotossicosi determinano, infatti, non solo perdite dovute alla riduzione delle performance degli animali, ma anche alla maggior suscettibilità alle infezioni e all’aumento della mortalità per l’effetto immunosoppressivo di molte micotossine. Nelle galline ovaiole si può osservare un calo dell’ovodeposizione e diminuzione del peso delle uova; mentre i broilers manifestano un rallentamento degli incrementi ponderali giornalieri e nello specifico alti livelli di DON nel mangime causano lesioni della mucosa orale, diminuzione dell’utilizzo di proteine della dieta e immunodepressione.

Le micotossine sono state associate a vari problemi legati alla salute dei cavalli: diminuzione dell’appetito, coliche, disordini neurologici, patologie respiratorie, e alterazioni della risposta immunitaria. Spesso questi problemi, però, vengono attribuiti ad altre cause e gli effetti delle micotossine sui cavalli non sono ancora ben documentati.

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L’aumento dell’utilizzo di cereali nella realizzazione di mangimi destinati agli animali d’affezione, in particolare cane e gatto, si traduce in un maggiore rischio per queste specie di sviluppare micotossicosi. Gli studi a riguardo sono limitati, nonostante sia il gatto che il cane risultano essere sensibili all’effetto delle micotossine le quali possono causare problemi legati all’apparato digerente (DON), al sistema immunitario e ai reni (OTA), al fegato (aflatossine) come nelle altre specie animali. Per questo motivo le industrie mangimistiche che producono pet-food stanno cominciando ad inserire nei loro programmi di autocontrollo anche le analisi delle materie prime che rilevino la presenza di micotossine al di sopra dei valori consentiti o raccomandati.

In generale in relazione alle concentrazioni di micotossine presenti negli alimenti si possono manifestare nelle varie specie animali:

1) micotossicosi cliniche, acute piuttosto rare e relativamente facili da diagnosticare perché caratterizzate da sintomi riferibili alla compromissione di apparati e organi bersaglio delle specifiche micotossine in causa;

2) micotossicosi subcliniche, relativamente frequenti e difficili da diagnosticare in quanto caratterizzate soltanto da calo quantitativo e qualitativo delle produzioni ed eventualmente da patologie secondarie favorite dagli effetti immunodepressivi che alcune di esse esercitano (De Liguoro, 2012). Alcuni effetti come quelli cancerogeni, non trovano riscontro nella realtà pratica di allevamento, per il breve ciclo di vita degli animali, ma hanno effetti molto importanti per la sicurezza delle derrate prodotte.

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1.2. Effetti delle micotossine sull’uomo

L’esposizione dell’uomo alle micotossine sembra essere legata soprattutto all’ingestione di prodotti vegetali e solo in piccolissima parte al consumo di prodotti di origine animale (EFSA, 2004).

Le sindromi tossiche causate dalle micotossine sono indicate come micotossicosi o più correttamente si dovrebbe parlare di sospette micotossicosi, dato che non sempre è possibile evidenziare un rapporto di causa-effetto inequivocabile.

Le ricerche condotte fino ad oggi hanno dimostrato per molte micotossine (aflatossine, ocratossine, fumonisine) un sicuro effetto cancerogeno (Boorman, 1989). In taluni casi, anche in assenza di azione cancerogena diretta, il potere immunodepressore di queste molecole, potrebbe favorire l’emergenza di tumori spontanei che sarebbero altrimenti contrastati o eliminati dai normali meccanismi di difesa dell’organismo (Creppy, 2002). Un aspetto spesso sottovalutato del problema micotossine è quello del rischio connesso all’esposizione per via inalatoria. Poiché le micotossine sono relativamente non volatili, l’esposizione per questa via è essenzialmente limitata all’inalazione di materiale particolato, o di origine fungina (di solito spore) o derivante da substrati contaminati. L’inalazione di questo materiale particolato può trasportare le micotossine fino agli alveoli polmonari. Una volta negli alveoli alcune micotossine interferiscono con le difese immunitarie (es. tricoteceni) mentre altre interferiscono con la rimozione, da parte dei macrofagi, di particelle estranee (Boorman et al., 1984). Questi effetti sono potenzialmente in grado di aprire la strada ad infezioni. Allo stato attuale, l’esposizione inalatoria dell’uomo alle micotossine, soprattutto nel settore dell’agricoltura, è ritenuta corresponsabile di diverse manifestazioni

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patologiche, tra cui neoplasie, polmoniti interstiziali, sindrome da polveri organiche tossiche.

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2. OCRATOSSINA A

2.1. Generalità

Le ocratossine sono prodotte da diverse specie di funghi appartenenti ai generi Penicilliun e

Aspergillus; in particolare Penicillium verrucosum, Aspergillus ochraceus e in minor parte

anche da P. nordicum, A. niger, A. sulphureus, A. carbonarius. Esse sono ampiamente diffuse nel mondo raggiungendo alti livelli di contaminazione in alcuni paesi, in particolare dell’Europa settentrionale e America meridionale. Sono muffe saprofite ubiquitarie, agenti di ammuffimento di granaglie, mangimi e alimenti; si formano durante la crescita delle colture ma anche e soprattutto nella fase di stoccaggio (Haouet e Altissimi, 2003).

Vengono classificate in: ocratossina A (OTA), B (OTB), C (OTC), α, β; l’OTA e l’OTC sono le più tossiche, mentre l’OTB è circa dieci volte meno tossica dell’ OTA (Marquardt e Frohlich, 1992).

L’OTA è l’ocratossina principalmente prodotta, molto diffusa in natura, ed è stata isolata originariamente in Sud Africa, da una specie di A. ochraceus nel 1965 (Van der Merwe et al., 1965). In seguito, numerosi altri ceppi sono stati identificati come produttori della micotossina.

Le temperature elevate favoriscono l’attività di A. ochraceus, diffuso nelle regioni tropicali; mentre le temperature più basse sono favorevoli al P. verrucosum, che è diffuso nelle regioni fredde e temperate, quali i paesi del Nord Europa e Canada. Nelle nostre aree, la stagione più a rischio di contaminazione da OTA è quella autunnale e particolare attenzione deve essere prestata ai mangimi commerciali, per le modalità di stoccaggio favorenti la proliferazione fungina (Haouet e Altissimi, 2003).

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Il Penicillium verrucosum si sviluppa soprattutto su cereali ricchi di carboidrati quali orzo, grano e segale mentre Aspergillus ochraceus su moltissimi tipi di derrate alimentari, soprattutto se ad elevato tenore lipidico e proteico come arachidi, semi di soia, caffè verde e uva (WHO/FAO, 2001).

2.2. Fattori influenzanti lo sviluppo di OTA e matrici contaminate

L’acqua libera (aw) è un parametro fondamentale per la crescita fungina, che è generalmente inferiore ai valori richiesti per la tossinogenesi. Infatti, per la crescita fungina occorrono valori di aw uguali o superiori a 0,90 invece, per la produzione di micotossine sono necessari valori intorno allo 0,83 (Haouet e Altissimi 2003). La maggior parte delle muffe deputate alla sintesi delle ocratossine sono xerofile cioè le spore germinano ad un valore di aw inferiore a 0,80 e la crescita ottimale si osserva intorno a 0,95 (Zain, 2011). L'Aspergillus

ochraceus sintetizza l’OTA con un aw superiore a 0,80 e la produzione ottimale si osserva a

valori di aw pari a 0,96-0,98 mentre il Penicillium verrucosum sintetizza la micotossina quando l’aw è compresa tra 0,80 e 0,90, con un massimo di produzione a valori di aw compresi tra 0,95 e 0,99 (0,92 nel grano e all’orzo) (Patterson et al., 1786; Northolt e Bullerman, 1982; Northolt et al., 1979). Vista la notevole influenza dell'umidità sulla contaminazione fungina, il monitoraggio e il controllo di tale fattore, risulta indispensabile nelle industrie agro-alimentari, al fine di tenere sotto controllo tale contaminazione.

La temperatura ottimale per lo sviluppo di una muffa è generalmente compresa fra 15° e 30°C, con un optimum di 20-25°C (Battilani, 2004). In generale, i parametri ottimali per la produzione di ocratossine oscillano tra 4 e 31°C mentre le condizioni di crescita ideali per i

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funghi produttori di tali micotossine nei cereali richiedono un contenuto minimo di umidità del 15–16% e temperature comprese tra 4°C e 37°C.

La natura del substrato è il fattore che influenza maggiormente la tossinogenesi (Bhatnagar et al., 2006); infatti, la produzione di OTA nei vari substrati può essere differente anche con le medesime condizioni ambientali (Pardo et al., 2004). A conferma di ciò, la grande disponibilità di amido presente nei substrati vegetali, li rende molto più soggetti a contaminazione da parte di micotossine rispetto ai substrati di origine animale (Haouet e Altissimi 2003). Sembra che le specie ocratossigene sintetizzino più facilmente OTA sfruttando proprio le riserve aminoacidiche dell’ospite, in particolare prolina ed acido glutammico che favoriscono la contaminazione di OTA nell’orzo (Haggblom, 1982).

Da un'indagine svolta a livello europeo, la SCOOP Task 3.2.7. (EC, 2002), nella quale sono stati raccolti campioni di vari prodotti provenienti da diversi paesi europei, è risultato che i cereali rappresentano la fonte primaria di contaminazione (50%) da OTA. Altre matrici interessate dalla contaminazione sono state il vino (13%), il caffè (10%), le spezie (8%), la birra (5%), il cacao (4%), la frutta essiccata (3%) e la carne (1%).

In ogni caso, contaminazioni da OTA di prodotti alimentari, come cereali e prodotti derivati da cereali, legumi, caffè, birra, uva, vino, prodotti del cacao, noccioline, spezie, sono state registrate in tutto il mondo ( EFSA, 2006).

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Matrici alimentari a rischio di contaminazione da OTA

2.3. Caratteristiche chimico-fisiche delle ocratossine

Le ocratossine sono derivati dell’isocumarina legati a L-β-fenilalanina e sono classificate come pentachetidi. Le ocratossine esistono in diverse forme, con tossicità variabile dovuta alla dissociazione del gruppo fenolico idrossile (Marquardt et al., 1992).

Sebbene un elevato numero di derivati dell’ocratossina sia stato isolato in laboratorio da colture di funghi produttori, solo l’OTA e molto più raramente l’OTB possono essere rinvenute naturalmente nelle piante (EFSA, 2006).

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L’OTA, ossia il 7-carbossi-5-cloro-8-idrossi-3,4-diidro-3Rmetil isocumarinamide della L-β-fenilalanina, è il primo composto scoperto (isolato da colture di Aspergillus ochraceus, da cui poi è derivato il nome) (Van der Merwe et al., 1965; Neshiem, 1969), il più importante, il più comune e quello dotato di maggiore tossicità. Composto cristallino poco colorato, che esibisce una fluorescenza blu sotto i raggi UV (Abreu et al., 2011) . Essa ha un punto di fusione di circa 90°C, e contiene approssimativamente una mole di benzene; dopo disseccamento per un’ora a 60°C il punto di fusione oscilla in un range compreso tra 168°– 173°C. E’ poco solubile in acqua, altamente solubile in solventi polari e in bicarbonato di sodio acquoso. Una importante particolarità dell'OTA è la sua elevata stabilita ad alte temperature e in ambienti acidi. Di conseguenza, una volta che gli alimenti vengono contaminati, è molto difficile rimuovere del tutto questa molecola. Muller (1982) dimostrò infatti che l'OTA viene solo parzialmente degradata alle normali condizioni di cucina (occorrono temperature di 250 C° per molti minuti per ridurre la concentrazione di tossina) o

Formula di struttura dell’Ocratossina A:

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dai processi di fermentazione; ciò significa che può attraversare immodificata la catena alimentare estendendo la contaminazione ad alimenti di origine animale quali carne, latte, alimenti fermentati. Ciononostante, recenti dati dimostrano che solo il 3% dell’esposizione orale totale umana deriva dall’ingestione di prodotti di origine animale. Ad aumentare questo dato fino al 10% potrebbero contribuire usanze culinarie locali (come l’utilizzo di sangue suino per la preparazione del sanguinaccio o altre salse preparate con sangue suino) (EFSA, 2004). In seguito ad idrolisi acida, essa produce fenilalanina ed un acido lattone otticamente attivo, l’ocratossina α (che rappresenta il metabolita inattivo dell’OTA).

2.4. Tossicità dell’OTA

La tossicità dell'OTA è legata alle variazioni delle sue concentrazioni all'interno di un organismo nel tempo (tossicocinetica) e alle sue interazioni dinamiche con i bersagli biologici e i loro effetti (tossicodinamica) (Ringot et al., 2006). Negli ultimi decenni sono stati eseguiti numerosi esperimenti in diverse specie animali per comprendere al meglio il meccanismo di tossicità acuta, sub-cronica e cronica ed inoltre quella di cancerogenicità dell’OTA.

La Dose Letale 50 (DL50) varia soprattutto tra le diverse specie ma è condizionata anche dal sesso, dall’età e dalla taglia dell’animale; il suino risulta, però, essere la specie più sensibile con una DL50 pari a 1.0 mg/kg per os e le femmine risultano più sensibili dei maschi.

L’OTA si è dimostrata una potente nefrotossina in tutte le specie animali esaminate. Gli studi a breve termine condotti su topi, ratti, cani e maiali hanno riportato lo sviluppo di nefropatie progressive caratterizzate da cariomegalia e necrosi delle cellule tubulari, ed inspessimento delle membrane basali (Walker e Larsen, 2005). Il tubulo retto prossimale

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(segmento S3), nella porzione esterna della midollare superficiale, rappresenta il sito specifico colpito dagli effetti dell’OTA (Walker e Larsen, 2005). La gravità del danno renale dipende dalla dose ma anche dalla durata dell’esposizione, in quanto l’OTA si accumula nei tessuti renali. Precedenti studi condotti sui roditori nell’ambito dell’NTP (National Toxicology Program, programma di tossicologia nazionale negli Stati Uniti) hanno dimostrato che l’OTA può indurre l’insorgenza di tumore ai reni.

Alcuni dati epidemiologici hanno inoltre suggerito un coinvolgimento dell’OTA nella patogenesi di alcune nefropatie e di rare forme di tumore ai reni in alcune regioni della penisola balcanica in cui tali patologie hanno carattere endemico (EFSA, 2006). Inoltre la micotossina induce apoptosi e iperplasia cellulare, inibisce la sintesi proteica, produce stress ossidativo e provoca disfunzioni mitocondriali (Fink-Gremmels, 2005).

L’esposizione all’OTA induce una soppressione della risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata (Stoev et al., 2000). L’attività immunotossica dell’OTA mostra principalmente quadri di linfocitopenia caratterizzati da una diminuzione dell’attività delle cellule Natural Killer (NK) nei ratti (Álvarez et al., 2004), della risposta proliferativa dei linfociti T nei suini (Harvey, 1992) e della capacità batteriolitica dei macrofagi nei ratti (Álvarez et al., 2004). Vi possono essere, inoltre, il decremento dei livelli plasmatici di immunoglobuline, la deplezione degli organi linfoidi centrali e ridotta chemiotassi.

L’immunosoppressione provocata dall’OTA può essere spiegata con l’inibizione della sintesi proteica con conseguente ritardo della divisione cellulare a livello del sistema immunitario (Harvey et al., 1992).

Studi nei topi sulla cancerogenicità dell’OTA hanno mostrato che i tumori renali e/o epatici si sviluppano in seguito ad una somministrazione tramite la dieta di 40 mg/kg di OTA per 44

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settimane (Kanisawa e Suzuki, 1978), e di 40 mg/kg per 2 anni (Bendele et al., 1985). I maschi sono risultati più sensibili rispetto alle femmine sia a livello renale che epatico. Recentemente è stato osservato che l’OTA si accumula maggiormente nei reni di ratti maschi e che l’incidenza di tumori del tubulo renale è molto più alta nei ratti e nei topi maschi rispetto alle femmine anche dopo trattamento cronico con piccole dosi di OTA (Zepnik et al., 2003; Lock e Hard, 2004). Uno studio a medio termine condotto sui ratti ha mostrato che la somministrazione di diete contenenti 50-200 mg/kg per 6-9 settimane provoca noduli epatici iperplasici (Imaida et al., 1982).

L’OTA può passare la placenta e avere effetti embriotossici e teratogeni inducendo gravi malformazioni strutturali, a livello embrionale e fetale, nei topi e nei ratti (IARC, 1993; FAO/WHO, 2001). Nei ratti la somministrazione di OTA in età prenatale causa immunosoppressione inibendo la proliferazione dei linfociti B e T e colpendo l’ultimo stadio dell’attivazione dei linfociti T in vitro (FAO/WHO, 2001).

Studi condotti sui ratti, hanno dimostrato che una singola iniezione sottocutanea di OTA somministrata entro il decimo giorno di gestazione provoca diminuzione del peso fetale e malformazioni del feto, e dosi maggiori comportano un riassorbimento fetale (Stil et al., 1971; Brown et al., 1976; Mayura et al., 1982).

Frequentemente le anomalie fetali comprendono: difetti allo scheletro, al cranio, alle coste e alle vertebre, esencefalia, incompleta chiusura del cranio, micrognatia, micromelia, scoliosi, porzione posteriore piccola e difetti dei tessuti molli come idrocefalo, microftalmia, pelvi renale dilatata, idronefrosi e criptorchidismo (Fukui et al., 1987).

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Gli studi condotti sulla genotossicità dell’OTA e sul meccanismo d’azione non mostrano risultati univoci e certi, in particolar modo per quanto riguarda l’effetto causato dalla formazione di addotti con il DNA.

Nella maggior parte degli studi sulla mutagenicità a livello genico e cromosomiale, l’OTA è risultata negativa ai test convenzionali (Ames-test) anche in presenza di sistemi d’attivazione metabolica (Wehner et al., 1978; Bendele et al., 1985; US-NTP, 1989; Würgler et al., 1991; Zepnik et al., 2001).

L’OTA può indurre, in varie specie animali, lesioni al DNA a livello del fegato, rene, milza, linfociti, timociti e fibroblasti. Ѐ stata riscontrata una dipendenza dal tempo e dalla dose di OTA nell’induzione di queste lesioni in vivo con l’utilizzo di tossina marcata (32P) (Fink-Gremmels, 2005).

2.5. Tossicocinetica dell’OTA

Gli effetti di una tossina dipendono principalmente da 4 processi tossicocinetici fondamentali: assorbimento, distribuzione, biotrasformazione e processi di escrezione e, nel caso di animali d’interesse zootecnico, comprendono anche le modalità di passaggio dei metaboliti in carne, uova e latte (carry over).

Dopo ingestione orale, l’OTA è rapidamente assorbita a livello del primo tratto intestinale. Sia il gruppo fenolico che quello carbossilico sono responsabili della lieve acidità e della debole proprietà idrofilica di questa molecola. Per questo la diffusione della forma non ionizzata attraverso la membrana lipidica è considerata il meccanismo principale dell’assorbimento gastrointestinale (Galtier, 1974).

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Nelle diverse specie animali sono stati riscontrati diversi comportamenti in seguito all’assunzione orale di OTA: per i polli la biodisponibilità è del 40%, per i conigli e i ratti del 56%. Il tasso di biodisponibilità maggiore è quello dei maiali con il 66% (Galtier et al., 1991). Gli organi dei ruminanti sono colpiti in modo molto limitato dalle ocratossine in seguito alla loro idrolisi nei prestomaci da protozoi ed enzimi batterici. Si è visto infatti che la microflora ruminale idrolizza l’OTA ad ocratossina α, un metabolita meno tossico, già prima che avvenga l’assorbimento (Yiannikouris et al., 2002).

Dopo l’assorbimento, raggiunge la circolazione ematica dove lega fortemente le proteine seriche, in particolare l’albumina. Grazie al legame con le proteine del siero, raggiunge gli organi bersaglio: i reni soprattutto, e in misura minore, il fegato; residui di OTA sono stati riscontrati anche in muscoli e grasso ma in concentrazioni più ridotte. Il trasferimento al latte è stato dimostrato in ratti, conigli e donne mentre la presenza di OTA nel latte dei ruminanti è ridotta in seguito alla sua degradazione ruminale (Jonker at al., 1999).

Da un punto di vista tossicocinetico l’OTA, avendo una lunga emivita ematica, è una cosiddetta “tossina rimanente”, anche se sono state osservate differenze interspecifiche significative. L’emivita stimata è pari a 55-120 ore nel ratto e 70-120 ore nel suino (Creppy, 2002). L’uomo presenta l’emivita più lunga fra tutte le specie esaminate (Schlatter et al., 1996); essa nel sangue è pari a 840 ore dopo l’ingestione orale. Ciò è dovuto al riassorbimento da parte del circolo entero-epatico, al riassorbimento dalle urine dopo la secrezione tubulare ed anche al forte legame con le proteine plasmatiche.

Il destino dell’OTA nel suino e nel pollame è ben documentato a causa della presenza dei residui della tossina nei tessuti di queste specie. Nei suini esposti ad OTA per un periodo di tempo dalle due alle otto settimane, i livelli residuali più alti sono stati rilevati nei reni e poi,

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in ordine decrescente, nel muscolo, nel fegato e nel grasso (Madsen et al., 1992). In questa specie, a differenza del ratto, non è stato dimostrato passaggio della tossina attraverso la placenta; infatti la somministrazione di OTA a dosi di 0,38 mg/kg peso vivo al giorno 21 e al giorno 28 della gestazione non ha comportato il passaggio di questa attraverso la placenta (Patterson et al., 1976); allo stesso modo non stati trovati residui di OTA in suinetti nati da scrofe alle quali era stata somministrata una dieta contenente la micotossina alla dose di 0,007-0,016 mg/kg peso vivo durante tutta la gestazione (Mortensen et al., 1983). Al contrario però uno studio riporta il passaggio di OTA in utero e quindi ai suinetti da parte di scrofe alimentate con mangime naturalmente contaminato; è stato riscontrato nel sangue dei suinetti un livello sierico di OTA pari a 0,075-0,12 ng/ml comparato a quello materno pari a 0,20 ng/ml (Barnikol e Thalmann, 1988).

Per quanto riguarda gli avicoli, ci sono opinioni discordanti riguardo il passaggio di OTA nelle uova: molti studi non hanno rilevato la presenza di OTA in uova di galline alimentate con mangime contenente la tossina (Krogh et al., 1976), mentre in un lavoro, in cui galline ovaiole sono state alimentate con mangime contenente 1,3-2,6 e 5,2 mg di OTA/kg di mangime per 4 settimane, si sono registrati livelli di OTA nelle uova compresi tra 0,1 e 0,2 mg/kg indipendentemente dalla dose somministrata (Bauer, 1988).

Le biotrasformazioni sono considerate come i processi enzimatici (di idrolisi, riduzione, coniugazione) che mirano alla formazione di metaboliti più idrosolubili e atossici quali ad es. l’ocratossina α. Queste fasi si realizzano maggiormente a livello epatico ma anche nel rumine e a livello gastrointestinale per azione di una microflora che ha sviluppato un’intensa attività catalitica (Galtier, 1991). I principali metaboliti derivati dall’OTA sono: il prodotto della sua idrolisi (ocratossina α), i derivati idrossilati 4-OH-OTA e 10-OH-OTA ed i prodotti della coniugazione con il glutatione.

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La biotrasformazione delle micotossine è un evento importante per il loro destino nel corpo animale. La biotrasformazione dell'OTA è dipendente dal citocromo P450 sia nell'uomo che negli animali, e porta alla formazione di intermedi metabolicamente attivi nella cancerogenesi ed in altre attività tossiche. Alcune ricerche hanno evidenziato il citocromo P450 quale probabile catalizzatore, a livello microsomiale epatico, della reazione di idrossilazione dell’OTA (Galtier et al., 1991). La formazione di metaboliti idrossilati è stata dimostrata anche nei reni dei ratti. Per quanto riguarda l’OTA, le sue proprietà tossiche sono dovute sia ad un processo metabolismo-dipendente che ad uno non metabolismo-dipendente. Infatti una parte del suo effetto nefrotossico è dovuto alla sua struttura chimica, omologa a quella della fenilalanina, che porta ad una inibizione della sintesi proteica a causa della competizione per lo specifico t-RNA (Neal, 1998).

La reazione metabolica che avviene nella detossificazione dell’OTA nei ruminanti è data da un’idrolisi catalizzata dalla carbossipeptidasi A e dalla chimotripsina. Questo processo rompe il legame ammidico con la formazione dell’aminoacido fenilalanina e dell’ocratossina α, molto meno tossica della molecola originaria. Probabilmente su questa capacità di detossificazione si basa la resistenza dei ruminanti nei confronti dell’OTA e questo è provato dall’osservazione che i giovani ruminanti, per l’incompleto sviluppo dei prestomaci, si comportano ancora come monogastrici e sono sensibili a tale tossina (Petterson, 1982; Krogh, 1992).

L’eliminazione dell’OTA avviene attraverso le feci oppure attraverso le urine a seconda dell’efficacia dell’assorbimento gastrointestinale e della possibilità di metabolizzazione epatica.

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In tutte le specie l’OTA e i suoi metaboliti vengono escreti fondamentalmente per via fecale ed urinaria. Il differente contributo di ciascuna via d’escrezione dipende dalla quantità di micotossina e dalla sua modalità di somministrazione (Kuiper-Goodman et al., 1989). L’escrezione è influenzata dalla stabilità del legame con le proteine plasmatiche e dall’intensità della circolazione enteroepatica (Hagelberg et al., 1989). Inoltre il tasso di escrezione è influenzato dal sesso, dall’età e dal peso degli animali (Vettorazzi et al., 2009).

2.6. Meccanismo d’azione dell’OTA

Diverse sono le ipotesi sul meccanismo di interazione di OTA e dei sui metaboliti con le molecole endogene per spiegare i suoi effetti tossici. I seguenti sono quelli più studiati:

• Inibizione della fosforilazione ossidativa e blocco della respirazione mitocondriale: questa disfunzione mitocondriale è un evento precoce durante la tossicità indotta da OTA (Aleo et al., 1991); dimostrata in epatociti di ratti (Meisner, et al., 1974; Wei et al., 1985) e comporta rigonfiamento mitocondriale per l'impossibilità della cellula di mantenere il gradiente sodio/potassio (Meisner, 1976).

• Inibizione della fenilalanil-t-Rna sintetasi accompagnata da una riduzione della sintesi proteica: poiché l’affinità dell’OTA per la fenilalanil-tRNA sintetasi è molto più bassa di quella della fenilalanina stessa, l’OTA, probabilmente, determina effetti negativi quando si accumula nelle cellule e quando la concentrazione intracellulare di fenilalanina è bassa (Kuiper-Goodman e Scott, 1989).

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• Aumento della formazione di Radicali Liberi ed incremento delle reazioni enzimatiche di perossidazione lipidica: dimostrata in studi in vitro in microsomi di fegato di ratto.

• Sequestro del Calcio microsomiale: Studi in vivo ed in vitro hanno rivelato che l’OTA danneggia l’attività della pompa del calcio (Khan et al., 1989). Infatti è stata osservata una riduzione del 42-45% della captazione del calcio, da parte della pompa ionica, in topi a cui si era somministrata una dose di 10 mg/Kg p.c. di OTA.

• Inibizione della gluconeogenesi, riduzione dei depositi di glicogeno epatico ed aumento dei livelli serici di glucosio (Suzuki et al., 1975). L’OTA inoltre, altera l’azione di diversi enzimi ed in particolare, l’attività dell’enzima fosfoenolpiruvato carbossichinasi, enzima chiave della gluconeogenesi, il quale può essere completamente ridotto nei ratti e nei maiali (Meisner eKrogh, 1986), degradando l’mRNA che codifica per questa molecola. Perciò una conseguenza tossicologica indiretta dell’OTA è anche l’alterazione della via metabolica dei carboidrati.

Il meccanismo biochimico alla base della tossicità renale dell’OTA è complesso. Questa tossina possiede la capacità di inibire il trasporto di fosfati e la respirazione a livello mitocondriale attraverso l’inibizione competitiva di un carrier proteico sito internamente alla membrana mitocondriale. Questo provoca degenerazione mitocondriale e la ridotta integrità membranaria è associata ad un aumento di enzimi lisosomiali nel liquido intracellulare con una conseguente degenerazione epiteliale. I cambiamenti a carico dei mitocondri e degli organuli cellulari che in definitiva si ripercuotono sull’integrità dell’epitelio sembrano essere

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la causa della tossicità renale dell’ocratossina , tossicità che si manifesta primariamente a carico dei tubuli contorti prossimali (Stoev et al., 2001).

2.7. Effetti dell’ OTA sulle specie da esperimento

L’esposizione a basse concentrazioni di OTA determina alterazioni morfologiche e funzionali a carico di diversi organi e tessuti in specie animali da sperimentazione. Infatti è stato osservato che l’esposizione cronica causa adenomi renali e carcinomi epatocellulari sia nel topo che nel ratto (Kanisawa e Suzuki, 1978; Bendele et al., 1985; Boorman, 1989). È stato osservato, inoltre, che una dieta costituita da mangime contaminato con OTA (0,2 - 5 mg/kg peso vivo, per tre mesi) determina, nei ratti sottoposti alla sperimentazione, una marcata forma di degenerazione tubulare a tutte le concentrazioni testate (Munro et al., 1974). Un’esposizione cronica determina, nei ratti, inizialmente lesioni primarie dei tubuli prossimali, seguita da alterazioni strutturali e funzionali dei glomeruli ed involuzione dell’interstizio glomerulare (Krogh, 1980); mentre una esposizione acuta determina, in tale specie, una marcata degenerazione acidofila, con necrosi e desquamazione dell’epitelio dei tubuli prossimali (Kanisawa et al., 1977). Alcuni autori hanno proposto meccanismi che implicano processi ossidativi sia nella nefrotossicità che nell’epatotossicità dell’OTA (Baudrimont et al., 1994).

L’OTA, oltre ad essere nefrotossica ed epatotossica, è anche enterotossica; questa affermazione è supportata da uno studio condotto da Kanisawa e collaboratori (1990) in cui è stato rilevato lo sviluppo di un’enterite acuta nel duodeno e nel digiuno di ratti maschi ai quali era stata somministrata una singola dose per via parenterale della micotossina (15 mg/kg).

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Studi su ratti, topi e criceti hanno, inoltre, dimostrato la possibile attività teratogenica dell’OTA.

2.8. Effetti dell’OTA sulle diverse specie animali

Solitamente negli studi vengono analizzati gli effetti avversi di una singola micotossina, tuttavia, in natura le micotossicosi possono essere causate dalla concomitanza di più tossine nella stessa derrata alimentare (Ringot et al., 2006; Ruiz et al., 2011 e Grenier, et al., 2013). Combinazione molto studiata è quella tra OTA e FB1, una micotossina prodotta da

Fusarium, contaminante soprattutto del granturco che negli animali ha gravi effetti tossici.

Tra gli studi effettuati su tali combinazioni, emerge quello di Diaz e collaboratori (2001) che mostra i segni patologici di entrambe le tossine (edema polmonare, renale e lesioni epatiche) e quella di Creppy e collaboratori (2004) che, studiando tre linee cellulari (cellule del geloma del cervello di ratto, cellule vero del rene di scimmia e cellule Caco-2), ha notato una produzione di ROS con inibizione della sintesi proteica.

L’ocratossicosi acuta nei mammiferi si manifesta con anoressia, sete intensa, poliuria, distensione della parete addominale, dolori addominali, diarrea ed edemi sottocutanei.

I reperti anatomo-patologici più salienti sono rappresentati da una grave gastroenterite con focolai necrotici a carico del tessuto linfatico, da alterazioni epatiche (accumulo di glicogeno, steatosi, aree di necrosi), da fenomeni necrotici a carico dei tubuli renali, fibrosi periglomerulare ed interstiziale che evolve in atrofia glomerulari.

Tra i mammiferi il suino è la specie più sensibile agli effetti tossici dell’OTA ed è la specie per la quale sono stati effettuati la maggior parte degli studi in vivo relativi agli effetti della

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tossina in questione. La sua LD50 è pari a 1 mg/Kg (Harwig et al., 1983) e si ritiene che l’assunzione di ocratossine attraverso il cibo sia la più importante causa della “Nefropatia Porcina”.

Negli animali adulti l’intossicazione spontanea decorre in forma prevalentemente subacuta o cronica con riduzione dell’appetito, perdita di peso e limitati fenomeni di polidipsia e poliuria, mentre solo raramente la funzionalità renale è compromessa a tal punto da comportare l’insorgenza di una sindrome uremica. Si può avere proteinuria, glicosuria ed aumento della concentrazione sierica di creatinina: l’alterazione della funzionalità del tubulo prossimale porta ad una riduzione della capacità di concentrare le urine e ad una maggiore escrezione urinaria di glucosio (Tapia et al., 1984).

Le lesioni riscontrabili a carico dei reni sono rappresentate da aumento di volume, di peso e di consistenza (fibrosi corticale diffusa) oltre che dalla comparsa di irregolarità della superficie degli organi, che si presentano di colore pallido (Rutqvist et al., 1978).

In diversi studi è stato dimostrato che maiali ai quali si somministravano dosi compresetra 0,2 e 4 mg/kg peso vivo di OTA, dosi, queste, equivalenti ai livelli riscontrati in alimenti contaminati, sviluppavano dopo 3 – 4 mesi dalla somministrazione, una nefropatia identica a quella evidenziata in natura (Delacruz e Bach, 1990).

Stoev (2001), studiando 6 suini alimentati con una dieta contenente OTA in quantità di 0,8 mg/kg peso vivo, ha riscontrato lo sviluppo di una nefropatia caratterizzata da una leggera ipertrofia renale con deboli macchie superficiali. Anche in questo caso si evidenziavano delle alterazioni di tipo degenerativo, a livello delle cellule epiteliali di alcuni tubuli prossimali, e proliferativo, a livello dell'interstizio. Con l'avanzare del periodo di ingestione, aumentavano le zone di fibrosi interstiziale.

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Generalmente, i sintomi clinici caratteristici della nefropatia micotossica porcina sono: polidipsia, poliuria, calo della produzione, depressione, apatia e, occasionalmente, morte. A volte non si osservano questi sintomi e la patologia si scopre solo al momento della macellazione, poiché macroscopicamente i reni appaiono pallidi, rigonfi e di dimensioni aumentate (Miliçeviç et al., 2008).

In studi sulla tossicità cronica di OTA, dopo aver somministrato con la dieta 1 mg/kg di tossina per 2 anni, i suini hanno manifestato un progressivo aggravamento della nefropatia senza però giungere al collasso renale. Sulla base dell’osservazione di questi effetti non può essere stabilito un N.O.E.L (non observed effect level), invece la dose di 0,008 mg/kg peso vivo al giorno può essere considerato il livello L.O.E.L (lowest observed effect level) (Krogh, 1978; Krogh et al., 1988).

Scrofe a cui è stata somministrata una dose di 0,2 mg/kg di OTA con la dieta (corrispondente a 8 µg/kg/die), per 90 giorni hanno mostrato una riduzione dell’attività renale della carbossilasi fosfoenolpiruvato citosolica e della gamma-glutamyl transpeptidasi accompagnata da una riduzione della funzionalità del sistema renale. La compromissione dell’attività renale è inoltre indicata da una riduzione dell’escrezione tubulare del p-aminoippurato e da una aumentata glicosuria (EFSA, 2004).

Oltre ad avere un effetto marcatamente nefrotossico, l’OTA può determinare nei maiali, a cui sono state somministrate alte dosi per via orale (5-10 mg/kg, livelli raramente riscontrati in natura), effetti a livello del fegato, intestino, milza e tessuto linfatico (Szczech et al., 1973a,b,c). Alcuni ricercatori hanno anche evidenziato, nei cinghiali, una spiccata alterazione dell'attività riproduttiva ed effetti teratogeni; infatti sembra che l’OTA sia capace

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di attraversare la barriera placentare ed indurre, nei suinetti, alterazioni dello sviluppo fetale (Marquardt e Frohlich, 1992).

Per quanto riguarda gli effetti negativi provocati al sistema riproduttivo è stato dimostrato che l’OTA produce effetti negativi sulla produzione dello sperma e sulla qualità del seme dei verri a cui viene somministrata una dose giornaliera di 0,02 mg/kg peranimale, anche se non sono stati osservati effetti istologici sulle celle di Leydig e sulle strutture epididimali (Birò et al., 2003).

L’OTA colpisce l’immunità cellulare e umorale di molte specie; tuttavia l’unico studio sistematico al riguardo è stato effettuato sui suini ricorrendo alla somministrazione sottocutanea e non quindi considerando l’intossicazione attraverso la dieta. In questo studio si è osservata una riduzione del numero di linfociti e un aumento del numero totale di leucociti. È risultato, inoltre, che l’OTA porta ad una diminuzione dell’indice fagocitino e a una diminuita espressione dei linfociti marcatori di superficie (Muller et al., 1999). Non sembra essere colpita la proliferazione dei linfociti sebbene questo effetto sia stato descritto ex vivo (Holmberg et al., 1988).

Le specie avicole, insieme ai suini, sono gli animali più sensibili agli effetti tossici dell’ OTA e la DL50 stimata è pari a 3,3 mg/kg. Tra i volatili, il più sensibile all’OTA è l’anatroccolo, mentre meno sensibili sono il pollo, il tacchino e la quaglia. In tali specie predominano, in corso di ocratossicosi, i sintomi da interessamento del comparto emopoietico (con diminuzione del MCV e della concentrazione di emoglobina serica, abbassamento della percentuale di saturazione del ferro e della transferrina, anemia, inibizione dell’emopoiesi), deplezione degli elementi linfoidi della milza e della borsa di Fabrizio (Huff et al., 1979; Stoev et al., 2000) seguiti da uno sfavorevole indice di

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conversione degli alimenti, minore incremento ponderale, ritardato raggiungimento della maturità sessuale, riduzione della deposizione e della schiudibilità delle uova ed aumentata mortalità (Kumar et al., 2004).

In uno studio condotto in Danimarca su polli e galline macellati è stato rilevato che il 29% dei soggetti presentava una nefropatia correlata all’ingestione di OTA (Elling et al., 1975). Le lesioni renali, presentavano in generale degenerazione dei tubuli prossimali e distali dei nefroni e fibrosi interstiziali. Generalmente, nei volatili, le lesioni epatiche si riscontrano meno frequentemente delle renali e sono caratterizzate da lieve ma diffusa vacuolizzazione degli epatociti e focolai di necrosi (Huff et al., 1988).

In gruppi di polli alimentati, per 20 giorni, con mangimi contaminati con la micotossina (0,2-4 mg/kg), si riscontrava una riduzione della concentrazione delle immunoglobuline IgG, IgA ed IgM sia nel siero che nei tessuti linfoidi (Dwivedi e Burns, 1984). In soggetti esposti è stata osservata anche una riduzione della compattezza delle ossa legata a marcata demineralizzazione (Huff et al., 1980). Nei giovani broiler l’ocratossina causa, infatti, una riduzione della consistenza delle ossa dovuta a ridotta mineralizzazione del tessuto osseo (Huff et al., 1977).

In gruppi di polli da carne con somministrazioni giornaliere di OTA pari a 4 mg/kg per due mesi, il tasso di mortalità riscontrato è stato del 42% (Gibson et al., 1990) .

Nelle galline ovaiole, alimentate con mangime contaminato da quantitativi di OTA pari a 1,3-2,6 e 5,2 mg/kg, la quantità di uova prodotte decresce proporzionalmente alla dose assunta (Bauer et al., 1988).

Le attività tossiche che l’OTA manifesta nei polli sono, quindi, prevalentemente di tipo nefrotossico e immunotossico; a livello renale provoca aumento del peso relativo dei reni ma

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anche diminuzione del peso corporeo dei polli, aumento nel siero dell’acido urico e dei trigliceridi, diminuzione delle proteine totali e dell’albumina. Nel sangue diminuisce la popolazione di cellule linfatiche, diminuiscono inoltre le immunoglobuline sieriche (Gentles et al., 1999).

In ogni caso i più importanti problemi economici riscontrati negli allevamenti avicoli, quando i pulcini vengono alimentati con diete contaminate da OTA, sono legati ad una riduzione del consumo di mangime e conseguentemente del tasso di crescita, scarsa efficienza dell’alimentazione (Huff et al., 1988; Raju and Devegowda, 2000;Elaroussi et al., 2008) e aumento della mortalità (Elaroussi et al., 2006). Al tal proposito è interessante citare lo studio condotto da Pozzo e collaboratori (2013) su broiler alimentati ( dal 1 giorno fino a 35 giorni d’età) con mangime commerciale contaminato sperimentalmente con 0,1 mg/kg di OTA (limite stabilito dalla Raccomandazione UE 2016/1319 per i mangimi composti per pollame), con lo scopo di valutarne gli effetti sulle prestazioni e caratteristiche di macellazione, sul peso degli organi, sui parametri ematologici, e sulle funzioni epatica e renale. È risultato che una dieta contaminata da una concentrazione di OTA pari a 0,1 mg/kg peso vivo non interferisce con il raggiungimento del peso finale e il consumo globale della dieta dei polli trattati anche se si è registrato un peso corporeo inferiore e un incremento ponderale giornaliero inferiore rispetto ai controlli durante le prime 2 settimane, parametri che ritornano nella norma durante tutto periodo restante dello studio. Ciò conferma infatti che i pulcini sono molto più sensibili agli effetti di una dieta contaminata da OTA rispetto ai soggetti adulti (Pozzo et al., 2013). Al contrario, è stato dimostrato che i polli alimentati con la dieta contaminata da OTA presentavano alterazioni di peso e istopatologiche del timo e della milza, ma non della Borsa di Fabrizio. Infine, piccole alterazioni delle concentrazioni delle proteine plasmatiche, sono stati riscontrati nei broiler oggetto dello studio.

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Il cane sembra essere una specie particolarmente vulnerabile all’OTA (Duarte et al., 2010). Per esempio, una dose giornaliera di 0,2 mg di OTA/kg di peso corporeo per 2 settimane o una dose singola di 7,8 mg/kg p.c. di OTA si è dimostrata fatale per giovani cani beagle (Szczech, 1973). I sintomi clinici dell'avvelenamento da OTA includono anoressia, perdita di peso, vomito, tenesmo, diarrea emorragica, aumento della temperatura corporea, tonsillite, disidratazione e prostrazione. Questi risultati sono stati confermati da un altro studio in cui i cani mostravano sintomi clinici simili a dosi di OTA comprese tra 0,2 e 3 mg/kg di peso corporeo (Kitchen, 1977).

È stato riportato che sei cani sono morti in Germania nel 1987, uno in Scozia nel 1991 e tre in Corea nel 2006 come un risultato di una insufficienza renale in seguito al consumo di mangimi contenenti OTA (Gareis, 1987; Little, 1991; Jeong, 2006).

Szczech e collaboratori (1973) e Jeong e collaboratori (2006) hanno evidenziato come l'esposizione all’OTA nei cani possa causare gravi danni ai reni. Ciò è stato dimostrato in uno studio retrospettivo condotto da Meucci e collaboratori (2017) sui livelli plasmatici di OTA nel sangue di cani con insufficienza renale cronica e di soggetti sani. L’OTA è stata rilevata in quasi tutti i campioni di plasma testati. I pazienti con insufficienza renale cronica mostravano, però, valori più elevati sia dei tassi di positività ad OTA che dei valori mediani rispetto alla popolazione sana. I risultati ottenuti in questo studio suggerivano il probabile coinvolgimento dell’OTA nella comparsa della patologia renale nei cani e le differenze tra i pazienti con insufficienza renale cronica e quelli sani potrebbe essere attribuita ad una diminuita filtrazione glomerulare nei primi che aumenta il tempo di emivita di questa tossina e potrebbe aggravare la sua tossicità. Infine il ritrovamento di OTA in tutti i campioni esaminati suggerisce che la contaminazione da OTA è più diffusa di quanto si possa immaginare negli alimenti consumati dagli animali da compagnia dal momento che questa

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micotossina è un contaminante che si ritrova non solo negli alimenti di origine vegetale, ma anche in matrici di origine animale, come risultato dell'accumulo di questi composti in muscoli, organi e frattaglie (reni e fegato, in particolare), che sono spesso utilizzati in quantità elevate dalle industrie mangimistiche per la formulazione di pet food (Mantrella, 2006; Pfohl-Leszkowicz, 2007).

Attualmente poco si sa, però, sul metabolismo di OTA nei cani e ciò dovrebbe spingere ad effettuare ulteriori studi sugli animali da compagnia.

La capacità dei ruminanti di degradare l’ OTA è stata ampiamente dimostrata. Sulla base di un esperimento in vitro, Hult e collaboratori (1976) hanno concluso che i bovini sono in grado di degradare quantità di OTA presente nei mangimi contaminati fino a 12 mg/kg. Tuttavia tale possibilità è strettamente correlata alla funzionalità del rumine. Infatti Ribelin e collaboratori (1978) hanno riportato la morte di vitelli entro 24 h dalla somministrazione mediante tubo di una dose singola di 11 o 25 mg /kg p. c.di OTA. L’importanza del rumine nella degradazione di OTA è stata chiaramente dimostrata in due esperimenti in vivo condotti su vitelli lattanti (e quindi ancora privi della funzionalità ruminale) e su vitelli già svezzati (Sreemannarayana, 1988). Nel primo esperimento, l’aggiunta al latte alimentare di OTA a dosi pari a 1 o a 4 mg/kg di peso corporeo ha comportato la morte dei vitelli lattanti entro le prime 24 h dopo la somministrazione, senza differenze tra le dosi. Nel secondo esperimento, l’OTA è stata somministrata a dosi pari a 2 mg/kg di peso corporeo a vitelli con attiva funzionalità ruminale e alimentati con dieta mista di orzo e di fieno; i vitelli non hanno mostrato alcun effetto negativo rilevante. Gli autori hanno, inoltre, dimostrato che l’OTA presente nel siero di vitelli è assorbito in tempi relativamente brevi.

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Ribelin e collaboratori (1978) hanno indicato una dose di OTA superiore a 13 mg/kg p.c. come dose letale singola per via orale per questa specie. Quantità che comunque potrebbe essere quasi mai ingerita nella pratica. Infatti, un avvelenamento acuto sembra essere piuttosto rara in allevamenti di bovini.

Pertanto Youany e Diaz (2005) hanno affermato che l'attività microbica del tratto gastrointestinale dei bovini può essere considerata efficace nel ridurre drasticamente l’assorbimento di OTA e di conseguenza nel proteggere gli animali contro i suoi effetti tossici.

Sebbene le ocratossicosi siano raramente riportate nei bovini, l'accumulo di OTA nel flusso sanguigno, come conseguenza di assunzione cronica di mangimi contaminati, deve essere comunque impedita. L’accumulo a lungo termine di OTA nei tessuti potrebbe rappresentare un rischio potenziale per l’uomo.

Gli effetti tossici di OTA sui caprini sono state dimostrate sin dagli anni settanta. Munro et al. hanno riportato la morte di pecore entro ventiquattro ore in seguito ad infusione endovenosa di OTA a dosi pari a 1 mg/kg di peso corporeo.

In contrasto, caprini alimentati quotidianamente con concentrazioni di OTA pari a 2 e 1 mg/kg di peso corporeo per 14 giorni, non presentavano segni clinici di malattia o di lesioni macroscopiche in organi (Ribelin et al., 1988).

Analogamente ai bovini, le ocratossicosi nei piccoli ruminanti sono raramente osservate e i potenziali effetti nocivi di OTA sono connessi principalmente alla prolungata ingestione di una dieta contaminata.

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Xiao e collaboratori (1991) hanno condotto uno studio in vitro e in vivo per determinare la capacità del rumine di idrolizzare l’OTA in ovini alimentati con razioni diverse. Un effetto della dieta è stata osservata nella sperimentazione in vivo in pecore alimentate con fieno in quanto mostravano capacità maggiore degradazione ruminale rispetto alle pecore alimentate con maggiori quantità di concentrati, probabilmente dovuto alla maggiore quantità della popolazione di protozoi stimolata dal fieno o perché l’idrolisi di OTA è diminuita ad un pH ruminale acido che deriva dalla eccessiva somministrazione di concentrati.

L’emivita di OTA dal sangue è breve negli ovicaprini (circa 16 h) indicando che in queste specie il legame di OTA con albumina sierica è inferiore rispetto ai bovini o ai suini.

Rimane poco chiaro se la somministrazione continua di diete contaminate da OTA, anche a basse concentrazioni possa compromettere la salute dei ruminanti come conseguenza di un accumulo di tossine negli organi coinvolti nei loro processi di disintossicazione o di eliminazione.

Non sono state ancora eseguite indagini specifiche sugli equidi (EFSA, 2004).

2.9. Carry over, esposizione umana ad OTA e suoi effetti sull’uomo

Una volta che l’OTA viene ingerita con una dieta contaminata, raggiunge il flusso sanguigno dove persiste per un lungo periodo di tempo e può accumularsi negli organi responsabili per la disintossicazione e l’escrezione.

È quindi importante verificare il possibile trasferimento (carry-over) di questa micotossina nei prodotti di origine animale come la carne, le uova e il latte.

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