• Non ci sono risultati.

Effetti dell’OTA sulle diverse specie animali

2. OCRATOSSINA A

2.8. Effetti dell’OTA sulle diverse specie animali

Solitamente negli studi vengono analizzati gli effetti avversi di una singola micotossina, tuttavia, in natura le micotossicosi possono essere causate dalla concomitanza di più tossine nella stessa derrata alimentare (Ringot et al., 2006; Ruiz et al., 2011 e Grenier, et al., 2013). Combinazione molto studiata è quella tra OTA e FB1, una micotossina prodotta da

Fusarium, contaminante soprattutto del granturco che negli animali ha gravi effetti tossici.

Tra gli studi effettuati su tali combinazioni, emerge quello di Diaz e collaboratori (2001) che mostra i segni patologici di entrambe le tossine (edema polmonare, renale e lesioni epatiche) e quella di Creppy e collaboratori (2004) che, studiando tre linee cellulari (cellule del geloma del cervello di ratto, cellule vero del rene di scimmia e cellule Caco-2), ha notato una produzione di ROS con inibizione della sintesi proteica.

L’ocratossicosi acuta nei mammiferi si manifesta con anoressia, sete intensa, poliuria, distensione della parete addominale, dolori addominali, diarrea ed edemi sottocutanei.

I reperti anatomo-patologici più salienti sono rappresentati da una grave gastroenterite con focolai necrotici a carico del tessuto linfatico, da alterazioni epatiche (accumulo di glicogeno, steatosi, aree di necrosi), da fenomeni necrotici a carico dei tubuli renali, fibrosi periglomerulare ed interstiziale che evolve in atrofia glomerulari.

Tra i mammiferi il suino è la specie più sensibile agli effetti tossici dell’OTA ed è la specie per la quale sono stati effettuati la maggior parte degli studi in vivo relativi agli effetti della

33

tossina in questione. La sua LD50 è pari a 1 mg/Kg (Harwig et al., 1983) e si ritiene che l’assunzione di ocratossine attraverso il cibo sia la più importante causa della “Nefropatia Porcina”.

Negli animali adulti l’intossicazione spontanea decorre in forma prevalentemente subacuta o cronica con riduzione dell’appetito, perdita di peso e limitati fenomeni di polidipsia e poliuria, mentre solo raramente la funzionalità renale è compromessa a tal punto da comportare l’insorgenza di una sindrome uremica. Si può avere proteinuria, glicosuria ed aumento della concentrazione sierica di creatinina: l’alterazione della funzionalità del tubulo prossimale porta ad una riduzione della capacità di concentrare le urine e ad una maggiore escrezione urinaria di glucosio (Tapia et al., 1984).

Le lesioni riscontrabili a carico dei reni sono rappresentate da aumento di volume, di peso e di consistenza (fibrosi corticale diffusa) oltre che dalla comparsa di irregolarità della superficie degli organi, che si presentano di colore pallido (Rutqvist et al., 1978).

In diversi studi è stato dimostrato che maiali ai quali si somministravano dosi compresetra 0,2 e 4 mg/kg peso vivo di OTA, dosi, queste, equivalenti ai livelli riscontrati in alimenti contaminati, sviluppavano dopo 3 – 4 mesi dalla somministrazione, una nefropatia identica a quella evidenziata in natura (Delacruz e Bach, 1990).

Stoev (2001), studiando 6 suini alimentati con una dieta contenente OTA in quantità di 0,8 mg/kg peso vivo, ha riscontrato lo sviluppo di una nefropatia caratterizzata da una leggera ipertrofia renale con deboli macchie superficiali. Anche in questo caso si evidenziavano delle alterazioni di tipo degenerativo, a livello delle cellule epiteliali di alcuni tubuli prossimali, e proliferativo, a livello dell'interstizio. Con l'avanzare del periodo di ingestione, aumentavano le zone di fibrosi interstiziale.

34

Generalmente, i sintomi clinici caratteristici della nefropatia micotossica porcina sono: polidipsia, poliuria, calo della produzione, depressione, apatia e, occasionalmente, morte. A volte non si osservano questi sintomi e la patologia si scopre solo al momento della macellazione, poiché macroscopicamente i reni appaiono pallidi, rigonfi e di dimensioni aumentate (Miliçeviç et al., 2008).

In studi sulla tossicità cronica di OTA, dopo aver somministrato con la dieta 1 mg/kg di tossina per 2 anni, i suini hanno manifestato un progressivo aggravamento della nefropatia senza però giungere al collasso renale. Sulla base dell’osservazione di questi effetti non può essere stabilito un N.O.E.L (non observed effect level), invece la dose di 0,008 mg/kg peso vivo al giorno può essere considerato il livello L.O.E.L (lowest observed effect level) (Krogh, 1978; Krogh et al., 1988).

Scrofe a cui è stata somministrata una dose di 0,2 mg/kg di OTA con la dieta (corrispondente a 8 µg/kg/die), per 90 giorni hanno mostrato una riduzione dell’attività renale della carbossilasi fosfoenolpiruvato citosolica e della gamma-glutamyl transpeptidasi accompagnata da una riduzione della funzionalità del sistema renale. La compromissione dell’attività renale è inoltre indicata da una riduzione dell’escrezione tubulare del p- aminoippurato e da una aumentata glicosuria (EFSA, 2004).

Oltre ad avere un effetto marcatamente nefrotossico, l’OTA può determinare nei maiali, a cui sono state somministrate alte dosi per via orale (5-10 mg/kg, livelli raramente riscontrati in natura), effetti a livello del fegato, intestino, milza e tessuto linfatico (Szczech et al., 1973a,b,c). Alcuni ricercatori hanno anche evidenziato, nei cinghiali, una spiccata alterazione dell'attività riproduttiva ed effetti teratogeni; infatti sembra che l’OTA sia capace

35

di attraversare la barriera placentare ed indurre, nei suinetti, alterazioni dello sviluppo fetale (Marquardt e Frohlich, 1992).

Per quanto riguarda gli effetti negativi provocati al sistema riproduttivo è stato dimostrato che l’OTA produce effetti negativi sulla produzione dello sperma e sulla qualità del seme dei verri a cui viene somministrata una dose giornaliera di 0,02 mg/kg peranimale, anche se non sono stati osservati effetti istologici sulle celle di Leydig e sulle strutture epididimali (Birò et al., 2003).

L’OTA colpisce l’immunità cellulare e umorale di molte specie; tuttavia l’unico studio sistematico al riguardo è stato effettuato sui suini ricorrendo alla somministrazione sottocutanea e non quindi considerando l’intossicazione attraverso la dieta. In questo studio si è osservata una riduzione del numero di linfociti e un aumento del numero totale di leucociti. È risultato, inoltre, che l’OTA porta ad una diminuzione dell’indice fagocitino e a una diminuita espressione dei linfociti marcatori di superficie (Muller et al., 1999). Non sembra essere colpita la proliferazione dei linfociti sebbene questo effetto sia stato descritto ex vivo (Holmberg et al., 1988).

Le specie avicole, insieme ai suini, sono gli animali più sensibili agli effetti tossici dell’ OTA e la DL50 stimata è pari a 3,3 mg/kg. Tra i volatili, il più sensibile all’OTA è l’anatroccolo, mentre meno sensibili sono il pollo, il tacchino e la quaglia. In tali specie predominano, in corso di ocratossicosi, i sintomi da interessamento del comparto emopoietico (con diminuzione del MCV e della concentrazione di emoglobina serica, abbassamento della percentuale di saturazione del ferro e della transferrina, anemia, inibizione dell’emopoiesi), deplezione degli elementi linfoidi della milza e della borsa di Fabrizio (Huff et al., 1979; Stoev et al., 2000) seguiti da uno sfavorevole indice di

36

conversione degli alimenti, minore incremento ponderale, ritardato raggiungimento della maturità sessuale, riduzione della deposizione e della schiudibilità delle uova ed aumentata mortalità (Kumar et al., 2004).

In uno studio condotto in Danimarca su polli e galline macellati è stato rilevato che il 29% dei soggetti presentava una nefropatia correlata all’ingestione di OTA (Elling et al., 1975). Le lesioni renali, presentavano in generale degenerazione dei tubuli prossimali e distali dei nefroni e fibrosi interstiziali. Generalmente, nei volatili, le lesioni epatiche si riscontrano meno frequentemente delle renali e sono caratterizzate da lieve ma diffusa vacuolizzazione degli epatociti e focolai di necrosi (Huff et al., 1988).

In gruppi di polli alimentati, per 20 giorni, con mangimi contaminati con la micotossina (0,2-4 mg/kg), si riscontrava una riduzione della concentrazione delle immunoglobuline IgG, IgA ed IgM sia nel siero che nei tessuti linfoidi (Dwivedi e Burns, 1984). In soggetti esposti è stata osservata anche una riduzione della compattezza delle ossa legata a marcata demineralizzazione (Huff et al., 1980). Nei giovani broiler l’ocratossina causa, infatti, una riduzione della consistenza delle ossa dovuta a ridotta mineralizzazione del tessuto osseo (Huff et al., 1977).

In gruppi di polli da carne con somministrazioni giornaliere di OTA pari a 4 mg/kg per due mesi, il tasso di mortalità riscontrato è stato del 42% (Gibson et al., 1990) .

Nelle galline ovaiole, alimentate con mangime contaminato da quantitativi di OTA pari a 1,3-2,6 e 5,2 mg/kg, la quantità di uova prodotte decresce proporzionalmente alla dose assunta (Bauer et al., 1988).

Le attività tossiche che l’OTA manifesta nei polli sono, quindi, prevalentemente di tipo nefrotossico e immunotossico; a livello renale provoca aumento del peso relativo dei reni ma

37

anche diminuzione del peso corporeo dei polli, aumento nel siero dell’acido urico e dei trigliceridi, diminuzione delle proteine totali e dell’albumina. Nel sangue diminuisce la popolazione di cellule linfatiche, diminuiscono inoltre le immunoglobuline sieriche (Gentles et al., 1999).

In ogni caso i più importanti problemi economici riscontrati negli allevamenti avicoli, quando i pulcini vengono alimentati con diete contaminate da OTA, sono legati ad una riduzione del consumo di mangime e conseguentemente del tasso di crescita, scarsa efficienza dell’alimentazione (Huff et al., 1988; Raju and Devegowda, 2000;Elaroussi et al., 2008) e aumento della mortalità (Elaroussi et al., 2006). Al tal proposito è interessante citare lo studio condotto da Pozzo e collaboratori (2013) su broiler alimentati ( dal 1 giorno fino a 35 giorni d’età) con mangime commerciale contaminato sperimentalmente con 0,1 mg/kg di OTA (limite stabilito dalla Raccomandazione UE 2016/1319 per i mangimi composti per pollame), con lo scopo di valutarne gli effetti sulle prestazioni e caratteristiche di macellazione, sul peso degli organi, sui parametri ematologici, e sulle funzioni epatica e renale. È risultato che una dieta contaminata da una concentrazione di OTA pari a 0,1 mg/kg peso vivo non interferisce con il raggiungimento del peso finale e il consumo globale della dieta dei polli trattati anche se si è registrato un peso corporeo inferiore e un incremento ponderale giornaliero inferiore rispetto ai controlli durante le prime 2 settimane, parametri che ritornano nella norma durante tutto periodo restante dello studio. Ciò conferma infatti che i pulcini sono molto più sensibili agli effetti di una dieta contaminata da OTA rispetto ai soggetti adulti (Pozzo et al., 2013). Al contrario, è stato dimostrato che i polli alimentati con la dieta contaminata da OTA presentavano alterazioni di peso e istopatologiche del timo e della milza, ma non della Borsa di Fabrizio. Infine, piccole alterazioni delle concentrazioni delle proteine plasmatiche, sono stati riscontrati nei broiler oggetto dello studio.

38

Il cane sembra essere una specie particolarmente vulnerabile all’OTA (Duarte et al., 2010). Per esempio, una dose giornaliera di 0,2 mg di OTA/kg di peso corporeo per 2 settimane o una dose singola di 7,8 mg/kg p.c. di OTA si è dimostrata fatale per giovani cani beagle (Szczech, 1973). I sintomi clinici dell'avvelenamento da OTA includono anoressia, perdita di peso, vomito, tenesmo, diarrea emorragica, aumento della temperatura corporea, tonsillite, disidratazione e prostrazione. Questi risultati sono stati confermati da un altro studio in cui i cani mostravano sintomi clinici simili a dosi di OTA comprese tra 0,2 e 3 mg/kg di peso corporeo (Kitchen, 1977).

È stato riportato che sei cani sono morti in Germania nel 1987, uno in Scozia nel 1991 e tre in Corea nel 2006 come un risultato di una insufficienza renale in seguito al consumo di mangimi contenenti OTA (Gareis, 1987; Little, 1991; Jeong, 2006).

Szczech e collaboratori (1973) e Jeong e collaboratori (2006) hanno evidenziato come l'esposizione all’OTA nei cani possa causare gravi danni ai reni. Ciò è stato dimostrato in uno studio retrospettivo condotto da Meucci e collaboratori (2017) sui livelli plasmatici di OTA nel sangue di cani con insufficienza renale cronica e di soggetti sani. L’OTA è stata rilevata in quasi tutti i campioni di plasma testati. I pazienti con insufficienza renale cronica mostravano, però, valori più elevati sia dei tassi di positività ad OTA che dei valori mediani rispetto alla popolazione sana. I risultati ottenuti in questo studio suggerivano il probabile coinvolgimento dell’OTA nella comparsa della patologia renale nei cani e le differenze tra i pazienti con insufficienza renale cronica e quelli sani potrebbe essere attribuita ad una diminuita filtrazione glomerulare nei primi che aumenta il tempo di emivita di questa tossina e potrebbe aggravare la sua tossicità. Infine il ritrovamento di OTA in tutti i campioni esaminati suggerisce che la contaminazione da OTA è più diffusa di quanto si possa immaginare negli alimenti consumati dagli animali da compagnia dal momento che questa

39

micotossina è un contaminante che si ritrova non solo negli alimenti di origine vegetale, ma anche in matrici di origine animale, come risultato dell'accumulo di questi composti in muscoli, organi e frattaglie (reni e fegato, in particolare), che sono spesso utilizzati in quantità elevate dalle industrie mangimistiche per la formulazione di pet food (Mantrella, 2006; Pfohl-Leszkowicz, 2007).

Attualmente poco si sa, però, sul metabolismo di OTA nei cani e ciò dovrebbe spingere ad effettuare ulteriori studi sugli animali da compagnia.

La capacità dei ruminanti di degradare l’ OTA è stata ampiamente dimostrata. Sulla base di un esperimento in vitro, Hult e collaboratori (1976) hanno concluso che i bovini sono in grado di degradare quantità di OTA presente nei mangimi contaminati fino a 12 mg/kg. Tuttavia tale possibilità è strettamente correlata alla funzionalità del rumine. Infatti Ribelin e collaboratori (1978) hanno riportato la morte di vitelli entro 24 h dalla somministrazione mediante tubo di una dose singola di 11 o 25 mg /kg p. c.di OTA. L’importanza del rumine nella degradazione di OTA è stata chiaramente dimostrata in due esperimenti in vivo condotti su vitelli lattanti (e quindi ancora privi della funzionalità ruminale) e su vitelli già svezzati (Sreemannarayana, 1988). Nel primo esperimento, l’aggiunta al latte alimentare di OTA a dosi pari a 1 o a 4 mg/kg di peso corporeo ha comportato la morte dei vitelli lattanti entro le prime 24 h dopo la somministrazione, senza differenze tra le dosi. Nel secondo esperimento, l’OTA è stata somministrata a dosi pari a 2 mg/kg di peso corporeo a vitelli con attiva funzionalità ruminale e alimentati con dieta mista di orzo e di fieno; i vitelli non hanno mostrato alcun effetto negativo rilevante. Gli autori hanno, inoltre, dimostrato che l’OTA presente nel siero di vitelli è assorbito in tempi relativamente brevi.

40

Ribelin e collaboratori (1978) hanno indicato una dose di OTA superiore a 13 mg/kg p.c. come dose letale singola per via orale per questa specie. Quantità che comunque potrebbe essere quasi mai ingerita nella pratica. Infatti, un avvelenamento acuto sembra essere piuttosto rara in allevamenti di bovini.

Pertanto Youany e Diaz (2005) hanno affermato che l'attività microbica del tratto gastrointestinale dei bovini può essere considerata efficace nel ridurre drasticamente l’assorbimento di OTA e di conseguenza nel proteggere gli animali contro i suoi effetti tossici.

Sebbene le ocratossicosi siano raramente riportate nei bovini, l'accumulo di OTA nel flusso sanguigno, come conseguenza di assunzione cronica di mangimi contaminati, deve essere comunque impedita. L’accumulo a lungo termine di OTA nei tessuti potrebbe rappresentare un rischio potenziale per l’uomo.

Gli effetti tossici di OTA sui caprini sono state dimostrate sin dagli anni settanta. Munro et al. hanno riportato la morte di pecore entro ventiquattro ore in seguito ad infusione endovenosa di OTA a dosi pari a 1 mg/kg di peso corporeo.

In contrasto, caprini alimentati quotidianamente con concentrazioni di OTA pari a 2 e 1 mg/kg di peso corporeo per 14 giorni, non presentavano segni clinici di malattia o di lesioni macroscopiche in organi (Ribelin et al., 1988).

Analogamente ai bovini, le ocratossicosi nei piccoli ruminanti sono raramente osservate e i potenziali effetti nocivi di OTA sono connessi principalmente alla prolungata ingestione di una dieta contaminata.

41

Xiao e collaboratori (1991) hanno condotto uno studio in vitro e in vivo per determinare la capacità del rumine di idrolizzare l’OTA in ovini alimentati con razioni diverse. Un effetto della dieta è stata osservata nella sperimentazione in vivo in pecore alimentate con fieno in quanto mostravano capacità maggiore degradazione ruminale rispetto alle pecore alimentate con maggiori quantità di concentrati, probabilmente dovuto alla maggiore quantità della popolazione di protozoi stimolata dal fieno o perché l’idrolisi di OTA è diminuita ad un pH ruminale acido che deriva dalla eccessiva somministrazione di concentrati.

L’emivita di OTA dal sangue è breve negli ovicaprini (circa 16 h) indicando che in queste specie il legame di OTA con albumina sierica è inferiore rispetto ai bovini o ai suini.

Rimane poco chiaro se la somministrazione continua di diete contaminate da OTA, anche a basse concentrazioni possa compromettere la salute dei ruminanti come conseguenza di un accumulo di tossine negli organi coinvolti nei loro processi di disintossicazione o di eliminazione.

Non sono state ancora eseguite indagini specifiche sugli equidi (EFSA, 2004).