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Carry over, esposizione umana ad OTA e suoi effetti sull’uomo

2. OCRATOSSINA A

2.9. Carry over, esposizione umana ad OTA e suoi effetti sull’uomo

Una volta che l’OTA viene ingerita con una dieta contaminata, raggiunge il flusso sanguigno dove persiste per un lungo periodo di tempo e può accumularsi negli organi responsabili per la disintossicazione e l’escrezione.

È quindi importante verificare il possibile trasferimento (carry-over) di questa micotossina nei prodotti di origine animale come la carne, le uova e il latte.

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Il trasferimento di OTA lungo la catena alimentare dei prodotti di origine animale dipende essenzialmente dai seguenti fattori: la misura dell’esposizione degli animali a diete contaminate da OTA; il livello di trasferimento di OTA intatto nel flusso sanguigno degli animali; il grado di persistenza di OTA nel sangue e il suo accumulo nei diversi tessuti e la grandezza del trasferimento di OTA dal sangue al latte, carne o uova.

L’esposizione umana all’OTA è dovuta principalmente al consumo di cereali contaminati, tuttavia una fonte indiretta di esposizione ad OTA può essere il consumo di prodotti derivati da animali alimentati con dieta contaminata. Inoltre, l'esposizione al cibo indirettamente contaminato da OTA di donne che allattano, può rappresentare un potenziale rischio di trasferimento di questa tossina ai neonati attraverso il latte (Skaug et al., 2001).

Poiché l’OTA ha alta affinità per le proteine del sangue, in particolare di albumina di siero, questa tossina può probabilmente accumularsi in diversi organi di animali utilizzati per i prodotti alimentari come ad esempio muscolo e fegato (Jørgensen, 2005).

È ampiamente riconosciuto che tra gli animali il suino è particolarmente sensibile all’OTA. La presenza di OTA nel muscolo, grasso, fegato e reni di suini nutriti con diete contaminate da OTA è stata documentata a partire dagli anni settanta. Infatti, Krogh e collaboratori (1976) hanno ritrovato concentrazioni di OTA differenti nei tessuti di maiale, con valori crescenti dal grasso, muscolo, fegato, e infine al rene.

Aoudia e collaboratori (2009) hanno trovato concentrazioni di OTA nel rene e nel fegatodi suinetti, alimentati con una dieta contaminata con 117,45 μg/kg di OTA per 28 giorni, pari a 12,49 e 1,02 μg/kg, rispettivamente. In un esperimento effettuato su suini adulti, da Dall’Asta e collaboratori (2010) è stato dimostrato che la somministrazione di diete

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contaminate da OTA con concentrazioni pari a 200 μg/kg per quaranta giorni porta ad un contenuto medio di OTA pari a 2,21 μg/kg in campioni di prosciutto crudo muscolo.

In uno studio di Stoev e collaboratori (2002) è stato evidenziato che la concentrazione di OTA nel siero di maiali alimentati con dieta contaminata da OTA per un periodo di sei mesi era più elevata rispetto a quelli alimentati con la stessa dieta per tre mesi, suggerendo che la durata dell’esposizione gioca un ruolo importante sul potenziale accumulo di questa tossina nei tessuti.

Il contenuto di OTA nei reni e nel fegato sembra, inoltre, essere influenzato dal tempo intercorrente tra l'ultima ingestione di una dieta contaminata e la macellazione degli animali. Ciò è stato dimostrato da Jarczyk e collaboratori (2008), i quali hanno rivelato che in media il contenutodi OTA in sangue, fegato e reni tendeva ad essere superiore in maiali che erano stati nutriti per l'ultima volta cinque ore prima della macellazione rispetto a quelli alimentati 18 ore prima della macellazione.

La più alta concentrazione di OTA si trova, quindi, nei reni principalmente a causa del maggiore flusso di sangue in questi organi in rapporto alla loro massa rispetto ad altri come il fegato o il muscolo (Pfohl-Leszkowicz, 2007).

Infatti, poiché le ocratossine si legano alle proteine sieriche presenti nel sangue , i livelli di contaminazione dei prodotti carnei risultano influenzati dalla presenza (o meno) di sangue; sono per questo potenzialmente pericolose salsicce confezionate con una maggiore quantità di sangue, e patè e salsicce contenenti fegato (EFSA, 2004).

Durante gli ultimi anni, diverse indagini sono state condotte in molti paesi europei sul contenuto di OTA nel sangue e/o nei tessuti commestibili di suini in cui si è osservata un’ampia variazione dell'incidenza dei campioni positivi.

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In uno studio condotto in Germania, in cui sono stati analizzati 620 campioni di carne e prodotti carnei venduti nei comuni market, salse prodotte con sangue o a base di fegato sono risultate le più contaminate ( Gareis e Scheuer, 2000).

Negli alimenti a base di carne la contaminazione da OTA può avvenire in modo diretto a causa della crescita di fungi tossigeni nei tessuti esterni dei prodotti carnei o indiretta a causa dell’ingestione di mangimi contaminati da parte degli animali in allevamento (Clark- Snedeker, 2006; Mantrella et al., 2006; Toscani et al., 2007).

L’intossicazione diretta avviene soprattutto nei salumi nel processo di maturazione ma non tutte le muffe che si sviluppano in questa fase producono necessariamente micotossine, la cui produzione dipende anche dalle condizioni ambientali in cui viene confezionato (Toscani et al., 2007).

In uno studio effettuato da Chiavaro e collaboratori (2002)su prosciutti italiani i livelli di contaminazione sono risultati inferiori di quelli fissati in 1 µg/kg e con maggiore frequenza nei tessuti esterni rispetto a quelli interni. Anche Iacumina et al., analizzando salumi provenienti dal nord Italia, hanno riscontrato che la presenza di OTA non era indicativa di un rischio sanitario per l'uomo, poiché presente solo sulla superficie del prodotto e non all'interno. Allo stesso modo, Pietrie collaboratori (2006) , Sørensen e collaboratori (2010) e Rodriguez e collaboratori (2012), hanno rilevato la presenza di OTA sulla superficie di prosciutti iberici in fase di essiccazione.

L’aggiunta di sostanze aromatizzanti e spezie, può essere un’ulteriore fonte di intossicazione da OTA (Pitt, 2000).

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Per quanto riguarda i prodotti suini freschi Jorgensen ha confrontato i livelli di contaminazione del muscolo dei suini con quello del muscolo dei polli. Il muscolo suino ha dimostrato livelli più elevati e maggiori frequenze di contaminazione (Jorgensen, 1998).

Anche per il pollame, Biró e collaboratori (2003) hanno riferito che residui di OTA possono accumularsi in tutti gli organi, riscontrando livelli elevati nel fegato e nei reni e bassi livelli nel muscolo.

Nella pratica, però, è altamente improbabile che la contaminazione da OTA della dieta sia sufficientemente alta da causare accumulo di questa tossina nei muscoli e quindi nella carne. L’esposizione umana all’OTA attraverso l’ingestione di carne o prodotti carnei rappresenta solo il 3%, anche se pochi sono i dati relativi ai prodotti contenenti sangue di suino (EFSA, 2006).

Le uova vengono considerate una potenziale fonte di assunzione assolutamente trascurabile. Infatti, nelle normali condizioni di allevamento l’OTA non è mai stata estratta da questa matrice alimentare (Denli et al., 2008; Tangni et al., 2009).

Sebbene il passaggio di OTA nel latte sia dimostrato in altre specie animali, nei ruminanti, grazie alla flora microbica ruminale si assiste ad una diminuzione della biodisponibilità della tossina per mezzo dell’idrolisi dell’OTA ad ocratossina α.

Nelle pecore lattifere meno dell’1% dell’ocratossina introdotta per via alimentare si ritrova nel latte mentre non ci sono dati certi per la vacca da latte; le concentrazioni di OTA nel latte vaccino comunque sono generalmente basse a meno che non si verifichino casi di ingestione di grosse dosi di tossina (Gonzáles-Osnaya et al., 2008). Cambiamenti improvvisi della dieta

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o aggiunte di alte percentuali di concentrati proteici possono deprimere la capacità di degradazione dell’ocratossina da parte della microflora ruminale (Skaug, 1999).

Sebbene le concentrazioni di OTA nel latte siano effettivamente basse, potrebbero comunque diventare significative per quei soggetti, come i bambini, che ne consumano in abbondanza. È stato stimato che in queste categorie di soggetti l’assunzione giornaliera totale di ocratossina potrebbe superare il valore guida di 5 ng/kg peso corporeo/giorno. Da un punto di vista legislativo comunque, la Comunità Europea non ha ancora stabilito dei limiti per l’ocratossina nel latte e nei prodotti derivati.

Per verificare il grado di esposizione umana sono stati analizzati sangue, latte e urine umane in quanto è stata riscontrata una forte correlazione tra la quantità di OTA presente in questi fluidi e la quantità di micotossina ingerita attraverso gli alimenti indicati sopra (Skaug et al, 2001).

Sebbene nell’uomo non siano stati riportati chiari casi di nefropatia micotossica, è abbastanza verosimile che questa potente nefrotossina, che determina danni renali ingenti in diverse specie animali, possa anche indurre alterazioni renali negli uomini esposti. A causa della stretta somiglianza tra la nefropatia cosiddetta dei Balcani (BEN) e la malattia renale dei suini indotta dall’ocratossina, è stato suggerito che l’OTA fosse un agente causale di rilevante importanza associata alla BEN (Krogh, 1974). La BEN è una patologia renale a carattere cronico che è stata osservata prevalentemente nelle popolazioni rurali della Bulgaria, Romania, Serbia, Bosnia, Erzegovina, Croazia e Yugoslavia(Plestina, 1992). L’azione tossica dell’OTA nei confronti dell’uomo come per gli altri animali è principalmente nefrotossica; è probabile che ad alti livelli di intossicazione siano

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riscontrabili altri effetti tossici segnalati nelle diverse specie animali come immunotossicità, epatotossicità, neurotossicità.

Non ci sono ancora prove scientifiche della azione cancerogena delle ocratossine per l’uomo; per questo la IARC ha classificato questa micotossina nel gruppo 2B come metabolita sicuramente cancerogeno per gli animali e possibilmente cancerogeno per l’uomo (ISS, 2007).