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I Fondi Paritetici Interprofessionali: il caso di Fondimpresa

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO

DI

S

CIENZE

P

OLITICHE

Corso di Laurea Magistrale in

Comunicazione d’Impresa e Politica delle Risorse Umane

Tesi di Laurea Magistrale

I FONDI PARITETICI INTERPROFESSIONALI: IL CASO DI

FONDIMPRESA

Relatore:

Prof. Giancamillo Palmerini

Candidato:

Gianluca Spola

(2)
(3)

1

Indice

INTRODUZIONE

3

CAPITOLO 1 – LA FORMAZIONE CONTINUA

8

1.1 IL CONCETTO DI FORMAZIONE: DA LIFELONG LEARNING ALLA FORMAZIONE

CONTINUA 8

1.2L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE DI FORMAZIONE IN AMBITO EUROPEO 10

1.2.1 Il Consiglio di Lisbona 10

1.2.2. Europa 2020 12

1.2.3 ET 2020 13

1.3LA FORMAZIONE CONTINUA IN ITALIA: EVOLUZIONE NORMATIVA 15

1.3.1 I riferimenti costituzionali 16

1.3.2 La riforma del titolo V della Costituzione 16

1.3.3 Il tentativo di riforma costituzionale: la riforma Boschi-Renzi 18 1.3.4 Legge quadro in materia di formazione professionale n.845/78 21 1.3.5 Lo sviluppo di un sistema di formazione continua: dalla legge n. 236/1993 in poi 23

1.3.6 Legge 196/1997 26

1.3.7 La nascita dei Fondi interprofessionali 27

1.3.8 I programmi di sostegno alle competenze per i lavoratori colpiti dalla crisi economica 28

1.3.9 La Legge 53/2000: i congedi formativi 30

1.3.10 Le ultime novità legislative: il jobs act 31

CAPITOLO 2 – I FONDI PARITETICI INTERPROFESSIONALI 37

2.1L’INQUADRAMENTO NORMATIVO: DALLA NASCITA DEI FONDI ALLE ULTIME NOVITÀ

LEGISLATIVE 37

2.1.1 I fondamenti giuridici 37

2.1.2 Le modifiche apportate dall’articolo 48 della Legge finanziaria 2003 39 2.1.3 Le novità introdotte dai successivi decreti e l’effettiva operatività dei Fondi con la circolare n.

36/2003 40

2IFONDI INTERPROFESSIONALI COME STRUMENTO DI CONTRASTO ALLA CRISI 44

2.2.1 Le misure introdotte nel biennio 2009 – 2010 44

2.2.2 Le “Linee guida per la formazione 2010”: la funzione dei Fondi interprofessionali 45 2.2.3 Le contraddizioni della Legge Fornero: un processo di snaturamento dei Fondi? 46 2.2.4 I prelievi dei Governi dopo lo scoppio della crisi 48 2.3LE ULTIME MODIFICHE INTRODOTTE NEL DECRETO 150/2015 49

2.4 LE LINEE GUIDA DELL’ANPAL SULLA GESTIONE DELLE RISORSE FINANZIARIE

ATTRIBUITE AI FONDI 51

2.5MODELLO DI GOVERNANCE: NATURA PUBBLICA O PRIVATA? 52

2.6ORGANI E STRUTTURE 56

(4)

2

2.7.1 Il conto formazione o aziendale 58

2.7.2 Conto di formazione aggregato 59

2.7.3 Gli Avvisi 59

2.7.4 I voucher individuali 61

2.8TIPOLOGIE E VARIETÀ DEI FONDI 62

2.9REPORT INAPP 66

2.10FONDIMPRESA 73

CAPITOLO 3 – L’AGENZIA FORMATIVA SOCIP E LE

COLLABORAZIONI CON FONDIMPRESA

78

3.1AGENZIA FORMATIVA SOCIP S.R.L. 78

3.1.1 Principali attività 78

3.1.2 Nuove procedure di accreditamento come organismo formativo: la Delibera Regionale n. 1244,

il sistema della formazione in Toscana 80

3.2 LE PROCEDURE DI QUALIFICAZIONE CON FONDIMPRESA: SOGGETTI ATTUATORI E

CATALOGO FORMATIVO 85

3.2.1 Catalogo formativo per Contributo Aggiuntivo 85

3.2.2 Conto di Sistema: procedure per la qualificazione come Soggetti Proponenti 88 3.3DIFFERENZE TRA L’ACCREDITAMENTO DI FONDIMPRESA E QUELLO DELLA REGIONE

TOSCANA 91

3.4 I PROGETTI FORMATIVI CON I FONDI: LE DIFFICOLTÀ RISCONTRATE E LE POSSIBILI

SOLUZIONI 95

3.5 IL PIANO FORMATIVO CON FONDIMPRESA PER LA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI

SOCIP 98

CONCLUSIONI

102

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

106

(5)

3

Introduzione

La formazione rappresenta un aspetto basilare all’interno dei sistemi produttivi ed economici, infatti, in una società globalizzata, dove competitività e innovazione sono assunti imprescindibili da cui non è possibile svincolarsi, risulta necessario diffondere la conoscenza all’interno dei contesti lavorativi. Dunque, garantire un costante e continuo aggiornamento delle competenze tecnico-professionali e del sapere dei lavoratori rappresenta un vantaggio competitivo per qualsiasi azienda. Nell’ottica appena descritta, la formazione trova disciplina all’interno degli ordinamenti internazionali con l’obiettivo di promuoverla in maniera capillare. L’ultimo Report INAPP sulla formazione continua mostra come il tasso di partecipazione della popolazione tra i 25-64 anni alle attività formative ed istruzione sia notevolmente frammentato tra i paesi dell’Unione Europea. Se da una parte i paesi più virtuosi, con un tasso tra il 25 e il 35%, sono rappresentati da Danimarca, Svezia e Finlandia, paesi molto attenti a investire nelle politiche formative, come fanalini di coda si collocano i Paesi dell’est Europa quali Romania, Bulgaria e Slovacchia con tassi inferiori al 4%. La media europea è del 10,7% e l’Italia si assesta ben al di sotto di essa con un tasso del 7,3%. Disarticolando i dati si nota che a incidere sulla partecipazione formativa sono fattori socio-demografici, in particolare il livello di istruzione posseduto, l’età e la condizione occupazionale e professionale. La fascia di popolazione più giovane, più istruita e occupata in professioni qualificate è quella che partecipa maggiormente ai percorsi di apprendimento, mentre per chi ha superato i 45 anni di età e svolge un lavoro scarsamente qualificato il coinvolgimento in attività formative diminuisce significativamente. Dunque l’obiettivo principale dei sistemi di istruzione e formazione è quello di accrescere le opportunità di accesso per quelle fasce di popolazione che hanno la necessità di acquisire, sviluppare e aggiornare le competenze1. Nello specifico, per quanto concerne l’Italia nel 2015 si è assistito a una riduzione delle attività formative, in particolar modo per gli adulti che partecipano ai corsi di formazione professionale, soprattutto se organizzati dai datori di lavoro. Tale dato risulta in linea con la riduzione degli investimenti in formazione. Nonostante nel 2014 si fosse registrato un aumento delle attività formative da parte delle aziende, questa tendenza

(6)

4 positiva pare si sia arrestata nel corso del 2015. Uno dei principali fattori che hanno inciso su questo trending negativo è l’impatto della congiuntura economica e delle misure di austerity perpetrate nel corso di questi ultimi anni. Dunque, l’effetto traino manifestatosi durante gli ultimi 15 anni, grazie ai consistenti investimenti adoperati dai Fondi interprofessionali, si è gradualmente annullato.

Dal punto di vista dei promotori delle attività formative, la realizzazione dei progetti formativi rispecchia i limiti strutturali determinati dal tessuto produttivo italiano. La quasi totalità delle aziende italiane, circa il 99,9%, è costituita da PMI, di tale percentuale il 95% è rappresentata da imprese con meno di 10 dipendenti. Secondo i dati dell’ultimo report INAPP lo svolgimento di attività formative è direttamente proporzionale alle dimensioni dell’organizzazione, infatti, alla luce di tale contesto, si può notare come nel 2015 l’85,9% delle imprese con più di 250 dipendenti ha svolto attività formative, mentre solamente il 16,5% delle micro-imprese ha investito in tale aspetto. Le cause di questa tendenza sono diverse, un motivo, già citato, concerne la riduzione degli investimenti da parte di Stato e Regioni nella formazione; conseguentemente le aziende di grandi dimensioni, detenendo maggiori capitali da investire, possono permettersi più facilmente di fare formazione mentre, all’inverso, le aziende di piccole dimensioni, avendo spesso esigue risorse da centellinare oculatamente, rimangono restie nell’effettuare investimenti in questo campo. Inoltre le grandi organizzazioni oltre a disporre di una maggiore capacità organizzativa, con specifiche divisioni aziendali adibite alla promozione e realizzazione di progetti formativi per i propri lavoratori, sono più incline a sviluppare una cultura aziendale in grado di ideare un sistema di formazione continuo all’interno dell’impresa stessa, grazie alla sviluppata consapevolezza dei vantaggi che la formazione può garantire dal punto di vista innovativo e competitivo. Tuttavia, anche a causa di questi limiti appena descritti, i Fondi paritetici Interprofessionali sono nati per permettere alle piccole imprese di svolgere formazione ai propri lavoratori. Alcuni Fondi mettono a disposizione dei conti comuni cuciti apposta per le piccole imprese le quali con l’esclusivo utilizzo di risorse proprie non riuscirebbero a soddisfare i propri fabbisogni formativi. Inoltre è importante ricordare l’ausilio degli organismi formativi che, appoggiandosi ai Fondi, possono gestire la parte formativa delle aziende ovviando così ai problemi organizzativi e logistici precedentemente elencati. Dunque, questo elaborato nasce proprio dall’esigenza di

(7)

5 analizzare il ruolo che i Fondi interprofessionali possono avere all’interno del sistema della formazione continua.

Alla luce di tale scenario appena delineato, uno dei modi più efficaci per svolgere attività formativa in Italia è rappresentato dai Fondi paritetici Interprofessionali, per comprendere in maniera efficace la funzione e lo scopo di tali organismi è utile proporre la definizione data dall’INAPP:

“I Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle Parti Sociali attraverso specifici Accordi Interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale”[…] I Fondi Paritetici Interprofessionali finanziano piani formativi aziendali, settoriali e territoriali, che le imprese in forma singola o associata decideranno di realizzare per i propri dipendenti. Inoltre possono finanziare anche piani formativi individuali, nonché ulteriori attività propedeutiche o comunque connesse alle iniziative formative”

La formazione continua nel corso degli ultimi anni ha subito dei tagli considerevoli da parte dei Governi che si sono avvicendati. In particolar modo, nonostante la formazione sia stata riconosciuta dal legislatore come parte delle politiche attive del lavoro, gli indirizzi degli ultimi governi hanno eroso molte risorse alla formazione in favore di politiche passive del lavoro, inoltre, come si vedrà nei prossimi capitoli, alcune norme hanno tentato altresì di snaturare i Fondi interprofessionali, come il tentativo di farli confluire nei Fondi di Solidarietà. Nonostante ciò, i Fondi paritetici interprofessionali rappresentano uno strumento fondamentale per svolgere attività formativa. Questa ricerca cercherà di effettuare un’analisi dettagliata sul funzionamento dei Fondi ripercorrendo, inoltre, l’evoluzione normativa che ne ha accompagnato la definizione. L’obiettivo costituente dei Fondi è quello di promuovere la formazione continua, di conseguenza la prima parte dell’elaborato dovrà necessariamente occuparsi dell’analisi di questo concetto. Dunque, il primo capitolo cercherà innanzitutto di dare una definizione esauriente del concetto di formazione continua, per far ciò sarà necessario partire da una nozione più ampia come quella di lifelong learning in modo tale da riuscire successivamente a circoscrivere l’oggetto dello studio. Infatti, la formazione continua

(8)

6 rappresenta un segmento di uno spettro semantico molto più ampio che comprende differenti attività formative ed educative. Successivamente verrà proposto un excursus sulle politiche europee in materia di formazione: a partire dai Trattati fondativi fino alle ultime strategie programmatiche le quali incidono nell’ordinamento italiano. Per quanto concerne la legislazione italiana l’elaborato seguirà tutta l’evoluzione legislativa in materia di formazione. Il leitmotiv dell’evoluzione normativa italiana si sostanzia nella necessità da parte del legislatore di creare un sistema di formazione continua con la partecipazione delle parti sociali. Dunque l’excursus partirà dalla legge quadro n. 845/1978 fino ad arrivare alle ultime novità legislative.

Successivamente verrà affrontato il tema della governance. In particolar modo, si cercherà di fare chiarezza, analizzando le disposizioni di legge, sulla natura dei fondi, con la consapevolezza che il dibattito sulla natura pubblicistica o privata degli stessi è tuttora aperto. In seguito verranno trattati i meccanismi di funzionamento dei Fondi. In primo luogo, uno sguardo al principale canale di finanziamento: il conto aziendale. Tale canale concerne la possibilità di realizzare progetti formativi attingendo alle risorse accantonate dalla singola azienda. Secondariamente si illustreranno i canali di finanziamento alternativi, caratterizzati principalmente dalla realizzazione di progetti formativi mediante l’adesione ad avvisi o bandi pubblicati dai Fondi stessi; con, altresì, l’ipotesi di usufruire di risorse economiche provenienti da fondi comuni per compensare l’insufficienza di finanze del conto aziendale, strumento di finanziamento ideato specialmente per le PMI. Gli ultimi paragrafi del capitolo tracceranno un’analisi, grazie all’ausilio dell’ultimo Report INAPP, sulla varietà e numerosità dei Fondi Interprofessionali, con una particolare attenzione verso Fondimpresa e i suoi canali di finanziamento: Conto Aziendale, Contributo Aggiuntivo e Conto di Sistema. Infine, l’ultimo capitolo si baserà sull’esperienza di tirocinio svoltasi in una agenzia di formazione. I primi paragrafi saranno dedicati al core business dell’agenzia, con un particolare focus alla Delibera Regionale n. 995 concernente le nuove procedure di accreditamento per gli organismi formativi, alla quale l’agenzia stessa dovrà conformarsi ripresentando domanda di accreditamento ex novo. La seconda parte del capitolo si concentrerà sui progetti correlati con Fondimpresa. Nello specifico, i progetti riguarderanno i tre differenti canali di finanziamento messi a disposizione dal Fondo: i piani formativi realizzati con le aziende usufruendo del Conto Aziendale delle stesse; la

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7 pubblicazione del catalogo formativo dell’agenzia sul sito di Fondimpresa per la realizzazione di progetti formativi mediante l’utilizzo del Contributo Aggiuntivo; e, infine, le procedure per ottenere l’accreditamento come Soggetti Attuatori al fine di creare piani formativi interaziendali attingendo alle risorse derivanti dal Conto di Sistema delle aziende aderenti al Fondo. Per concludere, grazie all’esperienza di tirocinio, si traccerà un resoconto sulle difficoltà e i limiti riscontrati nella realizzazione dei progetti formativi, in particolar modo verranno analizzate le criticità relative alla scarsa collaborazione con le imprese e la approssimativa conoscenza dei Fondi da parte di esse.

(10)

8

CAPITOLO 1 – LA FORMAZIONE CONTINUA

1.1Il concetto di formazione: da lifelong learning alla formazione continua

I fondi interprofessionali, come definito anche dall’ISFOL, l’ente pubblico di ricerca sui temi della formazione, concernono la formazione continua. Tuttavia non è facile delineare una definizione di questo concetto. In particolar modo, la formazione continua rappresenta un segmento di uno spettro semantico molto ampio il quale comprende diverse attività formative ed educative. Per definirlo occorre, quindi, partire da un concetto più vasto per poi cercare di circoscrivere l’attenzione verso l’oggetto in questione. Il termine di riferimento attraverso il quale sarà possibile delimitare il campo d’analisi è il concetto lifelong learning: un apprendimento lungo tutto l’arco della vita, un processo di istruzione e formazione che ci accompagna fin dalla nascita e che tocca tutto il percorso di conoscenze, competenze e abilità2. Nonostante questo punto di partenza, al di sotto di questo termine ombrello sono presenti differenti concetti che dal punto di vista terminologico possono essere confusi o addirittura sovrapposti, di conseguenza è necessario fare chiarezza per non incorrere in errori che potrebbero pregiudicare il percorso d’analisi. In particolar modo, spesso la formazione continua viene confusa con l’educazione degli adulti (EDA), tuttavia, se apparentemente i due termini possono risultare simili, in realtà fanno riferimento a due ambiti separati e differenti. Per dare una definizione di EDA, può essere utile l’ausilio della Dichiarazione finale della quinta conferenza internazionale sull’educazione degli adulti tenutasi ad Amburgo nel 1997. Il documento risultante da tale conferenza definisce l’EDA come: “il risultato di una consapevole appartenenza alla comunità e, al tempo stesso, la condizione per un’attiva partecipazione sociale…include l’insieme dei processi di apprendimento, formale e non, attraverso i quali gli adulti sviluppano la loro abilità, arricchiscono le conoscenze tecniche e professionali e le orientano secondo le loro necessità.”

2 Salling Olesen, Henning (1996), “Experience, Life History and Biography. A biographical approach to

Adult Learning”, in: Henning Salling Olesen/Palle Rasmussen (red), Theoretical Issues in Adult Education - Danish Research and Experiences, Roskilde University Press

(11)

9 Come è intuibile dalla definizione appena data, l’EDA concerne l’apprendimento in ambiti e aree di interesse confacenti all’adulto stesso, inoltre spesso ha la funzione di colmare eventuali lacune, se non addirittura gravi mancanze, sviluppatesi durante gli anni scolastici e di formazione. I punti di contatto che si possono riscontrare con la formazione continua sono rappresentati dal fatto che l’educazione per gli adulti è propedeutica per una buona funzione della formazione continua, fornendo un adeguato background conoscitivo all’individuo, ma, altresì, la formazione continua stessa può svolgere compiti integrativi se non sostitutivi in caso di significative carenze da parte dell’adulto. Un altro concetto che spesso può essere sovrapposto alla formazione continua è il lifelong education o educazione permanente. Tale concetto riguarda il senso pedagogico di una formazione a lungo termine come processo che, partendo dalla nascita, si sviluppa nel corso della vita. Dunque comprende l’istruzione primaria, secondaria, dell’obbligo e tutte le tipologie di formazione continua3. Appare chiaro quindi che il lifelong education può essere considerato come l’applicazione pratica del lifelong learning e quindi essere concepito come una categoria a sé, mentre la formazione continua pare di più una sottocategoria di essa. Ora che abbiamo chiarito e distinto i diversi concetti concernenti la formazione e l’apprendimento, è possibile fornire una definizione di formazione continua. Tale concetto riguarda il miglioramento del livello di qualificazione e sviluppo professionale delle persone che lavorano. Dunque, la formazione continua fa riferimento all’aggiornamento delle competenze tecnico-professionali e conoscenze dei lavoratori, occupati o disoccupati, svolta sul luogo di lavoro oppure in strutture apposite. Questo processo di miglioramento garantisce altresì vantaggi alle imprese e agli operatori economici sia pubblici che privati, permettendo di acquisire capacità competitiva e facilitando, quindi, l’adattamento ai cambiamenti tecnologici e organizzativi4. In

definitiva, appare chiaro che la formazione continua possa attivare un circolo virtuoso in grado di apportare notevoli benefici alle imprese e ai lavoratori. I prossimi paragrafi mireranno ad analizzare l’inquadramento e l’evoluzione normativa della formazione continua a livello europeo e nazionale.

3 RAFFAELLA TORE, L’educazione permanente come presupposto fondamentale per le politiche

educative del futuro, in Nuove politiche educative nell’economia globale (a cura di) Ivana Padoan e

Massimiliano Costa, 2012

4 CORTELLAZZI S., La formazione continua. Cultura norme organizzazione, Franco Angeli, Milano,

(12)

10

Life-long learning Apprendimento lungo tutto l’arco della vita,

un processo di istruzione e formazione che ci accompagna fin dalla nascita e che tocca tutto il nostro percorso di conoscenze, competenze e abilità

Educazione per adulti L’insieme dei processi di apprendimento,

formale e non, attraverso i quali gli adulti sviluppano la loro abilità, arricchiscono le conoscenze tecniche e professionali e le orientano secondo le loro necessità.

Formazione continua Aggiornamento delle competenze

tecnico-professionali e conoscenze dei lavoratori, occupati o disoccupati, svolta sul luogo di lavoro oppure in strutture apposite

1.2 L’evoluzione delle politiche di formazione in ambito europeo

1.2.1 Il Consiglio di Lisbona

Il tema dell’educazione e della formazione può essere riscontrato a livello comunitario già con il Trattato di Maastricht. Precedentemente vi erano già stati dei tentativi di trattare tale questione, in particolar modo con il Trattato di Roma dove veniva menzionata la formazione professionale come ambito di azione dall’allora Comunità Economica Europea (CEE), tuttavia con il Trattato di costituzione dell’UE nel 1993 si riconosce la necessità di allargare la questione verso una maggiore collaborazione tra gli stati membri e quindi orientandosi verso un approccio sistemico fondamentale per affrontare il cambiamento economico e sociale, con la consapevolezza di vivere nella società della conoscenza5, dove l’apprendimento e l’aggiornamento continuo rappresentano risorse

essenziali per interfacciarsi con le sfide della quotidianità. La prima traccia scritta, volta ad affrontare tale aspetto in maniera strategica e programmatica, può essere individuata

5 SIMONA BAGGIANI, L’istruzione e la formazione professionale: le principali tappe della cooperazione

(13)

11 con il Libro Bianco su Crescita, Competitività e Occupazione. Tale documento rappresenta un passo significativo verso il riconoscimento dell’importanza della formazione, tuttavia i riferimenti alle politiche vengono rivolti esclusivamente a livello nazionale, di conseguenza manca ancora quella visione organica di coordinamento in seno all’Unione Europea. Un passaggio rilevante in questo senso viene fatto con il Consiglio di Lisbona del 2000, tale evento segna l’abbandono della visione di una istruzione come materia legislativa esclusiva di ogni singolo stato e, invece, viene attribuita alla Commissione europea la possibilità di legiferare e disciplinare tale aspetto. La Strategia di Lisbona nasce dalla necessità di affrontare i nuovi cambiamenti causati dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza6. Tali mutamenti riguardano ogni frangente della vita delle persone e da qui si genera la necessità di stilare un’agenda programmatica con l’obiettivo di trasformare l’economia Europea. I Capi di Stato e di Governo si impegnarono di realizzare entro il 2010:

“l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti del lavoro e con una maggiore coesione sociale”.

Dunque, con il Consiglio di Lisbona viene riconosciuto il ruolo cruciale svolto dall’istruzione come parte integrante delle politiche economiche e sociali. Il consiglio quindi stabilì che tra i punti cardine della politica occupazionale era necessario ascrivere una maggior centralità al cosiddetto life-long learning, promuovendo accordi con le Parti Sociali in materia di apprendimento e innovazione permanente. Successivamente, il rapporto sugli obiettivi futuri e concreti dei sistemi di istruzione e formazione venne presentato al Consiglio Europeo di Stoccolma nel marzo 2001. Il documento ruotava attorno a tre obiettivi cardine:

• aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione degli stati membri;

• facilitare l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione; • aprire i sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno.

(14)

12 Il rapporto fornì anche 13 obiettivi concreti sulla base dei tre obiettivi strategici e, altresì, un elenco di indicatori per misurarne l’attuazione. Nel 2010, anno di scadenza della maggior parte degli obiettivi prefissati, i risultati si sono mostrati abbastanza deludenti, con obiettivi raggiunti in maniera frammentaria ed eterogenea da parte degli stati membri. La principale colpa a tale insuccesso è stata attribuita alla grave crisi economica che ha colpito il vecchio continente, infatti i tagli alla spesa pubblica e il periodo di austerity ai quali molti paesi membri sono stati assoggettati non hanno permesso di raggiungere i risultati sperati.

Obiettivi Strategia di Lisbona in materia di formazione

• aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione degli stati membri • facilitare l’accesso ai sistemi di

istruzione e formazione

• aprire i sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno

1.2.2. Europa 2020

Nel 2010, attraverso una serie di riunioni tra i Capi di Stato e Governo, viene delineata la nuova strategia Europa 2020, con l’obiettivo di portare a compimento gli obiettivi già prefissati nel 2000 e, inoltre, aggiungendone di nuovi. La strategia si fonda su tre obiettivi prioritari strettamente connessi tra di loro:

• crescita intelligente, attraverso lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e innovazione;

(15)

13 • crescita sostenibile, attraverso un’economia a basse emissioni inquinanti,

efficiente sotto il profilo dell’impiego delle risorse e competitiva;

• crescita inclusiva, attraverso la promozione di un’economia ad alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale.

La strategia sollecita gli stati membri a mettere in atto e raggiungere, entro il 2020, cinque obiettivi, attraverso il soddisfacimento di parametri che riprendono le priorità sopracitate: • occupazione: il 75% delle persone con un'età compresa tra i 20 e i 64 anni deve

avere un lavoro;

• ricerca e innovazione: innalzare al 3% il PIL i livelli d’investimento pubblico e privato nella ricerca e sviluppo;

• cambiamento climatico ed energia: ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 e portare la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo finale di energia al 20%;

• istruzione: il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere un diploma o una laurea;

• lotta contro la povertà: 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà.

Nel documento finale della strategia si legge che tali obiettivi hanno il compito di aiutare l’Europa a uscire dalla crisi: incrementando la competitività, la produttività, la coesione sociale e la convergenza economica. Tra due anni si potranno tirare le conclusioni sull’efficacia di tale strategia e sui risultati raggiunti.

1.2.3 ET 2020

Per quanto concerne il campo formativo, è importante ricordare il quadro strategico delineato nel 2010 che prende il nome di Education and Training 2020. L’ET 2020, che riprende parte delle strategie dell’ET 2010, indetta agli Stati Membri una strategia volta all’orientamento dell’istruzione e formazione alla domanda delle imprese e ai fabbisogni professionali sollecitati dal sistema produttivo7. Il documento analizza i cambiamenti che

avverranno entro il 2020 elencandoli in tre punti:

(16)

14 • i due terzi dell’occupazione europea si concentreranno nel settore terziario; • quasi tutta l’occupazione aggiuntiva e parte di quella sostitutiva saranno

caratterizzate da lavori ad alta intensità di conoscenza e competenze tecniche; • cresceranno i livelli di formazione/istruzione e competenze richiesti in tutti i tipi

di lavoro, anche nelle occupazioni elementari.

Il programma ET 2020 delinea quattro obiettivi strategici a lungo termine: • rendere l’apprendimento permanente e la mobilità una realtà concreta; • migliorare la qualità e l’efficienza dell’istruzione e formazione; • promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva;

• stimolare la creatività e l’innovazione, inclusa l’imprenditorialità, a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione.

La novità del programma ET 2020 consiste nel riconoscimento dell’innovazione e della creatività come uno dei principali propulsori dello sviluppo economico: aspetti fondamentali per la creazione di imprese e per competere a livello internazionale. In particolar modo, viene posta l’enfasi sull’acquisizione di competenze trasversali, principalmente viene fatto riferimento alle competenze digitali, lo spirito d’iniziativa e imprenditoriale, le competenze volte a “imparare a imparare”, e la sensibilità ai temi culturali. Un secondo aspetto riguarda il buon funzionamento del triangolo della conoscenza: istruzione/ricerca/innovazione. Fondamentale il sodalizio tra mondo imprenditoriale e i diversi settori dell’istruzione, della formazione e della ricerca che può garantire un maggior focus sulle competenze richieste dal mercato del lavoro sviluppando l’innovazione e l’imprenditorialità in tutte le forme di insegnamento.

(17)

15

Riferimento legislativo Contenuti

Libro Bianco: crescita, competitività,

occupazione

• Riconoscimento importanza formazione • Politiche adibite ai singoli Stati Membri • Assenza di una concezione sistemica e di

coordinamento tra gli Stati Membri

Strategia di Lisbona 2010 • Istruzione come parte integrante delle

politiche economiche e sociali

• Potere alla Commissione Europea di disciplinare in materia di formazione e istruzione

• Obiettivi principali: aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione degli stati membri, facilitare l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione

• Obiettivi raggiunti frammentariamente dagli Stati Membri

Europa 2020 • Obiettivo di portare a compimento gli

obiettivi già prefissati nel 2000 con l’aggiunta di altri traguardi

• Obiettivi: incrementare la competitività, la produttività, la coesione sociale e la convergenza economica

1.3 La formazione continua in Italia: evoluzione normativa

L’evoluzione normativa italiana in materia di formazione ha affrontato un processo lungo e certamente non privo di ostacoli. I riferimenti normativi che verranno trattati sono diversi: partendo dai riferimenti costituzionali, si terminerà con le ultime modifiche legislative apportate dal Jobs Act. Nel mezzo di tale evoluzione, troviamo i tre principali filoni legislativi: la L. 236/1993, la L. 338/2000 e infine la L. 53/2000. Il leitmotiv dell’evoluzione normativa è il riconoscimento da parte del legislatore della necessità di creare un sistema di formazione continua con la partecipazione delle parti sociali. Con la consapevolezza di vivere in una società globalizzata in costante mutamento è necessario

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16 un aggiornamento continuo e l’acquisizione di nuove conoscenze e competenze al fine di rimanere competitivi nel mercato del lavoro.

1.3.1 I riferimenti costituzionali

I riferimenti costituzionali alla formazione professionale si sostanziano principalmente negli art. 3, 35, 117 della Costituzione. In particolar modo, degno di nota è sicuramente l’art. 35 che recita:

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.

Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.

Dunque, nel secondo comma viene fatto esplicito riferimento alla formazione

professionale dei lavoratori la quale deve essere promossa dalla Repubblica. Tale funzione, come definito dall’art. 117, è adibita specificatamente alle Regioni. Nel prossimo paragrafo verrà analizzata nel dettaglio la riforma costituzionale del titolo

V che conferì alle Regioni la podestà legislativa esclusiva in materia di formazione professionale.

1.3.2 La riforma del titolo V della Costituzione

Il Capo V della Costituzione, recante norme sulle Regioni, le Province e i Comuni, è stato completamente riformato con la Legge costituzionale n°3 del 18 ottobre 2001. La riforma porta a conclusione un lungo cammino verso il decentramento amministrativo e legislativo, il quale era stato avviato con la Legge Bassanini e i decreti legislativi del 1997 e 1998. Il Libro Bianco sulla Governance, a livello europeo, ha definito principi di

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17 sussidiarietà e federalismo, tale riforma costituzionale viene incontro a questi principi operando una nuova ripartizione delle competenze normative tra Stato, Regioni ed Enti Locali. La riforma costituzionale ha definito una nuova podestà legislativa in favore delle Regioni, le quali, oltre ad avere la titolarità nel disciplinamento di determinate materie, gli viene riconosciuta la podestà legislativa concorrente con lo Stato nella gestione dei rapporti internazionali e con l’Unione Europea. Un aspetto significativo della riforma costituzionale è l’ampia podestà legislativa che viene conferita alle Regioni per implementare e progettare meglio le politiche attive del lavoro. Per quanto concerne le competenze in materia di lavoro, alle Regioni viene lasciata la podestà esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale8. Questa ripartizione delle competenze rappresenta sicuramente un passo importante per la gestione del sistema della formazione continua; infatti, grazie al principio di sussidiarietà al quale prende ispirazione la riforma del titolo V, aumenta l’autonomia in capo alle amministrazioni locali, e ciò può favorire l’implementazione di interventi di politica attiva cuciti ad hoc per le singole realtà regionali e provinciali. Tutto ciò rientra nell’ottica di una crescente contiguità delle politiche attive del lavoro e della formazione alle necessità e i bisogni di uno specifico territorio, sulla base delle differenti peculiarità e caratteristiche dei mercati del lavoro locali. Tale riforma costituzionale si colloca in un più ampio percorso intrapreso a livello europeo. Seguendo i dettami della Strategia di Lisbona del 2000, la quale auspicava la nascita della più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010, si riconosce l’importanza della formazione come strumento per incrementare l’occupazione e delimitare l’esclusione sociale. Tale assunto verrà rafforzato dalla crisi mondiale del 2008 che farà sviluppare una maggiore consapevolezza sulla necessità di implementare e migliorare sempre di più il sistema della formazione continua, aspetto fondamentale per contrastare gli effetti nefasti della crisi economica.

8 (A cura di) MARCAZZAN S., La riforma del titolo V della costituzione: il nuovo ruolo delle regioni nei

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18 Materie esclusive statali Materi esclusive regionali

• Disposizioni generali e comuni sull’istruzione ordinamento scolastico e istruzione universitaria • Disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale • Servizi scolastici • Promozione del diritto

allo studio

• Organizzazione in ambito regionale della formazione

professionale

1.3.3 Il tentativo di riforma costituzionale: la riforma Boschi-Renzi

Il 4 dicembre 2016 si è votato sulla riforma costituzionale che prevedeva un sostanziale cambiamento della Legge fondamentale dello Stato italiano. Il disegno di legge costituzionale, intitolato “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, dopo l’approvazione della Camera dei deputati il 12 aprile 2016, è stato sottoposto a referendum popolare. Le votazioni si sono espresse negativamente sulla modifica della Carta costituzionale, tuttavia è interessante analizzare come il legislatore era intervenuto nella modifica della Carta e, in particolar modo, come i cambiamenti del titolo V avrebbero mutato la disciplina in materia di formazione e istruzione, ovvero come sarebbe stata ridistribuita la podestà legislativa tra Stato e Regioni. Prima di trattare nello specifico l’argomento, è necessario fare una panoramica generale di quali modifiche avrebbe apportato la riforma. Il disegno di legge costituzionale prevedeva:

• il superamento del bicameralismo perfetto, la camera dei deputati sarebbe diventata l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea dove approvare le leggi ordinarie e di bilancio e accordare la fiducia al governo;

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19 • il senato sarebbe diventato un organo rappresentativo delle autonomie regionali, composto da cento senatori, di cui 95 scelti direttamente dai consigli regionali, mentre i restanti 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Il senato avrebbe potuto esprimere pareri sui progetti di legge approvati dalla camera e proporre modifiche entro trenta giorni dall’approvazione della legge, ma la camera potrà anche non accogliere gli emendamenti;

• l’abolizione del CNEL;

• la modifica del titolo V della Costituzione. Con la riforma, una ventina di materie sarebbero tornate alla competenza esclusiva dello stato. Tra queste: l’ambiente, la gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni.

L’ultimo punto sicuramente rappresenta l’aspetto più importante ai fini dell’oggetto della ricerca. Come spiegato nel paragrafo precedente, a seguito della riforma costituzionale del 2001, per quanto concerne le competenze legislative che sono state ascritte alle Regioni9, la forma di governo è divenuta neo-parlamentare. In particolare, le Regioni

hanno incrementato le loro competenze legislative su determinate materie, mentre hanno mantenuto una podestà legislativa concorrente con lo stato per altre. Tuttavia, la riforma costituzionale del 2016 prevedeva l’eliminazione delle materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, ovvero in quelle materie nelle quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, eccetto per la determinazione dei principi fondamentali che sono adibiti invece alla legislazione dello Stato. Quindi, così come era riformulato nel disegno di legge costituzionale, sedici delle venti materie di competenza concorrente regionale sarebbero diventate di competenza esclusiva dello Stato. Tuttavia, per la maggior parte dei casi, il riassorbimento era circoscritto limitatamente alle “disposizioni generali e comuni”. Il problema principale era rappresentato dalla definizione di tale dettame entro il quale lo Stato doveva limitare il proprio intervento legislativo, infatti, nel caso in cui la riforma fosse passata, la Corte costituzionale sarebbe dovuta intervenire per specificare la categoria giuridica “disposizioni generali e comuni”. Ipotizzando solamente, si possono

9 (A cura di) SALERNO G., La riforma della costituzione e l’istruzione e la formazione professionale, in

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20 definire come quelle disposizioni di legge che dettano il quadro normativo omogeneo e coerente a livello nazionale dell’intero sistema dell’istruzione e della formazione professionale e che risultano necessarie per garantire il perseguimento di interessi unitari nell’erogazione delle prestazioni di rilevanza pubblica nel rispetto del principio di uguaglianza. Alle singole Regioni, quindi, sarebbe dovuto spettare la competenza legislativa residua: dettagliare ed adattare in sede regionale (senza però possibilità di modifica o di deroga) le disposizioni statali generali e comuni, tenuto conto delle differenziate e specifiche esigenze localizzate nel rispettivo territorio. Per quanto concerne la formazione professionale, i limiti riscontrati dalle Regioni sarebbero riguardati solamente alla competenza esclusiva dello Stato e quindi, principalmente, al rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente prescritte dalle leggi dello Stato. Per concludere, alla luce dell’ultima considerazione, un possibile vantaggio che avrebbe potuto delinearsi nel caso di una vittoria del “sì” al referendum sarebbe stato quello di avere la possibilità di affrontare in maniera unitaria e verosimilmente più celere molteplici questioni applicative che devono essere fronteggiate con una logica nazionale, per poi invece rilasciare alle Regioni la competenza legislativa di articolarle sul proprio territorio, senza incorrere in quesiti di attribuzione derivanti dalla podestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni10. Tuttavia, quanto detto è solamente ipotizzabile, la riforma non essendo passata non può fornire strumenti di analisi per riscontrare elementi di miglioramento nel sistema della formazione continua; anche alla luce del fatto che nel caso di passaggio della riforma la corte costituzionale avrebbe dovuto dirimere determinate questioni, in particolar modo per quanto concerne il concetto di “disposizioni generali e comuni”, ovvero al riassorbimento da parte dello Stato di materie prima concorrenti con le Regioni.

10 A cura di) Salerno G., La riforma della costituzione e l’istruzione e la formazione professionale, in

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21 1.3.4 Legge quadro in materia di formazione professionale n.845/78

Il primo vero riferimento legislativo in materia di formazione è riconducibile alla legge quadro n. 845 del 1978. La legge viene promulgata dall’esigenza di attuare quel decentramento avvenuto con il Decreto del 1972, è necessario dare alle Regioni un’impostazione giuridica in grado di fare sistema11. In secondo luogo, il contesto

dell’epoca era caratterizzato da un elevato abbandono scolastico, molti studenti non conseguivano nemmeno la terza media. Di conseguenza viene riconosciuta alla formazione professionale una funzione di recupero dei giovani ma, altresì, il compito di garantire l’acquisizione di un attestato di qualifica che permettesse di svolgere lavori qualificati. Inoltre, ai livelli più alti, la formazione professionale aveva il compito di fare da ponte per l’inserimento attivo nel mondo del lavoro. Una volta inserito nel mercato del lavoro il lavoratore avrebbe avuto la possibilità di aggiornarsi in base alle esigenze personali o alle sollecitazioni del sistema produttivo. Sulla base di queste premesse venne elaborata la legge. Uno degli articoli più significativi della suddetta legge è l’art. 1, nel quale viene fatto un chiaro riferimento alla costituzione, ribadendo l’importanza della formazione:

… La Repubblica promuove la formazione e l'elevazione professionale in attuazione […], al fine di […] favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l'acquisizione di una cultura professionale. La formazione professionale, strumento della politica attiva del lavoro, si svolge nel quadro degli obiettivi della programmazione economica e tende a favorire l'occupazione, la produzione e l'evoluzione

dell'organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico.

Da tale articolo si evince la funzione di politica attiva del lavoro che viene ascritta alla formazione. Nell’articolo 2 invece viene ribadito il carattere continuativo della formazione professionale, il lavoratore infatti è inserito in un percorso di aggiornamento e riqualificazione continua in un’ottica di formazione permanente. Gli articoli successivi chiariscono le competenze delle Regioni ovvero la podestà legislativa. Un altro aspetto rilevante è rappresentato dall’articolo 25 il quale stabilisce la creazione del fondo di

11 ALBERTO VALENTINI, L’elaborazione della riforma e la Legge Quadro 845/78 - Quando la formazione

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22 rotazione. In tale fondo confluiscono i 2/3 del contributo dello 0,30%, questa percentuale rientra nel versamento, da parte delle aziende per alcune categorie di lavoratori, dell’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria pari all’1.61%, ai sensi dell’articolo 12 della legge 160/7512, inoltre, comporta la possibilità di facilitare

l’accesso ai contributi del Fondo Sociale Europeo (FSE).

Nonostante gli sforzi fatti, la legge non garantì i risultati sperati. Innanzitutto non riuscì a fare breccia a livello territoriale, venne a mancare un coordinamento tra periferia e centro. Non vennero realizzati i successivi provvedimenti che avrebbero dovuto attuare strategie vincolanti per l’intero territorio. Inoltre molte regioni, in particolare quelle del Sud, non compresero l’importanza della formazione. Un efficiente sistema di formazione professionale, come già detto, avrebbe potuto contrastare la disoccupazione giovanile e la riconversione professionale degli adulti13.

Legge quadro n. 845/1978

• Tentativo di attuare il decentramento avviato nel 1972

• Formazione come politica attiva del lavoro e funzione di recupero dei giovani • Creazione del Fondo di Rotazione

12 GALVAN G., I fondi interprofessionali. Cosa sono, cosa offrono e come funzionano, Franco Angeli,

Milano, 2014

13 ALBERTO VALENTINI, L’elaborazione della riforma e la Legge Quadro 845/78 - Quando la

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23 1.3.5 Lo sviluppo di un sistema di formazione continua: dalla legge n. 236/1993 in poi

Con la legge n.236/1993 il legislatore inizia a porre le premesse per la creazione di un sistema di formazione continua. La concretizzazione di tali premesse inizierà nella primavera del 1997, tuttavia le basi verranno gettate proprio grazie alla legge 236 e agli accordi tra le parti sociali: il più importante rappresentato sicuramente dall’Accordo di luglio. Tra gennaio e luglio vennero stipulati diversi accordi con l’esigenza di dar vita a nuove politiche del lavoro. Durante i mesi succitati, vengono raggiunte intese volte al rafforzamento degli organi per la programmazione e lo sviluppo di attività formative14. In tale contesto, appare chiaro l’importanza di operare congiuntamente nello sviluppo e attuazione delle tematiche formative. Degni di nota sono i tre accordi bilaterali stipulati tra CGIL, CISL, UIL con le organizzazioni della piccola, media e grande impresa. Due punti cruciali riguardanti le politiche formative sono rilevanti:

• l’accordo sulla necessità di revisionare significativamente le politiche formative; • la promozione di una maggiore collaborazione all’interno della formazione

professionale.

Nei due paragrafi dell’accordo, denominati “Occupazione giovanile e formazione” e “Istruzione e formazione professionale”, vengono definiti alcuni punti volti al riordino del sistema formativo, in sintonia tra Governo e parti sociali. Specificatamente viene sottolineato:

• la necessità di incrementare e rendere più efficace le forme di coordinamento, attraverso la costituzione del Consiglio nazionale della formazione presso il Ministero del Lavoro;

• il bisogno di revisionare in maniera sostanziale la legge 845/78, non più in grado di far fronte ai nuovi compiti adibiti agli investimenti in risorse umane nell’intreccio di rapporti tra soggetti pubblici e privati;

14 (a cura di) FRANCO RIGO, La formazione continua in Italia: l’esperienza della legge 236/93, Rapporto

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24 Contestualmente alla fase di concertazione, il 19 giugno 1993 viene approvata alla Camera la legge 236. Di notevole rilevanza è l’articolo 9 denominato Interventi di formazione professionale, il quale sancisce diverse novità. Il comma 1 dispone la possibilità da parte delle regioni di stipulare convenzioni con organismi paritetici, sulla base di accordi con le parti sociali, volti all’analisi dei fabbisogni formativi e delle situazioni occupazionali locali. Il comma 3 e 3-bis introducono importanti novità, infatti fino al varo della legge 196/97, costituiscono la base giuridica per attuare le disposizioni costituzionali che trattano il diritto generale del cittadino e, in particolar modo, del lavoratore alla formazione. Questo dà l’avvio a interventi formativi in favore dei lavoratori occupati dipendenti oppure per lavoratori che rientrano in categorie specifiche di soggetti.

Nello specifico la Legge prevede che il Ministero del Lavoro, le Regioni e le Province autonome possano finanziare attività aventi come destinatari:

• operatori e formatori dipendenti degli Enti nazionali di formazione;

• lavoratori dipendenti da aziende beneficiarie dell’intervento straordinario di integrazione salariale;

• lavoratori dipendenti da aziende che contribuiscono in misura non inferiore al 20% del costo delle attività;

• lavoratori iscritti nelle liste di mobilità;

• soggetti privi di occupazione e iscritti alle liste di collocamento che hanno partecipato ad attività socialmente utili.

L’articolo 5 della suddetta legge istituisce inoltre il Fondo unico per la formazione professionale. Un primo tentativo di dirimere l’eccessiva frammentazione che si era creata nella destinazione delle risorse volte al finanziamento della formazione professionale15. In tale fondo confluiscono le risorse:

• del Fondo di rotazione istituito dalla Legge n.835/1978, ovvero lo 0,30% delle retribuzioni soggette all’obbligo contributivo;

15 MAZZOLI G.., Pro fondi. Guida ai fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, Franco

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25 • concernenti al Fondo per la modalità della manodopera, creato con la Legge

n.675/1977;

• riguardanti i fondi rivolti ai centri privati di formazione professionale, secondo quanto previsto dalla Legge n. 48/1987.

Nonostante questa disposizione rappresenti un notevole passo avanti, si dovrà aspettare ottobre 1995 dove, attraverso una serie di incontri, verrà posto l’obiettivo di verificare l’attuabilità di quanto previsto dall’articolo 9. Uno dei fatti più significativi avverrà con l’insediamento, presso il Ministero del Lavoro, del Comitato di Concertazione sulle politiche formative e sulla riforma della legge quadro. Il gruppo di lavoro si riunisce presso l’Isfol16, dove vengono studiate le modalità per formulare circolari amministrative

volte a rendere attive le risorse previste dai commi dell’articolo 9 della Legge 236. La circolare 174/96 rappresenta la prima circolare attuativa della Legge 236/93, la quale mira a potenziare il dialogo con le parti sociali, dando un ruolo attivo al Ministero del lavoro in accordo con le Regioni. Inoltre prevede lo stanziamento di 207 miliardi di Lire per soddisfare la domanda formativa delle aziende, previo rispetto di determinati parametri.

Le circolari successive, rappresentate dalla n. 39/98 e n. 51/99, stanzieranno ulteriori risorse destinate prevalentemente ad azioni di formazione aziendale. Degna di nota è la circolare 139/98 la quale introduce esplicitamente il riferimento al contributo dello 0,30% indicando che “i destinatari finali delle iniziative sono i lavoratori dipendenti delle imprese assoggettate al contributo di cui all’art. 9 comma 5 della l. 263/93 e che versano all’INPS, nella misura dello 0,30% del monte salari, i contributi integrativi per coprire l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria di cui all’art. 12 della legge 160/75.

16 (a cura di) FRANCO RIGO, La formazione continua in Italia: l’esperienza della legge 236/93, Rapporto

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26

Legge n.236/1993

• Primo tentativo di creare un sistema di formazione continua

• Possibilità da parte delle Regioni di stipulare accordi con le parti sociali volte all’analisi di fabbisogni formativi

• Il Ministero del lavoro può finanziare attività formative rivolte a specifiche categorie di occupati

• Istituzione del Fondo unico per la formazione professionale

1.3.6 Legge 196/1997

Un altro importante riferimento legislativo in tema di formazione è sicuramente la Legge 196/1997, denominata altresì Pacchetto Treu. Tale legge, nota principalmente per aver introdotto il lavoro interinale, affronta temi significativi come la flessibilità del mercato del lavoro, la riforma dell’istituto dell’apprendistato e del riordino dei lavori socialmente utili, e, infine, la riorganizzazione del sistema della formazione professionale17. Per

quanto concerne la formazione, l’art. 17, denominato riordino della formazione professionale, si pone l’obiettivo di orientare la formazione su due direzioni ben precise. Il primo aspetto stabilisce che le risorse riguardanti il comma 5 della legge n. 263/93

vengano destinate progressivamente agli interventi di formazione dei lavoratori. Infatti, attraverso Fondi nazionali, articolati a livello regionale o territoriale, aventi una

17 MAZZOLI G., Pro fondi. Guida ai fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, Franco

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27 configurazione di tipo privatistico e gestiti insieme alle parti sociali, vengono fatte confluire le risorse destinate alla formazione.

Il secondo aspetto è rappresentato dalla ristrutturazione degli enti di formazione e la trasformazione dei centri in agenzie formative, con lo scopo di apportare miglioramenti all’offerta formativa. Infine, uno degli aspetti più interessanti di questa riforma del sistema formativo professionale, è rappresentato dall’istituzione di fondi con natura paritetica. Successivamente, la legislazione susseguente porterà a compimento tale processo che culminerà con l’istituzione dei Fondi paritetici interprofessionali.

1.3.7 La nascita dei Fondi interprofessionali

Come già discusso, nonostante il comma 1, lettera d, dell’articolo 17 della legge 196/97 prospetti l’istituzione dei Fondi interprofessionali attraverso:

“la confluenza delle risorse di cui all’art. 9, co.5, l. n.236/1975, in uno o più fondi nazionali, articolati regionalmente e territorialmente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con la partecipazione delle parti sociali”.

Il Governo non era stato in grado di disciplinare in via regolamentare i Fondi paritetici interprofessionali18. Un primo tentativo di regolamentazione si può riscontrare con il

cosiddetto Patto di Natale, ovvero un patto siglato il 22 dicembre 1998 tra il Governo e le parti sociali. Tale accordo dimostra ancora una volta come le politiche di concertazione, susseguitesi in particolar modo a partire dagli anni ’90, abbiano avuto un ruolo significativo nella formazione di un sistema di formazione continua e, specificatamente, nell’istituzione dei Fondi interprofessionali. Con questo accordo il Governo si impegna nell’attuare interventi per la costituzione della Fondazione per la formazione continua. In altri termini, il contenuto del patto fa riferimento alla realizzazione del Fondo interprofessionale per la formazione continua. Un aspetto cruciale di tale patto riguarda la partecipazione delle Parti sociali alle quali vengono riconosciute diverse responsabilità. In particolar modo, è attraverso uno specifico accordo con le parti sociali che può avvenire

18 (a cura di) CORTI M., I fondi interprofessionali per la formazione continua: il caso del Fond.E.R, OLIR

(30)

28 l’istituzione dei Fondi con conseguente riconoscimento da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale; inoltre viene sancito che i piani formativi debbano essere accettati e condivisi esclusivamente dalle Parti sociali rappresentanti dei Fondi. Tale dettame esplicita ufficialmente l’impegno delle Parti sociali nella costituzione dei Fondi. Tuttavia, è con la legge 388/2000 che vengono istituiti ufficialmente i Fondi interprofessionali. In particolare, l’articolo 118 definisce le seguenti finalità:

Al fine di promuovere, in coerenza con la programmazione regionale e con le funzioni di indirizzo attribuite al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, lo sviluppo della formazione continua, in un’ottica di competitività delle imprese e di garanzia di occupabilità dei lavoratori, possono essere istituiti, […] fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua.

I Fondi interprofessionali si riveleranno uno strumento cruciale per il sostegno al sistema nazionale della formazione continua. Le norme che disciplinano i Fondi verranno trattate nel capitolo successivo, i prossimi paragrafi continueranno ad approfondire l’evoluzione legislativa in materia di formazione continua.

1.3.8 I programmi di sostegno alle competenze per i lavoratori colpiti dalla crisi economica

Come già detto precedentemente, la grave crisi economica mondiale ha dato avvio a una serie di azioni urgenti volte a conservare e potenziare le competenze del capitale umano e con l’obiettivo di mantenere i lavoratori nel sistema produttivo, specialmente per le categorie più deboli19. Dunque, i sistemi della formazione e del lavoro devono essere in

grado di offrire risposte tempestive ed efficaci, basandosi sui bisogni dei lavoratori e del contesto produttivo. Fondamentale diventa, quindi, la realizzazione di percorsi formativi per il mantenimento o l’accrescimento delle competenze possedute. Sulla base di tale assunto, è necessario ricordare due interventi legislativi che si sono mossi in questa direzione. Il primo è rappresentato dall’Accordo del 12 febbraio 2009 chiamato “Interventi a sostegno al reddito e alle competenze”. Attraverso un profuso impegno

19 GALOSSII. E., TESELLI. A., Le piccole e medie imprese al tempo della crisi: il ruolo della formazione

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29 politico e finanziario da parte delle Regioni, si è perseguito l’obiettivo di contrastare la crisi in maniera concertata ed efficace. Con tale accordo vengono stanziate risorse per il biennio 2009-2010 da destinare ad azioni di sostegno al reddito e di politica attiva del lavoro. In continuità con l’accordo del 2009, il secondo riferimento legislativo si sostanzia in alcune linee guida fondamentali per indirizzare, attraverso una prima sperimentazione nel 2010, l’utilizzo delle risorse finanziarie per la formazione degli inoccupati, dei disoccupati, dei lavoratori in mobilità o temporaneamente sospesi come cassaintegrati o percettori di indennità di disoccupazione. La crisi economica è stata un’occasione per rivedere il modo in cui fare formazione, attraverso le Linee guida per la formazione si è dato vita a una fase di ridefinizione delle politiche formative. Il focus politico viene orientato in funzione dei fabbisogni professionali dei settori, delle imprese, dell’occupabilità e dell’inclusione sociale delle persone con una sensibile attenzione alle fasce deboli del mercato del lavoro. Nonostante l’esclusiva podestà legislativa in materia di formazione da parte delle Regioni, quest’ultime, insieme al Governo, si impegnano, a livello europeo, a sollecitare nelle sedi comunitarie preposte un utilizzo più flessibile del Fondo Sociale Europeo; mentre, a livello nazionale, si impegnano a non rendere più difficoltoso il flusso finanziario previsto dalle norme non introducendo elementi che possano comportare la dispersione di risorse. Sulla base di quanto detto, Stato, Regioni, Province autonome e Parti Sociali concordano diversi ambiti di intervento, qui di seguito vengono citati i più significativi:

• attivazione di una unità operativa straordinaria presso il Ministero del lavoro per la raccolta dei fabbisogni di competenze e figure professionali rilevati nei territori e nei diversi settori produttivi;

• l'ampliamento e la diversificazione delle azioni formative in favore degli inoccupati attraverso la promozione di tirocini di inserimento, corsi di istruzione e formazione tecnico superiore (IFTS), contratti di apprendistato, e, in generale, promuovendo l'apprendimento nella impresa;

• formazione degli adulti attraverso: a) accordi di formazione-lavoro per il rientro anticipato dei cassaintegrati, b) la possibilità di impiego di parte delle risorse dei fondi interprofessionali per la formazione continua per finanziare la formazione per i lavoratori soggetti a procedure di mobilità;

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30 • definizione, a partire dalle esperienze già presenti a livello regionale, in via sperimentale per il 2010 di un sistema di accreditamento su base regionale e secondo standard omogenei condivisi a livello nazionale di "valutatori/certificatori" valorizzando il ruolo delle parti sociali e dei loro organismi bilaterali.

Il carattere delle linee guida rappresenta sicuramente un aspetto innovativo e moderno, volto a investire nel sistema della formazione continua nella sua totalità, assumendo, nonostante la necessità di operare celermente per contrastare le conseguenze della crisi, una visione di lungo termine. Tale assunto è dimostrato dal contenuto stesso delle linee guida. Il primo punto sancisce la programmazione di periodiche rivelazioni dei fabbisogni di competenze e figure professionali. Appare chiaro l’idea di costruire un sistema della formazione in base alle prospettive evolutive dei diversi settori economici ma altresì in base allo sviluppo dei saperi, delle competenze e dei contenuti del lavoro; di conseguenza, l’offerta formativa deve essere foggiata in base alle caratteristiche, alle esigenze e alle peculiarità del mercato del lavoro. Infine, un altro aspetto significativo è caratterizzato dall’ultimo punto delle linee guida, il quale propone l’idea di sperimentare un sistema di accreditamento regionale secondo standard omogenei condivisi a livello nazionale attraverso "valutatori/certificatori" delle competenze.

1.3.9 La Legge 53/2000: i congedi formativi

Come detto precedentemente, uno dei filoni che concernono la formazione continua è rappresentato dall’istituzione dei congedi formativi con la legge 53/2000. Tale legge, intitolata “disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, per quanto riguarda la formazione si sostanzia negli articoli 5 e 6. Il primo articolo sancisce che i lavoratori che abbiano maturato almeno cinque anni di servizio o anzianità all’interno della stessa azienda possano richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per congedo della formazione, per un periodo massimo di 11 mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa. Durante il periodo del congedo il lavoratore mantiene il posto di lavoro e non ha diritto alla retribuzione. Tale periodo non è computabile ai fini

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31 dell'anzianità di servizio e non è cumulabile con le ferie, la malattia e con altri congedi. I contratti collettivi individuano le modalità di fruizione del congedo stesso, come le percentuali massime di lavoratori che possono avvalersene e il termine di preavviso (che comunque non può essere inferiore a 30 giorni). Al lavoratore quindi viene data la possibilità di chiedere congedi per partecipare ad attività formative ritenute indispensabili ai fini della crescita professionale. Inoltre, è importante sottolineare che la norma non si riferisce esclusivamente alla formazione continua ma altresì all’educazione permanente. L’articolo 6, invece, ascrive la responsabilità nel garantire un’offerta formativa adeguata a Stato, Regioni ed Enti locali. Tale offerta deve coincidere con percorsi personalizzati che devono essere riconosciuti attraverso crediti formativi sia a livello nazionale che europeo. Inoltre, viene ribadito il diritto a proseguire percorsi formativi per tutto l’arco della vita al fine di accrescere conoscenze e competenze professionali. La necessità di partecipare a percorsi formativi, oltre a essere espressa dal lavoratore, può essere richiesta esplicitamente dall’azienda, attraverso piani formativi aziendali in accordo con le Parti sociali.

1.3.10 Le ultime novità legislative: il jobs act

Le ultime modifiche al sistema di formazione continua sono riconducibili alla legge delega n.183 del 10 dicembre 2014 conosciuta anche come jobs act. Il decreto legislativo, oltre a riformare il mercato del lavoro, si concentra precipuamente sul riordino della normativa in materia di politiche attive e servizi del lavoro. Dunque, partendo dal presupposto che la formazione rientri nelle misure di politiche attive del lavoro, tale normativa va a incidere certamente sul sistema della formazione continua. Una delle tante novità riguardanti la suddetta legge concerne l’istituzione dell’ANPAL – Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro – un ente autonomo con un proprio presidente e consiglio di amministrazione. Uno dei compiti dell’ANPAL è quello di coordinare la “Rete Nazionale dei servizi per le politiche attive del lavoro”, costituita dalle strutture regionali specifiche, dall’INPS, dall’INAIL, dai soggetti privati autorizzati dall’attività di intermediazione, dai fondi interprofessionali, dall’INAPP, dalle camere di commercio, dalle Università e dagli Istituti di scuola secondaria di 2° grado. Come già

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32 detto, l’ANPAL svolge la funzione di coordinamento mentre il Ministero del Lavoro svolge la funzione di stipulare convenzioni con le Regioni e le Province Autonome con il fine di regolare i rapporti e i relativi obblighi alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del territorio. Per riassumere, la finalità della Rete dei Servizi per le politiche attive del lavoro è quella di disporre interventi e servizi orientati al miglioramento dell’efficienza del mercato del lavoro, con l’obiettivo di soddisfare i fabbisogni di competenze dei datori di lavoro e, contemporaneamente, garantire il sostegno nell’inserimento o nel reinserimento nel mercato del lavoro per i lavoratori. Tra le altre funzioni svolte dall’ANPAL, le più significative possono essere riassunte nei seguenti punti:

• vigilanza sui fondi interprofessionali per la formazione continua;

• sviluppo e gestione integrata del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, compreso quello riguardante la formazione professionale;

• definizione e gestione di programmi per il riallineamento delle aree per le quali non siano rispettati i livelli essenziali delle prestazioni in materia di politiche attive del lavoro o vi sia un rischio di mancato rispetto dei medesimi livelli essenziali;

• gestione dell’albo nazionale degli enti accreditati a svolgere attività formative; Nonostante il jobs act miri ad apportare miglioramenti, per riflesso, al sistema della formazione continua, attraverso una riforma delle politiche attive del lavoro, che si sostanzia principalmente negli articoli 13, 14, 15, il decreto legislativo presenta alcune lacune, specialmente per quanto riguarda il sistema di gestione delle competenze. Infatti, all’interno del decreto non è riscontrabile alcun riferimento al sistema delle competenze. Nello specifico, manca quel collegamento con la riforma Fornero la quale metteva a disposizione del legislatore gli strumenti per gestire le transizioni occupazionali mediante il valore d’uso delle competenze. Dunque, nonostante il jobs act abbia l’obiettivo di ammodernare l’apparato delle politiche attive del lavoro, tale mancanza, allo stesso tempo, impedisce un vero rinnovamento del mercato del lavoro20.

20 (a cura di) CASANO L., Il sistema della formazione continua nel decreto legislativo n.150/2015, in

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