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Ottimizzazione della gestione e del dimensionamento di un sistema di produzione di ACS che integra pompe di calore, accumuli e solare termico

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

SCUOLA DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA ENERGETICA

Ottimizzazione della gestione e del dimensionamento di un sistema di produzione di ACS che integra pompe di calore, accumuli e solare termico

Relatore Candidato

Prof. Daniele Testi Antonio Maldone

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INDICE

ABSTRACT ... 5

INTRODUZIONE ... 6

1. ACCUMULI TERMICI ... 12

1.1. CLASSIFICAZIONE ACCUMULI TERMICI... 15

1.1.1. Classificazione per intervallo di temperatura di esercizio ... 15

1.1.2. Classificazione per intervallo di tempo di accumulo ... 16

1.1.3. Classificazione per tipologia di scambio termico ... 17

1.3. INTEGRAZIONE IMPIANTISTICA ... 20

1.3.1. Accumuli inerziali o Puffer... 21

1.3.2. Bollitori ... 22

1.3.3. Serbatoi combinati ... 24

1.4. ACCUMULI INERZIALI PER LA PRODUZIONE DI ACQUA CALDA SANITARIA ... 25

2. POMPE DI CALORE... 27

2.1. CLASSIFICAZIONE DELLE POMPE DI CALORE IN FUNZIONE DELLA SORGENTE TERMICA 30 2.1.1. Sorgente aria ... 31

2.1.2. Sorgente acqua ... 32

2.2. ACCOPPIAMENTO POMPA DI CALORE – IMPIANTO ... 33

2.3. ACCOPPIAMENTO POMPA DI CALORE – ACCUMULO ... 35

3. DATI IN INPUT AL MODELLO ... 39

3.1. DATI CLIMATICI E IRRADIANZE ... 40

3.2. MODELLO OCCUPAZIONALE ... 41

3.3. PROFILO UTILIZZO DELLE DOCCE ... 43

4. DETERMINAZIONE DELLE RICHIESTE ENERGETICHE... 44

4.1. RICHIESTE DI HEATING E COOLING ATTRAVERSO IL METODO DELLA FIRMA ENERGETICA 44 4.1.1. Firma energetica invernale... 45

4.1.2. Firma energetica estiva ... 46

4.2. RICHIESTE DI ACQUA CALDA SANITARIA ... 50

5. CARATTERIZZAZIONE DEL LAYOUT DI IMPIANTO PROPOSTO E DI QUELLI DI CONFRONTO .... 52

6. SVILUPPO DEL MODELLO ... 59

6.1. ACCUMULI TERMICI ... 59

6.1.1. Accumulo ACS ... 60

6.1.2. Perdite di accumulo ... 61

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4 6.2.1. Gestione pompa di calore aria/acqua (PdC1) – pannelli radianti – accumulo ‘freddo’

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6.2.2. Gestione pompa di calore - accumulo ‘caldo’ ... 67

6.2.3. Gestione pompa di calore aria/acqua – accumulo ‘freddo’ ... 71

6.2.4. Gestione pompa di calore acqua/acqua – accumulo ‘freddo’ – scambiatore aria/acqua ... 73

6.3. CALCOLO DELLE PRESTAZIONI DELLE POMPE DI CALORE ... 74

6.3.1. Fattore di carico ... 76

6.3.2. Cicli di defrost ... 77

6.3.3. Assorbimenti elettrici ... 78

6.3.4. Pompa di calore acqua/acqua - energia termica sottratta all’evaporatore ... 79

6.4. SOLARE TERMICO ... 79 7. RISULTATI E COMMENTI... 85 CONCLUSIONI ... 111 Appendice A ... 112 Appendice B ... 118 BIBLIOGRAFIA ... 124

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ABSTRACT

Nell’ottica di un sempre maggiore efficientamento e della riduzione delle emissioni inquinati, le pompe di calore stanno via via sostituendo le più obsolete caldaie nei sistemi di produzione di energia termica per il condizionamento degli ambienti e la produzione di acqua calda sanitaria. La crescente integrazione delle tecnologie rinnovabili rende necessario l’utilizzo di accumuli che consentano di disaccoppiare la produzione di energia dal suo utilizzo. Nella fattispecie, gli accumuli termici svolgono un ruolo centrale per i nuovi impianti ibridi che integrano il solare termico alle pompe di calore. Queste ultime, soprattutto in condizioni climatiche piuttosto rigide, difficilmente riescono a sopperire in modo efficiente alle esigenze di produzione di acqua calda sanitaria (ACS).

Per far fronte a questa problematica, il presente studio propone una particolare configurazione impiantistica per la produzione di ACS che integra pompe di calore, solare termico e accumuli con l’obiettivo di aumentare la flessibilità in termini di gestione del sistema e di ridurre l’utilizzo di energia primaria impiegata. Viene analizzato un caso studio, riguardante una palestra situata nel comune di Torino, con lo scopo di evidenziare le potenzialità della configurazione in tutti quei casi in cui le richieste di ACS siano una componente fondamentale dei consumi energetici dell’utenza.

Modellate in ambiente Matlab la configurazione proposta e alcune configurazioni di benchmark, viene condotta un’analisi di sensitività su alcuni parametri caratteristici del modello, al fine di ottimizzarne il dimensionamento e la gestione. Un ulteriore confronto viene effettuato al variare del rapporto tra l’energia termica utilizzata per la produzione di ACS e quella per la climatizzazione dei locali. Saranno infine evidenziati i risparmi, in termini di energia primaria non rinnovabile, ottenibili rispetto alla configurazione di benchmark che utilizza esclusivamente il vettore elettrico.

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INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni l'incremento del fabbisogno energetico, insieme ad una crescente consapevolezza circa l'urgenza di contenere le emissioni di gas serra ed inquinanti, ha promosso una crescita delle tecnologie volte al risparmio energetico e alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Queste costituiscono sicuramente una soluzione tecnologica vincente ma presentano una serie di limitazioni legate all’intermittenza dell'erogazione di energia, causata per lo più dalla variazione delle condizioni atmosferiche. Si rende necessario, quindi, l’utilizzo di sistemi di accumulo per far fronte alle esigenze di disaccoppiare, in qualche misura, la produzione di energia dal suo consumo. Per questi motivi, il tema dello storage è ormai centrale nel dibattito sul futuro del mondo dei sistemi energetici. Gli accumuli diventano, infatti, sempre più necessari per garantire sicurezza ed efficienza suscitando molto interesse sia in ambito civile che in ambito industriale; tuttavia la loro diffusione incontra diversi ostacoli, soprattutto economici e legati alla gestione.

Limitandosi alle sole applicazioni per la produzione di energia termica, stanno diffondendosi progressivamente impianti ibridi che affiancano il solare termico alle pompe di calore. Queste ultime rappresentano un sistema di produzione di energia termica a basso impatto ambientale e garantiscono ampi margini di risparmio energetico rispetto alle tradizionali caldaie a gas. Sono, tuttavia, caratterizzate da prestazioni fortemente variabili in funzione della temperatura delle sorgenti su cui operano. A fronte di quanto appena evidenziato, tali impianti ibridi, seppur garantendo buone prestazioni, presentano ampi margini di ottimizzazione soprattutto nella gestione integrata che consente lo stoccaggio dell’energia termica prodotta. La previsione della produzione e della domanda di energia diventa dunque fondamentale nell’ottimizzazione della gestione del sistema, consentendo l’utilizzo di particolari logiche di produzione mirate all’efficienza.

Uno dei problemi che maggiormente affligge le pompe di calore che utilizzano come sorgente termica l’aria è sicuramente la produzione di acqua calda sanitaria. Le elevate temperature di mandata unitamente alle basse temperature dell’aria esterna costringono la pompa di calore ad operare a livelli di efficienza molto bassi, a volta tali da non garantire convenienza economica rispetto alle tradizionali caldaie a gas. Per far fronte a tale

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problematica, viene proposta una particolare configurazione impiantistica che consente di ripartire su due pompe di calore l’intero ΔT tra le sorgenti. Si aggiunge, allora, un ulteriore accumulo definito ‘freddo’ in quanto gestito a temperature inferiori rispetto a quello inerziale (denominato ‘caldo’) utilizzato per la produzione istantanea di ACS. La pompa di calore aria/acqua verrà quindi collegata a questo grosso serbatoio di acqua ‘tecnica’, consentendole di produrre e stoccare energia su un livello termico inferiore garantendo maggiori coefficienti di prestazione e, di conseguenza, minori assorbimenti elettrici. Con lo scopo di trasportare l’energia termica stoccata all’accumulo ‘freddo’ verso l’accumulo ‘caldo’ si prevede una seconda pompa di calore che utilizza gli accumuli come sorgenti termiche. Questa pompa rientra, dunque, nella tipologia acqua/acqua e garantisce prestazioni più elevate rispetto alle pompe aria/acqua.

Quanto appena argomentato si riferisce alla sola stagione invernale, tuttavia l’aggiunta dell’accumulo ‘freddo’ e della pompa acqua/acqua consente di migliorare l’efficienza della produzione di ACS anche nella stagione estiva. Ciò si ottiene sfruttando la sottrazione di energia termica all’evaporatore della acqua/acqua, interfacciato idraulicamente con l’accumulo ‘freddo’, per soddisfare, almeno in parte le richieste di cooling dell’utenza.

Nello specifico, si fa riferimento ad una palestra situata nel comune di Torino caratterizzata, quindi, da forti richieste termiche di ACS variabili nell’arco della giornata.

Il layout di impianto proposto viene, quindi, confrontato con alcune configurazioni di riferimento al fine di evidenziarne i potenziali vantaggi in termini di risparmio di energia primaria non rinnovabile utilizzata a parità di richieste energetiche dell’utenza. La configurazione di benchmark alla quale si farà maggiormente riferimento è quella che considera un approvvigionamento totalmente elettrico caratterizzato da una pompa di calore aria/acqua collegata all’accumulo ‘caldo’ e una pompa di calore reversibile per la climatizzazione degli ambienti. Verrà anche effettuato un confronto che prevede, sia per la configurazione proposta che per quella di benchmark, l’utilizzo del solare termico al fine di evidenziarne i vantaggi offerti in entrambe le configurazioni. Per finire un’analisi di sensitività verrà condotta su alcuni dei parametri caratteristici della configurazione impiantistica e sul rapporto delle richieste termiche dell’utenza, ovvero il rapporto tra

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l’energia termica utilizzata per la produzione di acqua calda sanitaria e quella per la climatizzazione dei locali.

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Indice delle figure

Fig. 1.1 Caratterizzazione temporale delle fasi di accumulo ... 12

Fig. 1.2 Effetti di stratificazione termica: (a) serbatoio a temperatura uniforme, (b) serbatoio moderatamente stratificato, (c) serbatoio altamente stratificato ... 19

Fig. 1.3 Puffer ... 21

Fig. 1.4 Bollitore ... 22

Fig. 1.5 Serbatoio combinato ... 24

Fig. 2.1 Pompa di calore: schema generale ... 27

Fig. 2.2 Pompa di calore: componenti e flussi energetici ... 27

Fig. 2.3 Pompa di calore reversibile: inversione del ciclo termodinamico... 29

Fig. 2.4 Modalità di collegamento tra il generatore termico e l'accumulo ... 36

Fig. 2.5 Schema di impianto della pompa di calore doppio stadio ... 38

Fig. 3.1 Andamento della temperatura dell'aria esterna ... 41

Fig. 3.2 Profilo di occupazione della palestra per i giorni dal lunedì al venerdì ... 42

Fig. 3.3 Profilo di occupazione della palestra relativo al sabato ... 42

Fig. 4.1 Andamento delle richieste di riscaldamento e raffrescamento ... 49

Fig. 4.2 Ripartizione mesile delle richieste di riscaldamento/raffrescamento ... 49

Fig. 4.3 Profilo delle richieste di ACS ... 51

Fig. 6.1 Accumulo ACS ... 61

Fig. 6.2 Andamento del COP della pompa di calore in funzione del FC ... 77

Fig. 6.3 Collettore solare piano ... 80

Fig. 7.1 Effetti del set-point e della taglia dell'accumulo 'freddo' nel caso in cui la taglia termica delle PdC è di 25 kW ... 87

Fig. 7.2 Effetti del set-point e della taglia dell'accumulo 'freddo' nel caso in cui la taglia termica delle PdC è di 30 kW ... 88

Fig. 7.3 Effetti del set-point e della taglia dell'accumulo 'freddo' nel caso in cui la taglia termica delle PdC è di 35 kW ... 89

Fig. 7.4 Effetti della taglia delle PdC nel caso in cui la temperatura di set-point dell'accumulo 'freddo' sia 25°C ... 90

Fig. 7.5 Effetti della taglia dell’accumulo ‘caldo’ ... 91

Fig. 7.6 Effetti legati alle temperature di set-point e alla taglia dell’accumulo ‘freddo’ sull’energia primaria non rinnovabile impiegata per la produzione di ACS nella stagione invernale ... 92

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10 Fig. 7.7 Effetto della taglia dell’accumulo ‘freddo’ sull’energia primaria non rinnovabile utilizzata nella stagione estiva ... 93 Fig. 7.8 Effetti legati alla temperatura stagionale di gestione dell'accumulo 'freddo' ... 95 Fig. 7.9 Dynamic set-point: andamento settimanale del set-point per la gestione master-slave ... 97 Fig. 7.10 Andamento delle temperature degli accumuli nella gestione master-slave... 98 Fig. 7.11 Dinamica di carica/scarica che caratterizza la gestione master-slave delle pompe di calore interfacciate all'accumulo 'freddo' ... 99 Fig. 7.12 Andamento settimanale delle temperature delle sorgenti termiche e del set-point

dell'accumulo 'freddo' nella gestione master-slave ... 100 Fig. 7.13 Dynamic set-point: andamento settimanale del set-point per la gestione master-slave modificata ... 102 Fig. 7.14 Andamento delle temperature degli accumuli nella gestione master-slave modificata 103 Fig. 7.15 Andamento settimanale delle temperature delle sorgenti termiche e del set-point

dell'accumulo 'freddo' nella gestione master-slave modificata ... 104 Fig. 7.16 Dinamica di carica/scarica che caratterizza la gestione master-slave modificata delle pompe di calore interfacciate all'accumulo 'freddo' ... 105 Fig. 7.17 Correlazione tra i set-point dell'accumulo 'freddo' e la temperatura esterna ... 106

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1. ACCUMULI TERMICI

I sistemi di accumulo termico svolgono la funzione di gestire i flussi energetici provenienti dai diversi componenti dell’impianto, consentendo di immagazzinare l’energia termica prodotta e di utilizzarla secondo le richieste dell’utenza. L’acqua è il mezzo di accumulo più comunemente sfruttato negli impianti ad uso civile, data la notevole capacità termica e disponibilità.

Mediante i sistemi di stoccaggio dell’energia termica, il calore viene trasferito al mezzo di accumulo durante il periodo di carica, e rilasciato in un secondo momento durante il processo di scarica. Più precisamente il processo completo prevede tre fasi: carica, conservazione, scarica (fig. 1.1). Alcune fasi possono essere distinte o simultanee (es. carica e accumulo) ed essere ripetute nello stesso ciclo.

Fig. 1.1 Caratterizzazione temporale delle fasi di accumulo Le caratteristiche più importanti di un sistema di accumulo sono:

 la durata, ovvero il tempo durante il quale l’energia può essere conservata con perdite accettabili;

 la densità o capacità di accumulo, vale a dire la quantità di energia immagazzinata nell’unità di volume (misurata in kWh/m3, ovvero 3600 kJ/m3);

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 l’efficienza, data dal rapporto tra l’energia estratta durante la scarica e l’energia immagazzinata durante la carica.

𝜂 = 𝑚𝑐(𝑇 − 𝑇𝑆_𝑚𝑖𝑛) 𝑚𝑐(𝑇𝐶_𝑚𝑎𝑥 − 𝑇𝐶_𝑚𝑖𝑛)

Il prodotto della massa 𝑚 per il calore specifico 𝑐 del mezzo d’accumulo rappresenta la capacità termica di quest’ultimo, 𝑇𝐶_𝑚𝑎𝑥 e 𝑇𝐶_𝑚𝑖𝑛 sono le temperature massima e minima della fase di carica, 𝑇𝑆_𝑚𝑖𝑛 è la temperatura minima della fase di scarica mentre 𝑇 è la temperatura dell’accumulo all’inizio della fase di scarica. Nella maggior parte delle applicazioni le temperature minime delle fasi di carica e scarica coincidono.

Al fine di rendere i sistemi TES un’alternativa più plausibile ed attraente per incrementare l’efficienza degli innumerevoli processi in cui possono essere applicati, è necessario che siano rispettate alcune richieste. Innanzitutto è necessario che un sistema di accumulo possa operare con stabilità nell’intervallo di temperature richiesto dall’applicazione o, meglio ancora, in un intervallo di temperature più ampio possibile. In secondo luogo il materiale di stoccaggio usato dev’essere poco costoso, disponibile in grandi quantità e compatibile con un conveniente progetto del sistema. Un accumulo efficiente dovrebbe avere lunga durata ed elevata densità di accumulo; inoltre dovrebbe minimizzare le perdite termiche e consentire un elevato recupero di energia durante l’estrazione dall’accumulatore.

Per quanto riguarda i materiali utilizzati per l’accumulo, esistono varie scelte che dipendono dal sistema di stoccaggio adottato, dall’intervallo di temperatura e dalla specifica applicazione. In generale si prediligono i materiali che presentano una grande variazione di energia interna per unità di volume poiché minimizzano lo spazio richiesto; tuttavia ci sono altri fattori di cui tenere conto, come la pressione di vapore, la tossicità, la resistenza alla corrosione nonché il costo e la reperibilità sul mercato.

Al fine di ridurre al minimo il volume impiegato a parità di energia accumulata è evidente che si deve agire sulla temperatura di accumulo. Accumulare energia a temperatura più alta per poi impiegarla a temperatura più bassa comporta, tuttavia, una perdita di efficienza nel sistema di produzione. Il motivo, oltre a essere tecnico, è termodinamico: la stessa quantità di energia accumulata a una temperatura più alta ha un

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contenuto exergetico (quota parte di energia che può essere convertita in lavoro) più elevato rispetto alla stessa quantità accumulata a una temperatura più bassa. Chiaramente agire sulla temperatura di accumulo avvicinandola alla temperatura di utilizzo non è una via sempre percorribile. Questo perché, a parità di energia accumulata, sarebbero richiesti volumi via via più importanti.

In definitiva, la scelta di un sistema di accumulo dipende principalmente da fattori quali il periodo di stoccaggio richiesto, la fattibilità economica, le condizioni operative e i vincoli ambientali. I vantaggi che l’uso di sistemi TES può portare sono diversi:  l’incremento della capacità di produzione di energia: l’energia può essere prodotta

nei periodi di scarsa domanda ed accumulata per usi successivi;

 la riduzione dei consumi di energia da combustibili fossili e delle emissioni inquinanti;

 l’incremento dell’affidabilità dell’impianto, grazie alla presenza di energia accumulata;

 la riduzione della potenza installata, rispondendo ai picchi di richiesta da parte dell’utenza utilizzando l’energia accumulata nei periodi in cui la richiesta è inferiore;  lo spostamento dell’acquisto di energia nei periodi a basso costo con conseguente

riduzione dei costi di esercizio;

 lo stoccaggio dell’energia termica proveniente dalle fonti rinnovabili che non pareggia mai la richiesta istantanea dell’impianto nel momento in cui essa è disponibile;

 un miglior utilizzo degli impianti di cogenerazione: la presenza dell’accumulo consente di non far lavorare l’impianto ad inseguimento del carico termico;

 il recupero di cascami energetici provenienti da altri processi di produzione che altrimenti andrebbero persi.

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1.1. CLASSIFICAZIONE ACCUMULI TERMICI

Esistono diversi modi per classificare i sistemi di accumulo termico. I principali si basano sull’intervallo di temperatura di esercizio, sul tipo di scambio termico e sui tempi di stoccaggio.

1.1.1. Classificazione per intervallo di temperatura di esercizio

Si possono individuare diversi range di temperatura, corrispondenti per lo più a differenti ambiti di applicazione.

 HTTES (High Temperature Thermal Energy Storage) accumulo termico ad alta temperatura. Comprende gli impianti che lavorano a temperature di norma superiori ai 200°C e gioca un ruolo vitale nelle tecnologie per energie rinnovabili e nel recupero del calore di scarto da altri processi. C’è infatti un gran numero di applicazioni industriali dalle quali può essere recuperato il cascame energetico in forma di calore di scarto, ad esempio nella produzione di materiali da costruzione, nelle miniere o negli impianti metallurgici in generale. Altri ambiti coinvolgono la generazione di potenza nelle centrali termoelettriche ma l’impiego oggi più frequente del HTTES rimane focalizzato sulle applicazioni associate al solare termico.

 LTTES (Low Temperature Thermal Energy Storage): accumulo termico a bassa temperatura. L’accumulo termico a bassa temperatura raggruppa tutti i sistemi che operano tra 10°C e 200°C. Le applicazioni più frequenti riguardano il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti e degli edifici, bollitori solari, sistemi di trattamento dell’aria e serre. Spesso sono combinati a collettori solari o ad impianti cogenerativi.

 CTES (Cold Thermal Energy Storage): accumulo termico del freddo, con temperature inferiori a quella ambientale (T < 20°C). Il CTES è usato per correggere la mancata sincronia tra domanda e fornitura di freddo (nel raffrescamento e condizionamento degli ambienti): un picco di carico elettrico richiesto dal condizionamento dell’aria durante un pomeriggio estivo viene ad esempio spostato in un intervallo di tempo

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fuori picco, producendo ed immagazzinando il freddo durante la notte. Questi sistemi vengono largamente impiegati in varie applicazioni nell’industria alimentare, dove ci sono forti richieste di energia frigorifera per la conservazione dei cibi. Il ciclo di carica-stoccaggio-scarica del CTES è solitamente giornaliero, ma esistono anche applicazioni stagionali.

1.1.2. Classificazione per intervallo di tempo di accumulo

Una delle discriminanti primarie da cui dipende la scelta di un sistema di accumulo è il periodo di stoccaggio richiesto. A questo fine si possono distinguere due principali definizioni, tenendo conto che alcuni sistemi adottano periodi di accumulo misti, quindi intermedi tra le due specie:

 Accumulo termico a breve termine: comprende tutti i sistemi con ciclo giornaliero e quelli con capacità di stoccaggio variabile da poche ore ad un massimo di una settimana. Solitamente l’energia termica in questi sistemi viene mantenuta a temperature abbastanza alte da permettere uno scambio diretto con l’utilizzatore alla temperatura richiesta.

 Accumulo termico a lungo termine o stagionale: raggruppa i sistemi con capacità di stoccaggio maggiore di tre o quattro mesi. Tipici sono gli impianti accoppiati a centrali solari termiche (CSHPSS: Central Solar Plants with Seasonal Storage) che accumulano il calore durante l’estate per ridistribuirlo nella stagione invernale e, viceversa, utilizzando il freddo invernale per il raffrescamento estivo. Tipicamente si tratta di impianti con accumuli d’acqua di grosso volume che ne rendono economicamente conveniente l’impiego a fronte dell’elevato costo d’installazione. Di solito si lavora con temperature medio-basse impiegando collettori solari e pompe di calore, mentre il sistema di stoccaggio si trova per lo più interrato o integrato con il sottosuolo (UTES: Underground Thermal Energy Storage). L’accumulo stagionale per i sistemi solari risulta maggiormente favorevole alle elevate latitudini, sia nel caso di accumulo di calore, sia nel caso di accumulo di freddo.

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1.1.3. Classificazione per tipologia di scambio termico

La classificazione maggiormente condivisa si basa sul tipo di scambio termico tra sorgente, accumulatore e utilizzatore. Vi sono, secondo tale parametro, tre metodi di accumulo di calore: il calore sensibile (riscaldamento e raffreddamento di un materiale), il calore latente (fusione e solidificazione, vaporizzazione e condensazione) e l’energia termochimica (rottura e formazione di legami molecolari).

Di seguito se ne dà una descrizione più approfondita.

 Accumulo di calore sensibile (SHTES, Sensibile Heat Thermal Energy Storage): l’energia viene accumulata mediante variazione della temperatura di un mezzo liquido (acqua, olio) o solido (roccia, mattoni, sabbia, terreno) senza alcun cambiamento di fase nell’intervallo di temperature del processo. Ciò che varia è quindi l’energia interna del mezzo accumulatore. La quantità di energia accumulata è proporzionale alla differenza tra la temperatura finale e quella iniziale, alla massa ed al calore specifico del mezzo:

𝑄 = 𝑚 ∫ 𝑐𝑇𝑓 𝑝𝑑𝑡 = 𝑚𝑐̅ (𝑇𝑝 𝑓− 𝑇𝑖) 𝑇𝑖

nella quale:

𝑄 è l’energia termica accumulata;

𝑐𝑝 è il calore specifico a pressione costante; 𝑚 è la massa del mezzo di accumulo;

𝑇𝑖 e 𝑇𝑓 rispettivamente la temperatura iniziale di stoccaggio e quella finale.

La capacità di accumulare energia, per un materiale considerato, dipende in definitiva dalla capacità termica. Un buon materiale deve avere elevata capacità termica ed essere economico e reperibile in grandi quantità. Proprio per questo l’acqua si presenta come la miglior candidata per il TES a calore sensibile, rispondendo estremamente bene ai requisiti richiesti.

 Accumulo di calore latente (LHTES, Latent Heat Thermal Energy Storage): è basato sull’assorbimento o il rilascio di calore nel momento in cui il mezzo di stoccaggio

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subisce un cambiamento di fase da solido a liquido o da liquido a gas e viceversa, senza significative variazioni della temperatura, ossia quasi isotermicamente. Tali materiali vengono comunemente definiti PCM, Phase Change Materials. L’energia totale accumulabile in un sistema LHTES (con cambiamento di fase solido-liquido) è data da:

𝑄 = 𝑚𝜆𝑚 nella quale:

𝑄 è l’energia termica accumulata;

𝜆𝑚 è il calore latente di cambiamento di fase del mezzo di accumulo.

Tuttavia, nella pratica, è difficile operare in modo isotermo alla temperatura di cambiamento di fase; è molto probabile che il materiale di accumulo scambi, oltre alla quota di energia caratterizzata dal cambiamento di fase, anche modeste quantità di calore sensibile. L’elevata densità di accumulo dei PCM e la ridotta variazione di temperatura rendono questa tipologia di stoccaggio molto promettente. Si consideri che i sistemi a LHTES, a parità di energia termica immagazzinata, hanno dimensioni decisamente inferiori ad un sistema a SHTES, sebbene questi ultimi presentino minori difficoltà di progettazione per quanto concerne la trasmissione del calore e la scelta dei materiali.

 Accumulo termochimico (Thermochemical Energy Storage): i sistemi termochimici si basano sull’energia assorbita e rilasciata durante la rottura e la formazione dei legami molecolari all’interno di una reazione chimica completamente reversibile. La densità di accumulo, nelle reazioni termochimiche, risulta ancora più elevata che nei sistemi a calore latente. Inoltre, in molti casi, i reagenti chimici possono essere accumulati e conservati in condizioni ambientali standard per tempi anche indefiniti, consentendo un facile trasporto e riducendo buona parte delle perdite termiche. Per questo motivo sono privilegiate le reazioni reversibili con reagenti e prodotti facilmente accumulabili in forma liquida o solida.

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1.2. STRATIFICAZIONE TERMICA

La stratificazione termica è un fenomeno fisico noto da tempo e particolarmente evidente nei bacini naturali (pozze e stagni) e nei serbatoi statici. Quando l’acqua si raffredda il suo volume diminuisce, quando si riscalda il suo volume aumenta con conseguenti variazioni della densità; i serbatoi di accumulo a stratificazione sfruttano queste differenze. L’acqua calda e l’acqua fredda si comportano come liquidi distinti e, pur essendo nel medesimo contenitore, si separano: l’acqua calda si concentra nella parte alta del serbatoio, quella fredda si sposta verso il basso. Di seguito si riportano (fig. 1.2) gli effetti indotti dalla stratificazione termica in un serbatoio e i rispettivi profili di temperatura interna.

Fig. 1.2 Effetti di stratificazione termica: (a) serbatoio a temperatura uniforme, (b) serbatoio moderatamente stratificato, (c) serbatoio altamente stratificato

In un serbatoio verticale, l’acqua calda “galleggia” su quella fredda e si stratifica in funzione della temperatura; gli strati, a temperature differenti, non si mescolano spontaneamente e, se il serbatoio è coibentato, restano separati a lungo. Quando un serbatoio di acqua calda non coibentato è statico (non ci sono immissioni dall’esterno) la stratificazione termica si deve solo al progressivo raffreddamento dell’acqua, influenzato dalla temperatura dell’ambiente dove è posizionato il serbatoio. L’acqua che man mano si raffredda si dispone sul fondo del serbatoio, mentre l’acqua che mantiene la temperatura originaria sale. Un fenomeno così interpretato: prima di cedere calore all’ambiente, le pareti del serbatoio raffreddano il sottile strato di acqua a loro diretto contatto. Una parte del calore di questi strati di acqua è ceduta all’ambiente, la restante parte diffonde verso

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lo strato più interno del serbatoio. L’acqua più fredda (quella a contatto con le pareti del serbatoio) è più densa e si sposta verso la base del serbatoio determinando la stratificazione. Nello specifico, la stratificazione consente di prelevare costantemente acqua molto calda, come se il serbatoio contenesse solo acqua ad alta temperatura, mentre in assenza di stratificazione si preleverebbe acqua mescolata e quindi tiepida. I serbatoi di stoccaggio a stratificazione termica sono pertanto utilizzabili come accumulatori termici, permettendo di immagazzinare in un unico serbatoio i contributi di differenti fonti di calore a diverse temperature.

1.3. INTEGRAZIONE IMPIANTISTICA

E’ possibile limitare la trattazione ai soli sistemi di accumulo di calore sensibile che utilizzano l’acqua quale mezzo d’accumulo, in quanto i più diffusi in ambito civile-residenziale per il riscaldamento degli ambienti e la produzione di acqua calda sanitaria. Si individuano due macro-categorie in riferimento alle modalità di trasferimento di energia termica da e verso l’accumulo. Il riscaldamento di acqua fredda può avvenire direttamente nel recipiente (riscaldatori a miscela), oppure attraverso un serpentino immerso

(termo-accumulatori). In entrambi i casi si effettua il riscaldamento dell’acqua a spese del fluido

caldo accumulato nel serbatoio. Si descrivono, quindi, le dinamiche termiche che caratterizzano le due tipologie di accumulatori.

 Nei riscaldatori a miscela l’acqua calda si miscela con quella fredda e la temperatura dell’acqua erogata si abbassa nel tempo sino a un valore minimo, oltre il quale non è più possibile la fornitura agli utilizzatori.

 Nei termo-accumulatori l’acqua fredda proveniente dalle utenze, attraversa un serpentino riscaldandosi; la temperatura dell’acqua accumulata nel serbatoio si abbassa riducendo nel tempo anche la temperatura dell’acqua erogata sino a una temperatura minima.

I serbatoi vengono ulteriormente distinti a seconda della modalità di accumulo e della funzione specifica nell’economia dell’impianto in:

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• Accumuli inerziali o Puffer;

• Bollitori per acqua calda sanitaria; • Serbatoi combinati.

Di seguito di procede alla descrizione delle singole tipologie di accumulo con i dovuti riferimenti ai collegamenti di impianto.

1.3.1. Accumuli inerziali o Puffer

Sono serbatoi inerziali destinati allo stoccaggio di acqua calda non ad uso sanitario: sono utilizzati negli impianti alimentati da fonte energetica discontinua (pannelli solari), o laddove si renda necessario aumentare il volume d’acqua contenuto nell’impianto (impianti con pompe di calore, cogeneratori, caldaie a biomassa). Contengono generalmente acqua tecnica (non soggetta a normative sulla qualità igienico-sanitaria) e vengono utilizzati in impianti di dimensioni medio-grandi. I circuiti idraulici che vi si interfacciano sono generalmente circuiti a vaso chiuso, dunque non richiedono particolari protezioni anticorrosive e non sono soggetti a depositi di calcare.

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Possono essere utilizzati per soddisfare le richieste di riscaldamento dell’utenza, quelle di acqua calda sanitaria o entrambe contemporaneamente, in quest’ultimo caso sono classificati come accumuli combinati. Non è necessario rispettare requisiti igienici restrittivi e la produzione di acqua calda sanitaria è realizzabile, istantaneamente, mediante uno scambiatore a serpentino o, in casi particolari, uno scambiatore a piastre esterno.

1.3.2. Bollitori

I bollitori per acqua calda sanitaria sono serbatoi di accumulo al cui interno viene stoccata direttamente l’acqua potabile, che, grazie a opportuni scambiatori, riceve il calore proveniente dai collettori del circuito solare e/o da altre sorgenti integrative. In base al modello di scambiatore si distinguono in serbatoi ad intercapedine e serbatoi con scambiatori a serpentina. I primi presentano, in corrispondenza della superficie laterale, un’intercapedine in cui può circolare il fluido riscaldante, proveniente dal generatore o dai collettori solari. Sono impiegati prevalentemente in impianti di piccole dimensioni. Negli altri il calore è ceduto dal fluido solare all’acqua di accumulo attraverso un tubo a serpentina.

Fig. 1.4 Bollitore

Esistono serbatoi a singola o doppia serpentina. In quelli a singolo serpentino lo scambiatore è collocato nella zona inferiore del recipiente, è collegato ai pannelli solari e

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al suo interno scorre il fluido termovettore (acqua o glicole). L’eventuale integrazione ausiliaria è realizzata a valle del serbatoio facendo passare l’acqua preriscaldata in una caldaia istantanea. In quelli a doppio serpentino è presente un secondo scambiatore nella parte alta del serbatoio che consente l’integrazione diretta da parte del generatore ausiliario. I bollitori devono ottemperare ad alti standard di igiene ed essere resistenti alla corrosione in presenza di ossigeno (contenuto nell’acqua sanitaria). Sono costruiti in vari tipi di acciaio e subiscono particolari trattamenti interni.

Uno dei problemi che maggiormente affligge i sistemi di accumulo per acqua calda sanitaria è l’incombente proliferazione di un batterio noto con il nome di legionella, molto pericoloso per la salute dell’uomo. I batteri della legionella sono presenti nei fiumi, nei laghi, nei pozzi e nelle acque termali. Possono essere presenti anche negli acquedotti, in quanto sono in grado di superare i normali trattamenti di potabilizzazione. Tuttavia, la sola presenza di questi batteri non costituisce pericolo per le persone. I batteri diventano pericolosi solo quando sussistono contemporaneamente le seguenti condizioni:

 temperatura ottimale di sviluppo (varia da 25°C a 42°C, la crescita dei batteri è massima a circa 37°C);

 ambiente aerobico, cioè ambiente con presenza di ossigeno;  condizioni di stagnazione;

 presenza di elementi nutritivi (scorie, ioni di ferro e calcare, microrganismi);  polverizzazione dell’acqua, con formazione di micro-gocce aventi diametri variabili

da 1 µm a 5 µm.

Le linee guida antilegionella indicano i possibili trattamenti temici di disinfezione da utilizzare come sistema preventivo per inibire il batterio. Il metodo più diffuso, e anche il più semplice, è la disinfezione termica. Questo metodo prevede l’aumento della temperatura dell’acqua sopra i 60°C per un tempo considerato sufficiente alla disinfezione. Tuttavia, pur rappresentando una soluzione fattibile e poco dispendiosa, ha lo svantaggio di essere realmente efficace solo se raggiunge tutti i punti dell’impianto, compresi i terminali di distribuzione; inoltre non incide sul biofilm e quindi la legionella, seppur temporaneamente debellata, ha tempo di ricostituirsi nel giro di qualche settimana.

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Questo comporta la necessità di disinfezione termica periodica di tutti quegli impianti che prevedono lo stoccaggio di acqua calda sanitaria a basse temperature.

1.3.3. Serbatoi combinati

I serbatoi combinati integrano il bollitore all’accumulo inerziale e sono utilizzati in impianti per la produzione di acqua calda sanitaria e l’integrazione al riscaldamento. Si basano sul riscaldamento istantaneo dell’acqua sanitaria che, scorrendo in uno scambiatore di calore (a tubi lisci o alettati) inserito nel recipiente (o ad esso esterno, in questo caso si parla di accumuli inerziali combinati), riceve calore dal fluido di impianto.

Fig. 1.5 Serbatoio combinato

Esistono serbatoi combinati a doppio contenitore, detti “tank in tank”, in cui quello interno è un bollitore per l’acqua sanitaria e quello esterno raccoglie il fluido dell’impianto termico; il volume di acqua sanitaria può, pertanto, essere limitato anche disponendo di

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accumuli inerziali di grandi dimensioni. Il bollitore è mantenuto in temperatura attraverso lo scambio di calore tra le pareti esterne e l’acqua dell’accumulo.

1.4. ACCUMULI INERZIALI PER LA PRODUZIONE DI ACQUA CALDA

SANITARIA

L’acqua calda sanitaria può essere prodotta utilizzando sistemi ad accumulo, come appena accennato per i bollitori oppure istantaneamente in serbatoi inerziali attraversando un apposito scambiatore a serpentino. Qualora non si disponga di un sistema di accumulo, la produzione di ACS avviene istantaneamente accoppiando direttamente il generatore termico alla mandata dell’acquedotto. Entrambi i metodi di produzione presentano una serie di vantaggi e svantaggi che li rendono più o meno idonei ad interfacciarsi con le diverse tipologie di utenza.

I sistemi istantanei senza accumulo consentono, per l’appunto, di produrre acqua calda “istantaneamente” secondo le effettive esigenze dell’impianto. Necessitano, quindi, di generatori termici in grado di erogare potenze molto variabili nel tempo in ogni condizione di utilizzo. Per quanto riguarda la produzione con accumulo, l’acqua calda (sanitaria o tecnica che sia) è prodotta ed accumulata in appositi serbatoi a temperature anche abbastanza elevate rispetto a quelle di utilizzo. In questo modo sarà possibile far fronte al fabbisogno dei periodi di massima richiesta senza dover impiegare potenze termiche troppo elevate. Questo sistema presenta, rispetto a quello istantaneo senza accumulo, i seguenti vantaggi e svantaggi:

 possibilità di utilizzare generatori e scambiatori di calore con potenza termica molto inferiore rispetto ai picchi di richiesta;

 funzionamento dell’impianto più regolare e continuo, quindi una migliore resa termica ed una temperatura di utilizzo meno soggetta a sbalzi;

 maggior costo dell’impianto per la presenza dei serbatoi;  maggior ingombro;

 più elevate dispersioni termiche passive (tale inconveniente può essere minimizzato con un buon isolamento termico dei serbatoi e delle tubazioni).

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I serbatoi di accumulo termico vengono impiegati soprattutto quando la sorgente termica, che ha il compito di produrre l’acqua calda, ha una bassa potenzialità rispetto al fabbisogno istantaneo dell’utilizzo (ad esempio una caldaia di piccola potenza o una pompa di calore adibita alla produzione di ACS in un centro sportivo avente un utilizzo concentrato in un breve arco temporale), oppure quando ha una produttività aleatoria e discontinua nel tempo, come gli impianti solari, che generano calore in quantità soddisfacente solo quando la radiazione solare risulta di buona intensità e colpisce le superfici assorbenti con buoni angoli di incidenza. Per quanto riguarda, invece, la temperatura di accumulo dell’acqua, questa deve soddisfare una serie di esigenze:

 limitare i fenomeni di corrosione e deposito del calcare, che possono aggravarsi quando la temperatura dell’acqua supera i 60-65°C;

 ridurre le dimensioni dei bollitori, inversamente proporzionali alle temperature di accumulo;

 impedire lo sviluppo di batteri, che in genere possono sopportare a lungo temperature fino a 50°C, mentre vengono debellati rapidamente oltre i 55°C.

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2. POMPE DI CALORE

La pompa di calore è una machina termica che consente il trasferimento di calore da un ambiente a temperatura inferiore verso un altro a temperatura superiore, in altre parole permette di riqualificare energia termica a bassa entalpia a spese di una certa quantità di energia elettrica utilizzata.

Fig. 2.1 Pompa di calore: schema generale

La maggior parte delle pompe di calore opera attraverso il ciclo a compressione di vapore, i cui componenti principali sono: compressore, valvola di espansione e due scambiatori di calore, ovvero l’evaporatore e il condensatore. I vari componenti sono connessi grazie ad un circuito chiuso, all’interno del quale scorre un liquido volatile, detto fluido operativo o refrigerante.

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Il fluido refrigerante della pompa di calore assorbe energia termica dal pozzo freddo, che si trova alla temperatura 𝑇𝑓, attraverso l’evaporatore. L’ambiente a cui si cede calore, anche detto pozzo caldo, si trova alla temperatura 𝑇𝑐 ed entra in contatto termico con il fluido operativo della macchina attraverso il condensatore. La pompa di calore consente, dunque, il prelievo di una certa quantità di energia termica 𝑄𝑓 dall’ambiente esterno e la cessione di una quantità maggiore 𝑄𝑐 all’ambiente interno a spese di energia elettrica fornita al compressore 𝐿. Attraverso il primo principio della termodinamica sarà possibile dunque legare questi scambi di energia per ottenere l’effetto termico utile della pompa di calore.

𝑄𝑐 = 𝑄𝑓+ 𝐿

E’ possibile determinare il rendimento COP (Coefficient of Performance) teorico di una pompa di calore, il quale è dato dal rapporto fra l’energia termica fornita e l’energia che viene spesa per il suo funzionamento.

𝐶𝑂𝑃 =𝑄𝑐 𝐿 =

𝑄𝑐 𝑄𝑐− 𝑄𝑓

A meno degli effetti indotti dalle irreversibilità, che caratterizzano gli scambi termici e un po’ tutte le fasi del ciclo termodinamico della macchina, è possibile ricondurre quest’ultimo al ben noto ciclo di Carnot inverso. Dal secondo principio della termodinamica, in assenza di irreversibilità, il rapporto tra gli scambi di energia termica si traduce in un rapporto tra le temperature delle sorgenti. Può dunque definirsi un coefficiente di prestazione legato al ciclo ideale (ciclo di Carnot) che consente di confrontare, a parità di temperature di sorgente, la macchina ideale con quella reale valutando gli effetti delle irreversibilità.

𝐶𝑂𝑃 𝐶𝑎𝑟𝑛𝑜𝑡 = 𝑇𝑐 𝑇𝑐 − 𝑇𝑓

Il risultato che ne consegue rappresenta il valore limite massimo a cui si può tendere per quanto riguarda il coefficiente di effetto utile di una installazione reale. Nella realtà per le condizioni operative tipiche delle pompe di calore è molto difficoltoso raggiungere anche la metà di tale valore. Tale parametro va considerato, però, come riferimento, poiché esso è tanto maggiore quanto più:

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 è bassa la temperatura a cui il calore viene ceduto dalla macchina per fornire effetto utile;

 è alta la temperatura della sorgente da cui lo stesso calore viene assorbito (tale temperatura è uno dei parametri fondamentali da cui dipende la potenza termica resa dalla pompa di calore).

L’importanza di questo coefficiente sta nel fatto che permette di identificare la misura quantitativa del salto di temperatura che il sistema produce, ovvero la differenza tra la temperatura della sorgente di calore e la temperatura di uscita del calore dal dispositivo stesso. Tirando le somme è possibile affermare che un impiego energeticamente efficiente di un sistema a pompa di calore per il riscaldamento invernale di edifici presuppone la scelta di terminali d’impianto operanti a basse temperature; favorevoli a questa condizione sono quindi i pannelli radianti (sia a soffitto che a pavimento), ed anche i ventilconvettori (operanti a temperature dell’ordine dei 45÷35 °C). Allo stesso modo conviene “ancorare” la pompa di calore alla sorgente esterna naturalmente disponibile alla più elevata temperatura possibile.

Le pompe di calore possono essere reversibili, in grado cioè sia di fornire che di sottrarre calore ad un ambiente di riferimento, svolgendo una funzione di riscaldamento nel periodo invernale e di condizionamento in quello estivo. Si ha dunque il vantaggio di sfruttare una sola macchina che, grazie alla presenza di una valvola a 4 vie, diventa reversibile invertendo le funzioni dell'evaporatore e del condensatore.

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Durante il funzionamento estivo (in modalità raffrescamento) il ciclo viene invertito: il fluido frigorifero della macchina condensa cedendo calore 𝑄𝑐 alla sorgente esterna ed evapora assorbendone una parte 𝑄𝑓 dagli ambienti da climatizzare. Il tutto, ovviamente, a spese di una certa quantità di energia elettrica 𝐿 ad alimentare il compressore. Il rendimento, in configurazione di raffreddamento, è noto come EER (Energy Efficency

Ratio), definito tramite la seguente equazione.

𝐸𝐸𝑅 =𝑄𝑓 𝐿 =

𝑄𝑓 𝑄𝑐 − 𝑄𝑓

Sia per il COP che per l’EER, per determinare il rendimento effettivo è necessario tener conto, nel calcolo di 𝐿, oltre che dell’energia elettrica consumata dal compressore, anche di quella utilizzata da tutti gli altri organi ausiliari (ventilatore, pompe, ecc.).

2.1. CLASSIFICAZIONE DELLE POMPE DI CALORE IN FUNZIONE DELLA

SORGENTE TERMICA

Il fluido destinatario finale dell’azione di climatizzazione è l’aria degli ambienti, almeno in ambito residenziale e terziario. In alcune applicazioni, quindi, la sorgente termica da termostatare sarà direttamente l’aria; in questo caso si avranno terminali ad espansione diretta del fluido frigorifero. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la sorgente termica che riceve l’effetto utile, in termini di scambio termico, della macchina è l’acqua. Questo è il caso in cui l’impianto di climatizzazione disponga di terminali idronici. Sebbene sia possibile classificare queste macchine sulla base di numerosi parametri, la classificazione più rilevante è quella che si basa sulle sorgenti utilizzate; si possono distinguere almeno tre casi:

 aria;  acqua;

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Tralasciando le pompe di calore geotermiche, non molto diffuse a causa degli elevati costi di installazione, a seconda del tipo di sorgente esterna e interna dell’edificio, si determinano quattro tipologie di pompa di calore:

Fluido lato sorgente Fluido lato impianto Denominazione della PdC

Aria Aria Aria/Aria

Aria Acqua Aria/Acqua

Acqua Aria Acqua/Aria

Acqua Acqua Acqua/Acqua

Di seguito verranno presentati quelli che sono i pregi e i difetti delle pompe di calore che utilizzano come sorgente termica l’aria e l’acqua.

2.1.1. Sorgente aria

L’aria è una fonte di energia illimitata e sempre disponibile. Le pompe di calore che usano l’aria (ASHP – Air Source Heat Pumps) come sorgente trovano le condizioni più favorevoli per il loro impiego nelle zone a clima moderato, dove la temperatura esterna scende raramente sotto gli 0 °C. Non richiedono costi di investimento per raggiungere la sorgente stessa e si possono installare ovunque. Presentano, tuttavia, importanti limitazioni legate alle continue fluttuazioni di temperatura della sorgente in quanto la temperatura di evaporazione influenza la potenza termica che la macchina è in grado di erogare. Nei giorni più freddi, quando la richiesta di calore degli ambienti è massima, le PdC ad aria forniscono potenze minori e questo è un grande limite di questo tipo di macchine.

Importanti limitazioni si hanno anche tutte quelle volte in cui si trovano ad operare a temperature molto basse dell’aria esterna. In questi casi, infatti, l’umidità presente nell’aria, condensando sulle superfici alettate della batteria dell’evaporatore, congela portando alla formazione di un certo spessore di ghiaccio che impedisce il corretto scambio termico delle superfici alettate. Per scongiurare questo fenomeno, in fase di progettazione della batteria dell’evaporatore, si ricorre a distanziare più del dovuto le alette e all’installazione di un’apposita resistenza elettrica che servirà a sciogliere lo strato di ghiaccio in formazione sulla batteria. Un’alternativa alla resistenza elettrica può trovarsi

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nella periodica inversione del ciclo di funzionamento della pompa di calore; in questo caso la batteria alettata che fungeva da evaporatore (e sulla quale era in formazione il ghiaccio) comincerà a cedere energia termica prelevata dai locali riscaldati, funzionando, di fatto, da condensatore. In ogni caso si incorre, in modo particolare per quei casi in cui i terminali di impianto presentano bassa inerzia termica, a potenziali discomfort per l’utenza. Da un punto di vista strettamente energetico, questi cicli di sbrinamento rappresentano situazioni in cui la pompa di calore si trova ad operare a bassi valori di COP, assorbendo quindi ingenti quantità di energia elettrica dalla rete.

Con condizioni climatiche invernali particolarmente sfavorevoli, è necessaria la presenza di una fonte di calore supplementare in grado di integrare o fornire interamente la quantità di calore necessaria al riscaldamento degli ambienti che la pompa di calore ad aria non riesce a soddisfare.

2.1.2. Sorgente acqua

L’impiego di pompe di calore che utilizzano come sorgente di calore l’acqua (WSHP – Water Source Heat Pumps) è vincolato alla disponibilità della risorsa idrica in prossimità dell’impianto. La minore variazione termica stagionale dell’acqua garantisce efficienze maggiori rispetto alle pompe di calore che utilizzano la sorgente aria. Sia per le pompe di calore che sfruttano acqua superficiale che per quelle che utilizzano acqua di falda, si può prevedere un diretto utilizzo dell’acqua nello scambiatore termico della pompa di calore, incrementando l’efficienza. Nei casi in cui l’acqua però contenga sabbia, è buona norma installare uno scambiatore esterno.

Uno svantaggio dei sistemi che usano l’acqua come fonte di calore, nei confronti di quelli che usano l’aria è il loro maggior costo impiantistico iniziale per la parte estrazione di calore dalla sorgente: necessitano infatti di in circuito idrico con pompe di sollevamento e/o circolazione acqua, relative valvole e scambiatore esterno, della realizzazione di un pozzo artesiano e sistema di smaltimento acqua esausta nel caso di acqua di falda. In quest’ultimo caso, il prelievo di determinate portate deve essere compatibile con i tempi di ricarica della falda e deve essere autorizzato dalle autorità locali. Inoltre, la quantità di

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acqua necessaria all’impianto dipende dal fabbisogno termico da soddisfare, nonché dalle condizioni della sorgente: indicativamente per ogni kW di fabbisogno possono occorrere da 250 l/h fino a 400 l/h di acqua, a seconda della temperatura di estrazione.

2.2. ACCOPPIAMENTO POMPA DI CALORE – IMPIANTO

Per sfruttare al massimo i benefici, in termini di risparmio di energia primaria, che la pompa di calore può offrire è necessario considerare l’utilizzo di terminali a bassa temperatura. Facendo riferimento esclusivamente a impianti di piccola potenza che utilizzano come fluido vettore acqua, le soluzioni adottate più frequentemente si riducono a due:

 impianti a ventilconvettori che richiedono temperature di mandata mediamente di 45°C;

 impianti a pannelli radianti che utilizzano temperature di mandata di circa 35°C.

La condensazione del refrigerante, tramite la quale il calore viene trasferito alla sorgente calda (impianto), può avvenire in diversi tipi di scambiatori nei quali normalmente l'acqua dell'impianto scambia calore in contro corrente rispetto al refrigerante in cambiamento di fase. Negli impianti di piccola potenza si utilizzano prevalentemente scambiatori a piastre nei quali il fluido frigorigeno condensa ad temperatura costante di circa 5°C superiore rispetto alla temperatura di mandata dell'impianto. In ogni caso, tanto più elevata è la temperatura richiesta dall'impianto tanto minore è la potenza ad esso fornita. In queste condizioni, si avranno i massimi assorbimenti elettrici del compressore in quanto costretto a lavorare su grossi salti di pressione.

La scelta della taglia della pompa della pompa di calore che possa soddisfare la richiesta termica per il riscaldamento degli ambienti può essere operata basandosi su differenti criteri:

1. Pompa di calore che soddisfa l'intero fabbisogno energetico termico: in questo caso la macchina viene scelta in modo da poter soddisfare l'intera potenza termica richiesta alla temperatura di progetto. Il vantaggio di questa scelta sta

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nel fatto che non è necessario installare un generatore di calore (per esempio una caldaia a condensazione) da abbinare alla pompa di calore, risparmiando sull'investimento iniziale e sulla complicazione impiantistica. Il principale svantaggio è quello di far lavorare la macchina alla potenza nominale per un periodo molto limitato dell'anno, mentre per la restante parte della stagione di riscaldamento essa lavorerà in condizioni di più o meno marcata parzializzazione. Se la macchina viene dimensionata anche per la produzione di acqua calda sanitaria il problema descritto sarà ancora più gravoso perché la potenza installata è ancora maggiore;

2. Funzionamento alternato di pompa di calore e caldaia: in questo caso la PdC si disattiva al raggiungimento di una certa temperatura (balance-point), al di sotto della quale viene attivato un generatore di calore fino al carico di progetto. In questo modo si può scegliere una macchina di taglia minore e farla lavorare solo alle temperature esterne a cui corrispondono i COP più elevati;

3. Funzionamento in parallelo di PdC e caldaia: la PdC non viene disattivata al raggiungimento della temperatura di balance-point e viene attivato il generatore di integrazione per coprire il fabbisogno di calore residuo;

4. Funzionamento parzialmente in parallelo: la PdC non viene disattivata al raggiungimento della temperatura di balance-point e per temperature più rigide viene attivato il generatore di integrazione per fornire la potenza residua. Ad una temperatura ancora inferiore (di cut-off) la PdC viene disattivata e il generatore fornisce tutta la potenza richiesta.

I criteri di scelta 2,3,4 permettono l'installazione di macchine di taglia più piccola e lo sfruttamento delle stesse con COP maggiori, risultando più vantaggiosi dal punto di vista energetico. Inoltre l'energia richiesta alla caldaia per integrare la PdC è abbastanza contenuta in quanto le condizioni climatiche più sfavorevoli si verificano per un numero limitato di ore rispetto al totale delle ore di riscaldamento necessarie durante l'anno. Nell'ambito delle piccole potenze e alle nostre condizioni climatiche, tuttavia, la pompa di calore è spesso dimensionata sulla potenza termica massima dell'impianto in quanto la

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complicazione impiantistica e l'investimento iniziale dovuti l'installazione di un generatore di calore di integrazione non rendono conveniente quest'ultima soluzione.

2.3. ACCOPPIAMENTO POMPA DI CALORE – ACCUMULO

Accumulare energia termica prodotta da pompe di calore può essere una strategia vincente per sopperire a quelle che sono le principali limitazioni di questi generatori. Come appena visto, dimensionare la pompa di calore per la massima potenza richiesta dall’utilizzatore, può portare ad una serie di inconvenienti legati alla riduzione dei rendimenti nelle condizioni di funzionamento a carico ridotto. Un altro inconveniente è legato, invece, alla necessità di servire il carico in ogni condizione climatica esterna; ciò comporta, per le pompe di calore che utilizzano l’aria come sorgete termica, eccessive riduzioni di efficienza.

Per quanto riguarda invece la preparazione istantanea di acqua calda sanitaria, la pompa di calore, soprattutto se con sorgente aria, risulta indubbiamente inadeguata in quanto costretta a far fronte a picchi improvvisi di richiesta a temperature dell’ordine dei 40-45°C. A meno di non sovradimensionare in maniera eccessiva la pompa, di solito si ricorre a predisporre una caldaia quale generatore termico ausiliario o totalmente dedicato alla produzione di ACS.

Una soluzione alternativa potrebbe, invece, ottenersi, sia per soddisfare il carico di riscaldamento che per la produzione di ACS, rinunciando al back-up termico e predisponendo l’utilizzo di un accumulo. Tale soluzione consentirebbe, oltretutto, di ridurre la taglia della pompa di calore utilizzata a tutto vantaggio di una produzione termica meno intermittente e meno influenzata dalle fluttuazioni del carico e dall’utenza. Avendo a disposizione un certo volume di accumulo sarà possibile stoccare in quest’ultimo l’energia termica, prodotta non necessariamente nelle ore in cui il carico la richiede o per lo meno non nelle stesse quantità. Disaccoppiare, quindi, la produzione e l’utilizzo dell’energia termica potrebbe consentire un funzionamento della pompa di calore in condizioni più favorevoli sia dal punto di vista dell’efficienza che da quello dei costi di

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approvvigionamento dell’energia elettrica. Come mostrato nella figura seguente (fig. 2.4), per immettere energia termica nell’accumulo, esistono fondamentalmente due metodi:

 il metodo diretto consente di innalzare l’energia interna dell’accumulo per immissione diretta di portata con parallela pari estrazione; in questo modo è possibile ridurre il ΔT tra la portata scaldante e il fluido contenuto nell’accumulo ottenendo concreti vantaggi in termini di scambio termico e di riduzione di irreversibilità.

 nel riscaldamento indiretto invece il fluido scaldante non entra in contatto diretto con il fluido nell’accumulo; lo scambio di energia termica avviene dunque per mezzo di una superficie di scambio (b), solitamente un serpentino immerso nel volume d’accumulo; utilizzando un fluido ausiliario (c) che preleva il calore dal fluido scaldante in un apposito scambiatore e lo cede al fluido nell’accumulo per miscelamento; utilizzando la stessa superficie esterna dell’accumulo come superficie di scambio (d) predisponendo uno scambiatore a mantello che avvolge l’accumulo stesso.

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Se da una parte il riscaldamento indiretto consente di separare fisicamente il fluido scaldante da quello accumulato, dall’altra comporta maggiori perdite exergetiche nello scambio termico. Sarà necessario garantire un certo ΔT tra le temperature dei fluidi affinché si realizzi il trasferimento di energia termica. Per quanto riguarda, invece, il riscaldamento diretto, questo consente il caricamento di energia nell’accumulo per miscelazione, mandando il fluido scaldante a temperature non troppo distanti da quella del fluido di accumulo. Sarà necessario, tuttavia, che il fluido scaldante e quello di accumulo siano gli stessi. Nelle applicazioni di taglia medio-piccola le soluzioni impiantistiche più diffuse sono la (a) e la (b), in quanto più semplici e più facilmente gestibili.

2.4. POMPE DI CALORE A DOPPIO STADIO

Per migliorare il COP di una pompa di calore a semplice compressione, vi sono parecchie modifiche che possono essere attuate sul ciclo termodinamico, la più utile è quella di sfruttare un ciclo multistadio che presenta più di una fase di compressione. Il principale vantaggio di questo tipo di ciclo consiste nel fatto che essendovi la presenza di due o più compressori che lavorano a pressioni diverse, il rapporto di compressione gestito dal singolo compressore è più piccolo e quindi l’efficienza complessiva della compressione è incrementata. Questo vantaggio viene però contrastato dalla complicazione impiantistica e dell’architettura della macchina e, quindi, dai costi elevati soprattutto a causa dei due compressori. Vi sono comunque condizioni per le quali è termodinamicamente preferibile questa configurazione, anche se più complessa; quando il rapporto tra pressione di condensazione e di evaporazione è elevato (superiore circa a sei), il rendimento isoentropico del compressore diventa molto scadente. La soluzione a doppio stadio diventa, perciò, interessante per macchine che operano sotto grandi differenze tra temperatura di evaporazione e di condensazione, come le pompe di calore che producono acqua calda a temperature elevate.

Esistono diverse varianti del ciclo termodinamico multistadio, tuttavia, quella maggiormente utilizzata per far fronte alle penalizzazioni legate alle alte temperature di mandata richieste è la configurazione doppio stadio in cascata.

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Fig. 2.5 Schema di impianto della pompa di calore doppio stadio

La peculiarità di questo ciclo è che consente di utilizzare diversi fluidi refrigeranti, ognuno dei quali lavora a temperature diverse poiché deriva dall’accoppiamento di due cicli a singolo stadio di refrigerazione: il ciclo inferiore mantiene una temperatura di evaporazione bassa e produce l’effetto di refrigerazione, mentre il sistema superiore opera a temperatura di evaporazione più alta. I due sistemi sono collegati tra loro grazie ad uno scambiatore di calore che funziona da condensatore per il ciclo inferiore ed evaporatore per quello superiore. Tra i fluidi frigorigeni maggiormente utilizzati, i più noti sono sicuramente l’R410a per il ciclo a bassa pressione e l’R134a per quello ad alta pressione.

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3. DATI IN INPUT AL MODELLO

Nel presente lavoro di tesi, l’edificio preso in esame per la simulazione è una palestra situata nel comune di Torino. In base alla classificazione climatica dei comuni italiani, introdotta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 26 agosto 1993 (tabella A e successive modifiche ed integrazioni), è possibile indicare in quale periodo e per quante ore è possibile accendere il riscaldamento negli edifici.

Sono state fornite inoltre, per ciascun comune, le indicazioni sulla somma, estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento, delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura dell'ambiente, convenzionalmente fissata a 20 °C, e la temperatura media esterna giornaliera. Tale sommatoria è convenzionalmente utilizzata per indicare il fabbisogno termico tipico di una determinata area geografica.

𝐺𝐺 = ∑ (𝑇0− 𝑇𝑖) 𝑛

𝑖=1

Nella fattispecie:

𝑖 è il numero di giorni del periodo convenzionale di riscaldamento; 𝑇0 è la temperatura ambiente convenzionale (di solito pari a 20°C); 𝑇𝑖 è la temperatura media esterna giornaliera tale per cui 𝑇𝑖 < 𝑇0.

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Il comune di Torino si colloca in zona climatica E con 2617 gradi giorno. Si riportano di seguito le temperature di progetto, facendo riferimento alla norma dalle quali derivano, ovvero la UNI 10349 parte 2.

 𝑇𝑑𝑒𝑠_𝐻 = - 8 °C  𝑇𝑑𝑒𝑠_𝐶 = + 30.5 °C

Per quanto riguarda la temperatura interna, ai fini del calcolo del fabbisogno di energia per riscaldamento ed il raffrescamento dei locali, si assumono i seguenti valori tenendo conto della particolare destinazione d’uso dell’edificio:

 𝑇𝑖𝑛𝑡_𝐻 = 18 °C  𝑇𝑖𝑛𝑡_𝐶 = 24 °C

3.1. DATI CLIMATICI E IRRADIANZE

I dati climatici del modello fanno riferimento al database del Comitato Termotecnico Italiano, questo racchiude i dati climatici dell’anno tipo della maggior parte dei comuni italiani. L’anno tipo consiste in 12 mesi caratteristici scelti da un database di dati meteorologici di un periodo che dovrebbe essere preferibilmente ampio almeno 10 anni. La metodologia di calcolo utilizzata è quella riportata nella norma europea EN ISO 15927-4 “Hygrothermal performance of buildings - Calculation and presentation of climatic data - Part 4: Hourly data for assessing the annual energy use for heating and cooling”. Nello specifico sono stati utilizzati i dati riguardanti:

 Temperatura dell’aria esterna;

 Irradianza solare sul piano orizzontale (diretta, diffusa e totale).

La città di Torino è caratterizzata da rilevanti carichi invernali a causa del clima piuttosto rigido tipico della zona subalpina e da carichi estivi non particolarmente gravosi. Si riporta di seguito l’andamento della temperatura dell’aria esterna, che caratterizza l’anno climatico tipo, ricavato dai dati del CTI.

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Fig. 3.1 Andamento della temperatura dell'aria esterna

3.2. MODELLO OCCUPAZIONALE

Per quanto riguarda il profilo di occupazione della palestra, si è scelto di differenziare i giorni dal lunedì al venerdì dal sabato e dalla domenica, che rappresenta il giorno di chiusura settimanale. Il sabato viene effettuato, invece, un orario di apertura ridotto limitato alla sola fascia mattutina. Si ricaverà un vettore che considera, di ora in ora, il numero di utenti che utilizzano la palestra. Tale profilo di occupazione è stato mantenuto costante su tutto l’anno, non tenendo in considerazione i giorni festivi (ad esclusione delle domeniche) o eventuali periodi di sospensione dell’attività.

0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 -10 -5 0 5 10 15 20 25 30 35 hours °C

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 Giorni dal Lunedì al Venerdì

Fig. 3.2 Profilo di occupazione della palestra per i giorni dal lunedì al venerdì  Sabato

Fig. 3.3 Profilo di occupazione della palestra relativo al sabato

00:000 03:00 06:00 09:00 12:00 15:00 18:00 21:00 24:00 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 hours

From Monday to Friday

00:000 03:00 06:00 09:00 12:00 15:00 18:00 21:00 24:00 5 10 15 20 25 hours Saturday

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3.3. PROFILO UTILIZZO DELLE DOCCE

Prendendo i passi da alcune stime, si è tenuto conto del fatto che all’incirca il 75% degli occupanti della palestra usufruisce della doccia a fine allenamento. Per questo motivo, il profilo di utilizzo delle docce, in termini di numero di utilizzatori, risulta del tutto simile a quello occupazionale. Si differenzia da quest’ultimo solo per due fattori: è ridotto del 25% e sfasato, in termini temporali, di un’ora in ritardo.

Gli impianti più moderni utilizzano solitamente docce temporizzate che riducono gli eccessi (intesi sotto forma di sovra-utilizzi) di acqua utilizzata consentendo sostanziali risparmi sia nei costi di approvvigionamento della risorsa idrica e sia in termini di energia primaria per portare in temperatura una maggiore quantità di acqua. Si riportano di seguito i parametri scelti per le docce temporizzate:

 Durata singola doccia: 3,5 minuti;  Portata media: 10 l/min;

 Temperatura richiesta: 40 °C.

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4. DETERMINAZIONE DELLE RICHIESTE ENERGETICHE

Le richieste energetiche di un edificio variano continuamente durante il corso dell’anno; la dipendenza dal tempo è, infatti, uno degli elementi che contraddistingue le utenze del settore civile da quelle del settore industriale. Tale variabilità è legata sia alle fluttuazioni delle condizioni climatiche che al grado di fruizione dei locali dell’edificio da parte degli utenti. Per analizzare le prestazioni dei sistemi di generazione è quindi necessario poter disporre delle richieste energetiche con un sufficiente grado di discretizzazione temporale, in modo tale da valutarne entità e contemporaneità. Dell’edificio in esame, sono state prese in considerazione le seguenti richieste energetiche:

 Riscaldamento degli ambienti;  Raffrescamento degli ambienti;  Acqua calda sanitaria.

Non verranno analizzate invece le richieste di energia elettrica ai fini di illuminazione e quelle di trattamento dell’aria.

4.1. RICHIESTE DI HEATING E COOLING ATTRAVERSO IL METODO DELLA

FIRMA ENERGETICA

Al fine di determinare, su base oraria, l’andamento delle richieste di energia termica per il riscaldamento e il raffrescamento dell’edificio viene utilizzato un metodo ben noto in letteratura, la Firma Energetica. Il suo utilizzo permette di correlare, in modo abbastanza semplice, le richieste energetiche dell’edificio alla sue specifiche geometriche e proprietà termofisiche, nonché alla temperatura dell’aria esterna. Il metodo utilizzato nella trattazione, tiene conto degli apporti termici sensibili dell’utenza traslando, verso il basso o verso l'alto (a seconda della stagione), i valori ottenuti dalla firma energetica classica. Tale accorgimento è molto utile in tutte quelle destinazioni d’uso che prevedono forte presenza di utenti, o comunque consistenti apporti gratuiti.

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