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Il dolore nel paziente oncologico: aspetti epidemiologici, clinici e gestionali

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Academic year: 2021

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(1)

Università di Pisa

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie

in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

I

L DOLORE NEL PAZIENTE ONCOLOGICO

:

ASPETTI EPIDEMIOLOGICI

,

CLINICI E GESTIONALI

Candidata:

Alessandra Nacchia

Relatore:

Prof. Alfredo Falcone Correlatore:

(2)
(3)

I

NDICE

RIASSUNTO ... 6

1. IL DOLORE E LE SUE DIMENSIONI ... 10

1.1DAL PASSATO AL PRESENTE ... 10

1.1.1 Etimologia della parola ... 10

1.1.2 Definizione moderna ... 11

1.2IMPATTO DEL DOLORE DA CANCRO ... 12

1.2.1 Epidemiologia ... 12

1.2.2 Conseguenze del dolore nel paziente oncologico ... 13

1.3NORMATIVA VIGENTE ... 14

1.3.1 Legge 38 2010 ... 14

1.3.2 Un diritto sconosciuto ... 15

2. FISIOPATOLOGIA DEL DOLORE ... 16

2.1DALLA SPECIFICITY THEORY AL GATE CONTROL ... 16

2.1.1 “Specificity Theory” ... 16

2.1.2 “Intensity Theory” ... 18

2.1.3 Le basi della Nocicezione e la “Gate Control Theory” ... 19

2.2FISIOLOGIA DEL DOLORE ... 19

2.2.1 Recettori periferici ... 19

2.2.2 Vie ascendenti del dolore ... 21

2.2.3 Connessioni centrali ... 22

2.2.4 Modulazione del dolore ... 22

2.3IL DOLORE PATOLOGICO ... 23

2.3.1 Sensibilizzazione periferica ... 23

2.3.2 Sensibilizzazione centrale ... 24

3. SINDROMI DOLOROSE NEL PAZIENTE ONCOLOGICO ... 26

3.1SINDROMI DOLOROSE ACUTE ... 27

3.1.1 Dolore acuto associato a procedure diagnostiche e terapeutiche ... 27

3.1.2 Dolore acuto associato al trattamento antineoplastico ... 28

3.2SINDROMI DOLOROSE CRONICHE ... 29

3.2.1 Dolore cronico associato al trattamento antineoplastico ... 29

3.2.2 Dolore cronico legato alla neoplasia ... 29

3.3DOLORE OSSEO ... 32

(4)

3.5BREAKTHROUGH CANCER PAIN (BTCP) ... 37

3.5.1 Sottotipi di BTcP ... 38

4. VALUTAZIONE DEL DOLORE DA CANCRO ... 40

4.1APPROCCIO AL PAZIENTE ... 40

4.1.1 Principali difficoltà ... 41

4.1.2 La sintomatologia dolorosa ... 41

4.2MISURARE L’INTENSITÀ DEL DOLORE ... 42

4.2.1 Scale di intensità ... 43

4.2.2 Questionari multidimensionali ... 44

4.2.3 Quante misurazioni? ... 48

4.3MISURE DI OUTCOME ... 48

5. PRINCIPI DI FARMACOLOGIA DEL DOLORE ... 50

5.1SCALE ANALGESICHE ... 50

5.2ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI ... 52

5.2.1 Meccanismo d’azione ... 53

5.2.2 Effetti collaterali ... 55

5.3GENERALITÀ SUGLI ANALGESICI OPPIOIDI ... 57

5.3.1 Recettori per gli oppioidi ... 58

5.3.2 Effetti collaterali ... 59 5.3.3 Tolleranza e dipendenza ... 62 5.4OPPIOIDI DEBOLI ... 63 5.5OPPIOIDI FORTI ... 64 5.5.1 Morfina ... 64 5.5.2 Ossicodone ... 66 5.5.3 Buprenorfina ... 67 5.5.4 Idromorfone ... 67 5.5.5 Fentanyl ... 68 5.5.6 Metadone ... 68

5.6TRATTAMENTO DEL BREAKTHROUGH PAIN ... 69

5.7FARMACI ADIUVANTI ... 70

5.7.1 Antidepressivi ... 70

5.7.2 Anticonvulsivanti ... 70

5.7.3 Corticosteroidi ... 71

5.8ALTRE STRATEGIE ... 71

6. ASPETTI EPIDEMIOLOGICI, CLINICI E GESTIONALI DEL DOLORE CANCRO-CORRELATO ... 74

(5)

6.2MATERIALI E METODI ... 75

6.3ANALISI DEI DATI ... 77

6.3.1 Analisi statistica ... 77

6.4RISULTATI ... 77

6.4.1 Caratteristiche del paziente ... 77

6.4.2 Terapia del dolore ... 83

6.5DISCUSSIONE ... 90

6.6CONCLUSIONI ... 92

BIBLIOGRAFIA ... 94

(6)

R

IASSUNTO

Introduzione: il dolore cronico da cancro è un fenomeno complesso e multifattoriale che interessa la maggior parte dei pazienti in fase avanzata di malattia. Nel 70–80% dei casi è causato dalla malattia stessa o dalla sua progressione, nel restante 15–20% è secondario ai trattamenti antitumorali (chirurgia, radioterapia, chemioterapia) o alle procedure diagnostiche. A seconda del meccanismo con cui viene prodotto si può classificare in nocicettivo e neuropatico. Il dolore nocicettivo può essere somatico (interessamento ad es. di cute e muscoli), ben localizzato, oppure viscerale (interessamento di organi toracici e/o addominali), diffuso, spesso riferito. Il dolore neuropatico deriva invece dall’interessamento delle strutture nervose periferiche o centrali; si accompagna spesso a perdita di sensibilità, iperalgesia e allodinia. Un’esacerbazione transitoria del dolore controllato dalla terapia con oppioidi viene definito breakthrough cancer pain (BTcP); può essere incidentale o spontaneo e viene trattato con farmaci a rapida insorgenza d’azione e al bisogno.

Una valutazione completa del dolore rappresenta il primo passo per un corretto management del paziente; le linee guida delle Società Scientifiche raccomandano di eseguire un adeguato colloquio valutando l’intensità del sintomo attraverso scale mono e multi-dimensionali standardizzate (es. Scala numerica NRS con punteggio 0-10). È così possibile impostare una adeguata strategia terapeutica seguendo la scala analgesica a tre gradini proposta dalla World Health Organization (WHO). Per dolore di intensità lieve (1–4) sono sufficienti farmaci tipo FANS ± paracetamolo ± adiuvanti; se l’intensità è moderata (5–6) si utilizzano oppioidi minori ± FANS o paracetamolo ± adiuvanti, mentre nel dolore severo (7–10) sono indicati oppioidi maggiori ±

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oppiodi forti al bisogno per via transmucosale ed a rapida insorgenza d’azione.

Scopo: obiettivo principale dello studio è stata l’analisi retrospettiva della gestione del dolore oncologico nelle UUOO di Oncologia Medica dell’AOUP. Materiali e metodi: sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti afferenti all’ambulatorio CORD (Centro Oncologico di Riferimento Dipartimentale) di Terapia Antalgica dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa presso il Polo Oncologico, nel periodo maggio 2017 – maggio 2018. Sono state valutate le caratteristiche dei pazienti e le tipologie di tumori più frequentemente interessati, le caratteristiche del dolore (per sede, intensità e descrizione soggettiva) e la terapia antalgica utilizzata. Gli obiettivi secondari hanno preso in esame la presenza di una corretta valutazione del dolore in cartella clinica e la concordanza/discordanza tra differenti specialisti in merito alla terapia prescritta.

Risultati: sono stati inclusi nello studio 167 pazienti, con età compresa tra 23 e 91 anni (mediana 65). I tumori più frequenti sono stati: mammella 21%, genito-urinari (prostata, rene, vescica) 14%, colo-rettali 13%, ginecologici (endometrio, utero, ovaie) 13%, pancreas 12%, polmone 7% e stomaco 6%. Più dei due terzi dei pazienti avevano una diagnosi di malattia metastatica (68%), localmente avanzata nel 20%, e circa il 12% localizzata. Dei 111 pazienti con malattia avanzata più della metà (52%) presentava metastasi ossee; a seguire fegato (41%), polmone (28%), peritoneo (24%) ed encefalo (5%). Il 71% dei pazienti ha subito un intervento chirurgico, mentre hanno fatto chemioterapia e radioterapia rispettivamente il 95 e 45% dei pazienti.

Per quanto riguarda la distribuzione per sede, il dolore è stato nell’80% a livello lombosacrale irradiato agli arti inferiori, addominale o con

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visto impiegati frequentemente gli oppioidi maggiori (80% dei casi): solo il 20% dei soggetti trattati con questi presentava un sintomo moderato-grave, il 29% lieve, mentre il 51% non è stato valutato. Tra gli oppioidi minori, l’associazione codeina-paracetamolo è stata preferita rispetto al tramadolo. Tra gli oppioidi maggiori, sono stati prevalentemente prescritti buprenorfina transdermica (28%) e ossicodone-naloxone (24%); a seguire tapentadolo (13%), morfina orale a lento rilascio (11%), fentanyl transdermico (9%) e ossicodone (9%). Nei rimanenti pazienti sono stati utilizzati idromorfone (4%) e ossicodone a rilascio rapido (2%). Pregabalin e gabapentin sono gli adiuvanti più prescritti sia da soli che in associazione. Le formulazioni a base di fentanyl predominano nel trattamento del breakthrough cancer pain (75%) contro il 15% di morfina orale a breve rilascio. Il primo prescrittore di farmaci analgesici è l’oncologo (46%) seguito dal terapista del dolore (44%) e altri specialisti ospedalieri dell’AOUP (10%). Ciò che prevale è la discordanza tra i pareri dei prescrittori, riscontrata nel 65% dei pazienti.

Conclusioni: il paziente oncologico che presenta dolore è un malato complesso, di età avanzata e con malattia spesso metastatica, sottoposto a diverse tipologie di trattamento. Esiste spesso una relazione tra la sintomatologia e la sede di metastasi: la localizzazione più frequente è lo scheletro, seguito dai visceri addominali e toracici; il dolore è localizzato a livello lombosacrale o addominale in oltre la metà dei pazienti. Nella nostra casistica, in circa la meta dei pazienti non è stata fatta alcuna valutazione del dolore e si è osservato un eccessivo utilizzo di oppioidi maggiori nonostante la bassa percentuale di pazienti con sintomatologia severa (NRS > 7). Da considerare che differenti medici specialisti prendono parte alla gestione del malato oncologico e la corretta valutazione e monitoraggio della sintomatologia, attraverso strumenti standardizzati, potrebbe evitare eventuali discordanze prescrittive e gestionali. Il sintomo richiede un trattamento precoce e continuativo, nonché un’adeguata conoscenza delle

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sanitario con una maggiore attenzione alle linee guida delle società scientifiche e alla scala analgesica del WHO. L’ulteriore attivazione e il potenziamento di percorsi in tema di cure palliative e terapia del dolore, in ottemperanza a quanto richiesto dalla Legge 38/2010, consentirebbe di migliorare la formazione di ogni operatore medico-sanitario. L’attività svolta dall’ambulatorio di Terapia del dolore presso il Polo Oncologico mira a ridurre queste problematiche e la sua implementazione potrebbe consentire un ulteriore miglioramento in termini di qualità della vita dei pazienti oncologici.

(10)

1.

I

L DOLORE E LE SUE DIMENSIONI

I think the simplest and probably the best definition of pain is what the patient says hurts. I think that they may be expressing a very multi-faceted thing. They may have physical, psychological, family, social and spiritual things all wound up in this one whole experience. But I think we should believe people and once you believe somebody you can begin to understand, and perhaps tease out the various elements that are making up the pain.

Cicely Saunders

“Penso che la più semplice e probabilmente miglior definizione di dolore sia ciò che il paziente riferisce come doloroso. Penso che possano esprimere una realtà multisfaccettata. Fattori fisici, psicologici, familiari, sociali e spirituali possono essere tutti riuniti in questa singola esperienza. Penso che dovremmo credere alle persone e una volta che hai fede in qualcuno puoi iniziare a comprendere, e forse districare i vari elementi che alimentano il dolore.”

1.1DAL PASSATO AL PRESENTE

1.1.1 Etimologia della parola

Il concetto di dolore si è evoluto nel corso della storia, mantenendo sempre una forte connotazione psicologica; infatti àlgos, che rappresenta il dolore fisico nel greco antico, deriva dal verbo alghèō, ossia soffrire. Nelle rappresentazioni di Esiodo, Algea viene usato al plurale per rappresentare i demoni della discordia e della pena, figlie di Eris, dea della

(11)

Il greco da origine anche alla parola inglese pain e al latino poena: la radice comune è poinê, riferito al pegno di sangue che doveva essere pagato per espiare al reato di omicidio; da qui l’italiano pena come “ammenda, castigo, punizione inflitti a chi ha commesso una colpa, causato un danno e sim.”; ma anche “patimento, afflizione, dolore, dispiacere, anche quando non siano o non appaiano punizione di una colpa” [1] a sottolineare il significato psichico che questa parola ha assunto e assume tutt’oggi.

Lo stesso si ritrova nella definizione di dolore “qualunque sensazione soggettiva di sofferenza provocata da un male fisico” e ancora “patimento dell’animo, strazio, sofferenza morale” [1]; dal latino dolor-ōris che deriva da doleo, “sento male, soffro”.

1.1.2 Definizione moderna

Pioniera nel managment infermieristico del dolore oncologico, nel 1968 Margo McCaffery definiva il dolore come “qualsiasi cosa la persona sofferente sostiene che lo sia, presente ogni volta e ovunque questa persona lo riferisca”. Circa dieci anni più tardi, nel 1979, la IASP (International Association for the Study of Pain) introduce la definizione ad oggi più in uso:

Pain is an unpleasant sensory and emotional experience associated with actual or potential tissue damage, or described in terms of such damage.

“Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di tale danno.”

(12)

fisico-fenomeno complesso e multifattoriale che presenta molteplici origini: fisica, sociale, psicologica e spirituale.

Il total pain è diventato nel tempo un principio fondamentale delle Cure Palliative e dell’Oncologia, sottolineando quanto questo richieda un approccio multidisciplinare e non possa fermarsi alla semplice cura del sintomo dolore; laddove possibile, il trattamento medico andrebbe affiancato anche ad un supporto psicologico e spirituale.

1.2IMPATTO DEL DOLORE DA CANCRO

1.2.1 Epidemiologia

È stato osservato attraverso un’analisi sistematica di 52 studi che la prevalenza del dolore da cancro varia dal 33% nei soggetti che hanno ricevuto interventi curativi al 64% nei pazienti in fase avanzata o terminale di malattia [2]. Il distretto testa-collo è maggiormente interessato, con una prevalenza del dolore pari al 70%; a seguire troviamo i tumori ginecologici (60%), gastrointestinali (59%), il carcinoma polmonare (55%), della mammella (54%) e del tratto urogenitale (52%) [3].

Dagli studi sulla valutazione dell’intensità del sintomo è emerso che nel 31-45% dei casi i pazienti descrivono il dolore come moderato o severo.

In una recente review, è stato stimato che la prevalenza di Breakthrough cancer pain (BTcP) si attesta attorno al 39%, come in precedenti pubblicazioni (35%). La cosa interessante emersa dallo studio è che un singolo paziente può presentare più di un tipo di BTcP: in particolare, grazie all’applicazione della ESC-CP (Edmonton Classification System for Cancer Pain), sono stati descritti 488 differenti tipi di dolore episodico in un gruppo di 277 pazienti. [4].

(13)

I tumori più frequentemente associati a dolore episodico sono quelli genitourinari (28,8%), gastroenterici (19,4%), seguiti da mammella, polmone e testa-collo [5].

1.2.2 Conseguenze del dolore nel paziente oncologico

Il dolore ha un impatto estremamente negativo sui pazienti oncologici, in termini di qualità della vita, aderenza alle terapie e soddisfazione per le cure; ciò influenza non solo il malato ma anche, indirettamente, familiari e caregivers.

Insonnia, fatica, riduzione dell’attività quotidiana sono tipicamente associati al dolore; dal punto di vista psicologico, ansia e depressione possono portare il paziente a ridurre le interazioni familiari e sociali nonché la capacità di prendersi cura di sé col rischio di peggiorare la durata e la severità del dolore stesso.

In oltre la metà dei soggetti non c’è una completa aderenza alla terapia antalgica: ciò è legato sia alla complessità dei regimi terapeutici da intraprendere, sia alla comparsa di effetti collaterali che portano il paziente a interrompere i farmaci troppo precocemente. Alcuni riferiscono di curarsi in maniera subottimale per timore di incorrere nella “dipendenza da oppioidi”. Il dolore cronico non controllato porta ad un aumento delle ospedalizzazioni con conseguenze negative anche sul trattamento antitumorale, che può essere ritardato o ridotto peggiorando così la prognosi dei pazienti. Negli Stati Uniti, la spesa totale associata a dolore cronico ha superato i 635 miliardi di dollari nel 2010; i costi sanitari legati al cancro, nello stesso anno, hanno raggiunto i 124.5 miliardi di dollari e si stima che possano aumentare a 172.8 miliardi entro

(14)

In Europa, il costo totale del dolore cronico è risultato pari a 300 miliardi di euro nel 2015, di cui 500 milioni dovuti ai costi indiretti, in particolare all’assenteismo dal lavoro. In Italia, la spesa ha raggiunto i 36,4 miliardi di euro annui (2,3% del PIL) [6].

1.3NORMATIVA VIGENTE

1.3.1 Legge 38 2010

L’accesso alla Terapia del dolore e alle Cure palliative è garantito dalla legge n. 38 approvata nel marzo del 2010, al fine di assicurare “il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze”; i tre principi fondamentali su cui si basa il testo sono:

• La tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione.

• La tutela e la promozione della qualità della vita fino al suo termine. • Un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona

malata e della famiglia.

Ricordiamo gli articoli principali della normativa: Art. 4 – Campagne di informazione.

Art. 5 – Reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore. Art. 6 – Progetto “Ospedale-Territorio senza dolore”.

(15)

Art. 9 – Monitoraggio ministeriale per le cure palliative e per la terapia del dolore.

Art. 10 – Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati.

1.3.2 Un diritto sconosciuto

“Due italiani su tre non conoscono la Legge 38/2010”: questi i dati che emergono dall’indagine della Fondazione Nazionale “Gigi Ghirotti” effettuata sul territorio nazionale nel marzo 2017. Secondo lo studio, ben il 63% dei cittadini non è a conoscenza della normativa e solo il 35% viene indirizzato a visita specialistica dal proprio medico di base [7].

Rispetto al passato – grazie all’atto ministeriale e alle campagne istituite annualmente, come la giornata del sollievo – la consapevolezza che il dolore debba essere lenito è aumentata, ma i dati non sono comunque confortanti: anche in ambito medico-sanitario, infatti, la conoscenza e l’approfondimento di tale argomento risultano limitati. Circa il 30% degli operatori sanitari non è informato sull’esistenza di una regolamentazione in tal senso, e non più del 10% degli studenti di Medicina sa che cosa si intende per “cure palliative” [8]. Informazione e comunicazione si confermano strumenti importanti, da utilizzare in ottica di un potenziamento della collaborazione tra professionisti. Questi, però, non dovrebbero essere limitati all’ambito della professione medica specialistica; l’educazione al “dolore malattia” dovrebbe essere raccomandata già nel periodo di formazione universitario.

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2.

F

ISIOPATOLOGIA DEL DOLORE

It is a shame that we possess such insufficient knowledge concerning the character of pain—those symptoms which represent the essential part of all bodily suffering of man.

Goldscheider

“È una vergogna possedere una tale insufficiente conoscenza riguardo la natura del dolore – quel sintomo che rappresenta la parte essenziale di tutta la sofferenza corporale umana.”

2.1DALLA SPECIFICITY THEORY AL GATE CONTROL

Negli ultimi secoli sono state postulate numerose teorie che spiegassero i meccanismi sottostanti alla percezione del dolore; già nel XVII secolo, René Descartes aveva intuito la presenza di specifici pathways che dalla periferia portavano lo stimolo nocivo alla corteccia, dove questo veniva elaborato. Gli studi successivi hanno permesso di approfondire le vie implicate nella trasmissione nocicettiva, riconoscendo la presenza di specifici recettori, di fibre afferenti ed efferenti: si è passati così dal concetto Aristotelico di “dolore come emozione” (caratteristica della mente) a quello di “dolore come sensazione” (percezione del corpo).

2.1.1 “Specificity Theory”

(17)

neurologici della trasduzione sensoriale – la nocicezione – dall’esperienza stessa.

Egli infatti riconosce la presenza di strutture tubulari vuote in grado di trasportare informazioni sensitive e motorie una volta stimolate (Fig. 2.1); lo stimolo consente l’apertura di un cancello e, di conseguenza, il passaggio dell’informazione dalla periferia al cervello.

Nello specifico, sulla base dei concetti di Descartes e degli studi anatomici di La Forge, esistono delle fibre che dalla periferia si portano al midollo spinale e da qui al cervello; la fibra è assimilata a una corda la quale, una volta “stirata” dallo stimolo periferico, suona una campana che consente l’apertura del cancello e la liberazione di uno spirito animale. Questo spirito, così liberato, può portarsi tra i muscoli consentendo la risposta motoria di protezione e allontanamento dalla fonte dolorosa. Il dolore, in particolare, nasce quando le fibre vengono stirate con forza ed è assente se lo stimolo non è così forte da rompere tali fibre.

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All’inizio del 1800, Charles Bell fornisce una prospettiva alternativa all’organizzazione del sistema nervoso, gettando le basi per il moderno concetto di Specificity Theory.

Secondo Bell, infatti, il cervello è una struttura eterogenea e non unicamente sensitiva come credeva Descartes; inoltre, i nervi non si presentano come fibre uniche, ma come fasci intrecciati di strutture ognuna specializzata al trasporto di uno specifico stimolo. Rimane invariato il concetto che, dalla periferia, l’informazione viene trasportata attraverso una via dedicata all’area cerebrale sensitiva coinvolta nella sua elaborazione.

Un ulteriore contributo viene dato dal francese Magendie, che conferma l’esistenza di pattern specifici per la trasmissione degli stimoli sensitivi e motori; egli riconosce, in più, che le due vie entrano ed escono dal midollo spinale in maniera separata, rispettivamente alle radici posteriori (o sensitive) e alle radici anteriori (o motorie). Questa differenziazione prende il nome di Legge di Bell-Magendie.

Grazie agli studi di Blix e Goldscheider, si scopre l’esistenza di piccole aree a livello cutaneo in grado di rispondere a stimoli specifici (caldo, freddo, pressione e dolore). Tra il 1894 e 1896, Max von Frey approfondisce gli studi di questi spots, distinguendo la presenza di aree che rispondono a stimoli pressori innocui o nocivi in maniera specifica.

2.1.2 “Intensity Theory”

Nel 1859 Bernhard Naunyn, studiando pazienti con sifilide e degenerazione della colonna dorsale, osserva che la ripetizione di stimoli di qualsiasi tipo (elettrici, ma anche tattili) evoca nei soggetti quello che viene definito “un dolore insopportabile”. Sulla base di questo studio Goldscheider suggerisce che debba esistere una sorta di modello di sommazione degli effetti: molteplici

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provocare dolore; l’insieme di questi stimoli converge e si somma a livello della sostanza grigia del midollo spinale.

2.1.3 Le basi della Nocicezione e la “Gate Control Theory”

È Charles Scott Sherrington, sulla base degli assunti della Specificity Theory, a gettare le basi della nocicezione. Nei primi del ‘900, attraverso gli studi degli archi riflessi, riconosce anch’egli la specificità dei neuroni per i quattro stimoli descritti da von Frey e postula che il comportamento animale derivi dall’interazione di questi specifici neuroni.

Tramite un metodo scientifico innovativo, Sherrington giunge così alla conclusione che “the main function of the receptor is [. . .] to lower the excitability threshold of the [reflex] arc for one kind of stimulus and heighten it for all others”. Con questa affermazione, egli trova un punto di fusione tra la Specificity Theory (esistono specifici pain points, recettori specifici per il dolore) e la Intensity Theory (la stimolazione somato-sensoriale può essere eccessiva e questo attiva un arco riflesso che risponde al dolore).

Nel 1903 sempre Sherrington conia il termine nocicipient, più tardi chiamato nocicettore.

La Specificity Theory rimane la teoria sul dolore dominante per molti anni; la sua definizione viene abbandonata solo nel 1965, grazie alle scoperte di Melzack e Wall e alla Teoria del Cancello [9].

2.2FISIOLOGIA DEL DOLORE

(20)

trovano ampiamente diffuse a livello cutaneo, muscolare, articolare e sulle pareti di vasi e organi cavi [10]. Non sono attivati, in condizioni fisiologiche, da stimoli di bassa intensità: sono, infatti, recettori ad alta soglia che rispondono solo a stimoli di sufficiente energia.

Un danno tissutale stimola la liberazione di mediatori chimici come prostaglandine, leucotrieni, serotonina, bradichinina, sostanza P, Nerve Growth Factor (NGF) e catecolamine.

Tutte queste sostanze mediano l’attivazione periferica dei nocicettori, convertita in attività elettrica grazie alla presenza di recettori molecolari eterogenei, come canali ionici polimodali; i mediatori del danno sono quindi in grado di attivare la trasduzione del segnale grazie all’ingresso di ioni quali Ca2+ e Na+, ad esempio attraverso i canali TRP (Transient Receptor Potential). Il

più famoso di questa famiglia è il TRPV1, recettore stimolato da H+, calore e

dalla capsaicina.

Da qui lo stimolo prosegue il suo percorso attraverso fibre nervose primarie o afferenti, le quali possono essere classificate, in base alla velocità di conduzione, in:

• Ad: fibre mielinizzate, velocità di conduzione 20 m/s • C: fibre non mielinizzate, velocità di conduzione 2 m/s

Le fibre Ad sono suddivise a loro volta in tipo I, sensibili a stimoli meccanici e chimici, e tipo II, responsabili della trasmissione di stimoli termici.

Le fibre C mediano insulti sia di tipo meccanico che di tipo chimico, e sono associate al dolore poco localizzato [11].

(21)

2.2.2 Vie ascendenti del dolore

Le fibre primarie si portano al Sistema Nervoso Centrale (SNC) del midollo spinale attraverso il corno dorsale; le fibre C creano sinapsi a livello delle lamine I e II, mentre le fibre Ad sinaptano nelle lamine I e V.

Quando il segnale raggiunge la terminazione centrale della fibra, la depolarizzazione di membrana apre i canali del calcio di tipo N; l’ingresso del Ca2+ consente il rilascio dei principali mediatori centrali, glutammato e

sostanza P. Il glutammato attiva i recettori post-sinaptici AMPA e kainato, la sostanza P agisce sui recettori post-sinaptici NK.

La maggior parte delle sinapsi con le fibre secondarie avviene a livello delle lamine II (sostanza gelatinosa) e V (nucleo proprio): nelle lamine I e II sono presenti neuroni specifici (NS, Nociceptive Specific) che rispondono selettivamente agli stimoli dolorifici, mentre nella lamina V ritroviamo neuroni ad ampio spettro dinamico (WDR, Wide Dynamic Range), capaci di rispondere sia a stimoli nocivi – tramite le fibre Ad e C – che non nocivi – mediati dalle fibre Ab.

Qui, inoltre, arrivano anche input di tipo viscerale; la convergenza di stimoli somatici e viscerali spiega il fenomeno del “dolore riferito” [11].

Da qui partono le fibre secondarie ascendenti che costituiscono nell’insieme il fascio spino-talamico, il quale si proietta al nucleo ventrale postero-laterale del talamo: questo è il tratto implicato nella trasmissione del dolore per quanto concerne l’aspetto sensoriale-discriminativo.

Gli aspetti affettivi ed emotivi del dolore sembrano mediati da proiezioni del tratto spino-talamico alla zona mediale del talamo alle aree spino-reticolare e spino-mesencefalica [12].

(22)

2.2.3 Connessioni centrali

Dal talamo, fibre di terzo ordine proiettano alla corteccia somato-sensoriale primaria; connessioni con la corteccia somato-sensoriale secondaria consentono di integrare il dolore con input di altra natura, quali visivi e uditivi.

2.2.4 Modulazione del dolore

Nel corno posteriore, a livello della lamina V arrivano impulsi dalle fibre Ad e dalle fibre Ab; queste ultime, in particolare, trasportano l’informazione propriocettiva derivante, ad esempio, dal tatto.

È a questo livello che si realizza la Teoria del Cancello, postulata da Melzack e Wall: uno stimolo non doloroso, a livello della lamina V, è in grado di modulare la trasmissione dell’informazione nocicettiva verso la corteccia; in particolare, un interneurone inibitorio a questo livello, stimolato dall’attivazione di una fibra Ab (non nocicettiva), è in grado di regolare in senso negativo una fibra C (nocicettiva) che sta trasportando lo stimolo doloroso.

A seguito di questa scoperta, è stato possibile chiarire anche i meccanismi discendenti con cui le vie del dolore vengono modulate; i nuclei del rafe e il grigio periacqueduttale contengono encefaline, endorfine e dinorfine in alte concentrazioni, sostanze che agiscono riducendo l’input dolorifico attraverso pathways discendenti. A partire dal tronco encefalico, tramite i cordoni postero-laterali, gli assoni si portano al corno dorsale del midollo spinale, in particolare alle lamine I, II e V [11].

Gli oppioidi si legano lungo tali vie ai recettori specifici, mimando l’azione delle molecole endogene; è stato dimostrato infatti che iniettando oppioidi a

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livello del grigio periacqueduttale o del nucleo magno del rafe, si induce una potente analgesia.

Nel meccanismo di modulazione discendente del dolore sembrano implicati anche il sistema serotoninergico e noradrenergico: infatti, recettori a2

adrenergici sono stati individuati nella sostanza gelatinosa del corno posteriore; l’attivazione di questi recettori inibisce la scarica dei neuroni attivati dalle fibre Ad e C.

A questo livello, dunque, si esplica l’azione di farmaci inibitori del reuptake di serotonina-noradrenalina e degli antidepressivi triciclici, usati anche nella terapia del dolore [12].

2.3IL DOLORE PATOLOGICO

Il dolore cronico è un tipico esempio di dolore patologico, un sintomo che acquista le caratteristiche di “malattia” prolungata e debilitante che spesso supera i sei mesi. I processi alla base sono ancora poco conosciuti, ma si è visto che meccanismi di sensibilizzazione periferica e centrale contribuiscono alla genesi di ipersensibilità, iperalgesia e allodinia.

2.3.1 Sensibilizzazione periferica

Una lesione nervosa periferica può portare a modificazioni nella funzione o rigenerazione aberrante con sviluppo di ipersensibilità del nervo, il quale inizia a rispondere a stimoli termici, chimici o meccanici altrimenti innocui. Alla base di questo fenomeno è presente l’attivazione di diversi tipi di cellule (macrofagi, mastociti, piastrine, fibroblasti), le quali liberano una serie di

(24)

Il legame delle molecole con gli specifici recettori provoca un incremento dell’eccitabilità del nervo sensitivo periferico; in più, la terminazione nocicettiva può rilasciare sostanza P e CGRP (Calcitonin Gene-Related Peptide), associati alla componente infiammatoria neurogenica e all’iperalgesia periferica [11].

2.3.2 Sensibilizzazione centrale

Le terminazioni nervose nocicettive giungono a livello del corno dorsale del midollo spinale, stazione di trasmissione degli impulsi nervosi nonché sede importante di modulazione degli stessi. A questo livello, infatti, l’informazione nocicettiva viene elaborata e può subire ulteriori fenomeni di amplificazione, conosciuti col termine di sensibilizzazione centrale.

Per spiegare questo fenomeno, sono stati proposti tre meccanismi principali tra loro correlati:

1. Sensibilizzazione mediata dai recettori per il glutammato: nella lamina I, le fibre afferenti rilasciano alte concentrazioni di glutammato in grado di attivare i recettori NMDA e non-NMDA presenti sui neuroni post-sinaptici; tramite un evento molecolare a cascata, vengono espressi numerosi canali ionici a livello delle terminazioni nervose, con un conseguente incremento dell’eccitabilità e una facilitazione della trasmissione nocicettiva al cervello.

2. Disinibizione: gli interneuroni inibitori presenti in lamina I, in condizioni normali, rilasciano costantemente GABA e/o glicina; in condizioni patologiche possono perdere tale funzione, ad esempio nel caso di morte cellulare nel contesto di una lesione. Talvolta, gli interneuroni possono addirittura acquisire fenotipo eccitatorio, come a seguito del rilascio di Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF) da parte

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3. Attivazione della microglia: lesioni nervose periferiche possono determinare la liberazione di ATP e chemochine (oltre a glutammato, sostanza P e CGRP) responsabili dell’attivazione della microglia; come già visto, questa rilascia BDNF che, in lamina I, rende più eccitabili i neuroni secondari. In aggiunta, la glia è in grado di rilasciare elevate concentrazioni di citochine quali TNF-a, interleuchina-1b, interleuchina-6 e altri fattori che contribuiscono alla sensibilizzazione centrale con meccanismi del tutto simili a quella periferica [11].

(26)

3.

S

INDROMI DOLOROSE NEL PAZIENTE ONCOLOGICO

Il sintomo dolore è di centrale importanza nel paziente oncologico e si presenta in maniera variabile durante il corso della malattia. La maggior parte dei casi (70-80%) è legata ad un interessamento diretto, il 15-20% è conseguenza delle terapie antineoplastiche, mentre una piccola quota (3-5%) non presenta una causa riconducibile alle precedenti [12].

In generale, sulla base del meccanismo con cui viene prodotto, il dolore può essere classificato in nocicettivo e neuropatico.

Il dolore nocicettivo, a sua volta, è distinto in:

• Somatico: deriva dall’interessamento di strutture somatiche (es. cute, muscoli, ossa) per cui risulta ben localizzato. Il paziente tende a descriverlo come tagliente, pulsante o costrittivo.

• Viscerale: legato all’infiltrazione, compressione o distensioni di visceri toracici e/o addominali; è poco localizzato e può essere riferito a livello cutaneo. Viene descritto più tipicamente come crampiforme.

Il dolore neuropatico può essere conseguenza della compressione o infiltrazione di nervi periferici, oppure dell’interessamento delle porzioni centrali. Tipicamente, viene descritto come una sensazione di bruciore, di scossa o di bucatura, talvolta associata a iperalgesia e allodinia.

Dal punto di vista temporale, si riconoscono forme acute e croniche. Il dolore acuto ha breve durata, variabile da pochi secondi a qualche settimana, mentre quello cronico persiste, per definizione, oltre tre mesi.

(27)

3.1SINDROMI DOLOROSE ACUTE

Il dolore acuto può essere legato alla malattia stessa, ma più frequentemente ha eziologia iatrogena: si presenta infatti come conseguenza di interventi diagnostici e terapeutici, o a seguito del trattamento antineoplastico.

3.1.1 Dolore acuto associato a procedure diagnostiche e terapeutiche

È una condizione prevenibile attraverso tecniche analgesiche o anestesiologiche messe in atto prima o dopo l’intervento (Tab. 3.1). La durata è limitata ma, a volte, è possibile una cronicizzazione del sintomo a seguito di un danno che si fa permanente (ad esempio, un catetere nefrostomico produce dolore all’atto dell’inserimento; se questo si infetta o si ostruisce può determinare una sintomatologia persistente) [13].

Tab. 3.1 Dolore acuto associato a manovre diagnostiche e terapeutiche Manovre diagnostiche

Puntura lombare Agoaspirato, biopsie Nefrostomia percutanea Drenaggio pleurico

Prelievo venoso o arterioso

Tecniche di infusione chemioterapica TACE per epatocarcinoma

Chemioterapia intraperitoneale per tumori ginecologici Chemioterapia o immunoterapia intravescicale

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3.1.2 Dolore acuto associato al trattamento antineoplastico

Il dolore può anche essere conseguenza dei trattamenti antitumorali quali chemioterapia, ormonoterapia, terapie targeted, immunoterapia, radioterapia e loro combinazioni; alcuni quadri risultano legati nello specifico alla modalità di somministrazione del trattamento specifico (es. infusione intratecale) (Tab. 3.2) [13].

Tab. 3.2 Dolore acuto associato al trattamento antineoplastico Chemioterapia, ormonoterapia Mucositi Neuropatia periferica Artralgie e mialgie Bruciore perineale Dolore osseo Cefalea Angina da 5-FU Radioterapia Mucositi Esofagite Enterite Proctite Cistite Vaginite Plessopatia brachiale

Mielopatia acuta transitoria

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3.2SINDROMI DOLOROSE CRONICHE

Il dolore cronico può essere conseguenza della cronicizzazione di una forma acuta o subacuta legata al trattamento antineoplastico, o può comparire a distanza di tempo. Più spesso questo quadro è legato alla tipologia di tumore (sede, estensione).

3.2.1 Dolore cronico associato al trattamento antineoplastico

I trattamenti antineoplastici sono responsabili anche dei quadri cronici della sintomatologia dolorifica; talora ciò che avviene è la cronicizzazione di un processo acuto o subacuto legato alla cura, ma più spesso si ha la ripresa del dolore a distanza di tempo.

In questi casi si pone il problema di diagnosi differenziale con un’eventuale ripresa di malattia, nonché la difficoltà nell’intraprendere una nuova terapia antalgica al fine di mantenere una buona qualità della vita per il paziente (Tab. 3.3) [14].

3.2.2 Dolore cronico legato alla neoplasia

All’incirca i tre quarti delle sindromi algiche croniche è dovuta all’effettiva progressione della malattia, sia come recidiva locale, sia come metastatizzazione a livello dei tessuti molli e delle ossa, dei visceri e del tessuto nervoso: è possibile quindi sotto-classificare il dolore in nocicettivo somatico, nocicettivo viscerale e neuropatico (Tab. 3.4) [14].

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Tab. 3.3 Dolore cronico associato al trattamento antineoplastico Chemioterapia, ormonoterapia

TACE

Perfusione intraperitoneale, intrapleurica, intratecale, Neuropatia periferica

Necrosi avascolare del femore Pseudoreumatismo steroideo Fratture osteoporotiche Ginecomastia cronica Radioterapia Plessopatia brachiale Mielopatia cronica Enteriti, proctiti Linfedema Bruciore perineale Osteoradionecrosi Chirurgia Dolore da moncone

Sindrome dell’arto fantasma Dolore post-mastectomia Dolore post-toracotomia Dolore post-nefrectomia

Dolore da linfadenectomia radicale del collo Dolore post-linfadenectomia ascellare o inguinale

(31)

Tab. 3.4 Dolore cronico legato alla neoplasia Nocicettivo somatico

Dolore osseo diffuso Dolore osseo localizzato Sindromi vertebrali

Dolore della cute e del sottocute

Infiltrazione di muscoli e fasce muscolari Infiltrazione delle mucose

Nocicettivo viscerale

Infiltrazione pleurica e diaframmatica Distensione della capsula epatica Sindrome retroperitoneale

Ostruzione intestinale cronica Infiltrazione perineale Ostruzione ureterale Neuropatico Metastasi meningee Nevralgie craniche Radicolopatie Plessopatie

Sindromi dei nervi periferici Compressione midollare

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3.3DOLORE OSSEO

Il dolore osseo indotto da neoplasia (Cancer-induced Bone Pain, CBP) rappresenta la forma più frequente di sindrome dolorosa cronica nei pazienti oncologici, riguardando il 28–45% dei soggetti con metastasi scheletriche [12]. Ricordiamo che la presenza di metastasi ossee ha un impatto notevole sulla qualità della vita di questi pazienti poiché, oltre al dolore, può provocare la comparsa di fratture patologiche, problemi di deambulazione e può indurre deficit neurologici. Studi post-mortem hanno evidenziato la presenza di interessamento scheletrico nell’85% dei soggetti con tumore polmonare, mammario e prostatico [15].

Il dolore osseo da cancro non si presenta come un’entità a sé stante, ma è il risultato della combinazione di un dolore di fondo (background pain) ed episodico (breakthrough pain), a sua volta distinguibile in spontaneo (spontaneous rest pain) e da movimento (incident pain). Le esacerbazioni intermittenti del sintomo sono difficili da controllare, per la loro comparsa rapida, di breve durata e spesso legata al movimento.

3.3.1 Meccanismi del dolore osseo cancro-correlato

Il dolore osseo indotto da cancro è una condizione complessa e multifattoriale legata all’alterazione dell’omeostasi ossea, alla progressione tumorale e alla sensibilizzazione nervosa periferica e centrale. Questi meccanismi nel loro insieme contribuiscono allo sviluppo di un dolore di tipo misto, sia nocicettivo che neuropatico [16].

In condizioni fisiologiche, nell’osso esiste un equilibro tra l’attività sintetizzante operata dagli osteoblasti e il riassorbimento mediato dagli osteoclasti. Qualsiasi alterazione a carico di tali cellule o dei pathways di

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della neoformazione ossea o ad un aumento del riassorbimento: in conseguenza di ciò, le metastasi scheletriche possono essere distinte in osteoaddensanti (carcinoma prostatico) o osteolitiche (es. carcinoma polmonare, mieloma multiplo).

Studi su modelli animali hanno dimostrato la presenza di un aumentato numero di osteoclasti attivi a livello del nido neoplastico [17]. Gli osteoclasti attivi, per riassorbire l’osso, devono mantenere l’ambiente circostante acido attivando canali ionici sensibili al pH e recettori vanilloidi espressi dalle fibre nocicettive che, sensibilizzate, determinano dolore. Il rilascio di fattori pro-nocicettivi da parte delle stesse cellule tumorali contribuisce allo stato dolorifico; in particolare, nella midollare si riscontrano elevate concentrazioni di prostaglandine, bradichinine e Nerve Growth Factor in grado di stimolare la ricca rete di fibre sensitive presente a questo livello. Anche la popolazione macrofagica, che può rappresentare il 260% della popolazione cellulare nella massa tumorale, può contribuire tramite la produzione di Tumor Necrosis Factor e Interleuchina-1 [18]. Tutti questi meccanismi sono implicati nella componente nocicettiva – o infiammatoria – del dolore osseo.

Le cellule neoplastiche contribuiscono anche a determinare la componente neuropatica del dolore osseo: con la sua crescita, la massa neoplastica comprime o infiltra le fibre sensitive afferenti causandone danno e disfunzione. Inoltre, è stato osservato che la presenza di cellule tumorali nell’osso induce la formazione di strutture “neuroma-like”, derivanti dalla crescita e riorganizzazione di nervi sensitivi e simpatici che vanno a mescolarsi tra loro; uno stimolo nocicettivo è così in grado di attivare entrambe le fibre afferenti [16].

Il periostio è innervato da fibre sensitive che esprimono CGRPr (Calcitonin Gene-Related Peptide receptors). Uno stimolo meccanico esercitato su una

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Nonostante il periostio sia ben innervato, la midollare ossea riceve un elevato contingente di fibre sensitive e simpatiche, seguita dall’osso mineralizzato e solo successivamente dal periostio. Per questo motivo, i pazienti spesso percepiscono il dolore quando la malattia risulta ancora confinata, senza un evidente coinvolgimento del tessuto periostale [18].

Le fibre sensitive periferiche sinaptano poi con neuroni secondari (specifici e ad ampio spettro) nel midollo spinale. Nei modelli animali di CBP, è stato dimostrato un alterato rapporto NS/WDR, con un’iperespressione dei secondi; ciò spiega l’ipereccitabilità presente a livello centrale in risposta ad uno stimolo non nocivo, con conseguente iperalgesia. [15].

3.4DOLORE NEUROPATICO

Il dolore neuropatico insorge a seguito di una disfunzione del sistema nervoso centrale e/o periferico, in assenza di stimolazione dei nocicettori da parte di un trauma tissutale (da qui l’attributo di dolore non-nocicettivo). Con questa definizione si fa riferimento all’aspetto clinico del problema, indicando l’insieme delle sindromi algiche accomunate da deficit sensitivi e/o iperalgesia e allodinia.

Sulla base della sede della lesione possiamo distinguere:

• Dolore neuropatico periferico: danno o disfunzione del primo neurone. • Dolore neuropatico centrale o da deafferentazione: interessamento del

sistema nervoso centrale.

Molti pazienti liberi da malattia convivono con dolore cronico e neuropatico, indotti dal trattamento o dalla malattia stessa; queste condizioni possono risolversi, ma talvolta danni irreversibili tissutali e/o nervosi determinano la persistenza della condizione o un suo peggioramento [19].

(35)

3.4.1 Meccanismi di insorgenza del dolore neuropatico

Il dolore neuropatico può essere considerato come l’esito di un processo multistep, in cui ogni meccanismo contribuisce alla sensibilizzazione neuronale.

La crescita tumorale può causare un danno diretto per compressione o infiltrazione dei plessi nervosi (directly tumor-related pain), o può indirettamente modificare l’ambiente neuronale attraverso una risposta infiammatoria locale e sistemica; l’acidosi tissutale, il richiamo di citochine circolanti, la liberazione di fattori pro-infiammatori e pro-algogeni da parte delle cellule tumorali stesse.

Un’altra causa di dolore neuropatico è la diffusione metastatica all’osso; qui, la massa può infiltrare o danneggiare le fibre sensitive presenti a livello della midollare e del tessuto periostale. Inoltre, il normale turnover osseo può essere perso a seguito dell’alterazione dell’equilibrio tra osteoclasti ed osteoblasti (fratture patologiche o altri eventi ossei).

Infine, i trattamenti antineoplastici possono causare una sindrome dolorosa di tipo neuropatico. (Tab. 3.5).

(36)

Tab. 3.5 Forme di dolore neuropatico Correlato al tumore

Nevralgia secondaria del trigemino Radicolopatie

Plessopatie cervicali, lombari Neuropatie/plessopatie brachiali Dolore osseo da metastasi

Indotto dalle terapie

Da chemioterapia: tassani, alcaloidi della vinca, derivati del platino Da radioterapia: mucositi, fibrosi, plessopatie

Da chirurgia: post-mastectomia, sindrome dell’arto fantasma

[13]

3.4.2 Caratteristiche del dolore neuropatico

Il dolore neuropatico ha caratteristiche di dolore spontaneo (parossistico o continuo) e/o evocato, presenta deficit sensitivi ma anche iperalgesia e allodinia.

Nello stesso paziente possono essere presenti sia il dolore spontaneo che quello evocato da stimoli tattili o da movimento; talora, il dolore evocato può persistere a lungo o essere talmente importante da lasciare sequele, rendendo difficoltosa la distinzione con la forma spontanea [12]. La sintomatologia può essere avvertita a livello superficiale e profondo: nel primo caso sarà descritta dal paziente come una sensazione di bruciore o di bucatura, mentre nel secondo assume caratteristiche crampiformi. La forma parossistica si presenta in genere come una scarica elettrica. La perdita di sensibilità può essere completa o parziale, e riguarda tutte le modalità sensitive.

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La peculiarità di questi quadri è la presenza di dolore provocato da stimoli non nocivi quali:

• Allodinia: evocazione di dolore da parte di uno stimolo non doloroso. • Iperalgesia: risposta algica eccessiva a uno stimolo nocivo che

normalmente non provocherebbe dolore.

3.5BREAKTHROUGH CANCER PAIN (BTCP)

A transitory exacerbation of pain experienced by patients undergoing long-term opioid treatment for cancer-related pain whose baseline pain is adequately controlled.

Portenoy and Hagen

“Un’esacerbazione transitoria del dolore sperimentata dai pazienti in trattamento cronico con oppioidi per dolore cancro-correlato, nei quali il dolore di base sia adeguatamente controllato”

Nel 1990, Portenoy e Hagen definiscono per la prima volta il Breakthrough Cancer Pain (BTcP); per la corretta definizione, alcuni autori sostengono la necessità di un dolore di base adeguatamente controllato, altri intendono il BTcP come qualsiasi esacerbazione del dolore rispetto al basale, indipendentemente dal regime analgesico.

Nel secondo caso, però, il rischio è di confondere un vero episodio di BTcP con uno scarso controllo del dolore di base o con il termine della copertura antidolorifica: per questo motivo è più corretto definire il dolore episodico come “un’esacerbazione transitoria del dolore che insorge spontaneamente o

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3.5.1 Sottotipi di BTcP

Il BTcP può essere suddiviso in due classi principali (Fig. 3.1):

• Dolore episodico (incidentale): prevedibile in quanto correlato a fattori “trigger” come il movimento (più spesso) o la tosse; può essere anche non prevedibile quando non legato ad azioni volontarie (es. spasmi viscerali). Questo tipo di dolore ha una scarsa risposta alla terapia, incide fortemente sulla qualità della vita limitando le attività quotidiane del paziente;

• Dolore spontaneo: insorge in maniera improvvisa in assenza di apparenti fattori scatenanti. Tende ad essere meno intenso del dolore episodico ma di più lunga durata; il suo trattamento è reso difficoltoso dall’assenza di prodromi.

(39)

Alcuni autori considerano il dolore da fine dose (end-of-dose failure) come un ulteriore sottotipo; questa forma si presenta verso la fine dell’effetto farmacologico, quando non è impostata una corretta terapia del dolore di base. Per definizione, però, è scorretto: il BTcP infatti si realizza, come detto, su un dolore di background adeguatamente controllato. Inoltre, la forma end-of-dose non viene trattata con farmaci al bisogno tipici del BTcP, ma correggendo la terapia around the clock (vedi Cap. 5 – PRINCIPI DI FARMACOLOGIA DEL DOLORE).

(40)

4.

V

ALUTAZIONE DEL DOLORE DA CANCRO

What we were aiming at as we started to work together in St. Joseph’s, was a patient who was alert and themselves and free of pain. For the great majority of patients that isn’t that difficult with drugs that are available to anybody in a method that is simple. But it does include the very important careful analysis and assessment at the beginning. One long interview and careful examination can carry an awful lot of shorter ones. Cicely Saunders

“Ciò a cui stavamo mirando quando iniziammo a lavorare insieme presso il St. Joseph era un paziente vigile che non accusasse dolore. Per la maggior parte dei pazienti non era difficile trovarsi in tale stato coi farmaci a disposizioni di chiunque tramite semplici metodi. D’altro canto, ciò include l’importanza di un’attenta analisi e valutazione iniziali. A un primo, lungo dialogo possono susseguirsi numerosi incontri più brevi”

4.1APPROCCIO AL PAZIENTE

La valutazione clinica del dolore rappresenta un momento fondamentale nell’approccio al paziente oncologico. Molti pazienti con malattia metastatica necessitano di un trattamento antalgico specifico ma talora può rendersi necessario anche in fasi più precoci di malattia.

Inoltre, anche i pazienti cosiddetti cancer-survivor possono manifestare una sintomatologia dolorosa cronica come risultato della patologia o dei trattamenti oncologici effettuati.

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4.1.1 Principali difficoltà

Durante il processo di valutazione è necessario tenere in considerazione la soggettività del sintomo; la stessa definizione della IASP sottolinea questo aspetto: “Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole […]”. Una delle maggiori barriere nel management del dolore, infatti, è rappresentata da una sottostima dell’intensità del sintomo conseguente alla difficoltà del clinico di comprenderne l’impatto sulla qualità della vita del paziente.

La valutazione del dolore non rappresenta spesso uno standard della visita clinica e ciò può far venire meno il corretto utilizzo degli strumenti diagnostici. Il paziente stesso, di conseguenza, non informa in maniera adeguata e spontanea il medico della comparsa del dolore o del suo scarso controllo [14].

4.1.2 La sintomatologia dolorosa

Una corretta valutazione del dolore è fondamentale per comprenderne cause e fisiopatologia e poter impostare una adeguata strategia terapeutica.

Durante il colloquio con il paziente sarà necessario comprendere la natura del dolore, quindi la sua fisiopatologia (nocicettivo, neuropatico), e l’andamento temporale (acuto, cronico); inoltre dovrà essere indagata la presenza eventuale di esacerbazioni del sintomo di base (BTcP).

Sia per il dolore di base che per il BTcP attraverso il colloquio, si deve indagare l’intensità di presentazione: nonostante vengano utilizzati criteri codificati, si osserva di frequente una discordanza di valutazione tra paziente e personale medico-infermieristico.

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• Anamnesi del dolore: caratteristiche di presentazione, andamento nel tempo, sede, irradiazione, fattori che lo aggravano o che lo alleviano. • Valutazione dell’intensità del dolore.

• Anamnesi psicologica e sociale: storia personale di abuso di alcol o farmaci, precedente uso di oppioidi. Interazione del dolore con le attività quotidiane o con altri sintomi fisici/psichici.

• Precedenti trattamenti analgesici: elenco dei farmaci già utilizzati, valutazione della loro efficacia o inefficacia, precedente comparsa di effetti collaterali.

• Definizione dello stadio di malattia: storia naturale del tumore, trattamenti oncologici somministrati ed eventuali effetti collaterali, prognosi.

A seguito di una corretta definizione della sindrome dolorosa, grazie all’anamnesi raccolta tramite il colloquio col paziente e all’esame obiettivo, è possibile impostare una prima linea di trattamento antalgico dopo la quale è indispensabile, comunque, rivalutare frequentemente il paziente per monitorare la risposta ai farmaci o cogliere l’eventuale comparsa di effetti collaterali.

4.2MISURARE L’INTENSITÀ DEL DOLORE

L’intensità del dolore rappresenta il fattore dominante nel determinare gli effetti del sintomo sulla qualità della vita del paziente, nonché l’urgenza nell’impostare un intervento terapeutico.

Molti pazienti oncologici con dolore lieve-moderato sono in grado di condurre una vita normale, ma all’aumentare dell’intensità, il sintomo può

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fornisce l’informazione primaria per poter agire adeguatamente e monitorare i risultati del trattamento.

4.2.1 Scale di intensità

Esistono tre scale di intensità monodimensionali, piuttosto semplici e facilmente applicabili nella clinica (Fig. 4.1).

Verbal Rating Scale (VRS): scala verbale a più livelli; si chiede al paziente di descrivere il dolore che prova, scegliendo tra “nessuno”, “lieve”, “moderato”, “intenso”. Questa scala presuppone che il paziente conosca e comprenda i termini utilizzati: differenze sociali, culturali e linguistiche possono rappresentare un ostacolo all’interpretazione.

Visual Analogue Scale (VAS): scala visiva rappresentata da una linea retta; una estremità indica “nessun dolore”, l’altra “il massimo dolore possibile”. Per le sue caratteristiche trova ampio utilizzo negli studi di comparazione dei trattamenti analgesici, ma può essere difficile da utilizzare nei soggetti con basso livello culturale o anziani.

Numerical Rating Scale (NRS): scala numerica a 11 punti (0 – 10); nell’intervallo 0 – 4 il dolore può essere considerato lieve, tra 5 e 6 moderato, sopra 7 il sintomo è grave.

È la scala più semplice da capire e supera le barriere culturali-linguistiche: per questo, si è dimostrata maggiormente affidabile nei trials clinici rispetto alla VAS. Grazie ai numerosi vantaggi che offre, è il metodo di valutazione che molte linee guida sul trattamento del dolore raccomandano [14] [22].

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Figura 4.1 Scale di intensità monodimensionali: VAS, VRS, NRS [22].

4.2.2 Questionari multidimensionali

La valutazione dell’intensità può non essere sufficiente, da sola, a inquadrare la sindrome dolorosa del paziente in quanto, come già detto, rappresenta un’esperienza multidimensionale. Sono nati, quindi, questionari valutativi più complessi in grado di indagare anche gli aspetti emozionali-affettivi e cognitivi del dolore, oltre all’impatto sulla qualità della vita che questo arreca. I più conosciuti e utilizzati sono il McGill Pain Questionnaire (MPQ) e il Brief Pain Inventory (BPI).

McGill Pain Questionnaire (MPQ): formulato da Melzack nel 1975, è uno strumento complesso basato sull’utilizzo di 78 descrittori suddivisi in 3 dimensioni – sensoriale, affettiva, valutativa – e 20 sottoclassi, ciascuna contenente da 2 a 6 aggettivi in ordine crescente di intensità (Fig. 4.2); al paziente si chiede di scegliere un aggettivo per sottoclasse e, in più, di fornire un’intensità del dolore attuale su una scala numerico-verbale. Alla fine si

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1. Present Pain Index (PPI): intensità del dolore presente; 2. Number of Words Chosen (NWC): numero di aggettivi scelti;

3. Pain Rating Index rango (PRIr): ordine in cui vengono scelti gli aggettivi; 4. Pain Rating Index scala (PRIs): somma dei punteggi attribuiti agli

aggettivi scelti.

Data la quantità di descrittori che prende in esame, l’MPQ risulta particolarmente impegnativo da somministrare, tanto che lo stesso Melzack ha proposto una versione ridotta (Short-Form McGill Pain Questionnaire, SF-MPQ) contenente 15 aggettivi e una scala di intensità a 4 punti.

Brief Pain Inventory (BPI): prende in considerazione 7 aree di attività fisica e psicosociale, ciascuna valutata con una scala da 0 a 10 ad indicare l’intensità del dolore e l’interferenza di questo con l’attività descritta (Fig. 4.3); la misura di intensità comprende “il dolore peggiore”, “il dolore più lieve”, “il dolore in media” nelle ultime 24 ore, oltre ad una valutazione “al momento”. In più, viene chiesta la percentuale di sollievo ottenuta col trattamento (0 – 100%). L’uso di questo strumento ha permesso di comprendere quali sono i livelli di dolore che interferiscono con le attività quotidiane dei pazienti: con punteggio > 5, il sintomo diventa significativamente limitante [13].

(46)
(47)
(48)

4.2.3 Quante misurazioni?

Dai dati presenti in letteratura si può ipotizzare che due-tre misurazioni giornaliere del dolore siano sufficienti per un adeguato monitoraggio. Il dolore episodico o BTcP viene valutato a parte, sia come numero di eventi che come trattamento: la sua presenza, influenzata dal movimento o dalla posizione, è una ulteriore misura di outcome [14].

4.3MISURE DI OUTCOME

Negli anni ‘80, Bruera et al. misero a punto il primo strumento prognostico nel tentativo di standardizzare i dati della ricerca sul dolore, denominato Edmonton Classification System for Cancer Pain (ECS-CP). Questo sistema di classificazione prende in considerazione 7 caratteristiche:

• Meccanismo fisiopatologico: viscerale, osseo, neuropatico, misto. • Dolore episodico: presente/assente.

• Precedente uso di oppioidi.

• Funzioni cognitive: normali/ridotte. • Distress psicologico: presente/assente. • Tolleranza: assente/presente.

• Storia di alcolismo o abuso di droghe.

In base alla combinazione di questi fattori, i pazienti vengono distinti in tre categorie: con prognosi buona, intermittente o scarsa per il controllo del dolore.

(49)

• Presenza/assenza di dolore episodico. • Presenza/assenza di distress psicologico. • Storia di abuso di sostanze.

• Funzioni cognitive.

Con l’ECS-CP e la sua versione semplificata, si è tentato di costituire un sistema standardizzato in grado di riunire i fattori determinanti la prognosi del paziente e di assistere il clinico nella scelta anticipata di una consulenza specialistica.

Al momento, comunque, non esiste uno strumento uniforme di valutazione che consenta di definire quale sindrome algica possa essere più complessa da trattare.

L’inserimento di fattori prognostici negativi già alla valutazione primaria del dolore da cancro potrebbe essere incluso per migliorare la gestione del paziente da parte del clinico e prevedere la necessità di un consulto specialistico [25].

(50)

5.

P

RINCIPI DI FARMACOLOGIA DEL DOLORE

Il principio fondamentale della terapia del dolore afferma che la giusta dose del farmaco analgesico è quella che controlla il sintomo senza dare effetti collaterali: su questo si basa la Scala Analgesica, proposta dalla World Health Organization (WHO) per la prima volta nel 1986.

Tale scala a tre gradini indica quanto sia importante un approccio strutturato ma flessibile, impostato sull’intensità del dolore percepito dal paziente.

La principale via di somministrazione è quella orale ad intervalli di tempo regolari; la terapia al bisogno e i farmaci adiuvanti sono prescritti quando necessario, sulla base delle caratteristiche del dolore.

In generale la risoluzione del dolore può essere ottenuta in circa l’80% dei pazienti seguendo i principi WHO, riassunti dalla triade:

• By the mouth (“per via orale”) • By the clock (“a orari stabiliti”)

• By the ladder (“secondo la scala analgesica”)

È importante tenere in considerazione anche la rivalutazione del paziente ad intervalli regolari in modo da essere certi che la terapia stia funzionando senza effetti collaterali [26].

5.1SCALE ANALGESICHE

Secondo la scala WHO del 1986 (Fig. 5.1), per il dolore lieve-moderato (1–4) sono indicati FANS o paracetamolo associati o meno agli adiuvanti; per il

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scelgono oppioidi deboli, mantenendo eventualmente FANS o paracetamolo e adiuvanti; infine, per un quadro di dolore severo (7–10) si utilizzano gli oppioidi forti associati o meno a FANS e adiuvanti.

Figura 5.1 Scala Analgesica WHO, 1986 [27].

Nel 1996, il WHO ha creato una nuova scala (Fig. 5.2), inserendo alla base tutti coloro che possono essere trattati esclusivamente con FANS o paracetamolo e a salire chi necessita di oppioidi deboli/forti; a questi trattamenti, in casi specifici, possono essere aggiunti gli adiuvanti.

Salendo ancora troviamo un 10-20% di soggetti che hanno necessità di ruotare l’oppioide perché il precedente non ha più effetto: si utilizzano in questo caso scale di equianalgesia che consentono di trovare la giusta dose di partenza, la quale andrà titolata sulla base dei bisogni del paziente. In una piccola quota di

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Figura 5.2 Piramide Analgesica WHO, 1996 [28].

5.2ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI

I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono utilizzati nel trattamento del dolore di lieve intensità – primo gradino – ma possono svolgere un ruolo anche nelle condizioni più gravi coadiuvando le altre classi farmacologiche; l’utilizzo esclusivo di FANS per il dolore severo sembra possibile solo se somministrati per brevi periodi [13]. I principali farmaci usati in clinica, con dosi e modalità di somministrazione sono riassunti in Tab. 5.1.

(53)

Tab. 5.1 Caratteristiche del paracetamolo e dei principali FANS Farmaco Dose (max mg/die) Intervallo (h)

Paracetamolo 500 – 1000 (3000) 4 - 6 ASA 500 – 1000 (4000) 4 – 6 Ibuprofene 200 – 400 (2400) 4 – 6 Ketoprofene 50 – 100 (300) 4 – 8 Indometacina 50 – 100 (200) 8 – 12 Diclofenac 50 – 100 (300) 6 – 12 Ketorolac 10 – 20 (60) 6 – 8 Naprossene 250 – 600 (1250) 6 – 8 Nimesulide 50 – 200 (400) 12 Celecoxib 100 – 200 (400) 12 [13]

La somministrazione di FANS per lungo periodo, o un incremento del loro dosaggio, non sempre corrisponde ad una migliore risposta analgesica. L’esistenza dell’effetto tetto rappresenta quindi un problema importante legato a questa classe farmacologica: secondo questo principio, aumentando la dose del farmaco si sottopone il paziente ad un maggior rischio di effetti collaterali senza un corrispettivo beneficio terapeutico. Talvolta in soggetti con comorbidità gastriche o renali, o in caso di dolore di elevata intensità refrattario al FANS, è necessario sospendere tale trattamento preferendo lo switch all’oppioide.

5.2.1 Meccanismo d’azione

(54)

COX catalizza la reazione di conversione dell’acido arachidonico a PGG2 e

PGH2, precursori delle varie famiglie di prostaglandine, prostacicline e

trombossani.

Le due isoforme dell’enzima COX-1 e COX-2, scoperte agli inizi degli anni ’90, sono espresse in tessuti e circostanze differenti: la COX-1 è un enzima costitutivo e guida tutti quei processi che richiedono una regolazione continua come, ad esempio, l’emostasi; la COX-2 non è presente in condizioni fisiologiche, ma la sua espressione è indotta nei vari tessuti da numerosi stimoli, in particolare infiammatori e mitogeni. Ci sono comunque delle eccezioni a questa teoria: sembra infatti che particolari condizioni possano indurre l’espressione di COX-1 (danno nervoso) e, dall’altro lato, esistano alcuni tessuti nei quali la COX-2 è espressa costitutivamente (SNC, rene, testicolo) [29].

Il meccanismo principale con cui agiscono i FANS è l’inibizione competitiva e reversibile dell’enzima, attraverso l’interazione con un sito allosterico. L’acido acetilsalicilico (ASA) ha la peculiarità, rispetto agli altri antinfiammatori, di legare in maniera irreversibile l’enzima attraverso un meccanismo non competitivo: la molecola acetila la subunità catalitica di COX-1 e COX-2, impedendo il legame dell’acido arachidonico ed inibendo la reazione di conversione. Questa attività è fortemente legata al turnover cellulare ed è particolarmente spiccata nelle piastrine le quali, mancando del nucleo, non sono in grado di re-sintetizzare nuovi enzimi; l’effetto inibitorio dell’ASA sarà quindi presente per tutta la durata della vita di queste cellule – circa 8 - 12 giorni – e cesserà al loro ricambio.

La maggior parte di queste molecole può agire su entrambe le isoforme senza particolare preferenza (FANS non selettivi); alcune invece sono in grado di interagire preferibilmente o esclusivamente con la COX-2 (FANS selettivi) grazie alla presenza di una catena laterale che consente loro di legarsi ad una

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