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uso di sostanze e disturbo da uso di sostanze nelle urgenze psichiatriche

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Giulio Guido

______________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE

“Uso di sostanze e Disturbo da Uso di Sostanze nelle urgenze psichiatriche”

Candidato Sarah Falchi

Relatore

Prof. Antonio Ciapparelli

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1 Riassunto …... 3

2 Il Disturbo da Uso di Sostanze (DUS) ... 11

3 La Doppia Diagnosi (DD)…... 26

4 Le urgenze in psichiatria e il ruolo del Disturbo da Uso di Sostanze ... 38

5 Scopo ... 43

6 Materiali e metodo ... 43

6.1 Disegno dello studio ... 43

6.2 Campione ... 43

6.3 Strumenti di indagine ... 44

6.3.1 SCL-90 (Inventario di sintomi di psicopatologia)... 44

6.3.2 Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) …... 47

6.3.3 Questionario per la Rilevazione della Storia Tossicomanica (DAH-Q)... 58

6.4 Procedura ... 66

6.5 Analisi dei dati ... 66

7 Risultati ... 68

7.1 Raggruppamenti diagnostici e tipizzazione sulla base dell'uso di sostanze e del Disturbo da Uso di Sostanze ... 68

7.2 Dati anagrafici di pazienti tipizzati sulla base della diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze ... 69

7.3 Comorbidità, uso di sostanze e psicopatologia di pazienti tipizzati sulla base della diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze ... 69

7.4 Etero-valutazione e auto-valutazione della psicopatologia di pazienti tipizzati sulla base della diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze ... 70

7.5 Tipizzazione dell'uso di sostanze in pazienti distinti in base alla diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze ... 71

8 Discussione ... 72

9 Conclusioni ... 77

10 Bibliografia ... 78

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1 RIASSUNTO

Background: Un tema oggi sempre più diffuso e carico di significato, non solo in ambito strettamente scientifico ma anche sociale e politico, è quello riguardante l'uso di sostanze e le relative conseguenze: l'ampia diffusione in commercio di prodotti potenzialmente causa di dipendenza (ad esempio alcol e nicotina) nonché la numerosità progressivamente crescente di individui direttamente ed indirettamente interessati (soprattutto tra le fasce giovanili) hanno suscitato molteplici dibattiti ed un consistente interesse da più fronti.

L'addiction può essere considerata un'entità diagnostica a sé stante, il cui perno è rappresentato dalla continua ricerca di gratificazione; i sintomi principali che la caratterizzano sono il craving, le ricadute e la perdita del controllo da parte dell'individuo (coincidente con l'impulsività). Secondo i primi inquadramenti nosografici (DSM I e II) la tossicodipendenza non era definibile come un'entità psicopatologica distinta e autonoma, ma andava considerata espressione e indice di un sottostante disturbo di personalità, la psicopatia. Viene riconosciuta come disturbo indipendente solo con il DSM III. Pochi anni più tardi con l'introduzione del DSM III-R (1987) sembra prevalere una nuova corrente di pensiero, in cui un emergente interesse per gli aspetti psichici e comportamentali della patologia fa scivolare in secondo piano le componenti di natura somatica; in questa nuova cornice il focus viene spostato sul livello di pervasività del disturbo, ossia la sua costanza nella vita dell'individuo, il livello di interferenza e la natura delle relative conseguenze: si parla quindi di disabilità come esito della compromissione delle attività sociali, lavorative o scolastiche.

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difficile comprendere quali siano le possibili implicazioni derivanti dalla compresenza, in uno stesso individuo, di caratteristiche cliniche appartenenti a disturbi diversi: ciò non solo ai fini della formulazione diagnostica, ma anche relativamente all'analisi funzionale e strutturale del quadro sindromico. Recentemente è stata avanzata una nuova ipotesi in merito all'eziopatogenesi di un quadro comorbile tra tossicomania e psicopatologia: secondo alcuni ricercatori infatti la Doppia Diagnosi risulterebbe essere conseguenza di un'erronea riconduzione, sotto il dominio di altri disturbi psichiatrici, di quella parte di sintomatologia identificabile come appartenente alla psicopatologia della dipendenza; come conseguenza, il concetto stesso di comorbidità rappresenterebbe in realtà un artefatto. Da quanto esposto finora appare evidente come il problema relativo alla natura della Doppia Diagnosi sia decisamente complesso e controverso, non essendo la comunità scientifica ancora prevenuta ad una risposta univoca in proposito. Nonostante le difficoltà sopramenzionate, la mole di dati testimoniante la relazione tra tossicomania e disturbi psichiatrici è tuttavia davvero consistente: uno studio ha mostrato ad esempio come l'uso di crack sembri aumentare le probabilità di sviluppare dipendenza verso altre sostanze, mentre un'anamnesi di consumo di crack o cocaina parrebbe associarsi allo sviluppo di quadri sindromici quali Ansia Generalizzata, Depressione e Distimia.

Nell'urgenza psichiatrica è dominante il concetto di crisi quale imminente minaccia, caratterizzata da una gravità tale da richiedere un tempestivo intervento; essa si verificherebbe in seguito alla rottura dell'equilibrio omeostatico e conseguente incapacità, da parte dell'organismo, di far fronte alle richieste ambientali cui è sottoposto. In linea generale le cause di ricovero più frequenti

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sono rappresentate dagli episodi psicotici acuti, i quali possono essere di natura organica, funzionale o indotta da sostanze; altre cause abituali sono gli atti di autolesionismo e i tentativi anticonservativi, l'abuso di alcolici e gli stati di intossicazione indotti da sostanze. Da queste poche righe emerge immediatamente una consistente incidenza di uso di sostanze e disturbi correlati nell'ambito delle urgenze, si evince il loro coinvolgimento anche nei quadri sindromici più acuti e severi nonché la necessità di una tempestiva presa in carico.

Metodi: Lo scopo principale di questa tesi è valutare l’impatto dell’uso di sostanze illegali e voluttuarie, della Doppia Diagnosi e del Disturbo da Uso di Sostanze sull’espressione psicopatologica di pazienti ricoverati in regime di urgenza presso un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC).

Per la raccolta dei dati sono state utilizzate una scheda anagrafica anonima e due schede di rilevazione: una per l'autovalutazione di sintomi psicopatologici (SCL-90) e una per l’etero-valutazione della presenza di psicopatologia (BPRS). L’uso di sostanze e le sue conseguenze sono stati indagati con un questionario impiegato in genere per le sostanze d’abuso (AbSo o DAH-Q). Le diagnosi sono state effettuate attraverso i criteri diagnostici del DSM-5 e registrate con i relativi codici senza un limite nel numero delle comorbidità possibili. Seguendo l’approccio teoretico del DSM è stata considerata una diagnosi principale e poi tutte le altre diagnosi possibili, sempre in ordine di importanza.

Il campione è risultato composto da 54 pazienti, 23 maschi (42.6%) e 31 femmine (57.4%) di età media 62.29±15.8 (min 25; max 93). Di questi, 43 (79.6%) non avevano un partner; 28 (51.9%) riportavano una scolarità superiore agli 8 anni di studio; 10 (18.5%) svolgevano un lavoro di concetto, 12 (22.2%) uno manuale e 26 (948.1%) erano disoccupati al momento dell’intervista. Le condizioni economiche

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di 19 pazienti (35.2%) risultavano essere sotto la soglia di povertà; 16 (29.6%) vivevano da soli.

Sulla base delle diagnosi formulate i pazienti sono stati sottotipizzati nel seguente modo: la diagnosi principale è stata allocata in uno dei 22 raggruppamenti del DSM-5; coloro che presentavano diagnosi principale di DUS sono stati suddivisi, in base alla comorbidità o meno con un altro Disturbo Mentale, in pazienti senza e con Doppia Diagnosi (DD). I soggetti rimanenti, le cui diagnosi non comprendevano un DUS, sono stati inseriti nel gruppo di controllo (NO-DUS).

I pazienti sono stati tipizzati anche sulla base dell’assunzione di sostanze legali o illegali, con la seguente procedura statistica: un’analisi fattoriale è stata compiuta sui punteggi degli item della AbSo (DAH-Q) che indagano l’uso di sostanze per classi farmacologiche in modo tale da evidenziare eventuali dimensioni composite; i fattori iniziali sono stati estratti per mezzo dell’analisi delle componenti principali (tipo 2) e sono stati poi rotati secondo il sistema varimax per semplificarne la struttura. Il criterio usato per selezionare il numero dei fattori è stato un eingenvalue >1.5 per evitare una eccessiva frammentazione. Gli item con un peso maggiore di 0.40 sono stati utilizzati per descrivere il fattore. Questa procedura minimizza le correlazioni fra i fattori permettendo di utilizzare gli stessi come un sistema classificativo.

I punteggi ottenuti da ogni paziente nelle singole dimensioni dell'uso di sostanze sono stati standardizzati in punteggi z per facilitare il confronto fra le dimensioni. Tutti i soggetti sono stati quindi raggruppati sulla base del punteggio z maggiore relativo ad ogni dimensione: si sono così ottenuti dei gruppi che si caratterizzano per una sola delle dimensioni considerate (gruppi a qualità dominante). Questa procedura permette di selezionare i soggetti sulla base di un cluster

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sintomatologico che si dimostra essere il più abnorme in senso statistico; in questo modo è possibile evitare l’individuazione di un cut-off per l'inclusione dei soggetti all'interno di determinati gruppi.

Nella comparazione tra le categorie evidenziate (NO-DUS, DUS e DD), le variabili continue sono state analizzate per mezzo dell’analisi di varianza a una via seguita dal test di Scheffee. Le variabili categoriali sono state analizzate mediante il test del chi-quadro con analisi dei contrasti a posteriori secondo il metodo di Buonferroni. Per tutte le analisi sono state utilizzate le routines statistiche dell’SPSS versione 20.0.

Risultati: Tra le diagnosi principali, quella maggiormente rappresentata è stata la Schizofrenia, riscontrata nel 31.5% dei soggetti; sono seguiti il Disturbo da Uso di Sostanze (20.4%) e il Disturbo Bipolare (16.7%); sono stati raccolti anche casi di Disturbi Depressivi (13.0%), Disturbi di Personalità (5.6%), Disturbi dell’Alimentazione (3.7) e Disturbi del Controllo degli Impulsi (3.7). Scarsamente rappresentati i Disturbi d’Ansia, quelli legati al Trauma e i Disturbi Indotti dai Medicamenti. Sia i Disturbi Da Uso di Sostanze che quelli di Personalità sono risultati ben rappresentati anche tra le diagnosi secondarie, rispettivamente al 14.8% e al 13.0%. Entrambe erano ancora presenti nella diagnosi terziaria: al 5.6% per il Disturbo da Uso di Sostanze e al 3.7% per i Disturbi di Personalità. Infine, Il Disturbo da Uso di Sostanze è apparso ancora presente al quarto livello diagnostico (3.7%); nessun paziente ha ottenuto più di 4 diagnosi comorbili.

La sostanza maggiormente abusata è risultata essere il tabacco (81.5%), seguita dalla caffeina (51.9%), dall’alcool (46.3%), dagli stimolanti e dai depressori del SNC (entrambi al 27.8%). Relativamente raro l’uso di oppiacei (7.4%) ed energizzanti (7.4%). Tre sono state le dimensioni riscontrate: la prima, risultata

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dominante in 13 soggetti, comprende in ordine di importanza stimolanti, cannabinoidi, alcool e oppiacei; nella seconda, riguardante 24 pazienti, figurano caffeina e tabacco; la terza tipizza 17 soggetti e prevede depressori del SNC (BDZ) ed energizzanti. In base alle diagnosi principali e secondarie è stato inoltre possibile operare un'ulteriore suddivisione dei pazienti: 10 sono infatti risultati avere una DD (ossia una compresenza di un DUS e un altro Disturbo Mentale), 8 presentavano un DUS senza altri disturbi mentali, 36 mostravano disturbi psichiatrici, diversi dal DUS, variamente combinati (NO-DUS). Si sono riscontrate differenze significative in merito alle condizioni economiche: l’80.0% dei soggetti in DD è risultato infatti vivere sotto la soglia di povertà, mentre solo il 23.5% dei NO-DUS ha riportato questa condizione. I pazienti DD, nonostante la presenza di due diagnosi, si sono distinti dai NO-DUS e DUS per un maggiore numero di diagnosi aggiuntive. È possibile inoltre constatare come pazienti DUS e DD abbiano mostrato un più frequente uso di alcolici e stimolanti rispetto ai NO-DUS. Riguardo ai cannabinoidi, invece, i NO-DUS hanno riportato un uso meno frequente dei DD; nei pazienti affetti da DUS la frequenza è apparsa intermedia. Parlando di poliabuso, soggetti con DUS e DD sono sembrati utilizzare maggiormente la combinazione stimolanti-cannabinoidi-alcool-oppiacei rispetto agli altri malati mentali, mentre i soggetti in Doppia Diagnosi hanno utilizzato maggiormente la combinazione tabacco-caffè dei soggetti con DUS.

Se consideriamo la storia tossicomanica dei nostri pazienti attraverso un questionario che fornisce informazioni sullo stato fisico, psicopatologico e di adattamento sociale, l’unica differenza significativa si osserva in merito ai problemi legali, la cui frequenza è risultata più alta fra soggetti affetti da DUS e DD rispetto ai pazienti NO-DUS. Gli aspetti indagati dalla BPRS nel loro insieme non sono

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minimamente differiti fra pazienti con e senza DUS, indipendentemente dalla presenza di DD; soltanto l’eccitamento è apparso più grave nei soggetti DD, mentre nei soggetti con DUS è risultato di fatto assente. Coerentemente il fattore attivazione della BPRS ha distinto i soggetti con DUS da quelli con DD, i quali hanno mostrato una maggiore gravità. All’autovalutazione dei sintomi di psicopatologia non sono apparse differenze significative fra i gruppi né per quanto riguarda i fattori specifici della tossicodipendenza, né per quanto concerne gli indici globali della scala. Sono invece emerse differenze nell’uso prevalente di sostanze tra i pazienti tipizzati a seconda del DUS: l'uso di stimolanti, alcol, cannabinoidi e oppioidi è risultato infatti più frequente sia nei pazienti con DUS che con DD; chi ha utilizzato prevalentemente tabacco e caffè è sembrato appartenere più di frequente al gruppo dei pazienti NO-DUS, ma in maniera non statisticamente significativa. Anche i soggetti che hanno usato prevalentemente benzodiazepine e bibite energizzanti erano rappresentati più frequentemente nel gruppo dei NO-DUS, purtroppo sempre in maniera statisticamente non significativa.

Conclusioni: La Schizofrenia rimane la diagnosi maggiormente rappresentata nelle urgenze psichiatriche, ma il DUS rappresenta la seconda diagnosi principale. Le sostanze d’abuso più utilizzate, nelle urgenze psichiatriche, appaiono quelle voluttuarie che vanno anche a formare la dimensione più frequentemente osservata rispetto a quella degli stimolanti e dei depressori del SNC. Le diagnosi di DUS e di DD, nei soggetti ricoverati per urgenza psichiatrica in SPDC, continuano comunque ad essere minoritarie e a non provocare un quadro psicopatologico specifico; solo l’eccitamento sembra configurarsi come una caratteristica dei pazienti con DD.

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Key words:

Urgenze psicopatologiche; SPDC; Doppia Diagnosi; Substance Use Disorders; Modalità d'uso.

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2 IL DISTURBO DA USO DI SOSTANZE (DUS)

Un tema oggi sempre più diffuso e carico di significato, non solo in ambito strettamente scientifico ma anche sociale e politico, è quello riguardante l'uso di sostanze e le relative conseguenze: l'ampia diffusione in commercio di prodotti potenzialmente causa di dipendenza (ad esempio alcol e nicotina) nonché la numerosità progressivamente crescente di individui direttamente ed indirettamente interessati (soprattutto tra le fasce giovanili) hanno suscitato molteplici dibattiti ed un consistente interesse da più fronti.

Le sostanze d'abuso incentivano un uso disfunzionale e possono di conseguenza modificare il comportamento di un individuo; attraverso l'azione su specifici circuiti neuronali si dimostrano in grado di indurre un profondo senso di piacere e gratificazione.

È bene sottolineare come questi effetti possano derivare non solo dall'uso di sostanze comunemente conosciute come illegali (quali ad esempio cocaina, eroina, allucinogeni ed inalanti), ma anche ad opera di quelle legali: alcol, nicotina e caffeina sono sostanze ampiamente diffuse e il loro uso, spesso quotidiano, da parte di gran parte della popolazione mondiale le rende sottovalutate come possibile oggetto di dipendenza, ma non per questo gli esiti possono essere considerati trascurabili.

Tralasciando la variabilità interindividuale dei loro effetti, l'aspetto che accomuna questi tipi di sostanze, e che perciò è stato primariamente indagato, è rappresentato dalla loro capacità di indurre una condizione artificiale di euforia, ossia un aumento della percezione edonistica nelle situazioni di vita; come conseguenza di ciò il soggetto è indotto ad assumere reiteratamente la sostanza

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(comportamento di auto-somministrazione) sotto la spinta di un intenso desiderio di ricerca e uso (craving).

Come conseguenza dell'azione esercitata su determinati circuiti cerebrali, responsabili delle esperienze edonistiche, l'uso cronico delle sostanze può apportare delle modifiche di natura neurobiologica nell'organismo che a loro volta avranno delle conseguenze sul suo comportamento e più in generale sulla sua vita: nell'evoluzione verso la tossicodipendenza, infatti gli effetti euforizzanti verranno progressivamente meno e si instaurerà una condizione per cui la sensazione di benessere sarà possibile solo tramite un'assunzione ripetuta e sempre più costante.

Nonostante la considerazione progressivamente dedicatagli nel corso degli anni da parte della comunità scientifica, solo recentemente la tossicodipendenza si è guadagnata un posto come entità patologica autonoma nel sistema nosografico internazionale; in questo paragrafo verrà quindi affrontata l'evoluzione del concetto di Disturbo da Uso di Sostanze, seguendone i cambiamenti come categoria diagnostica attraverso le varie edizioni del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM).

Nel corso dell'elaborato si farà più volte uso dei termini dipendenza e addiction; desidero specificare che, benché spesso sfruttati come sinonimi, il concetto di “dipendenza fisica”, inteso appunto nell'accezione fisiologica del termine, indicherebbe la normale conseguenza di un processo adattivo dell'organismo riconducibile ai fenomeni di astinenza e tolleranza; il termine “addiction” (attualmente non in uso nel sistema nosografico, ma spesso citato dalla comunità scientifica) si riferirebbe invece alla componente comportamentale della dipendenza, indicando quindi un disturbo del comportamento (Maremmani e Coll.,

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2016).

L'addiction può essere considerata un'entità diagnostica a sé stante, il cui perno è rappresentato dalla continua ricerca di gratificazione (Bacciardi e Coll., 2013); i sintomi principali che la caratterizzano sono il craving, le ricadute e la perdita del controllo da parte dell'individuo (coincidente con l'impulsività).

Il termine craving, di recente inserito nell'elenco dei criteri diagnostici per il Disturbo da Uso di Sostanze (Maremmani e Coll., 2016), indica un forte stato motivazionale che induce l'individuo ad una ricerca continua della sostanza e quindi all'uso; comporta l'esperienza di intensi stati emotivi a valenza negativa di desiderio e bisogno, nonché numerose fantasie inerenti l'assunzione (Hassani-Abharian e Coll., 2015); quando esposto alla sostanza il soggetto mostra reazioni altrettanto intense riconducibili ad un aumentato arousal, quali tachicardia, senso di tensione, irrequietezza e nervosismo (Vorspan e Coll., 2015; Bergquist e Coll., 2010).

Altra caratteristica distintiva dell'addiction è rappresentata dalle frequenti ricadute a cui i soggetti vanno incontro, soprattutto nelle fasi successive al trattamento (Kirshenbaum e Coll., 2009): è stata avanzata in proposito una teoria esplicativa secondo cui le ricadute nei comportamenti di ricerca ed assunzione sarebbero da ricondurre a meccanismi di condizionamento, ciò nella misura in cui l'uso ripetuto di sostanze causerebbe la formazione di memorie maladattive (Milton and Everitt, 2012).

Alcuni studiosi si sono concentrati sul fenomeno delle ricadute nei quadri di dipendenza da alcol e avrebbero riscontrato una consistente associazione con i tentativi anticonservativi: sulla base dei dati raccolti gli Autori sarebbero quindi giunti alla conclusione secondo cui il tentato suicidio, assieme all'impulsività,

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possano rappresentare predittori per la ricaduta nella dipendenza (Wojnar e Coll., 2008).

Infine, per quanto attiene alla sfera dell'impulsività e perdita del controllo, la letteratura mostra come individui con problemi di tossicodipendenza dimostrino un certo grado di difficoltà nell'operare scelte vantaggiose: questo a causa della tendenza a preferire piccole ricompense immediate rispetto a guadagni, anche più consistenti e stabili, che però richiedono sforzo o impegno; tale aspetto non si limita alla mera gestione del denaro, ma interessa anche altri ambiti quali la salute, la libertà e l'uso stesso di diverse sostanze (Maremmani e Coll., 2016).

Come precedentemente accennato, il crescente impegno mostrato dalla comunità scientifica nell'approccio al Disturbo da Uso di Sostanze trova testimonianza nella spiccata dinamicità che ha contraddistinto la categoria diagnostica: questa ha infatti subito, attraverso le vari edizioni del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), molteplici cambiamenti che le hanno via via conferito connotati sempre diversi; seguiamone brevemente l'evoluzione.

Secondo i primi inquadramenti nosografici (DSM I e II) la tossicodipendenza non era definibile come un'entità psicopatologica distinta e autonoma, ma andava considerata espressione ed indice di un sottostante disturbo di personalità, la psicopatia (APA, 1952; APA, 1968).

Viene riconosciuta come disturbo indipendente solo con il DSM III, nel quale vengono indicati due criteri diagnostici necessari a porre diagnosi (APA, 1980):

 Dipendenza fisica: contrassegnata a sua volta da tolleranza (bisogno di aumentare le dosi per continuare ad ottenere l'effetto desiderato) ed astinenza (insieme di segni e sintomi dovuti all'effetto delle sostanze);  Dipendenza psicologica: rappresentata dal comportamento di compulsione

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e ricerca della sostanza.

Risulta evidente come questa prima definizione rispecchi la natura dicotomica che caratterizzava il pensiero della comunità scientifica, il quale riservava scarso interesse alla componente psicologica dei disturbi indirizzando invece gli sforzi verso lo studio e trattamento degli aspetti somatici.

Pochi anni più tardi con l'introduzione del DSM III-R (1987) sembra prevalere una nuova corrente di pensiero, in cui un emergente interesse per gli aspetti psichici e comportamentali della patologia fa scivolare in secondo piano le componenti di natura somatica; in questa nuova cornice il focus viene spostato sul livello di pervasività del disturbo, ossia la sua costanza nella vita dell'individuo, il livello di interferenza e la natura delle relative conseguenze: si parla quindi di disabilità come esito della compromissione delle attività sociali, lavorative o scolastiche (APA, 1987).

Con il DSM IV e IV TR, la diagnosi viene ulteriormente approfondita e specificata: all'interno della più ampia categoria Disturbi Correlati a Sostanze si possono infatti distinguere (APA, 1994)

 Disturbo da Uso di Sostanze: a sua volta comprendente il Disturbo da Abuso di Sostanze e il Disturbo da Dipendenza da Sostanze

 Disturbi Indotti da Sostanze: intossicazione, astinenza, delirium e altri. Da sottolineare la netta separazione operata all'interno della prima sottocategoria: per porre diagnosi d'Abuso occorre infatti che i sintomi non soddisfino i criteri della Dipendenza, cosicché i due quadri risultano essere mutualmente escludentesi; questo perché nel primo caso si considerano fondamentali i sintomi comportamentali, mentre per quanto attiene alla Dipendenza i criteri indicati sono rispettivamente tolleranza ed astinenza (entrambi fenomeni fisiologici).

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Nel DSM 5 (2013) scompare la categoria relativa all'Abuso, in quanto i criteri per esso proposti sono stati considerati insufficienti; il nuovo sistema nosografico annovera infatti, all'interno della sezione Disturbi Correlati a Sostanze, i seguenti:

 Disturbi da Uso di Sostanze (DUS), la cui caratteristica essenziale consiste in “[...] un cluster di sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che indicano come l'individuo continui a fare uso delle sostanze nonostante i significativi problemi correlati” (APA, 2014).

 Disturbi Indotti da Sostanze, ossia un insieme di sindromi comprendenti intossicazione, astinenza e altri disturbi mentali indotti.

La formulazione della diagnosi di DUS si basa essenzialmente su pattern comportamentali patologici correlati all'uso attraverso la valutazione di undici sintomi o criteri, tra i quali figura anche il craving.

Data la grande variabilità che il Disturbo assume nella popolazione, l'esito diagnostico si inserisce in un continuum di gravità: in base al quantitativo di sintomi presenti è possibile infatti distinguere tre gradazioni differenti, rispettivamente lieve (suggerito dalla presenza di 2-3 sintomi), moderato (4-5 sintomi) e grave (sei o più).

Non solo: sono previste valutazioni longitudinali relativamente alla severità e specificatori per le caratteristiche descrittive del quadro (in remissione precoce, in remissione protratta, in terapia agonista, in ambiente controllato) (APA, 2014). Vengono inoltre specificate tutte le sostanze attualmente riconosciute come correlate all'uso, indicando specifici criteri per ognuna; esse sono: alcol, caffeina, cannabis, allucinogeni, inalanti, oppiacei, sedativi-ipnotici o ansiolitici, stimolanti, tabacco, altre (o sconosciute).

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altre sostanze, il DSM annovera tra i disturbi ad essa correlati unicamente Intossicazione, Astinenza e le diciture “Altri disturbi indotti da caffeina”, “Disturbo correlato senza specificazione”. Detto altrimenti, ciò che risulta degno di nota ai fini della presente trattazione è rappresentato dal fatto che il sistema nosografico non preveda un DUS da caffeina, nella misura in cui questa non indurrebbe lo stato di dipendenza psicologica proprio delle altre sostanze con le relative condotte di ricerca e consumo compulsivi.

Esisterebbero però delle eccezioni, in virtù delle quali il Disturbo da Uso di Caffeina rappresenta indubbiamente un'entità meritevole di ulteriori indagini e approfondimenti: un numero crescente di studi sta infatti dimostrando come in alcuni consumatori si possa instaurare una condizione di dipendenza tale da renderli incapaci di ridurre l'assunzione, nonostante il desiderio di interrompere e la consapevolezza dei ricorrenti problemi di salute associati alla continuità dell'uso (Meredith e Coll., 2013; Strain e Coll., 1994).

Inoltre si sono potute osservare alcune prevalenze nell'assunzione e dipendenza da caffeina; un lavoro condotto da Ciapparelli e Collaboratori ha mostrato ad esempio come l'uso di questa sembri essere fortemente legato, anche se in modo non specifico, a diversi disturbi psichiatrici: in particolare il Disturbo dell'Alimentazione, rispetto ai Disturbi d'Ansia o dell'Umore, è risultato associarsi ad un maggior consumo corrente. Inoltre, al confronto con soggetti sani, i pazienti psichiatrici hanno presentato un più alto uso lifetime di caffeina, nonché una maggior prevalenza di dipendenza e intossicazione; anche alcune variabili demografiche si sono rivelate influenti: in entrambi i gruppi infatti l'età inferiore correlava con una maggiore assunzione corrente, mentre tra gli individui sani l'uso lifetime è risultato prevalente negli uomini (Ciapparelli e Coll., 2010).

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Questi dati certo suggerirebbero l'esistenza di fattori in grado di predisporre gli individui verso una dipendenza, non solo fisiologica, dalla caffeina; ciò nonostante, la letteratura in merito si dimostra ancora incompleta e insufficiente per capire se e come meglio definire, nonché trattare, un possibile Disturbo da Uso (Budney e Coll., 2015).

Riprendendo le fila dell'argomentazione, occorre sottolineare come nell'attuale sistema nosografico non venga tuttavia dato spazio a quella parte di sintomatologia non strettamente legata all'ambito comportamentale proprio dell'uso: i sintomi psichiatrici, se presenti, devono infatti essere collocati in altre categorie diagnostiche (ad esempio Disturbi d'Ansia o dell'Umore).

Ciò costituisce un limite per l'attuale nosografia, data l'evidente influenza che l'uso di sostanze è in grado di esercitare sull'individuo nella sua totalità: gli effetti non si limitano infatti agli aspetti più squisitamente comportamentali, ma si estendono anche all'assetto cognitivo ed emotivo. Le attuali conoscenze in merito inoltre evidenziano come la risultante della compresenza tra tossicomania e disturbi psichiatrici vada considerata come prodotto che supera la semplice la sommatoria delle singole parti: su questa base è pertanto sicuramente auspicabile riuscire a raggiungere in futuro una concezione più integrata e complessa.

Vorrei ora compiere un passo indietro e soffermarmi brevemente sui meccanismi alla base delle condotte tossicomaniche: ho infatti iniziato la mia argomentazione menzionando la ricerca di gratificazione, intesa come senso di piacere e appagamento, quale fondamentale elemento implicato nel fenomeno dell'addiction; ebbene: quali sono i processi, fisiologici ma anche psicologici, che sottendono la gratificazione e più in generale il piacere?

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per sé stesso non si può definire. […]”. È una sensazione e pertanto presenta sì delle caratteristiche in comune ad altre sensazioni, ma al contempo se ne differenzia ed il carattere che rende ragione di questa differenza è sconosciuto. E ancora afferma: “[...] è quasi sempre una reazione esagerata, una manifestazione di esuberanza di forza locale o generale...Il piacere cresce fino ad un punto massimo e poi decresce per scomparire affatto”, “[…] In generale il piacere presenta sempre ragione di sé stesso e accompagna la soddisfazione di un bisogno” (Mantegazza, 1992).

Quest'ultimo punto risulta in particolare meritevole di ulteriori commenti: il fatto che il piacere si accompagni al soddisfacimento di un bisogno, inteso come deficit organico o come tendenza motivata e propensione verso qualcosa, indica la natura indispensabile del piacere e la sua profonda connessione con la vita e la sopravvivenza dell'individuo.

Ma quale connessione esiste tra il piacere e la dipendenza o, per meglio dire, l'addiction?

L'addiction si configura come la risultante di un complesso processo di interazione e reciproca influenza che si instaura tra le sostanze assunte e il substrato biologico dell'individuo (compreso l'assetto psicologico/psichiatrico), coinvolgendo sia fattori predisponenti di natura ereditaria sia fattori acquisiti o ambientali (Maremmani e Coll., 2016).

Una delle conseguenze più importanti derivanti dall'uso di sostanze è rappresentata proprio dal cambiamento che si verifica a carico di determinati circuiti cerebrali; cambiamento che può persistere anche dopo la disintossicazione, in particolare negli individui con disturbi gravi. Gli effetti comportamentali di queste modificazioni si manifestano nelle frequenti ricadute e nel fenomeno del craving, anche quando l'individuo viene esposto a stimoli correlati alla sostanza

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(APA, 2014).

Ebbene, tra i diversi circuiti cerebrali implicati in questo processo, vi sono anche quelli responsabili delle esperienze edonistiche: una consistente mole di dati appartenenti alla letteratura scientifica testimonia ad esempio il coinvolgimento del sistema limbico nel fenomeno della tossicodipendenza (Di Chiara e Imperato, 1988; Koob e Bloom, 1988); le sostanze d'abuso infatti, agendo sui livelli di concentrazione e disponibilità dopaminergica, sembrano influenzare un processo biologico adattivo naturale che normalmente si attiva in risposta ad eventi rilevanti sul piano motivazionale (Maremmani e Coll., 2016).

Tutto ciò sembra avere una connessione con i tratti impulsivi solitamente associati alla tossicodipendenza, per cui stimoli naturalmente o artificialmente associati all'effetto della sostanza divengono a propria volta in grado di elicitare comportamenti di ricerca e uso (Kalivas e Volkow, 2005).

Ovviamente l'interazione tra le sostanze e il Sistema Nervoso non si limita agli esempi appena citati: risultano coinvolte molte altre strutture e meccanismi cerebrali, ma non è questa la sede per discuterne approfonditamente.

Come già precedentemente accennato, nonostante l'indubbia presenza di tratti in comune, è stata riscontrata un'ampia variabilità interindividuale in merito alle modalità e pattern d'assunzione delle sostanze; alcuni studiosi (Hinnenthal e Cibin, 2011) hanno proposto ad esempio la seguente differenziazione:

 sporadico occasionale, per esigenze di aggregazione e socialità  eccessivo, mirato a vari effetti, come una performance

 problematico

 compulsivo-tossicomanico

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conduttore in grado di attraversare la varietà della clinica: tra questi, il modello comportamentista di Panksepp fornisce un'attenta spiegazione dei meccanismi che sottendono il processo della dipendenza (Panksepp, 2005).

Esso postula l'esistenza nel cervello dei mammiferi di una serie di emozioni base (rispettivamente: paura, rabbia, piacere sessuale, gioco, ansia, accudimento e ricerca) che sarebbero sottese da strutture sottocorticali (tronco dell'encefalo, ipotalamo, amigdala); queste sarebbero poi valutate cognitivamente ai livelli superiori, in particolare per mezzo delle cortecce prefrontale e del cingolo anteriore.

Le emozioni di base si esprimono attraverso differenti dimensioni, ossia la valenza (benessere o malessere), il livello di attivazione (arousal) e l'intensità (espressa dal grado con cui riescono a penetrare la coscienza vigile); ogni emozione è sottesa da uno specifico network cerebrale, il quale predispone l'organismo alla messa in atto di comportamenti immediati, apparentemente afinalistici e di per sé privi di rappresentazione dell'oggetto finale (Panksepp, 2007).

Non solo: Panksepp sostiene come il continuo scambio tra organismo e ambiente favorisca meccanismi di interazione e feedback tra le strutture sottocorticali e corticali, dando conseguentemente luogo a processi di attribuzione di senso e organizzazione di significato delle esperienze emotivo-comportamentali (apprendimento).

L'interazione cortico-sottocorticale ha come ulteriore esito l'emergere di emozioni secondarie, più complesse, le quali si configurano come fondamenta per l'ulteriore interpretazione di eventi favorendo in ultima analisi lo sviluppo dell'immagine di sé e della memoria autobiografica.

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focalizza su una in particolare: la ricerca, o seeking; considerata come fulcro della spinta vitale, sia nell'uomo che nell'animale, grazie ad essa è possibile giungere alla scoperta e acquisizione delle risorse necessarie alla sopravvivenza: nell'uomo è forza motrice della spinta all'agire e guida verso l'organizzazione di uno stato emotivo coerente con sé stessi e l'ambiente in cui si è inseriti.

É a questo livello che il fenomeno dell'addiction trova la propria interpretazione in quanto, secondo l'Autore, il processo di gratificazione derivante dall'uso della sostanza attiverebbe proprio l'emozione base della ricerca (Panksepp e Biven, 2015); scendendo più in dettaglio, gli effetti conseguenti all'assunzione instaurerebbero dei meccanismi di esplorazione, avvicinamento e apprendimento che condurrebbero in futuro al ripetersi dell'esperienza.

Il sistema del seeking infatti, essendo deputato alla sopravvivenza dell'organismo, mantiene attivo il suo interesse nei confronti dell'ambiente garantendo la tensione verso il soddisfacimento dei bisogni ed allontanandolo dai sentimenti negativi, portatori di distruzione e morte evolutiva.

Il modello annovera inoltre la dopamina, e il suo aumentato rilascio in seguito all'uso di sostanze, quali fattori coinvolti nel fenomeno dell'addiction; essendo infatti il neurotrasmettitore dopaminergico alla base del processo affettivo di ricerca, alterazioni nella sua concentrazione sono in grado di modificare i circuiti dell'affettività (Rigliano, 2015).

L'ipotesi avanzata da Panksepp sottolinea l'innata tendenza dell'uomo, come dell'animale, a ricercare il piacere attraverso il soddisfacimento dei bisogni e quindi, in un certo senso, anche a sviluppare una forma di dipendenza dalla gratificazione; questo, unito al fatto che regioni e circuiti cerebrali normalmente coinvolti nello svolgimento di funzioni fisiologiche siano anche implicati nella

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genesi e mantenimento dei comportamenti tossicomanici, portano a considerare variabili più complesse quali il temperamento e la personalità all'interno della psicopatologia dell'addiction.

Il temperamento può essere definito come uno stile comportamentale e di risposta caratteristico di un individuo, ed è perciò strettamente legato alla personalità intesa come l'insieme delle caratteristiche personali durature (Santrok, 2008); entrambi sono stati indagati in letteratura in qualità di possibili indici psicopatologici in grado di individuare le caratteristiche pre-morbose degli individui, intendendo con ciò l'insieme di quei quadri sotto-soglia che non rientrerebbero nell'attuale nosografia (non rispettando i criteri diagnostici previsti) ma si configurerebbero come il prodotto di una predisposizione biopsicologica alla dipendenza (Maremmani e Coll., 2009).

In epoca recente ad esempio è stato evidenziato come l'impulsività abituale, quale tratto temperamentale ipertimico o ciclotimico, conferisca un rischio elevato per il coinvolgimento precoce nell'abuso di sostanze e la sua evoluzione nel tempo verso la tossicomania (Maremmani e Coll., 2016).

Molti dei lavori condotti in questo settore si basano sul modello biosociale della personalità di Cloninger (Cloninger e Coll., 1991; Maremmani e Coll., 2005), il quale identifica una serie di tratti temperamentali in grado di influenzare le esperienze e gli stati interni dell'individuo; essi costituiscono la base per lo sviluppo della personalità, del carattere, ma anche della psicopatologia, e sono: la ricerca della novità (novelty seeking), l'evitamento del danno (harm avoidance), la dipendenza dalla ricompensa (reward dependence), e la persistenza (persistence).

Tra questi la novelty seeking, ad esempio, sembrerebbe essere un tratto predisponente all'uso di sostanze illecite e allo sviluppo della dipendenza: alcuni

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studi mostrano infatti come individui che presentano alti livelli associati a questo tratto assumano più sostanze rispetto a coloro che risultano avere livelli inferiori (Mahoney e Coll., 2015; Wingo e Coll., 2015). La spinta verso la ricerca di nuove sensazioni favorirebbe inoltre la messa in atto di comportamenti esplorativi (Wingo e Coll., 2015), l'adozione di molteplici condotte rischiose nonché, in ultima analisi, la dipendenza da sostanze e altri disturbi psichiatrici (Zuckerman e Coll., 1993): viene pertanto usata come predittore di vulnerabilità (Wingo e Coll., 2015). Risulta invece oggetto di controversie il ruolo svolto dalla reward dependence, o dipendenza dalla ricompensa: infatti, accanto a studi che mostrano come alti livelli di questo tratto correlino con un maggior rischio di sviluppare dipendenza da eroina (Fassino e Coll., 2004), ve ne sono altri che al contrario non mostrano alcuna correlazione (Pournaghash-Tehrani e Coll., 2011).

Una recente revisione, anch'essa incentrata sui livelli di predittività dei tratti personologici come fattori di protezione o vulnerabilità per il Disturbo da Uso di Sostanze, si avvale di una classificazione diversa da quella di Cloninger (Belcher e Coll, 2014); gli Autori individuano infatti solo tre dimensioni (o tratti):

 emozionalità positiva/estroversione: rappresenta la dimensione sottostante la sensibilità alla ricompensa, caratterizzata da emozioni a valenza positiva, motivazione, desiderio, entusiasmo, eccitazione, attività ed ottimismo;  emozionalità negativa/nevroticismo: dimensione sottostante la sensibilità

ai segnali di punizione, rende vulnerabili ai sentimenti di natura ansiosa, collerica o depressiva, inducendo risposte maladattive a fronte di situazioni stressanti;

 autocontrollo (constrait): comprende tendenze che vanno dalla repressione fino all'impulsività.

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Secondo gli Autori il livello di protezione o vulnerabilità di un individuo dipenderebbe dall'interazione di questi tre fattori: soggetti con alta emozionalità negativa accompagnata da bassa emozionalità positiva e basso autocontrollo sarebbero infatti i più vulnerabili allo sviluppo di un Disturbo da Uso di Sostanze, mentre coloro che presentano la tendenza opposta si dimostrerebbero essere i più resilienti.

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3 LA DOPPIA DIAGNOSI (DD)

Nel corso degli anni ha assunto sempre maggiore rilievo all'interno del panorama scientifico la questione relativa alla comorbidità: termine introdotto negli anni 70 nell'ambito della medicina generale, per essere successivamente esteso ad altri campi medici (Feinstein, 1970), la comorbidità indica la presenza di due o più malattie nello stesso individuo in un periodo definito di tempo.

Anche nell'ambito della psicopatologia si è reso sempre più urgente il bisogno di riconoscimento e studio di quei quadri caratterizzati dalla compresenza di sintomi, sindromi e disturbi, sia nella ricerca che nella pratica; questo crescente interesse ha dovuto però confrontarsi con una realtà clinica decisamente complessa, ed è perciò tanto più arduo il compito di distinguere le diverse forme di comorbidità e la relativa natura: le ragioni sono da ricercarsi in primis proprio nella mancata chiarezza, tutt'oggi irrisolta, in merito alle cause e fattori implicati nella patogenesi dei disturbi psichiatrici.

Molti sono, infatti, gli interrogativi ancora aperti, in primo luogo la natura stessa delle entità cliniche in questione e la loro concettualizzazione in termini di unità discrete e autonome (categorie) piuttosto che appartenenti ad uno stesso continuum (spettro); è evidente come questo implichi tutta una serie di altre problematiche ad essa inerenti, non solo dal punto di vista nosografico e diagnostico, relativo appunto alla validità discriminante degli attuali criteri, ma anche dal punto di vista eziopatologico e riabilitativo.

L'intricato panorama nel quale si inserisce il concetto di comorbidità rende ancor più difficile comprendere quali siano le possibili implicazioni derivanti dalla compresenza, in uno stesso individuo, di caratteristiche cliniche appartenenti a

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disturbi diversi: ciò non solo ai fini della formulazione diagnostica, ma anche relativamente all'analisi funzionale e strutturale del quadro sindromico.

All'interno della comunità scientifica molti studiosi si sono concentrati nell'indagare la relazione, frequentemente riscontrata, tra i disturbi psichiatrici e l'uso/abuso di sostanze: è infatti divenuto sempre più frequente l'uso, nell'ambito delle tossicodipendenze, dell'espressione “Doppia Diagnosi” ad indicare proprio la compresenza di una sintomatologia sia di natura tossicomanica che psichiatrica (Bonetti, 2005).

Studi condotti sulla popolazione mostrano come questo tipo di comorbidità si aggiri intorno al 50% dei casi, sia che si tratti di pazienti in cui l'abuso di sostanze si aggiunge ad una preesistente patologia psichiatrica, sia nei casi in cui siano i disturbi mentali ad essere secondari ad un Disturbo da Uso di Sostanze (Kessler e Coll., 1994; 1996); i dati testimoniano inoltre come la presenza stessa di abuso di sostanze possa influire sulla sintomatologia psichiatrica, aggravandone il quadro (Merikangas e Coll., 1998; Swendsen e Merikangas, 2000).

La frequenza di questa associazione riscontrata tra i disturbi tossicomanici ed altri disturbi psichiatrici, nonché le evidenze circa la loro interazione, non appaiono affatto riconducibili ad una semplice casualità; hanno anzi animato gli interessi e diretto gli sforzi dei ricercatori verso un'indagine approfondita del fenomeno e delle relative caratteristiche: si è quindi approdati, a partire dalle prime ricerche attendibili svolte negli anni 80 (Rigliano, 2015), alla nascita del modello di First e Gladis (1993). Questo propone una sotto-categorizzazione dei quadri di comorbidità sulla base dell'ordine di insorgenza dei disturbi, distinguendo quindi tre differenti tipi di pazienti: vi sono infatti casi in cui il disturbo psichiatrico è primario rispetto alla tossicodipendenza, la quale andrebbe a configurarsi come un

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effetto secondario sviluppatosi nel tentativo di alleviare i sintomi; in altri individui è la dipendenza a dimostrarsi primaria, mentre la sintomatologia psichiatrica sarebbe considerata conseguenza dell'intossicazione, dell'astinenza o dei danni cerebrali causati dall'uso delle sostanze; esiste infine un gruppo di pazienti in cui entrambi i disturbi risultano essere primari, indipendenti e non interagenti tra di loro.

Benché tale classificazione sia indubbiamente significativa, quest'ultima interpretazione in particolare si rivela limitata: le evidenze emerse dalla ricerca in merito alla “sinergia” che lega queste due entità patologiche rendono improbabile la loro indipendenza ed escludono un rapporto di natura non interattiva.

Recentemente è stata avanzata un'ulteriore ipotesi in merito all'eziopatogenesi di un quadro comorbile tra tossicomania e psicopatologia (Pani P.P. E Coll., 2010): secondo alcuni ricercatori infatti la Doppia Diagnosi risulterebbe essere conseguenza di un'erronea riconduzione, sotto il dominio di altri disturbi psichiatrici, di quella parte di sintomatologia identificabile come appartenente alla psicopatologia della dipendenza; come conseguenza, il concetto stesso di comorbidità rappresenterebbe in realtà un artefatto.

Non solo: gli Autori sottolineano anche come la natura riduzionistica degli attuali strumenti diagnostici, indirizzati alla sola valutazione del quadro sintomatologico, non tenga in debita considerazione quei quadri sotto-soglia (come il temperamento) che potrebbero rivelarsi predisponenti lo sviluppo della dipendenza; attualmente infatti, come ho già avuto modo di argomentare, la nosografia descrive i Disturbi da Uso di Sostanze esclusivamente sulla base del comportamento manifesto.

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della Doppia Diagnosi sia decisamente complesso e controverso, non essendo la comunità scientifica ancora prevenuta ad una risposta univoca in proposito.

Nonostante le difficoltà sopramenzionate, la mole di dati testimoniante la relazione tra tossicomania e disturbi psichiatrici è tuttavia davvero consistente: uno studio ha mostrato ad esempio come l'uso di crack sembri aumentare le probabilità di sviluppare dipendenza verso altre sostanze, mentre un'anamnesi di consumo di crack o cocaina parrebbe associarsi allo sviluppo di quadri sindromici quali Ansia Generalizzata, Depressione e Distimia (Narvaez e Coll., 2014).

Altri lavori hanno evidenziato come chi usa sostanze vada incontro ad un maggior rischio di incarcerazioni, comportamenti violenti e anticonservativi collegati ad elevati tratti di psicoticismo e nevroticismo, ostilità e ideazione suicidaria (Cuomo e Coll., 2008).

Non da meno risultano essere gli effetti delle sostanze cosiddette “leggere”: secondo una review narrativa, basata sulle evidenze emergenti dalla letteratura, l'uso di cannabis indurrebbe all'assunzione di altre sostanze illecite; non solo: si rivelerebbe infatti associata alla Psicosi, in alcuni casi al Disturbo Bipolare e in vario modo anche alla Depressione e Disturbi d'Ansia. L'età del consumo sembra essere inoltre un fattore importante, con forti associazioni osservate tra l'esordio in adolescenza e la successiva comparsa di problemi psichiatrici (Hanna e Coll., 2016).

Ad ogni modo si può affermare che, in generale, i disturbi più frequentemente associati alla tossicomania siano quelli in asse I e II: ad esempio Disturbi d'Ansia, dell'Umore e di Personalità; sembrerebbe inoltre delinearsi una qualche forma di associazione tra determinati disturbi e l'uso lifetime di alcuni tipi di sostanza: un corpus di ricerche mostrerebbe infatti come quadri di Depressione Maggiore,

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Distimia, Ansia Generalizzata e Disturbo Antisociale correlino con dipendenza da oppiacei e cocaina mentre Fobia Sociale e Disturbo Borderline si accompagnino all'uso di alcol e cannabinoidi (Perone e Pecori, 2002).

Un gruppo di ricercatori ha rilevato come la maggior parte delle donne senza tetto soffra di un Disturbo da Uso di Sostanze, il quale risulterebbe sempre associato a sintomi propri di altri quadri in asse I, quali il Disturbo Bipolare o il Disturbo Post Traumatico da Stress (Withbeck e Coll., 2015).

Anche una recente metanalisi conferma l'esistenza di una forte correlazione tra Disturbi dell'Umore e Uso di Sostanze, evidenziando come quest'ultimo possa a sua volta rappresentare un fattore di rischio per l'instaurarsi di altre patologie: soggetti che fanno abuso di alcol presenterebbero infatti un rischio di sviluppare un Disturbo d'Ansia pari a 2,1 volte superiore rispetto ai non abusatori, ed una probabilità di soffrire di Depressione Maggiore aumentata di 3,1 volte (Lai e Coll., 2015).

All'interno dell'asse I, sembra vi sia un particolare coinvolgimento a carico del Disturbo Bipolare: parte consistente della letteratura dimostra infatti come, tra i pazienti affetti da disturbi psichiatrici, i bipolari mostrino la più alta prevalenza di comorbidità con uso di sostanze. Più nello specifico, circa il 50% di loro riporta una storia lifetime di abuso e dipendenza (Sonne and Brady, 1999; Maremmani e Coll., 2012), e i soggetti bipolari di tipo I sembrano essere i più interessati da questa condizione comorbile (Chengappa e Coll., 2000; Maremmani e Coll., 2012); alcool e cannabis sono le sostanze più spesso usate, seguite da cocaina e oppioidi.

Tra le teorie avanzate nel tentativo di fornire una spiegazione alla co-occorrenza tra uso di sostanze e disturbi mentali figura l'ipotesi dell'auto-medicazione, secondo la quale alcuni pazienti presenterebbero un miglioramento nella

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sintomatologia psichiatrica proprio come risultato dell'assunzione di droghe (Weiss e Coll., 2004; Maremmani e Coll., 2012).

In altre parole, la maggior parte degli individui non sceglierebbe le sostanze in modo casuale, ma in seguito alla scoperta di specifiche azioni psicofarmacologiche in grado di lenire la sofferenza causata dai propri stati affettivi; in linea con quanto esposto, anche i pazienti psichiatrici sembrerebbero selezionare e prediligere quelle sostanze che essi si aspettano possedere effetti curativi: l'uso di eroina potrebbe quindi modulare l'umore diminuendo la disforia, gli stimolanti del SNC risponderebbero ad esigenze di tipo depressivo mentre i depressori del SNC sarebbero prediletti in caso di stati maniacali o ipomaniacali.

Sulla base di questa ipotesi, sono stati condotti alcuni studi volti ad indagare l'uso di eroina e la dipendenza da cocaina quali tentativi per alleviare la sofferenza emotiva: i dati hanno riportato ad esempio come, nei pazienti bipolari, la cocaina sembri esercitare una certa attrazione a causa della sua capacità di alleviare il distress associato alla depressione (Khantzian, 1985).

Maremmani e collaboratori, interessandosi all'ipotesi dell'auto-medicazione, hanno condotto uno studio con l'intento di indagarne la validità: nello specifico essi hanno confrontato le sostanze d'abuso concomitanti in 150 pazienti bipolari eroina-dipendenti sulla base della loro presentazione clinica, ossia del loro stato affettivo corrente (episodio depressivo, ipomaniacale, maniacale o misto) (Maremmani e Coll., 2012).

I dati ricavati sono risultati in contrasto con le ipotesi iniziali, non supportando di conseguenza la teoria oggetto di indagine, tuttavia hanno posto in evidenza delle interessanti differenze tra i gruppi: è emerso infatti come i pazienti assumessero ansiolitici e ipnotici, riconducibili alla classe di depressori del SNC, con maggior

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frequenza durante un episodio depressivo; farmaci appartenenti alla classe degli stimolanti (cocaina, anfetamine) sono risultati essere assunti con maggior frequenza durante gli episodi ipomaniacali; negli stati maniacali sarebbe invece prevalso l'uso sia di stimolanti che di cannabinoidi, mentre pazienti con episodio misto avrebbero assunto depressori (alcool) stimolanti e allucinogeni insieme. Per quanto attiene ai pazienti in fase depressiva, occorre sottolineare come i depressori del SNC siano farmaci in grado di alleviare sintomi quali insonnia e ansia; tuttavia risultano anche aggravare, in linea generale, il rallentamento delle funzioni sia cognitive che fisiche. Questo ha portato gli Autori a supporre che i pazienti potrebbero non essere alla ricerca di un vero e proprio miglioramento del quadro depressivo, quanto piuttosto di uno stato di oblio in cui poter annullare la sofferenza (Maremmani e Coll., 2012).

In merito ai pazienti in stato ipomaniacale e maniacale i dati evidenziano come, nonostante la loro condizione di eccitazione, essi tendano a continuare l'abuso di psicostimolanti rafforzando ed elevando il proprio stato mentale; la stessa tendenza è emersa anche da parte dei soggetti in episodio misto, nonostante questi percepiscano la propria situazione affettiva come sgradevole e indesiderabile. I quadri maniacali sono risultati associati ad un elevato consumo di stimolanti e cannabinoidi: le evidenze in letteratura, secondo cui l'assunzione di cannabinoidi da parte di pazienti bipolari indurrebbe sintomi maniacali (Leweke and Koethe, 2008), hanno condotto gli Autori a supporre come l'uso di questa sostanza possa probabilmente assolvere la funzione di ottimizzare il livello d'eccitazione (alla stregua degli stimolanti) (Maremmani e Coll., 2012).

Più incerto sembrerebbe invece il ruolo rivestito dall'uso di alcool: questo è infatti risultato in prevalenza assunto dai pazienti in episodio misto, mentre la teoria

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dell'automedicazione avrebbe suggerito un uso più elevato in casi di mania e ipomania (in modo da ridurre la condizione euforica); tuttavia, in base ai dati emersi e alla letteratura disponibile, gli Autori asseriscono che l'ipotesi dell'auto-medicazione risulti più soddisfacente nello spiegare l'abuso alcolico in relazione ai Disturbi d'Ansia rispetto a quelli dell'Umore, e sia meglio applicabile ai pattern d'uso controllato (caratterizzanti le prime fasi d'assunzione) piuttosto che dipendente (Maremmani e Coll., 2012).

In linea generale quindi, lasciando da parte gli stati misti e depressivi, l'abuso di sostanze riscontrato in soggetti con quadri ipomaniacali e maniacali sembrerebbe più probabilmente dovuto al desiderio di mantenere il proprio stato affettivo corrente piuttosto che risolvere l'umore depresso. Queste considerazioni sembrerebbero inoltre in linea con la scarsa compliance frequentemente riscontrata da parte dei pazienti bipolari che si trovano in queste fasi (Weiss e Coll, 1998; Khalkho and Khess, 1999; Hong e Coll., 2011): a tal proposito gli Autori si spingono ad affermare che la scarsa aderenza terapeutica non sia solamente dovuta alla mancanza di insight sulla propria condizione psicopatologica, ma probabilmente rifletta anche il fatto che questi pazienti esperiscano in un certo qual modo la propria situazione come fonte di piacere e gratificazione (in casi di dipendenza da mania) .

Gli Autori però concludono sottolineando la grande difficoltà insita nel comprendere e stabilire se sia la sostanza a causare lo stato affettivo corrente o se sia quest'ultimo a determinare la sostanza utilizzata: il confine non è netto, ed è possibile che sia l'uso di stimolanti ad aver prodotto quadri di mania o ipomania in pazienti che, altrimenti, sarebbero potuti essere depressi (Maremmani e Coll., 2012).

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La letteratura riporta altri lavori condotti allo scopo di validare l'ipotesi dell'auto-medicazione: ad esempio un recente studio condotto nel Nord Uganda, regione colpita da una devastante guerra civile e riportante un elevato consumo di alcolici, ha rilevato una forte prevalenza di sintomi propri del Disturbo da Uso di Alcool nella popolazione maschile rispetto a quella femminile; cosa più importante, ha evidenziato come gli uomini che hanno segnalato maggiori problemi alcool-correlati sperimentino, all'aumentare dell'esposizione al trauma, uno scarso aumento di sintomi da Disturbo Post-Traumatico da Stress e Depressione. Il consumo di alcool sarebbe quindi risultato in grado di moderare la relazione dose-effetto tra esposizione al trauma e sintomi psicopatologici (Ertl e Coll., 2016). Altri Studiosi hanno invece indagato il rapporto bidirezionale esistente tra consumo di cannabis e sintomi depressivi in adolescenti e giovani adulti: i dati hanno mostrato che, mentre il consumo di cannabis era in grado di predire il successivo aumento di sintomi depressivi (anche se solo nei soggetti con depressione lieve), quest'ultimi riuscivano a predire solo lievi aumenti nelle future assunzioni tra coloro identificati come consumatori abituali. Gli Autori hanno quindi concluso come lo studio fornisca solo una limitata evidenza a supporto dell'ipotesi dell'auto-medicazione, mentre abbia meglio evidenziato gli effetti della cannabis sulla sintomatologia psicopatologica (Womack e Coll., 2016).

La letteratura annovera anche lavori volti ad indagare la correlazione tra la scelta delle sostanze d'abuso e i fattori di personalità, riportando risultati anche in questo caso solo in parte concordi con la teoria dell'auto-medicazione: McKernan e Collaboratori hanno evidenziato, ad esempio, come soggetti orientati all'assunzione di depressori del SNC siano più inclini a mostrare difese repressive, eccessivo controllo della rabbia ed inibizione emotiva; coloro che prediligono

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oppiacei manifesterebbero invece elevati livelli di aggressività, ostilità, depressone, deficit nel funzionamento dell'io e comportamenti esternalizzanti-antisociali collegati all'uso. Gli Autori non hanno invece trovato dati significativi a supporto dell'ipotesi secondo cui individui tendenti all'uso di stimolanti sperimenterebbero stati di anedonia, paranoia, propensione alla mania e bassi livelli di inibizione emotiva (McKernan e Coll., 2015).

Come si può evincere da quanto esposto, non c'è piena concordanza all'interno della comunità scientifica: la natura della questione è davvero molto complessa, e rimane difficile riuscire a tracciare quella sottile linea di demarcazione che separa le costanti influenze reciproche intercorrenti tra uso di sostanze e psicopatologia; benché la relazione sia ormai indubbia, il percorso per riuscire a comprenderne a pieno le dinamiche sembra ancora lungo e intricato.

Come precedentemente accennato, le evidenze attualmente disponibili non si limitano alla sola considerazione dei Disturbi in asse I; anzi, la letteratura offre un consistente corpus di dati anche in merito all'associazione tra il consumo di sostanze e i Disturbi di Personalità: si riscontrano, infatti, evidenze su tratti di tipo ossessivo compulsivo, antisociale, schizoide e dipendente (Grant e Coll., 2004). Entrando più nel merito, alcuni dati indicano come la comorbidità con il Disturbo Borderline di Personalità possa avere un impatto negativo sul percorso clinico e l'outcome dei Disturbi da Uso di Sostanze; tuttavia i risultati emersi da una recente ricerca non supportano l'ipotesi secondo cui individui con Doppia Diagnosi (Borderline Personality Disorder e Substance Use Disorder) presentino caratteristiche di personalità più gravi di quelli con sola diagnosi di BPD (Lee e Coll., 2010).

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presentino maggiori probabilità di essere accusati per aggressione e comportamenti disfunzionali legati al consumo di droga, così come per guida in stato di ebrezza/intossicazione: i comportamenti ad impronta criminale sembrerebbero quindi legati, almeno in parte, alla comorbidità con uso di sostanze (Sansone e Coll., 2014).

Anche il Disturbo Antisociale di Personalità (ASPD) è stato valutato in questo senso: un'indagine eseguita su individui con diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze (DUS) ha distinto e confrontato i soggetti in base alla presenza o meno di ASPD; nonostante le diverse somiglianze esistenti, la morbilità nei casi con ASPD così come misurata dal numero e tipologie di problemi correlati a sostanze nonché dalle variabili relative al trattamento è risultata essere notevolmente maggiore; problemi di natura legale e familiare sembrano essere fortemente associati al APSD e predittivi di ulteriori complicazioni così come degli esiti di trattamento del DUS (Westermeyer e Thuras, 2005).

I risultati di uno studio più recente mostrano anche come soggetti adulti con comorbidità ASPD/DUS posseggano elevati tratti psicopatici, aggressione e impulsività se confrontati sia con soggetti solo DUS sia con i controlli (Alcorn e Coll., 2013).

Vale la pena considerare, in ogni caso, quanto sia difficile diagnosticare un disturbo psichiatrico quando si è in presenza di una dipendenza da sostanze, in primis a causa delle ripercussioni che queste causano sia nel breve che nel lungo termine (Pani e Coll., 2010); diversi studi supportano queste affermazioni, uno dei quali mostra ad esempio come l'uso di cannabis possa condurre nel tempo allo sviluppo di una Psicosi primaria, e come allo stesso modo anche altre sostanze siano in grado di causare una Psicosi indotta (Rognli e Coll., 2015).

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Gli effetti indotti dal consumo, non solo immediati ma soprattutto quelli derivanti da un uso cronico, rendono ragione di quadri anche molto severi dal punto di vista psicopatologico, come testimoniato dalla numerosità di individui presi in carico dalle strutture di urgenza psichiatrica. È estremamente complesso riuscire a distinguere i singoli elementi coinvolti in uno specifico quadro e stimarne un peso relativo, specialmente nei casi di Doppia Diagnosi, in cui l'interazione sinergica che lega uso di sostanze e psicopatologia si è rivelata in grado di causare episodi sindromici acuti e violenti, altamente invalidanti per il soggetto.

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4 LE URGENZE IN PSICHIATRIA E IL RUOLO DEL DISTURBO DA USO

DI SOSTANZE

La prima definizione del concetto di urgenza psichiatrica risale all'anno 1910, ad opera di Dupré, il quale la descrive come: “l'insieme delle psicopatie di cui l'esordio improvviso, l'evoluzione acuta e la particolare gravità impongono al medico l'obbligo e la responsabilità di una diagnosi precoce, di un intervento terapeutico immediato e di una decisione medico-legale rapida”. Successivamente è stata definita “un tentativo di risposta e di definizione sociale ad una situazione di crisi”, quest'ultima intesa come “improvvisa insorgenza di fenomeni morbosi e violenti” (Grassi, 1993).

Perno di questa seconda definizione è dunque il concetto di crisi quale imminente minaccia, caratterizzata da una gravità tale da richiedere un tempestivo intervento; essa si verificherebbe in seguito alla rottura dell'equilibrio omeostatico e conseguente incapacità, da parte dell'organismo, di far fronte alle richieste ambientali cui è sottoposto (Grassi, 1993).

In risposta a pressioni divenute insostenibili esso andrebbe incontro ad una sequenza di fasi aventi, come prodotto finale, lo stato di crisi sopra descritto: dopo una prima reazione emotiva piuttosto acuta subentrerebbero, infatti, il senso di impotenza e di disperazione seguiti dallo stadio di destrutturazione dell'equilibrio interiore e quindi dallo stato morboso.

L'intervento richiesto per affrontare quest'ultima fase deve possedere tutte le qualità necessarie a garantire la tutela e la gestione dell'episodio nei modi più efficaci ed efficienti consentiti, così che la persona ne risenta il meno possibile; a questo compito adempiono le strutture di urgenza psichiatrica, che come tali

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accolgono e trattano quadri clinici anche molto differenti (Bolton, 2009).

In linea generale le cause di ricovero più frequenti sono rappresentate dagli episodi psicotici acuti, i quali possono essere di natura organica, funzionale o indotta da sostanze; altre cause abituali sono gli atti di autolesionismo e i tentativi anticonservativi, l'abuso di alcolici e gli stati di intossicazione indotti da sostanze. Un lavoro di ricerca condotto presso i dipartimenti di emergenza ha mostrato come gli accessi per casi di disturbi psichiatrici, abuso alcolico e Doppia Diagnosi superassero in frequenza i casi di malattie virali croniche come l'epatite e l'immunodeficienza (Minassian e Coll., 2013).

Altri ricercatori si sono invece concentrati direttamente sulla psichiatria d'urgenza, proponendosi di individuarne i “visitatori usuali” (frequent visits); dai dati emersi sono state indicate alcune caratteristiche quali probabili predittori di una maggiore assiduità di ricoveri (Agaard e Coll., 2014): queste sarebbero la presenza di malattia mentale grave, l'abuso di sostanze e in qualche misura l'età avanzata. Da queste poche righe emerge immediatamente una consistente incidenza di uso di sostanze e disturbi correlati nell'ambito delle urgenze, si evince il loro coinvolgimento anche nei quadri sindromici più acuti e severi nonché la necessità di una tempestiva presa in carico; un'ampia analisi demografica condotta di recente riporta ad esempio come su un totale di 19055 soggetti, reclutati presso i dipartimenti di urgenza psichiatrica, 2259 (il 27.6%) risulti essere positivo all'uso di droghe e alcol, mentre la restante parte presenti gravi problemi di natura psicopatologica (Hankin e Coll., 2013).

Ancora: una pubblicazione relativa alla popolazione statunitense stima come sia i consumatori di cannabis sia i poliabusatori (cannabis ed altre sostanze) abbiano notevolmente aumentato gli accessi presso strutture di urgenza psichiatrica nel

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periodo compreso tra il 2004 e il 2011; i soggetti prevalentemente coinvolti sarebbero stati di giovane età e di etnia nera non ispanica (Zhu e Wu, 2016).

Ciò suggerisce come una parte consistente dell'utenza faccia uso di sostanze e come di conseguenza il contesto dell'emergenza guadagni interesse in qualità di sede per la prevenzione e il trattamento delle condotte d'abuso.

Alcuni studiosi della Georgia State University (Hankin e Coll., 2013) hanno mostrato come una buona parte dei pazienti rivoltisi presso strutture di urgenza avesse assunto sostanze stupefacenti o alcol nei trenta giorni precedenti la data del ricovero; secondo gli Autori le condotte d'abuso in questi casi sarebbero state la causa, o comunque l'aggravante, delle condizioni che hanno reso necessari i ricoveri.

Gli abusatori si configurerebbero quindi come soggetti ad alto rischio, e l'uso di sostanze risulterebbe essere un fattore in grado di aumentare le probabilità di insorgenza e aggravamento della malattia mentale, con conseguenze sia sul piano psicologico e psichiatrico sia su quello medico e sociale.

Un altro studio ha raccolto e confrontato dati relativi a 686 pazienti in età adulta che, per varie ragioni, si sono rivolti presso due dipartimenti di emergenza ammettendo in un secondo momento di far uso di droghe; in base alle sostanze coinvolte e al pattern d'assunzione, i soggetti sono stati distinti in consumatori di cannabis, a loro volta differenziati in quotidiani e sporadici, e consumatori di altre sostanze.

Queste tre categorie sono state successivamente comparate in relazione ad indici di gravità drug-related e variabili sociodemografiche: i dati mostrano come il 45% del campione risulti avere un problema da uso di sostanze; inoltre, nonostante i tre gruppi non presentino sostanziali differenze per la maggior parte dei fattori

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