UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare dell’Area Critica Direttore Prof. Riccardo Zucchi
Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute
TESI DI LAUREA
“RICERCA ESPLORATIVA PER LA VALIDAZIONE DI UNO STRUMENTO PER LA TOKEN ECONOMY COOPERATIVA IN CLASSE”
RELATORE CANDIDATO Dott. Fabio Celi Claudia Lucarini
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Riassunto………..5
1. Introduzione……….7
2. Tecniche comportamentali………10
2.1 Sistemi basati sul rinforzo: ………...11
2.1.1 metodologie di rinforzamento……….12
2.1.2 schemi di rinforzamento………..15
2.1.3 corretto utilizzo dei rinforzatori e i principi basilari………16
2.1.4 generalizzazione degli apprendimenti……….18
2.1.5 stimoli e/o rinforzi naturali nel processo di training…………....23
2.2 La valutazione delle abilità: ………..24
2.2.1 analisi qualitativa………24
2.2.2 analisi quantitativa………...26
2.2.3 analisi funzionale……….29
2.3 Il contratto comportamentale……….32
2.4 La token economy (sistema a punti)………..36
2.5 Il costo della risposta……….45
2.6 Le conseguenze naturali e le conseguenze logiche………...49
3 Rassegna di studi internazionali ed italiani:.………51
3.1 “A token reinforcement program in a public school: a replication and systematic analysis”, O’Leary, K.D., Becker, W.C., Evans, M.B., Saudargas, R.A. (1969)………51
3
3.2 “Self-management within a classroom token economy for students with
learning disabilities”, Cavalier, A.R., Ferretti, R.P., Hodges, A.E.
(1997)……….52
3.3 “Star bene in classe: un programma di intervento cognitivo-comportamentale per migliorare il clima relazionale a scuola”, Bonsignori, R., Ferla, L., Marzocchi, G.M. (2016)………53
3.4 “Difficoltá di gestione di una classe quinta di scuola primaria: il ruolo dell’insegnante in un intervento psico- educativo”, Dentella, L., Marion, L., Ornaghi, S., Cornoldi, C. (2013)………...55
4 Ricerca: la lavagna delle ricompense……….58
4.1 Obiettivi dello studio……….64
4.2 Partecipanti………65
4.3 Descrizione del progetto: ………..66
4.3.1 prima fase: situazione iniziale……….66
- osservazioni occasionali - condivisione con gli insegnanti - osservazione sistematica 4.3.2 seconda fase: pianificazione e realizzazione dell’intervento...72
- condivisione con le insegnanti - presentazione del progetto alla classe - monitoraggio a metà percorso
4
4.3.3 terza fase: fine del percorso………78
- conclusione dell’intervento e follow-up - risultati 4.4 Discussione………84
5 Conclusioni………...86
6 Bibliografia………...89
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Riassunto
La token economy (detta anche economia simbolica, o sistema a punti) è una tecnica
comportamentale che consiste in un accordo, tramite il quale il counselor, o il genitore,
o l’insegnante stabilisce con il soggetto che per un certo comportamento corretto quest’ultimo riceverà un bollino premio o un punto.
È un sistema di rinforzo positivo basato sul monitoraggio del comportamento che si
intende modificare.
Si basa sul corretto utilizzo dei rinforzatori simbolici o token (gettoni, fiches, ecc.), i
quali acquistano valore rinforzante in quanto possono essere scambiati per assicurarsi
vari privilegi. Questi token si guadagnano emettendo le prestazioni richieste, ma
possono essere anche persi nel caso in cui si dia vita a comportamenti identificati
precedentemente come inadeguati. La token economy è una procedura sofisticata e
molto strutturata ed ha alcuni principi fondamentali da rispettare per far sì che risulti
efficace.
Questa tesi presenta un progetto di intervento di natura psicoeducativa, attraverso
tecniche di token economy, realizzato in modo cooperativo in tre classi di una scuola
primaria di Marina di Carrara. Il progetto ha avuto una durata complessiva di 6 mesi. In
particolare, attraverso l’utilizzo di tecniche di natura cognitivo-comportamentale, si è cercato di diminuire i comportamenti negativi messi in atto più frequentemente dagli
alunni della classe. I dati raccolti
mostrano l’efficacia di questo tipo di intervento nel diminuire le frequenze dei comportamenti negativi messi in atto dai bambini, aumentando invece quelli positivi, e
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Si tratta di un progetto innovativo proprio perché coinvolge l’intera classe e non il singolo bambino, e per questo è stato finanziato dalla casa editrice Edizioni Centro
Studi Erickson e successivamente pubblicato con il nome di “La valigetta delle
ricompense” (Celi, Lisci 2018).
Parole chiave: token economy, gettoni, token, tecniche cognitivo-comportamentali,
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1. Introduzione
Gli interventi psico-educativi sono interventi basati su tecniche comportamentali che
prevedono la modificazione di determinati comportamenti. Tentano di modificare gli
atteggiamenti, i pensieri e le emozioni degli individui, così da poter migliorare i
comportamenti. In particolar modo, la token economy è un intervento psico-educativo
che ha lo scopo di diminuire i comportamenti negativi, sviluppando invece quelli
funzionali attraverso il rinforzo positivo.
La token economy contemporanea può essere fatta risalire all’inizio degli anni ’60 del
secolo scorso, quando Ayllon e Azrin (1968) la utilizzarono con pazienti psichiatrici.
Gli ottimi risultati ottenuti hanno permesso di favorire la diffusione di queste teniche
non solo in campo della salute mentale, ma anche in quello scolastico.
“Infatti, quando gli usuali metodi utilizzati dagli insegnanti non hanno nessun beneficio sui comportamenti negativi di un bambino o di un’intera classe, la token economy può essere un buon metodo per ottenere dei cambiamenti positivi nei comportamenti
problematici” (Dentella, Marion, Ornaghi, Cornoldi 2013)(O’Leary e O’Leary, 1972).
Queste tecniche psico-educative sono state utilizzate sia sul singolo bambino sia su
intere classi, intervenendo sia su bambini con una disabilità diagnosticata che su
bambini considerati problematici nella classe.
In particolare, alcune delle difficoltà per cui sono stati applicati sono le seguenti:
1. Disabilità intellettiva. Attraverso un adeguato progetto educativo, si può
lavorare sia su problemi di apprendimento sia su problemi comportamentali
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2. Disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Grazie a un intervento sull’intera
classe, il bambino veniva aiutato a controllare il comportamento iperattivo
(Cazzoli, Fontana, Celi, Tornaghi, Calcara e Filipozzi 2005).
3. Disturbo oppositivo provocatorio. Nella ricerca di Fontana, Celi, Toselli, e
Scannavini (2009) si è cercato di creare di instaurare una nuova modalità
relazionale tra il bambino, le insegnanti e i compagni.
4. Autismo. La token economy permette di incrementare il contatto oculare e la
relazione tra il bambino e la sua insegnante (Celi, Fontana, Arena, Possenti,
Trubini e Zanini 2007).
5. Problematiche di apprendimento. Grazie all’utilizzo dell’apprendimento senza
errori e ad una token economy applicata all’intera classe, il bambino ha
diminuito gli errori ortografici e grammaticali nella scrittura (Celi, Fontana,
Rossi, Paltrinieri e Saladini 2007).
Per quanto riguarda l’utilizzo di queste tecniche sull’intera classe, alcuni studi hanno
dimostrato come sia più efficace utilizzarle non tanto sul singolo bambino problematico
quanto su tutti gli alunni della classe. Questo per creare un clima di collaborazione e
supporto tra i vari alunni e per non far sentire “diverso” il bambino stesso, come nella
ricerca di Nizzoli e colleghi (2009).
Un altro possibile impiego, sottolineato dalla ricerca di Sartori e colleghi (2009),
riguarda l’autonomia dei bambini, i quali, attraverso l’utilizzo della token economy, diminuivano le richieste di aiuto.
Gli interventi psico-educativi, inoltre, possono essere utilizzati anche quando non ci
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livello didattico. Ad esempio, utilizzando l’apprendimento cooperativo tramite lavori di
gruppo, si possono migliorare determinate abilità e competenze didattiche dei bambini,
come quelle matematiche (Celi e colleghi 2007).
Da tutte queste ricerche si comprende come gli interventi psico-educativi abbiano
un’alta efficacia nel modificare i comportamenti, dapprima tramite l’utilizzo di rinforzatori estrinseci (come le tecniche di intervento), poi tramite rinforzatori intrinseci
e naturali, che ne permettono il mantenimento.
L’idea di base è che si possa così fornire delle linee guida per una buona gestione della classe e per migliorare il clima interno ad essa, andando a ridurre i comportamenti
disfunzionali. Per creare un clima ottimale per l’apprendimento è importante instaurare
un rapporto di rispetto con l’alunno, anche quando fallisce o agisce in modo inappropriato. “Ogni allievo deve essere riconosciuto come singolo con specifiche necessità e bisogni” (Bonsignori, Ferla, Marzocchi 2016).
Questo non significa che per condurre in modo adeguato una classe sia solo necessario
ridurre i comportamenti inopportuni e mantenere quindi una determinata disciplina; è
necessario, contemporaneamente, aumentare i comportamenti funzionali e positivi che
permettono di creare relazioni positive, esperienze costruttive ed emozioni piacevoli
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2. Tecniche comportamentali
Gli studi effettuati da Skinner sull’apprendimento in ambito comportamentistico, sono stati seguiti da una cascata di altri studi sull’argomento, tanto da far sviluppare una vera e propria metodologia di intervento denominata tecnologia del comportamento o
modificazione del comportamento. Meazzini, Barnaba e Fagetti (1981) la definiscono
come “un approccio tecnico-scientifico finalizzato a prevenire, affrontare e risolvere (con procedure suscettibili di verifica intersoggettiva) problemi di natura
comportamentale presenti nel singolo e nel gruppo".
Partiamo da alcuni presupposti.
Quando vogliamo incrementare in un bambino alcuni comportamenti positivi, è
necessario innanzitutto verificare se egli possiede già le abilità necessarie per mettere in
atto tali comportamenti. È utile, perciò, porsi tre domande preliminari (Di Pietro, Bassi
2018):
1. il bambino sa che cosa fare?
2. il bambino sa come farlo?
3. il bambino sa quando farlo?
Ad esempio, se il comportamento da potenziare è l’interazione con i pari, va valutato se il bambino possieda le abilità sociali necessarie per interagire con i coetanei e non le
metta in atto o se invece non abbia sufficientemente sviluppato tali abilità. Se risulta che
il bambino possiede già le abilità necessarie per manifestare il comportamento in
questione, allora si può verificare se il livello di ansia che egli sperimenta interferisce
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Un passo preliminare consiste nell’individuare degli obiettivi comportamentali per il
bambino, che possono essere disfunzionali (come dire parolacce, picchiare, ecc..) o
positivi (come ad esempio aiutare a sistemare la camera): nel primo caso andrebbero
ridotti, nel secondo invece aumentati (Di Pietro, Bassi 2018).
Queste strategie sono molto spesso utilizzate con problemi esternalizzati, caratterizzati
da oppositività e disobbedienza, ma risultano essere efficaci anche con problemi
internalizzati, come ansia e depressione.
2.1 Sistemi basati sul rinforzo
Con il termine apprendimento, si intende qualunque modificazione del comportamento
attribuibile all’esperienza.
Come è stato studiato l’apprendimento? Inizialmente, grazie a Pavlov si scoprì il condizionamento classico: processo attraverso il quale si ottengono modificazioni del
comportamento associando uno stimolo (inizialmente neutro, poi condizionato) ad una
determinata risposta (inizialmente neutra poi condizionata).
Successivamente, tramite gli studi di Thorndike, si notò che venivano ripetute solo le
risposte corrette, mentre quelle non corrette venivano abbandonate. Si introdusse così il
concetto di apprendimento per prove ed errori, secondo cui si ha apprendimento solo
quando la risposta produce un effetto piacevole o soddisfacente (Martelli 2014).
Il concetto di condizionamento operante venne, invece, introdotto da Skinner, che estese
il condizionamento classico associandoci le idee portate da Thorndike. Ritenne che la
probabilità che un comportamento si verifichi di nuovo, è dovuta alle conseguenze che
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Il condizionamento operante, quindi, è semplicemente apprendere dalle conseguenze del
nostro comportamento, ed ha come fine quello di produrre comportamenti nuovi
attraverso una serie di rinforzi (Martelli 2014).
2.1.1 Metodologie di rinforzamento
Le tecniche di rinforzamento sono prerogativa dell'approccio comportamentale. Skinner
(1953) definisce il rinforzo come un evento che si verificherà più probabilmente in
futuro se seguito dall’emissione di un comportamento.
È approssimativamente sinonimo del termine ricompensa. Una volta accertato che un
rinforzatore è efficace per un soggetto in una determinata situazione, lo si può utilizzare
anche in altre situazioni per altri comportamenti dello stesso individuo (Di Pietro, Bassi
2018).
I rinforzatori sono potenzialmente infiniti. Da un punto di vista teorico possono essere
classificati in primari e secondari. I rinforzatori primari sono legati alla sopravvivenza
(come il cibo), quelli secondari invece sono appresi nel corso della vita (come le
figurine dei calciatori). In educazione e in psicoterapia si usano solo i rinforzatori
secondari i quali, a loro volta possono essere divisi in molte categorie (Celi, Fontana
2015).
I più significativi sono i seguenti:
1. rinforzi socio-affettivi: sono scambi sociali e manifestazioni d’affetto (lodi,
complimenti, sorrisi, contatto fisico);
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3. rinforzi simbolici: qualcosa che simboleggia il conseguimento di una
gratificazione concreta o dinamica (buoni premio, gettoni, bollini);
4. rinforzi dinamici: la possibilità di svolgere un’attività piacevole o di avere un
privilegio particolare (fare una gita, giocare con un videogioco, stare alzato
fino a tardi, ecc..);
5. rinforzi informativi: informazione sul risultato di un’azione, a volte detti
anche feedback.
Infine i rinforzatori possono essere suddivisi in positivi e negativi. Sono positivi quando
la conseguenza positiva è determinata dall’aggiunta di un elemento positivo (per es. una caramella); sono rinforzatori negativi quando la conseguenza positiva è determinata
dalla sottrazione di un elemento negativo o spiacevole, da non confondere con la
punizione che può avere conseguenze negative. Entrambi sono conseguenze gratificanti
e producono un aumento del comportamento cui fanno seguito (Celi, Fontana 2015).
Nell’attuazione delle procedure di rinforzo, il primo passo consiste nell’individuare i rinforzatori utilizzabili nell’ambiente quotidiano del soggetto ed efficaci nell’indurlo a
comportarsi nel modo desiderato. La procedura di base consiste nel manipolare gli
stimoli rinforzanti, al fine di ridurre o eliminare i comportamenti indesiderati e
rinforzare quelli desiderati (Di Pietro, Bassi 2018).
Solo osservando le reazioni di un soggetto conseguenti all’applicazione dei rinforzi
scelti (che chiamiamo conseguenze positive), si può stabilire se essi abbiano un potere
rinforzante o no sul comportamento in oggetto.
È necessario quindi individuare rinforzatori che siano più forti di quelli che il soggetto
riceve per il suo attuale comportamento indesiderabile, ossia, più forti dei fattori di
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Per individuare i rinforzatori efficaci, si può iniziare a ottenere informazioni dai genitori
o dal bambino stesso, chiedendo ad esempio cosa gli piace fare, quali giochi preferisce,
con chi gli piace più stare, ecc..
Un’altra fonte di informazioni è l’osservazione formale del bambino nel suo ambiente naturale, a opera del professionista, del genitore o dell’insegnante: osservare ciò che fa
nel tempo libero, come si relaziona alle attività, con che entusiasmo, con quali persone
preferisce stare, ecc.. (Di Pietro, Bassi 2018).
Il rinforzatore deve essere somministrato immediatamente dopo che il comportamento
desiderato è stato messo in atto. Per questo motivo, eventi rinforzanti che si verificano
raramente o che hanno luogo in un dato momento non possono essere utilizzati
direttamente come rinforzatori, ma andranno piuttosto associati a rinforzatori simbolici
quali bollini, punti premio, stelline adesive, ecc..
Come si può rispettare questo principio di immediatezza quando il premio non è subito
disponibile? È possibile assegnare subito al soggetto un premio simbolico (come un
punto premio) che poi potrà essere scambiato con il rinforzatore materiale, sociale o
dinamico. L’accesso al rinforzo deve essere possibile solo come conseguenza del comportamento che si vuole incrementare; se così non fosse il suo potere rinforzante si
ridurrebbe.
Il rinforzatore deve essere il più economico possibile e facile da somministrare,
15 2.1.2 Schemi di rinforzamento
Gli schemi o programmi di rinforzamento si riferiscono alla frequenza con la quale un
rinforzatore è erogato (Celi, Fontana 2015).
Esistono due tipo di programmi di rinforzamento: di tipo continuo, in cui lo stimolo
rinforzante viene erogato ad ogni emissione del comportamento; e di tipo intermittente,
in cui invece lo stimolo rinforzante viene elargito solo in determinate occasioni. In un
intervento educativo o psicoterapeutico è importante effettuare passaggi da programmi
di rinforzamento continui a programmi intermittenti perché, se effettuati in modo
graduale, favoriscono il mantenimento e la generalizzazione delle abilità acquisite.
Ferster e Skinner (1957) hanno effettuato numerose ricerche, soprattutto sugli animali,
mettendo in risalto la capacità di questi programmi di rinforzamento nel mantenere un
determinato comportamento, oltre che l’importanza che hanno nella sua acquisizione.
Inoltre hanno dimostrato che, nonostante sia di più lento apprendimento, il programma
intermittente risulta essere più vantaggioso di quello continuo poiché più resistente
all’estinzione.
Il programma intermittente di rinforzo si suddivide in quattro modalità: programma a
rapporto fisso, programma a rapporto variabile, programma ad intervallo fisso,
programma ad intervallo variabile.
Il programma a rapporto fisso è caratterizzato dall’erogazione del rinforzo dopo un
determinato e costante numero di risposte. Ne risulta un comportamento uniforme, ma
non particolarmente resistente all’estinzione. Il soggetto riesce ad identificare velocemente un cambiamento ed adattare il suo comportamento a circostanze nuove,
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Nel programma a rapporto variabile, invece, l’elargizione del rinforzo non avviene in
modo regolare dopo un numero fisso di comportamenti, ma varia da un rinforzo
all’altro. Inizialmente il rapporto può essere basso e venire aumentato progressivamente, in modo da rendere la risposta meno dipendente dallo stimolo rinforzante. Ne risulta, in
questo caso, un comportamento fortemente resistente all’estinzione.
Il programma ad intervallo fisso è contraddistinto dall’erogazione del rinforzo dopo un
certo periodo di tempo trascorso dalla somministrazione del rinforzo precedente. Ne
risulta un comportamento intermittente, che aumenta le risposte quando si avvicina il
momento di ricevere il rinforzo e si arresta subito dopo l’elargizione di ogni
rinforzatore.
Nel programma ad intervallo variabile, invece, il rinforzo è erogato a intervalli di
tempo variabile tra una ricompensa e l’altra. La frequenza di risposte è costante con la frequenza media con cui viene somministrata la ricompensa. Ne risulta un
comportamento uniforme e sensibile all’estinzione, poiché, se gli intervalli tra le risposte sono molto lunghi, il comportamento può estinguersi, altrimenti, se gli
intervalli sono ben distanziati, il comportamento si conserva senza alcun rinforzo.
(Belcastro, Fasciana 2015).
2.1.3 Corretto utilizzo dei rinforzatori e i principi basilari
L'intervento educativo che prevede l’utilizzo dei rinforzatori per consolidare determinate abilità del soggetto deve rispettare alcuni principi fondamentali:
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- sostituire progressivamente i rinforzatori materiali con rinforzatori il più possibile naturali;
- favorire il passaggio da programmi di rinforzo continui a programmi intermittenti.
Per ottenere dei risultati dovrebbero essere assicurati due elementi: l'immediatezza e la
certezza del rinforzo.
I comportamenti desiderabili dovrebbero essere rinforzati, gratificati e incoraggiati
spesso e immediatamente, a prescindere se intenzionalmente eseguiti o meno, così da
non lasciare nessuna risposta positiva senza rinforzo.
Per evitare che questa procedura non risulti naturale e, soprattutto, per evitare l’effetto “sazietà”, è necessario passare in modo graduale da stimoli rinforzanti di tipo materiale a rinforzatori naturali, in particolare rinforzi di tipo sociale (come sorrisi, approvazioni,
lodi, ecc..). Queste contingenze più naturali influenzeranno in modo migliore i
comportamenti del soggetto, soprattutto consolideranno quelli adattivi (Meazzini e
Fagetti, 1985).
Solitamente all'inizio dell'intervento è indispensabile utilizzare schemi di rinforzo
continui, poiché permettono di ottenere risposte comportamentali adeguate. Continuare,
però, ad utilizzarli creerebbe una dipendenza del comportamento dall’erogazione del
rinforzatore, provocando eventualmente una possibile estizione una volta che la
contingenza rinforzante venisse soppressa. Diventa quindi impensabile ed
antieconomico continuare ad utilizzare tale programma di rinforzo, soprattutto se si
vuole migliorare le abilità del soggetto tramite l’apprendimento stimolato. È necessario, quindi passare a schemi di rinforzo più naturali come quello intermittente, in cui i
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È importante comunicare in modo preciso ciò che non va bene ma anche ciò che
apprezziamo nel comportamento del bambino, interagendo con lui in modo pacato e
assertivo così da trasmettere interesse e accettazione. Anche le conseguenze per aver
violato le regole devono essere specifiche e note, mentre le ricompense devono essere
negoziate con il bambino al fine di mantenere la motivazione (Di Pietro, Bassi,
Filoramo 2001).
2.1.4 Generalizzazione degli apprendimenti
Per poter parlare di apprendimento è necessario che le abilità acquisite siano mantenute
nel tempo e che ci sia generalizzazione in vari contesti, diversi da quello in cui è
avvenuto il training (Kadzin, 1975).
La letteratura al riguardo non è molto estesa perché molti teorici, per anni,
consideravano la generalizzazione come un risultato naturale di ogni apprendimento, e
non come un obiettivo vero e proprio su cui concentrarsi tramite una programmazione
intenzionale ed accurata. Successivamente, si è diventati consapevoli che la
generalizzazione aveva bisogno di specifiche strategie per essere attivata (Baer, Wolf e
Risley, 1968).
Stokes e Baer (1977) hanno esaminato numerosi studi (ben 270 lavori scientifici) in
tema di generalizzazione nell’apprendimento ed hanno appurato che quasi la metà di questi non utilizzano programmi specifici per favorirla, ma la documentano come
risultato spontaneo. Successivamente (2000), decidono di illustrare delle specifiche
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1. “Non fare assolutamente conto sulla generalizzazione; invece far sì che il
comportamento cambi direttamente in ogni situazione o caso che lo richieda”
(Bijou, Baer 1994). Per esempio, se un bambino con balbuzie viene trattato
tramite un feedback uditivo controllato elettronicamente ma notiamo che a casa
e in classe questa continua a presentarsi, bisogna applicare lo stesso trattamento
della clinica in casa e in classe, portandoci l’apparato elettronico.
2. “Assicurarsi di insegnare abbastanza esempi del nuovo comportamento, o di
insegnarlo in un numero sufficiente di situazioni in cui dovrebbe verificarsi”
(Bijou, Baer 1994).
Si è notato spesso, che in bambini con gravi problemi comportamentali o deficit
evolutivi la modificazione comportamentale eseguita con un solo insegnante, era
poi evidente solo con quel determinato insegnante. Quindi, un comportamento si
generalizza meglio dopo alcuni esempi, non solo dopo un insegnamento;
pertanto, se l’insegnamento di quel comportamento è eseguito da due insegnanti sarà più semplice la generalizzazione a tutte le altre persone. (Stokes, Baer
2000).
3. “Assicurarsi che nella situazione di apprendimento siano presenti alcuni stimoli
salienti, importanti, che saranno presenti nelle altre situazioni in cui il nuovo
comportamento dovrebbe essere generalizzato” (Bijou, Baer 1994). Una tattica
sempre più usata al riguardo è l’impiego tutoriale dei compagni. Ad esempio, un bambino con un problema di articolazione può essere seguito da un coetaneo,
istruito precedentemente da un terapista, invece che dal terapista stesso. La
procedura sarà più lenta, perché ci sarà uno scambio di informazioni tra terapista
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modo completo. Infatti il bambino in presenza di coetanei o altri compagni
metterà in atto un’articolazione corretta, perché il compagno diventerà uno stimolo discriminativo nell’apprendimento.
4. “Evitare il più possibile di rendere manifesto in quale situazione sia possibile
ottenere rinforzatori per il comportamento desiderabile e in quale no” (Bijou,
Baer 1994).
Una tecnica utile al riguardo è quella del rinforzamento ritardato. Se, ad
esempio, vogliamo correggere la postura di un bambino in classe e possiamo
videoregistrarlo durante alcune ore a scuola, non rivelandogli in quali ore noi lo
videoregistriamo possiamo prevenire qualsiasi tipo di discriminazione. Il
bambino vede la videoregistrazione a fine giornata e viene rinforzato se ha
tenuto una buona postura, ma non conoscendo le ore in cui noi lo controlliamo
sarà tenuto ad impegnarsi sempre per ottenere un rinforzo.
5. “Si può talvolta usare una risposta per mediare la generalizzazione di un’altra”
(Bijou, Baer 1994).
Per spiegare questo processo citiamo una tecnica usata da Rogers-Warren e Baer
(1976). La ricerca si basava sullo sviluppo di abilità di partecipazione e gestione
della gratificazione durante lavori di gruppo nelle ore di educazione artistica. I
bambini venivano accuratamente osservati e i risultati venivano riportati
all’insegnante che chiedeva ai bambini “Chi ha partecipato oggi?” oppure “Chi ha somministrato gratificazioni oggi?”. Venivano rinforzati quei bambini che rispondevano sinceramente, verificati tramite le osservazioni; ciò permetteva un
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può notare, quindi, che il comportamento verbale che è stato rinforzato ha
mediato anche i comportamenti di partecipazione e gestione della gratificazione.
“In generale, questa può essere una funzione vitale del comportamento linguistico: la sua natura lo rende ideale per mediare altri cambiamenti
comportamentali in altre occasioni. È da notare che, tuttavia, il linguaggio non
necessariamente fa da mediatore: dire che esso può farlo non è garanzia che lo
faccia” (Bijou, Baer 1994).
La generalizzazione può anche essere ottenuta tramite metodi di automonitoraggio,
autoistruzione e autorinforzamento.
Per automonitoraggio o self-monitoring “s’intende l’evento per cui un individuo valuta
se il comportamento target si è verificato o meno, e poi registra in qualche modo il
risultato (Nelson, 1977; Nelson & Hayes, 1981)” (Perini, Pinelli, Bonfatti Sabbioni, 2008). Rappresenta una strategia utilizzabile da tutti gli studenti, anche con disabilità,
che possono registrare e discriminare, tramite carta e matita, qualsiasi tipo di
comportamento target e la loro frequenza e confrontarli poi con dei criteri standard per
valutarli. Questo metodo permette al soggetto di osservarsi attentamente, di conoscersi e
di riconoscere i propri comportamenti, emozioni e pensieri; diventa ben consapevole dei
vari livelli del proprio “funzionamento” (Ianes, 1990). Grazie all’automonitoraggio, l’individuo ha costantemente sotto gli occhi i suoi progressi, e tramite questo feedback continuo, può porsi nuovi traguardi da raggiungere o controllare se ci sono stati dei
peggioramenti. Ovviamente il nuovo obiettivo deve essere un passo avanti rispetto al
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Spesso i bambini parlano da soli quando eseguono delle attività o dei giochi, e spesso
questa sorta di dialogo privato viene utilizzato per controllare e regolare alcuni
comportamenti. L’autoistruzione trae vantaggio da questo modo di utilizzare il linguaggio, poiché tramite l’uso di autoaffermazioni il soggetto può modificare le
proprie performance (Graham et al., 1992). Esistono due livelli di autoistruzioni: il
“task approach”, che è un approccio al compito più generale e ampio; il “task specific”, che invece è specifico solo per una determinata situazione e non è generalizzabile (Reid
e Lienneman, 2006). I soggetti, quindi, attraverso le autoistruzioni, imparano
letteralmente a parlare a se stessi durante un compito o un’attività.
L’autorinforzamento “si verifica quando un individuo, identifica un rinforzatore e si auto-premia una volta raggiunto o oltrepassato un determinato criterio o condizioni
(Graham at al., 1992)” (Perini, Pinelli, Bonfatti Sabbioni, 2008).
Attraverso l’automonitoraggio, il soggetto riconosce come e quando è possibile ricevere una ricompensa rispetto al compito svolto, ottenuto tramite impegno e sforzo. Questo
metodo è spesso associato ad altre tecniche di autoregolazione, come il sopra citato
automonitoraggio.
Grazie a queste tecniche l’apprendimento dei soggetti diventa diretto, attivo e motivato. L’utilizzo di strategie di autoregolazione permette agli studenti di spostare da istruzioni ottenute dall’insegnante, a istruzioni controllate direttamente da se stessi così da gestire in modo autonomo il proprio comportamento (Agran, 1997). Permettono di prendere decisioni, monitorarle e valutarle; pianificare il compito da apprendere; regolare le
proprie aspettative; incrementare l’impegno e la motivazione; e, soprattutto, aumentare la generalizzazione (Mithaug, Agran, Martin e Wehmeyer, 2002).
23
2.1.5 Stimoli e/o rinforzi naturali nel processo di training
Utilizzare stimoli e/o rinforzi simili a quelli che si possono ritrovare naturalmente
nell’ambiente, produrrà una generalizzazione più potente e ne permetterà uno sviluppo più semplice.
E' evidente che utilizzare materiali, attrezzature ecc.. come stimoli fisici, che si trovano
nell’ambiente naturale, oppure utilizzare i coetanei o compagni come stimoli per le procedure di training educativo, farà sì che il processo di generalizzazione ne sia
potenzialmente beneficiato.
Infatti, se questi stimoli sono selezionati in modo da essere funzionali e significativi
anche per le procedure di training, allora la generalizzazione può essere fortemente
24
2.2 La valutazione delle abilità
Un piano di intervento adeguato necessita di una valutazione attenta e meticolosa delle
capacità e delle mancanze del soggetto nei vari ambiti, sia cognitivi che
comportamentali.
Il criterio di modificazione del comportamento prevede tre diverse modalità di analisi:
- un’analisi qualitativa delle abilità e delle difficoltà;
- un’analisi quantitativa dei problemi comportamentali e dei comportamenti
positivi;
- un’analisi funzionale per la comprensione delle motivazioni alla base dei
comportamenti-problema.
2.2.1 Analisi qualitativa
L'indagine iniziale avviene tramite strumenti come le griglie, denominate check-list o
liste di rilevazione strutturate.
La griglia di osservazione permette di evidenziare le abilità, le potenzialità di un
soggetto, ciò che sa fare nei vari ambiti, senza necessariamente sottolineare i limiti o le
difficoltà. Permette di osservare il singolo individuo nel contesto di riferimento ed è un
ottimo aiuto per insegnanti ed educatori nell’effettuare un’adeguata programmazione didattica ed educativa. “L’utilizzo di griglie in ambito educativo può aiutare il gruppo di
lavoro (insegnanti o educatori) ad entrare in comunicazione, facilitando
l’organizzazione del lavoro collettivo e permettendo di superare la solitudine che molto spesso connota la relazione educativa” (Rogora 2001).
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La griglia prevede una serie di categorie di comportamenti “bersaglio”, che possono essere di dimensioni variabili: possiamo prediligere lo specifico oppure decidere di
analizzare in modo più globale. Costituiscono lo strumento attraverso il quale
l’operatore “legge” la realtà educativa del singolo o del gruppo. La scelta dipende dall’obiettivo che ci poniamo, anche se, in genere, è più utile scegliere la prima soluzione, così da essere in tempo a riadattare lo strumento nel caso in cui l’analisi
diventi troppo specifica, senza dover ricodificare le informazioni ottenute.
Il contenuto delle categorie deve essere definito in modo chiaro e si può fare riferimento
ad aspetti oggettivi (come caratteristiche fisiche), oppure riferirsi ad aspetti psicologici e
relazionali. È importante che la griglia preveda la codifica di tutte le dimensioni della
situazione che abbiamo scelto, senza escluderne nessuna. La modalità di utilizzo può
essere: codificare il materiale già osservato in precedenza, oppure annotare in
simultanea i comportamenti che vengono messi in atto in quel momento (Rogora 2001).
Con il termine check-list (o griglie di controllo) si intende un elenco di comportamenti
evidenziati in precedenza, con il quale l’osservatore può rilevare la loro presenza e
frequenza, in modo preciso e sistematico, in uno specifico periodo di tempo, che
solitamente va dai 15 minuti a massimo 2 ore.
Le modalità di rilevazione sono caratterizzate da fasi di osservazioni, seguiti da periodi
di registrazioni e raccolta dati, che a sua volta, secondo termini stabiliti, possono essere
di nuovo seguiti da momenti di osservazione. Anche le check-list possono avere
categorie di dimensioni variabili, sempre in funzione dell’obiettivo prefissato. È uno
strumento maneggevole e poco invasivo, soprattutto utilizzato nelle situazioni naturali,
ma è necessario abbinarlo ad altre tecniche di analisi che tengano in considerazioni
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comportamento registrato non risulterebbe contestualizzabile e di conseguenza
leggibile. (Rogora 2001).
Le check-list possono essere distinte in globali, quelle liste che valutano in modo
completo tutte le abilità del soggetto, senza suddividere in comportamenti specifici e
senza quindi valutare in modo più profondo le capacità associate a questi; e a
focalizzazione crescente, quelle liste caratterizzate da più item, quindi più specifiche
perché prendono in considerazione quegli ambiti che non sono stati valutati dalle
check-list del primo tipo.
2.2.2 Analisi quantitativa
“Condurre un’osservazione sistematica significa rivolgere l’attenzione al comportamento effettivamente messo in atto in una precisa situazione, registrando
fedelmente le informazioni ricercate; significa operare in contemporanea con lo
svolgimento dei fatti, sforzandosi di cogliere le dinamiche all’interno del contesto considerato” (Rogora 2001).
L’analisi quantitativa dei problemi comportamentali e dei comportamenti positivi avviene tramite un’osservazione definita “sistematica” che prevede l’esecuzione di un sistema, pianificato in precedenza, di raccolta dati e la successiva classificazione delle
informazioni che consentirà poi l’analisi statistica dei dati raccolti. Ha un obiettivo ben preciso e viene effettuata su soggetti scelti in precedenza in base agli obiettivi che ci
poniamo.
È importante che queste procedure siano svolte in modo efficace, seguendo una linea
27
catalogate tramite l’utilizzo di apposite griglie, nelle quali verranno definite categorie specifiche di comportamento da analizzare successivamente.
L’osservazione sistematica “è di competenza della corrente della pedagogia sperimentale classica”: in tale ambito la preoccupazione principale del ricercatore è quella di “definire con cura le variabili implicate nel suo oggetto di studio e costruire un dispositivo d’osservazione che si avvalga di garanzia di ripetibilità da parte di altri ricercatori. Nell’osservazione sistematica le tappe preliminari all’osservazione propriamente detta sono particolarmente importanti e determinanti […]” (Postic, De
Ketele 1993).
Evidenziamo alcune caratteristiche necessarie per far sì che un’osservazione possa
essere definita “sistematica”, facendo riferimento sempre a Postic e De Ketele (1993): 1. La pertinenza. Occorre notare se l’oggetto della nostra osservazione è pertinente
con l’obiettivo che ci siamo prefissati di raggiungere: è necessario definire in modo chiaro le variabili, gli indicatori e il contesto di osservazione.
2. La validità. Occorre analizzare se gli indicatori che abbiamo definito essere
significativi siano realmente rappresentativi della variabile indagata.
3. L’affidabilità. Occorre verificare se l’osservazione della stessa situazione,
effettuata da persone diverse in momenti diversi, porti agli stessi risultati.
4. La trasferibilità. È fondamentale verificare che i risultati ottenuti su un campione,
rappresentativo di una popolazione più estesa, siano generalizzabili e trasferibili a
questa popolazione.
Per condurre un intervento educativo corretto non dobbiamo limitarci a sottolineare ciò
28
meno di certi comportamenti o abilità ma è necessario farne una valutazione
quantitativa.
“'Non saper fare qualcosa' può significare che la risposta richiesta è totalmente assente o che viene emessa in maniera non accurata o con poca frequenza o per un tempo troppo
breve o con un eccessivo periodo di latenza, ecc.. Ecco quindi l'esigenza, una volta
stabiliti con precisione i comportamenti oggetto di osservazione, di valutare
opportunamente i principali parametri quantitativi che sono: frequenza, durata e
intensità” (Rogora 2001).
Prima di illustrare queste modalità, è importante sottolineare che l’osservatore deve
definire i comportamenti in modo obiettivo, senza ricorrere ad etichette o classificazioni
personali, senza quindi far emergere la propria interpretazione nella valutazione del
comportamento (Meazzini, 1978). L'osservazione può riguardare sia comportamenti
negativi, inadeguati, che cerchiamo di estinguere o ridurre, chiamati comportamenti
bersaglio (o target behavior); sia comportamenti positivi, adeguati, che cerchiamo di
incrementare, chiamati comportamenti meta (o goal behavior).
La frequenza indica il numero di volte che un comportamento viene emesso in una
determinata situazione. È un parametro fondamentale nella valutazione perché permette
di individuare la probabilità di comparsa di determinate risposte. Per osservarla è
necessario annotarsi ogni volta che un determinato comportamento è emesso in un
periodo di tempo preciso, tramite apposite schede. Come sostiene Skinner (1953), "le
espressioni quotidiane che rispecchiano il concetto di probabilità, tendenza o
predisposizione descrivono le frequenze con le quali le parti di comportamento si
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individuo è molto interessato alla musica quando suona, ascolta e parla molto spesso di
musica".
La durata indica la lunghezza del periodo di tempo nel quale il comportamento oggetto
di osservazione si manifesta. È un parametro di valutazione fondamentale per quei
comportamenti che si caratterizzato per gli aspetti temporali, anziché per quelli di
frequenza. Per osservarla è necessario munirsi di cronometro e registrare appena il
comportamento è messo in atto.
Per quello che riguarda l'intensità con cui si presenta un comportamento sembra essere
difficile ottenere una valutazione obiettiva poiché richiede strumenti di rilevazione che
solitamente l’osservatore non possiede.
2.2.3 Analisi funzionale
L'analisi funzionale completa l'assessment comportamentale, in quanto evidenzia i
rapporti fra il comportamento osservato e l'ambiente.
“È una particolare forma di osservazione sistematica che non si limita a considerare il comportamento manifestato dal soggetto, ma cerca di mettere in relazione questo
comportamento con gli antecedenti (gli stimoli che presumibilmente lo hanno
provocato) e le conseguenze (i rinforzatori che presumibilmente lo mantengono)”(Celi,
Fontana 2015).
La teoria del condizionamento operante, infatti, sottolinea come ogni nostra azione
avviene in funzione della situazione precedente all’emissione (situazione-stimolo) e viene solitamente rinforzata dalle conseguenze che ne derivano. I fattori che
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costantemente attivano determinate risposte dal soggetto, sia nei comportamenti
adeguati che in quelli inadeguati (Moderato, 1989; Meazzini, 1999).
L’analisi funzionale, oltre all’osservazione, permette di stabilire un programma di intervento per andare a modificare quegli stimoli che riconosciamo essere responsabili
di certi comportamenti, cioè la situazione-stimolo controllante, e le conseguenze che ne
derivano (Celi, Fontana 2015).
Meazzini e Fagetti (1985) esplicano alcune operazioni fondamentali per effettuare
l'analisi funzionale del comportamento:
- l’analisi della situazione-stimolo antecedente che comprenda anche la
descrizione della situazione nella quale i comportamenti controllati si verificano
(ad es. in aula, in palestra, ecc) e dei comportamenti eseguiti da altre persone
presenti nella situazione che possono aver preceduto la manifestazione del
comportamento problema;
- la descrizione imparziale e realistica dei comportamenti;
- la descrizione delle conseguenze derivate dal comportamento, con l’aggiunta
delle reazioni, delle osservazioni o dei commenti delle persone presenti al
momento dell’emissione.
L’analisi funzionale del comportamento fa riferimento al modello ABC comportamentale, un metodo semplice per approfondire le osservazioni effettuate
rispetto alla frequenza di comparsa di un determinato comportamento. È suddiviso in:
- A: antecedenti; es. l’insegnante di storia spiega ininterrottamente senza pause.
- B: comportamento (behaviour); es. il ragazzo perde la concentrazione e guarda
fuori dalla finestra.
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I punti di forza di questo modello sono che permette l’identificazione di antecedenti specifici e conseguenze prevedibili associate a determinati comportamenti di
disattenzione e distrazione, incentiva il dialogo sulle difficoltà di attenzione e allena il
ragazzo ad associare alcuni comportamenti con il suo stile attentivo. Contrariamente, i
punti di debolezza sono principalmente la necessità di un intervento ben strutturato ed
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2.3 Il contratto comportamentale
“L’impiego di un contratto comportamentale ha lo scopo di favorire una maggior responsabilizzazione del soggetto verso le proprie azioni. Si può usare solo quando il
soggetto, che si rende conto delle conseguenze negative di un proprio comportamento, è
disponibile a fare qualcosa per ridurlo. Il contratto comportamentale è un modello di
negoziazione tra le parti, in cui ciascuna si impegna in un mutuo accordo su
comportamenti, rinforzatori e penalità” (Di Pietro, Bassi 2018).
Questo strumento si caratterizza di tre elementi principali: un sistema di regole,
una procedura di controllo e un sistema di rinforzi.
Il sistema di regole corrisponde all’insieme di comportamenti che il soggetto è tenuto a
rispettare in un determinato contesto. Una regola deve possedere dei requisiti
fondamentali per essere considerata veramente efficace: deve essere specifica, positiva e
realistica.
È specifica se evidenzia un aspetto peculiare del comportamento.
Deve essere positiva, per far concentrare il soggetto sul comportamento corretto e
quindi sull’alternativa positiva, invece di focalizzarsi sul problema, su ciò che non va o che non si deve fare. Nella frase “Davide non deve comportarsi male in classe”, ci
concentriamo sul negativo e si porta il bambino ad individuare il comportamento
scorretto, evidenziando più il problema che la possibile soluzione ad esso (Bullegas
2016).
Bisognerebbe sempre partire dall’idea che il bambino non sappia quali sono i comportamenti giusti da adottare e aiutarlo, quindi, ad individuarli insieme nelle regole.
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perché oltre ad inibire il comportamento inadeguato dovrà anche capire quale sia il suo
corrispettivo positivo (Fedeli 2010).
Le regole, per essere efficaci, hanno bisogno anche di essere realistiche e quindi
raggiungibili dal bambino: l’obiettivo da raggiungere deve partire dalle possibilità oggettive del soggetto per poi gradualmente aumentare e progredire verso un
miglioramento. Non possiamo pretendere di ottenere qualcosa di irraggiungibile, ma
possiamo renderlo il più possibile adeguato alle condizioni del soggetto così da
rispettare la regola stabilita.
Fedeli (2010) propone tre elementi fondamentali per il sistema di regole:
1. Essenzialità, che si riferisce al numero di regole da inserire nel contratto. È
necessario che il numero di regole non sia eccessivo, altrimenti diventa difficile
da gestire e rischia di creare una iper regolazione nella vita del bambino. Una
volta consolidati i comportamenti positivi, se necessario, si potrà inserirne di
nuovi.
2. Chiarezza, cioè formulare le regole in modo familiare e accessibile. Questo
permette, poi, di rendere le regole specifiche e positive.
3. Temporalità, che si riferisce alla necessità di stabilire un periodo di tempo nel
quale si pensa che il comportamento possa verificarsi.
Una volta stabilite le regole è necessario passare alle procedure di monitoraggio,
scegliendo, a seconda del contesto di osservazione, la modalità più adeguata di
controllo. Questo permetterà di individuare tempestivamente i comportamenti positivi e
quelli negativi che andranno rispettivamente rinforzati e sanzionati, in base a quanto
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Ma si concretizza la fase di monitoraggio? Attraverso l’osservazione sistematica, già
citata, di ciò che avviene nel contesto nel quale stiamo agendo (Bullegas 2016).
L’ultimo elemento fondamentale per la costruzione di un contratto comportamentale è il sistema di rinforzi. È importante scegliere i rinforzi da utilizzare in base alle preferenze
del soggetto in questione. Sappiamo che sia i comportamenti positivi sia quelli negativi
hanno sempre delle conseguenze che portano al loro mantenimento o alla loro
estinzione; quindi sarà necessario selezionare determinati rinforzi che causeranno lo
sviluppo di comportamenti positivi, cioè quelli che inseriremo nel contratto. Infatti il
contratto comportamentale deve essere sempre organizzato in forma positiva e
“premiante”, perché agiamo per aumentare la frequenza dei comportamenti funzionali ed adeguati al contesto. Per cui, daremo sempre qualcosa in cambio ogni volta che il
bambino si comporterà nei modi prestabiliti dal contratto (Bullegas 2016).
Ecco, in sintesi, alcune linee guida per la stesura di un contratto comportamentale (Di
Pietro, Bassi 2018):
1. Il contratto deve essere espresso in forma affermativa.
2. Il contratto deve esplicitare chiaramente le responsabilità di tutte le parti, ciò che
ci si aspetta da tutti i soggetti coinvolti. Ogni parte si impegna a riconoscere la
propria responsabilità quando firma.
3. In ogni contratto andrebbe inclusa un’indicazione temporale, che specifiche
chiaramente quanto tempo il soggetto ha a disposizione per soddisfare le
richieste sottoscritte.
4. Quando il soggetto non compie almeno i primi progressi in un’unità di tempo
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si lamenta degli accordi presi, si dovrebbe provvedere a una rinegoziazione del
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2.4 La token economy (sistema a punti)
La token economy (detta anche economia simbolica, o sistema a punti) è una tecnica che
consiste in un accordo, tramite il quale il professionista, o il genitore, o l’insegnante
stabilisce con il soggetto che per un certo comportamento corretto quest’ultimo riceverà un token (un gettone, bollino premio, un punto ecc..), che poi potrà scambiare con altri
rinforzatori (Di Pietro, Bassi 2018; Celi, Fontana 2015; Ayllon, Azrin 1968; Sella 2016;
Ajmone 1985).
Si tratta di un contratto con il quale l’adulto e il bambino stabiliscono insieme quanti gettoni o altri oggetti simbolici siano necessari per ottenere determinati rinforzatori. I
tokens acquisteranno quindi un valore rinforzante, poiché potranno essere scambiati per
ottenere dei privilegi.
Ma come si guadagnano i gettoni? Questi tokens si possono ottenere mettendo in atto le
prestazioni richieste, ma possono essere persi nel caso in cui vengano, invece, messi in
atto dei comportamenti inadeguati. Acquistano potere di rinforzatore, nonostante
inizialmente siano neutri, perché vengono abbinati a stimoli motivanti per il bambino,
diventando quindi condizionati. Inoltre, questo potere di influenzare il comportamento è
dovuto al fatto che possono essere scambiati con altri rinforzatori e sono spesso
accompagnati da rinforzi verbali.
“Il vantaggio dei tokens è che possiamo consegnarli in modo contingente (subito dopo) al comportamento adeguato anche quando il rinforzatore non è immediatamente
disponibile, ma verrà riscosso in un secondo momento” (Belcastro, Fasciana 2015).
Ogni volta che il bambino emetterà il comportamento desiderabile potrà ricevere un
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precedentemente stabilita nel contratto, gli consentirà di ottenere il premio scelto (un
privilegio o un’attività o un oggetto tra quelli che più preferisce).
Occorre stabilire un equo sistema di scambio, in base al quale il numero di tokens
necessari per accedere alla ricompensa deve tener conto di quanto spesso il
comportamento desiderabile era già spontaneamente presente nella fase di misurazione
di base (prima che il bambino fosse al corrente della procedura). È importante stabilire
obiettivi che non siano troppo elevati né troppo semplici, poiché nel primo caso il
bambino rimarrebbe frustrato dalle difficoltà che incontrerebbe nel raggiungere
l’obiettivo, mentre nel secondo caso la facilità con cui otterrebbe la ricompensa costituirebbe un incentivo poco incisivo verso il cambiamento comportamentale (Di
Pietro, Bassi 2018).
In sintesi, rispetto ai metodi di rinforzo tradizionali la token economy presenta due
vantaggi:
1. I gettoni possono essere consegnati immediatamente dopo l’emissione del
comportamento e lo scambio con gli altri rinforzatori avverrà in un secondo
momento. Questo semplifica sia il problema legato al fatto di non avere sempre
disponibilità di rinforzatori, sia il problema del tempo di latenza che rende meno
efficace la procedura.
2. Una procedura così strutturata permette di avere maggiore efficacia e regolarità
nel programma di rinforzo, anche in contesti di gruppo o in presenza di più
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La token economy si applica a una varietà di contesti e soggetti quali: situazione
individuali o di gruppo, diverse fasce di età, contesto psichiatrico, scolastico, lavorativo,
ecc..
Nel contesto scolastico, la natura contrattuale del patto (chiaro e lineare) ha effetti su
due fronti: alunno e insegnante.
L’insegnante sceglie l’obiettivo didattico e le sanzioni, mantiene la contingenza di rinforzo anche in classe, evita
fenomeni di sazietà, guida l’alunno verso l’autonomia dalle ricompense artificiali. Lo studente, invece, sceglie il tipo di premio finale, il suo ruolo è attivo e partecipe, la
contrattazione lo rende responsabile verso il proprio operato riducendo la direttività
dell’educatore, impara una serie di comportamenti nuovi ed efficaci, impara a dilazionare nel tempo le gratificazioni con attese e sospensioni.
Vari autori si sono interessati a questa procedura (Thomas, Beker e Armstrong, 1968;
O'Leary e Drabman, 1971; Kozloff, 1974; Meazzini, 1978) ed hanno elencato alcuni
principi fondamentali da rispettare per una maggiore efficacia della stessa:
- stabilire precisamente quali saranno i comportamenti che saranno premiati
tramite tokens. Si può decidere se dare i gettoni nel momento esatto in cui il
soggetto esegue il compito programmato oppure darli quando verifichiamo che
il soggetto riesce a non emettere i comportamenti inadeguati per un certo tempo;
- compilare una graduatoria di oggetti o ricompense che sono più adeguate per il
soggetto, perché particolarmente gradite, così che accumulerà un certo numero
di tokens per ottenerli;
- stabilire il costo di ogni ricompensa, tenendo in considerazione quali sono le
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- decidere quanti tokens il soggetto riceverà per i comportamenti adeguati messi in
atto. È importante programmarlo con estrema precisione e tenere a mente che i
comportamenti più deboli, quindi quelli emessi con bassa frequenza, saranno
maggiormente stimolati con un maggior numero di gettoni;
- stabilire le modalità di scambio dei tokens con le ricompense. Inizialmente è
necessario che siano frequenti per stimolare maggiormente il soggetto,
successivamente potranno essere maggiormente dilazionate nel tempo;
- monitorare e registrare continuamente e precisamente il comportamento del
bambino, importante anche per eventuali modifiche nel programma se i risultati
non fossero quelli desiderati.
Un programma di token economy prevede approssimativamente tre fasi:
a. Fase di preparazione
b. Procedure di realizzazione
c. Fasi conclusive
a) Fase di preparazione
Il primo passo consiste nello stabilire i comportamenti oggetto dell’intervento, cioè
quelli che danno diritto a guadagnare bollini premio o punti, una registrazione
preliminare di questi comportamenti, i rinforzi (ricompense) di cui servirsi e il tipo di
tokens da utilizzare. Sia i comportamenti che i rinforzi dipendono strettamente dai
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Stabilire gli obiettivi
La scelta degli obiettivi è fondamentale per capire la direzione dell’intervento o per
decidere quali comportamenti positivi si vuole sviluppare o incrementare. È necessario
personalizzare gli obiettivi e le regole di rinforzo in base al tipo di persone e di
comportamenti con cui si ha che fare. Anche nel caso di gruppi omogenei è importante
specificare e scegliere nel modo giusto ciò che andremo a fare. Per una migliore
applicabilità dell’intervento gli obiettivi devono essere chiari e facilmente condivisibili fra gli operatori e non troppo numerosi, per non complicare eccessivamente gestione ed
efficacia del programma.
Registrare le misurazioni di base
Una volta individuati i comportamenti bersaglio dell’intervento si dovrebbe, tramite una
fase di pre-intervento, rilevare delle misurazioni di base dei comportamenti scelti.
Questo è importante per capire se è effettivamente necessario impiegare il programma
sui comportamenti stabiliti e, concluso il programma, confrontare i dati ottenuti con i
dati di base per valutare oggettivamente l’efficacia dell’intervento (Ajmone 1985).
Scegliere i rinforzatori (ricompense)
A questo punto occorre stabilire qualche regola sulla ricompensa, vale a dire quanti
bollini premio o punti il bambino può guadagnare per ogni specifico comportamento
(Di Pietro, Bassi 2018). La scelta delle ricompense deve basarsi su ciò che
effettivamente interessa il soggetto, cioè ciò che è realmente desiderabile per lui. Questo
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direttamente i soggetti o elencare i possibili rinforzatori (effettivamente disponibili) da
cui possono poi scegliere.
Predisporre i tokens
I gettoni o altri premi simbolici scelti dovrebbero facilmente maneggiabili e trasportabili
da un contesto ad un altro. Si possono usare fiches, gettoni, cartamoneta, ecc…
Deve essere ben stabilito che sono proprietà di quel bambino piuttosto che di un altro, e
gli adulti devono tenere la contabilità dei tokens. È importante predisporne un numero
sufficiente all’inizio del programma, anche se potrà essere eventualmente modificato durante l’intervento. Prima di iniziare il programma bisognerà stabilire il valore in gettoni di ciascun rinforzo o ricompensa, tenendo conto che più una ricompensa piace
più gettoni costerà (Martin, Pear 2000).
b) Procedure di realizzazione
La consegna dei gettoni
È importante che i gettoni vengano consegnati in maniera positiva e visibile
immediatamente dopo una risposta desiderata. La consegna dei gettoni dovrebbe essere
accompagnata da un segno di approvazione amichevole (ad es. un sorriso). Affinché i
bambini e i ragazzi comprendano il significato e il valore rinforzante dei tokens, essi
vanno dati immediatamente dopo l’esecuzione del comportamento desiderato. Quando viene dato loro un token, si deve evidenziare perché lo hanno guadagnato (Di Pietro,
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Tempi e modalità per l’acquisto dei rinforzatori
È importante stabilire la frequenza con la quale permettere lo scambio
gettoni-ricompense. Inizialmente, di solito, si effettua lo scambio con una frequenza più elevata,
per poi decrescere gradualmente nel corso del programma.
Più il comportamento desiderato è debole o difficile da emettere e più spesso è
necessario effettuare lo scambio con i gettoni (Stainback e coll. 1973).
Come già detto in precedenza, anche questo aspetto varia da soggetto a soggetto e dal
contesto (fisico e sociale) in cui si svolge il programma.
Multe/Cartellini gialli
Quando il soggetto mette in atto un comportamento inadeguato si può procedere al
metodo delle multe o dei cartellini gialli. I cartellini gialli sono delle avvertenze che
vengono date al soggetto, prima di arrivare alla sottrazione vera e propria di gettoni che
ha già guadagnato. Fornisce la possibilità, tramite una forma di costo della risposta, di
scoraggiare comportamenti indesiderati. Questa procedura deve essere stabilita in
precedenza ed esplicata in modo chiaro secondo delle regole vere e proprie (es. dopo 2
cartellini gialli si passa a quello rosso e alla sottrazione di gettoni). È preferibile ad altre
forme punitive.
Supervisione
Un programma di token economy necessita di uno o più responsabili che supervisionino
l’andamento della procedura. In particolar modo è necessario supervisionare l’andamento del programma, la motivazione nei partecipanti, gli eventuali errori e la loro correzione e la gestione di possibili problemi insorti.
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Potenziali problemi
Durante la fase di preparazione del programma di token economy si deve cercare di
prevedere alcuni possibili problemi che possono insorgere. Martin G. e Pear J. (2000)
ne elencano alcuni, relativi a:
- confusione, soprattutto nei primi giorni dall’inizio del programma;
- personale insufficiente;
- “furti” da parte dei soggetti partecipanti di gettoni o ricompense;
- utilizzo improprio dei gettoni;
- indisponibilità delle ricompense;
- attenuarsi dell’entusiasmo per l’effetto novità dopo l’avvio del programma.
c) Fasi conclusive
La token economy è stata concepita per agire in modo positivo sul comportamento del
soggetto. L’applicazione del programma cessa quando questi comportamenti siano
diventati abitudinari (auto rinforzanti) per la persona. L’interruzione del programma deve avere carattere di gradualità, percorribile diminuendo gradualmente la frequenza
degli scambi fra gettoni e rinforzi e/o il numero dei gettoni consegnati all’emissione di ogni comportamento bersaglio. L’obiettivo è sempre l’autonomia.
In seguito sono state inserite anche procedure con conseguenze negative (O'Leary e
Drabman, 1971; Williams e Anandam, 1973). Questa procedura prende il nome di costo
della risposta e prevede che vengano sottratti gettoni all'emissione di comportamenti
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perché riesce ad essere efficace senza creare ripercussioni negative a livello emotivo nel
soggetto.
Si basa sul concetto che ogni comportamento prodotto inadeguato ha un suo costo ed è
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2.5 Il costo della risposta
Nella pratica educativa l’uso di forme di rinforzamento o punizione è parte integrante di specifici programmi di intervento. La riduzione della probabilità di comparsa di un
comportamento, o la sua eliminazione dal repertorio individuale, è un obiettivo
educativo legittimo se il comportamento in questione è scorretto o indesiderato o
addirittura socialmente pericoloso.
La filosofia dell’approccio cognitivo-comportamentale tende a guardare con una certa diffidenza ai metodi punitivi. Forse è un atteggiamento determinato dall’idea che i soggetti deboli e sofferenti troppo spesso vengono puniti, il più delle volte in modo non
completamente consapevole, dai genitori, dagli insegnanti, dall’ambiente naturale.
Tuttavia non si può negare che, talvolta, un metodo punitivo rappresenti la sola risposta
di fronte a un problema di comportamento. In questi casi, prima di programmare un
intervento basato sulla punizione il terapeuta dovrebbe assicurarsi che non vi siano
metodi positivi per affrontare adeguatamente il problema; che la punizione sia
commisurata al problema stesso; che non produca più danni che vantaggi e che venga
erogata in modo esplicito, dichiarato e consapevole (Celi, Fontana 2015).
La punizione riduce la probabilità di comparsa della risposta che produce uno stimolo
con proprietà punitive.
Ne esiste una forma positiva detta anche punizione di tipo A, che aggiunge uno stimolo
sgradevole (es. una nota) o una negativa detta anche punizione di tipo B, che sottrae uno
stimolo gradevole (es. merendina). Per far sì che sia efficace la punizione deve essere
assegnata in modo contingente, deve avere una certa intensità e deve essere elargita in