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I modelli di previsione della crisi: un'analisi su un panel di aziende in Turnaround

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati Finanziari

I modelli di previsione della crisi: un’analisi su un

panel di aziende in Turnaround

Relatore: Candidata:

Prof.ssa Giovanna Mariani Ana Malaj

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Indice

Introduzione

1.Declino e crisi ... 4

1.1 Declino ... 4

1.2 La crisi ... 4

1.3 Le cause del declino e della crisi... 7

1.3.1 Il fattore umano... 8

1.3.2 Le cause obiettivi del declino e della crisi ... 11

1.3.3 Il declino e le crisi da inefficienza ... 12

1.3.4 Declino e crisi da sovracapacità/rigidità ... 14

1.3.5 Declino e crisi da decadimento dei prodotti e da carenze ed errori di marketing ... 17

1.3.6 Declino e crisi da incapacità a programmare; da errori di strategia; da carenza di innovazione ... 19

1.3.7 La crisi da squilibrio finanziario/patrimoniale ... 22

1.4 I diversi stadi di crisi ... 24

2. I modelli di previsione della crisi ... 26

2.1I modelli statici di previsione delle insolvenze aziendali ... 26

2.1.1 Modelli teorici e modelli empirici ... 27

2.2 I modelli tradizionali semplici ... 31

2.2.1 Le analisi sommarie ... 31

2.2.2 La tecnica a punteggio ... 32

2.3 I modelli tradizionali complessi ... 32

2.4 L’analisi univariata ... 36

2.5 L’analisi multivariata ... 37

2.5.1 Lo Z-Score di Altman ... 38

3.Analisi del campione selezionato ... 48

3.1 Definizione Turnaround... 48

3.2 Il campione selezionato ... 51

4.L’applicazione dell’analisi di bilancio e del modello Z-Score di Altman ... 61

4.1Analisi di bilancio ... 61

4.2Analisi Z-Score Altman... 66

Conclusioni Bibliografia Sitografia

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Introduzione

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento della crisi aziendale. Tale fenomeno si è manifestato con una frequenza maggiore dopo la crisi del 2008 e sempre più aziende hanno iniziato a trovarsi in situazioni che ne minacciavano la sopravvivenza. La crisi normalmente si manifesta tramite squilibri che possono avere diversa natura: organizzativa, economica e finanziaria.

Le operazioni di turnaround costituiscono una delle molteplici soluzioni per sanare la crisi aziendale. Esse sono fondamentali per ristabilire la redditività aziendale. Tramite questo lavoro andiamo a vedere come e in che quantità questo strumento viene utilizzato dalle aziende per far fronte alle situazioni di declino e di crisi. Con l’aiuto del modello Z-Score di Altman indagheremo se questo processo è risultato efficace per le aziende che l’hanno effettuato.

Il lavoro è strutturato in quattro parti: la prima parte illustra i concetti di declino e crisi, la seconda parte descrive i modelli della previsione della crisi aziendale, mentre le ultime due parti analizzano il campione d’indagine sia dal punto di vista dell’analisi di bilancio, sia dal punto di vista statistico attraverso Z-Score di Altman.

Nel primo capitolo si analizzano le cause che possano portare un’azienda in una situazione di declino e di crisi. Le cause vengono suddivise in due macro-classi: cause di carattere soggettivo e cause di carattere obiettivo. La prima macro-classe vede il fattore umano come causa principale del declino e della crisi. L’azienda entra in una

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fase di crisi non solo per fattori esterni, ma più spesso per incapacità, errori e comportamenti devianti delle persone che operano in azienda. Vengono segnalate varie ragioni che indicano la cattiva direzione come una delle cause principali del declino. Tra le cause di carattere obiettivo possiamo identificare: il declino e la crisi da inefficienza, il declino e la crisi da sovracapacità/rigidità, il declino e la crisi da decadimento dei prodotti e da carenze ed errori di marketing, il declino e la crisi da incapacità a programmare; da errori di strategia; da carenza di innovazione e il declino e la crisi da squilibrio finanziario.

Nella seconda parte vengono analizzati i modelli di previsione della crisi aziendale. Un modello di previsione della crisi è più importante quanto maggiore è la sua capacità di anticipare il momento di crisi. La possibilità di prevedere con sufficiente anticipo i sintomi di crisi è cruciale per la salvaguardia della vitalità dell’unità produttiva. I modelli di previsione vengono divisi in due categorie: modelli teorici e modelli empirici. I primi prendono in considerazione parametri e ipotesi astratte, mentre i secondi considerano l’osservazione dei dati reali. I modelli empirici si distinguono in modelli empirici tradizionali e modelli empirici innovativi. I modelli empirici tradizionali a loro volta si distinguono in modelli semplici, complessi o evoluti. Questa distinzione viene effettuata in base al grado di difficoltà delle elaborazioni che si rendono necessarie.

Nel nostro studio un particolare attenzione è stato dato all’analisi di bilancio che fa parte dei modelli empirici tradizionali complessi ,e al modello Z-Score di Altman che rientra nei modelli empirici tradizionali evoluti. L’analisi di bilancio si basa sul calcolo di specifici indicatori, tramite i quali si possono identificare i potenziali fattori che possano

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portare l’impresa in una situazione di crisi. Tali indicatori possono essere patrimoniali, economici e di rotazione.

Tramite il modello Z-Score di Altman siamo in grado di calcolare la probabilità di fallimento di un’azienda. Il pregio principale del modello riguarda la sua semplicità di utilizzo che consente anche ai non esperti in materia di utilizzarlo. Il modello ha subito delle modificazioni per renderlo adattabile anche in realtà economiche diverse dalla realtà americana degli anni ’60.

Nell’ultimo capitolo viene riportato lo studio empirico fatto sulle aziende campione. L’indagine è rivolta verso aziende che hanno effettuato il processo del turnaround nel nostro paese negli ultimi dieci anni. Queste aziende vengono suddivise in base all’attività, l’area geografica, la dimensione e per tipologia di controllo. Una volta analizzate le aziende, calcoliamo una serie di principali indici, suddivisi in due gruppi: debt ratios e working capital ratios. Gli indici sono stati calcolati per due periodi che riguardano l’anno precedente a il processo del turnaround e l’anno successivo per poi essere messi a confronto i risultati ottenuti.

Infine abbiamo calcolato l’indice Z-score di Altman per vedere se le operazioni di risanamento effettuate dalle aziende hanno avuto successo o meno. L’indice è stato calcolato per due periodi che riguardano la situazione aziendale due anni prima delle operazioni di turnaround e la situazione aziendale un anno dopo queste operazioni.

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1.Declino e crisi

Le aziende necessitano di una combinazione di differenti fattori per riuscire ad avere successo e per mantenerlo. Alcune imprese non riescono ad avere questa combinazione vincente per vari motivi, che spesso non riguardano solo la gestione aziendale, ma anche l’ambiente esterno. In queste condizioni le imprese possono entrare in una fase di declino che può portare a problemi difficili da risolvere.

1.1 Declino

Come ben sappiamo l’obiettivo che un’impresa deve avere è quello della creazione di nuovo valore, realizzato tramite l’aumento del valore del capitale economico misurato in un certo periodo.

Se notiamo che questa misura della performance dell’impresa esprime aumenti non sufficienti o addirittura nulli, ciò significa che l’impresa ha delle difficoltà nella realizzazione dei propri obiettivi.

Il declino può essere collegato ad una performance negativa dell’impresa in termini di capitale economico, cioè alla “distruzione” di valore ( Guatri, 1995). Possiamo dire che un’impresa si trova nella fase di declino quando essa perde valore nel tempo. In questo caso il declino non è collegato solo alla diminuzione dei flussi attesi di reddito, ma anche al comportamento del tasso di capitalizzazione (i) ( Guatri, 1995).

1.2 La crisi

Con l’espressione crisi d’impresa si fa riferimento ad un insieme estremamente articolato di situazioni più o meno patologiche di una società ( Fazzini, 2011).

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La crisi aziendale è spesso collegata al dinamismo ed all’instabilità dell’ambiente ( Guatri, 1986). Il termine crisi spesso viene utilizzato per indicare condizioni aziendali caratterizzate da declino delle performance, assenza di profitti e mancanza di economicità. In questa prospettiva la crisi viene interpretata come il risultato di un processo gestionale negativo determinato da un continuo deterioramento delle condizioni di redditività dell’impresa e dell’equilibrio finanziario-patrimoniale ( Migliori, 2013).

La crisi è un espansione ulteriore della fase di declino. Le conseguenze indirette di questa fase sono: carenze di cassa, perdite di fiducia e di credito. Esse si possono sviluppare gradualmente o improvvisamente.

La perdita di fiducia e di credito spesso comportano conseguenze ancora più rilevanti, come:

• La perdita del valore del capitale economico; • Il rischio della sopravvivenza dell’impresa.

La crisi, è la fase conclamate, ed estremamente apparente del declino; ed è un declino irreversibile senza consistenti interventi esterni( Guatri, 1995).

La crisi si manifesta in quattro stadi, per ognuno dei quali possiamo individuare:

• Una fase del percorso del declino e della crisi; • Le manifestazioni salienti con le quali essa si rivela.

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Fig.1 I quattro stadi del percorso di crisi

Fonte: L. Guatri “ Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore”

Come possiamo vedere dalla Fig.1 i primi due stadi riguardano la fase di declino dell’impresa.

Il primo stadio riguarda l’incubazione, le cui manifestazioni, sono i segnali di decadenza e di squilibrio. Le difficoltà in questa fase riguardano l’individuazione dei sintomi che hanno portato l’azienda nella situazione di crisi.

Il secondo stadio riguarda la maturazione, le cui manifestazioni, sono la perdita di flussi reddituali e la perdita del valore del capitale.

Gli altri due stadi definiscono la fase di crisi dell’impresa.

Il terzo stadio riguarda le ripercussioni delle perdite sui flussi finanziari, le cui manifestazioni sono la crisi di liquidità e la perdita delle linee di credito.

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Il quarto stadio riguarda il momento in cui la crisi esplode e ha come manifestazione l’insolvenza ed il dissesto ( Guatri, 1995).

L’insolvenza è l’incapacità dell’impresa di far fronte regolarmente alle obbligazioni contratte, quindi i pagamenti in scadenza. In questo momento qualsiasi intervento riparatore può avere probabilità molto ridotte di successo. In ogni caso questi interventi che generalmente investono il capitale ed il management, sono necessari.

Il dissesto è una situazione di continuo squilibrio patrimoniale, la cui soluzione non è possibile senza la disponibilità dei creditori di cancellare parte dei loro crediti, oppure senza il ricorso a procedure concorsuali.

1.3 Le cause del declino e della crisi

Le cause del declino e della crisi dell’impresa possono essere ricondotte a due aspetti: soggettivo ed obiettivo. L’aspetto soggettivo vede gli uomini come causa del problema, ed indica che con la loro sostituzione si possa superare lo stato di difficolta.

Innanzitutto, viene messo sotto accusa il management, dalla cui scarsa capacità quasi sempre dipende in larga parte il cattivo andamento dell’azienda.

In secondo luogo, le critiche si appuntano sui detentori del capitale, dalle cui politiche la crisi trae talvolta origine: eccessive distribuzioni di dividendi, timore del rischio, indisponibilità a fornire garanzie ai creditori, errata scelta del management, sono alcuni esempi di tali critiche (Guatri, 1986).

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Fino agli anni settanta esisteva la teoria secondo la quale all’origine della crisi stavano il management e i soggetti legati al processo produttivo. Negli anni successivi i fattori della crisi non erano solo legati alla componente soggettiva, ma è stato dato un’importanza anche al fattore oggettivo (Podighe, Madonna, 2006).

1.3.1 Il fattore umano

La cattiva direzione è quasi sempre una delle cause principali tra le cause del declino. Ciò può avvenire per varie ragioni:

• Una ragione importante riguarda la direzione affidata ad una sola persona. Questa situazione spesso la troviamo nelle piccole aziende, ma è anche presente nella fase imprenditoriale delle medie e grandi imprese. L’esperienza spesso ha mostrato che una direzione affidata solo ad una persona, che non ammette critiche e confronti, può risultare non efficacie e addirittura pericolosa. E molto importante per un’impresa avere un management costituito da più persone che partecipano alle decisioni.

• La debolezza del management, costituito da soggetti non all’altezza dei compiti loro consegnati. Possiamo notare che il cattivo management è una realtà che troviamo spesso dentro le imprese.

• La terza ragione riguarda il cambiamento del management, che spesso deriva

dalle ragioni viste precedentemente. Il cambiamento del management se non viene effettuato con diligenza, può portare al declino dell’impresa.

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• L’eccesso di burocrazia è un altro problema che riguarda la cattiva direzione. A

volte la struttura manageriale è legata a modi di operare invecchiati e non riesce ad adattarsi ai nuovi cambiamenti.

• Un gruppo di top manager sbilanciato può creare degli inconvenienti all’interno dell’impresa. Tramite questa frase facciamo riferimento all’assenza di un ampio spettro di competenze qualificate. Possiamo prendere come esempio le imprese industriali dove il management è costituito solo da ingegneri. In questo caso è necessaria la presenza nel Gruppo direttivo, di componenti dell’area finanza e amministrazione, per evitare delle fragilità che si possono verificare durante la fase di declino.

• Al ultimo possiamo considerare la scarsa o nulla capacità dei consigli d’amministrazione di controllare efficacemente e di incidere sull’attività del management (Guatri, 1995).

Sono elencati dei fondamenti che i manager di turnaround hanno identificato come importanti e che il management trascura a suo rischio e pericolo, se desidera riportare la sua azienda in uno stato di salute finanziaria.

1. Per molti manager è un compito scoraggiante doversi affrontare con le complessità di un bilancio. Molto spesso essi non hanno le competenze o il background formativo e mancano degli strumenti pratici necessari, in particolare per quanto riguarda l'analisi del rischio. È fondamentale che i manager abbiano una conoscenza attiva degli strumenti quantitativi di base e che siano competenti quando li mettono in pratica.

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2. Il fallimento da parte delle aziende a coprire tutti i loro costi nascosti può rendere le organizzazioni aziendali un obiettivo primario per la strategia di turnaround. I profitti devono coprire i costi associati all'uso del rischio di capitale, della preferenza di liquidità e dell'inflazione.

3. Le aziende devono mantenere abbastanza denaro liquido per evitare che vengano sovraffollate; tuttavia, alcuni manager non riescono a capire che possono sorgere problemi se le risorse necessitano di una pressione eccessiva sulla capacità dell'azienda di finanziarle; il flusso di cassa dipende non solo dalla redditività aziendale ma anche dal fabbisogno di capitale circolante e dalle immobilizzazioni nette.

4. Le strategie di turnaround richiedono che i manager abbiano a disposizione dati completi, appropriati e tempestivi e che i manager debbano avere la capacità di trasformare tali dati in informazioni che possono essere utilizzate durante il processo decisionale. Le informazioni chiave necessarie sono il ritorno sull'investimento e il rendimento del capitale netto. Devono essere finanziati sistemi di informazione adeguati.

5. La negazione della crisi imminente può costituire un serio ostacolo a compiere azioni rapide e decisive per porre rimedio alla situazione. Alcuni manager sperano che il problema scompaia e che si nasconda dalla realtà, anche se è ovvio per i dipendenti, i fornitori e i clienti che c'è un problema. I manager devono affrontare la situazione se vogliono sopravvivere.

6. Un meccanismo di rifiuto è che il problema può essere risolto aumentando le vendite e introducendo un nuovo prodotto. I manager non dovrebbero essere

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cullati nel credere che una tale strategia possa essere una cura per tutti i problemi finanziari dell'azienda. Un'analisi approfondita del potenziale del nuovo prodotto dovrebbe essere intrapresa, comprese ricerche di mercato e un'analisi del potenziale di vendita del prodotto. I manager dovrebbero essere sia prudenti che scettici nella loro prospettiva, ma allo stesso tempo essere in grado di adottare un atteggiamento flessibile nei confronti del problema.

7. Alcuni manager si impegnano nel gioco della colpa e puntano il dito l'un l'altro per i problemi nell'organizzazione. Tale atteggiamento può essere completamente controproducente e compromettere seriamente la possibilità di attuare un'efficace strategia di turnaround. Quando la colpa diventa il punto focale, il capovolgimento diventa impantanato in un ambiente di risentimento, paura e confusione. I dirigenti sarebbero ben consigliati di adottare lo slogan "risolvere il problema, non la colpa"1.

Le persone cui si deve il successo od il declino dell’impresa non sono solo i manager, ma anche i lavoratori impiegati dentro l’azienda stessa e i stakeholder esterni. I sindacati, i fornitori, i creditori possono essere spesso cause del declino.

1.3.2 Le cause obiettivi del declino e della crisi

Il declino e la crisi possono avere come cause oltre il fattore umano, anche fattori esterni, a livello di settore e di Paese. Per questo è necessario considerare anche le cause di tipo

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obiettivo nell’analisi del declino e della crisi. In tale ottica, possiamo avere diversi tipologie di declino e di crisi, in base alle cause che li provocano:

• Il declino e le crisi da inefficienza;

• il declino e le crisi da sovracapacità/rigidità;

• il declino e le crisi da decadimento dei prodotti e da carenze ed errori di marketing;

• le crisi da incapacità a programmare; da errori di strategia; da carenza di innovazione;

• le crisi da squilibrio finanziario.

1.3.3 Il declino e le crisi da inefficienza

La crisi è definita da motivi di inefficienza quando una o più funzioni o aree aziendali operano con rendimenti e quindi con costi non in linea con quelli dei concorrenti (Guatri, 1995).

L’area aziendale dove l’insufficienza si verifica più spesso è quella produttiva. Ci possono essere diverse ragioni che possono determinare un livello di costi di produzione maggiore alla media del settore. Tra le cause, ad esempio possiamo considerare: l’invecchiamento fisico e l’obsolescenza che colpisce in tutto o in parte i mezzi produttivi, il livello di preparazione, capacità e d’impiego del personale, il livello della distribuzione, l’insufficienza dimensionale degli impianti, che non riescono a raggiungere il livello critico, l’inadeguatezza degli investimenti e dei risultati ottenuti nella ricerca sui processi produttivi e sul controllo della qualità, e così via (Guatri, 1995).

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Nella prassi succede spesso che le aziende che si trovino in condizioni di inefficienza hanno difficoltà nel rendersi conto della situazione in cui si trovano. Questa situazione fa sì che la loro mancanza di consapevolezza del problema causi dei ritardi riguardo gli interventi operatori che un’impresa può effettuare per non entrare in una fase di declino.

Lo stato di inefficienza può riguardare anche altre aree; per quanto riguarda l’inefficienza commerciale, essa è stabilita dalla presenza di una sproporzione tra le diverse categorie di costi di marketing ed i risultati da questi generati. Per esempio, se la pubblicità è effettuata in misure inadeguate i costi sopportati generano risultati insufficienti. Questa inefficienza dev’essere considerata in relazione alle imprese concorrenti.

Una rete di vendita è inefficiente quando i conti che genera sono inadeguati ai risultati ottenuti. Questa situazione ha due possibili conseguenze: la prima è l’alta incidenza dei costi di vendita sul fatturato, la seconda la limitata dimensione del fatturato.

Si possono avere situazioni di inefficienza anche nel settore amministrativo. Le situazioni tipiche sono:

• eccessi di burocrazia, quindi procedure amministrative molto complesse, che generano costi sproporzionati rispetto ai risultati;

• gravi carenze del sistema informatico;

• operatività insoddisfacente in uno o più settori dell’attività amministrativa (Guatri 1995).

Le inefficienze dell’attività finanziaria riguardano un costo più alto dei mezzi propri e del crediti a disposizione rispetto alle imprese concorrenti. Un’impresa che ha strutture

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deboli patrimoniali e finanziarie si trova in uno stato di inferiorità rispetto al mercato, nel trattare le condizioni per l’ottenimento del credito o per presentare un aumento di capitale.

1.3.4 Declino e crisi da sovracapacità/rigidità

Una delle cause del declino e della crisi di un’impresa è l’eccesso di capacità produttiva, accompagnato dall’impossibilità dell’adattamento nel breve termine dei costi fissi che ne derivano e che in parte vanno sprecati.

Le situazioni legate a questa causa di declino e di crisi sono:

• Duratura riduzione del volume della domanda per l’impresa ( con conseguente caduta della dimensione reale dei ricavi) originata da fenomeni di sovracapacità produttiva a livello dell’intero settore

• Duratura riduzione del volume della domanda per l’impresa connessa alla perdita di quote di mercato

• Sviluppo dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di investimenti fissi precostituiti per maggiori dimensioni

• Un caso particolare di declino da rigidità non connesso quindi a situazioni di sovracapacità, si ha per variazioni all’aumento dei costi non controbilanciate da corrispondente variazione dei prezzi soggetti a controlli pubblici (Guatri, 1995).

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La prima situazione indica un tipico caso di declino che deriva da un eccesso di capacità produttiva rispetto alle possibilità di collocamento sul mercato. La sovracapacità per un azienda è collegata strettamente all’esistenza di sovracapacità a livello di settore. I tipici casi di sovracapacità del settore sono:

• Sovracapacità derivata dalla ricerca di economie di scala e dall’aumento nel tempo delle cosiddette dimensioni minime efficienti (cioè delle dimensioni al di sotto delle quali i costi di produzione non sono concorrenziali);

• sovracapacità determinata da caduta della domanda globale collegata a mutamenti nel consumo;

• sovracapacità in un determinato paese, determinata da forti ed incontrollabili correnti d’importazione (riduzione della domanda globale per i prodotti nazionali);

• sovracapacità provocata da errori di previsione della domanda, cioè da previsioni eccessive rispetto alla realtà successivamente manifestatasi ( questi errori sono più frequenti quando intercorrono lunghi tempi tra il momento della decisione d’investimento e l’entrata in attività di un impianto);

• sovracapacità determinata dall’esistenza di elevate barriere all’uscita (difficoltà, per le imprese di abbandonare il settore senza subire rilevanti perdite e sacrifici); • sovracapacità derivante da politiche manageriali ( accrescimento delle dimensioni per dilatare le quote di mercato o per sfruttare incentivi pubblici; orientamento esasperato del management alla produzione anziché al mercato).

Questi effetti negativi si riflettono più o meno pesantemente sulle singole aziende, a seconda della reazione che queste ultime sanno manifestare in termini di quote di

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mercato. Le aziende più forti, reagiscono aumentando la propria quota di mercato e tramite questo annullano gli effetti della diminuzione della domanda globale di settore. Le aziende più deboli subiscono un duplice effetto di riduzione della domanda: alla riduzione della domanda globale si aggiunge la riduzione della quota di mercato. Sono quindi quest’ultime le evenienze dalle quali possono scaturire condizioni drastiche di declino e di crisi (Guatri, 1995).

Un secondo tipo di declino da sovracapacità/rigidità riguarda le durature diminuzioni della domanda aziendale legate alla perdita di quote di mercato. In questo caso non si hanno manifestazioni di sovracapacità a livello settoriale.

L’unica possibilità di evitare il declino è un processo di adeguamento dei costi. Esso è però un processo molto difficile e che potrebbe condurre ad una fase di crisi (Guatri, 1986).

L’atro tipo di declino da sovracapacità/rigidità è caratterizzata dallo sviluppo dei ricavi inferiori alle attese, a fronte di investimenti fissi precostituiti per maggiori dimensioni. In questo caso gli impianti presentano condizioni di sovracapacità non collegate a problemi di eccessi di capacità settoriale.

Questa situazione può derivare da:

• mancato o insufficiente aumento della quota di mercato rispetto alle attese. Dato un certo sviluppo previsto della domanda globale, l’impresa ha formato nuove capacità produttive ipotizzando un definito incremento della propria quota di mercato. La reazione dei concorrenti, l’insufficienza dei mezzi di penetrazione adottati o altre cause provocano invece il fallimento del programma;

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• errata previsione di sviluppo della domanda globale, a parità di quote di mercato.

Una volta formatosi l’eccesso di capacità, non rimane all’impresa considerata che:

• attendere il tempo necessario affinché il naturale sviluppo della domanda riassorba l’eccesso di capacità, subendo le perdite connesse alla situazione; • tentare politiche di mercato aggressive, intese al miglioramento a breve termine

della quota di mercato (Guatri, 1995).

1.3.5 Declino e crisi da decadimento dei prodotti e da carenze ed errori di marketing

1.3.5.1 Decadimento dei prodotti

Questo tipo di declino e di crisi è legato al fatto che i prodotti offerti da un’impresa possono con il tempo diventare inefficaci e non più in grado di concorrere con i prodotti offerti dalla concorrenza. Questi prodotti si dimostrano poco attrattivi agli occhi dei clienti. Il problema può essere legato alla mancanza di capacità innovativa, agli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo; o anche al fatto che i concorrenti hanno agito in maniera più veloce, con più efficienza o con più immaginazione.

Questa tipologia di declino è caratterizzata da un alto livello di pericolosità, poiché gli interventi che si devono effettuare normalmente sono di lungo periodo.

La crisi da decadimento dei prodotti può presentare due fenomeni: sotto il profilo commerciale indica la possibilità di perdere quote di mercato; sotto il profilo contabile indica la possibilità di ridurre i margini tra prezzi e costi al di sotto del limite per poter coprire i costi fissi o comuni. Questo fenomeno può essere misurato tramite l’utilizzo del margine lordo e del margine di contribuzione.

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Riguardo questo aspetto la diminuzione dell’efficienza dei prodotti dipende sia da fenomeni di settore sia da fenomeni specifici delle singole imprese.

I margini possono cambiare per ragioni che riguardano l’intero settore, come per esempio:

• oscillazioni cicliche dei margini;

• andamento dei margini connesso al ciclo vitale del prodotto;

• variazioni dei margini determinati dall’affermarsi di nuove correnti d’importazione (Guatri, 1995).

Dobbiamo tener conto anche delle aziende che hanno una vasta gamma di prodotti. In queste aziende, la riduzione dei margini di uno o più prodotti può essere compensata dal comportamento inverso dei margini dei altri prodotti. In questo caso i rischi posso avere una minore intensità utilizzando prodotti destinati a soddisfare diversi tipi di bisogno sul mercato.

Per quanto riguarda le aziende che producono un solo tipo di prodotto l’unico modo per diminuire i rischi sta nella distribuzione su mercati geograficamente distinti e non omogenei. Questo tipi di soluzione sono accessibili solo alle imprese che destinano una considerevole parte della loro produzione all’esportazione.

1.3.5.2 Decadimento da carenze ed errori di marketing

Spesso il decadimento si può avere per causa delle politiche commerciali effettuate dall’impresa. Errori che si possono avere in tal senso riguardano:

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• un numero di prodotti errato, o con evidenti carenze. Ad esempio una gamma

non completa per soddisfare le esigenze della clientela facendo sì che quest’ultima si diriga ad altri fornitori per lo stesso prodotto;

• la caduta dell’immagine dell’impresa, o delle marche con cui essa si presenta; l’insufficiente e decrescente grado di conoscenza del nome del produttore, delle marche, dei prodotti. In questa situazione si può arrivare tramite la mancanza di investimenti pubblicitari, o anche da una campagna pubblicitaria non efficace; • gli errori nella scelta dei mercati, del target di clientela o delle nicchie;

• le carenze dei servizi offerti alla clientela.

Il decadimento dei prodotti frequentemente si accompagna alla carenza e ad errori di marketing. Questo succede sia perché il decadimento dei prodotti restringendo i margini, lascia meno spazio alle iniziative ed agli investimenti nell’area del marketing; sia perché le difficoltà e le esigenze del recupero aumentano la probabilità di errori, tramite le scelte affrettate in un quadro di opportunità sempre più limitate (Guatri, 1995).

1.3.6 Declino e crisi da incapacità a programmare; da errori di strategia; da carenza di innovazione

L’incapacità a programmare dell’impresa deve essere interpretata come l’incapacità di adattare le condizioni di svolgimento della gestione ai mutamenti ambientali. Le imprese incapaci in tal senso svolgono la loro attività guardando al breve termine, trascurando le condizioni per affrontare il futuro. Queste imprese impostano la loro gestione basandosi sull’improvvisazione, che molto probabilmente a lungo termine porterà a risultati negativi.

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La carenza di programmazione indica a volte anche l’incapacità di coinvolgere nello svolgimento della gestione il personale ed il management. Avere degli obiettivi chiari aiuta la partecipazione degli individui. Al contrario, la mancanza o l’incertezza degli obiettivi provoca reazioni negative, in quanto il management ed il personale non sono interessati all’azione in corso di svolgimento, alla quale partecipano con scarso impegno e senza speranza di avere vantaggi (Guatri, 1995).

Gravi errori di strategia che riguardano le scelte a medio/lungo periodo, sono frequentemente all’origine del declino e della crisi di un’impresa. Alcuni esempi riguardano:

• Il mantenimento a tutti i costi dell’impegno di attività in aree che generano risultati negativi, che distruggono valore e che non presentano serie probabilità di inversione di tendenza. Spesso si è dimostrato la scarsa disposizione delle aziende a cedere o cessare l’attività delle aree tradizionali, che a volta presentano solo un significato storico ed affettivo che un significato di razionale scelta economica. In questo senso ogni investimento deve sempre giustificare l’assorbimento di risorse che provoca.

• Un altro tipo di errore riguarda l’entrata in nuove aree, nelle quali l’impresa non

dimostra ne competenza, ne vocazione. Sono note le gravi conseguenze che hanno avuto le imprese americane per aver cercato di avventurarsi in processi di diversificazione, con acquisizioni che non erano legate con il loro core business, nel tentativo di avere uno sviluppo, che spesso non è stato realizzato.

• L’avvio di fasi di sviluppo molto veloci, o addirittura audaci, non preparate, non appoggiate da adeguate disponibilità finanziarie ne da adeguate forze

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manageriali, è un'altra tipologia di errore. La mancata verifica della sostenibilità dello sviluppo insieme alla mancata verifica della sostenibilità di un qualsiasi rilevante e innovativo progetto, costituiscono casi tipici di errori gravi. In questo contesto fanno parte anche gli errori che riguardano il lancio di un nuovo progetto dell’impresa senza averne anticipatamente verificata la fattibilità.

• Il tentativo di conquista molto costosa di nuovi mercati, con la sopportazione di grandi perdite di avvio. Molto frequentemente si pensa che queste spese saranno recuperate nell’arco del tempo, come avviene nel caso di successo; solo che il successo non è sempre garantito e in questo caso le perdite diventano irrecuperabili.

• L’impiego di mezzi ingenti in ricerche sfortunate, che spesso sono dall’inizio improponibili, e hanno come conseguenza la mancata di nuovi efficaci prodotti e i costi alti che possono essere considerati come perdite.

• Il perseguimento di obiettivi estremistici, generati da decisioni di un management monocratico, che non tiene in considerazione i consigli e le critiche e fa si che l’impresa sia soggetta a situazioni di declino e di crisi (Guatri, 1995).

La mancanza di innovazione è uno dei più importanti fattori del declino e della crisi. Nella realtà per un’impresa è molto difficile mantenersi nel tempo produttiva senza frequenti invenzioni e nuove idee. Quest’ultimi si traducono in nuovi prodotti, nuovi mercati, nuovi modi di produrre, di nuovi modi di presentare e lanciare i prodotti etc.

Nelle grandi aziende una ricerca quantitativamente sufficiente e qualitativamente efficace è la premessa indispensabile alle innovazioni. Una ricerca carente può anche

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non generare nel breve termine conseguenze negative, ma nel medio/lungo periodo può portare l’azienda in una situazione di declino o di crisi.

1.3.7 La crisi da squilibrio finanziario/patrimoniale

Gli squilibri di natura finanziaria e patrimoniale rientrano nelle cause di crisi. Per squilibrio finanziari si intende:

a. Grave mancanza di mezzi propri e corrispondente nella prevalenza di mezzi a titolo di debito (eccessivo leverage);

b. Prevalenza di debiti a breve termine rispetto alle altre categorie di indebitamento; c. Insufficienza o inesistenza di riserve liquidi;

d. Squilibri tra investimenti duraturi e mezzi finanziari disponibili;

e. Scarsa o nulla capacità dell’impresa a contattare le condizioni del credito;

f. Nei casi più gravi: difficoltà a seguire ed affrontare le scadenze e conseguente ritardo di alcune categorie di pagamento (Guatri, 1986).

Lo squilibrio finanziario è una delle principali cause di perdite economiche. Questo dipende dall’cospicua entità degli oneri finanziari, generati dal indebitamento e dal suo elevato costo. Gli oneri finanziari sopportati dall’impresa in condizioni di squilibrio non sono allineati agli oneri sopportati dai concorrenti. Durante i periodi positivi, quando le aziende sane guadagnano, l’azienda squilibrata guadagna poco o mantiene con difficoltà il pareggio, mentre nei periodi negativi le aziende migliori vedono contrarsi i propri risultati, l’azienda squilibrata subisce delle perdite che peggiorano la sua situazione finanziaria (Guatri, 1995).

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L’accumulo delle perdite porta l’azienda nell’impossibilità di reagire. Da un lato è improbabile ottenere mezzi a titolo di capitale e dall’altro lato anche a titolo di credito. Se le perdite continuano ad aumentare esponenzialmente l’azienda presto si troverà in una situazione di crisi.

Fintanto che non si traduce in manifestazioni di squilibrio finanziario, la crisi rimane più o meno latente. Possiamo però notare che lo squilibrio finanziario può derivare da altri fattori: inefficienze, sovracapacità/rigidità, decadimento dei prodotti, carenze di marketing, decadimento dei prodotti, carenze di marketing, vuoti di programmazione, errori di strategia, cattivo management ecc. Tutte queste cause di declino indeboliscono l’impresa sul piano finanziario.

In diverse situazioni, gli squilibri finanziari sono le cause principali della crisi. In alcuni paesi la debolezza e la povertà dei mercati finanziari, rende limitato il ricorso al capitale proprio e rende inevitabile il ricorso all’indebitamento bancario.

Lo squilibrio finanziario si collega spesso ad un altro tipo di squilibrio, quello patrimoniale. Esso consiste nella scarsità di mezzi vincolanti all’azienda a titolo di capitale e di riserve rispetto ad altre componenti della situazione patrimoniale e della situazione economica (Guatri, 1995).

La mancanza di mezzi propri espone di più l’impresa al rischio di declino e di crisi, a parità di altre condizioni. Un’impresa dotata di capitale e di riserve, può sopportare anche perdite di un certo rilievo, senza che l’impoverimento che ne deriva giunga al punto di mettere a dubbio l’equilibrio tra attività e passività.

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L’elemento patrimoniale svolge, due distinte funzioni. Nelle fasi iniziali del declino la debolezza patrimoniale è legata alle difficoltà e agli squilibri finanziari. Nelle fasi ulteriori, questa componente è un elemento molto importante per resistere al declino o alla crisi (Guatri, 1995).

I due aspetti sia quello soggettivo che quello oggettivo presi singolarmente presentano delle anomalie. L’aspetto soggettivo ignora la valutazione della qualità dell’elemento soggettivo in rapporto alla complessità gestionale (Coda, 1987). L’aspetto oggettivo non riesce a spiegare perché un numero considerevole di aziende sono in grado di svilupparsi anche in presenza di un ambiente esterno non molto favorevole (Podighe, Madonna, 2006).

A questo punto possiamo dire che né il fattore umano né quello ambientale sono in grado di produrre una situazione di crisi singolarmente. La crisi è collegata strettamente all’inadeguatezza delle risorse imprenditoriali e manageriali di gestire i problemi aziendali (Sciarelli, 1995).

1.4 I diversi stadi di crisi

Una volta definite le cause della crisi possiamo individuare 3 stadi di crisi che riguardano :

1. Crisi latente: riguarda il momento in cui lo stato di ordine ha iniziato a deteriorarsi ma le alterazioni si mantengono in parte occulte e l’equazione economica trova ancora verifica. Abbiamo a che fare con una posizione di equilibrio apparente, transitoria che non è in grado di garantire la durevolezza dell’azienda. Questa situazione può portare un ulteriore sviluppo della crisi se

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non vengono prese misure per fronteggiare il processo degenerativo (Caramiello, 1968).

2. Crisi manifesta: quando è possibile evidenziare i sintomi del disequilibrio aziendale. I sintomi che indicano che siamo in presenza della crisi possono riguardare le perdite di esercizio, elevato indebitamento, stato di illiquidità, ecc. La velocità con cui il fenomeno si sviluppa determina le possibilità di risanamento. Nei casi in cui l’equilibrio è compromesso l’unica soluzione è la liquidazione, volontaria o concorsuale. Siamo in grado di ristabilire l’equilibrio, nel caso in cui l’andamento è lento e possiamo effettuare delle indagini per capire le cause della crisi (Podighe, Madonna, 2006).

3. Crisi acuta: quando lo stato di crisi è stato presente a lungo. Siamo in presenza del limite inferiore della diseconomicità, oltre il quale sopraggiungono i punti di rottura del sistema. In mancanza di fondate probabilità di ripristino dell’equilibrio, la crisi porta l’azienda alla liquidazione per parti separate (Podighe, Madonna, 2006).

Analizzando i stadi di crisi e le probabilità che l’equilibrio aziendale possa essere ristabilito o meno, vediamo come è importante che all’interno dell’azienda ci sia la presenza di un organo interno, stabile e distinto dalla direzione, che svolga oltre al controllo di gestione, una continua attività di ricerca, raccolta, selezione e valutazione dei sintomi di antifunzionalità. Questa tipologia di controllo dev’essere esteso anche all’accertamento e ad il monitoraggio dei fenomeni patologici (Mancini, 1999).

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2. I modelli di previsione della crisi

I modelli di previsione della crisi di un’impresa sono più efficaci quanto più riescono ad individuare le anomalie in congruo anticipo. Il fattore tempo è un elemento molto importante, poiché prima si evidenzia la presenza delle anomalie, prima si possono effettuare interventi che possano salvare l’impresa dal fallimento ( Gabrovec Mei, 1984).

La possibilità di riuscire a prevedere in anticipo le anomalie aziendali è importante per la salvaguardia della vitalità dell’azienda stessa. Cogliere i primi sintomi dello stato di insolvenza è stato possibile tramite diverse metodologie sofisticate. (Podighe, Madonna, 2006).

2.1I modelli statici di previsione delle insolvenze aziendali

I modelli statici di previsione o di analisi vengono utilizzati massivamente in campo economico-aziendale per due ragioni:

1. La necessità di migliorare la qualità dell’informazione affiancando ai modelli tradizionali di analisi/previsione, modelli più sofisticati;

2. Lo sviluppo di nuovi software che permette di correggere al meglio il funzionamento dei modelli.

I modelli statici di previsione delle insolvenze possono essere definiti come un insieme coordinato di variabili indipendenti, relazioni statistiche e variabili dipendenti (dette anche output) (De Laurentis, 1986). Queste ultime esprimono una previsione che

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discende direttamente dai valori assegnati alle variabili di input, una volta che il modello sia stato stimato, una volta cioè che siano state definite le relazioni in esso incluse. I primi studi effettuati dagli studiosi di questo campo, sono stati fatti negli anni 30. Gli studiosi hanno cercato di trovare degli indicatori che potessero evidenziare le condizioni di crisi di un’impresa e tramite l’utilizzo di quest’ultimi sviluppare un modello di prevenzione dello stato di crisi.

2.1.1 Modelli teorici e modelli empirici

Gli strumenti statistici di diagnosi della crisi possono essere divisi in modelli teorici (o strumenti deduttivi) e modelli empirici (o modelli induttivi).I primi utilizzano una logica di tipo deduttivo, nel senso che partono dalla formulazione di considerazioni di carattere puramente concettuale, tralasciando i legami con il contesto reale in cui il fenomeno indagato si manifesta. I modelli teorici hanno come obiettivo la definizione di un modello statistico che possa stimare la probabilità di default di un’impresa, avente determinate caratteristiche strutturali, entro un certo periodo di tempo.

I modelli teorici si fondano sulla semplice considerazione che il ricorso all’indebitamento da parte dell’azienda comporta un incremento del rischio di fallimento. I modelli più noti e rappresentativi sono quello di Wilcox (Wilcox, 1971) e quello di Scott (Scott, 1981).

Entrambi esaminano un’azienda che resta in vita due soli periodi amministrativi ed i cui titoli azionari vengono negoziati sul mercato regolamentato. Osservando quindi che al termine del secondo periodo, viene dichiarato il fallimento se il valore di liquidazione è inferiore al suo valore di indebitamento totale.

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A queste due variabili viene associato un modello statistico di probabilità, che consente di calcolare le probabilità di fallimento della combinazione produttiva investigata.

I modelli teorici hanno dei limiti, che riguardano la loro sensibilità ai parametri che vengono definiti ex-ante, sulla base di considerazioni unicamente teoriche; inoltre, non sono in grado a cogliere in anticipo i segnali anticipatori di una crisi, perché si concentrano nel prevedere la fase terminale del processo degenerativo delle condizioni di equilibrio, caratterizzata dall’illiquidità. La scarsa precisione di questa metodologia deriva dall’indeterminatezza delle ipotesi poste alla base dei modelli, le quali difficilmente trovano un riscontro nello scenario delle imprese realmente operanti.

Per ovviare alla scarsa capacità di anticipare gli eventi dei modelli teorici si fa ricorso ai modelli empirici, cosi chiamati perché derivano da analisi ed osservazioni condotte su imprese, o campioni di imprese realmente operanti. Queste metodologie utilizzano un approccio bottom-up, nel senso che possiedono un’impostazione che consente il passaggio dal particolare al generale, attraverso l’applicazione del modello costruito sul campione ad un contesto molto più ampio (Mariani, 2012).

2.1.1.1 Caratteristiche dei modelli empirici di previsione delle insolvenze

Lo scenario delle metodologie statistiche di previsione delle crisi elaborate negli ultimi 70 anni, si presenta ampio ed eterogeneo; gli elementi che li contraddistinguono sono, in particolare:

• L’obiettivo prefissato

• La definizione di insolvenza • Le variabili utilizzate

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• Le tecniche statistiche utilizzate • I risultati ottenuti.

Per quanto riguarda il primo punto, le differenti analisi empiriche svolte nel tempo possono perseguire diverse finalità, come, ad esempio, prevedere il fallimento e classificare le diverse società, in maniera da definire quali sono quelle maggiormente propense alla crisi, oppure paragonare i diversi modelli e le differenti tecniche o variabili usate, per comprendere quali si dimostrino maggiormente significative o determinare la probabilità di default sulla base delle variabili analizzate (Teodori, 1994).

La scelta delle variabili è un momento molto determinante nella costruzione dei modelli, all’interno del quale la componente soggettiva, quindi il giudizio e le convinzioni dell’analista costituiscono un ruolo fondamentale. Trattandosi di modelli empirici, la loro individuazione, spesso, non risulta effettuata sulla base di schemi teorici di riferimento, ma in considerazione della capacità che tali variabili hanno di classificare e discriminare le imprese, ovvero in base alla loro significatività statistica. In linee generali, si può affermare che, in primo luogo, in tali ricerche si parte dalla considerazione di una serie di indicatori ritenuti rappresentativi di tutti gli aspetti rilevanti della gestione (redditività, liquidità, solidità) e, in un successivo momento, si effettua una riduzione del numero di tali variabili.

Il processo di selezione delle variabili continua, eliminando quelle che hanno un elevato grado di correlazione e che indagano il medesimo aspetto della gestione: in questo modo si escludono una serie di indicatori senza provocare una perdita di potere informativo ed esplicativo del modello. Dall’esame della letteratura emerge che le tipologie di

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indicatori maggiormente utilizzate nella costruzione di modelli in grado di diagnosticare anticipatamente uno stato patologico della gestione aziendale sono tre:

1. Indici di bilancio;

2. Variabili derivate dagli indici di bilancio; 3. Variabili a livello macro.

La prima tipologia di indicatori è la più utilizzata; per quanto riguarda la seconda, ci si riferisce all’utilizzo di trend dell’indice nel tempo o alla variabilità degli indici di bilancio osservata nel tempo, o ancora i market based ratio, rapporti che hanno al numeratore il valore della singola azienda e al denominatore l’aggregato della popolazione (Mariani, 2012).

I modelli empirici sono numerosi e hanno diversi gradi di complessità. Essi si possono distinguere in modelli empirici tradizionali e modelli empirici innovativi. I primi possono essere semplici, complessi o evoluti, a seconda del grado di difficoltà delle elaborazioni che si rendono necessarie.

Fig.2 I diversi modelli di previsione degli stati di crisi

Fonte: Podighe, Madonna, “I modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e limiti Modelli di previsione Modelli teorici Modelli empirici Modelli tradizionali Modelli innovativi Semplici Complessi Evoluti Semplici

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I primi strumenti, le analisi sommarie e la tecnica a punteggio, sono molto semplici e non richiedono alcuna competenza tecnica specifica.

L’analisi di bilancio richiede invece una buona conoscenza delle tecniche ragionieristiche. L’analisi discriminante, necessità oltre alle precedenti anche di competenze statistiche.

I modelli innovativi, molti dei quali sono ancora in fase embrionale, sia a livello embrionale, sia a livello di studio che di applicazione pratica, richiedono conoscenze tecniche ancora più variegate e complesse (Podighe, Madonna, 2006).

Di particolare interesse, ai fini della nostra ricerca sono l’analisi di bilancio e le analisi di tipo multivariato, rappresentate dall’analisi discriminante (Z-Score).

2.2 I modelli tradizionali semplici

I modelli tradizionali semplici sono costituiti dalle analisi sommarie e dalla tecnica a punteggio.

2.2.1 Le analisi sommarie

Fra i metodi tradizionali di previsione delle insolvenze, il più semplice consiste nell’individuazione ed interpretazione di una serie di fattori. Tali fattori sono presenti in tutte le aziende e possono essere o meno formalizzati in maniera esplicita.

Si tratta, ad esempio, dalla notorietà del cliente, dal suo rating, dal volume degli acquisti effettuati, dalla durata del rapporto, dalla puntualità dimostrata nei precedenti pagamenti. Poiché questo approccio è intuitivo e scarsamente formalizzato è

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estremamente semplice, ma, non di rado, presenta un livello di affidabilità piuttosto modesto (Podighe, Madonna, 2006).

2.2.2 La tecnica a punteggio

La tecnica a punteggio rappresenta una delle più conosciute ed agevoli applicazioni delle metodologie di credit scoring.

Ai clienti vengono in primo luogo formulate delle domande: l’area geografica di operatività (nazionale o internazionale), la ragione sociale sotto cui operano, il numero delle banche con cui intrattengono rapporti, la dilazione media dei pagamenti effettuati ai fornitori, la percentuale di incidenza dei debiti a breve termine su quelli complessivi, il numero dei dipendenti, ecc. (Dallocchio, 1989).

In funzione della risposta, vengono assegnati dei punteggi percentuali, determinati in relazione all’insolvenza o ai ritardi di pagamento manifestati in passato dai clienti che hanno fornito le medesime risposte.

Attraverso la sommatoria delle diverse percentuali si giunge alla determinazione di una probabile percentuale di insolvenza complessiva attribuibile allo specifico cliente (Cavagna, 1988).

Si tratta di una metodologia di previsione non molto rigorosa: i risultati sono infatti notevolmente influenzati dal numero e dal tipo di domande formulate. Inoltre tale metodologia trascura del tutto le interrelazioni esistenti fra le diverse variabili prese in considerazione.

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Dei metodi tradizionali complessi fa parte l’analisi di bilancio per indici. L’analisi di bilancio rappresenta una delle tecniche fondamentali per la conoscenza e la compressione della gestione aziendale. Essa costituisce uno strumento storico- prospettico di conoscenza della gestione (Caramiello, 1993).

L’analisi di bilancio vien sviluppata in due momenti collegati: in un primo momento permette di conoscere e interpretare la gestione passata; nel secondo momento permette di formulare dati utili per disegnare la gestione futura (Caramiello, 1993). Questa metodologia risulta molto utile per giudicare il passato dell’azienda e per programmare il suo futuro. Essa può rappresentare una sorta di ponte fra il passato e il futuro; concorre da un lato, alla ricerca delle determinanti dei risultati aziendali, dall’altro, al successivo momento di formulazione delle ipotesi sul futuro andamento della gestione ( Giunta, Pisani, 2016).

L’analisi di bilancio viene utilizzata per il controllo dell’equilibrio economico della gestione. L’equilibrio economico si basa si basa su una serie di condizioni determinanti tra i più importanti ricordiamo la condizione finanziaria e la condizione patrimoniale ( Caramiello,1993).

La condizione finanziaria è collegata all’equilibrio finanziario tra le entrate e le uscite monetarie relative al processo formativo del capitale e del reddito.

La condizione patrimoniale è collegata all’equilibrio patrimoniale fra gli impieghi e le fonti che costituiscono il capitale aziendale.

L’analisi di bilancio si basa sul calcolo di specifici indicatori, tramite i quali si possono identificare i potenziali fattori che possano portare l’impresa in una situazione di crisi,

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osservando la loro deviazione dalle medie delle imprese comparabili o del settore, in un arco temporale di minimo 3 anni (Mariani, 2012).

Tali indicatori possono essere patrimoniali, economici e di rotazione. I primi possono assume la configurazione di quozienti o di indici. Con riferimento allo Stato Patrimoniale i quozienti mettono a confronto un elemento dell’attivo con un elemento corrispondente del passivo del medesimo documento. Gli indici confrontano un elemento di una sezione dello stato patrimoniale rispetto al totale della medesima sezione. Gli indicatori economici e di rotazione assumono sempre la denominazione di indici in quanto mettono a confronto grandezze economiche con grandezze patrimoniali ( Caramiello, Di Lazzaro, Fiori, 2003).

Gli indici di bilancio devono essere utilizzati come strumenti di lettura unitaria del bilancio (Caramiello, 1993). Essi servono per concretare un confronto nel tempo oppure un confronto nello spazio.

Il primo tipo di confronto riguarda una serie temporale di bilanci di una medesima azienda, per seguire l’andamento della gestione nel tempo.

Il secondo tipo riguarda di confronto riguarda un insieme di bilanci di aziende comparabili tra di loro, per avere le analogie e le differenze fra le gestioni ( Caramiello, 1993). Le due direttrici di comparazione non si escludono ; anzi per avere il massimo beneficio dall’analisi, l’andamento storico della gestione aziendale in un determinato periodo dovrebbe essere confrontato con l’andamento storico della gestione di aziende concorrenti nello stesso periodo, intersecando la dimensione temporale dell’analisi con quella spaziale ( Migliori, Giunta, 2016).

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In questo modo si è in grado di giudicare se la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’azienda da affidare è confortante o meno. Tuttavia il significato di tali indagini è spesso relativo per almeno due ordini di motivi.

Anzitutto, per il calcolo degli indici si parte dai dati di bilancio, il quale non sempre rappresenta la situazione aziendale con fedeltà.

In secondo luogo, affinché tali indicatori forniscano informazioni attendibili è necessario che siano legato a sistema, ovvero che vengano interpretati congiuntamente. In altri termini, occorre attribuire dei pesi ad ogni indice.

Su tali operazioni di pesatura grava un notevole rischio: la soggettività insita nel processo di determinazione dei pesi può infatti compromettere l’affidabilità dell’intero sistema (Podighe, Madonna, 2006).

Al fine di eliminare tale rischio, a partire dagli anni sessanta sono state utilizzate metodologie statistiche per la determinazione dei pesi da attribuire agli indicatori, rivoluzionando completamente il modo di operare degli analisti di bilancio (Podighe, Madonna, 2006).

L’analisi di bilancio considera le seguenti fasi:

• La lettura del bilancio e la valutazione dell’attendibilità delle informazioni in esso contenute;

• La riclassificazione del bilancio di esercizio; • Il calcolo degli indici;

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L’analisi dev’essere effettuata su due o più bilanci per avere significato. Gli indici non hanno significato se sono intesi come punto di arrivo dell’analisi; essi sono punti di partenza. Essi non devono essere intesi in modo autonomo, devono servire come elementi per un giudizio unitario sulla gestione (Caramiello, 1993).

2.4 L’analisi univariata

L’analisi univariata comporta l’applicazione di metodologie statistiche unidimensionali alla tecnica dell’analisi di bilancio.

L’esempio più significativo è rappresentato dallo studio di Beaver (Beaver,1966). Egli, si basò su un campione di 158 aziende, di cui la metà in difficoltà e l’altra metà in buone condizioni finanziarie. Ogni azienda sana era simile, per settore di appartenenza e per importo di capitale investito, ad un’azienda insolvente.

Al campione vennero applicati 30 indici di bilancio differenziandoli mediante due diverse tecniche: l’analisi dei profili e il valore critico degli indici e del tasso di errore di riclassificazione.

Mediante l’analisi dei profili Beaver è riuscito a separare alcuni indici che nei due gruppi di aziende avevano un andamento significativamente diverso. Ha determinato per ciascun indice il valore critico che riduce al minimo il rischio di errata classificazione del campione (Rossi, 1989).

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L’approccio statistico unidimensionale possiede già una certa capacità predittiva sull’insolvenza delle aziende. Il suo limite principale risiede nella mancata considerazione dell’interdipendenza esistente fra i diversi indici presi come riferimento.

2.5 L’analisi multivariata

L’analisi multivariata comporta l’applicazione alla tecnica dell’analisi di bilancio di metodologie statistiche multidimensionali.

Fra di esse risulta particolarmente significativa la cosiddetta analisi discriminante, che dagli anni 60 in poi ha cominciato ad essere utilizzata sistematicamente nella stima delle insolvenze (Quagli, 1990).

L’analisi multivariata permette di combinare gli indicatori scelti attraverso l’utilizzo di metodologie statistiche, al fine di eliminare la soggettività del valutatore nell’attribuzione dei relativi pesi.

La logica di fondo dell’analisi discriminatoria è semplice: sulla base di un’indagine campionaria si vuole elaborare un procedimento che consenta di discriminare i differenti universi osservati, al fine di classificare gli elementi che tali universi appartengono in modo da poter risalire al loro universo di provenienza, il quale risulta sconosciuto a priori (Perdetti, 1960).

Sono diversi gli approcci utilizzati per il criterio discriminatorio: si va dall’uso di modelli classici, come quello di Fisher, basati su un criterio di tipo geometrico, all’uso di modelli bayesiani come quelli di Welch e di Anderson, basati su un criterio di tipo economico ( Forestieri, 1986).

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Per costruire un modello di analisi discriminante applicata alla previsione delle crisi aziendali, è anzitutto necessario esaminare un campione significativo di aziende che comprenda un numero analogo di combinazioni sane e combinazioni insolventi.

Si creano in questo modo due distinte categorie: nella prima vengono inseriti quelli che, nel periodo di osservazione, si sono dimostrati insolventi, mentre nella seconda quelle che hanno regolarmente onorato i propri impegni.

Si procede poi a calcolare gli indicatori ritenuti determinanti e ad assegnare a ciascuno di essi un peso in funzione dell’importanza rivestita.

Da ciò scaturisce una specifica funzione matematica, la quale assume la seguente configurazione:

f = a1 (x1) + a2 (x2) + … + an (xn)

dove xn rappresenta l’indicatore scelto e an il peso ad esso assegnato (Podighe, Madonna, 2006).

Tale modello tramite il confronto fra gli indici calcolati sulle aziende consente di stimare, se un specifico soggetto, con determinate caratteristiche, sarà in grado di far fede ai propri impegni.

2.5.1 Lo Z-Score di Altman

Il professor Edward Altman è stato il primo studioso ad elaborare un modello rigoroso e accurato dal punto di vista metodologico, volto a prevedere l’insolvenza di una società. Questo studio venne presentato nel 1968. Lo scopo che si prefiggeva di raggiungere tramite tale ricerca consisteva nel verificare la validità dell’analisi per indici tradizionale

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e dimostrare che esiste un collegamento tra una tecnica statistica rigorosa e analitica e gli indici di bilancio. La definizione di insolvenza per cui l’autore ha deciso di optare è l’insolvenza in senso giuridico, certificabile, prendendo in considerazione tra le aziende “anomale” esclusivamente quelle che erano state sottoposte a procedura fallimentare nel periodo tra il 1946 e il 1965.

Il campione esaminato è composto da 66 aziende di dimensioni medio-grandi e riconducibili al settore manifatturiero; ad ognuna delle 33 aziende fallite corrisponde un’impresa in condizioni fisiologiche, avente medesime caratteristiche per dimensione, settore d’attività ed appartenenza territoriale. Vengono analizzati i prospetti contabili delle aziende in dissesto, relativamente al quinquennio precedente la sentenza di fallimento e svolta l’analisi di bilancio per il medesimo arco temporale osservato, sulle imprese sane corrispondenti.

Il modello individua 22 indicatori con potenzialità previsionali, suddivisi in 5 categorie. Da questi 22, infine la scelta è ricaduta su 5 ratios: tale ulteriore dimensionamento delle variabili discriminanti è avvenuta sulla base dei seguenti criteri ( Altman, 1968):

• La significatività statistica di ogni funzione discriminante alternativa, includendo la definizione del contributo che ciascun quoziente apporta alla combinazione lineare;

• La correlazione tra le variabili rilevanti;

• L’accuratezza predittiva delle diverse funzioni alternative; • Le valutazioni soggettive dell’analista.

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X1= Capitale circolante netto/Capitale investito

X2=Utili non distribuiti/Capitale investito

X3= EBIT/Capitale investito

X4=Valore di mercato azioni/Valore contabile debiti

X5=Ricavi di vendita/Capitale investito

Secondo Altman il primo indice è misura della liquidità aziendale e va decrescendo, a causa della riduzione del numeratore, man mano che ci si avvicina al momento del fallimento.

Il discriminante X2 dà un’indicazione della capacità di autofinanziamento dell’impresa;

in una situazione di squilibrio economico-finanziario, il valore di tale indice si presenta decrescente.

Lo stesso discorso vale anche per il terzo ratio, che diviene nullo o negativo, con il progredire del processo degenerativo. Il quarto quoziente, incluso da Altman tra gli indici “innovativi”, tiene conto delle fluttuazioni dei prezzi dei titoli emessi dalle aziende. Più ci si avvicina alla sentenza dichiarativa fallimentare, più tale valore sarà basso.

L’ultima variabile indipendente facente parte della funzione discriminate rappresenta la rotazione del capitale investito, ovvero la velocità con la quale questo ritorna in forma liquida attraverso i ricavi di vendita. Anche tale rapporto tende a subire un brusco calo,

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soprattutto in quei casi in cui la crisi è generata dalla sovracapacità/rigidità o carenza di innovazione.

Lo step successivo consiste nella definizione dei coefficienti di ponderazione, ovvero massimizzando la distanza tra i due gruppi e minimizzando la variabilità interna ai gruppi.

La configurazione definitiva del modello è la seguente:

Z= 0,012X1 + 0,014X2 + 0,033X3 + 0,006X4 + 0,999X5

Definito il modello, l’autore si è preoccupato di valutare la significatività assoluta e relativa delle variabili. Per il primo caso ha portato avanti un approccio di tipo univariato, così da poter concludere che le differenze nelle osservazioni di tali valori tra i due gruppi sono notevoli. Confrontando le medie degli indicatori è giunto a concludere che i valori degli indici delle imprese in condizioni fisiologiche si presentano migliori di quelli delle imprese in crisi (Podighe, Madonna, 2006).

Il valore soglia è stato definito dall’autore, non come semisomma delle Z dei due gruppi, ma dall’osservazione degli errori di classificazione. Nell’anno precedente l’insolvenza la funzione è estremamente accurata e consente di classificare correttamente il 95% delle aziende del campione, se consideriamo anche l’anno precedente la precisione dello strumento si riduce all’83%. Il cutoff è stato determinato considerando il punto in corrispondenza del quale l’errore di classificazione risulta minimo, ovvero pari a 2,675. L’autore ha inoltre definito gli estremi della zona grey area, ovvero della zona di incertezza, 2,99 e 1,81 come si può vedere nella figura sottostante.

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Tab.1 Distribuzione del valore di Z Score

Z’Score Zona Osservazioni

<1,8 Fallimento Il fallimento è certo ed estremamente probabile

1,8 < Z’ < 2,99 Incertezza Ѐ difficile considerare se le aziende sono sane o no

>2,99 Sane L’azienda si trova in una situazione finanziaria sana Fonte: Nostra elaborazione

Le aziende con uno Z score superiore a 2,675 sono classificate come potenzialmente sane, quelle con uno Z score inferiore alla stessa cifra sono potenzialmente insolventi. Considerando il fatto che sussistono degli errori di classificazione l’autore ha definito due valori soglia ulteriori (Altman, 1968). Quelle imprese che possiedono uno Z score compreso tra 1,81 e 2,99 sono considerate incerte. Solo le aziende con un valore della funzione discriminante superiore a 2,99 possono essere considerate a rischio di insolvenza nullo. Una volta costruito il modello, Altman ha testato la sua capacità predittiva implementandolo su un altro campione composto da 25 imprese dichiarate insolventi e da altre 66 aziende non anomale. I risultati si sono mostrati incoraggianti, dato che il 96% delle imprese insolventi è stato correttamente classificato. Altman giunge a concludere che gli indici di bilancio una valida base di partenza nel prevedere l’insolvenza e che il modello è valido e accurato per un arco temporale di soli due anni precedenti il fallimento.

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43 2.5.1.1 Successive modifiche e adattamenti allo Z Score

Lo Z-Score nasce per segnalare i sintomi di crisi di società quotate appartenenti al settore manifatturiero. La necessità di estendere l’ambito di applicazione, ha indotto l’autore ad apportarvi alcuni adattamenti, utili per poterlo efficacemente impiegare nelle previsioni dei dissesti di ( Altman, Hartzell, Peck, 1995) :

1. Società non quotate;

2. Aziende non manifatturiere e mercati emergenti.

Z’-Score

L’autore ha effettuato delle modifiche al modello che riguardano la sua applicazione alle aziende non quotate sul mercato. Nel momento in cui andiamo a considerare un azienda non quotata sul mercato dobbiamo sostituire la variabile X4 che riguarda il

rapporto tra il valore di mercato del patrimonio netto e il valore contabile dei debiti. Modificando sia il campione che le variabili, il nuovo modello diventa:

Z’= 0,717 X1 + 0,847 X2 + 3,107 X3 + 0,420 X4 + 0,998 X5

L’autore ha modificato in questo caso anche la estremità inferiore dell’area di incertezza cambiandola da 1,81 a 1,23, poiché si hanno più possibilità di effettuare errori (Altman, Hotchkiss, 2006).

2.5.1.2 Lo Z’’-Score

Considerando la particolare composizione del campione di stima dello Z-Score, si comprende come tale modello sia stato elaborato con specifico riguardo alla categoria delle aziende manifatturiere ( Altman, 1968).

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