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Tromboelastogramma in terapia intensiva neonatale. Nuove prospettive di utilizzo a letto del paziente. Studio prospettico su neonati pretermine, con coagulopatie o asfittici della U.O. Neonatologia di Pisa

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U

NIVERSITÀ DEGLI STUDI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Scuola di Specializzazione in Pediatria

Direttore Prof. G. Federico

Tromboelastogramma in terapia intensiva neonatale. Nuove

prospettive di utilizzo a letto del paziente. Studio prospettico

su neonati pretermine, con coagulopatie o asfittici della U.O.

Neonatologia di Pisa

Tesi di Specializzazione 6 Luglio 2017

Relatore:

Chiarissimo Prof. Antonio Boldrini Correlatori: Dr. Armando Cuttano Dr. Emilio Sigali Anno accademico 2015-2016 Candidata:

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Sommario

RIASSUNTO ... 4 IL SISTEMA COAGULATIVO ... 8 L’emostasi ... 8 Coagulazione ... 10 Via estrinseca ... 10 Via intrinseca ... 12 Cell-mediated hemostasis ... 13 Meccanismi di regolazione della coagulazione ... 16 Il sistema fibrinolitico ... 17 Coagulazione del neonato ... 19

METODICHE STANDARD DI ANALISI DELLA COAGULAZIONE ... 22

TROMBOELASTOGRAMMA ... 28 Parametri significativi del TEG ... 33 Il tromboelastogramma nei neonati ... 36 Sepsi ... 41 Ipotermia ... 43 Coagulopatie ... 45 Emorragia endocranica ... 46 MATERIALI E METODI ... 48

SCOPO DELLO STUDIO ... 51

RISULTATI ... 52

Analisi statistica ... 52

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3 Emorragia ... 57 Coagulopatia ... 60 Ipotermia ... 62 Range di normalità nei pretermine ... 67 DISCUSSIONE ... 69 CONCLUSIONI ... 80 BIBLIOGRAFIA ... 82

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Riassunto

Il termine "developmental hemostasis" è stato introdotto per descrivere i fisiologici cambiamenti del sistema di coagulazione correlati all’età. Tale sistema ha diversi gradi di maturazione che aumentano progressivamente dal periodo fetale, neonatale e pediatrico sino ad arrivare al sistema coagulativo maturo dell’età adulta.

Nel neonato, infatti, le concentrazioni plasmatiche dei fattori della coagulazione vitamina-K dipendenti e dei fattori del sistema di contatto sono di circa il 50% inferiori rispetto al valore degli adulti. Questa carenza fisiologica dei fattori della coagulazione è, però, compensata dagli effetti protettivi derivanti dalla fisiologica carenza degli inibitori della coagulazione.

Il tromboelastogramma (TEG) è un esame clinico atto a valutare la coagulazione del sangue; misura la velocità di formazione, l'elasticità e la velocità di retrazione del coagulo. È un test eseguibile vicino al letto del paziente. È facile da effettuare e fornisce informazioni sullo stato della coagulazione in circa 30 minuti.

Materiali e metodi: il nostro studio prospettico longitudinale ha voluto valutare l’utilità

del TEG in campo neonatale.

Criteri di inclusione: neonati pretermine con età gestazionale ≤ 32 settimane e/o peso alla nascita ≤ 1500 grammi; neonati con encefalopatia-ipossico-ischemica sottoposti a trattamento con ipotermia; neonati a termine con sepsi; neonati a termine con coagulopatia materna o con coagulopatia diagnosticata dopo la nascita.

I soggetti reclutati sono stati in totale 51, suddivisi nel seguente modo: 44 soggetti VLBW o ELBW; 3 soggetti sottoposti ad ipotermia terapeutica; 2 soggetti a termine con sepsi late-onset; 1 soggetto con anamnesi materna positiva per una grave coagulopatia; 1 soggetto con coagulopatia.

Per i soggetti reclutati in questo studio la tempistica dei prelievi ematici per l’esecuzione del TEG è stata la seguente: nei pretermine il primo prelievo è stato effettuato entro le 24 ore di vita (T0) ed il secondo tra le 48 e le 72 ore di vita (T1); per i pazienti in ipotermia tali prelievi sono stati effettuati dopo circa 24 ore di ipotermia (T0) e ad almeno 24 ore dalla sospensione del trattamento ipotermico (T1), per i pazienti a

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5 termine con sepsi il prelievo è stato effettuato nel momento in cui è insorto il sospetto clinico di sepsi (T0) e ripetuto dopo 48 ore di terapia antibiotica (T1). Per i pazienti affetti da coagulopatia i prelievi sono stati effettuati in maniera seriata in base alle esigenze cliniche dei soggetti.

I parametri tromboelastografici valutati in tutti i soggetti reclutati sono stati 5: clot

reaction time (R), clot kinetics (K), Angle (α), maximum amplitude (MA) e Coagulation Index (CI).

Gli analizzatori della coagulazione utilizzati per effettuare il tromboelastogramma, sono stati il TEG® 5000 ed il TEG® 6s, Thromboelastograph Hemostasis Analyzer System (Haemonetics®).

Scopo dello studio: valutare il profilo tromboelastografico ed eventuali sue variazioni

nel tempo, dei neonati pretermine VLBW ed ELBW, dei neonati a termine con sepsi, dei neonati con coagulopatia materna o con diagnosi di coagulopatia dopo la nascita e dei neonati sottoposti ad ipotermia. Inoltre, confrontare le caratteristiche dei profili dei 5 parametri TEG nei soggetti con sepsi e/o emorragia con quelle dei soggetti che non le hanno evidenziate e valutare l’eventuale presenza di valori predittivi di tali patologie; dimostrare l’utilità del TEG come point-of-care (POC) in Terapia Intensiva Neonatale; dimostrare l’utilità del TEG nei soggetti con coagulopatia materna o con diagnosi post-natale di coagulopatia o sottoposti ad ipotermia per valutare la necessità o meno di effettuare trasfusioni; tracciare dei range di normalità dei parametri tromboelastografici nei neonati VLBW ed ELBW.

Risultati

Sepsi: abbiamo trovato delle differenze statisticamente significative di alcuni dei

parametri del TEG tra i soggetti che hanno sviluppato sepsi, valutando sia l’intera popolazione sia la coorte dei pretermine. Nella popolazione generale quelli che hanno sviluppato sepsi hanno al T0 un valore di K più basso (p=0.003) e valori di Angle

(p=0.003), MA (p=0.003) e CI (p=0.002) più elevati; al T1 un valore di MA più basso (p=0.008). Questo rispecchia l’attivazione della cascata coagulativa da parte

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6 Valutando solo la popolazione di pretermine, le differenze tra i valori dei parametri del TEG nella popolazione che ha presentato sepsi e in quella che non l’ha presentata, al T0 sono solo relative al parametro CI che risulta maggiore (p=0.032), e al T1 solo al parametro MA che risulta significativamente più alto (p=0.042).

Abbiamo applicato un modello di regressione logistica multipla per valutare se e quali parametri del TEG al T0 potessero essere predittori dello sviluppo di sepsi (variabile dipendente) in tutti nostri neonati e nella coorte di pretermine: nella popolazione generale il parametro R e il parametro CI sono risultati predittori di sepsi, mentre nei pretermine il predittore è il parametro R.

Emorragia: in tutta la nostra popolazione, al T0 (p=0.030) e al T1 (p=0.016) il valore

CI risultava più basso nei soggetti che hanno presentato emorragia rispetto a quelli che non l’hanno presentata. Poiché lo sviluppo di emorragia si è avuto maggiormente nella popolazione di pretermine, abbiamo voluto analizzare a parte questa popolazione: al T0 non sono state evidenziate differenze statisticamente significative mentre al T1 il valore di CI (p=0.022) risultava significativamente più basso nei soggetti con emorragia. Abbiamo, inoltre, utilizzato un modello di regressione logistica multipla per valutare se e quali parametri del TEG al T0 potessero essere predittori dello sviluppo di emorragia (variabile dipendente) nella nostra popolazione: il parametro K e il parametro MA sono predittori di emorragia, mentre i valori dei parametri R e CI sono risultati parametri protettivi. Non abbiamo avuto dati significativi nei pretermine.

Monitoraggio dell’assetto coagulativo nei soggetti sottoposti ad ipotermia e con diagnosi di coagulopatia: nei soggetti con ipotermia, il TEG può essere calibrato alla

temperatura del paziente, mostrando, così, il reale stato coagulativo globale del soggetto e risultando una metodica di valutazione della coagulazione più attendibile rispetto ai test convenzionali di laboratorio. Nel soggetto con coagulopatia il confronto fra le due metodiche di analisi della coagulazione ha mostrato che il TEG era capace di individuare con precisione in quale porzione della cascata coagulativa risiedesse il maggior deficit, permettendo così una terapia mirata.

Infine, l’effettuazione del TEG dopo ogni intervento terapeutico ci ha permesso di valutare la reale efficacia del trattamento in maniera più specifica rispetto ai test convenzionali di laboratorio.

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Range di normalità nei pretermine: partendo dall’evidenza che in letteratura mancano

dei valori di riferimento per i parametri del TEG nei neonati pretermine, abbiamo valutato quali fossero i valori di normalità nella nostra popolazione di pretermine “sani”, cioè in quelli che non hanno sviluppato né emorragia né sepsi, né coagulopatia, né asfissia. Naturalmente, essendo una piccola popolazione tali valori non possono essere presi come sicuri range di normalità ma possono rappresentare una base per creare dei valori di riferimento per tale popolazione, in attesa di reclutare una popolazione più ampia.

Utilizzo come POC: nonostante il TEG non fosse mai stato usato nella nostra TIN,

questo studio ha dimostrato che standardizzando il metodo e apprendendo la metodica di esecuzione, è possibile utilizzare il TEG come POC all’interno della nostra attività assistenziale routinaria, senza particolari problemi. Nella nostra esperienza il vantaggio principale nell’utilizzo di questa metodica è sicuramente derivato dalla necessità di una minore quantità di sangue da prelevare ai pazienti rispetto a quella necessaria per effettuare i test convenzionali della coagulazione, di soli 0.5 mL di sangue intero per il TEG, e dalla rapidità con cui si ottengono i risultati (circa 30’).

Un’importante prospettiva futura per l’utilizzo del TEG potrebbe essere anche il tipo di campione ematico utilizzato, in particolare durante il nostro studio abbiamo osservato che anche il prelievo capillare può dare risultati affidabili ed è sicuramente una tecnica di prelievo più facilmente eseguibile, meno invasiva per i pazienti ed effettuabile anche dal personale paramedico. Serviranno, in futuro, studi dedicati per validare tale metodica, comparando i risultati del TEG da campione capillare e campioni arteriosi o venosi.

Vista la scarsità di dati in letteratura sull’utilizzo del tromboelastogramma in ambito neonatologico, questo studio ha una valenza come ulteriore approfondimento e arricchimento dei dati presenti sino ad ora e va ad implementare aspetti sul suo potenziale utilizzo che non erano stati ancora valutati. Sicuramente sarà necessario, soprattutto per la determinazione dei range di normalità nei pretermine, incrementare la casistica dei soggetti reclutati, inoltre sono necessari ulteriori studi che valutino l’utilità del TEG in ambito neonatologico per confermare i dati emersi nei nostri risultati.

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Il sistema coagulativo

L’emostasi

In condizioni fisiologiche, il sangue circola a pressione positiva, in un circuito virtualmente chiuso, l’albero vascolare, mantenendo la sua fluidità grazie soprattutto al contatto con una superficie non reattiva costituita dalle cellule endoteliali che rivestono i vasi. L’endotelio, infatti, non rappresenta una semplice barriera che isola le piastrine e gli altri fattori del sistema emostatico dai costituenti “trombogenici” dei tessuti sottoendoteliali, ma va piuttosto considerato un “organo” multifunzionale capace di mantenere la normale omeostasi vascolare grazie all’espressione di numerosi elementi “antitrombotici” che impediscono l’adesione e l’aggregazione delle piastrine, l’attivazione della coagulazione e la deposizione di fibrina.

L’emostasi, inoltre, è un insieme di complessi meccanismi biologici destinati ad arrestare eventuali emorragie conseguenti ad una lesione di continuo dell’albero vascolare e a ristabilire l’integrità del vaso leso. (Covelli I., Fisiopatologia generale; V

edizione)

Il sistema emostatico si attiva qualora si verifichi un danno ai vasi sanguigni, la sua attivazione porta ad una complessa serie di eventi che, da un lato, prevengono l’eccessiva perdita ematica e dall’altro ripristinano il normale funzionamento del sistema vascolare evitando, quindi, un prolungato arresto dell’apporto di sangue a tessuti e organi circostanti. Il sistema emostatico dipende dall’interazione tra la parete vasale, le piastrine, la cascata della coagulazione e la fibrinolisi. (van Geffen M. 2012) In seguito ad un danno alla parete vascolare si verifica una fase transitoria di vasocostrizione, fenomeno dovuto ad un riflesso nervoso scatenato dall’evento traumatico e ad una serie di sostanze vasoattive come l’adrenalina e il trombossano A2. Successivamente, la componente ematica che per prima reagisce alla perdita dell’integrità vasale è rappresentata dalle piastrine, che, anche a causa del rallentamento del flusso, tendono a disporsi lungo la parete vascolare lesa, aderendo alle strutture sottoendoteliali. Questo processo, denominato “adesione piastrinica”, è rapidamente amplificato dall’accumulo di altre piastrine a ridosso di quelle aderenti (aggregazione piastrinica), ciò avviene grazie al rilascio di mediatori biochimici da parte delle piastrine stesse. I fattori più importanti coinvolti nel processo di adesione piastrinica sono i complessi glicoproteici Ib-IX (GPIb-IX) e Ia-IIa (GPIa-IIa), della membrana

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9 piastrinica, ed alcune proteine localizzate nella matrice sottoendoteliale, come il fattore di von Willebrand (vWF) e il collageno. Il complesso GPIb-IX è uno dei principali sistemi glicoproteici transmembrana presenti sulle piastrine, che contiene il sito di legame per il vWF. La GPIa-IIa rappresenta, invece, il principale fattore piastrinico per il collageno. Il vWF è prodotto dai megacariociti e dalle cellule endoteliali. Esso è presente nelle piastrine (all’interno degli α-granuli), nel sottoendotelio e nel plasma, dove forma un complesso non covalente con il fattore VIII della coagulazione, funzionando da carrier per questa proteina e contribuendo alla sua stabilità. Il vWF gioca un ruolo cruciale nell’adesione delle piastrine al sottoendotelio legandosi “a ponte” tra la GPIb della membrana piastrinica e i costituenti sottoendoteliali (specie il collageno) esposti dalla lesione vascolare. In conseguenza dell’adesione alle strutture sottoendoteliali, le piastrine subiscono una serie di modificazioni morfologico-strutturali e biochimiche. Le piastrine da discoidi-biconvesse si trasformano in “sfere spinose”. I granuli intracellulari, contenenti adenosina-5-difosfato (ADP), trombossano A2 e il “platelet activating factor” (PAF) vengono rilasciati, fenomeno denominato “release reaction”. ADP, trombossano A2 e PAF sono i principali mediatori capaci di attivare altre piastrine e promuovendo la loro aggregazione a ridosso di quelle già aderenti. Anche il processo di aggregazione richiede alcune glicoproteine della membrana piastrinica, in particolare il complesso glicoproteico IIb-IIIa (GPIIb-IIIa), ed una proteina plasmatica, il fibrinogeno. La GPIIb-IIIa è un recettore multifunzionale capace di legare il fibrinogeno ed altre proteine adesive come il vWF, la fibronectina e la vitronectina. Il fibrinogeno, in virtù della sua struttura dimerica, è particolarmente adatto a funzionare da ponte molecolare tra una piastrina e l’altra. Questa reazione di adesione/aggregazione piastrinica forma il “tappo emostatico primario” (emostasi primaria), essa rappresenta una condizione necessaria affinché possa avvenire correttamente il processo della coagulazione, anch’esso innescato dal danno vascolare, attraverso l’espressione di elementi procoagulanti che promuovono l’interazione e l’attivazione di vari fattori della coagulazione. (Covelli I., Fisiopatologia generale; V

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Coagulazione

Tradizionalmente la coagulazione viene definita come una reazione “a cascata” o come un network di reazioni proteolitiche, tuttora vengono aggiunte a tale tradizionale schema nuove reazioni e componenti ma i suoi principali elementi sono rimasti invariati sin dal 1990. (Panteleev M.A. 2015)

La coagulazione è composta principalmente da due pathway: la via intrinseca e la via estrinseca che convergono insieme nel processo di emostasi, il quale è caratterizzato fondamentalmente da un’attivazione sequenziale di serin-proteasi e cofattori. (Chang Y.

2016)

Via estrinseca

La via estrinseca è la via principale coinvolta nella cascata coagulativa. (Chang Y. 2016) Secondo il concetto a cascata, la via estrinseca della coagulazione è attivata dal contatto del plasma con una proteina transmembrana definita fattore tissutale (TF), la quale è normalmente presente solo nelle cellule extra vascolari, ciò, quindi, determina che il contatto con il TF possa avvenire solo a seguito di un danno vascolare meccanico o per altri tipi di lesione a livello endoteliale, dovuti ad esempio all'infiammazione.

Una serin-proteasi a bassa attività, definita fattore VIIa, lega il TF, ciò le permette di diventare un enzima completamente funzionale che attiva i fattori IX e X tramite un processo di proteolisi limitata, il fattore IXa, quindi, attiva a sua volta il fattore X, e il fattore Xa trasforma la protrombina in trombina. (Panteleev M.A. 2015)

Una volta legato al TF il FVII è rapidamente attivato sia tramite processi di autoattivazione che da basse concentrazioni di FXa, FXIa o FVIIa. Il complesso FVIIa/TF catalizza l’attivazione di piccole quantità di FX e FIX, anche in condizioni basali, difatti il TF intorno ai vasi è legato al FVII anche in assenza di danno. La continua generazione di piccole quantità di fattori attivati determina la rapida attivazione del sistema coagulativo allorché un danno permetta il passaggio di sangue all’interno dello spazio extravascolare. (Eduardo G. 2016)

È importante sottolineare che il FXa rappresenta un enzima chiave sia nella via estrinseca che in quella intrinseca. (Chang Y. 2016)

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11 La trombina, in ultima analisi, produce fibrina che spontaneamente polimerizza determinando la gelificazione del plasma a livello del sito di lesione. Il plasma gelificato blocca così il sanguinamento, portando a termine il processo coagulativo.

(Panteleev M.A. 2015)

Il fibrinogeno è l’ultimo substrato proteico della cascata coagulativa e forma la principale proteina strutturale del coagulo di fibrina. Il fibrinogeno, prodotto dal fegato, è un dimero composto da tre paia di catene proteiche, Aα, Bβ e ϒ che sono legate tramite un legame disulfidico alla loro regione N-terminale.

Il fibrinogeno, come osservato con tecniche di imaging molecolare, è composto da tre domini globulari; un dominio E centrale, affiancato da due domini D identici.

La trombina taglia dei piccoli peptidi, i fibrinopeptidi terminali A e B, rispettivamente dalle catene Aα e Bβ, per formare monomeri di fibrina. Questi monomeri si assemblano in protofibrille. Le protofibrille si associano lateralmente in spesse fibre di fibrina e formano cosi il coagulo di fibrina. Questo coagulo tuttavia non è stabile e si sfalderebbe se non venissero formati legami covalenti.

La trombina, inoltre, attiva il FXIII, che è un enzima transglutaminasi. Il FXIIIa, agendo sul lato della catena dove c’è l’acido glutammico e la lisina nella sequenza amminoacidica della fibrina, forma legami covalenti tra le catene ϒ di monomeri di fibrina, creando così un coagulo stabile.

Inoltre, il FXIIIa può legare covalentemente una varietà di sostanze nel coagulo di fibrina in formazione, incluso il plasminogeno e l’antiplasmina. Questa proprietà del FXIIIa è importante per la penultima fase di formazione del coagulo: la guarigione della ferita e la riparazione del tessuto.

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Figura 1 Extrinsec and intrinsic coagulation pathways. Chang Y et al., Coagulation disorders and their cutaneous presentations: Pathophysiology. J Am Acad Dermatol 2016; 74:783-92

Via intrinseca

La via intrinseca, invece, viene attivata mediante l’attivazione del “sistema di contatto”, coinvolgendo i fattori FXII e FXI, la plasma callicreina (PK) e il chininogeno ad alto peso molecolare (HMWK). Il FXII e HMWK entrano in contatto con le cariche negative sottostanti l'endotelio danneggiato, attivando, così, il FIX. Il FIXa, con il suo cofattore VIII (FVIII), attivano il FX in FXa, determinando, come nella via estrinseca, la produzione di trombina che porta alla formazione del coagulo. (Chang Y. 2016)

Bisogna sottolineare che la trombina amplifica fortemente la propria produzione attraverso l’attivazione dei fattori V e VIII. Inoltre, i fattori Va e VIIIa accelerano notevolmente l’azione rispettivamente dei fattori Xa e IXa. Il complesso formato dal fattore Va e dal fattore Xa (protrombinasi) ed il complesso formato dal fattore VIIIa e dal fattore IXa (tinasi intrinseca) vanno a legarsi sulle superfici lipidiche extracellulari cariche negativamente, come quelle presenti sulle membrane piastriniche attivate. La

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13 trombina, inoltre, attiva anche le piastrine ed il fattore XI; quest’ultimo fattore, quindi, fornisce un percorso aggiuntivo per l’attivazione del fattore IX.

Tuttavia, bisogna sottolineare che la carenza del fattore XII, protagonista principale della via intrinseca, non è associata clinicamente a sanguinamenti, per cui tale pathway probabilmente gioca un ruolo minore nell’ emostasi normale. (Panteleev M.A. 2015)

Cell-mediated hemostasis

Il paradigma della cascata coagulativa negli ultimi anni è stato parzialmente “abbandonato” in quanto, in vivo, la via estrinseca e quella intrinseca non sembrano operare esattamente come descritto da questo modello. Ad esempio, nel modello suddetto a cascata la via estrinseca e la via intrinseca sembra che abbiano un effetto ridondante, determinando entrambe l’attivazione del fattore X. Tuttavia, i pazienti con un deficit di FVIII o FIX (emofilia A o B) hanno un rischio elevato di sanguinamento grave, nonostante abbiano la via intrinseca perfettamente funzionante. Ciò evidenzia come i due pathway in realtà, quindi, non siano ridondanti.

Attualmente per l’emostasi si ritiene che il paradigma principale sia quello dell’emostasi

cellulo-mediata, nel quale le cellule giocano un ruolo principale nella regolazione e

nella localizzazione delle reazioni coagulative. L’insieme dei recettori e delle altre molecole presenti sulla superficie cellulare definiscono il ruolo che ogni tipo di cellula gioca nell’emostasi. Molte cellule partecipano ai processi di emostasi e trombosi, ma i due tipi principali sono le piastrine e le cellule endoteliali.

La generazione circoscritta di trombina è fondamentale per prevenire la diffusione del processo di coagulazione in siti dove questa potrebbe arrecare danni. Le piastrine, infatti, non solo offrono la superficie sulla quale avvengono i processi procoagulanti ma controllano anche la quantità e la localizzazione della produzione di trombina grazie all’adesione specifica ai siti di danno.

Secondo questo modello la fase di iniziazione della coagulazione si verifica sulle cellule che esprimono il TF sulla loro superficie, come i fibroblasti. Se lo stimolo procoagulante è sufficientemente forte, vengono formati sufficienti quantità di FXa, FIXa e trombina per iniziare il processo coagulativo.

Successivamente, il FXa formato sulle cellule che espongono il TF interagisce con il suo cofattore FVa per formare il complesso protrombinasi e generare una piccola quantità di trombina. La piccola quantità di FVa, necessaria per il legame della

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14 protrombinasi sulle cellule leganti il TF, può essere prodotta dal FXa o da proteasi non coagulative prodotte dalle cellule. Tuttavia, la trombina generata durante l’inizio della coagulazione in vivo è principalmente determinata dal rilascio di FVa da parte delle piastrine che aderiscono al sito danneggiato (fase di amplificazione). Le piastrine rilasciano un tipo diverso di FV che deve essere captato dal plasma e processato per renderlo attivo come pro-coagulante e resistente all’inattivazione da parte della proteina C.

I fattori Xa e IXa, formati sulle cellule presentanti il TF, hanno funzioni distinte nella coagulazione. L’attività del FXa, formato dal complesso FVIIa/TF, è correlata al legame con le cellule presentanti il TF, infatti quando il FXa si dissocia dalla superficie cellulare è rapidamente inibito dal tissue factor pathway inhibitor (TFPI) o dall’antitrombina (AT). Invece, il FIXa anche quando non è legato a queste cellule non è inibito dal TFPI ed è inattivato molto più lentamente dalla AT. (Eduardo G. 2016) Infine, vi è la fase di propagazione, durante la quale il complesso “tenasi” ed il complesso “protrombinasi” sono assemblati sulla superficie piastrinica e si ha la produzione di una grande quantità di trombina. Le piastrine esprimono siti con elevata affinità per il FIXa FXa e FXIa. Si ritiene che questi recettori giochino un ruolo importante nel coordinato assemblaggio dei complessi procoagulanti. Il complesso tenasi (FVIIa/FIXa) viene assemblato quando il FIXa raggiunge la superficie piastrinica. Il FIXa diffonde, verso la superficie piastrinica, dalla sua sede di attivazione sulle cellule che esprimono il TF, dato che non viene rapidamente inattivato dall’antitrombina III (ATIII) o da altre proteine inibitrici del plasma. Inoltre, il FXI può legarsi alle piastrine attivate facilitando così la sua attivazione da parte della trombina. Il FXIa può fornire ulteriore FIXa direttamente sulla superficie delle piastrine. Il complesso FIXa/FVIIIa attiva il FX sulla superficie piastrinica dove, il FXa risultante, può legarsi direttamente in un complesso con il FVa. Il complesso FVa/FXa, presente sulla superficie piastrinica, può determinare l’aumento di produzione di trombina necessario alla formazione del coagulo definitivo. (Hoffman M. 2007)

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Figura 2. Cell-based model of hemostasis. Reproduced from Hoffman M, Monroe III DM. A cell-based model of hemostasis. Thromb Haemost 2001;85:958–65.

Come precedentemente accennato, anche le piastrine nel paradigma “cell-mediated hemostasis” giocano un ruolo principale. Infatti, il legame delle piastrine nel sito di danno determina una parziale attivazione delle stesse. Ciò è probabilmente determinato dal loro legame con il collagene a livello della matrice extracellulare. L’attivazione delle piastrine porta al loro rilascio di adenosina difosfato (ADP) che potenzia ulteriormente l’attivazione piastrinica. Anche la trombina è un potente attivatore piastrinico sia attraverso la glicoproteina Ib (GPIb) che tramite il recettore attivante la proteasi 1 (PAR-1). Anche PAR-4 contribuisce all’attivazione delle piastrine mediata dalla trombina.

Il contemporaneo legame dei recettori piastrinici sia al collagene che alla trombina determina una notevole amplificazione della loro attività procoagulante; le successive piastrine che si depositano, non essendo più a contatto con la matrice del collageno, subiscono una minore amplificazione della loro attivazione. Tutto ciò smorza il processo coagulativo delimitandolo alla sola area danneggiata.

Le piastrine attivate offrono una superficie per l’attivazione dei fattori della coagulazione V, VIII e XI da parte della trombina (FIIa). La GPIb, inoltre, funge da impalcatura per il legame FVII-vWF e FXI e facilita la loro attivazione da parte della trombina. L’attivazione del FXI da parte della trombina spiega come mai il FXII non è fondamentale per l’emostasi. Tuttavia la piccola quantità di trombina prodotta durante la

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16 fase di iniziazione non è sufficiente a coagulare il fibrinogeno, ma è sufficiente per innescare il processo coagulativo che in ultima analisi determina la piena attivazione piastrinica, l’attivazione del FV, l’attivazione del FVIII e la sua dissociazione dal vWF e l’attivazione del FXI. (Eduardo G. 2016)

Meccanismi di regolazione della coagulazione

La regolazione della coagulazione è esercitata in ogni suo livello; essa è effettuata tramite l’inibizione enzimatica o tramite la modulazione dell’attività dei cofattori. In particolare, il tissue factor pathway inhibitor (TFPI) inibisce la reazione che coinvolge il TF e il FVIIa. Questo inibitore, nel plasma, circola legato soprattutto alle LDL mentre a livello delle cellule endoteliali è legato all’eparansolfato. La mancanza di TFPI potrebbe non essere compatibile con la vita, in quanto nessuno stato di deficienza è stato mai descritto nell’uomo.

La maggior parte degli enzimi generati durante l’attivazione della cascata coagulativa sono inibiti da una serin-proteasi chiamata AT, precedentemente denominata AT III. L’AT inibisce preferenzialmente gli enzimi liberi, considerato che gli enzimi che fanno parte del complesso tenasi o del complesso protrombinasi sono meno accessibili per l’inibizione.

Il ruolo fisiologico dell’AT è quello di limitare il processo della coagulazione al sito di lesione endoteliale e di proteggere gli altri distretti dagli enzimi coagulativi attivati. L’AT da solo non sarebbe sufficiente come inibitore di serinproteasi ma l’eparina e le molecole simili all’eparina, che sono presenti sulla superficie delle cellule endoteliali, stimolano la sua attività. Questo meccanismo è la base molecolare della terapia anticoagulante con eparina. (Dahlback B. 2000)

Un’altra proteina plasmatica importante nella regolazione della coagulazione è la proteina C. Questo fattore, vitamina K-dipendente, inattiva sia il FVa che il FVIIIa tramite una proteolisi, in presenza di fosfolipidi, tale reazione è stimolata dalla proteina S. La proteina C circola anche nel sangue sotto forma di precursore o zimogeno ed è convertita a serin-proteasi attiva tramite la trombina in presenza di un cofattore legato alla membrana chiamato trombomodulina. (van Geffen M. 2012)

L’attivazione della proteina C è dovuta al clivaggio di un singolo peptide legato nella parte amino-terminale della catena pesante della proteina vitamina K dipendente; questo

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17 processo determina il rilascio di un piccolo peptide di attivazione e la generazione di serin proteasi.

La trombomodulina è una glicoproteina a singola catena localizzata sulla superficie delle cellule endoteliali. La trombomodulina forma un complesso con la trombina, ciò permette a quest’ultima di attivare la proteina C e di perdere la sua capacità di attivare le piastrine, il fibrinogeno o il FV. In questo modo, quindi la trombina perde la sua attività pro-coagulante ed acquista caratteristiche anticoagulanti. (Davie EW. 1991)

Il sistema fibrinolitico

Nel sangue è presente un sistema enzimatico chiamato sistema fibrinolitico, la cui principale funzione è la dissoluzione del coagulo di fibrina formatosi nel sistema vascolare. La fibrina che si forma in un vaso leso ha infatti il compito di arrestare temporaneamente la perdita di sangue, essa viene quindi successivamente rimodellata ed infine completamente rimossa per ristabilire il normale flusso ematico.

Il sistema fibrinolitico comprende un proenzima, il plasminogeno, che viene convertito nella sua forma attiva, che è la plasmina, ad opera di diversi attivatori del plasminogeno (PAs). La plasmina, quindi, può a sua volta degradare il fibrinogeno, la fibrina solubile e la fibrina stabilizzata da parte del FXIIIa, formando prodotti di degradazione caratteristici per ogni forma di fibrina.

Il plasminogeno è una glicoproteina a catena singola prodotta nel fegato, nel rene e negli eosinofili midollari. Questo è un proenzima costituito da una sola catena, solo dopo la sua conversione alla forma a doppia catena diviene un enzima attivo.

Due attivatori del plasminogeno sono stati identificati, la loro denominazione deriva dalla loro relazione immunologica al momento della loro scoperta: il PA trovato nei tessuti è stato denominato attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA) mentre quello trovato nelle urine è stato denominato attivatore del plasminogeno urochinasico o urochinasi (u-PA).

Il t-PA è una proteasi serinica presente in circolo in forma a singola o a doppia catena, a seguito dell’azione enzimatica operata dalla plasmina. L’interazione del t-PA e del plasminogeno con la fibrina stimola la generazione di plasmina che effettua il clivaggio della fibrina insolubile a prodotti di degradazione della fibrina solubili.

L’inibizione della fibrinolisi avviene sia a livello degli attivatori del plasminogeno (PAIs) che a livello della plasmina, prevalentemente tramite l’alfa2antiplasmina.

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18 La fibrinolisi fisiologica è altamente fibrina-specifica, come risultato di una specifica interazione molecolare tra il PA, il plasminogeno, la fibrina, la plasmina e l’alfa2antiplasmina. (Collen D. 1991)

Il sistema fibrinolitico può essere innescato, oltre che dal t-PA e dall’u-PA, anche da attivatori estrinseci in cui la reazione chiave risulta essere la conversione della precallicreina a callicreina da parte del FXIIIa, convertendo così l’urochinasi a singola catena nella forma a doppia catena, che risulta più attiva nella fibrinolisi, ma anche da attivatori esogeni o terapeutici, tra i quali i principali utilizzati nella pratica clinica sono la streptochinasi e l’urochinasi.

Anche la formazione della fibrina porta all’attivazione del sistema fibrinolitico e dalla generazione della plasmina. Infatti, la fibrina non è un substrato passivo nella fibrinolisi, essa svolge un ruolo attivo nell’ attivazione del plasminogeno, mediata dal t-PA, e nella successiva inibizione della plasmina da parte dell’alfa2antiplasmina. La presenza della

fibrina aumenta la lenta attivazione del plasminogeno, data dal t-PA, di circa tre volte e protegge la plasmina dall’inibizione operata dagli specifici inibitori; il fibrinogeno non presenta queste caratteristiche. L’effetto stimolatore della fibrina sull’attivazione del plasminogeno può essere diviso in due fasi. La prima fase coincide con la formazione della fibrina e l’esposizione dei siti di legame nascosti sia del plasminogeno che del t-PA che danno inizio alla fibrinolisi. La seconda fase è correlata con l’iniziale degradazione della fibrina polimerica da parte della plasmina e con la generazione (nei polimeri di plasmina modificati) di un addizionale sito di legame del plasminogeno che contribuisce alla propagazione della fibrinolisi.

Tutto cioè fisiologicamente rilevante, in quanto questo fenomeno restringe la formazione della fibrina, e quindi la generazione dell’attività fibrinolitica, alla zona dove è richiesta ovvero dove è presente il coagulo di sangue.

L’iniziale clivaggio della fibrina avviene a livello del dominio alfa-C, seguito da multipli clivaggi tra la regione D e la regione E. Questo porta alla formazione di prodotti di degradazione della fibrina (FDP) di differenti dimensioni che comprendono conglomerati molecolari di grandi e piccole dimensioni. Si arriva così alla dissoluzione del trombo ed al ripristino del lume vasale. (Medved L. 2003)

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Coagulazione del neonato

Il termine "developmental hemostasis" è stato introdotto per la prima volta da Maureen Andrews negli anni '80 per descrivere i fisiologici cambiamenti del sistema della coagulazione correlati all’età, tale sistema ha diversi gradi di maturazione che aumentano progressivamente dal periodo fetale, neonatale e pediatrico sino ad arrivare al sistema coagulativo maturo dell’età adulta. (Ignjatovic V. 2011)

Il fegato è il sito primario di sintesi della maggior parte dei fattori della coagulazione e delle proteine coinvolte nel processo fibrinolitico. L'immaturità del fegato fetale è la causa dei bassi livelli delle proteine della coagulazione nel neonato. (Cade JF. 1969) Nel neonato, infatti, le concentrazioni plasmatiche dei fattori della coagulazione vitamina-K dipendenti (II, VII, IX, X) ed i fattori del sistema di contatto (XI, XII, precallikreina e chininogeno ad alto peso molecolare) sono di circa il 50% inferiori rispetto al valore degli adulti, raggiungono i valori dell’adulto a circa 6 mesi di età.

(Reverdiau-Moalic P. 1996) Inoltre, anche la capacità dei neonati di generare trombina

è ridotta.

Tuttavia, il FVIII, prodotto dalle cellule endoteliali epatiche, il VWF, prodotto dalle cellule endoteliali e dalle piastrine, il TFPI e la trombomodulina, entrambi prodotti dalle cellule endoteliali, non sono influenzati dall'immaturità epatica, infatti, i loro livelli circolanti alla nascita sono gli stessi degli adulti. Altre proteine della coagulazione che alla nascita hanno gli stessi livelli di quelli dell’adulto sono il FV, il fibrinogeno ed il FXIII. (Monagle P 2011)

La carenza fisiologica dei fattori della coagulazione del neonato è, però, compensata dagli effetti protettivi derivanti dalla fisiologica carenza degli inibitori della coagulazione in questi soggetti. Infatti, il tempo di sanguinamento è più breve nei neonati sani rispetto agli adulti, probabilmente a causa dell'ematocrito elevato e della presenza di un numero elevato di precursori dei globuli rossi, nonché delle concentrazioni aumentate e di una maggiore funzione del vWF. (Del Vecchio A. 2008) Il numero di piastrine nei neonati è sovrapponibile a quello dell’età adulta, tuttavia, le piastrine del neonato sono iporeattive ma la loro funzione aumenta consensualmente all’aumentare dell’età gestazionale alla nascita. (Levy-Shraga Y 2006)

Per quanto concerne l’attività anticoagulante nel neonato, invece, i livelli di Proteina C, Proteina S e AT sono bassi al momento della nascita e raggiungono, poi, i valori dell’adulto tra i 3 e i 6 mesi di vita. La bassa attività di AT è particolarmente

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20 responsabile della relativa resistenza terapeutica dei neonati all’eparina. I livelli più alti di α2-macroglobulina, un importante inibitore della trombina nei neonati, in parte compensala bassa attività dell’AT. (Monagle P. 2011; Cvirn G. 2003)

Il fibrinogeno fetale ha qualità diverse rispetto al fibrinogeno dell’adulto. La forma fetale del fibrinogeno può essere "disfunzionale", ciò si manifesta con un tempo prolungato di trombina nelle analisi convenzionali di laboratorio, tuttavia le sue caratteristiche strutturali possono portare ad una più facile polimerizzazione della fibrina.

In generale, la capacità fibrinolitica del neonato può essere considerata danneggiata e non ancora completamente funzionante. Infatti, nel neonato vi sono bassi livelli di plasminogeno (tra il 50% e il 70% di quello dell’adulto), bassa attività del tPA, ed elevata inibizione della fibrinolisi da parte dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno, insieme alla minore generazione di plasmina. (Monagle P. 2011)

Il d-Dimero è un prodotto della degradazione della fibrina reticolata determinata dal FXIII. I neonati al momento della nascita hanno elevati livelli di D-dimero che persistono per almeno tre giorni dopo la nascita, ciò riflette l'attivazione del sistema della coagulazione alla nascita e la ritardata degradazione dei prodotti di degradazione della fibrina da parte del fegato immaturo. (Monagle P. 2006)

Tuttavia, il problema della fibrinolisi neonatale rimane controverso, poiché alcuni autori sostengono che l'attività fibrinolitica neonatale è intatta. Ciò è supportato dall’evidenza che i livelli molto bassi dell’inibitore fisiologico del plasminogeno e la ritardata inattivazione della plasmina neonatale compensano parzialmente la riduzione della plasmina. Essi sostengono che nel complesso, vi è un sistema emostatico delicato ma equilibrato nel neonato sano. (Saxonhouse MA. 2009)

Figura 3 Changes in coagulation factors of neonates compared with adults. Neonatal hemostatic disorders. Hanmod et al.

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21 La carenza delle proteine anticoagulanti nei neonati possono predisporre ad un più alto rischio di trombosi. La tendenza alla trombosi è più elevata nei neonati affetti da sepsi, con infiammazioni in atto o con ipossia, inoltre, tali soggetti sono maggiormente sottoposti a procedure invasive come il posizionamento di catetere in vasi di piccolo calibro. I disturbi trombotici nei neonati possono essere classificati in disturbi acquisiti e ereditari. Va notato che non ci sono ancora chiare raccomandazioni in materia di valutazione e gestione della trombofilia nei neonati. (Stevens SM. 2016; Klaassen IL.

2015)

Tutti i neonati sono a rischio di infezione, soprattutto quando vi è una prolungata rottura delle membrane, un’infezione materna a livello del canale vaginale, anomalie congenite, interventi chirurgici o aumentato rischio di infezioni nosocomiali in pazienti ricoverati in terapia intensiva. Mentre è generalmente facile riconoscere i bambini settici, sono necessari esperienza e abilità clinica per identificare i neonati con una sepsi precoce prima che gli indici flogosi laboratoristici siano divenuti diagnostici. Una volta che vi è in atto uno shock settico o una sindrome da disfunzione multiorgano (MODS), il tasso di incidenza di mortalità è molto elevato. (Saez-Llorens X. 1993)

Le alterazioni nell'endotelio vascolare sono considerate d’importanza fondamentale nella fisiopatologia della sepsi e della coagulazione intravascolare disseminata (CID), la quale determina una imponente generazione e deposizione di trombina nella microvascolarizzazione. (Levin M. 1990)

L'insufficienza emostatica, presente nel corso di una CID, si verifica a seguito di un’ampia attivazione piastrinica e del consumo dei fattori della coagulazione. In particolare, nella sepsi, vi è uno spostamento del delicato equilibrio tra fattori protrombotici e fattori antitrombotici verso l’ipercoagulabilità, che successivamente si trasforma in uno stato di ipocoagulabilità. (Bone RC.1992)

L'alterazione della cascata emostatica attiva anche altri sistemi cellulari e umorali, come ad esempio il complemento ed il sistema callicreina-bradicnina. Il rapporto tra lo squilibrio emostatico e la risposta infiammatoria è importante nella patogenesi delle coagulopatie in corso infezioni gravi. Infatti, i fattori della coagulazione e le anomalie nel numero di piastrine sono indicatori utili della gravità dell’infezione e il deterioramento di questi indici è associato ad una prognosi peggiore. (Gedde-Dahl TW.

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Metodiche standard di analisi della coagulazione

La varietà e la complessità delle alterazioni emostatiche, la sovrapponibilità clinica di quadri notevolmente diversi sotto il profilo patogenetico, rende l’ausilio degli esami di laboratorio praticamente indispensabile per la diagnosi di questo tipo di affezioni ed estremamente utile per la diagnosi preclinica di alcune alterazioni del processo emocoagulativo provocate da particolari trattamenti farmacologici o interventi chirurgici o malattie primitivamente non emorragiche.

I parametri coagulativi, cui si fa attualmente riferimento nella pratica clinica e laboratoristica, valutano essenzialmente la tendenza al sanguinamento e sono rappresentati da:

v Tempo di protrombina (PT) o tempo di Quick.

Misura il tempo, espresso in secondi, necessario alla formazione del coagulo di fibrina quando al plasma del paziente (raccolto con anticoagulante citrato di sodio) si aggiungono tromboplastina tissutale e ioni calcio. In questo modo si va a stimolare la formazione del complesso tra il fattore VII del plasma in esame ed il TF aggiunto, in presenza di ioni calcio, che attiverà direttamente il fattore X. È un test di screening per valutare l’integrità della via estrinseca (fattore VII) e della via comune (fattori X, V e II) della coagulazione. Bisogna tenere presente, però, che si tratta di un test poco sensibile ai deficit lievi (20-30% dei tassi normali), in particolare del fattore II (protrombina), mentre è significativamente prolungato per riduzioni pari o maggiori al 50% dei fattori VII, V e X; è un indicatore, inoltre, della sintesi epatica ed è utilizzato per controllare l'effetto della terapia anticoagulante orale (TAO) con dicumarolici (acenocumarolo e warfarina) e fenilidantoinici.

Un allungamento del PT con un aPTT normale indica un deficit del solo fattore VII, in quanto questo è l’unico fattore non significativamente influenzato dalla via comune. Oltre che in secondi, il tempo di protrombina puo' essere espresso come attività percentuale (rispetto a un pool di plasmi normali, a cui viene assegnata una attività convenzionale del 100%); nel soggetto normale l'attività protrombinica può andare dall’80 al 130%, oppure, preferibilmente, può essere espresso come INR, rapporto normalizzato internazionale (rapporto di protrombina), formalmente definito come segue:

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INR = (PT

paziente

/ PT

media dei controlli

)

ISI

il cui valore normale è compreso tra 0,87 ed 1,12.

v Tempo di tromboplastina parziale:

Il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT, talora abbreviato anche in PTT) esprime una misura della funzionalità delle vie intrinseca e comune della cascata coagulativa. Esprime il tempo necessario affinché nel plasma citrato si formi un coagulo di fibrina dopo aggiunta di calcio e di un reagente fosfolipidico (in genere, cefalina-caolino; tali sostanze servono ad eliminare la variabilità dovuta al conteggio delle piastrine e ai fattori di superficie).

Le condizioni cliniche caratterizzate da un prolungamento di aPTT sono rappresentate da: terapia eparinica, ipofibrinogenemia e disfibrogenemie in generale, deficit di sintesi dei fattori della via intrinseca della coagulazione (emofilia A: fattore VIII; emofilia B: fattore X; malattia di Von Willebrand: fattore VII), malattie autoimmuni, quali LES, artrite reumatoide, panarterite nodosa; amiloidosi, sindrome nefrosica, deficit di vitamina K.

Può essere espresso anche come indice di PTT dividendo il valore del PTT del plasma in esame per il PTT del plasma di riferimento normale.

vFibrinogeno:

È conosciuto anche come fattore I della coagulazione; si tratta di una glicoproteina sintetizzata a livello epatico e del tessuto endoteliale, ricca di acido sialico, con peso molecolare di circa 340 kD, composta da tre coppie distinte di catene (Aα, Bβ e γ) con peso molecolare rispettivamente di 63, 56 e 47 kD, unite da legami disolfuro a formare una grossa molecola a struttura simmetrica. Il dosaggio viene eseguito aggiungendo una soluzione di trombina al campione di plasma citrato da esaminare. Va valutato il tempo di comparsa del primo filamento di fibrina e da questo siamo in grado di risalire direttamente alla concentrazione di fibrinogeno nel campione mediante una curva di concentrazione, preparata eseguendo il test su una serie di diluizioni di un campione a contenuto noto di fibrinogeno. Il test non è influenzato dall’eparina, ma può esserlo da

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24 sostanze che interferiscono con la polimerizzazione del fibrinogeno, quali i fattori di degradazione del fibrinogeno e della fibrina.

I prodotti di degradazione del fibrinogeno (FDP) derivano dal catabolismo del fibrinogeno mediato dalla plasmina e competono col fibrinogeno stesso per il legame con la trombina, interferendo in questo modo con l’attività della trombina stessa. I livelli di fibrinogeno riflettono la capacità e l’attività emostatica dell’organismo. Livelli ridotti di fibrinogeno possono ridurre la capacità di formare un coagulo stabile. La persistente presenza di livelli ridotti di fibrinogeno può essere imputabile ad un deficit di produzione ereditario, come nella afibrinogenemia ereditaria, oppure a condizioni acquisite come l’insufficienza epatica o la malnutrizione (ipofibrinogenemia). La riduzione acuta del fibrinogeno è spesso dovuta ad un aumentato consumo, come accade nella CID e, più raramente, nel corso di alcune neoplasie in fase avanzata.

Pur in presenza di anomalie qualitative del fibrinogeno è talora possibile ottenere con alcuni metodi di laboratorio valori normali, i quali solitamente riflettono una normale coagulazione. Si tratta di una condizione molto rara, caratterizzata dalla produzione di molecole anomale di fibrinogeno (disfibrinogenemia). Ciò è generalmente dovuto ad un rara mutazione ereditaria a carico del gene del fibrinogeno, che determina la produzione di una proteina anomala. Il fibrinogeno, inoltre, è una proteina della fase acuta: ciò significa che la sua concentrazione può aumentare sensibilmente in condizioni di flogosi o danno tissutale. Concentrazioni elevate di fibrinogeno non sono un riscontro specifico, non forniscono informazioni relative alla causa o alla localizzazione della patologia. Generalmente questi incrementi sono temporanei e ritornano ai livelli di base dopo che la patologia si è risolta.

Livelli elevati possono essere riscontrati in corso di: infezioni acute, neoplasie in generale, patologie cardiovascolari ed infarto del miocardio, CID cronica (in questo caso il fibrinogeno può essere richiesto come monitoraggio dell’andamento della CID), malattie infiammatorie (come l’artrite reumatoide e le glomerulonefriti), ictus, traumi, in particolare chirurgici, ustioni.

vConta piastrinica:

Le piastrine (trombociti) sono frammenti di cellule che si trovano nel midollo emopoietico (megacariociti) che circolano nel sangue. Data la loro caratteristica di

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25 essere particolarmente adesive, esse sono da considerarsi i primi componenti ad essere attivati quando ci si trova dinanzi ad un insulto ai vasi sanguigni e sono le responsabili dell’avvio alla formazione del coagulo. La conta piastrinica è un test atto a stabilire il numero di piastrine del sangue e a valutare quindi la componente cellulare dell’emostasi.

Nell'adulto come nel neonato, una normale conta piastrinica è di circa 150.000-400.000 piastrine per microlitro (10-6/Litro) di sangue. Se la conta piastrinica scende molto al di sotto della soglia di normalità, si possono avere emorragie spontanee e si può considerare una situazione di pericolo per la vita. Comunemente (circa 1% della popolazione), la facilità a presentare ematomi o emorragie può essere dovuta ad una malattia ereditaria detta di von Willebrand. In questi casi, mentre il numero di piastrine si può presentare normale, la loro capacità di aderire l’una all’altra risulta essere inferiore alla norma data la riduzione del fattore di von Willebrand, una proteina necessaria ad iniziare il processo coagulativo. In una grande parte di casi questa malattia può essere misconosciuta vista la modesta gravita della patologia ma nelle forme severe, questa può avere effetti letali. Un incremento del numero di piastrine (trombocitosi) si presenta in pazienti che non mostrano significativi sintomi, in altri casi i sintomi possono essere più rilevanti ed essere legati ad una patologia detta disordine mieloproliferativo (anormale proliferazione di cellule del sangue). Alcuni possono presentare una tendenza alle emorragie dovuta alla perdita di adesività delle piastrine, in altri, le piastrine conservano la loro adesività ma poiché sono aumentate in numero, tendono ad aderire l’una all’altra formando un aggregato che aderisce all’interno del vaso sanguigno e causa un danno, inclusa la morte (tromboembolia).

Attualmente le linee guida della Società Italiana di Neonatologia raccomandano per le trasfusioni di piastrine:

• PTL < 30.000/mm3: considerare la trasfusione in ogni caso

• PTL 30.000-49.000/mm3: considerare la trasfusione solo nei seguenti casi: ü Neonato con peso alla nascita <1000g nella prima settimana di vita; ü Pregressa IVH 3°, intraparenchimale (nelle precedenti 48-72 ore); ü Coagulopatia concomitante

ü Neonato critico, con sepsi o pressione arteriosa fluttuante; ü In corso di procedura invasiva

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26 • Non trasfondere per valori di PTL >100.000/mm3

vD-dimero:

I frammenti originati dalla lisi del coagulo sono denominati frammenti di degradazione della fibrina (FDP). Uno dei frammenti di degradazione prodotti dalla lisi della fibrina stabilizzata è il D-dimero, che consta di una serie di molecole di fibrina contenenti due unità D legate trasversalmente. La concentrazione del D-dimero nel sangue è solitamente molto bassa nei soggetti sani, (<0,3mg/dl) poiché esso è prodotto solitamente a seguito della lisi di un trombo preformato. Un aumento della concentrazione del D-dimero riflette pertanto una situazione di eccessiva attività del sistema coagulativo. La misurazione del D-dimero è prescritta quale ausilio diagnostico o per il monitoraggio di condizioni o patologie di ipercoagulabilità, condizioni caratterizzate da anomala o eccessiva tendenza del sangue a formare coaguli (trombi). La misurazione del D-dimero può essere richiesta, assieme ad altri esami, quale ausilio diagnostico nel sospetto di CID. La misurazione del D-dimero può essere d’ausilio anche nel valutare la progressione della CID e l’efficacia della terapia. Attualmente vi sono pochi dati sui valori normali di D-dimero nei neonati.

Tenendo conto del continuo sviluppo del sistema emostatico nel neonato pretermine e a termine, attualmente per tale popolazione esistono dei valori di riferimento, per alcuni test della coagulazione, in base all’età gestazionale, suddividendo tali soggetti in late preterm (30-36 settimane di EG) e in neonati a termine, e in base alla giornata di vita. I valori di riferimento sono riportati nelle tabelle di seguito.

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Figura 4. Reference values for coagulation tests in healthy moderate and late preterm neonates (30 to 36 weeks of gestation) during first 6 months of life. Andrew M at al. Blood 1988, modified.

Post-Natal Age PT(s) APTT(s) Fibrinogeno (g/L) AT-III (U/mL) Protein C (U/mL) Protein S (U/mL) Day 1 13 (11.57-14.43) 42.9 (37.1-48.7) 2.83 (2.25-3.41) 0.63 (0.51-0.75) 0.35 (0.26-0.44) 0.36 (0.24-0.48) Day 5 12.4 (10.94-13.86) 42.6 (33.98-51.22) 3.12 (2.37-3.87) 0.67 (0.54-0.8) 0.42 (0.31-0.53) 0.50 (0.36-0.64) Day 30 11.8 (10.55-13.05) 40.4 (32.98-47.82) 2.70 (2.16-3.24) 0.78 (0.63-0.93) 0.43 (0.32-0.54) 0.63 (0.48-0.78) Day 90 11.9 (10.75-13.05) 37.1 (30.58-43.62) 2.43 (1.75-3.11) 0.97 (0.85-1.09) 0.54 (0.41-0.67) 0.86 (0.70-1.02) Day 180 12.3 (11.51-13.09) 35.5 (31.79-39.21) 2.51 (1.83-3.19) 1.04 (0.94-1.14) 0.59 (0.48-0.70) 0.87 (0.71-1.03)

Figura 5 Reference values for coagulation tests in healthy full-term infant during first 6 months of life. Andrew M at al. Blood 1988, modified.

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Tromboelastogramma

La tromboelastografia (TEG) è una metodica di indagine della coagulazione, che è stata messa a punto per la prima volta da Hartet, ad Heidelberg durante la seconda guerra mondiale (nel 1948). Questa metodica misura i cambiamenti viscoelastici del sangue, che avvengono durante la coagulazione. (Hunt BJ. 2005)

La tromboelastografia fornisce la possibilità di valutare l’inizio del processo coagulativo, la formazione e la stabilizzazione del coagulo e la forza del coagulo stesso. È un test della coagulazione eseguibile vicino al letto del paziente, è facile da usare e fornisce informazioni sullo stato della coagulazione del paziente in 30 minuti. (Salooja

N. 2001)

La formazione del coagulo è un processo dinamico. I test usati convenzionalmente, come il tempo di tromboplastina parziale attivata e la conta piastrinica, valutano componenti isolati del processo emostatico e non sono in grado di predire il ruolo di questi componenti nell’intero processo coagulativo. Il vantaggio del TEG è che valuta le interazioni tra tutti i componenti del processo coagulativo, incluse le piastrine, la fibrina, i fattori della coagulazione, la trombina, e fornisce informazioni riguardo alla qualità del coagulo. (Kaufmann CR. 1997)

A causa delle limitazioni tecnologiche, l’applicazione clinica della tromboelastografia è stata molto limitata per quasi 60 anni, fino a che a metà degli anni ‘80 non venne utilizzata dal Dr. Kang et al. per la valutazione e la gestione dell’assetto coagulativo nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato e in pazienti sottoposti a interventi di cardiochirurgia con by pass cardiopolmonare. Entrambi questi tipi di interventi sono infatti caratterizzati da una coagulopatia associata alla patologia di base ma anche iatrogenicamente indotta, che aggrava le perdite ematiche. Da quel momento in poi il TEG ha acquisito sempre maggiore rilevanza in diversi campi della medicina come nel campo dell’ostetricia, nella valutazione dell’assetto coagulativo del paziente politraumatizzato e nella gestione dei pazienti con coagulopatie critiche.

In questo senso il TEG consente un’analisi qualitativa e dinamica di quello che avviene nel processo coagulativo, dalla formazione del coagulo alla lisi, evidenziando le specifiche alterazioni di ogni singola fase dell’intero processo e guidando alla terapia in modo mirato. Con questa metodica è possibile discriminare anche se il sanguinamento è dovuto ad una mancata emostasi chirurgica, ad una disfunzione piastrinica, ad anomalie

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29 delle proteasi della coagulazione o dei loro inibitori, oppure è associato ad un’eccessiva precoce fibrinolisi.

I miglioramenti tecnologici hanno portato ad oggi alla standardizzazione del metodo e la riproducibilità del metodo è di conseguenza migliorata. La digitalizzazione della procedura, combinata con la possibilità della valutazione aletto del paziente dell’episodio di sanguinamento, ha causato un aumento dell’interesse e dell’uso di questa metodica. (Reikvam H. 2009)

Il termine tromboelastografia è stato usato per descrivere la traccia prodotta dalla misurazione dei cambiamenti viscoelastici del sangue associati alla polimerizzazione della fibrina. (Chitlur M. 2010)

I termini tromboelastografia, tromboelastografo e TEG, sono stati usati genericamente in letteratura fin dalla prima descrizione di tale tecnica.

Tuttavia il termine TEG, nel 1996, divenne un marchio registrato della Haemascope Corporation® e da quel momento venne usato per descrivere il test eseguito con la strumentazione di tale ditta produttrice.

Una strumentazione alternativa introdotta sul mercato dalla Pentapharm GmbH® usa il

termine tromboelastogramma per il processo di misurazione e ROTEM per indicare la strumentazione e il grafico risultante. (Luddington RJ. 2005)

L’analizzatore TEG® misura le proprietà fisiche del coagulo utilizzando uno speciale contenitore cilindrico fisso, definito cuvetta, che contiene sangue e viene fatto oscillare a un’angolazione 4°45’ ad una frequenza di 0.1 Hertz, quindi ogni ciclo di rotazione dura 10 secondi. Un ago viene sospeso nella cuvetta contenente il sangue tramite un filo di torsione; il suo movimento è sottoposto a monitoraggio. La torsione della cuvetta in rotazione viene trasmessa all’ago immerso soltanto dopo che il legame fibrina-piastrine ha inglobato l’ago e, quindi, collegato fra loro cuvetta ed ago. L’ago, quindi, inizia ad oscillare in maniera solidale con l’oscillazione della cuvetta. Al momento di massima solidità del coagulo corrisponde la maggiore oscillazione dell’ago, che diminuisce quando inizia il processo che porta alla lisi dello stesso. Difatti, la forza di questi legami fibrina-piastrine influenza l’ampiezza del movimento dell’ago, cosicché i coaguli forti spostano l’ago direttamente in fase con il movimento della cuvetta. In tal modo, l’ampiezza del risultato è direttamente collegata alla forza del coagulo formatosi. Man mano che il coagulo si ritrae o effettua la lisi, questi legami vengono spezzati e il trasferimento del movimento del contenitore diminuisce. Il movimento di rotazione

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30 dell’ago viene convertito da un trasduttore meccanico-elettrico in un segnale elettrico che può essere monitorato da un computer sotto forma di grafico.

Figura 6 Rappresentazione schematica del funzionamento del TEG e la curva con relativi valori dei principali parametri.

I campioni di sangue usati possono essere ottenuti da cateteri centrali o accessi arteriosi, oppure tramite un prelievo di sangue arterioso o venoso. La siringa con cui viene eseguito il prelievo deve essere non eparinizzata. Il test viene effettuato mettendo 0.36cc di sangue, usando un’apposita pipetta, nella cuvetta cilindrica. Prima di iniziare il test, il macchinario deve essere sincronizzato con la temperatura corporea del paziente in esame.

Il profilo di emostasi risultante costituisce una misura del tempo necessario per la formazione del primo filamento di fibrina, della cinetica della formazione del coagulo (in unità di elasticità di taglio di dyn/cm2) e della dissoluzione del coagulo.

L’analizzatore TEG® sottopone a monitoraggio l’elasticità di taglio, che è una proprietà fisica di un coagulo di sangue, ed è quindi sensibile a tutti i componenti cellulari e plasmatici interagenti nel sangue che influenzano la composizione o la struttura di un campione di coagulazione e la sua rottura.

Il profilo di coagulazione generale può essere interpretato in modo qualitativo o quantitativo in termini dello stato ipo-, normale o ipercoagulabile del campione e del grado di lisi. (Struttura e Principi dell'analizzatore TEG: Manuale d'uso TEG 5000.)

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31 I campioni di sangue nativo intero usati nel TEG® possono essere modificati con

aggiunta di reagenti al campione in vitro allo scopo di velocizzare il processo di attivazione della coagulazione, determinare se una possibile terapia possa essere efficace per una coagulopatia, per migliorare la velocita dell’analisi, oppure per invertire una condizione cinica (per es., eparinizzazione).

Queste tecniche prevedono l’aggiunta di reagenti al campione di sangue intero nativo: ü Attivatori (celite, caolino, fattore tissutale, trombina, DAPPTIN, ecc.)

ü Neutralizzatori dell’eparina (eparinasi, protamina)

ü Agenti di blocco delle piastrine (Reopro, Integrilin, Aggrastat, ecc.)

ü Farmaci antifibrinolitici (acido epsilon-amino-caproico, acido tranexamico, aprotinina)

I metodi TEG® attivati da celite o caolino vengono utilizzati per ridurre il tempo di esecuzione di un campione TEG® fino alla metà. Il caolino (silicato di alluminio idrato) attiva la via intrinseca della coagulazione tramite il fattore XII. In generale le misurazioni di base TEG® di cinetica, forza e stabilità del coagulo possono essere determinate usando un campione di sangue nativo intero. Questo metodo è il più sensibile nel monitorare le situazioni di ipercoagulazione o fibrinolitiche. L’eparinasi I, estratta dal flavobacterium heparinum, è un enzima che neutralizza in modo rapido e specifico le proprietà anticoagulanti dell’eparina; scinde l’eparina in piccoli frammenti inattivi senza influenzare la funzione di altri componenti del sangue coinvolti nella coagulazione. Una cuvetta con eparinasi riesce a neutralizzare circa 6 UI di eparina per ml di sangue.

Nel caso in cui il sangue intero raccolto venga immesso in una provetta citrata, (contenente citrato di sodio) il sangue nativo (0,34 µL) deve essere ricalcificato con 0,02 µL di CaCl2 (calcio cloruro) prima di essere immesso nella cuvetta e

successivamente analizzato.

Come precedentemente accennato, l’analisi del campione deve essere in relazione alla temperatura del paziente dal momento che questa è in grado di influenzare i processi coagulativi.

Il tracciato TEG può essere analizzato qualitativamente o quantitativamente. I profili vengono interpretati facilmente, senza misurazione, per determinare le condizioni di iper/ipo-coagulazione o coagulazione normale, e fibrinolisi. In ogni caso, utilizzandole misurazioni nonché gli intervalli e gli indici normali stabiliti, i profili possono essere quantificati in relazione al grado di anormalità.

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32

Figura 7 Manuali di medicina 2015. Tromboelastogramma Rotem-capitolo-2.10a3

Il TEG® 6s valuta contemporaneamente 4 canali: Caolino(CK), Caolino con eparinasi(CKH), RapidTEG (CRT), cioè un test che utilizza come acceleratori sia il

fattore tissutale che il caolino per l'attivazione contemporanea della via estrinseca ed intrinseca, ed infine il fibrinogeno funzionale (CFF), che fornisce informazioni sul contributo complessivo della fibrina alla resistenza del coagulo. La quantità di sangue necessaria per effettuare la valutazione contemporanea nei 4 canali è di 300 µL ed il sangue citrato non necessita dell’aggiunta di cloruro di calcio.

(33)

33

Parametri significativi del TEG

Graficamente il TEG® è caratterizzato da sei parametri principali:

1.

Il tempo di reazione R (r-time)

È il tempo che intercorre tra l’inizio del processo coagulativo e il momento in cui la curva raggiunge un’ampiezza di 2mm. Questo parametro ci indica la velocità di formazione della fibrina e il funzionamento della via intrinseca, specialmente l’attività del FXII FXI e FVIII.

Subisce un allungamento nel caso di deficit dei fattori della coagulazione e nell’uso di anticoagulanti come l’eparina ed il warfarin. Nel caso in cui risulti accorciato indica la presenza di uno stato di ipercoagulabilità senza però dare indicazioni circa l’origine di questa.

Se si analizza il sangue intero nativo il valore normale è compreso tra 9 e 27 minuti. In caso di utilizzo di caolino il normale valore è compreso tra 4 ed 8 minuti.

Figura 9 Parametro R del TEG

2.

Il tempo K o tempo di cinetica del coagulo (k-time)

è una misura della velocità necessaria per raggiungere un determinato livello di forza del coagulo. Graficamente è il tratto che va dal punto in cui si ha la formazione della

(34)

34 fibrina sino a quello in cui l’ampiezza del TEG raggiunge i 20mm; rappresenta la formazione del coagulo ed è strettamente connesso con la funzione piastrinica, i fattori plasmatici ed il fibrinogeno. Un valore di K aumentato indica un rallentamento nella formazione del coagulo, mentre un valore ridotto è un segno di ipercoagulabilità correlato a livelli di fibrinogeno aumentato e, in misura minore, alla funzione delle piastrine.

Se si analizza il sangue intero nativo il valore normale è compreso tra 2 e 9 minuti. In caso di utilizzo di caolino il normale valore è compreso tra 0 ed 4 minuti.

3. Alpha angle

(α-angle)

:

è definito come l’angolo che si delimita alla deflessione della curva dopo la determinazione di R. Esso misura la rapidità dell’accumulo e della polimerizzazione di fibrina (rafforzamento del coagulo) e rappresenta il livello di fibrinogeno. E’ un valore da riferire, analogamente a K, all’interazione della fibrina con le piastrine. Si misura in gradi angolari; diminuisce nell’ipocoagulabilità mentre aumenta in caso di ipercoagulabilità e rispetto a K è più facilmente determinabile nelle situazioni di ipocoagulabilità.

Se si analizza il sangue intero nativo il valore normale è compreso tra 22 e 58 deg. In caso di utilizzo di caolino il normale valore è compreso tra 47 e 74 deg.

(35)

35 4. MA-maximum amplitude (mm):

MA è il diametro maggiore del coagulo, è una misura della sua elasticità. È rappresentativo della forza del coagulo finale. Aumenta quando c’è un’elevata attività di piastrine, fibrinogeno e FXII. È una misura della forza del coagulo che è il risultato di due componenti: il modesto contributo di fibrina alla forza del coagulo e il contributo molto più significativo delle piastrine.

Se si analizza il sangue intero nativo il valore normale è compreso tra 44 e 64 mm. In caso di utilizzo di caolino il valore normale è compreso tra 54 e 72 mm.

Figura 11 Parametro M del TEG

5. CI, coagulation index:

è un valore numerico che può essere negativo o positivo e oscilla tra -3 e +3. Se inferiore, è suggestivo di ipocoagulabilità; mentre indica uno stato di ipercoagulabilità se il valore è maggiore del range. Fornisce quindi un giudizio globale di normo o ipo o iper coagulabilità.

6. CLI, clot lysis index (%):

la progressiva riduzione di ampiezza del tracciato indica la lisi del coagulo ad opera della plasmina. A livello dell’apparecchio il processo viene percepito come una diminuzione del numero di oscillazioni dell’ago il quale diventa meno solidale al coagulo. La riduzione di consistenza del coagulo viene espressa come percentuale di lisi a 30’ o a 60’ ossia come indice LY30 (v.n. 0-8) o LY60.

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