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La didattica della matematica: strumenti per capire e per intervenire.

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Academic year: 2021

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1 Tricase (Lecce), 3-4-5 marzo 2014, Convegno Nazionale

La didattica della matematica: strumenti per capire e per intervenire

.

Associazione Asfodelo, Tricase

in collaborazione con il Nucleo di Ricerca in Didattica dell’Università di Bologna

Auditorium del Liceo “G. Comi”

Programma Saluti delle autorità

Lunedì 03 marzo ore 08:30-09:00

Mercoledì 05 marzo ore 11:00-11:30 (con consegna degli attestati)

Conferenze

Lunedì 03 marzo 2014

09:00-10:00 Bruno D’Amore: La ricerca in didattica della matematica e la sua applicazione concreta in aula.

10:00-11:00 Martha Isabel Fandiño Pinilla: Che cosa si intende per apprendimento concettuale in matematica.

Martedì 04 marzo 2014

09:00-10:00 Giorgio Bolondi: Le valutazioni esterne in matematica (prove Invalsi, TIMSS, OCSE-Pisa): utilità, limiti, ricadute.

10:00-11:00 Annarita Monaco: Apprendimento matematico: la forza della didattica. Mercoledì 05 marzo 2014

09:00-10:00 Benedetto Di Paola: I libri di matematica che circolano nella scuola, italiana e non: ricadute nella pratica d’aula.

10:00-11:00 Rosetta Zan: La comprensione di un problema.

Seminari

lunedì 03 marzo, 11:15-13:00 e 15:00-18:00 martedì 04 marzo: 15:00-18:00

per la scuola dell’infanzia:

Bruno D’Amore: Insegnamento/Apprendimento significativo della matematica nella scuola

dell’infanzia.

Benedetto Di Paola: Gli insegnati si raccontano … Matematica in Sezione.

per la scuola primaria:

Martha Isabel Fandiño Pinilla: Diverse componenti dell’apprendimento della matematica. Annarita Monaco: Mondi matematici in aula: tra creazione, comunicazione e discussione.

per la scuola secondaria:

Giorgio Bolondi: Dalle Indicazioni Nazionali alla pratica d’aula. 1- Gli obiettivi e i

traguardi. 2- Le criticità degli apprendimenti. 3- La progettazione dei percorsi.

Rosetta Zan: Difficoltà in matematica; 1a puntata: Osservare; 2a: Interpretare; 3a: Intervenire.

Tavola rotonda

Martedì 04 marzo 2014, 11:15-13:00

Giorgio Bolondi, Bruno D’Amore, Benedetto Di Paola, Martha Isabel Fandiño Pinilla, Annarita Monaco, Rosetta Zan: La paura della matematica, la fobia antimatematica, il senso della matematica, … Come far pace con la matematica?

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La didattica della matematica:

strumenti per capire e per intervenire

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Editor:

Bruno D’Amore

Testi delle relazioni e dei seminari di:

Giorgio Bolondi, Bruno D’Amore, Benedetto Di Paola, Martha Isabel Fandiño Pinilla, Annarita Monaco, Rosetta Zan

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Indice

Prefazione

Bruno D’Amore

Conferenze

Giorgio Bolondi: Le valutazioni esterne in matematica (prove Invalsi, TIMSS, OCSE-Pisa): utilità, limiti, ricadute.

Bruno D’Amore: La ricerca in didattica della matematica e la sua applicazione concreta in aula. Benedetto Di Paola: I libri di matematica che circolano nella scuola, italiana e non: ricadute nella

pratica d’aula.

Martha Isabel Fandiño Pinilla: Che cosa si intende per apprendimento concettuale in matematica. Annarita Monaco: Apprendimento matematico: la forza della didattica.

Rosetta Zan: La comprensione di un problema.

Seminari

per la scuola dell’infanzia:

Bruno D’Amore: Insegnamento/Apprendimento significativo della matematica nella scuola dell’infanzia.

Benedetto Di Paola: Gli insegnanti si raccontano … Matematica in Sezione. per la scuola primaria:

Martha Isabel Fandiño Pinilla: Diverse componenti dell’apprendimento della matematica. Annarita Monaco: Mondi matematici in aula: tra creazione, comunicazione e discussione. per la scuola secondaria:

Giorgio Bolondi: Dalle Indicazioni Nazionali alla pratica d’aula. 1- Gli obiettivi e i traguardi. 2- Le criticità degli apprendimenti. 3- La progettazione dei percorsi.

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Bruno D’Amore

Prefazione

Una volta andai dal medico, il mio amico medico di famiglia, Paolo. Quando arrivai in ambulatorio non c’era la solita coda, ma solo poche persone, una delle quali mostrava una forte avversione per un foglio appeso sulla porta, foglio che conteneva un laconico messaggio che avvisava noi pazienti che quel giorno e il giorno dopo Paolo non avrebbe ricevuto, perché si trovava ad un convegno sul tema … Beh, il tema era specificamente medico e qui non importa ricordarlo. Certo, tornare a casa era una seccatura, ma feci notare a quel signore seccato che era meglio essere pazienti di un medico che, almeno una volta l’anno si informa e si forma, che non di uno che ritiene di sapere già tutto per sempre. Paolo, molto correttamente, a parte chiedere scusa per il disagio, dava un numero di telefono di un collega per casi di urgenza.

Ve l’immaginate un chirurgo che segua asportando l’ernia al disco come si faceva venti anni fa? O a rimuovere la cataratta come hanno fatto a mio padre alcuni decenni fa? O … E potrei continuare facendo mille esempi, nel campo della medicina, dell’edilizia, della legge, …

Perché chi opera in questi campi, medici, chirurghi, ingegneri edili, avvocati, … è considerato professionista, riverito da tutti, stimato anche solo per il mestiere che fa, non tanto per come lo fa.

Troppo acuto il mio lettore, per non aver già capito dove voglio andare a parare. E l’insegnante, è o non è un professionista? Non ha tra le mani uno dei compiti più sottili e complessi della nostra società, la formazione dei futuri cittadini? Formare menti ben fatte, far emergere le propensioni naturali, far amare la cultura in ogni sua espressione, sviluppare opportuno ed acuto senso critico, capacità dialogica e capacità di ascolto, dare senso alle competenze, … Se uno ci pensa, la responsabilità sociale ed etica del docente è infinitamente superiore a quella del chirurgo, dell’ingegnere, dell’avvocato e del politico.

Quel che ci differenzia dagli altri professionisti è la mancanza di una vocazione alla formazione critica continua, culturale, professionale? Non è mica tanto vero, basta vedere come si è formato questo evento di Tricase, una associazione culturale che decide di offrire un’opportunità di formazione in servizio agli insegnanti, che si concretizza con la proposta al sottoscritto di generare una significativa occasione, ed eccoci qua, ricercatori fra i più attivi della nostra bella lunga Penisola riuniti per dialogare con gli insegnanti che lo vogliono, offrendo loro riflessioni sulla didattica della matematica, la disciplina che è stata creata apposta, circa 40 anni fa, anche proprio per la formazione in servizio professionale degli insegnanti di matematica. M’è bastato chiamare a raccolta colleghi che stimo, ricercatori che dedicano la loro vita non solo alla ricerca, ma anche alla formazione dei docenti, e il gioco è fatto.

Non solo incontri a tu per tu, ma dialoghi permanenti, seminari specifici, una tavola rotonda e questo strumento, questa raccolta a stampa preconfezionata dei materiali che saranno oggetto di formazione e dibattito, cosa che non sempre e non tutti fanno, una sorta di libro che testimonia quel che l’evento vuol produrre, consapevolezza critica, domande da professionisti, un tassello di formazione che aspira a dare un impulso alla formazione continua.

Magari ci fossero mille occasioni così all’anno nella nostra bella, lunga e variegata Penisola … La realtà è che occorre una certa dose di coraggio, di fede, di lungimiranza a ideare questo tipo di attività. E questo la dice lunga sulla stima che ho provato, subito, incondizionata, al momento stesso nel quale sono stato invitato a creare questo corso – seminario – evento.

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Conferenze

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Giorgio Bolondi (NRD, Università di Bologna)

Le valutazioni esterne in matematica (prove Invalsi, TIMSS, OCSE-Pisa): utilità,

limiti, ricadute

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L’irrompere delle Prove Invalsi, a partire dalla prima Prova Nazionale nel giugno 2008, è stato sicuramente uno degli elementi di maggiore impatto sulla scuola italiana negli ultimi anni. Origine di continue discussioni che dal mondo degli insegnanti tracimano su studenti e famiglie, sono circondate da una leggenda nera che si coagula intorno a due slogan: test sugli studenti e graduatorie tra le scuole.

Nessuno di questi stereotipi corrisponde alla realtà, e chi ha guardato le prove lo sa bene. Le “domande a crocette” sono solo una parte dei quesiti di matematica, e comunque si può affermare -senza entrare in tecnicismi- che spesso una domanda a risposta chiusa, con i distruttori costruiti adeguatamente sulla base anche di pretest sul campo, è in grado di restituire informazioni che una domanda aperta non può dare. È vero anche che i Rapporti che ogni anno l’Invalsi pubblica, e i risultati che vengono restituiti alle singole scuole (e solo a loro!), contengono numeri che posizionano rispetto a benchmark di riferimento il risultato di una macroarea del paese, di una categoria di studenti, di una classe o di una scuola. Questi numeri, però, sono solo una piccola parte di quanto viene restituito dalle prove; sono dati che, presi da solo, non significano nulla e di cui non si può far alcun uso sensato.

I numeri in generale, da soli, sono privi di significato: i numeri sono completamente inutili- spesso dannosi- se non li sappiamo leggere. Per comprendere e utilizzare i “numeri dell’Invalsi” occorre sapere cosa viene effettivamente viene valutato e in qualche modo misurato dalle prove Invalsi di matematica.

Ogni discussione sulla scuola, ogni proposta di intervento, ogni lavoro di rielaborazione, aggiornamento, formazione dovrebbe basarsi su informazioni per quanto possibile veritiere e attendibili. Nessuno può mettere in dubbio che tra le informazioni fondamentali devono esserci anche quelle riguardanti ciò che i nostri ragazzi hanno effettivamente appreso o non appreso, e informazioni sulle competenze che hanno acquisito o non acquisito. Partendo da queste è possibile anche ricavare informazioni sulle caratteristiche degli insegnamenti sviluppati, sulla coerenza e l’effettiva realizzabilità delle indicazioni di legge, sull’efficacia delle azioni formative pre-servizio e in-servizio ….

Le prove Invalsi hanno il fondamentale obiettivo di restituire informazioni; in particolare, informazioni su quale e quanta matematica hanno appreso e sanno utilizzare i nostri studenti. Non sono costruite per valutare direttamente altre cose, e non possono direttamente fornire informazioni su di esse, ad esempio la bravura degli insegnanti e l'efficienza di una scuola, o la capacità di direzione di un dirigente- anche se ovviamente per tutte queste “valutazioni” (tra virgolette), quanto i ragazzi alla fine apprendono in matematica, opportunamente interpretato alla luce del contesto sociale, economico, geografico, familiare, …, è un dato imprescindibile.

Valutazione, nel contesto delle prove Invalsi, NON significa giudizio, né implica in alcun modo un giudizio. Forse proprio il fatto che nella prassi scolastica italiana e nella percezione di allievi e famiglie la valutazione degli apprendimenti (o, come si dice con un’espressione infelice, la “valutazione del rendimento scolastico”) sia spesso, impropriamente, abbinata a un giudizio (talvolta persino a un giudizio morale …) è uno dei motivi per cui è così difficile far accettare una valutazione esterna: come può “giudicare” chi non conosce direttamente la situazione? Il punto è proprio questo: le prove Invalsi non sono costruite per giudicare, ma per acquisire informazioni che poi vanno interpretate in contesto da chi il contesto conosce.

I principi in base ai quali tutta questa operazione viene condotta sono presentati nel quadro di riferimento per la matematica. È il documento fondamentale che cerca di esplicitare quali informazioni queste prove possono acquisire: per valutare cosa sono costruite, e che utilizzo è lecito fare dei loro risultati.

L'apprendimento della matematica è un fatto estremamente complesso, riguardo al quale spesso la valutazione (e l'autovalutazione di docenti e studenti) tende a essere molto drastica e sbrigativa (sa/non sa; o peggio ancora capisce/non capisce; è portato/non è portato; ha logica/non ha logica). Chi valuta gli apprendimenti in matematica sa invece che c’è bisogno di indicatori quanto più possibili precisi, analitici, ma che i dati forniti da questi indicatori devono essere interpretati all’interno di un quadro complessivo e

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sintetico. La relazione tra le singole domande (non solo test!) e l’apprendimento complessivo è esplicitata nel

Quadro di Riferimento.

Uno degli obiettivi delle prove di matematica è dunque quello di fornire indicatori analitici inseriti in un quadro complessivo, indicatori e quadro complessivo che permettano di avere informazioni utilizzabili a più livelli.

Le informazioni sono importanti per tutti gli attori del sistema scuola: i docenti, prima di tutto; gli studenti e le loro famiglie; i dirigenti; i decisori politici locali, nazionali e sovranazionali; i ricercatori dei processi di insegnamento e apprendimento della matematica. Tutti questi attori hanno bisogno di informazioni attendibili, e ovviamente, nessuno strumento valutativo potrà mai fornire TUTTE le informazioni. Non lo possono fare le prove Invalsi, come non lo possono fare da sole le verifiche somministrate dagli insegnanti, o le visite ispettive, o qualsiasi altro strumento. OGNI strumento valutativo, anche una valutazione esterna come quella dell’Invalsi, ha però il suo ruolo nella “fotografia” degli apprendimenti del singolo studente, della classe, della scuola o del sistema italiano nel suo complesso. Le prove vengono quindi costruite e i risultati vengono restituiti tenendo presenti tutti questi potenziali utilizzatori delle informazioni.

Partiamo per esempio dall’elemento apparentemente più “lontano” dalla discussione sulle prove. Perché hanno bisogno di prove come quelle dell’Invalsi gli studenti e le famiglie? Ad esempio, basta pensare a un dato molto semplice: il 50% degli studenti italiani è insufficiente in matematica al termine del primo quadrimestre della scuola superiore. Per molti di questi studenti, la matematica sarà uno degli elementi cruciali per decidere di cambiare percorso (spesso perdendo un anno, ma in molti casi nessun indizio nella valutazione interna precedente lasciava presupporre una tale difficoltà. La differenza tra un 7 e un 9 in matematica in uscita dal primo ciclo ha significato all'interno della stessa classe; ne ha di meno già a livello di scuola e lo perde completamente se il 7 è ottenuto in una scuola e il 9 in un’altra. È normale e per certi versi inevitabile, ma può anche essere fuorviante nel momento in cui io, famiglia o studente, valuto se sono adeguatamente attrezzato per seguire un determinato percorso formativo nella scuola superiore. Il voto ottenuto nei tre anni di scuola secondaria di primo grado, nella prova interna dell'esame di stato,... molto spesso è basato su una logica restituiva - misura quanto il ragazzo è in grado di restituire dell'insegnamento erogato. La scala e l’unità di misura sono stabilite dal docente, talvolta solo indirettamente interfacciate con la scala e la misura del docente della classe accanto. Il voto interno, in tutti i segmenti scolastici, spesso non restituisce una valutazione adeguata, sufficientemente oggettiva, delle competenze acquisite e delle conoscenze o abilità possedute, e sicuramente è un elemento che ha poco significato al di fuori del contesto nel quale è stato assegnato.

Questo fatto è ben noto nella letteratura scientifica e confermato dalle valutazioni internazionali, nonché da qualunque prova che valuti nella stessa situazione studenti provenienti da scuole diverse (ad esempio le prove di ammissione all’università).

Non è detto che questo sia negativo o sbagliato di per di sé: l’importante è che ci sia chiarezza su cosa rappresenta il risultato di una valutazione, perché altrimenti si rischia di utilizzare male questa informazione per prendere decisioni sbagliate.

Per una famiglia, per un ragazzo che sta scegliendo dopo il primo ciclo, che sta passando da un liceo o un istituto tecnico all’università, è importante avere anche una informazione esterna, per certi versi anche comparativa, per evitare scelte sbagliate, per considerare serenamente come investire nel proprio futuro. È importante anche per l’insegnante avere una informazione sugli esiti del proprio lavoro, perché è alla base del processo di autovalutazione che ogni insegnante sviluppa continuamente. Ad esempio, sapere che la mia classe è sopra alla media della mia regione nell’ambito numeri e al di sotto nell’ambito geometria, non è una informazione che serve per stabilire delle classifiche: è un dato che può servire a me per mettere a fuoco le caratteristiche del mio insegnamento.

Un esito di questo tipo non dipende probabilmente dal fatto che il dirigente ha messo nella mia classe tutti gli studenti con intelligenza aritmetica e in quella di fianco tutti quelli con intelligenza geometrica. Più facilmente dipende dai miei gusti, dal tempo che ho dedicato in classe ai diversi ambiti di contenuti (e questa è una scelta che spesso riflette le mie convinzioni sull’importanza degli ambiti medesimi), dai libri o in generale dagli strumenti che utilizzo, dalla formazione in servizio o pre-servizio che ho seguito. Non spetta all’Invalsi dire perché c’è questo risultato: questo lo posso fare solo io, che conosco il contesto.

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Avere informazioni sugli apprendimenti è importante per le scuole, per il MIUR e per gli Uffici Scolastici. Nel momento in cui sono entrate in vigore le nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo e per il secondo- e oggi per la prima volta dopo quasi cent'anni viviamo un momento in cui gli obiettivi di tutto il sistema scuola sono stati ridefiniti e messi a fuoco, contemporaneamente- è lecito domandarsi se queste indicazioni pongono obiettivi effettivamente raggiungibili, e quanto della prassi didattica, degli strumenti, della preparazione degli insegnanti è adeguato al raggiungimento di questi obiettivi. Servono informazioni attendibili per sapere come e dove investire, come sostenere le situazioni di difficoltà e come fare tesoro delle esperienze positive; per capire come costruire meglio i percorsi di formazione; per far evolvere le indicazioni senza dover aspettare altri novant'anni.

Per aiutare tutti questi attori interessati a individuare, organizzare e utilizzare le informazioni, ogni domanda proposta viene etichettata con una serie di indicatori che ne riassumono e mettono in evidenza alcune caratteristiche, coerentemente con quanto descritto nel Quadro di Riferimento: l'aggancio alle Indicazioni di legge (del livello e dell'indirizzo scolastico corrispondente), l’ambito prevalente dei contenuti, il question

intent, il processo prevalente richiesto per rispondere, la posizione nel ciclo della ma tematizzazione.

I risultati vengono poi aggregati secondo una o più di queste direzioni di etichettatura, per aiutare gli insegnanti e le scuole a individuare caratteristiche del tipo di insegnamento erogato (per una autovalutazione del proprio percorso) e per meglio descrivere l’apprendimento degli allievi. Queste aggregazioni sono la base per ottenere dati statistici affidabili e rappresentano il punto di partenza per l'analisi qualitativa delle singole situazioni.

Ogni domanda delle prove di matematica porta dunque una serie di etichette che permettono di organizzare la restituzione dei dati e comporre una informazione complessiva sulla base di informazioni analitiche. La prima etichetta è il riferimento alle indicazioni di legge: la definizione degli obiettivi è basata sulle indicazioni nazionali e il punto di partenza per la costruzione delle prove di matematica è sempre costituito dai traguardi e gli obiettivi delle indicazioni.

I contenuti valutati sono raggruppati in quattro ambiti, Numeri, Spazio e figure, Dati e previsioni, Relazioni e

funzioni, coerentemente con l’organizzazione dei contenuti presente sia nelle indicazioni del primo che in quelle del secondo ciclo.

I contenuti sono poi raggruppati in nuclei concettuali in cui sono collegati i diversi obiettivi previsti dalle indicazioni di legge.

Restituendo questi dati così aggregati e etichettati si fornisce alla scuola e all'insegnante uno strumento per valutare come gli obiettivi di apprendimento fissati a livello nazionale sono stati raggiunti dalla classe, dalla scuola, o in certi casi dal singolo studente.

Siccome l’apprendimento della matematica è sempre un fatto di medio-lungo periodo, le prove sono costruite con una particolare attenzione alla verticalità. Ci sono domande che sono esplicitamente collegate una all'altra, in diversi livelli scolastici; alcune sono addirittura riprese da un livello all'altro o da un anno all'altro. In questo modo è possibile avere non solo una informazione statica, ma anche una visione dinamica del processo di apprendimento.

I dati accumulati nel corso degli anni forniscono quindi anche uno strumento molto potente per valutare la coerenza complessiva dell'insieme di indicazioni.

La seconda dimensione lungo la quale sono costruite le prove, e che è stata negli anni passati una delle caratteristiche della restituzione dei dati, è quella dei processi. L’apprendimento della matematica è un fatto complesso, abbiamo detto, e ogni attività matematica coinvolge competenze e capacità molto diverse. La metafora più frequentemente utilizzata per esprimere questo intreccio di diverse competenze nell’apprendimento della matematica è quella della corda intrecciata: questo intreccio è presente, nella costruzione delle prove Invalsi, attraverso la componente dei processi.

Aggregare le domande secondo il processo coinvolto fornisce una informazione importante. Ad esempio, non è attraverso una sola domanda che posso affermare che un bambino, o il bambino medio italiano, ha appreso la moltiplicazione. Sapere che il mio bambino sa che 25×3 è uguale a 75 (eseguendolo a mente o per iscritto) è una informazione molto diversa, in qualche modo indipendente, dal sapere che25×3 è uguale a 3×25; ed è anche diverso dal sapere che se in una classe di 25 bambini ognuno deve portare 3 euro, per trovare quanto si raccoglie in tutto occorre eseguire la moltiplicazione 25×3. Per valutare queste diverse componenti sono necessarie domande diverse, che sono etichettate con diversi processi.

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Le domande, e i rispettivi risultati, hanno quindi una terza etichetta (oltre alle indicazioni e all'ambito): riportano il processo prevalente richiesto per rispondere. Tra glie elementi valutati, ci sono anche l’acquisizione di particolari conoscenze o determinate abilità, ma non sono questi gli aspetti fondamentali della valutazione Invalsi. Anzi, anche se queste componenti dell'apprendimento sono molto importanti, sono anche quelle per le quali è meno necessario uno strumento come la prova Invalsi. Per sapere se un bambino sa quanto fa 6×3 non c’è bisogno dell'Invalsi: lo verifica molto più rapidamente e efficacemente l'insegnante. In nessuno di questi processi, in particolare, c'è un riferimento esplicito alla memoria. Non perché la memoria non sia importante, in matematica come nelle altre discipline. Gioca un ruolo importante, ma non occorre un servizio nazionale di valutazione per valutare quanto hanno imparato a memoria i ragazzi. Checché ne dicano autorevoli maitre à penser, nessuna delle quasi 300 domande proposte quest’anno nelle prove di matematica “premiava la memoria” . Non perché la memoria non sia importante, ma perché non è questo lo scopo né lo spirito delle prove Invalsi di matematica- non è questo che vogliono valutare e non è per questo che vengono costruite. Quando in una domanda si vuole valutare qualcosa ed è richiesto di ricordare una formula- e non si vuole che questo elemento di memoria interferisca con l'aspetto che si vuole valutare- questa formula viene esplicitamente richiamata (proprio perché si vuole avere un dato ripulito, chiaro, senza interferenze).

Per arricchire ulteriormente la restituzione dei dati, quest’anno i risultati vengono restituiti anche con una ulteriore etichetta.

Uno degli obiettivi fondamentali per gli allievi, esplicitato nelle Indicazioni di legge di tutti i livelli scolastici, è l’acquisizione della capacità di utilizzare la matematica per leggere e rappresentare la realtà, nonché ovviamente degli strumenti matematici necessari per questa effettuare questa matematizzazione e ricavare risultati da essa, risultati da interpretare infine nel contesto di partenza. La parola modello ricorre con insistenza sia nelle indicazioni per il primo ciclo che nei documenti del secondo, ed è forse la novità più evidente di questo insieme di documenti.

Questa operazione di matematizzazione viene abitualmente schematizzata in tre fasi, che sono anche riprese nei principali framework delle valutazioni internazionali dell'apprendimento in matematica:

- il passaggio dalla situazione di problema reale al modello matematico (formulare), - il lavoro sul modello matematico (utilizzare),

- l’interpretazione dei risultati rispetto alla situazione di partenza (interpretare).

A partire dal 2013 ogni domanda viene anche etichettata con la fase del ciclo della matematizzazione che viene più specificatamente coinvolta in quella domanda. In questo modo, i risultati delle risposte sono quindi aggregati in tre categorie, corrispondenti alle tre fasi del ciclo della matematizzazione. Questo permetterà agli insegnanti di avere un nuovo importante “taglio di lettura” dei propri risultati, coerente con gli obiettivi fondamentali delineati dalle indicazioni di legge.

Nel Formulare, ad esempio, sono aggregati i risultati di tutte quelle domande in cui all'allievo è richiesto di descrivere con uno strumento matematico (un’equazione, un’operazione, una tabella, un grafico, un diagramma...) un problema o una situazione.

Nell’Utilizzare sono aggregati i risultati delle domande in cui il processo richiesto all’allievo è interno alla

matematica (trovare il risultato di una operazione, risolvere un’equazione,...).

Nell’Interpretare infine sono aggregati i risultati delle domande in cui l’allievo deve leggere e interpretare i risultati delle procedure matematiche implementate o descritte, nel particolare contesto di un problema. La costruzione delle prove risponde quindi a una concezione multidimensionale dell'apprendimento della matematica, e questo porta a una restituzione articolata del risultato. L’obiettivo del Servizio Nazionale di

Valutazione è esplicitato nel nome: fornire un servizio a tutti gli attori del sistema scuola, un servizio che per raccogliere, organizzare e utilizzare informazioni sugli apprendimenti degli allievi.

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Bruno D’Amore (DIE, Universidad Distrital Francisco José de Caldas, Bogotà)

La ricerca in didattica della matematica e la sua applicazione concreta in aula

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La ricerca in didattica disciplinare degli ultimi 30 anni ha caratteristiche ricorrenti: accentrare l’attenzione sul fenomeno dell’apprendimento, ma da un punto di vista fondazionale e comunque non accettando un unico modello di teoria dell’apprendimento.

Traccerò qui di seguito alcuni elementi di base della ricerca cosiddetta “fondamentale” in didattica della matematica, analizzando solo alcune tra le problematiche che mi sembrano emergere con più forza negli ultimi anni, che si sono consolidate come elementi di ricerca in didattica della matematica, e che forniscono appigli solidi e significativi per azioni d’aula concrete.

1. Il contratto didattico.

Fin dagli anni ’70 fece l’ingresso nel mondo della ricerca in Didattica della matematica l’idea di contratto

didattico, lanciata da Guy Brousseau, che si rilevò subito fruttifera e che venne definitivamente sancita dalle sue ricerche dei primi anni ’80. Furono poi gli studi della seconda metà degli anni ’80 a decretarne il trionfo e la teorizzazione piena; ad essi parteciparono vari studiosi di tutto il mondo: l’idea veniva riconosciuta ed entrava a far parte del linguaggio condiviso dall’intera comunità internazionale.

Uno dei primi tentativi di “definizione” del contratto didattico è il seguente: «In una situazione d’insegnamento, preparata e realizzata da un insegnante, l’allievo ha generalmente come compito di risolvere un problema (matematico) che gli è presentato, ma l’accesso a questo compito si fa attraverso un’interpretazione delle domande poste, delle informazioni fornite, degli obblighi imposti che sono costanti del modo di insegnare del maestro. Queste abitudini (specifiche) del maestro attese dall’allievo ed i comportamenti dell’allievo attesi dal docente costituiscono il contratto didattico» (Brousseau, 1986).

Spesso queste “attese” non sono dovute ad accordi espliciti, imposti dalla scuola o dagli insegnanti o concordati con gli allievi, ma alla concezione della scuola, della matematica, alla ripetizione di modalità. Lo studio dei vari fenomeni di comportamento degli allievi da questo punto di vista ha dato enormi frutti, di estremo interesse. Oggi molti comportamenti considerati fino a poco tempo fa inspiegabili o legati al disinteresse, all'ignoranza, o alla età immatura, sono invece stati chiariti.

Uno degli studi più noti è quello che va sotto il nome di L'età del capitano. Io lo racconterò qui di seguito, così come l'ho vissuto (e fatto vivere) personalmente. In una classe IV elementare (età degli allievi 9-10 anni) di un importante centro agricolo, ho proposto il celeberrimo problema (nel quale il “capitano” diventa un “pastore”): «Un pastore ha 12 pecore e 6 capre. Quanti anni ha il pastore?».

In coro, con sicurezza, e tutti senza eccezioni o riserve, i bambini hanno dato la risposta attesa: «18». Di fronte allo sgomento della maestra, ho reagito spiegandole che si tratta di un fatto legato al contratto didattico: lei non aveva mai dato problemi senza soluzione, o impossibili (per una delle tante forme di impossibilità), dunque i bambini avevano introdotto nel contratto didattico una clausola in base alla quale, per così dire: «Se la maestra ci dà un problema, questo deve essere risolto certamente». E, poiché vige un’altra clausola micidiale secondo la quale i dati numerici presenti nel testo vanno presi tutti e possibilmente nell'ordine in cui compaiono, i bambini di quella classe non avevano nessun'altra possibilità, nessuno scampo: dovevano rispondere usando i dati 12 e 6. L’unico imbarazzo stava semmai nella scelta della operazione da eseguire. Ora, può darsi che quella dell'addizione sia stata una scelta casuale; ma va detto che alla mia richiesta ad un biondino particolarmente vivace di spiegare perché non avesse fatto uso per esempio della divisione, questo, dopo un attimo di riflessione, mi ha spiegato che: «No, è troppo piccolo!», riferendosi ovviamente all’età del pastore...

Gli studi sul contratto didattico, praticamente coltivati in tutto il mondo, si stanno rivelando molto fruttiferi ed hanno dato, in pochissimi anni, risultati di grande interesse, che sempre più ci stanno facendo conoscere l'epistemologia dell'apprendimento matematico.

2. Misconcezioni.

Una misconcezione è un concetto errato e dunque costituisce genericamente un evento da evitare; essa però non va vista sempre come una situazione del tutto o certamente negativa: non è escluso che, per poter

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raggiungere la costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, ma in corso di sistemazione.

Si può notare come, almeno in taluni casi, alcune immagini possono essere delle vere e proprie misconcezioni, cioè interpretazioni errate delle informazioni ricevute.

Qui si presenta la vasta ed interessante problematica del curricolo nascosto. Lo studente rivela le proprie misconcezioni quando applica correttamente regole scorrette. Spesso, all’origine di questo fatto c’è una mancata comprensione od un’errata interpretazione. Se l’insegnante non si rende conto di ciò, le sue sollecitazioni cadono a vuoto perché lo studente ha già incluso nel proprio curricolo quelle regole che ritiene corrette e che, in taluni casi, hanno funzionato.

Per esempio, in una III primaria, uno studente eseguiva in colonna le seguenti sottrazioni:

37- 89- 26- 56-

24= 67= 18= 43=

---- ---- ---- ----

13 22 12 13

L’insegnante osservò che tre sottrazioni su quattro erano state eseguite correttamente, diede dunque una valutazione positiva, ma invitò lo studente, nella terza, a “prendere in prestito una decina”. Lo studente non capiva di che decina si stava parlando perché aveva in mente un’altra regola personale: per eseguire le sottrazioni in colonna si procede da destra verso sinistra e, in ogni colonna, si sottrae dal più grande il più piccolo. Ne aveva avuto conferma in molti casi, la comunicazione che riguardava casi come la terza sottrazione non gli era giunta per chissà quale motivo, e dunque aveva assunto nel suo curricolo quella “regola”. Essa funzionava quasi sempre e nei casi negativi egli non capiva perché: stava usando

correttamente, infatti, una regola che non sapeva essere invece scorretta. Una vera e propria misconcezione. Dunque, le misconcezioni si possono interpretare come concezioni momentanee non corrette, in attesa di sistemazione cognitiva più elaborata e critica. Attenzione, però: lo studente non lo sa e dunque ritiene che le sue, quelle che per il ricercatore sono misconcezioni, siano invece concezioni vere e proprie. Dunque è l'adulto che sa essere quelle elaborate e fatte proprie dai ragazzi delle misconcezioni. Chiamarle errori è troppo semplicistico e banale: non si tratta di punire, di valutare negativamente; si tratta, invece, di dare gli strumenti per l'elaborazione critica.

3. Immagini e modelli.

Immagine mentale è il risultato figurale o proposizionale prodotto da una sollecitazione (interna o esterna). L’immagine mentale è condizionata da influenze culturali, stili personali, in poche parole è prodotto tipico dell'individuo, ma con costanti e connotazioni comuni tra individui diversi. Essa può più o meno essere elaborata coscientemente (anche questa capacità di elaborazione dipende però dall'individuo). Tuttavia l'immagine mentale è interna ed almeno in prima istanza involontaria.

L'insieme delle immagini mentali elaborate (più o meno coscientemente) e tutte relative ad un certo concetto costituisce il modello mentale (interno) del concetto stesso.

Farsi un modello di un concetto, dunque, significa rielaborare successivamente immagini (deboli, instabili) per giungere ad una di esse definitiva (forte, stabile).

Ci sono due possibilità:

• il modello si forma al momento giusto nel senso che si tratta davvero del modello corretto, proprio quello che l’insegnante auspicava per quel tale concetto; l’azione didattica ha funzionato e lo studente si è costruito il modello corretto (quello voluto dall’insegnante) del tale concetto ;

• il modello si forma troppo presto, quando ancora rappresenta solo un’immagine che avrebbe dovuto essere ulteriormente ampliata; a questo punto non è facile raggiungere il concetto auspicato perché la stabilità del modello è di per sé stessa un ostacolo ai futuri apprendimenti.

Proseguiamo nell’analisi dei modelli e del loro ruolo nell’apprendimento.

Quando un insegnante propone un’immagine forte e convincente, che diventa persistente, confermata da continui esempi ed esperienze, di un concetto, l’immagine si trasforma in modello intuitivo.

C’è insomma rispondenza diretta tra la situazione proposta ed il concetto matematico che si sta utilizzando; ma questo modello potrebbe non essere ancora quello che del concetto ci si aspetta all’interno del sapere matematico.

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Dunque, tra i modelli, si riserva il nome di modello intuitivo a quei modelli che rispondono pienamente alle sollecitazioni intuitive e che hanno dunque un’accettazione immediata forte.

Si parla anche, talvolta, di modelli parassiti.

Per esempio, avendo accettato il modello intuitivo di moltiplicazione tra numeri naturali ed avendolo erroneamente esteso a tutte le moltiplicazioni, modello intuitivo rafforzato dalle raffigurazioni schematiche (per schieramento), si forma un modello parassita che si può enunciare così: la moltiplicazione accresce sempre, deve accrescere sempre.

Analogo è il modello parassita della divisione. Sia che venga affrontata “per contenenza” sia “per ripartizione”, se non si conosce un po’ di didattica della matematica, si può correre il rischio di dare allo studente un modello intuitivo che finirà con il produrre un modello parassita: in una divisione A:B, il numero B deve essere minore del numero A.

Didatticamente, allora, conviene lasciare immagini ancora instabili, in attesa di poter creare modelli adatti e significativi, vicini al sapere matematico che si vuole raggiungere.

Più “forte” è il modello intuitivo, più difficile è infrangerlo per accomodarlo ad una nuova immagine. Insomma, la immagine - misconcezione non deve diventare modello visto che, per sua stessa natura, è in attesa di definitiva sistemazione.

Si tratta allora di non dare informazioni distorte e sbagliate; non solo non darle in modo esplicito, ma addirittura evitare che si formino autonomamente per non favorire l’insorgere di modelli parassiti.

Vediamo un solo esempio in dettaglio. La sottrazione.

La sottrazione, per sua stessa natura, presenta almeno due diversi significati intuitivi, a dispetto di un unico significato formale, che si possono evidenziare ricorrendo ancora a due problemi suggeriti da Efraim Fischbein:

1. Se togliamo 7 palline da un insieme di 10 palline, quante palline rimarranno?

2. Ho 7 palline, ma me ne occorrono 10 per giocare. Quante palline devo aggiungere a quelle che ho già,

per poter cominciare a giocare?

È ovvio che entrambi i problemi si risolvono con una sottrazione, 10-7; ma nel primo caso, quello che ha come modello intuitivo il togliere via, la cosa è intuitiva perché c’è coincidenza tra significato formale e significato intuitivo; nel secondo caso è assai più spontaneo il ricorso a strategie additive del tipo: 7 + … = 10, intendendo in qualche modo che quei puntini … devono valere 3. D’altra parte è additiva ogni strategia di “complemento a”, come, per esempio, l’operazione di dare il resto in un negozio: il negoziante di solito non fa la differenza, ma fa, passo a passo, il complementare a partire dalla spesa fino ad arrivare alla somma versata. Abbiamo dunque tra gli allievi una certa percentuale di risposte che non contemplano la sottrazione; al suo posto c’è chi fa l’addizione 7+10 o 10+7 legata al fatto che c’è la parola aggiungere che suggerisce l’uso dell’addizione, e c’è chi scrive 7+3=10.

C’è un forte contrasto tra l’operazione ingenua e spontanea di conteggio che verrebbe di fatto ad essere usata in una situazione concreta (cioè il conteggio: 7+1+1+1, con la risposta 3 legata al numero dei +1 necessari per giungere a 10) ed il significato formale della sottrazione. Se esistesse un’operazione specifica che esprime il numero di quei +1 che permettono di passare da 7 a 10, probabilmente la percentuale di successo salirebbe nettamente; qualcuno potrebbe dire che quell’operazione esiste ed è proprio la sottrazione espressa da 10-7; ma le prove fatte e le considerazioni effettuate finora mostrano che non è questo il significato intuitivo con cui gli studenti costruiscono nel loro cognitivo la sottrazione.

4. Ostacoli.

Da qualche decennio si sono i individuati in didattica della matematica tre tipi di ostacoli che si frappongono all'apprendimento:

- ostacoli di natura ontogenetica - di natura didattica

- di natura epistemologica.

Ogni soggetto che apprende sviluppa capacità e conoscenze adatte alla sua età mentale (che può essere diversa dall’età cronologica), dunque adatte a mezzi e scopi di quella età: rispetto all’acquisizione di certi concetti, queste capacità e conoscenze possono essere insufficienti rispetto ad un progetto didattico da parte dell’insegnante e possono costituire quindi ostacoli di natura ontogenetica (l’allievo potrebbe avere limitazioni neurofisiologiche anche solo dovute alla sua età cronologica).

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Ogni docente sceglie un progetto, un curricolo, un metodo, interpreta in modo personale la trasposizione didattica, che trasforma il sapere adulto in un sapere da insegnare agli allievi, secondo le sue convinzioni sia scientifiche sia didattiche: egli crede in quella scelta e la propone alla classe perché la pensa efficace; ma quel che è efficace effettivamente per qualche studente, non è detto che lo sia per altri. Per questi altri, la scelta di quel progetto si rivela un ostacolo didattico.

Un esempio di ostacolo didattico è la presentazione che fanno taluni insegnanti della scuola primaria al momento di presentare gli oggetti infiniti: il segmento come infinità di punti, la retta come figura illimitata. Il modello più diffuso nelle scuole è quello del segmento come una collana di perline che, per la sua immediatezza, viene subito accettato dagli studenti e diventa modello intuitivo; esso costituisce un evidente ostacolo didattico al momento in cui si deve introdurre l’idea di densità, nella stessa scuola elementare ed ancora di più nella scuola media, e quando si deve introdurre l’idea di continuità nella scuola superiore. Ricerche accurate hanno ampiamente evidenziato che gli studenti maturi (ultimo anno delle superiori e primi anni di università) non riescono a diventare padroni del concetto di continuità proprio a causa del modello intuitivo persistente di segmento come collana di perle. Quanto alla retta come figura illimitata, essa ed il conteggio prolungato dei numeri naturali, sembrano fornire agli studenti la capacità di vedere l’infinito solo in potenza e non in atto, il che pure crea gravi ostacoli didattici nei corsi successivi.

Ogni argomento a carattere matematico ha un proprio statuto epistemologico che dipende dalla storia della sua evoluzione all’interno della matematica, dalla sua accettazione critica nell’àmbito della atematica, dalle riserve che gli sono proprie, dal linguaggio in cui è espresso o che richiede per potersi esprimere. Quando nella storia della evoluzione di un concetto si individua una non continuità, una frattura, cambi radicali di concezione, allora si suppone che quel concetto abbia al suo interno ostacoli di carattere epistemologico ad essere appreso; ciò si manifesta, per esempio, in errori ricorrenti e tipici di vari studenti, in diverse classi, stabili negli anni.

Riassumendo, l’ostacolo ontogenetico è legato allo studente ed alla sua maturità (da tanti punti di vista), quello didattico alla scelta strategica del docente, quello epistemologico alla natura stessa dell'argomento.

Bibliografia.

Brousseau G. (1986). Fondements et méthodes de la didactique des mathématiques. Recherches en

Didactique des Mathématiques, 7, 2, 33-115.

D’Amore B. (1993). Problemi. Pedagogia e psicologia della matematica nell’attività di problem solving. Milano: Angeli. II ed. it. 1996.

D’Amore B. (1999). Elementi di Didattica della matematica. Bologna: Pitagora.

D’Amore B., Fandiño Pinilla M.I. (2009). Zero. Aspetti concettuali e didattici. Trento: Erickson.

D’Amore B., Fandiño Pinilla M.I., Marazzani I., Sbaragli S. (2008). La didattica e le difficoltà in

matematica. Trento: Erickson.

Fandiño Pinilla M.I. (2005). Le frazioni. Aspetti concettuali e didattici. Bologna: Pitagora.

Fandiño Pinilla M.I. (2008). Diverse componenti dell'apprendimento della matematica. Trento: Erickson. Fandiño Pinilla M.I., D’Amore B. (2007). Area e perimetro. Aspetti concettuali e didattici. Trento: Erickson. Fandiño Pinilla M.I., Sbaragli S. (2001). Matematica di base per insegnanti in formazione. Bologna:

Pitagora.

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Benedetto Di Paola (G.R.I.M., Università di Palermo)

Gli insegnati si raccontano … Matematica in Sezione

Fare Matematica nella Scuola dell’infanzia.

La Ricerca Educativa in Matematica già da diversi anni si occupa delle competenze del bambino al suo ingresso nella Scuola Primaria; è ormai risaputo che il soggetto apprendente possiede già competenze matematiche costruite grazie alle esperienze vissute in famiglia, nella società e nella Scuola dell’Infanzia. Competenze spesso ingenue, implicite, veicolate dalle attività di gioco che le Maestre e i Maestri propongono durate il primo triennio di formazione.

Le ricerche condotte in Italia su questo tema però non sono tantissime, particolare menzione merita il lavoro del gruppo di Ricerca di Bologna (l’NRD) fondato e diretto dal Prof. Bruno D’Amore che da anni ornai discute le problematiche educative relative all’insegnamento/apprendimento della Matematica alla Scuola dell’Infanzia, come disciplina specifica per questo grado scolastico, attraverso la quale gli insegnanti si mettono in gioco, esplorano con i propri bambini la bellezza della scoperta e del pensiero scientifico, sotteso al ragionamento matematico, anche ingenuo.

Molte sono le loro esperienze didattiche riferite a bambini piccoli di 3, 4 e 5 anni su contenuti o proto-contenuti matematici che divulgate in parecchie regioni italiane hanno sottolineato come già prima dell’età scolare, i bambini siano in grado di valutare quantità, classificare, dividere giocattoli e oggetti concreti in categorie pensate in modo vario etc. Tutto questo è Matematica in modo giocoso e divertente!

Volendo citare qualcuna di queste attività laboratoriali, ci si può certamente riferire all’uso delle filastrocche, delle conte, delle attività di routine, come registrare le presenze o segnare i giorni sul calendario, alla capacita di far esplorare ai bambini gli oggetti (i giocattoli) tridimensionali e provarne a descriverne le caratteristiche etc.

Queste, come sempre afferma D’Amore, sono una fonte continua di spunti di matematizzazione, che possono permettere all’insegnante di far realizzare ai bambini ricche e articolate esperienze nell’ambito spazio, ordine

e misura.

La Scuola in quest’ottica deve essere capace di potenziare quelle che possono identificarsi come processi cognitivi impliciti e permettere, negli anni, il passaggio dalle conoscenze ingenue a quelle scientifiche non dimenticando mai il senso della Matematica e la capacità di questa disciplina di attrarre, se insegnata in modo opportuno e in modo adeguato all’età. Non è facile ma neanche impossibile! Alla Scuola dell’Infanzia bisogna superare quella difficoltà iniziale che si ha nel parlare di acquisizione di concetti matematici da parte dei bambini, spostare l’attenzione ad un ambito più generale/trasversale, divertendosi e giocando in Sezione in modo naturale, spontaneo, osservando però i comportamenti dei bambini con una lente di tipo matematico. Giocare è già fare Matematica! (“Rubo” questa frase da D’Amore). Giocare con la Lingua, porsi domande e cercare le risposte, difendere la propria idea davanti ad un compito che richiede una soluzione etc è già Matematica!

La Ricerca condotta dal G.R.I.M. di Palermo: gli insegnanti si raccontano.

Il Gruppo di Ricerca di Palermo, all’interno del percorso di formazione della Facoltà di Scienze della Formazione (CdL in Scienze ella Formazione Primaria) già da qualche anno si sta occupando di questa tematica, proponendo, in una prima approssimazione, possibili riflessioni teorico/sperimentali che coinvolgono direttamente Insegnanti, Insegnanti-Ricercatori e Ricercatori in Didattica che lavorano sulla scuola dell’infanzia e non solo.

Il contributo qui proposto ha l’obiettivo di discutere possibili riflessioni epistemologiche sull’insegnamento/apprendimento della Matematica alla Scuola dell’Infanzia, che vengono fuori in modo diretto non dalla Ricerca ma dalle parole e dal lavoro degli insegnanti stessi che operano nella Scuola. L’intervento previsto si articolerà in due fasi: in prima battuta si discuteranno alcune interviste realizzate da un gruppo di tre “esperti” del G.R.I.M. di Palermo che hanno coordinato e diretto il progetto di ricerca qui discusso; si presenteranno i dati raccolti commentando impressioni, paure, riflessioni didattiche e approcci differenti alla pratica d’aula di Matematica emerse dal gruppo di insegnanti in servizio presso sette istituzioni scolastiche di Scuola dell’Infanzia del territorio siciliano. Successivamente si presenteranno alcune pratiche

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d’aula realizzate dalle stesse insegnati presso le loro istituzioni scolastiche di Scuola dell’Infanzia; sottolineandone potenzialità e limiti nell’approccio didattico messo in atto dalle stesse. Alle interviste, in fase di ricerca, è seguito infatti un percorso di osservazione diretta in classe delle Maestre che è stato monitorato continuamente dagli esperti in termini di coerenza ed efficacia dell’intervento educativo sui bambini.

Tutti gli insegnanti coinvolti, pur non avendo mai avuto prima esperienze di questo genere, si sono subito dimostrati ben felici di lavorare con il gruppo di ricerca per poter migliorare insieme e riflettere ognuno nel proprio ambito sul fenomeno di insegnamento/apprendimento in oggetto.

Riassumendo brevemente i vari step di lavoro che saranno presentati ai corsisti come spunto di riflessione per la definizione di una possibile pratica didattica d’aula coerente con il grado scolastico indagato, si evidenzia come dopo aver “registrato” la loro visione della Matematica da proporre alla Scuola dell’Infanzia e senza influenzare inizialmente il loro modo di fare Matematica in Sezione, sono state preparate le lezioni sugli argomenti stabiliti, non è stata definita una regia fissa, anzi si è deciso di lasciare quanto più liberi gli ingegnanti di proporre approcci e atteggiamenti differenti, da analizzare successivamente tutti assieme. Gli obiettivi generali prefissati per le pratiche d’aula sono stati definiti in modo univoco per tutti gli insegnanti coinvolti e possono riassumersi in:

- analizzare e confrontare; - scegliere e decidere; - formulare ipotesi;

- anticipare possibili soluzioni; - elaborare strategie razionali.

Ogni insegnante ha poi definito con l’aiuto di un esperto gli argomenti di Matematica intorno ai quali lavorare in Sezione.

Tra i vari percorsi didattici realizzati in Sicilia, verranno presentati, durante il corso/seminario, quelli condotti dalle insegnanti Catalano S., Di Martino M.R. e Grafato R.: Giochiamo con lo spazio … esperienze

di tassellazione con Escher; dall’insegnante Cocchiara R. dal titolo: Artefatti e segni

nell’insegnamento-apprendimento della Matematica, che insiste su competenze di natura geometrica con bambini di 5 anni; e quello dell’insegnante Frangiamore O. dal titolo: Dai racconti di Lupo Sabbioso, un approccio metodologico

giocoso e incisivo per il pensiero logico-matematico.

Principali riferimenti bibliografici.

Aglì F., D’Amore B. (1995). L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia. Milano: Juvenilia.

Caldelli M. L., D’Amore B. (1986). La matematica dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare. Firenze: La Nuova Italia.

Caldelli M. L., D’Amore B., Giovannoni L. (1984). Il bambino matematizza il mondo. Firenze: La Nuova Italia.

D’Amore B. (1999). Elementi di Didattica della Matematica. Bologna: Pitagora.

D’Amore B. (2011). Alcune riflessioni su didattica, concetto, competenza, schema, situazione. Bollettino dei

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D’Amore B., Frabboni F. (1996). Didattica generale e didattiche disciplinari. Milano: Angeli.

D’Amore B., Fandiño Pinilla M.I. (2001). Concepts et objets mathématiques. In: Gagatsis A. (ed.) (2001).

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matematica. Didattica della matematica nella scuola dell’infanzia. Bologna: Pitagora.

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“Incontri con la matematica”, n. 25, Castel San Pietro Terme (Bo). Bologna: Pitagora. 15-20.

Fandiño Pinilla M. I. (2008). Molteplici aspetti dell’apprendimento della matematica. Trento: Erickson. [Versione in lingua spagnola, 2010, Bogotà: Magisterio).

Gardner H. (1993), Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico. Milano: Feltrinelli.

Marazzani I. (2000), Alla scoperta del numero. La vita scolastica. 4, 17-20.

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Martha Isabel Fandiño Pinilla (NRD, Università di Bologna)

Che cosa si intende per apprendimento concettuale in matematica

.

1. Registri di rappresentazione semiotica.

Va detto subito che l’apprendimento dei concetti della matematica è qualche cosa di specifico, rispetto alle altre discipline e in particolare alle altre scienze.

Nelle cosiddette scienze sperimentali si può far ricorso a “fatti”, “oggetti”, “cose”,… cioè si possono “indicare” avvenimenti, strumenti, materiali concreti che sono l’oggetto stesso della trattazione o il riferimento ostensivo di quel che si sta dicendo.

In matematica no; i concetti della matematica rivestono un aspetto ideale, possono essere considerati, a seconda delle filosofie che li elaborano, astratti, ideali, linguistici, risultato di accordi interpersonali, scoperte, invenzioni, creazioni etc., ma non cadono comunque sotto i sensi.

Aristotele affermava che una cosa, cioè un oggetto inteso nella sua accezione più ingenua, ha tre caratteristiche che la definiscono: 1) è tridimensionale, 2) cade sotto i sensi umani, 3) è separabile dalle altre cose.

Una retta non è tridimensionale, non cade sotto alcun senso umano, non è separabile in senso concreto dagli altri concetti; dunque, la retta non è una cosa che possa essere indicata o mostrata, in senso ingenuo. Né il quadrato, né il punto, né il numero tre, né l’area, né la divisione, né la dimostrazione, né l’implicazione materiale etc.

L’unica cosa che l’essere umano è in grado di fare, rispetto ad un concetto matematico che vuole evocare, è quello di scegliere una rappresentazione in un registro semiotico opportuno, e lavorare su questa rappresentazione.

Se poi accettiamo un punto di vista ontologico, allora ha senso, com’è vezzo dei matematici, chiamare “oggetti” i concetti della matematica, nel senso qui appena delineato (per saperne di più, si veda D’Amore, 2003b).

Per poter capire a fondo il senso che hanno queste riflessioni che potrebbero apparire vaghe e fumose, ne darò una breve trattazione basata solo su esempi e sui primi principi della semiotica.

Comincio con il dire che, con il termine “noetica” si intende l’acquisizione concettuale; nel caso dell’ambiente scuola, l’apprendimento concettuale da parte dell’allievo; con il termine “semiotica” si intende la rappresentazione dei concetti mediante sistemi di segni.

Gli oggetti della matematica non esistono nella realtà concreta; in matematica l’unica cosa che possiamo fare è scegliere un registro semiotico e rappresentare quel concetto in quel registro, come abbiamo già detto. Quel che si impara a maneggiare in matematica, dunque, non sono tanto gli oggetti quanto le loro

rappresentazioni semiotiche; anche se l’obiettivo principale è la noetica, cioè l’apprendimento concettuale. Va anche detto che l’attività semiotica è costitutiva dell’apprendimento, è parte stessa del funzionamento cognitivo in matematica, e non ha solo la funzione di appropriarsi e di comunicare concetti già acquisiti per altra via. Non possiamo non concordare con Duval (1993): «Non c’è noetica senza semiotica», e forse non solo nell’apprendimento della matematica.

Per esempio, rappresentiamo in diversi registri il concetto che formalizza l’idea di dividere a metà un intero, cioè l’oggetto matematico “metà”:1

registro semiotico: la lingua comune: un mezzo, la metà, …

registro semiotico: la lingua aritmetica: ½, 2/4, 7/14… scrittura frazionaria; 0,5 scrittura decimale; 5×10-1

scrittura esponenziale; 50% scrittura percentuale; 0,4

9

; …

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21 registro semiotico: la lingua algebrica: {x∈Q+ / 2x-1=0} scrittura insiemistica; y=f(x): x→ x/2 scrittura

funzionale, …

registro semiotico: il linguaggio figurale:

registro semiotico: schemi pittografici:

Il passaggio da una rappresentazione semiotica ad un’altra nello stesso registro semiotico si chiama “trasformazione di trattamento”:

Il passaggio da una rappresentazione semiotica ad un’altra in un altro registro semiotico si chiama

“trasformazione di conversione”:

Nella semiotica, dunque, tre sono le operazioni fondamentali:

• rappresentazione (scelta degli elementi distintivi dell’oggetto da rappresentare e scelta del registro semiotico in cui rappresentarlo);

• trattamento; • conversione.

La costruzione cognitiva degli oggetti matematici è strettamente connessa alla capacità di usare più registri di rappresentazione di quegli oggetti.

Possiamo perciò dichiarare che l’allievo ha raggiunto su un certo oggetto l’apprendimento concettuale quando è in grado di:

• scegliere i tratti distintivi del concetto e rappresentarli in un dato registro; • trattare tali rappresentazioni all’interno di uno stesso registro;

• convertire tali rappresentazioni da un dato registro ad un altro.

Si può considerare che un concetto è cognitivamente costruito quando l’allievo è rispettivamente in grado di: • identificare proprietà del concetto utilizzabili in diversi contesti e dunque di rappresentarlo in maniera adeguata a seconda delle situazioni;

• di trasformare tale rappresentazione in caso di necessità;

½

Trasformazione di conversione

Trasformazione di

trattamento

0,5

5×10

-1

Trasformazione di

trattamento

½

0,5

0 1

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22

• di usarla in modo opportuno in una pluralità di situazioni, anche dopo trasformazioni di conversione. Non si può, a questo punto, non citare il celeberrimo “paradosso cognitivo” di Duval; vediamo in che cosa consiste (Duval, 1993, pag. 38; la traduzione è concordata con l’Autore): «(…) da una parte, l’apprendimento degli oggetti matematici non può che essere un apprendimento concettuale e, d’altra parte, è solo per mezzo di rappresentazioni semiotiche che è possibile un’attività su degli oggetti matematici. Questo paradosso può costituire un vero circolo vizioso per l’apprendimento. Come dei soggetti in fase di apprendimento potrebbero non confondere gli oggetti matematici con le loro rappresentazioni semiotiche se essi non possono che avere relazione con le sole rappresentazioni semiotiche? L’impossibilità di un accesso diretto agli oggetti matematici, al di fuori di ogni rappresentazione semiotica, rende la confusione quasi inevitabile. E, al contrario, come possono essi acquisire la padronanza dei trattamenti matematici, necessariamente legati alle rappresentazioni semiotiche, se non hanno già un apprendimento concettuale degli oggetti rappresentati? Questo paradosso è ancora più forte se si identifica attività matematica ed attività concettuale e se si considera le rappresentazioni semiotiche come secondarie o estrinseche».

In questa fase “paradossale” dell’apprendimento, bisogna stare molto attenti; da un lato lo studente non sa che sta apprendendo segni che stanno per concetti e che dovrebbe invece apprendere concetti; se l’insegnante non ha mai riflettuto su questo punto, d’altra parte, crederà che lo studente stia apprendendo concetti, mentre questi sta in realtà “apprendendo” solo a far uso di segni (D’Amore, 1999a).

Mi pare che, centrando l’attività (e dunque la ricerca) didattica sull’apprendimento e dunque sull’epistemologia del versante che ha come protagonista l’allievo, si sia costretti ad interpretare ogni passo di costruzione della conoscenza come rispondente al gioco di parole, ammettendo dunque che vi sia una semantica che si confonde con la pragmatica d’uso.

Non solo: mi pare anche che si possa e si debba intendere la classe, l’aula, l’ambiente di insegnamento – apprendimento come una vera e propria “comunità di pratica” nella quale si negoziano i significati, dando loro quei significati che emergono e si concretizzano proprio nell’azione di negoziazione. Imporre significati e oggetti come dall’esterno, in una visione realista della matematica e del suo apprendimento, limita il potere di negoziazione dello studente che deve adattare i nuovi concetti in costruzione proposti dall’insegnante in base ad una trasposizione didattica opportuna, con quelli che informalmente ed ingenuamente già possiede; questa imposizione con la conseguente limitazione ha spesso il risultato di allontanare lo studente dalla costruzione concettuale matematica, rendendolo succube di una istituzione alla quale non demanda più il compito di accompagnarlo ed assisterlo nell’apprendimento, ma alla quale assegna in modo totalitario le scelte possibili, di contenuto e di modalità (si veda l’idea di scolarizzazione proposta in D’Amore, 1999b; D’Amore ha anche dimostrato ampiamente che uno dei motivi per cui non funzionano a volte le attività in situazione adidattica è proprio la confusione in cui versa lo studente, dovuta a eccesso di richieste semiotiche in situazioni realiste; si veda D’Amore, 2002b, 2003a).

Nel processo di insegnamento - apprendimento della matematica, ogni entrata in contatto con nuovi “oggetti di conoscenza matematica” (o, se si vuole abbreviare, “oggetti della matematica”) è un contatto personale prima d’ogni altra cosa; dunque tale contatto mette in moto strumenti semiotici dalle due parti (la matematica che si vuole far apprendere e la persona che apprende); ma la relazione tra persona e oggetto è condizionata dal processo di istituzionalizzazione della conoscenza che porta, appunto, alla conoscenza istituzionalizzata di quell’oggetto.

2. Valutare l’apprendimento concettuale.

La ricerca in didattica della matematica ha creato una enorme quantità di strumenti per valutare l’apprendimento concettuale; rimando a Fandiño Pinilla M. I. (2008) per una loro analisi dettagliata, qui mi limito solo a ricordarne i nomi:

la tecnica dei TEP (una sigla tedesca, molto usata in didattica, per identificare testi scritti di matematica prodotti in modo autonomo, textual eigenproduction, produzioni testuali autonome degli allievi);

l’uso e la discussione delle mappe concettuali (elementi diagnostici che permettono la visualizzazione della realtà del gruppo classe; elementi organizzatori che permettono di stabilire il progresso nella concettualizzazione degli allievi e le attività più consone alla situazione cognitiva reale; elementi organizzatori che permettono di stabilire l’efficacia dello svolgimento curricolare);

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la tecnica dei resoconti;

la discussione collettiva in aula; molte prove considerate “tradizionali”;

In quanto precede abbiamo implicitamente privilegiato il “valutare per misurare, per dare un voto” (Fandiño Pinilla, 2002). Ma non dimentichiamo che:

• si valuta per prendere decisioni circa il contenuto (trasposizione didattica) e circa la metodologia del lavoro in aula (ingegneria didattica);

• si valuta per prendere decisioni circa l’ambiente di classe; • si valuta per comunicare agli allievi quel che è importante.

Sarebbe inopportuno puntare tutto su uno solo degli aspetti relativi alla valutazione, come quella che assegna punti – numeri – note – voti – … allo studente, e basta. È professionalmente opportuno approfittare sempre di valutazioni a tutto campo.

Bibliografia.

D’Amore B. (1999a). Elementi di didattica della matematica. Bologna: Pitagora.

D’Amore B. (1999b). Scolarizzazione del sapere e delle relazioni: effetti sull’apprendimento della matematica. L’insegnamento della Matematica e delle scienze integrate. 22A, 3, 247-276.

D’Amore B. (2002a). Basta. La Vita Scolastica. 8, 14-18.

D’Amore B. (2002b). La complejidad de la noética en matemáticas como causa de la falta de devolución.

TED. Bogotà, Università Pedagogica Nazionale. 11, 63-71.

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For the learning of mathematics. 23(1).

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Fandiño Pinilla M. I. (2002). Curricolo e valutazione in matematica. Prefazione di Salvador Llinares. Presentazione di Franco Frabboni. Pitagora: Bologna.

Fandiño Pinilla M. I. (2005). Le frazioni, aspetti concettuali e didattici. Prefazione di Athanasios Gagatsis. Pitagora: Bologna.

Fandiño Pinilla M. I. (2008). Molteplici aspetti dell’apprendimento della matematica. Valutare e intervenire

Figura

Fig. Cicli scolastici e programma di studio della Scuola Primaria in Cina
Fig. Libri di testo cinesi di Scuola Primaria
Fig. Problemi con elementi figurali disgiunti in un testo di scuola Primaria italiano

Riferimenti

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